Architettura in Abruzzo: differenze tra le versioni

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* [[Palazzo Santucci]] ([[Navelli]]): l'imponente palazzo spicca sulla sommità del colle sul quale si trova il borgo medievale, contornato da un susseguirsi di case-torri, di palazzo gentilizi cinquecenteschi e loggiati rinascimentali, insieme a chiese barocche. Il palazzo fu edificato sopra l'antico castello nel 1632 dal feudatario Camillo Caracciolo. Esso rappresenta il classico esempio di palazzo castellato cinquecentesco, come quello dei Dragonetti a [[Pizzoli]], usato come residenza signorile dei baroni di Navelli, sorto inizialmente come castello militare. Le sue architetture sono la fusione del carattere residenziale tardo-rinascimentale e di quello difensivo della preesistente struttura, della quale sono riconoscibili alcuni elementi come le torrette esterne sporgenti rispetto alla struttura, e poggianti su mensole.<ref>{{Cita web|url=http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp?modello=castelloaq&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuCast2164&tom=164/|titolo=Palazzo fortificato Santucci|accesso=23 agosto 2019|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180913150300/http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp?modello=castelloaq&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuCast2164&tom=164%2F|dataarchivio=13 settembre 2018|urlmorto=sì}}</ref>Il palazzo è dotato di un ampio cortile con pozzo centrale, e una scala a due rampe, che conduce al loggiato occidentale superiore. Il perimetro esterno doveva essere contornato di fossato di recinzione, come si deduce dalla presenza di una traccia attorno al corpo di fabbrica. L'antico castello era inglobato in una cortina muraria profondamente modificata nel XVII secolo, oggi inglobata completamente nel tessuto urbano del borgo: permane un tratto con due torri di controllo a pianta circolare con scarpatura basamentale. Tale cinta muraria del borgo doveva svolge il ruolo di cinta bassa, rispetto al castello superiore.
* [[Palazzo Santucci]] ([[Navelli]]): l'imponente palazzo spicca sulla sommità del colle sul quale si trova il borgo medievale, contornato da un susseguirsi di case-torri, di palazzo gentilizi cinquecenteschi e loggiati rinascimentali, insieme a chiese barocche. Il palazzo fu edificato sopra l'antico castello nel 1632 dal feudatario Camillo Caracciolo. Esso rappresenta il classico esempio di palazzo castellato cinquecentesco, come quello dei Dragonetti a [[Pizzoli]], usato come residenza signorile dei baroni di Navelli, sorto inizialmente come castello militare. Le sue architetture sono la fusione del carattere residenziale tardo-rinascimentale e di quello difensivo della preesistente struttura, della quale sono riconoscibili alcuni elementi come le torrette esterne sporgenti rispetto alla struttura, e poggianti su mensole.<ref>{{Cita web|url=http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp?modello=castelloaq&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuCast2164&tom=164/|titolo=Palazzo fortificato Santucci|accesso=23 agosto 2019|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180913150300/http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp?modello=castelloaq&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuCast2164&tom=164%2F|dataarchivio=13 settembre 2018|urlmorto=sì}}</ref>Il palazzo è dotato di un ampio cortile con pozzo centrale, e una scala a due rampe, che conduce al loggiato occidentale superiore. Il perimetro esterno doveva essere contornato di fossato di recinzione, come si deduce dalla presenza di una traccia attorno al corpo di fabbrica. L'antico castello era inglobato in una cortina muraria profondamente modificata nel XVII secolo, oggi inglobata completamente nel tessuto urbano del borgo: permane un tratto con due torri di controllo a pianta circolare con scarpatura basamentale. Tale cinta muraria del borgo doveva svolge il ruolo di cinta bassa, rispetto al castello superiore.
[[File:Civitaretenga-torre.jpg|miniatura|Torre di Civitaretenga di Navelli prima del 2009]]
[[File:Civitaretenga-torre.jpg|miniatura|Torre di Civitaretenga di Navelli prima del 2009]]
* Castello ellittico di [[Fagnano Alto]]: il paese esisteva già all'epoca romana, come testimonia il ponte antico presso contrada Campana. In cima all'antico colle Ofanianum, sui resti di un'antica rocca dei [[Vestini]], nell'XI secolo venne eretto il castello a pianta ellittica, che costituiva un vero e proprio nucleo abitativo, come il castello di [[Ocre]], posto a controllo della piana di Navelli e dell'altopiano delle Rocche lungo la vallata dell'Aterno. Il castello ancora oggi conserva abbastanza bene l'impianto, con due porte di accesso e tre torri di guardia, dotate di merli. Anch'esso nel 1423 subì l'assedio di Fortebraccio da Montone, e nel XV secolo passò ai feudatari di [[Alfonso d'Aragona]]{{Chiarire}}. Nel 1553 il castello passò a Pietro Gonzales di Mendoza, nel 565 al signore Giuseppe Carafa fino all'occupazione francese del XVII secolo. Fino ai primi ani del '900, il borgo di Fagnano Castello era la sede amministrativa, successivamente spostata più a valle. Le porte di accesso hanno arco ogivale con cornice in pietra concia, del XIV secolo, le torri merlate risalgono al Quattrocento. Dentro le mura è possibile ancora vedere i resti della chiesa di Santa Maria, con la torre campanaria in piedi, la cui sede parrocchiale, dopo il crollo, fu spostata nella chiesa di San Pietro, appena fuori le mura, di chiaro aspetto romanico (XII secolo).
* Castello ellittico di [[Fagnano Alto]]: il paese esisteva già all'epoca romana, come testimonia il ponte antico presso contrada Campana. In cima all'antico colle Ofanianum, sui resti di un'antica rocca dei [[Vestini]], nell'XI secolo venne eretto il castello a pianta ellittica, che costituiva un vero e proprio nucleo abitativo, come il castello di [[Ocre]], posto a controllo della piana di Navelli e dell'altopiano delle Rocche lungo la vallata dell'Aterno. Il castello ancora oggi conserva abbastanza bene l'impianto, con due porte di accesso e tre torri di guardia, dotate di merli. Anch'esso nel 1423 subì l'assedio di Fortebraccio da Montone, e nel XV secolo passò ai feudatari di [[Alfonso d'Aragona]]{{Chiarire}}. Nel 1553 il castello passò a Pietro Gonzales di Mendoza, nel 565 al signore Giuseppe Carafa fino all'occupazione francese del XVII secolo. Fino ai primi anni del '900, il borgo di Fagnano Castello era la sede amministrativa, successivamente spostata più a valle. Le porte di accesso hanno arco ogivale con cornice in pietra concia, del XIV secolo, le torri merlate risalgono al Quattrocento. Dentro le mura è possibile ancora vedere i resti della chiesa di Santa Maria, con la torre campanaria in piedi, la cui sede parrocchiale, dopo il crollo, fu spostata nella chiesa di San Pietro, appena fuori le mura, di chiaro aspetto romanico (XII secolo).


* Castello di Stiffe: del castello sono visibili solo alcuni tratti delle mura perimetrali, e sovrasta l'abitato di [[Stiffe]], nel comune di San Demetrio. Il castello sorse nel XII secolo, avendo il tipico aspetto di fortezza-recinto adagiata sull'altura di un monticello, e partecipò nel 1254 alla fondazione de L'Aquila. Nelle ''[[Cronache aquilane]]'', specialmente in quella che parla della guerra di Braccio, si ricorda la valorosa resistenza del castello di Stiffe contro le truppe di Fortebraccio, che a differenza degli altri castelli, non riuscirono a espugnare la fortezza, così come a [[Fontecchio]]. Tuttavia, dato che l'abitato nei secoli successivi si sviluppò più a valle, il castello perse le sue funzioni maggiori, e cadde in abbandono.
* Castello di Stiffe: del castello sono visibili solo alcuni tratti delle mura perimetrali, e sovrasta l'abitato di [[Stiffe]], nel comune di San Demetrio. Il castello sorse nel XII secolo, avendo il tipico aspetto di fortezza-recinto adagiata sull'altura di un monticello, e partecipò nel 1254 alla fondazione de L'Aquila. Nelle ''[[Cronache aquilane]]'', specialmente in quella che parla della guerra di Braccio, si ricorda la valorosa resistenza del castello di Stiffe contro le truppe di Fortebraccio, che a differenza degli altri castelli, non riuscirono a espugnare la fortezza, così come a [[Fontecchio]]. Tuttavia, dato che l'abitato nei secoli successivi si sviluppò più a valle, il castello perse le sue funzioni maggiori, e cadde in abbandono.
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* Torre Forca di Penne (Capestrano): si trova sopra i monti di [[Ofena]], a confine con la provincia di Pescara. Esattamente posta nel valico omonimo, importante percorso tratturale Centurelle-Montesecco, tra le due province, la torre risale al XIII secolo, spiccando su un piano roccioso, circondata da membrature alla base, che testimoniano la presenza di un vero e proprio piccolo castello. La torre è alta 20 metri, a pianta quadrata, con tre aperture su una facciata, a testimonianza dei tre livelli interni in cui era divisa.
* Torre Forca di Penne (Capestrano): si trova sopra i monti di [[Ofena]], a confine con la provincia di Pescara. Esattamente posta nel valico omonimo, importante percorso tratturale Centurelle-Montesecco, tra le due province, la torre risale al XIII secolo, spiccando su un piano roccioso, circondata da membrature alla base, che testimoniano la presenza di un vero e proprio piccolo castello. La torre è alta 20 metri, a pianta quadrata, con tre aperture su una facciata, a testimonianza dei tre livelli interni in cui era divisa.

=== La Conca Peligna e Valle Subequana ===
=== La Conca Peligna e Valle Subequana ===
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Voce principale: Abruzzo.
Facciata della Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L'Aquila, uno dei simboli dell'arte romanica centro-meridionale, e dell'Abruzzo - disegno del 1899 di Stafforello Gustavo

La pagina illustra la storia dell'architettura nell'Abruzzo, delineandone gli aspetti fondamentali e quelli minori, che ne caratterizzano la particolarità e l'eterogeneità; inoltre descrive la storia delle costruzioni religiose, civili, militari e pubbliche partendo dall'epoca più remota della storia regionale, attraversando il periodo italico-romano, poi quello medievale nei suoi differenti stili (romanico-gotico-tardo gotico), il rinascimentale, e quello barocco del XVII secolo, e quello di ricostruzione dopo i grandi terremoti del 1703 (L'Aquila) e di Sulmona (1706), terminando con l'architettura neoclassica ottocentesca, e quella monumentale eclettica del neorinascimento, del liberty moresco, del neogotico del primo Novecento, e l'arte razionalista del Regime, fino alle costruzioni sperimentali dell'epoca contemporanea.

Caratteri generali

L'Aquila nel 1753, in una pianta di Antonio Vandi

Non è facile definire in un unico blocco descrittivo l'architettura abruzzese, per non parlare dello stesso suo concetto d'arte, se non per alcuni elementi particolari che la caratterizzano, pur nelle sue molteplici sfaccettature. Ossia ad esempio, nell'ambito architettonico, ciò che accomuna le chiese abruzzesi è l'uso frequentissimo del romanico, ad esempio dalle parti aquilane impiegato sino al XV-XVI secolo, benché dalle altre parti si fossero sperimentati altri stili come il gotico e il rinascimentale. Solitamente la chiesa abruzzese "comune" la si identifica come quella di stampo aquilano, a facciata quadrata con il coronamento orizzontale, uno o più rosoni a raggiera, e alla base uno o tre portali in asse, dall'arco a tutto sesto, e dalla lunetta affrescata o decorata da un bassorilievo a carattere sacro. Stessa cosa si può dire per la conservazione delle torri campanarie, quelle d'aspetto medievale (XI-XV secolo), incluse le torri ricostruite a Sulmona e dintorni dopo il terremoto del 1456: l'imponenza della costruzione stessa, a pianta rettangolare o quadrangolare, la scansione mediante cornici in livelli, con arcate ogivali o a tutto sesto, e cuspidi finali sono l'elemento chiave per un gruppo di architetture aventi elementi in concordanza, nella regione.

Il processo di assunzione di una propria identità regionale dell'Abruzzo, nell'ambito sia architettonico sia nel senso generale del termine stesso di "arte", ha avuto una brusca e determinante battuta d'arresto alle soglie del barocco, dunque nel XVII-XVIII secolo, sia a causa dei cambiamenti sociali e politici, sia a causa di catastrofi naturali. Da una parte l'Abruzzo subì sempre di più l'influsso di Napoli nell'arte, anche se non ne venne completamente stravolto, mentre dall'altro settore, a L'Aquila, la vicinanza a Roma determinò la ricostruzione di gran parte della città dopo il terremoto del 1703, lasciando tuttavia e fortunatamente ancora oggi evidenti tracce dell'architettura aquilana prima di tale catastrofe; e da ciò si apprende che la città, specialmente per i cortili dei palazzi e i chiostri dei monasteri, risentì molto del rinascimento toscano.
Se da una parte dunque l'architettura abruzzese mancò di evidente originalità, a partire dall'epoca del barocco, la tradizione secolare delle maestranze locali a "reinterpretare" i principali modelli predominanti di Roma, Napoli, o Firenze (per non parlare dello stile marchigiano per il teramano), continuò indisturbata sino a oggi, e anzi le architettura medievali che tanto aveano fatto scuola alle nuove generazioni, come le chiese specialmente, nell'epoca tardo ottocentesca del revival neogotico e liberty servirono come modello ai vari Nicola Salomone, Antonino Liberi, Paolo De Cecco e via dicendo per l'edificazione di palazzetti liberty, molti dei quali sono presenti nel quartiere Pineta sulla riviera sud di Pescara, mentre le torri di guardia delle abbazie cistercensi e benedettine funsero da modello per l'erezione del Palazzo delle Corporazioni Agricole (oggi Camera di Commerci) sul Corso Marrucino di Chieti.

Interno dell'abbazia di San Clemente a Casauria, il cenobio-modello dello stile romanico in Abruzzo

Dunque da una parte si ha questa interpretazione del carattere monumentale, dall'altra volta alla ricerca del particolare, si ha, sempre nel Novecento, la celebrazione mediante bassorilievi, cammei, maioliche dipinte (seguendo allo stesso modo la tradizione di castelli, Loreto Aprutino e Rapino) con scene di vita contadina abruzzese, concentrandosi sui mestieri vari degli artigiani (la ripresa delle "Arti" medievali, come ad esempio nel caso del Palazzo delle Corporazioni di Chieti, o nel Palazzo del Governo di Pescara), sulla tradizioni, e sugli eventi religiosi.

Veduta di Chieti, dalla collina orientale, in una fotografia del primo Novecento. È possibile ancora vedere la cupola del complesso di San Domenico in asse con la torre campanaria di San Giustino, prima della demolizione del 1913

Come sostenne anche Guido Piovene nel Viaggio in Italia (1956), l'architettura abruzzese oggi si presenta non lineare, eterogenea, e frammentaria. Sia a causa di catastrofici terremoti che segnarono indelebilmente alcune città come L'Aquila, Sulmona, Teramo e Avezzano, per cui si dovette procedere con la ricostruzione barocca, in casi più recenti, come nella Marsica con la ricostruzione integrale dei centri, a causa del gravissimo terremoto di Avezzano del 1915; in altri contesti la seconda guerra mondiale arrecò ulteriori danni, in alcuni casi assai pesanti, come a Ortona, Orsogna, Pescara, Francavilla al Mare, Gessopalena in altri centri minori della piana Marrucina e dell'alto Sangro-Aventino, dove correva la linea Gustav che portava a Cassino. Purtroppo a causa dell'estrema necessità di ricostruire nel minore tempo possibile i luoghi devastati, non si tenne conto del procedere mediante criterio artistico, nella ricostruzione dei monumenti più importanti come palazzi, chiese, castelli, anzi il desiderio di sperimentare nuovi mezzi per ottenere architetture contemporanee più funzionali, come nel caso della ricostruzione della Marsica dopo il 1915, ugualmente in queste aree bombardate prese il sopravvento sulle amministrazioni, fornendo oggi un quadro completamente alterato degli antichi centri storici, ora visibili nel loro antico aspetto soltanto mediante fotografie storiche.
Dunque è un dato di fatto il concetto di frammentarietà, che tuttavia non impoverisce fornendo anzi un nuovo spunto di ulteriori analisi critiche, dell'architettura abruzzese, per cui un nuovo capitolo si aperse negli anni del boom economico, tralasciando le grandi opere pubbliche, con la cementificazione massiccia degli storici confini delle mura delle città e i borghi con il contado circostante. La speculazione, particolarmente grave in certi casi come a Pescara (anni '60-'80) e a Teramo (anni '50-'70), ha irrimediabilmente compromesso l'integrità dell'antico impianto orografico del centro. A Pescara questo speculazione dette ulteriore smacco alle storiche strade che delimitavano i quartieri storici di Porta Nuova (a sud) e Castellammare Adriatico (a nord), i palazzi storici che erano sopravvissuti alla guerra vennero rasi al suolo per essere ricostruiti in forme moderne, soprattutto lungo i due principali assi del Corso Vittorio Emanuele e Corso Umberto I, mentre le aree rimaste ancora vergini, o dove sorgevano giardini pubblici, come nell'ex Piazza XX Settembre o in Villa Sabucchi, vennero cementificate, occupando gli spazi delle storiche ville liberty, attualmente tenute "prigioniere" in esigui spazi di luce tra moderne costruzioni.

Le due parti di Pescara (Porta Nuova a sinistra e Castellammare a destra), viste dal Ponte del Mare

Da un punto di vista ben più grave furono le demolizione di strutture storiche sia a Pescara che Teramo per l'edificazione di architetture anonime, come nel caso del Teatro Pomponi di Pescara nei pressi del Palazzo Verrocchio, del teatro comunale di Teramo sul corso San Giorgio, in stile neoclassico, demolito nel 1959, degli sventramenti vari di Piazza Verdi, Santa Maria a Bitetto, Corso De Michetti e Piazza Carmine; il "sacco" di Teramo durante la giunta amministrativa Gambacorta comportò seri danni all'architettura, con l'isolamento definitivo del Duomo di Santa Maria Assunta con le due facciate prospettanti sulle due piazze (vennero demolite le case attorno), la distruzione del Palazzetto del Credito Abruzzese dell'ingegnere De Albentiis (in stile neogotico), delle casette medievali di Piazzetta del Sole, di Piazza Carmine, e del Corso De Michetti, di cui vennero lasciati intatti solo i portici medievali, con dietro moderne costruzioni completamente anonime.

Piazza Duomo a L'Aquila

L'eterogeneità dell'architettura abruzzese si può ricollegare da un lato alla divisione naturale di certe aree, per via delle catene montuose del Gran Sasso, dei Monti Cagno e Ocre, del Sirente-Velino, e del Gran Sasso d'Italia, che determinarono in maniera decisamente netta l'aspetto sociale, politico, economico, artistico e architettonico delle genti, mentre dall'altro tale diversificazione delle genti fu dovuto alle vicende storiche, politiche e sociali che le popolazioni stesso vissero, e subirono, come rivolgimenti amministrativi e disastri naturali, non solo dovuti ai terremoti, ma anche a inondazioni, smottamenti e avvallamenti, o abbandono dei villaggi per edificazioni di altri centri più esposti a valle.
Ovviamente parlando dell'influenza artistica, in Abruzzo come si è detto furono determinanti le maestranze dei centri principali d'Italia, e dal XVII secolo in primis quelle di Napoli e Roma, le quali influirono sugli architetti abruzzesi, che in vista della differenza sociale tra le varie realtà sub-regionali dell'Abruzzo, interpretarono alla loro maniera gli archetipi principali.

I due Abruzzi, il Citeriore e l'Ulteriore

Categorizzazione in fasce territoriali

I primi critici e studiosi d'arte che hanno evidenziato tali differenze nell'arte e nell'architettura abruzzese, così frammentata e sfaccettata, furono Ignazio Carlo Gavini, Vincenzo Bindi e poi in epoca più recente Francesco Gandolfo, Raffaele Colapietra, Alessandro Clementi Mario Moretti, che curò il restauro delle principali abbazie e basiliche medievali della Majella e dell'Aquila, spingendosi anche troppo oltre il criterio dell'integrità romanica nei casi di San Pietro a Coppito e Santa Maria di Collemaggio, con l'eliminazione e distruzione totale dell'apparato barocco.
La divisione sub-regionale dove si evincono le sostanziali e rappresentative differenze stilistiche dell'architettura d'Abruzzo,comprende i seguenti macro-spazi:

  • Area Vestina-Aternina (L'Aquila), l'area del capoluogo, scendendo a est verso il Gran Sasso, comprendente la piana di Navelli e l'area della valle Aternina fino a Fontecchio.
Sulmona, Piazza XX Settembre
Teramo dall'alto
  • Area Sabina (L'Aquila): la parte territoriale storica dell'Abruzzo, scorporata nel 1927 con l'istituzione della provincia di Rieti, sono evidenti le differenze con le architetture dell'area a sud-est de L'Aquila, quest'area comprende la fascia nord-occidentale, e interessa le zone di Montereale, Campotosto, Amatrice, Cittaducale, Antrodoco e Cittareale, che facevano parte dell'Abruzzo Ultra II.
  • Marsica (L'Aquila): la vasta conca del Fucino presenta oggi pochi elementi che permettano una catalogazione precisa del cambiamento architettonico dei centri, a causa del grave terremoto del 1915 che ha raso al suolo gran parte delle città. La ricostruzione seguendo uno stile eclettico, tra il liberty, il neoclassico e il neogotico, è d'ispirazione certamente romana, tuttavia nelle poche testimonianze rimaste del Medioevo e del barocco (Celano, Tagliacozzo, Luco dei Marsi, Pescina), nonché dalle stesse vicende storiche che visse la Marsica, si può ben delineare un passaggio dell'arte romana e napoletana, legata alla cerchia culturale dei Colonna e dei Piccolomini.
  • Valle Subequana e del Sagittario (L'Aquila): piccole porzioni territoriali comprese tra la Marsica e la valle Peligna, le architetture dei centri (Castel di Ieri, Gagliano Aterno, Castelvecchio Subequo) possiedono uno stile architettonico misto, che da una parte traduce il modello architettonico marsicano, di cui oggi si hanno poche tracce a causa del terremoto del 1915, mentre dall'altro per l'eleganza, e l'uso di alcuni ricorrenti particolari, queste architetture si ricollegano all'arte sulmonese barocca. Tuttavia la parte a nord che confine con l'alto Aterno dei comuni di Molina Aterno, Acciano, Secinaro e Tione degli Abruzzi, mostra evidenti segni di comunanza e dell'uso della pietra concia e del mattone intonacato a vista che si ricollegano nettamente con l'architettura civile, e religiosa, de L'Aquila.
Veduta di Città Sant'Angelo
  • Area del Vomano e della Vibrata (Teramo): divisa in due parti (zona Gran Sasso di castelli, Pietracamela e Isola del Gran Sasso d'Italia) e la collina verso l'Adriatico, include tutta la provincia di Teramo e parte della provincia di Pescara settentrionale, tra Spoltore e Città Sant'Angelo. Evidenti sono i rimandi all'architettura marchigiana di Ascoli Piceno.
  • Area Pescarese-Vestina (Pescara): poiché la provincia di Pescara fu costituita solo nel 1927, la sub-regione storica nell'analisi dal punto di vista architettonico trova delle difficoltà, come si evince dalle differenze sostanziali che intercorrono tra Pescara, e i centri che sorgono sulle alture attorno il fiume Pescara, risalendolo sino alle gole della Majella, presso Popoli. Tralasciato il caso di Pescara che merita un approfondimento a parte per la trasformazione ricorrente del tessuto urbano e architettonico iniziato dal 1861 sino ai nostri giorni, l'architetture dei centri varia partendo da Rosciano e Manoppello, dove è frequente l'uso del laterizio e del mattone, sino all'uso classico della pietra di montagna per i palazzi e le chiese di Popoli, a cominciare dal castello dei Cantelmo.
    Il versante meridionale della Pescara, che lambisce la Majella lentamente, da San Valentino in Abruzzo Citeriore a Tocco da Casauria, mostra un'eterogeneità dello stile molto pronunciata, e ciò lo si deve sostanzialmente al cambiamento di stile ricorrente fortemente legato alle vicende storiche dei singoli centri.
Veduta di Chieti da Villa Pini
Chieti, il Corso Marrucino

Ad esempio San Valentino mostra un centro signorile tardo-rinascimentale, con palazzi risalenti al XVI-XVII secolo, e tali caratteri del tardo rinascimento e inizio barocco sono evidenti anche in altri centri del pescarese, nelle colline vestine del versante nord oltre la Pescara, come Penne, Città Sant'Angelo, Cepagatti e Loreto Aprutino. Ciò è dovuto, parlando della storia dei centri, alla presenza politica di Margherita d'Austria da una parte, e dei signori Valignani di Chieti dall'altra, che impressero indelebilmente il loro marchio politico e artistico su questi centri. Mentre dalla parte della Majella la differenza sta nell'uso della pietra, dall'altra nell'area pennese, l'uso dei materiali impiegò il mattone cotto (infatti Penne è "capitale" del mattone in Abruzzo), e le maestranze furono molteplici, dal Giovan Battista Gianni lombardo, attivo anche a Chieti, a quelle napoletane e romane. Nell'ambito rinascimentale, in breve, queste realtà beneficiarono molto dello stile teramano-atriano, importato a sua volta da Antonio da Lodi, il quale è noto per la realizzazione nel XV secolo delle torri campanarie di Atri (la Basilica e la chiesa di Sant'Agostino), Teramo (il Duomo), Città Sant'Angelo (la Collegiata), Penne (Sant'Agostino), Campli (la Collegiata).

  • Area Teatino-Marrucina (Chieti): comprende il capoluogo teatino, e i centri della Val di Foro, a confine con Ortona e Lanciano, lambendo i piedi della Majella orientale, non oltrepassando Guardiagrele. La città di Chieti costituisce già da sé il modello ideale, a partire dal XVII-XVIII secolo per il rinnovamento tardo barocco dell'architettura dei centri attorno, i cui massimi esemplari sono non soltanto i palazzi maggiori e le case signorili nel tessuto urbano, ma soprattutto le case coloniche dei massari e dei signorotti di podere, di cui la provincia di Chieti, soprattutto nella fascia nord, e in quella frentana del medio Sangro, è satura. Sostanzialmente, come si vedrà, il modello architettonico dei palazzi signorili, eccettuate alcune licenze, riprendere quello dei palazzi romani, e soprattutto napoletani, con ampie strutture a pianta rettangolare o quadrata, ingressi monumentali a cornici e timpani mistilinei, e ampi spazi interni, preceduti da scalinate doppie o uniche, o da chiostri e cortili, come i casi delle strutture conventuali di Santa Chiara, del Palazzo Martinetti Bianchi ricavato dell'ex collegio dei Gesuiti, del convento di San Francesco al Corso, e del Palazzo arcivescovile. La città di Chieti, prima del '900, era caratterizzata, oltre alle strutture e ai monasteri dentro le mura, da piccole abitazioni di uno o più piani, che sono state in gran parte smantellate nel piano di risanamento della città, con la costruzione ad esempio, sul corso Marrucino, di nuove strutture signorili a carattere monumentale.
Veduta di Guardiagrele da nord-ovest


Anche le realtà circostanti, come Casalincontrada, Ripa Teatina e Bucchianico, come Chieti mostrano evidenti tracce ascrivibili al periodo rinascimentale-barocco, che va dal XVI al XVIII secolo. Ampiamente usato è il laterizio, insieme al mattone cotto, seguendo una tradizione proveniente dall'area marchigiana, nonché da maestranze locali che subirono l'influsso lombardo-napoletano, come a Città Sant'Angelo e Penne; le chiese e i palazzi mostrano dunque un esterno rivestito in conci regolari di pietra, oppure in gran parte in laterizio, la pietra solitamente era usata per le architravi delle porte e delle finestre. Un mattone diverso da quello d'argilla, è visibile nelle aree dei comuni della Val di Foro, come Casacanditella, Miglianico e Ortona, poiché il materiale locale è caratterizzato dalla pietra tufacea del fosso scavato dal fiume Arielli.

  • Area della Majella orientale Marrucina (Chieti): comprende i centri di Pretoro, Rapino, Guardiagrele. Già il fatto di stare presso la montagna, fa sì che questi borghi siano caratterizzati ampiamente dall'uso della pietra lavorata, di cui esiste una tradizione certamente romana, anche se gli esempi visibili oggi assai pochi, ma anche medievale. In particolar modo, seguendo anche le linee guida di Mario Moretti e del predecessore Francesco Paolo Ranieri[1], si sa che Guardiagrele fu rifondata dai Longobardi e dai Normanni sopra l'antico abitato romano, e che dal XIII secolo iniziò una stagione irripetibile del romanico abruzzese, che dilagò sia presso i principali centri della Majella occidentale, tra Sulmona e Popoli, ma anche in questa città, di cui si hanno gli esemplari della facciata del Duomo e della Casa Mancini, antica sede della Zecca di Ladislao di Durazzo, oltre a facciate parzialmente conservate nello stile originale di chiese quali quella di San Francesco, di San Nicola e San Pietro Celestino, per quanto riguarda il portale. In seguito a forti terremoti, come quelli del 1456 e del 1706, alcuni manufatti, come palazzi e chiese, sono stati modificati seguendo lo stile barocco, mentre palazzi signorili, come quello dei Vitacolonna, sorgevano da accorpamenti di case civili. Anche l'eclettismo tardo ottocentesco influì su questi borghi, soprattutto su Guardiagrele, ricordano il Palazzo Liberatoscioli e il Palazzo Elisii.
Veduta di Lanciano da via Panoramica, in vista il rione Lanciano Vecchio, e sulla sinistra la torre campanaria della Basilica cattedrale della Madonna del Ponte
  • Area Frentana e del medio Sangro (Chieti): caratterizzata dalle città di Lanciano, Atessa, Casoli, Castel Frentano, Bomba e Villa Santa Maria. Nella parte della vallata che volge verso la foce del fiume sull'Adriatico, ossia intorno Lanciano, Castel Frentano e San Vito, si ha la chiara dimostrazione del tessuto edilizio in laterizio e mattone lavorato dalla pietra tufacea presente nei colli. Lanciano è ritenuta detentrice di uno dei centri storici meglio conservati dell'Abruzzo, in quanto nel tessuto urbano è possibile leggere elementi architettonici diversi, che vanno dalla fase longobarda (VIII secolo - ex convento di San Legonziano) sino a quella romanico-gotica (XII-XIV secolo - chiesa di Santa Maria Maggiore - chiesa di San Nicola), passando poi per le costruzioni rinascimentali e del tardo barocco (XVIII secolo), e per i nuovi quartieri con strutture a carattere eclettico poste lungo il corso Trento e Trieste.
Lanciano, il quartiere Sacca e la chiesa di San Nicola

Anche i vicini centri di Castel Frentano e Casoli mostrano l'uso sapiente della pietra lavorata per lo stile gotico (il castello ducale Masciantonio), ma soprattutto il mattone di argilla e la pietra di montagna per le costruzioni signorili sette-ottocentesche, come Palazzo Tilli.
Atessa è la città di quest'area frentana che subì maggiormente l'influsso napoletano barocco dal XVII al XVIII secolo, vedendo trasformato radicalmente l'antico impianto medievale, rintracciabile in alcune porzioni delle mura, delle porte, e soprattutto nella facciata gotica del Duomo di San Leucio. Anche per i palazzi e le chiese della città, come Santa Croce, San Michele, Santa Maria della Cintura e San Rocco, fu usato il laterizio per gli esterni e per gli interni la rivestitura a intonaco e stucco, decorato con pennacchi e fregi.

Scorcio di Atessa, quartiere San Michele
Scorcio di Castel di Sangro, in lontananza la basilica di S. Maria Assunta
  • Area dell'alto Sangro e dell'Aventino (Chieti): a causa dei gravi danneggiamenti della seconda guerra mondiale, ci sono centri quali Borrello, Quadri, Civitaluparella, Gessopalena, Lettopalena, Roccaraso, Castel di Sangro e Palena che presentano diverse alterazioni al tessuto urbano, in certi casi il tessuto edilizio antico è stato completamente annientato, come dimostrano i paesi di Roccaraso, Quadri e Roccacinquemiglia. Il territorio si estende risalendo il fiume Sangro, sino all'incontro con le tre province di Chieti, dell'Aquila e di Isernia tra Ateleta e Castel di Sangro. Sostanzialmente per la parte dell'Alto Sangro, prima di arrivare all'Altopiano delle Cinque Miglia attraverso la forca di Sant'Angelo del Pesco, abbiamo uno stile caratterizzato dalla pietra grigia dei Monti Frentani. I centri, come Bomba, Colledimezzo, Monteferrante, Roio del Sangro e Rosello sono caratterizzati dall'impianto tipico di fortificazione medievale posta in cima al colle, in alcuni casi scomparsa del tutto, o fusasi con il palazzo signorile, dalla cui base è partita, attraverso i secoli, la costruzione del borgo vero e proprio, attorno appunto al castello e alla cappella signorile, trasformata in chiesa parrocchiale. Questo è il caso di questi centri, che adottano lo stesso schema edilizio e urbanistico di vari altri centri sparsi tra i fiumi Trigno e Sinello lungo l'area medio-alto vastese, tipologia che va estendendosi anche nei centri dell'alto Molise di Campobasso e Isernia, riscontrando somiglianze tipologiche anche nei centri dell'alto foggiano dell'antica Daunia. L'elemento comune è l'utilizzo massiccio della pietra concia grigia di montagna, della costruzione di case legate l'una all'altra, a delimitazione delle varie strade, sia all'interno delle cinte murarie, che appena fuori, quando questi centri iniziarono a svilupparsi verso la campagna nella metà dell'Ottocento, creando grandi strade di abitazioni del ceto medio-basso, tutte uguali e tutte attaccate l'una all'altra, caratterizzate dal concio regolare, e dall'uso dell'intonaco per le finestre e per le porte.
  • Area vastese del Trigno-Sinello (Chieti): eccettuati i centri di Vasto, Casalbordino, Scerni, Pollutri, Cupello, Monteodorisio, tutti gli altri da Palmoli a Lentella, da Celenza sul Trigno a Roccaspinalveti e Castiglione Messer Marino, usano la tipologia del borgo fortificato sorto sopra una cresta montuosa, o sopra un cucuzzolo conico. L'uso della pietra concia grigia di montagna dei Monti Frentani, e del mattone in argilla presa dal fiume Trigno o dal Treste, per i centri di Liscia, Celenza, Lentella, è visibile negli esterni di tutte le case, nelle chiese e nei palazzi signorili, mentre gli interni sono a stucco e in marmo lavorato. Vasto, insieme ai centri della costa, risulta invece edificata con la pietra tufacea ricavata dalla collina e dalla fornaci di mattoni, che esistevano sino ai primi anni del Novecento. Nel quartiere di San Pietro o del Guasto d'Aimone, le case vennero in gran parte costruito sopra le abitazioni romane in opus reticulatum o incertum come è possibile vedere dai riquadri messi alla luce scavando nell'intonaco; mentre in pietra risultano essere le case-mura del quartiere medievale di Santa Maria Maggiore o di Guasto Gisone, alternate al laterizio, ai soffitti a cocciopesto o tegoloni, dei palazzi signorili.

Urbanistica

Le singole voci sono elencate nella Categoria:Architetture dell'Abruzzo per tipologia.

Fase antica

Partendo dalle testimonianze più antiche (escludendo gli agglomerati sparsi di villaggi neolitici, quali Ripoli, Colle del Telegrafo a Pescara e Comino), all'epoca italico-romana esistevano in Abruzzo villaggi agricoli, detti dai Romani "vici - pagi" in quanto molte abitazioni erano realizzate in legno anziché in pietra, come i casi di "Montepagano" a Roseto degli Abruzzi e di Pagus Fabianus a Popoli. Questi villaggi erano per lo più composti da un arx ossia l'acropoli, costituita dalla piazza con il tempio principale e la cittadella, cinta da mura, e attorno le case. Queste mura megalitiche a volte correvano lungo le dorsali montuose di vasti altipiani, come quello delle Cinque Miglia a Castel di Sangro, o il villaggio di Monte Pallano (Tornareccio), costituendo delle fortificazioni molto vaste, che servirono ai Sanniti, dal IV al I secolo a.C. per difendersi dagli attacchi Romani. L'architettura di questi villaggi antichi è andata perduta quasi completamente quando vennero ricostruiti dal I secolo a.C. in poi, durante la Repubblica di Roma e poi durante l'Impero.

Foro di Alba Fucens nella Marsica, in vista i macelli e via delle Colonne

Per il resto le città che erano composte da un agglomerato urbano ben definito erano Teate (Chieti), Anxanum (Lanciano), Interamnia Praetuttiorum (Teramo) e Sulmo: esse erano dotate di un foro, di una strada maggiore, del palazzo pretorio, della piazza con i templi della Triade, le cui testimonianze archeologiche ascrivono la vetusta conformazione già anni prima dell'arrivo dei Romani, che apportarono modifiche sostanziali a queste realtà, ossia realizzando il sistema viario a scacchiera con cardi e decumani, soprattutto nelle città di Sulmona, Juvanum e Alba Fucens, ricostituendo le piazze con i templi della Triade Capitolina, e dotandole di impianti termali con ulteriori sistemi di raccoglimento delle acque e di acquedotti sotterranei, di teatri e anfiteatri. Oltre a ciò, dopo la definitiva conquista romana del Sannio nell'88 a.C., dei coloni dall'Urbe giunsero a colonizzare le campagne circostanti le città, edificando delle ville private, ossia delle piccole imprese agricole e fattorie, seguendo la precettistica di Catone il Vecchio.

Fase medievale

In seguito alla caduta di Roma nel 476 e alla colonizzazione dei Longobardi dopo anni di saccheggi di barbari, le città romane persero pian piano il loro aspetto, e vennero riedificate a più riprese. Si andarono costruendo borghi a sé, sviluppatisi da piccole fortezze e torri longobarde, quali Celano, Trasacco, Tagliacozzo, Villalago, Castel Frentano, Casoli, Celenza sul Trigno, Atri, Popoli, San Pio delle Camere, Navelli. I centri feudali veri e propri si svilupparono con l'arrivo dei conti Franchi e poi con i Normanni, e per l'impianto che mostrano si possono dividere in:

  • Borghi a nido d'aquila: i casi più esemplari sono quelli di Pacentro, Scanno, Anversa degli Abruzzi, Cocullo e Villalago. Si tratta di paesi sviluppatisi presso un colle di montagna, attorno a una primitiva fortificazione a torre, da cui nel XII-XIII secolo si creò il castello, con la chiesa baronale, e che poi presero a svilupparsi lungo le coste e le strade in basso alla struttura, venendo racchiusi tra le mura di cinta. Le strade sono assai tortuose, proseguono ad anelli o a spina di pesce, le case sono addossate le une alle altre, la piazzetta in cima al paese accoglie il castello e la chiesa.
Veduta di San Pio delle Camere (AQ), della chiesa madre e in lontananza del castello-recinto a pianta triangolare
Torre maestra del Castello Caldora di Pacentro
  • Castelli a triangolo: i borghi che solitamente mostrano questa tipologia sono sparsi nella valle d'Aterno, nella piana di Navelli, nella Marsica e nella valle Peligna. Nel primo territorio si hanno i casi del castello di San Pio delle Camere, di Barisciano, di Civitaretenga, di Stiffe, di Prata d'Ansidonia, di Rocca Calascio, di Castel Camponeschi (vero e proprio centro fortificato isolato sopra un colle, dotato di palazzo signorile e chiesa), della Rocca Orsini di Scurcola Marsicana, della Rocca Vecchia Orsini di Tagliacozzo, del castello normanno con torre di Anversa degli Abruzzi, e di Bominaco. Si tratta insomma di castelli edificati durante la colonizzazione dei signori Franchi, con la discesa di Carlo Magno in Italia, realizzati come presidi militari che erano dominati da una torre cilindrica che meglio riusciva a sopportare le granate dei mortai, oppure a pianta poligonale o quadrata, modelli più arcaici prima del nuovo sistema a scarpa del XIV secolo. Questi castelli erano cinti da mura, alcuni, come il castello di Fagnano Alto erano delle vere e proprie cittadelle, con abitazioni e una chiesa cinta da mura, che servivano appunto a proteggere la popolazione sparsa nei villaggi dagli attacchi degli invasori. Anche nella valle Peligna si hanno gli esempi del castello ducale Cantelmo a Popoli, e del castello di Roccacasale, o del castello di Porta da Piedi a Vittorito, strutture nettamente separate dai borghi, che si sono sviluppati ampiamente a partire dal XV secolo in poi, divenendo in seguito i nuovi centri vitali dei feudi stessi, divenendo dal XVI-XVII secolo i castelli ormai inservibili allo scopo militare, e trasformati in abitazioni signorili.
Castello dei Duchi Cantelmo a Popoli (PE)
  • Città-fortezza: con la fortificazione delle città a partire dal XIII secolo, con l'arrivo degli Svevi e poi degli Angioini, alcune città abruzzesi non si sono mai dotate di un castello vero e proprio, non essendo soggette a un signore feudale, ma venendo incamerate nel regio demanio. Eccettuata Vasto, nel 1386 riunita con la fusione dei due centri di Guasto d'Aimone (edificato sopra l'antica Histonium) e Guasto Gisone (il centro medievale), che nell'802 era stata conquistata dal conte Aimone di Dordona, che seguì Pipino il Breve nella campagna di conquista delle città longobarde contro il duca Grimoaldo di Benevento, e che dunque era stata infeudata e dotata di un presidio militare presso la Torre Battaglia (il campanile di Santa Maria Maggiore), e poi presso il fortino del castello Caldoresco (rifatto completamente da Giacomo Caldora nel 1428-39), le città di Chieti, Sulmona, Lanciano, Teramo furono prive di una principale struttura fortificata vera e propria, così come prima del 1534 lo era anche L'Aquila, quando venne poi eretto il Forte spagnolo. Esistevano sì una cinta muraria che cingeva gli abitati, ma non la struttura massiccia di un castello che dominava la città come nel caso dei borghi infeudati, e che sottostavano alla mercé di un signore, ma semplicemente erano amministrate da un Capitano di Giustizia o da un conte che risiedeva nel palazzo pretorio, possibilmente anche fortificato, che faceva le veci del sovrano di Napoli.

Sino alle gravi distruzioni dei Saraceni nell'881 d.C. e nel X secolo, questi centri, benché in fase di decadenza, si conservavano ancora nello stile urbano tipico romano, con il foro, i templi riconvertiti in chiese, gli impianti termali riconvertiti spesso e volentieri in cave o necropoli, come l'area della Civitella di Chieti. Sorsero molti casali insieme alle ville patrizie romane già esistenti, dove già dal IV secolo d.C. si erano sviluppate delle primitive cappelle cristiane, i mitrei, prima che venissero istituite le diocesi vere e proprie nelle città.
Con i Longobardi, e soprattutto con i Franchi nell'VIII-IX secolo, si svilupparono i sistemi di fortificazione, iniziando con torri di controllo sparse nelle alture delle valli, per controllare i traffici e possibili attacchi dalla piana, tali torri divennero anche le primitive sedi del potere dei conti, come gli Attoni o i Berardi della Marsica, accadde che appunto in aree come la Valle dell'Aterno e di Navelli, si crearono dei castelli a torre puntone con altre piccole torri rompi-tratta, le cui mura cingevano tutto il campo interno con le casupole dei feudatari.

Dall'epoca sveva all'aragonese

Le città e i feudi nell'epoca normanna (XI-XII secolo) si dotarono di nuovi castelli e cinte murarie maggiormente fortificate, i piccoli agglomerati fondati dai Longobardi e dai Franchi, che spesso e volentieri erano due piccole comunità sorte su preesistenti resti di città romane, come i villaggi di Ate e Tixa (i rioni San Michele e Santa Croce) di Atessa, i "guasti" di Gisone e di Aimone a Vasto, cioè i rioni di Santa Maria Maggiore e San Pietro, quest'ultimo riedificato a scacchiera sopra la città romana di Histonium, o i quartieri di San Leonardo e Santa Maria a Bitetto a Teramo, edificati sopra la città romana di Interamnia, o i due quartieri di Scanno di Sant'Antonio abate e Sant'Eustachio, quello superiore e più antico.

Spesso, sino al XVIII secolo, nell'epoca fiorente degli Svevi e poi degli Angiò, iniziarono ad affluire i mercanti nelle città, che edificarono i loro palazzi, e realizzarono dei cortili, insieme ai monasteri benedettini, dei Francescani, delle Clarisse, dei Celestini, i quali anche loro si provvidero di orti murati, tali orti sia privati che monastici, ancora oggi sono visibili, seppure molto modificati, nelle principali città abruzzesi quali Chieti, L'Aquila, in parte Teramo, e Sulmona. Soprattutto durante il governo di Federico II di Svevia, poi di Manfredi di Sicilia, le città abruzzesi prosperarono, in particolare Sulmona, che nel 1233 fu elette capitale del Giustizierato d'Abruzzo, costituito per volere di Federico dall'ex ducato franco di Spoleto; la città dei Peligni dovette estendere le cinta muraria fuori dall'antico perimetro quadrangolare, che ricalcava le mura dell'antico castrum romano, e occupò dentro le nuove mura di Porta Napoli, Porta Sant'Antonio, Porta Filiamabili e Porta Pacentrana la piazza del Mercato (Piazza Garibaldi) e nuovi "borghi", che si aggiunsero ai "sestieri" storici.
Prima delle modifiche urbanistiche dell'XVIII-XIX secolo, si è potuta avere una chiara visione delle piante delle principali città, costituite dal centro fortificato, con le porte e le torri di guardia, i monasteri principali all'interno delle mura, alcuni posti appena fuori nella campagna, come la Badia Celestina a Sulmona, o la Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L'Aquila, dei mulini posti presso i fiumi insieme alle cartiere, dei casali sparsi, le strade dei tratturi

Nei documenti aragonesi, quando le città si svilupparono ancora di più con la costruzione di nuove mura e nuove case, figurano i toponimi di Terra dentro - Terra fuori oppure intra ed extra moenia, oppure ancora Terravecchia - Terranova. Questo è il caso del quartiere San Giorgio a Teramo, che fu iniziato a popolare a partire dal XVIII secolo, oppure di Ortona, che prima era racchiusa intorno alle mura delle cittadella compresa tra il castello e la piazza con la Basilica di San Tommaso; nel 1439 circa con Jacopo Caldora al potere del castello, e di altri abruzzesi come quello di Vasto, le mura furono estese verso sud, comprendendo l'area del convento di Sant'Anna (chiesa di Santa Caterina), e alle mura si accedeva mediante Porta Caldari, posta nell'ex Piazza della Vittoria. Tuttavia l'area fu destinata agli orti, e di dotò di abitazioni soltanto dal Settecento in poi, divenendo nel secolo successivo la nuova città moderna e fiorente, rispetto al quartiere di San Tommaso.
Anche le porte urbiche svolgevano il loro compito di accesso dei traffici e dei pellegrini, L'Aquila ad esempio aveva oltre 10 porte, che poi vennero in gran parte murate dopo il sisma del 1703, e ognuna ha ancora oggi il nome di ciascuno dei principali castelli della vallata che contribuì a fondarla nel 1254; mentre in numerosi paesi dell'Abruzzo in cui sopravvivono ancora, tipo Villamagna, Castelvecchio Calvisio, Guardiagrele, le porte regolavano il traffico dai tratturi, e non sono pochi i nomi di "Porta da Capo - da Piedi - da Terra - della Fiera".

Nascita e sviluppo de L'Aquila

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia dell'Aquila.

Riassumendo brevemente i fattori che portarono, dal 1250, gli abitanti dei borghi circostanti la piana di Acculi o Acquili (dove oggi si trova la fontana delle 99 cannelle), le cause furono la necessità dei cittadini di riunirsi in un solo grande nucleo, per ragioni economiche e politiche. Nei diversi villaggi che si erano costituiti nella conca dal passaggio dei Longobardi, passando poi a quello dei Franchi e dei Normanni, mediante la potente famiglia dei Conti dei Marsi di Celano di origine francese, s'era venuta a tessere una fitta rete di villaggi-roccaforte e di torri di avvistamento sopra i picchi rocciosi delle montagnette lungo la catena del Sirente-Velino e dei Monti Cagno e Ocre, fino appunto alla piana di Amiternum. Il fitto rapporto di vassallaggio che i Conti avevano con i loro feudatari, e con i potenti monasteri dell'abbazia di Montecassino, dell'abbazia di Farfa, e dell'abbazia di San Vincenzo al Volturno, e dunque con il Pontefice stesso, sia in maniera diretta che indiretta, andava dunque contro gli interessi del sovrano Federico II di Svevia, che si adoperò nel primo ventennio del 1200 per smantellare questo tessuto di rapporti di signorie varie e baronie, e in Abruzzo il cambiamento avvenne con la presa di Celano e la cacciata momentanea dei Conti Berardi.

Mascheroni delle 99 cannelle

I cittadini di Forcona, Amiterno, e Poppleto (Coppito) si ribellarono a Federico, che reagì con la forza distruggendo le antiche rocche, e pian piano iniziò a delinearsi il progetto di costruzione di una grande città, mediante la concessione del papa Gregorio X di un privilegio speciale. Anche se però il privilegio venne concesso più tardi da Corrado IV figlio di Federico, al livello politico L'Aquila nacque come una realtà sotto la protezione papale e imperiale (poiché Corrado con la dovuta cautela conservò sempre il desiderio di ricoprirla di privilegi affinché l'avesse come alleata[2]), che faceva parte di una rete di città-satellite che in qualche maniera contrastavano il potere temporale dell'imperatore sull'area del Papato, mentre al livello socio-economico, L'Aquila venne a costituirsi in maniera del tutto originale. Come descritto anche dallo storico Anton Ludovico Antinori[3], i commercianti e i nuovi coloni provenienti dai castelli situati nella conca, vennero a costruire le case coloniche presso la piana di Acculi, tal toponimo deriverebbe dalla ricca presenza di acque, e successivamente lo stemma civico assunse il simbolo dell'aquila imperiale degli Svevi, e poi degli Angiò.
La fase di popolamento continuò per tutto il 1255, il diploma di Corrado prevedeva la ripartizione in locali dell'area individuata, suddividendo dunque le micro-zone coloniche dei vari commercianti provenienti dai singoli castelli.

Incisione storica della facciata della basilica di Santa Maria di Collemaggio

Tali "castelli", che secondo la leggenda riportata anche dal primo storico aquilano Buccio di Ranallo fossero 99, erano semplici roccaforti militari che presidiavano il territorio, con la torre-casa del barone di turno, e le piccole case dei commercianti e dei feudatari che avevano in gestione temporaneamente lotti di terra della piana. Lo storico Bernardino Cirillo, negli Annali della Città d'Aquila cita tutti i castelli che fondarono la città, e il numero raggiungeva quasi la novantina, malgrado oggi molti siti originali siano stati completamente stravolti dall'espansione edilizia, o addirittura scomparsi a causa dei catastrofici terremoti, come quello del febbraio 1703. Fatto sta che le rocche vere e proprie ancora oggi sono esistenti, ossia quelle di maggior pregio, i cui abitanti ebbero il privilegio e il potere economico di costruire nella città d'Aquila locali più espansi, mentre per altri castelli di minore importanza, come Vio, Genca, Gignano, Forfona, non resta poco più, nel tessuto odierno del centro storico aquilano, che il toponimo del locale stesso, mentre dei borghi esterni le mura sopravvive il borgo di San Pietro della Jenca (Genca) presso Assergi, mentre di quest'altri citati come esempio si conservano soltanto i toponimi e le ipotizzabili località dove sorgessero le case.

Di natura sempre turbolenta, i cittadini de L'Aquila, fedeli al papato, nella persona di papa Alessandro III, e mai distaccatisi completamente dalla loro natura di commercianti-signori feudali, vennero a scontrarsi con il re Manfredi di Svevia, successore di Corrado, in rotta di collisione col pontefice. Nel 1259 in seguito alla ribellione dei Conti dei Marsi e di Poppleto[4], Manfredi accerchiò la città e la saccheggiò, distruggendola. Dunque si viene a comprendere che l'aspetto orografico, per suddivisione in quarti e locali colonici, potrebbe aver avuto origine nel 1245-55, ma forse per l'incompiutezza dei lavori di fondazione, e per la distruzione totale di Manfredi, essa venne rifatta daccapo nel 1265 per volere dell sovrano Carlo I d'Angiò.

Pianta de L'Aquila nel 1575, opera di Fonticulano

Il disegno della città de L'Aquila non può prescindere dall'immagine e dall'immaginario derivanti dalle sue prime rappresentazioni alla fine del Cinquecento, tutte legate alla figura del matematico Girolamo Pico Fonticulano, in particolare la sua pianta della Città del 1575, e le due piante derivate, quella del 1581 di Egnazio Danti (conservata nella Galleria delle carte geografiche nel Vaticano), e l'altra del 1600 di Jacopo Lauro[5], non rispecchiano perfettamente l'assetto urbano de L'Aquila. Fonticulano attribuisce al tessuto urbano quasi indistintamente una matrice geometrica a maglie ortogonali, che evidentemente non corrisponde alla realtà, se non per un richiamo alla strutturazione della città all'epoca angioina. Sicuramente Fonticulano riprese l'ideale di una città ideale, prospettica e perfetta negli assi, seguendo la maniera della prospettiva che andava in voga nell'arte del tardo Rinascimento, poiché notevole è il rinnovo figurativo che la città dovette subire nella ricostruzione posts sisma 1703. Sul piano di rappresentazione sono stati utilizzati due livelli di scala, il primo relativo al livello urbano, il secondo a specifici settori, sul medesimo registro della sezione storico-sincronica riferita alla città storicizzata, con sovrapposizione della lettura storico-critica sul rilievo della città attuale.

I caratteri del disegno urbano de L'Aquila derivano dalla sintesi dell'impianto medievale angioino della fondazione e un diffuso sistema di piazze: gli studi collocano la nascita della città infatti all'interno del complessi rapporti di potere tra Stato e Chiesa, e nella riorganizzazione territoriale da parte dei Cistercensi a propositi "locali", che giustificano il passaggio da una frammentaria realtà feudale alla realizzazione nel 1254-55 di una città di fondazione, per quanto riguarda il grande balzo in avanti sul ruolo ed estensione territoriale[6]. Proprio in vista delle ripartizioni alla maniera cistercense, è necessaria ricordare che l'Abruzzo nel XIII secolo venne colonizzato da questo nuovo ordine monacale, che venne a contrapporsi ai Benedettini di Montecassino, con la fondazione dell'abbazia di Santa Maria di Casanova a Villa Celiera nel 1991. Nell'aquilano nel 1222 venne fondato il monastero di Santo Spirito d'Ocre, poi la grancia di Santa Maria del Monte a Campo Imperatore, dipendente da Casanova, l'abbazia-parrocchia di San Benedetto delle Carfasse ad Arischia nel 1303. Santa Maria di Casanova rappresenta il riferimento abruzzese del sistema di abbazia e rifattosi a quella di Ripalta sul Gargano a San Severo (1201), funzionali al processo della mena delle greggi. L'assetto urbano de L'Aquila sarebbe stato ispirato agli impianti di Beaumont-de-Lomagne (1279), Mirande (1281) o Solomiac (1323), bastides che si articolano con tracciati ortogonale, piazza del mercato al centro, spazialmente delineati dal disegno a isolati nel tessuto dentro le mura. Nel territorio del "Comitato aquilano" i modelli di questi spazi sono visibili in Amatrice, Antrodoco, Borgo Velino, Cittareale, Cittaducale, Leonessa, tutti centri di fondazione angioina[7].

Nell'impianto urbano gli assi principali che attraversano il centro storico da porta a porta delle mura, sono Corso Federico II, poi Corso Vittorio Emanuele II a nord di Piazza Duomo, e via Roma-Corso Umberto I, poi dai Quattro Cantoni (incrocio delle quattro strade maggiori) via San Bernardino, tra loro ortogonali, così come anche via Cascina e via Garibaldi[8]. Il disegno urbano non resta definito dal solo tessuto viario, in quanto vi si integra un molteplice sistema di piazze e slarghi, gerarchizzato dalla scala urbana del capo-quarto (Santa Giusta, Santa Maria di Paganica, San Pietro, San Marciano), a quella del semplice locale (Piazza San Silvestro, Piazza San Flaviano, Piazza San Marco, Piazza San Domenico); altre piazze di alto rango sono quelle legate alla politica e all'economia, come Piazza Duomo o del Mercato, e Piazza Palazzo, dove si trova il Palazzo Margherita d'Austria, già del Capitano Regio.

Disegno di fantasia di Teramo nel 1627, di Daniel Meisner

I locali si strutturano intorno alla lor piazza, chiesa e fontana con la duplicazione, anche del nome, della parrocchiale dei centri di provenienza (esempi di San Silvestro, San Pietro di Coppito, Santa Maria di Paganica, Santa Giusta di Bazzano, San Marciano), e secondo un rapporto biunivoco intus-extra moenia tra loro urbani e rispettivi castelli, così che i cittadini inurbati possano continuare a esercitare il possesso degli stessi diritti, a uso dei pascoli dei paesi di provenienza[9]. Queste stesse piazze nel corso del Cinquecento, diventeranno il coagulo per gli insediamenti nobiliari, come i Branconio, i Franchi, i Pretatti, i Camponeschi, gli Alfieri.

Sviluppo di Lanciano e Vasto

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Lanciano e Storia di Vasto.

In seguito alla caduta di Roma, la città fu saccheggiata dai barbari, e poi occupata dai Bizantini e dai Longobardi (V-VI secolo d.C.). Dell'epoca bizantina si hanno più che altro testimonianze di ceramiche, raccolte nel Museo dell'Abruzzo bizantino Altomedievale di Crecchio (CH), riferibili a una tipo di lavorazione comune nell'area marrucino-frentana; inoltre si sa della conquista longobarda della città nel XVII secolo, quando ci fu una grande battaglia, per i cui i lancianesi si votarono a San Maurizio, il primo patrono di Lanciano. La sua chiesa fu edificata proprio in quel periodo nell'attuale Largo dei Frentani, e malauguratamente fu demolita nel primo ventennio dell'Ottocento.
Dell'epoca longobarda si hanno testimonianze di fondaci presso Largo San Giovanni e il Palazzo Vergilj lungo via dei Frentani, sicché si è pensato che in quest'area esisteva un castello longobardo a pianta allungata, vagamente ellittica, detto anche nelle fonti come "il Tonnino".
Essendo il casello però già scomparso nell'XI-XII secolo, le leggende hanno voluto che un grave terremoto spaccò la valle frentana, e fece crollare il castello, poiché notizie riguardo ad un grave terremoto sono riportate anche nei documenti più antichi riguardanti la storia della statua della Madonna del Ponte, patrona di Lanciano.

La Piazza del Plebiscito era l'antica curtis anteana, ossia conservò il ruolo di crocevia dei traffici commerciali, e collegamento con la chiesa dei Monaci Basiliani dei Santi Legonziano e Domiziano (VIII secolo), dove nel 1258 fu costruita la nuova chiesa di San Francesco d'Assisi con convento. Sul Colle di Lanciano Vecchio esistevano già numerose chiese a partire dall'epoca normanna, ossia San Maurizio, San Lorenzo, San Biagio con porta di accesso presso le mura, San Giovanni Battista e San Martino. Di queste si salvò solo San Biagio, poiché le altre furono demolite in maniera scriteriata nell'Ottocento, San Giovanni fu pesantemente danneggiata dal bombardamento del 1943 e poi demolita. Sant'Agostino non era stata ancora costruita, lo sarà nel 1265.

Portale della chiesa di San Nicola

Nel 1031 presso il Colle Selva esisteva solo una chiesa, Santa Maria de Platea, eretta presso un tempio romano, sopra cui nel 1531 verrà eretto il monastero di Santa Maria Nuova per volere del capitano Denno Riccio. Il colle era poco abitato, eccettuata una parte del rione Sacca, esisteva un tempio dedicato ad Apollo, sopra cui a partire dal XII secolo vi verrà eretta la chiesa di Santa Maria Maggiore, ampiamente rifatta in stile gotico nel 1317.
Nei documenti del conte Ugo Malmozzetto, signore di Manoppello e feudatario di Lanciano (metà del 1000), si fa riferimento a una torrione press Porta Sant'Angelo e al commercio delle "nundinae", le ceramiche artigianali della città, di cui esistevano numerose botteghe nel rione Borgo. La città fortificata di questa quartiere si estendeva dall'attuale via del Tribunali, poi la cinta occupava via dell'Asilo - prima di Porta Sant'Angelo - poi via Fenaroli e via Fieramosca, poiché il fosso di questa strada era occupato sino ai primi anni del '900 da un fiume limaccioso detto Malavalle o Malvò, e separava gli abitanti da quelli del rione Civitanova, che non ancora si era pienamente costituito.

Il rione Sacca si era densamente popolato nel 1991, quando vennero cacciati da Napoli degli ebrei, la nascita vera e propria di Lanciano nel Medioevo avvenne nel XII-XIV secolo, quando a Federico II di Svevia successe Carlo I d'Angiò e poi il figlio Carlo II, che nel 1304 emanò un privilegio speciale per la città, rendendola libera da signori feudatari, e incamerata nel regio demanio. In questo periodo i due quartieri Sacca e Civitanova si espansero sempre di più sino a fondersi, la chiesa di Santa Maria Maggiore venne ampliata in stile gotico-borgognone, furono ampliate le mura normanne delle Torri Montanare. La cinta muraria angioina era già costituita alla fine del Duecento, e nelle carte del XV secolo già si sa come esistevano ben 9 porte maggiori di accesso: Santa Maria Nuova o Civitanova presso viale Spaventa, Porta della Noce lungo via delle Ripe a Civitanova, Porta San Nicola a ingresso della Sacca da nord-est, e la coeva Porta Sant'Antonio Abate, che doveva trovarsi alla fine dell'attuale Piazza Garibaldi verso il Ponte dell'Ammazzo, poi all'accesso dello stradone maggiore del rione Borgo da sud, Porta Santa Chiara o Reale, e nel rione Lancinaovecchia, Porta San Biagio, Porta Diocleziana, e all'ingresso dal fosso Pietroso del rione Borgo, la Porta Sant'Angelo, di origini longobarde.

Torre campanaria di Santa Maria Maggiore e l'arco dell'antico portale romanico

Nel corso del Trecento, Lanciano per la sua ricchezza, i commerci, e i privilegi che continuavano a favorirla, dotandola anche di numerosi feudi quali gli attuali comuni nel circondario della città, ossia Frisa, Castelfrentano, San Vito Chietino, Paglieta, mostrò tale potenza soprattutto nell'arte, come dimostrano i notevoli esempi di architettura gotica rintracciabile nelle facciate di Sant'Agostino, Santa Maria Maggiore, San Nicola, Santa Lucia e San Francesco. Nel Quattrocento si ha la pacificazione delle due città, Lanciano e la rivale Ortona, che nel 1427 erano arrivate all'aperta guerra per il possesso del porto commerciale di San Vito. Il frate Giovanni di Capestrano stipulò un lodo di pace a Ortona, e nelle clausole volle che nelle due città fossero edificate due chiese dedicate alla Pace. A Lanciano pertanto,m fuori le mura, nel 1430 venne costruito sopa la cappella di Sant'Angelo, il convento di Santa Maria della Pace, oggi di Sant'Antonio di Padova.
In questo periodo Lanciano soffrì anche gli attacchi per le lotte di potere di Giovanna II di Napoli d'Angiò e del pretendente Alfonso I d'Aragona. I due capitani di ventura Giacomo Caldora e Braccio da Montone passarono al setaccio le città d'Abruzzo per ridurle all'obbedienza, e Lanciano nel 1423 subì l'attacco di Muzio Attendolo Sforza, usando i cannoni.
Nel 1413 il ponte di Diocleziano fu parzialmente demolito e riedificato per allargare il passaggio, con la successiva costruzione di una parte sotterranea per il transito dei pedoni, nel 1442-52 Alfonso d'Aragona, privilegiando al città rispetto a Ortona per la fedeltà, fece rifare le mura, di cui oggi resta l'esempio del torrione delle mura di Borgo, a pianta cilindrica con merlatura a beccatelli.

Duomo di San Giuseppe, trasformato dall'antica chiesa di Sant'Agostino

Gli ultimi anni documentati di Histonium risalgono alle citazioni su Marco Bebio Suetro Marcelle, patrono del municipium nel 70 d.C., di Caio Hosidio Geta questore nel 43, di Oplaco Hosidio. In seguito alla conquista dei Longobardi dell'Italia, nell'ambito della guerra contro i Franchi, Histonium nell'802 venne devastata come Chieti dalle truppe di Pipino il Breve, giunto per debellare la rivolta di Grimoaldo di Benevento, sede del ducato longobardo del sud Italia. Histonium venne atterrata, e ricostruita, venendo assegnata ad Aimone di Dordona, da cui prese il nome "Guasto d'Aimone". Divenne capoluogo di una sorta di provincia, detta "gastaldia" (Wasthalden), da cui si formerà il nome attuale. Il toponimo era detto anche castrum, perché Aimone vi eresse la sua residenza fortilizia, che divenne poi il Castello Caldora. Nel 1047 l'imperatore Enrico III il Nero assegnò Guasto al possesso dell'abbazia di San Giovanni in Venere, successivamente vennero costruite altre abitazioni verso l'area della chiesa di Santa Maria Maggiore, che prese il nome di "Guasto Gisone", con amministrazione autonoma

Alcune testimonianze si hanno nell'elenco delle terre di Carlo I d'Angiò assegnate al cadetto Bertrando Del Balzo nel 1269, tra cui figura il "Guastum Gisonis" per 5 once annue. Nel regesto del figlio Carlo II nel 1289 si distinguono Guasto d'Aimone e Guasto Gisone, divise da un vallone (oggi corso De Parma); ambedue due le cittadine avevano una chiesa parrocchiale: Guasto d'Aimone la collegiata di San Pietro (di cui oggi rimane la facciata a seguito della demolizione dovuta per i danni della frana del 1956), e la collegiata di Santa Maria Maggiore per Guasto Gisone; quest'ultima aveva più privilegi e possedimenti dell'altra, in quanto sede anche della cappella del signore, che risiedeva nel vicino castello, e per la sede dei vescovi di Chieti. Le due città vennero unite il 9 gennaio 1385 sotto il regno di Carlo III di Napoli, come testimonia un regesto del 1467.

Come riportato dallo storico De Benedictis, nel 1385 in occasione dell'unificazione della due città, vennero censite le abitazioni della città, per un totale di 13 contrade, che erano:

  • Torrione: per la torre di guardia addossata alla chiesa di Santa Maria Maggiore, e alle case della famiglia Moschetti, con una fontana alimentata dall'acquedotto delle Luci. Le case erano uno scudo di abitazioni-mura contro gli assalti dal mare. In questa contrada si trovava il monastero delle Clarisse presso Largo Santa Chiara, edificato nel 1585 circa.
Chiesa di Santa Maria Maggiore e Porta Catena in basso
  • Castello: per la presenza del castello di Gisone (oggi di Giacomo Caldora), edificato in posizione elevata tanto da comunicare con il castello angioino, poi aragonese, di Ortona. Il castello vastese era munito di vari cannoni, e aveva in possesso la contrada di Santa Maria Maggiore, sotto la giurisdizione di San Giovanni in Venere (1195). Sulle rovine del castello nel 1331 venne sopraelevata la torre campanaria, i turchi il 1 agosto 1566 la devastarono, incendiandola, un altro incendio ci fu nel 1645, che costrinse a una riedificazione totale della collegiata. Nella chiesa collegiata di Santa Maria Maggiore si conserva ancora la reliquia della sacra spina della corona di Cristo, donata a don Diego d'Avalos da Pio V nel 1647 per aver presieduto in sua vece al Concilio di Trento, il corpo di San Cesario poi vi è custodito, sarcofagi delle famiglie d'Avalos e Mayo, e dipinti barocchi. Questa contrada corrisponde all'attuale Piazza Rossetti, via Cavour, Piazza Diomede.
  • Contrada Guarlati: fronteggia da ovest Piazza Rossetti, iniziando dall'area della chiesa dell'Addolorata o di San Francesco da Paola. La contrada è detta anche "naumachia" o "Barbacani" a imitazione delle muraglie costruite a forma di scarpa, vi si trovava la chiesa della Madonna dei Guarlati, sopra cui venne edificata quella dei Paolotti, recuperando l'icona sacra della Madonna, e traslata nel muro del coro. La contrada è compresa dalle strade di via Giulia, via Naumachia, via XXIV Maggio, via Boccaccio.
Incisione della chiesa della Congrega del Carmine
  • Contrada Buonconsiglio: prende nome dalla cappella della Madonna del Buonconsiglio, oggi scomparsa, con l'icona votiva traslata nella Cattedrale di San Giuseppe. Nella contrada si trovava la casa del nobile Buzio d'Alvappario che nel 1339 venne assalito dai briganti, uscendone illeso, mentre la sua casa veniva devastata. Il suo sarcofago è conservato nei musei del Palazzo d'Avalos. L'area della contrada è compresa tra Piazza Caprioli, via San Pietro, via Buonconsiglio e via Vescovado.
  • Contrada Piazza: concentrata sull'attuale Piazza Lucio Valerio Pudente e Corso De Parma, vi si trovava il convento di Sant'Agostino, oggi trasformato nel Duomo di San Giuseppe. Nel convento prese i voti il beato Angelo da Furci, di cui nella cattedrale si conservano delle reliquie, e una ricca biblioteca con volumi donati da Virginia Magnacervo. La strada era la via del Mercato principale di Vasto, che nel Novecento fu ampiamente trasformata con la costruzione di nuovi palazzi signorili.
  • Piano del Forno: delimitata da via del Fornorosso, l'edificio venne demolito per la creazione nel XVII secolo del Collegio del Carmine, annesso alla chiesa omonima, edificato nel 1689 presso la vecchia chiesa di San Nicola di Mira. Nella contrada si trovava anche la casa di Virgilio Caprioli e Valerio di Clemente, che nel suo testamento lasciò l'abitazione ai Padri Lucchesi per l'edificazione del monastero.
  • Contrada Palazzo: delimitata da Piazza L.V. Pudente e Piazza del Popolo, dove si trova il palazzo d'Avalos, insieme al Palazzo Mayo. Il palazzo era la residenza del capitano di venuta Giacomo Caldora, successivamente ampliata nel XV secolo da Innico II d'Avalos, a cui fu dato il feudo di Vasto da Federico I di Napoli. L'area era difesa dalle mura di Porta Palazzo, già demolita nel XVIII secolo.
  • Contrada Lago: vi vennero cavati pozzi in numerosi edifici, si presume che l'acqua provenisse dall'antica condotta idrica del Murello. L'area è delimitata da via Adriatica, via del Lago, via Osidia, Corso Dante.
  • Contrada San Pietro: l'area compresa tra il piazzale con la facciata della chiesa, via Adriatica, via San Pietro, via Botto. La chiesa era esistente già dal 1047, fu eretta a collegiata con 13 canonici per volere di papa Clemente XIII. La frana del 1956 inghiottì gran parte del Muro delle Lame e della porzione della contrada, incluso il Palazzo Marchesani-Nasuti, usato come sede delle poste e del convitto elementare.
  • Contrada San Giovanni: area delimitata dalla vecchia strada di San Giovanni (oggi Corso Plebiscito), Corso Dante, Largo del Carmine e via Giovanni Pascoli. Vi si trovava il monastero dei Cavalieri di Malta presso la chiesa di San Giovanni di Gerusalemme (XIII secolo). La chiesa andò nei secoli in lento degrado, dopo la soppressione dell'ordine dei Templari, fino alla scomparsa totale nel XIX secolo.
  • Contrada Annunziata: così chiamata perché delimitata dal Corso Palizzi, all'altezza di Porta Nuova, via Anelli con la chiesa dell'Annunziata e di Santa Filomena (una posta di fronte all'altra). L'ospedale dell'Annunziata fu additato al frate Giovan Battista di Chieti dell'ordine Domenicano, dal marchese Alfonso III d'Avalos nel 1523. La chiesa fu incendiata dai turchi nel 1566, e rifatta daccapo. Conserva il sepolcro di Maria Zocchi, monaca di Santa Caterina, morta nel 1645.
  • Contrada Santo Spirito: posta più a nord della precedente, comprende l'area di Piazza G. Verdi, via Aimone e Corso Plebiscito. Vi si trovava il monastero di Santo Spirito dei Celestini (XIII secolo), retto nel 1553 dal priore Placido da Manfredonia con la cappella di San Biase. Il monastero era difeso dalla torre Diomede del Moro, ancora oggi esistente. La chiesa invece dopo l'abolizione dell'ordine cadde in lento abbandono, sino a quando nel 1819 non fu trasformata nel teatro San Ferdinando, attualmente intitolato a Gabriele Rossetti. Questa è l'ultima delle contrade storiche di Vasto.
Ritratto di Condottiero o di Giacomo Caldora, opera di Leonardo da Vinci

L'area di Corso Garibaldi e via Roma invece si chiamata "San Giovanni fuori", in quanto terreno appartenente per le rendite al monastero di San Giovanni Gerosolimitano dei Templari di Malta, come dimostra uno strumento redatto dal notaio Mastro Di Cola da San Giovanni Teatino (1362). Altre rendite sono documentate nell'anno 1695 e nel catalogo dei beni del 1749. L'Ordine dei Cavalieri fu abolito nel 1815 e la chiesa cadde in degrado, passando la regio demanio. La chiesa nel 1833 era quasi crollata del tutto, acquistata dalla famiglia De Pompeis, che ridusse la fabbrica a granaio, finché non venne demolita. I Templari a Vasto avevano altre "domus", sparse nel territorio, costituivano la resistenza dei crociati, consistenti in latifondi con piccole masserie fortificate o torri di guardia. Il territorio vastese fu teatro di un episodio alquanto drammatico, durante il raduno dell'esercito crociato da parte di Enrico VI di Svevia nel 1194, per imbarcarsi alla volta di Gerusalemme. Gli armati accampati dai vari Templari, vennero fatti confluire alla foce del fiume Sinello, poco distante da una delle domus Castello Sinello, Castello d'Erce (Punta Aderci) e Castello di Colle Martino, con saccheggi e devastazioni, senza che i Templari riuscissero a respingere l'attacco predatorio. L'episodio è narrato nella cronaca dell'abbazia di Santo Stefano in Rivomaris, presso la costa di Casalbordino.

Nel centro storico vastese si trovano ancora i resti del glorioso monastero di Santo Spirito dell'Ordine dei Celestini di frate Pietro da Morrone (Celestino V), facente parte del più vasto ordine benedettino, il cui patronato venne affidato al beato Roberto da Salle, discepolo di frate Pietro Angelerio. Nell'area del Trigno-Sinello vennero eretti i monasteri di Atessa nel 1327 (oggi scomparso), e di Vasto dove si trovava la chiesetta di San Biase da Castiglione. Il convento venne eretto nei primi anni del Trecento, includendo la cappellina, nella parte nord della cinta muraria, presso Torre Diomede del Moro, affinché fosse un baluardo di difesa contro gli attacchi. Infatti il convento come tutta Vasto nel 1566 fu incendiato dai turchi, nel 1573 fu sotto tutela del Priorato da parte di Placido da Manfredonia, e venne eretto l'altare privilegiato dedicato a San Biagio, per concessione di Costantino Del Popolo. Nel 1652 la bolla di papa Innocenzo X aboliva l'ordine dei Celestini, il monastero di Atessa venne aggregato a quello di Vasto, che continuò a godere di privilegi, soprattutto grazie alla famiglia D'Avalos. Nel 1742 il Marchese del Vasto aveva una delle sue stanze presso il convento. Le leggi francesi del 1807 soppressero il convento, che venne usato come carcere, anche se tra il 1819 e il 1822 era in funzione ancora una cappella.

Torre di Bassano

Una parte del chiostro venne trasformata nell'ufficio del Giudice, nel 1829 un lato del chiostro a nord venne demolita per edificarvi una palazzina. Nel frattempo nel 1819 la chiesa, sconsacrata, era stata trasformata nel teatro civico, sotto la benedizione del sovrano napoletano Ferdinando di Borbone.
Altra opera interessante riedificata nel XIV secolo fu il castello medievale. Il castello del Guasto era munito di 50 bocche da fuoco, in grado di tenere a numerosi e duraturi assedi, soprattutto dei briganti. Nel 1429 circa il condottiero Jacopo Caldora, dopo la formidabile vittoria contro Braccio da Montone nella guerra dell'Aquila (1424), fu ricompensato da Alfonso d'Aragona e Giovanna II d'Angiò con vari castelli nel regno, tra cui molti dell'Abruzzo e del Molise. Jacopo stabilì la sua residenza a Vasto, facendo costruire la sua casa presso l'area del Palazzo d'Avalos, e rifortificando ampiamente il vecchio castello, insieme alla cinta muraria.
Il Caldora rifece il castello daccapo, seguendo le nuove tecniche innovative di difesa militare: il castello fu trasformato a pianta quadrata, difeso agli angoli da quattro grandi bastioni lanceolati, progettati da Mariano di Giacomo, detto "Taccola", e vennero sopraelevate alcune torri della precedente costruzione, di cui restano una pianta cilindrica minore, e una maggiore, decorata da merlature sulla sommità. Il castello appartenne alla famiglia Caldora per anni, passando nel 1439, dopo la morte di Giacomo al figlio Antonio, che continuò a mantenere a Vasto la sua residenza. Dopo la caduta in disgrazia di costui per lotte contro Alfonso d'Aragona, il castello fu requisito insieme a tutti beni della famiglia, e dato nel 1484 a Innico I d'Avalos.

Il fortino era collegato, mediante Porta Castello, alla nuova cinta muraria fatta erigere da Giacomo Caldora, e comunicava direttamente con la Torre Battaglia e la Torre di Bassano. La porta fu smantellata nel XVIII secolo. Nel 1464 resistette all'assedio di Ferrante d'Aragona.

Nel 1557, in occasione della costruzione della fortezza spagnola di Pescara, 16 pezzi vennero inviati alla piazzaforte sul fiume Pescara, durante l'assedio dei turchi del 1566 57 pezzi d'artiglieria vennero smontati e rubati dai pirati. Negli anni seguenti i cannoni, divenuti ormai inservibili per l'assenza di attacchi, divennero elemento ornamentale dei principali palazzi civili, tra cui quello dei D'Avalos.
Un altro castello venne eretto nel XV da Alfonso d'Aragona, presso il promontorio di San Michele, detto "castello Aragona", anche se oggi si presenta in chiave squisitamente neogotica (rifacimento del tardo Ottocento), e un altro ancora sorgeva presso il promontorio di San Nicola, detto "Torricella a Mare".

Castello Caldora

Dall'archivio dell'abbazia di Santa Maria sulle Isole Tremiti, e dall'opera di N. Alfonso Viti si apprende che papa Alessandro III nel 1171 in visita a Vasto confermasse ilo castello di Torricella ai Benedettini di Santa Maria alle Tremiti, come avevano già fatto i conti Adalberto, Transalgardo, Rainaldo e altri conti longobardi. Alessandro III convalidò il possesso di Torricella e di Vasto all'abbazia di San Giovanni in Venere; più avanti papa Innocenzo III nel 1204 lo comprendeva tra i possedimenti dei benedettini di San Giovanni, anche nel 1256 e nel 1261. Nel 1390 il feudo passò a Ladislao di Durazzo re di Napoli, e poi a Napoleone I Orsini. Nel 1415 il castello di Torricella era ormai in abbandono, anche se le rendite erano riscosse ancora dai Benedettini delle Tremiti, bloccate da Ferdinando II delle Due Sicilie.

Di questo castello esistono tracce presso il colle della chiesa di San Nicola di Bari, appena fuori Vasto; la sua conformazione era a pianta quadrata, stando all'osservazione di un pezzo di muro che delimita il lato meridionale, presso la chiesa di San Nicola. Dal rinvenimento di avanzi di mura lungo il colle, si può desumere che il castello di Torricella era ben costruito e saldato da materiali, frammisti a sassi squadrati. Per la conformazione mista delle mura, si ipotizza che il castello venne eretto sopra una preesistente costruzione, forse una torre longobarda o un tempio romano, o addirittura un fortino romano, come dimostra il ritrovamento della lapide facente parte di un sepolcro a tegoloni dove si attesta l'iscrizione dedicatoria a un tal Hosidio Hilario. Il marchese del Vasto Innico III d'Avalos vi fece erigere una loggia, nella metà del Settecento.

Il Rinascimento

Il Rinascimento vede nel XV-XVI secolo, almeno sino al periodo della conquista spagnola del Regno di Napoli, un sostanziale rifacimento delle principali città, che seguirono chi l'una chi l'altra, per la vicinanza territoriale e per i traffici con i rispettivi ducati e le repubbliche, gli stili di base di Firenze, Roma e Napoli stessa. L'Aquila seguì lo stile romano-fiorentino, Teramo si ispirò ad Ascoli Piceno e alla città di Atri, cui fu legata mediante la famiglia degli Acquaviva, nel 1490 invece Avezzano e Celano, storica capitale della Contea dei Marsi, cadevano sotto il potere degli Orsini-Colonna e dei Piccolomini. Gentile Virginio Orsini si adoperò per ampliare la villa di Avezzano, allora un semplice villaggio sovrastato da una grande torre dei Conti Berardi, che inglobò nel nuovo castello quadrangolare a quattro torri, facendo così anche con i castelli dell'ex contado, come ad Albe Vecchio e a Scurcola; i Piccolomini ristrutturarono ampiamente i castelli di Celano, Ortucchio, Balsorano, con innovative tecniche militari importate da Roma e Napoli.
Avezzano si avviava dunque a essere una fiorente città, in diretta comunicazione con Roma, anche se per il pieno sviluppo si dovette attendere l'800, e ancor di più gli anni '20 del Novecento, quando la città, insieme ai centri attigui, dovette essere ricostruita daccapo a causa del disastroso terremoto della Marsica del 1915.

Il Rinascimento quanto ad architettura, vede protagoniste le città d'Aquila, Lanciano, Chieti, Teramo, Vasto, Sulmona. Complici anche due grandi terremoti del 1456 e del 1461, le mura iniziarono a perdere lentamente la loro funzione militare, e a divenire abitazioni, ma tale fenomeno vedrà la trasformazione totale delle mura nel tardo Settecento e nella metà dell'Ottocento; i principali edifici dei monasteri, le cattedrali, i palazzi principeschi vengono ricostruiti secondo nuovi schemi prospettici, le coorti divengono un motivo di ostentazione del potere e di competizione artistica soprattutto a L'Aquila, di cui si ricorda il cortile di Palazzo Franchi Fiore, progettato da Silvestro dell'Aquila, a Teramo sino all'epoca dello storico Muzio Muzii dovevano esistere intere piazze e strade porticate, in particolar modo l'ex Piazza Vittorio Emanuele, Piazza Orsini, e le strade del corso San Giorgio e del Corso Trivio (oggi Corso Cerulli) e Corso di Porta Reale (oggi corso Carlo De Michetti); di cui esistono alcune tracce presso gli edifici. Anche le strade meno importanti dovevano avere le loro case porticate, come si vede nelle tracce presso Casa Melatino e Casa Corradi in via Vittorio Veneto, e in alcune abitazioni al Corso di Porta Romana.

Ancora sviluppo a L'Aquila

Facciata della Basilica di San Bernardino, opera di Cola dell'Amatrice

La città fu ricostruita in gran parte dopo il terremoto del 1461, che la danneggiò particolarmente. Già anni prima la città aveva iniziato a sperimentare il nuovo stile seguendo i modelli di Firenze e di Roma, e il principale cantiere avviato dal 1444 era la Basilica di San Bernardino, posta nella periferia orientale del centro, nel Quarto di Santa Maria, verso Porta Leoni. Il terremoto dette maggior spinta a modificare e migliorare i lavori. Insieme al restauro delle principali chiese, di cui si conservano parti scultoree e monumenti, per lo più opere di Silvestro di Giacomo da Sulmona, o "Silvestro dell'Aquila", si conservano anche bellissimi cicli pittorici, come quelli della collegiata di San Silvestro, del monastero di Sant'Amico, della chiesa della Beata Antonia, e della chiesa di San Pietro di Coppito.

Palazzo Cappa Camponeschi (foto 2017)

La corte si sviluppa nel rifacimento dei palazzi signorili tra il XV-XVI secolo[10], e ancor maggiormente dopo il terremoto del 1703. Il tema del palazzo quattro-cinquecentesco de L'Aquila si connota essenzialmente come tema della corte, anche al di fuori di qualunque tematica di riconnessione figurativa agli spazi della città. Al di là di alcuni elementi architettonici specifici che ricorrono nei portali del Palazzo Dragonetti di via Santa Giusta, Palazzo Franchi-Fiore di via Sassa), le logge aperte sul fronte della strada (il Palazzo Dragonetti, Casa di Jacopo di Notar Nanni in via Bominaco), cantonali in pietra, le finestre spesso eleganti e variamente conformate alle facciate. Il cortile aquilano raramente, di grande respiro spaziale, tende a qualificarsi come valore spaziale figurativo autonomo, tanto che nel processo di ricostruzione dopo il terremoto del 1703 è ricorrente il modernamento figurativo sui fronti stradali che inglobano, metabolizzandoli, i preesistenti cortili rinascimentali.
Il cortile rinascimentale di stampo toscano è evidente in Palazzo Carli (1495), impostato su due ordini, uno inferiore ad arcate a tutto sesto su colonne per tre lati, e uno superiore, su quattro lati, a semplici colonne senza trabeazione, che sostengono direttamente lo sporto di gronda. Un'altra trabeazione, che costituisce anche il prospetto del portico superiore, gira tutt'intorno alla corte. Nell'ordine inferiore un portale di accesso alla scala caratterizza il quarto lato e presenta il sintagma architettonico dell'arco murato inquadrato dell'ordine, che va rapportato all'uso fiorentino non seriale, distinto dal sistema architettonico romano, appunto seriale.

Il sintagma è costituito da un arco murario, decorato all'intradosso da un partito decorativo a cassette con rosoni, inquadrato dall'ordine architettonico, due colonne scanalate e rudentate nel terzo inferiore, con capitello, che sostengono una doppia trabeazione che gira su quattro lati del cortile, tangente agli archi a chiave. Più complessa è la lettura del cortile di Palazzo Franchi Fiore in via Sassa, dove è riproposto lo stesso motivo architettonico dell'arco murario, inquadrato dall'ordine e con caratteristiche del tutto analoghe a quello di Palazzo Carli. Sia C. Gavini che M. Chini[11] relazionarono i due cortili anche rispetto al possibile stesso autore; in tal caso potrebbe rafforzarsi la proposta critica di individuare tra i massimi architetti del Quattrocento Silvestro dell'Aquila, che ne 1471 avrebbe potuto avere una bottega per la realizzazione non solo di opere d'arte a tema religioso, ma anche civile, essendosi egli collegato in varie sue opere all'arte toscana.
La datazione del cortile (1510-22) rende tuttavia poco probabile tale interpretazione, per la morte nel 1502 dell'artista, la consapevolezza prospettica che caratterizza i Palazzi Carli e Franchi, appare estranea agli altri cortili del tardo Quattrocento aquilano, dove lo spazio della corte si articola su modulazioni libere e da rigorosi impianti prospettici e in cui, le accentuazioni umanistiche e recuperi tardo-medievali, si manifesta piuttosto come riproposizione di un linguaggio architettonico, dunque senza picchi di originalità

La scala principale di accesso si presenta sostanzialmente aperta, e articolata spazialmente sul cortile di cui costituisce parte integrante del piano distributivo e figurativo, così la casa di Nicola e Giacomo di Notar Nanni di via Bominaco, la casa di Salvati-Agnifili in Piazza Cardinale, il Palazzo Burri-Gatti in Corso Vittorio Emanuele, la Casa De Rosis in via San Benedetto in Perillis, e le due case di via Bominaco ai civici 5 e 13. Di eccezione è il Palazzo Alfieri, oggi convento di Santa Maria degli Angeli in via Fortebraccio, caratterizzato da un ampio cortile porticato a due ordini, in cui però convivono arcate ogivali e arcate a tutto sesto. E ancora l'elegante cortile del Palazzo Dragonetti-De Torres in via Santa Giusta, a tre ordini, forse la massima espressione locale delle possibilità creative connesse all'adozione dello stile toscano.
Gli ambienti dei cortili nell'arco del Cinquecento vennero realizzati in forme più ampie, come nel Palazzo Bonanni in Corso Vittorio, a tre ordini, e nel Palazzo Lucentini Bonanni in Piazza Regina Margherita (1588), dove però appare evidente la ripresa di impianti compositivi quattrocenteschi, completamente estranei ai modelli tipici del palazzo gentilizio di ambiente romano, e ciò lo si vede anche nel Palazzo Dragonetti di via Fortebraccio, Palazzo Baroncelli-Cappa in via Paganica, e Palazzo Antonelli di via Monteluco (1574), oltre che per Palazzo Alfieri-Ossorio di via Cimino (1583), la casa Giovine in via Collepietro (1584), la casa Pica in via Guastatore (1593), o la più tarda casa Cesura in via Ortolani.

Settecento:i terremoti: la ricostruzione di L'Aquila e Sulmona

Chiesa delle Anime Sante in Piazza Duomo

Il rinnovo figurativo del dopo 1703, si ripropone attraverso la riqualificazione degli spazi e degli assi urbani con protagonismo esclusivo dell'architettura in presenza di una sostanziale invarianza del tessuto urbano storico[12][13]. Le piazze si arricchiscono di opere architettoniche che ne modificano i valori percettivi e spaziali, attraverso proposizione spesso antagoniste alle preesistenze, come l'inserimento di Palazzo Centi (1752-66) in Piazza Santa Giusta, davanti la chiesa omonima, che dal punto di vista formale e volumetrico sovrasta la chiesa stessa; il salto di scala spaziale e e figurativo di Piazza Santa Maria di Roio con le quinte dei Palazzi Rivera (1746) e Persichetti, il Palazzo Ardinghelli (1732-42) in Piazza Santa Maria Paganica, il Palazzo Pica Alfieri (1711-27) in Piazza Santa Margherita, lungo via Andrea Bafile, a suggellarne la definizione spaziale e figurativa, unitamente al Palazzetto della Congregazione dei Nobili (1708-1715), il Palazzo Antonelli (1712), in Piazza Fontesecco, sulla Piazza San Biagio la chiesa di Santa Caterina martire (1745) a forma ellittica, opera di Ferdinando Fuga, e il Palazzo Gaglioffi-Benedetti, coevo,; poi su Piazza San Marco la neo-ricostruita chiesa di Sant'Agostino (1705-1725), sulla piazzetta Annunziata il Palazzo Carli (1711-1725), su Piazza San Marciano il Palazzo Rustici, su Piazza San Pietro il Palazzo Porcinari (1732), su Piazza Duomo la neocostituita chiesa delle Anime Sante (1713-75), su Piazza San Basilio la chiesa e monastero (ante 1713-1750).

Le strade si animano di molteplici nuove costruzioni che modificano il mero valore di spazio compreso tra le quinte: via A. Bafile (già via Roma, nella parte mezzana tra il viale e il corso Umberto, altezza di Piazza S. Margherita-Palazzo Carli), con i Palazzi Quinzi (1721-25) e Pica Alfieri; via Camponeschi con la lunga facciata del Palazzo omonimo sede del Collegio del Gesù (1700-67), annesso alla chiesa dei Gesuiti; via Roio con Palazzi Antonelli, Rivera e Persichetti; via Santa Giusta con Palazzo Manieri (1708-52), risvoltante con interessante soluzione angolare su Corso Federico II; poi via Sassa con Palazzi Gaglioffi-Benedetti e Antonelli (1710-12); via Garibaldi con Palazzo Antinori su Piazza Chiarino (1756-61); via delle Buone Novelle con Palazzo Zuzi (1760); via Cavour con Palazzo Ienca (1710-21); via Antonelli con Palazzo Petropaoli (1743-57); via San Marciano con i Palazzi De Nardis-Oliva-Vetusti (1744, l'Oliva Vetusti del 1755), via Burri con Palazzo Burri-Corsi (1750).
Oltre a episodi minori, quali la facciata tardo barocco a tre luci su via Rustici, le finestre con balconcini rococò dell'ultimo piano a Piazza Bariscianello, via Bominaco e via Patini; il portale di Palazzo Nodari-Gagliardi-Sardi (1710) in Piazza San Flaviano, la facciata di Palazzo Ciampella in via Cascina. Dunque la tipologia di impianto dei palazzi aquilani del XVIII secolo è definibile come il prodotto di programmi edilizi spesso rimasti incompiuti, e di confronto con storiche preesistente medievali-rinascimentali.

Il caso classico del rifacimento è il rimodernamento che naturalmente oscilla dalla semplice riconfigurazione del piano nobile, e comunque degli spazi rappresentativi, al parziale o totale rifacimento della struttura, con opere di rifusione, omogeneizzazione della facciata, rare soluzioni di rifacimento ex novo dalle fondamenta, come Palazzo Centi e Palazzo Ardinghelli. Soprattutto il Palazzo Centi, che risulta essere l'esempio principe del barocco aquilano, venne edificato isolato sulla piazza, mentre per gli altri palazzi si hanno soluzioni di testata dell'isolato, come il Palazzo Rivera in Piazza Santa Maria di Roio, Palazzo Antonelli a Piazza Fontesecco, Palazzo Manieri di via Bazzano, Palazzo Carli, articolazioni su due fronti, come Palazzo Benedetti di via Sassa, Palazzo Ciccozzi di via Indipendenza-via Simeonibus, Palazzo Persichetti in Piazza Santa Maria di Roio con risvolto in via Cesura, Palazzo Pica Alfieri su Piazza Santa Margherita con risvolto in via San Martino, Palazzo Antonelli di via Roio con risvolto in via Seminario, Palazzo Quinzi di via Andrea Bafile con risvolto in via san Martino, Palazzo Ardinghelli con risvolto sulla via omonima; mono-affacciato, ossia Palazzo Rustici su Piazza San Marciano, Palazzo Zuzi, Palazzo Antinori in Piazza Chiarino, il Collegio dei Gesuiti di via Camponeschi, il monastero di San Basilio, Palazzo Antonelli di via Sassa, Palazzo De Nardis Oliva Vetusti.

Rispetto alla tecnica dello spazio-corte, si verificano situazioni molto differenti: inglobamento dei cortili preesistenti come nel caso di Palazzo Antonelli, in via Roio che metabolizza nella nuova struttura ben tre cortili ad archi e colonne di formazione cinquecentesca, e similmente nel Palazzo Rivera; corte con compiuta articolazione spaziale e qualificazione architettonica come per la configurazione barocca dei Palazzi Carli, Quinzi e Benedetti con loggiato su tre lati, e Ardinghelli con la particolare conformazione semicircolare su Piazza S. Maria Paganica; corte con modesta qualificazione spaziale e architettonica nei Plaazzi Pica Alfieri, Centi e Rivera; corte priva di qualificazione spaziale per i Palazzi Manieri, Antonelli di Piazza Fontesecco, Ciccozzi, Antinori, Persichetti, Rustici e Zuzi; in seguito la corte assente nel monastero non compiuto di San Basilio, e nei Palazzi Burri, Pietropaoli, Nardis-Oliva-Vetusti,; a parte i Palazzi Antonelli di via Sassa e Ienca, parzialmente interessati dalle demolizioni del 1941 per creare la nuova via Sallustio, per cui va sospesa la valutazione, se non quella per la facciata.

Palazzo Pica Alfieri

Altre modifiche riguardano le facciate, l'ordine delle finestre, alcune anche dipinte, per non compromettere l'equilibrio dell'impaginato e la costanza dei ritmi; è il caso di Palazzo Antonelli di via Roio e di Palazzo Zuzi. Per il Palazzo Zuzi si suppone la maestranza di Cicco da Pescocostanzo, ma non fu ciertamente il solo architetto che si occupò della costruzione, mentre si ha notizia certa degli architetti che si occuparono del ridisegno delle chiese maggiori, come Sebastiano Cipriani, allievo di Carlo Fontana, che si occupò di San Bernardino, del Duomo di San Massimo (1708-anni '50 del Settecento), della chiesa di San Basilio, e Palazzo Antonelli; poi Carlo Buratti, sempre allievo del Fontana, attivo a L'Aquila dal 1708 al 1733, che progettò la chiesa delle Anime Sante, per la facciata subentrò l'aquilano Leomporri (1770-75), poi Filippo Barigioni, che nel 1730 restaurò San Bernardino per la cappella interna, Ferdinando Fuga, realizzatore di Santa Caterina martire nel 1745. Dunque la ricostruzione barocca aquilana venne fortemente influenzata dall'intromissione della cultura romana, ma non solo, tanto che il centro storico risulta comunicare una pluralità di linguaggi stilistici facenti capo all'arte barocca, soprattutto per i casi di Santa Caterina, del Duomo e di Sant'Agostino dove operò il Cipriani[14].

L'edilizia civile aquilana appare da sempre caratterizzata da un'accentuata orizzontalità dei volumi, da una prevalenza della massa costruita nel rapporto pieno-vuoto, dalla costante riproposizione di cantonali in pietra di notevole evidenza formale, caratteri che vanno certamente ricondotti a una consolidata tradizione costruttiva, ben consapevole della storicità sismica del territorio. Dell'architettura cinquecentesca romano-toscana si prende il modello della facciata del palazzo nella definizione di Sangallo del tipo formale, caratterizzata dall'organizzazione a più piani per fasce sovrapposte, definizione formale dell'elemento seriale della finestra, allineamento orizzontale e verticale delle finestrature con interassi di regola costanti, finitura della parete d'intonaco, chiusura laterale dei fonti con angolari bugnati, rinuncia all'accentuazione plastica dei portali, cornicione di chiusura superiore.
Al contrario con l'arte tardo barocco della metà Settecento, s'impostano nell'architettura aquilana tre tipi di facciata: a due ordini di finestrati sovrapposti, piano terra e piano nobile, a tre ordini con attico, a tre ordini equivalenti. Al primo gruppo appartengono il fronte del monastero di San Basilio, del Collegio dei Gesuiti, e dei Palazzi Zuzi e Burri, per lo schema a tre ordini con attico si riferiscono i Palazzi Antonelli di via Roio, Rivera, Persichetti, Manieri, Ciccozzi, Antinori, Rustici, mentre per l'ultimo schema i palazzi Carli, Quinzi, Pica Alfieri, Antonelli di Piazza Fontesecco, Centi, Antonelli, Pietropaoli;, diverso il discorso per i palazzi Benedetti e Ienca, non caratterizzati dall'organizzazione a fasce orizzontali, anzi impostati su soluzioni molto verticali[15]

Nella pianta ritraente la città nel XVII secolo, prima della distruzione tellurica del 1706, e ancor prima nella pianta di Meisner e di quella del XVI secolo di Braun-Hobemberg, è possibile constatare come la ricostruzione della città, e come l'aspetto attuale sia variato solamente in alcuni punti, poiché è ancora perfettamente riconoscibile l'antico tracciato murario, sopravvissuto in ampie parti, mentre in altre è stato demolito, oppure assorbito nelle case civili. Nella pianta più antica, la città si vede in asse ruotato: nord-sud anziché il contrario satellitare e est-ovest anziché l'opposto: a nord c'è Porta Nuova, con il cardo massimo del corso Ovidio che scende sino a Porta San Panfilo, da cui si accede, dietro la Cattedrale, al centro, entrando da Porta Sant'Agostino. A metà strada si trova il complesso della Santa Casa dell'Annunziata con la torre campanaria del XV secolo, a ovest (ossia est) Porta Manaresca (che stava lungo via Roma), e poco più avanti l'enorme spiazza di Piazza Maggiore (o di Garibaldi), inclusa dal XIII secolo nella doppia cinta muraria dei Borghi; a est, ossia sud-ovest, il quartiere di Borgo Santa Maria della Tomba con la chiesa omonima, e la grancia dei Benedettini di Santa Lucia.

La pianta dell'abate Giovan Battista Pacichelli, dedicata a Giuseppe Tabassi, è più dettagliata, disegnata in scala invertita di 90° in senso antiorario, mostrando a nord il lato ovest, a est il lato nord, a sud il lato est, e a ovest il lato sud. Prima della distruzione del 1706, è ancora possibile vedere la presenza di diverse strutture andate poi scomparse, come Porta Sant'Agostino, che rappresentava il vero ingresso alla cittadina mediante il corso Ovidio, oltrepassato il campo della Cattedrale, poi la chiesa con il convento dei Gesuiti di Sant'Ignazio (che si trovava in Piazza XX Settembre), il convento di Sant'Agostino, di cui nel XIX rimaneva solo la porta gotica del XIII secolo, applicata alla facciata di San Filippo Neri, la chiesetta dei Padri Minimi (dal XVIII secolo di San Francesco di Paola) fuori le mura com'era prima della riedificazione a pianta a croce greca, l'acquedotto medievale di Manfredi di Svevia (1256), che aveva doppia biforcazione, collegata al convento dei Frati Minori di San Francesco della Scarpa, e già invaso dalle abitazioni civili (si ricorda "Piazza Tre Archi" da cui partivano i cavalieri della giostra, scendendo in Piazza Maggiore; essi vennero liberati solo negli anni '20-'30 insieme agli altri archi dell'acquedotto, demolendo le case). La mappa di Pacichelli, come le altre delle città dell'Italia, è contrassegnata da una legenda in lettere dell'alfabeto che indicano i maggiori monumenti:

Sulmona vista dalla torre di San Gaetano
Piazza XX Settembre
  • A: Porta Nuova, corrisponde a Porta Napoli, alla fine del corso Ovidio.
  • B: Porta del Crocifisso o di Santa Maria della Tomba, posta dietro la chiesa parrocchiale di Santa Maria della Tomba.
  • C: Porta Bonomini, oggi scomparsa, tranne la base dei piedritti.
  • D: Porta Sant'Agostino (si trovava in Piazza Carlo Tresca, nel primo Novecento, dedicato a Vittorio Emanuele II. Distrutta dal sisma del 1706, esistente dal XIII-XIV secolo)
  • E: Porta San Panfilo (affiancava la Cattedrale a ovest)
  • F: Porta Japasseri, oggi scomparsa, si trovava nella cinta muraria orientale, tra via di Porta Iapasseri e via De Nino.
  • G: Porta Pacentrana - detta "porta Orientale", collegava la via del centro al convento dei Frati Cappuccini, ancora esistente oggi.
  • H: Santa Casa della Santissima Annunziata, il complesso basilicale lungo corso Ovidio.
  • I: Monastero dei Minori di San Francesco della Scarpa, posto in affaccio su via P. Mazara, la "Rotonda" prima del 1706, sul corso Ovidio, era integra. L'ex convento attiguo è l'attuale palazzo comunale di Sulmona.
  • K: convento di San Domenico - da notare la grande torre campanaria, troncata nel 1706, si trova tra via De Nino e via Antonio Gramsci.
  • L: abbazia di Santo Spirito al Morrone, sede dell'Ordine dei Celestini (da notare come sia sempre stato un piccolo edificio, sino alla trasformazione nuova in stile borrominiano dopo il 1706)
  • M: fiume Vella
  • N: Cattedrale di San Panfilo - edificio caratterizzato dalla facciata gotica del XIV secolo e dalla torre campanaria, troncata nel 1706
  • O: fiume Gizio
  • P: convento dei Padri Zoccolanti (chiesa di San Francesco di Paola), posto fuori le mura a sud, su viale Mazzini.
  • Q: convento dei Padri Minimi (santuario di Santa Maria Incoronata), posto a sud-est lungo viale Incoronata.

Col terremoto del 1706 andarono perse gran parte delle mura, soprattutto nell'area occidentale di via di Porta Romana e via circonvallazione Occidentale, e via di Porta Molina, e nel piano del sagrato del Duomo di San Panfilo, dove esistevano due porte: Porta San Panfilo e Porta Sant'Agostino, che introduceva dalla villa comunale al Corso Ovidio, dove si trovava il monastero di Sant'Agostino, anch'esso andato quasi distrutto, demolito definitivamente nel primo Ottocento, traslando il portale gotico angioino nella chiesa di San Filippo Neri. Altri danni ci furono in Piazza XX Settembre, dove sorgeva la chiesa di Sant'Ignazio con il collegio dei Gesuiti, attuale Palazzo del Caffè; l'abside della chiesa rimase intatta sino al primo Novecento, come visibile in alcune fotografie, poi per la riqualificazione del piazzale, con l'erezione della statua a Ovidio Nasone nel 1925, queste tracce furono del tutto demolite. Scomparve anche Porta Manaresca, di cui resta solo il toponimo, insieme a Porta Japasseri e alla cinta muraria, presso la chiesa di San Domenico.

Trasformazioni otto-novecentesche

A partire dal 1863-66 circa, dopo l'entrata dell'Abruzzo nel nuovo Regno, si vedono grandi progetti, nella maggior parte dei casi molto invasivi e distruttivi, per modernizzare, dinamizzare e svecchiare le città. Simboli del passato, malvisti e ritenuti obsoleti per la nuova città moderna, come le mura, le porte di ingresso, le torri di controllo, vengono demoliti, o se ne progetta la demolizione, che si realizzò solo in parte in alcune città, mentre in altre come Ortona, Chieti, Teramo, venne perpetrata quasi integralmente, eccettuati dei punti in cui le mura si erano già da anni fuse con le case abitative. Le porte vengono abbattute per facilitare gli ingressi alla città, i conventi sono sequestrati e soppressi per inserirvi scuole pubbliche, caserme, uffici amministrativi, ospizi, il valore artistico delle strutture verrà trascurato per anni, sino ai recuperi del primo Novecento, o anche più tardi dopo la seconda guerra mondiale.

Se l'orografia del terreno della città antica non permette la costruzione di nuovi monumentali edifici in corrispondenza delle piazze o dei corsi e delle strade principali, allora si ricorre ai progetti urbanistici di piemontese e milanese memoria, ossia la costruzione di nuovi quartieri boulevard e piccoli villaggi abitativi appena fuori il confine storico delle mura. Tuttavia in Abruzzo ciò si verificherà soltanto alla fine dell'Ottocento, e nei primi del Novecento, alcuni progetti ottocenteschi del dopo-Unità verranno ripresi anche nel fascismo.

Sviluppi urbani a Chieti e L'Aquila

Chieti, Piazza Vittorio Emanuele (oggi Piazza San Giustino), fermata della filovia "Panoramica" a Palazzo Sirolli

Alla fine del secolo le modifiche di Chieti, oltre al piano Pomilio, si vedono con l'ascesa delle famiglie alto-borghesi dei Frigerj-Nolli e dei Mezzanotte-Mazzella. Il barone Frigerj aveva fatto realizzare nel 1830 la villa gentilizia presso il Piano Sant'Andrea dove si trovava il convento adibito a caserma Bucciante con ospedale, i Nolli si erano stabiliti più a nord-ovest, presso la villa dove oggi si trova il Seminario pontificio regionale, e via San Rocco, piazzale della chiesa di Santa Maria della Civitella. Il Casino Mazzella costituiva uno degli elementi di urbanizzazione a estremo nord-est, nel quartiere Gaetani-D'Aragona (oggi Sacro Cuore), poco distante dalla villa Obletter, presso la chiesa di Santa Maria de Cryptis. Mentre gli interventi Frigerj-Nolli interessavano i tratti che già dal 1806 erano previsti in un piano di riqualificazione, ossia la villa fuori Porta Sant'Andrea, il piano dei Mezzanotte-Mazzella si concentrava sull'urbanizzazione delle campagne e delle parti rimaste vergini all'interno delle mura, come nel quartiere Trivigliano-Santa Maria, dove venne edificato il cosiddetto "grattacielo".
Sempre nella seconda metà dell'Ottocento prese avvio la costruzione di piccole industrie, come il liquorificio Barattucci (1840) a Porta Pescara, e dal 1864 la Società teatina del Gas, privatizzata nel 1882, mentre a nord-ovest, a ridosso del colle della Misericordia, nei dintorni di via Colonnetta, prendevano avvio le fabbriche di mattoni e laterizio, le "fornaci". di via Colonnetta. Nel 1879 Filandro Quarantotti progettò la costruzione di un altro istituto tecnico come "Scuola d'Arte applicata all'Industria", mentre nel 1881 prendeva avvio l'istituto professionale femminile.

Veduta di Chieti dalla villa comunale nel primo Novecento

Se dunque da una parte c'era l'interesse economico ed espansionistico di Camillo Mezzanotte, dall'altra c'era la contraddizione delle caserme militari, che dal 1809 erano state costituite all'interno dei conventi soppressi. La storia militare di Chieti iniziava intorno al 1513, quando il re Carlo V dette avvio al definitivo processo di fortificazione del fiume Pescara e della valle costruendo la fortezza spagnola attorno Pescara, baluardo comunicante con le altre fortezze di Rocca Capo d'Atri e di Civitella del Tronto. Andando più avanti alla metà dell'Ottocento, l'apparato murario del XV-XVI secolo era andato dissolvendosi, poiché il ruolo delle mura era decaduto da sistema difensivo contro attacchi a quello di contenimento sanitario e di pagamento doganale per l'ingresso delle merci alla città. Per questo erano scomparsi ingressi come Porta Santa Caterina (o da un solo occhio lungo via Asinio Herio), Porta Reale al teatro romano, la Porta Sant'Andrea (di cui si era progettata una ricostruzione in forme monumentali mai realizzata, e dunque il torrione venne inglobato nella chiesa della Trinità come cappella del Sacramento) e la Porta di Santa Maria, presso la chiesa di Sant'Agostino e la caserma Pierantoni.

Altre problematiche riguardavano il rifornimento idrico della città, messe allo scoperto già nel 1846 da Giovanni Mazzella, che tentò di risolvere la cosa con pozzi artesiani, mentre nel 1864 si pensò di captare l'acqua direttamente dalla Majella con un acquedotto. A queste incognite si pensò di dare risposta con l'allargamento della città oltre le mura, che vennero definitivamente demolite o inglobate nelle case; caso contraddittorio comunque, dato che l'area lasciata all'aperto dalla demolizione, negli anni '60 venne rioccupata da palazzoni vari popolari. Nel 1849 il generale Landi occupò Piazza Grande (oggi di San Giustino), istituendovi un presidio militare, che andrà poi a costituire il Palazzo di Giustizia negli anni '20 del Novecento. La militarizzazione dapprima francese (1809-1815) e poi dal 1860 con Giuseppe Salvatore Pianell, come detto comportò l'occupazione dei principali conventi soppressi, la Civitella con l'anfiteatro e l'ex convento del Carmine divenne polveriera (1872), nel 1885 con il piano riqualificatore di Pomilio venne demolito il bastione del convento dei Cappuccini (oggi sede distaccata della CariChieti affacciata su Piazza Garibaldi) a Porta Sant'Anna, privilegiando il piano Gaetani-D'Aragona, che aveva soltanto poche case dei Cavallo, Obletter, Mazzella; infatti proprio qui verrà edificato il nuovo cimitero civile presso la chiesetta di Sant'Anna.

Via di Porta Pescara, Chieti (1921)

L'area del Trivigliano tra Porta Pescara e Fonte Vecchia rimase in mano ai militari, con l'istituzione della caserma Pierantoni presso il convento di Santa Maria, in modo da controllare i traffici provenienti dal porto di Pescara. Tuttavia proprio questo collegamento con Pescara nella prima metà dell'Ottocento aveva fatto percepire possibili spiragli di un futuro economico più prolifico. Intanto nel 1847 Ferdinando II delle Due Sicilie proponeva di dislocare la colonna mobile d'artiglieria dall'Aquila a Chieti, per acquartierarla proprio nell'ex convento dei Cappuccini a Porta Sant'Anna; ma alla fine si scelse per il terreno più vasto e aperto dell'ex monastero di Sant'Andrea degli Zoccolanti, che divenne la caserma Bucciante con annesso ospedale militare.
Le ragioni militari sembrarono insomma, sino almeno agli anni Settanta dell'Ottocento, prevalere sui quelle comunali, dato che sulla neonata Piazza Garibaldi fuori Porta Sant'Anna, venne eretta anche la Caserma "Vittorio Emanuele II" (oggi dedicata a F. Spinucci), e bisognerà attendere nel 1885 il piano Pomilio, essendo decaduto il piano Vigezzi-Spatocco. La militarizzazione dei conventi all'interno delle mura riguardò i monasteri del Carmine (presso la Civitella - chiesa di Santa Maria in Civitellis), degli Zoccolanti (Sant'Andrea), dei Cappuccini (San Giovanni Battista), dei Domenicani (chiesa di San Domenico, definitivamente sostituita nel 1913-14 dal Palazzo della Prefettura su Piazza Umberto I e dal Palazzo Provinciale lungo il corso Marrucino), dei Paolotti (chiesa di San Francesco di Paola con il convento adibito a carcere), dei Gesuiti (chiesa di Sant'Ignazio trasformata nel 1818 nel teatro "San Ferdinando" poi Marrucino, e l'ex Collegio adibito a struttura civile, il Palazzo Martinetti-Bianchi), delle Clarisse (chiesa di Santa Chiara su via Arniense, con l'ex convento oggi comando dei Carabinieri) e degli Scolopi (chiesa di San Domenico Nuovo al corso Marrucino, con accanto il convitto regio "Giovan Battista Vico").

Interno del Teatro Marrucino

Il capitolo riguardo la soppressione dei conventi fu chiuso nel 1848 dal vescovo Saverio Bassi, dopo un malaugurato incidente avvenuto nell'ex conventi dei cappuccini, che rischiò di scatenare una repressione anti-liberale da parte dei piemontesi. Lo stesso vescovo assunse posizioni contrastanti nell'ambito clericale teatino, poiché nel 1813 aveva acconsentito a sconsacrare definitivamente la chiesa di Sant'Ignazio per i lavori di realizzazione del teatro pubblico. Il vescovo seguente Giosuè Maria Saggese si adoperò per l'ampliamento del seminario diocesano su Corso Marrucino e via Arniense e per modificare la Cattedrale, essendo cessate le attività edilizie dei principali monasteri. Lo storico Palazzo Valignani di proprietà diocesana affacciato su Piazza Vittorio Emanuele (ossia San Giustino) venne riutilizzato come sede municipale, mentre nel 1843-46 veniva riadattata la torretta della Porta Sant'Andrea, venendo inglobata nella chiesa della Trinità, mancando il progetto di ricostruzione in forme neoclassiche e monumentali. Nel 1853 venne demolito anche il portello di San Nicola, che si trovava all'ingresso del corso Galiani (oggi Marrucino) venendo da Piazza della Trinità, collegato al Palazzo Tabassi e alle varie casupole che si erano andate a realizzarsi sull'area della fiera dell'anfiteatro (area comunemente detta Fiera Dentro per distinguerlo da Fiera Fuori dell'anfiteatro sulla Civitella).
Nel 1875 lungo il corso venne fondato l'Istituto per orfani "San Camillo de Lellis", nobilitando questa parte di costruzioni civili a un piano unico.

In questi anni venne adeguato anche il corso Galiani, che seguiva l'antico tracciato Marrucino romano, ma era spezzettato in più punti dalla disorganicità delle case (oggi quasi del tutto sparite per la costruzione negli anni '20 dei palazzi neoclassici), e nell'area del Piazzale Giovan Battista Vico troncato dal campanile degli Scolopi della chiesa di Sant'Anna. Nel 1863 si propose la demolizione della chiesa di San Domenico vecchio del XIII secolo, antica gloria dei Padri Domenicani, per lasciar maggiore spazio al corso Galiani, che nell'attuale Piazzetta Martiri della Libertà (dove si affacciano l'ex CariChieti e l'ingresso del Palazzo de' Mayo), si restringeva notevolmente, impedendo quasi il passaggio delle carrozze. Il progetto di demolizione però venne avviato solo nel 1913-14. Il sacrificio della chiesa di San Domenico ha dimostrato il primo atto della riqualificazione totale del corso Marrucino per la ragion di stato di ammodernamento della città, come segno di rifiuto e di distacco dall'antico e disorganico impianto rinascimentale-barocco. Il collegamento all'altezza di Largo Mercatello, il ridisegno della facciata del palazzo arcivescovile su Largo del Pozzo, il rifacimento totale del vecchio Palazzo Valignani per lasciar posto alla Banca d'Italia, la demolizione della chiesa di San Giovanni Gerosolimitano nel 1876, la sistemazione della scala monumentale davanti San Francesco d'Assisi sono solo dettagli di questa vasta operazione urbanistica.

Palazzo Fasoli, unico elemento superstite del rifacimento di Piazza Giambattista Vico

In questo secolo scomparvero, oltre alla chiesa dei Cavalieri di Malta, anche le piccole Sant'Antonio a Porta Sant'Anna (1822) e di Sant'Eligio (1860), che doveva trovarsi presso il Piano Sant'Angelo (oggi Piazza Mettotti), come suggerisce l'omonima via. In questi anni nella periferia si andò realizzando l'espressione della nobile o altoborghese villa rustica, il cui archetipo è il Palazzo baronale di Federico Valignani a Torrevecchia Teatina. Le più rappresentative sono Villa Obletter e Villa Mezzanotte a Santa Filomena; dall'altra parte con l'arrivo del turismo balneare sempre d'alta classe, i signori della città andarono a realizzare le loro case presso Francavilla al Mare, che attirò anche progettisti di rilievo quali Antonino Liberi, che nel 1888 realizzò il Kursaal "Sirena", andato distrutto poi nel 1934-44; dall'altra parte anche Castellammare Adriatico, più di Pescara (i due comuni separati dal 1807 si riunirono con la legge regia del 1927), subì questa massiccia ondata di costruzioni gentilizie di gusto eclettico, per la potenzialità del turismo balneare.

Palazzo di Giustizia in stile neogotico (anni '20), in Largo Cavallerizza

Nel XIX si provvedette come detto all'accomodamento del corso Galiani, che tra il palazzo arcivescovile e il palazzo dell'Università (dei Valignani - Banca d'Italia) in Largo del Pozzo si biforcava verso via degli Orefici (via Pollione) e via dello Zingaro (via C. de Lollis) verso la zona della Terranova, dopo il Piano Sant'Angelo, impedendo un collegamento diretto con Porta Pescara, che si trovava al termine di viaa Toppi, dopo l'incrocio del corso Galiani a nord con via Arniense, all'altezza del seminario diocesano. Con il piano del 1875 molti palazzi vennero "tagliati" o arretrati, per stabilire il contatto con Largo Mercatello (Piazza Malta) e la via Ulpia (via Toppi) che proseguiva in direzione di Porta Pescara.
In questa maniera quest'unico asse viario del corso Galiani metteva in collegamento Porta Sant'Andrea a sud, con Porta Pescara e Santa Maria a nord, e all'intersezione con la seconda grande strada Arniense che a nord-est collegava il centro a Porta Sant'Anna, mentre a ovest terminava in Porta Bocciaia (oggi Largo Cavallerizza).

Teatro comunale nel 2007

La città contemporanea de L'Aquila vede le maggiori modifiche degli ultimi 200 anni nel rione Santa Maria e in Santa Giusta. I processi caratterizzanti sono il sostanziale rispetto dei tracciati storici, con la riconfigurazione tuttavia edilizia dei fronti e del tessuto interno agli isolati, l'estensione dell'abitato nelle aree periferiche interne alle mura. Sino all'inizio del Novecento essere erano occupate da zone verdi, da orti e campagne, la saturazione degli spazi vuoti nel centro storico, e infine interventi di sostituzione edilizia hanno determinato il grande cambiamento tra fine Ottocento e inizio Novecento della città.

Il disegno degli assi viari storici si mantiene costante, con l'eccezione del nuovo tracciato fascista di viale Duca degli Abruzzi, realizzato mediante la distruzione totale del rione Genca, che era in parte sopravvissuto dopo la costruzione del Castello spagnolo nel XVI secolo, con la distruzione della chiesa di San Benedetto d'Arischia, e di quella di Santa Maria del Vasto (detta anche di San Leonardo, la cui facciata romanica fu rimontata sulla chiesetta degli Angeli presso via di Porta Napoli); l'asse di via Roma viene prolungato a ovest oltre le mura di Porta Barete, che venne demolita e mai più ricostruita, creando un'insanabile frattura rimasta invariata per secoli tra la città e la campagna di Pile, che pian piano incominciava a urbanizzarsi. Interventi minori realizzati nei primissimi anni del Novecento comportarono il completamento della facciata di Palazzo Ardinghelli con la costruzione dello scalone monumentale, e la demolizione totale del vecchio Palazzo De Rosis Ciampella, grandeggiando sopra le costruzioni rinascimentali del Palazzo Cappa Camponeschi e delle Case Oliva-Cappa.

Nell'Ottocento si ebbe la ridefinizione edilizia della casa alto-borghese, con al primo e secondo piano le stanze residenziali, al pianterreno le aperture delle botteghe, sopravvivono alcuni cortili storici quattro-cinquecenteschi, come quello di Palazzo De Rosis in via S. Benedetto in Perillis, la casa di Corso Vittorio Emanuele (poi demolita negli anni Trenta), la casa con il cortile di via Bominaco. Nell'ambito di queste ennesime rifusioni edilizie, le chiese di campagna e di minori importanza, come Santa Maria di Cascina su viale Francesco Crispi (dove oggi sorge la parrocchia di Cristo Re), lungo via Garibaldi scompaiono: San Leonardo dei Porcinari, Santa Maria di Gignano e la chiesa dei Santi Giustino e Martino presso Piazza Chiarino (demolita durante il fascismo), a ridosso delle mura settentrionali viene demolita la chiesa dei Santi Pietro e Nicolò, in via Verdi crolla Santa Maria di Intervera. La pianta del Vandi del 1753 testimonia che all'epoca erano state già distrutte le chiese di San Martino di Pescomaggiore, San Flaviano di Barisciano, il conservatorio delle terziarie francescane di Santa Elisabetta, il monastero cistercense di Santa Maria Nuova[16][17]

L'Aquila nel 1924: Piazza Duomo e ingresso al Corso Vittorio Emanuele

In particolare la demolizione della chiesa dei SS. Martino e Giustino a Piazza Chiarino comportò la modificazione del perimetro della piazza apertasi su via Garibaldi, orientata verso nord dalla facciata del Palazzo Antinori. Per quanto riguarda i complessi religiosi, al sisma sono da aggiungere gli effetti indotti dalle leggi napoleoniche e dalle nuove destinazioni d'uso del Regno d'Italia. A L'Aquila tra il 1807 e il 1809 vengono soppresso la maggior parte degli ordini religiosi, e demanializzate le loro proprietà. Nella prima metà dell'Ottocento il monastero di Santa Maria dei Raccomandati viene convertito in Municipio, nella seconda metà del secolo usato anche come scuola, dall'inizio del Novecento divenne un museo musicale; il monastero di Sant'Agnese a nord di Porta Paganica continua a essere impiegato per le congregazioni religiose sino al 1875, quando vi si insedia l'ospedale civile San Salvatore, il complesso del Carmine diventa caserma e analogamente parte del convento di San Bernardino, quest'ultimo demanializzato nel 1866[18]

Via XX Settembre nel primissimo Novecento


Per quanto concerne i giardini e gli orti a ridosso delle mura, occupati successivamente dagli anni Trenta del Novecento, si hanno i giardini delle chiese di San Nicola d'Anza a ovest, di San Benedetto d'Arischia, di Santa Maria del Vasto, dei monasteri di Santa Lucia, San Basilio e Sant'Amico, dei conventi del Carmine a nord-est, e di San Bernardino. Dall'apertura nel 1933 del viale Duca degli Abruzzi, inizia il processo di edificazione in queste aree; il viale parte dal piazzale del Castello, a sud del monastero di Sant'Amico, quindi è tangente all'abside della chiesa di San Silvestro presso Porta Branconia, giungendo a Porta Romana, collegandosi con il nuovo viale Papa Giovanni XXIII, più successivo. Demolita la chiesa di San Benedetto, sono tranciati gli isolati lungo via Arischia, via San Pietro, via Pretatti, via Roma, via Barete; il viale che procede secondo propria livelletta, richiede la configurazione delle intersezioni stradali, risolte con semplici scalinate: l'antica via Cascina che si prolungava sino a via Sant'Agnese, è troncata nel mezzo. L'ospedale di San Salvatore con scuola di ostetricia venne rifatto tra il 1931 e il '34, facendo quasi perdere completamente l'aspetto della chiesa di Sant'Agnese. Si ridisegna l'asse viario, a sud, di viale XX Settembre, che dal sobborgo di Cascina permette una facile circumnavigazione del rione San Marciano, arrivando direttamente a Campo di Pile passando Porta Roiana e Porta Lucoli.

La Camera di Commercio presso il Palazzo del Convitto sul corso Vittorio Emanuele, ricavato dal monastero di San Francesco a Palazzo

Urbanistica nel fascismo

Nel primo Novecento le città marine di Vasto, Francavilla al Mare, Castellammare Adriatico, Giulianova, Fossacesia avevano iniziato a "scivolare" urbanamente parlando verso la costa. Anche in questo caso l'antica città, edificata sul colle in tempi remoti, per difendersi dagli attacchi pirateschi dei Saraceni, percepisce nuovi potenziali economici, che stanno nel turismo balneare, e così vengono edificati i primi padiglioni marini, le ville, di cui si ricordano quelle in stile eclettico poste tra Francavilla, Pescara (quartiere Pineta) e Castellammare, che proprio in quegli anni aveva preso a svilupparsi con una certa enfasi e vitalità, divenendo preso un centro turistico ed economico assai movimentato nell'Abruzzo costiero, concorrendo con le città della riviera romagnola.

Avezzano, Piazza Risorgimento don la Cattedrale di San Bartolomeo, la fontana è del 2018
Salle Nuova: Piazza del Municipio (ex Piazza Littoria), si vede chiaramente l'architettura di regime

Col fascismo si ha la ricostruzione nella Marsica di molti centri distrutti completamente, o gravemente danneggiati dal terremoto del 13 gennaio 1915, figura soprattutto Avezzano, che all'epoca era divenuta la città maggiore della conca con almeno 30.000 abitanti. La città fu ricostruita secondo i canoni cari a progettisti quali Marcello Piacentini, anche se dovette essere ricostruita anche dopo i danni della seconda guerra mondiale; la città fu cara a Mussolini, tanto che nel 1938 pensò di renderla capoluogo di una possibile quinta provincia d'Abruzzo, dopo quella di Pescara, istituita nel 1927, prendendo terreni dagli ex distretti e circondari piemontesi di Chieti-Teramo-L'Aquila, per altro divisioni amministrative riconvertite da distretti e circondari già approvati da Giuseppe Bonaparte nel 1806-16.

In particolare L'Aquila, Chieti, Teramo, Lanciano beneficiano delle grandi rivoluzioni urbane durante il fascismo, sempre con la modifica di edifici di rappresentanza all'interno del centro storico, e con la costruzione di nuovi quartieri e villaggi popolari posti appena fuori il perimetro murario. Oltre ad Avezzano e ai paesi della Marsica ricostruiti dopo il terremoto, sempre a causa di terremoti, come quello del 1933 presso la Majella, vennero costruiti daccapo i centri di Pescosansonesco Nuovo e Salle del Littorio, con le stesse caratteristiche delle città del Lazio quali Latina, Pomezia, Sabaudia, Aprilia, una grande piazza funzionale con la chiesa, il palazzo civico, la sede delle poste, l'istituto nazionale dell'assicurazioni, e le strade disposte a scacchiera, insieme al corso principale che doveva sfociare in piazza. La Val Pescara beneficò della costruzione anche di frazioni nuove e villaggi industriali, come Scafa, Alanno Scalo, Manoppello Scalo, Sambuceto, poi risalendo verso la Majella Piano d'Orta con la sede delle industrie Montecatini (Bolognano), Bussi Officine con l'impianto chimico Edison.
Le città sull'Adriatico del teramano, quali Roseto, Giulianova Lido, Tortoreto Lido, Alba Adriatica, e poi quelle di Francavilla, Silvi, Montesilvano, furono costruite sempre a scacchiera, con la disposizione ortogonale dei villini, dei palazzi pubblici e amministrativi, delle chiese, e la scansione in corsi, viali alberati, lungomari, e piazze principali. Ancora oggi, malgrado le grandi trasformazioni degli anni '60 e '70, è possibile vedere alcune tracce degli edifici degli anni '20 e '30 a Francavilla, Roseto, Giulianova Lido, Alba Adriatica, figurano soprattutto gli storici kursaal, che erano la sede della movida vacanziera durante l'estate.

Lo sviluppo novecentesco di Lanciano: la città nuova

In seguito al periodo di dominazione francese dal 1799 al 1815, Lanciano rivide un fervore edilizio, con la costruzione anche delle prime industrie, ossia i lanifici e le fornaci di mattoni presso le contrade attigue, di cui resta l'esempio della fornace di Santa Liberata. Il fervore edilizio tuttavia comportò una sciagurata distruzione di parte del centro storico, iniziata nel 1819 con la demolizione della chiesa dell'Annunziata in Piazza del Plebiscito, da parte dell'architetto Eugenio Michitelli. Per rifare la facciata neoclassica della cattedrale questa chiesa venne sacrificata, essendo molto antica, del XIII secolo, il portale fortunatamente venne rimontata presso il palazzo arcivescovile; il portico di logge della cattedrale del 16140 fu ugualmente abbattuto, nel 1835 fu affrontato il problema del fosso Malvò che rendeva difficile il collegamento tra il Borgo e ala Civitanova, nonché lo stesso collegamento tra la Civitanova e la Piazza del Plebiscito, sicché venne colmato, completato nel 1879 con la realizzazione del selciato su progetto di Sargiacomo, che voleva realizzarvi anche un viale alberato.

Altre modifiche dannose furono la demolizione parziale delle mura nel 1819, scomparvero Porta Santa Maria Nuova, Porta San Nicola, Porta Diocleziana fu modificata ampiamente, Porta Santa Chiara, demolita nel 1850, e Porta Sant'Angelo (1846), ritenuta una delle meglio realizzate della città per lo stile monumentale. Nel 1841 le Scuole Pie furono radicalmente trasformate da Taddeo Salvini per ricavarvi il teatro comunale, nel 1860 fu completato il cimitero comunale fuori il piano di Sant'Antonio di Padova. Insieme alle mura, anche delle chiese nel rione Lanciano Vecchia vennero abbattute, ossia quella di San Martino che sorgeva in Largo Tappia lungo la via dei Frentani, dove venne eretto il Palazzo De Giorgio, poi del Capitano, la chiesa di San Lorenzo nello slargo omonimo, demolita nel tardo Ottocento perché cadente, e la chiesa antichissima di San Maurizio, che sorgeva dopo le botteghe quattrocentesche, in Largo dei Frentani. Si progettò anche l'abbattimento della chiesa di San Giovanni Battista, ma ci fu scongiurato, anche se pare che il destino di questa chiesa fosse segnato, dato che il bombardamento del 1943 danneggiò il centro storico in particolar modo nel rione Lanciano Vecchia, distruggendo questa chiesa, e risparmiando solo la torre campanaria, ancora in piedi.

Il principale architetto della città nel tardo ottocento fu Filippo Sargiacomo, che dal 1856 fu incaricato di ristrutturare le principali chiese della città, adottando lo stile neoclassico, soprattutto per le chiese di Santa Maria Maggiore, Santa Lucia, San Nicola, San Biagio e Santa Maria Nuova. Nel 1860 per la cattedrale rifece il pavimento monumentale con lo stemma civico, nel 1879 progettò il piazzale Garibaldi sopra il fosso Malavalle, realizzò varie facciate di palazzi, progettò dei villini alto-borghesi fuori le mura, soprattutto lungo il viale dei Cappuccini, e nel 1904 inaugurò la strada nuova del Corso Trento e Trieste, così nominato dopo la fine della guerra nel 1918, e ivi progettò il palazzo delle Poste, demolito nel 1964, e il Palazzo del Collegio, ossia del liceo classico, inaugurato nel 1865.

Gli interventi dannosi all'interno del centro storico, con demolizioni di mura e chiese per cercare di allargare la città, e di espandere la popolazione, si rivelarono fallaci e inutili. Solo nei primi anni del Novecento con l'apertura della grande strada del corso nuovo oltre la cattedrale, e il piano delle Fiere, poiché un primitivo corso esisteva già, il Corso della Bandiera, ci furono notevoli migliorie. I palazzi del corso iniziarono ad essere edificati nei primi anni '20 con l'avvento del fascismo, e furono costruiti seguendo lo stile eclettico-liberty-moresco dell'epoca, e ne sono testimonianza il Palazzo Paolini Contento, con i portici, il Palazzo De Simone, il Palazzo Martelli Fantini in squisiti stile liberty-moresco, il Palazzo De Angelis, sede del Banco di Roma. I principali progettisti di queste strutture, situate sia sul corso, sia sul viale dei Cappuccini fuori Porta Santa Chiara, furono Donato Villante e Gino Coppedè, costui soprattutto per le case del viale Cappuccini. In questa strada vennero realizzate Villa Paolucci, al confine con Marcianese, Villa D'Ovidio, Villa Pace, Villa D'Alessandro, Villa Carabba Sargiacomo.

Filippo Sargiacomo (1830-1922) uno degli architetti che contribuirono allo sviluppo della città di Lanciano dal dopo Unità sino al primo Novecento, terminando la sua carriera di architetto nel 1920, due anni prima della morte

Nel frattempo il quartiere tra Sant'Antonio di Padova e la stazione ferroviaria Sangritana, inaugurata nel 1915, si andava costituendo la villa comunale, e nel 1928-33 vi fu realizzato accanto l'ippodromo, usato sino ai primi anni 2000. In seguito alla ricostruzione del secondo dopoguerra, alcuni palazzi nuovi furono eretti presso il quartiere del Corso Trento e Trieste, altri occuparono l'area della villa di Sant'Antonio presso la strada dell'ospedale nuovo lungo via del Mare. Anche il tranquillo viale alberato dei Cappuccini, popolato solo da residenze alto borghesi, fu invaso da costruzioni moderne, creando di fatto dai primi anni '60 ai '70, un secondo centro urbano a sé, dopo che fu costruito anche l'attiguo quartiere "Guglielmo Marconi". Prima di allora esistevano solo le ville del primo Novecento, la chiesetta di San Pietro, rifatta daccapo nel 1957, il velodromo, e lo stabilimento della casa editrice Carabba.

L'inizio della crescita di Pescara

Lo stesso argomento in dettaglio: Geografia di Pescara.
Palazzo Ciaranca, all'incrocio di viale Regina Elena e corso Umberto I, distrutto dalle bombe della guerra

Solo dopo l'Unità d'Italia Pescara e Castellammare, due comuni autonomi, l'uno nella provincia di Chieti e l'altro in quella di Teramo, istituito nel 1807 dai napoleonici, furono investite da un forte sviluppo edilizio. Pescara conservava ancora l'aspetto della cittadella dentro la fortezza spagnola edificata nella metà del '500 per volere di re Carlo V di Spagna, con i sette bastioni lanceolati, e le tre principali strade del corso Gabriele Manthonè, di via delle Caserme e di via dei Bastioni. Dall'Ottocento i bastioni vennero demoliti o interrati per permettere lo sviluppo di nuove strade, e il passaggio della ferrovia, già presente dal 1863 con due stazioni, Portanuova e Centrale, presso il piazzale del comune di Castellammare; la rete ferroviaria adriatica era collegata da un ponte di ferro ancora oggi esistente, costruito sopra i ruderi dell'antico ponte romano di Aternum in via Orazio.

Vennero create tre principali strade a Pescara: viale Umberto I (oggi via G. D'Annunzio), viale Conte di Ruvo detto anche corso della Marina, e Piazza XX Settembre (oggi Piazza Alessandrini) che fu ricavata dal piazzale del bastione San Giacomo, e viale G. Marconi, che collegava il quartiere della Pineta e della pineta d'Avalos, edificato a partire dal 1913, alla piazza del Ponte, ricavata dall'interramento del bastione fortificato di San Cristoforo, dove sboccava anche il corso Manthonè. Questa piazza era sede del mercato, insieme a Piazza Garibaldi, dove si affacciava il Municipio, oggi Circolo Aternino.

Quanto all'abitato di Castellammare Adriatico, esso nel 1881 vide spostata la propria sede amministrativa da Colle Innamorati a un palazzo sulla riviera, attuale sede del Conservatorio musicale "Luisa d'Annunzio"; il sindaco Leopoldo Muzii adottò vari piani urbanistici per far sviluppare rapidamente la nuiva città verso la stazione ferroviaria Centrale, fece edificare case attorno a un piazzale dove si svolgeva il mercato, chiamato Piazza Vittorio Emanuele II e attualmente Piazza Sacro Cuore, dove si affaccia anche la storica parrocchia neogotica e neoromanica del Sacro Cuore di Gesù, avviata dal 1886; l'arteria principale che collegava perpendicolarmente, e lo fa ancora oggi, la stazione alla piazza del lungomare (Piazza Crispi oggi Piazza I Maggio), fu il viale Umberto I; dal 1947 verrà interrotto dalle nuove abitazioni costruite tra viale Regina Elena e via Carducci, e via Regina Margherita e via N. Fabrizi, che andranno a costituire la moderna Piazza della Rinascita o "Salotto".
La città di Castellammare già nei primi anni del Novecento poteva dirsi conclusa, col fascismo anche l'antico rione dei ferrovieri lungo il corso Vittorio Emanuele II prese sviluppo e importanza urbana, dato che in affaccio sul fiume Pescara tra il 1934 e il 1936 furono costruiti da Vincenzo Pilotti e Cesare Bazzani il Palazzo Civico, il Palazzo della Provincia, il liceo classico "Gabriele d'Annunzio", lungo il corso il Palazzo delle Poste, il nuovo Ponte Littorio per collegare Castellammare e Pescara a Piazza Unione (ex Piazza del Ponte), purtroppo distrutto nel 1944 e ricostruito nel 1947 come Ponte Risorgimento, e infine il Cinema Teatro Massimo nel 1936 lungo via Caduta del Forte, sopra l'ex bastione San Francesco della fortezza spagnola.

Dell'antica fortezza resta solo le parte muraria lungo via delle Caserme a Pescara vecchia, riadibita a Museo delle Genti d'Abruzzo (1982) e alla biblioteca "Vittoria Colonna".

Già dai primi anni del 900 si andava formando, in parallelo all'attenuarsi delle rivalità fra i due centri, l'idea dell'unificazione delle cittadine, ma primi concreti progetti di fusione risalgono al 1922, quando su interessamento di Giacomo Acerbo e Gabriele D'Annunzio, essendo ormai evidenti le grandi potenzialità di sviluppo dell'area, iniziarono le prime attività di lobby sul governo centrale. In seguito Benito Mussolini, nel 1924, annunciò dal balcone del Circolo Aternino l'imminente costituzione della quarta provincia d'Abruzzo, e infine l'opera avvenne nel 1927, quando la città venne unita e contestualmente elevata a capoluogo di una provincia che occupava i territori dell'ex circondario di Penne (salvo il mandamento di Bisenti) e dei comuni a sud del fiume Pescara sino alla Majella. A ricordo di questo processo fu ridenominato il piazzale del bastione San Cristoforo come piazza dell'Unione.

Negli anni seguenti al 1927 vennero completate le opere di bonifica delle ultime aree paludose a sud e a nord del fiume, permettendo l'edificazione di nuovi quartieri a Portanuova, fra viale Marconi e il mare; contestualmente Castellammare si estendeva con le sue ville e villini sino a piazza San Francesco, compresa tra i due assi stradali di viale Regina Margherita e viale Regina Elena. A sud del fiume il nucleo originario di Pescara vecchia aveva ormai perso il suo aspetto originario, accerchiato dalle nuove costruzioni su tutti i lati.

Palazzo del Governo
Ponte Littorio e Palazzo di Città, 1934

Molti erano i villini di pregio a Castellammare, come Palazzo Ciaranca all'incrocio di corso Umberto I con viale Regina Elena, Villa Sabucchi in stile neogotico, Villa De Riseis, i palazzetti in stile eclettico di corso Umberto I e i villini Liberty della riviera.

All'ingresso del corso, affacciata sull'allora piazza del mercato, sorge la costruzione neoromanica, con accenni gotici, della chiesa del Sacro Cuore, mentre al termine del corso, sul mare, si trovavano da una parte il palazzo Verrocchio (ancora esistente, in stile eclettico), e dall'altra il teatro Pomponi (costruito nel 1922 e successivamente demolito nel 1962), che precedevano il piazzale del monumento ai caduti, dove oggi si trova fontana la Nave di Pietro Cascella.

Anche a Portanuova vennero costruiti alcuni edifici di pregio, come il palazzo della sottoprefettura (distrutto nel 1943), che sorgeva accanto la chiesa di San Cetteo e il teatro Vicentino Michetti del 1910, affiancato al palazzo in stile liberty di Camillo Michetti, nei pressi del vecchio arco di Portanuova. Le altre ville erette lungo via Gabriele d'Annunzio erano il palazzo Perenich (ancora esistente) progettato nel 1884 da Antonino Liberi in stile rinascimentale fiorentino, la villa della scuola "Figlie di Maria" e la villa Argentieri; più a sud nel quartiere della Pineta, nei primi del novecento venne inaugurato il Kursaal, mentre Antonino Liberi, insieme a Nicola Simeone e Paolo De Cecco, realizzavano diversi villini in stile eclettico (liberty, neogotico, neoclassico, moresco e neorinascimentale), di cui i maggiori esempi sono villa Anna, villa De Lucretiis, villa Geniola, villa La Morgia, insieme alla chiesa neoromanica di Santa Maria Stella Maris.

Il fascismo a Pescara promosse la monumentalizzazione dei due corsi Vittorio Emanuele II e Umberto I e la bonifica delle ultime aree che ancora erano infestate dalle paludi. Per quanto riguarda la monumentalizzazione, essa prese decisivo avvio dal 1933 in poi con l'architetto De Collibus sotto il governo del podestà Giacinto Forcella. Vincenzo Pilotti e Cesare Bazzani furono incaricati di realizzare le principali infrastrutture della città, come il Palazzo di città, il Palazzo del Governo, la Prefettura, il palazzo della Camera di commercio (allora delle corporazioni), il palazzo delle poste, la Banca d'Italia, le scuole superiori, in particolare il liceo ginnasio "Gabriele d'Annunzio" (1936) e lo scientifico "Galileo Galilei". Nel 1934 fu anche inaugurato il monumentale ponte Littorio in sostituzione del precedente in ferro, dotato successivamente di sculture bronzee femminili opera di Nicola D'Antino e di aquile littorie. Vennero poi realizzate altre infrastrutture come la centrale del latte (1934) opera di Florestano Di Fausto (demolita nel 2010 dopo anni di abbandono) e l'istituto di credito.

Negli anni fra il 1933 e il 1938 (dopo la demolizione della precedente chiesa nel 1929 per pericoli statici), su sollecitazione anche del poeta D'Annunzio,l'architetto Bazzani lavorò al cantiere della nuova Cattedrale di Pescara, dedicata a San Cetteo, consegnando ai cittadini un edificio più moderno e ampio della duecentesca chiesetta del SS. Sacramento (che tuttavia all'epoca dell'abbattimento si presentava in uno stile semplice settecentesco). Per la nuova chiesa fu scelto lo stile neoromanico-neorinascimentale all'abruzzese.

Le fortificazioni

Caratteristiche delle fortificazioni

Lo stesso argomento in dettaglio: Architetture militari dell'Abruzzo.
Atessa, via Fontana Vecchia

Dalle torri normanne alle costruzioni angioine

I primi incastellamenti ufficiali dei centri d'Abruzzo ci furono con l'arrivo dei Normanni nell'XI secolo, i quali edificarono delle fortezze vere e proprie sopra i villaggi sorvegliati dalla torre di controllo longobarda. A un paesaggio costantemente mutevole, come quello abruzzese, corrisponde una non comune varietà di tipi e forme di architettura fortificata diffusi nel territorio, qualificato da singolari rielaborazioni di modelli importanti, e da espressioni del tutto originali. Si parla del castello di Rocca Calascio o del Forte spagnolo dell'Aquila, il primo sorto nell'epoca normanna come presidio centrale fortificato sopra un borgo, il cui elemento più antico è la torre quadrata centrale, o maschio, mentre le torri angolari a scarpa sono più tarde, del XV-XVI secolo, costruite durante la dominazione mediceo-farnesiana; il forte Cinquecentesco è un caso del tutto particolare per la città, poiché si adottarono tecniche innovative da parte dell'architetto Pedro Luis Escrivà (1534), e venne edificato come presidio militare per contrastare eventuali attacchi dei cittadini contro i nuovi dominatori spagnoli, piuttosto che elemento costituente del tessuto edilizio ed economico sociale della città.

Numerose sono le torri isolate nei boschi e nelle montagne abruzzesi, quasi tutte di origine medievale (Torre della Fara, Torre di Goriano Valle, Torre di Beffi Vecchio, la Torre di Sperone Vecchio, Torre di Forca di Penne), dall'impianto quadrangolare, circolare o poligonale (come la torre del Castello Piccolomini di Pescina, o del Castello Mediceo di Capestrano), usate come punti di avvistamento. Con il sopraggiungere di nuove esigenze tattiche, le torri dapprima isolate, sono divenute elementi di più ampie e articolate fortificazioni. Si parla del sistema di fortificazione militare delle coste del Regno di Napoli voluto da Carlo V d'Asburgo, e poi dal successore Duca D'Alba, che a intervalli regolari e in base alla caratteristica orografica del territorio (alture, punti aspri e difficilmente conquistabili dal mare), eresse varie torri di guardia per prevenire attacchi via mare (tipo da Venezia) da pirati turchi. In Abruzzo soprattutto nella costa teramana si hanno le torri meglio conservate (Torre della Vibrata, del Vomano, la torre Carolina di Martinsicuro); il punto divisorio dei "due Abruzzi" costituito dalla foce della Pescara,m presso l'antica città romana di Aternum rifatta nel XIII secolo attorno a un sistema fortificato bizantino-longobardo, fu ampiamente fortificato dal 1510 al 1563 ca. dal Duca D'Alba sotto il progetto di Gian Tommaso Scala, e venne così edificato il mastodontico fortino del Pescara, a pianta trapezoidale irregolare, con sette grandi bastioni lanceolati, cella stessa tecnica del Castello Cinquecentesco dell'Aquila, che racchiudeva in sostanza il piccolo abitato di Pescara, l'attuale quartiere Porta Nuova, posto a sud del fiume, benché all'epoca fosse quasi completamente abitato da una parte dai militari alloggiati nelle casermette, e dall'altro parte del forte, a nord del fiume, dalla caserma di guardia con la gabella del dazio del sale.

Porta San Martino, Castelvecchio Calvisio
Prospetto del Castello Orsini di Avezzano

Tra le torri più antiche dell'Abruzzo c'è quella del paese di Castel di Ieri (AQ), mentre uno degli esempi più tardi di torri di guardia, anche se in questo caso a carattere monumentale e di sorveglianza del passaggio dei pastori sul tratturo, è la torre Medicea di Santo Stefano di Sessanio, eretta nel XV secolo. Più rare sono gli esempi di torri cintate, ossia "dongioni" collegati alla cerchia muraria del paese, erette per la propria estrema difesa, di cui l'esempio migliore è la Torre di Introdacqua (AQ).
La torre unita al castello-recinto invece, come si è detto, ha origini molto antiche: tale torre puntone, a pianta quadrata, irregolare o pentagonale, era posta a monte del recinto fortificato, quasi sempre a forma triangolare, benché esistano eccezioni quali il castello recinto di Fagnano, il castello di Barisciano, il castello di Ocre. L'esempio più felice, ancora in piedi benché gravemente danneggiato nel marzo 1424 dalle truppe di Braccio da Montone durante l'assedio dell'Aquila è il castello di San Pio delle Camere, a pianta triangolare, con le torri laterale, ancora in parte riconoscibili, e la grande torre puntone parallelepipeda; il castello è completamente staccato dal paese risorto nel XV secolo, quasi a pelo col terreno della piana di Navelli, e del tratturo Centurelle-Montesecco.

Nella Marsica si hanno esempi di continue sovrapposizioni architettoniche, poiché si tratta quasi sempre di ricostruzioni e miglioramento per resistere agli assedi di antiche strutture risalenti alla prima edificazione di torri-puntone di controllo nel X-XI secolo dai Conti dei Marsi, che avevano ereditato e comprato, mediante matrimoni combinati e accordi con le abbazie di Farfa e Montecassino, tutto ilo territorio dell'ex provincia Valeria, vale a dire l'attuale Marsica, dalla forca di Cocullo alla Val Sorana (il confine è Balsorano), da Tagliacozzo alla Piana del Cavaliere di Carsoli e Pereto. Questi castelli furono realizzati nella caratteristica mista, ossia alcuni si svilupparono dalla originale torre puntone a pianta triangolar,e come le rocche di Oricola, Pereto e Scurcola, e in seguito alla conquista di Gentile Virginio Orsini, e poi dei Colonna nella metà del Quattrocento, vennero ampiamente ristrutturati, pur seguendo l'antico impianto. Vennero però rifatte daccapo le torri a muratura circolare o a scarpa, modificando le storiche strutture a pianta poligonale, vennero scavati fossati, create delle piazze d'armi all'interno del cortile, create le bocche da fuoco e le archibugiere.

Rocca Calascio e il castello di Roccascalegna

Veduta di Rocca Calascio e della cappella della Madonna della Pietà
Lo stesso argomento in dettaglio: Rocca Calascio e Castello di Roccascalegna.

Di certo è da notare l'architettura, decisamente unica, di questi due castelli abruzzesi. Il primo sovrasta il comune di Calascio (AQ), e il secondo Roccascalegna (CH). Le prime notizie della rocca di Calascio risalgono al XII secolo, quando il contado faceva parte della Baronia di Carapelle Calvisio[19], anche se il primo documento ufficiale è del 1380. Il documento cita il castello come una torre quadrata isolata nell'altopiano di Campo Imperatore, questa torre per il materiale dei conci lapidei risalirebbe all'epoca romana mentre all'epoca sveva risale l'ampliamento con quattro torri angolari e la cinta muraria perimetrale, rendendo Rocca Calascio simile al castello federiciano di Termoli, e divenne un baluardo necessario per l'avvistamento, e il controllo dei traffici e dei viandanti in transumanza lungo i due tratturi L'Aquila Foggia e Centurelle Montesecco. Nel XV secolo, quando fu possesso dei Piccolomini e poi dei Medici (1461-63), la rocca subì dei restauri che modificarono le torri angolari a pianta cilindrica, con l'abbellimento delle merlatura a beccatelli, e il potenziamento delle feritoie e caditoie per resistere agli assalti. Nel 1579 Costanza Piccolomini vendette il castello al Granduca di Toscana Alessandro de' Medici, mentre nel 1703 la rocca veniva seriamente danneggiata dal terremoto dell'Aquila, con conseguente semi-distruzione del borgo medievale che si era sviluppato ai suoi piedi.

Rocca Calascio

La rocca è costruita in pietra locale, e le fondamenta si uniscono con la roccia nuda in un solo blocco. Il nucleo più antico è il maschio centrale quadrangolare, in parte smozzicato nella cima per via del sisma del 1703, mentre intorno si staglia la cortina muraria quadrangolare che da una parte conserva le merlature a ghibellina, e le torri angolari cilindriche, che anch'esse probabilmente avevano il rivestimento alla ghibellina. Accanto la rocca, oltre al borgo, fu costruito l'oratorio di Santa Maria della Pietà (XVI secolo) a pianta ottagonale. Col tempo, soprattutto per via della location scelta nel1985 per il film Ladyhawke, il castello è divenuto meta di un fiorente turismo, dato anche il paesaggio scenografico che offre alla vista dalla cima montuosa, sulla valle dell'Aterno, Campo Imperatore, il Corno Grande, e la piana di Navelli.

Veduta del castello di Roccascalegna e della chiesa di San Pietro

Il castello di Roccascalegna fu eretto sopra il cocuzzolo del monte che sovrasta la valle del Rio Secco. Venne dapprima eretta nel VII secolo una torretta di avvistamento da parte dei Longobardi, il castello è citato nel 1320, poi mancano notizie sino al 1525. Il primo proprietario documentato fu un certo Annicchino De Annicchinis, soldato tedesco giunto in Abruzzo al servizio del capitano Giacomo Caldora, che lo ricompensò con Roccascalegna. I discendenti Raimondo, Alfonso e Giovanni Maria, che tenne il feudo dal periodo aragonese di Ferdinando il Cattolico sino all'ascesa al potere nel Regno di Napoli di Carlo V di Spagna. Essendosi Giovanni macchiato di delitti, nel 1528 perse il castello, che fu affidato i signori Ricci di Lanciano, e poi ai Carafa. Nel 1584 tornò nel regio demanio, poi affidati ai De Corvis di Sulmona. L'ultimo discendente di questa famiglia Annibale III de Corvis, dette il castello nel XVIII secolo al conte di Palena, della famiglia Nanni, che detenne il castello sino ai primi anni dell'800, quando venne abbandonato, sino al recupero del 1985 per destinato a struttura turistica.

Il castello infatti in epoca recente, soprattutto con dei servizi fotografici e delle scelte di set cinematografici azzeccati, è diventata una vera attrazione di massa della Valle dell'Aventino. Esso è accessibile dalla parte storica di Roccascalegna, attraverso Porta da Terra, e dal piazzale della chiesa baronale di San Pietro. Una scalinata ripida, scavata nella roccia, conduce all'accesso alla rocca, dove si trovano i resti dell'antico ponte lavatoio, e del fossato antistante. Varcato il portone di accesso, sorvegliato dalla torre nord a pianta cilindrica, si trovano i resti di un'altra torre quadrata, quella che sarebbe crollata nel 1940, e dove nel 1646 sarebbe stato ucciso il barone Corvo de Corvis. La struttura, soprattutto nella parte a est, si fonde completamente con la cresta rocciosa, e sono visibili tre torri cilindriche (la Torre Angioina, la Torre del Carcere e del Magazzino) fuse con la muratura, le quali sono state adibite oggi a Museo delle Armi da Guerra e del Brigantaggio, mentre la parte a ovest non presenta tracce di manomissioni in muratura, dato che la cresta stessa della roccio montuosa costituisce da sé un valido baluardo difensivo contro gli attacchi. Fa da cornice e cerniera solo il camminamento delle guardia e una cortina muraria che si raccorda alla torre cilindrica dell'ingresso, e alla torre della sommità, a pianta quadrata. Il corpo centrale del castello vede una piazza d'armi, e una cappella del XVI secolo, sconsacrata da secoli, e divenuta sede di convegni e mostre fotografiche.

La rocca quattrocentesca abruzzese

La classica rocca quattrocentesca abruzzese adottò generalmente la pianta quadrilatera con le cortine sempre più spesse lungo i lati, e più bassi torrioni cilindrici agli angoli, tecniche innovative portate appunto dagli Orsini da una parte, e dagli Aragonesi dall'altra, che anticiparono il loro arrivo. Gli esempi migliori di questo passaggio architettonico sono il castello Piccolomini di Celano, eretto sopra l'antico fortilizio dei Conto dei Marsi, e il castello Piccolomini di Ortucchio. Una gran parte delle antiche rocche dei Conti Berardi andarono in possesso nel 1463 ad Antonio Maria Piccolomini, seguace di Ferrante I d'Aragona. Il Piccolomini adottò delle nuove tecniche difensive, facendo scavare ad esempio il fossato sia a Celano sia a Ortucchio, cingendolo di ulteriori mura di cinta e di un passaggio secondario a Ortucchio, poiché prima del 1875 sorgeva sopra un isolotto separato dalla terraferma per la presenza del lago Fucino, che sarebbe divenuto il posto principale per la gabella della pesca. Oltre ai fossati, il Piccolomini cinse il castello di Cleano con una cerchia muraria di torrette alternate, livellò il piano della torre maestra, e creò un impianto quadrangolare con quattro torri angolari identiche l'una all'altra, decorate da merlatura ghibellina bertesche, mentre all'interno fu creato un chiostro quadrato con delle arcate sovrapposte. Per Ortucchio invece il Piccolomini inglobò la torre maestra, trasformandola a pianta quadrata, con merlature superiore e beccatelli, e trasformando a scarpa le quattro torri angolari.

Torre di Sperone Vecchio (Gioia dei Marsi)
Il castello aragonese di Ortona
Incisione storica del Castello Caldora del Vasto

Altro caso interessante è la Rocca Orsini di Scurcola Marsicana, che ha l'impianto semi-ellittico poiché dal maschio poligonale dei Berardi, rifatto poi nel XV secolo da Francesco di Giorgio Martini da Siena, partiva la doppia cinta muraria che terminava con due torri angolari, formando una sorta di triangolo isoscele. Il forte è dotato di possenti bastioni angolari con pianta a scarpa, che sostituirono le torri poligonali, e presto la rocca di Scurcola divenne uno degli avamposti di Gentile Virginio Orsini meglio fortificati dell'Abruzzo. Stessa cosa può dirsi per il castello Caldoresco di Vasto fatto edificare introno al 1439 da Giacomo Caldora sopra un fortino preesistente, e fortificato con i quattro bastioni lanceolati intorno al 1450 dal figlio Antonio Caldora. Di complessa lettura perché modificato a più riprese, e ancor di più dal XVIII secolo in poi, quando una parte rivolta verso Piazza Rossetti fu occupata da una costruzione, il castello Caldora del Vasto fu progettato dall'ingegnere Mariano di Jacopo detto "Taccola": una successione di beccatelli in pietra e archi ogivali faceva da cornice all'intera costruzione a pianta quadrangolare, con quattro grandi bastioni lanceolati a mandorla, anch'essi ornati da successione di arcatelle cieche. Dotato di fossato, quando il castello divenne inservibile nel Settecento, fu privata di una torre a bastione che sorgeva insieme alle altre che ancora oggi sono visibili al centro dell'impianto. La costruzione fu rimaneggiata ancora nel 1499 da Innico I d'Avalos, quando a questa famiglia Vasto venne donata da Ferrante I d'Aragona.

Dagli aragonesi al Forte spagnolo

Il capitano di ventura di partito angioino Giacomo Caldora nel 1413-21 ottenne vari feudi in Molise e Abruzzo, tra cui Civitaluparella, Ortona, Pacentro, Canzano, e infine Vasto, dopo la vittoria contro il capitano Braccio da Montone a L'Aquila (2 giugno 1424). Prima di Alfonso I d'Aragona, il Caldora apportò, insieme anche alla famiglia Cantelmo con sede del potere a Popoli, varie modifiche alle fortificazioni dei borghi, usando la torre a pianta poligonale ottagonale o pentagonale, in certi casi dovendosi adattare all'orografia del territorio, e inserendo alte torri di guardia all'interno della fortezza, come per il caso del castello Caldora di Pacentro. Nel 1422-39 circa, il Caldora rifece le mura di Ortona e di Vasto, rendendole più spesse, e maggiormente difendibili da torri di guardia, poste anche al centro della città, di cui si conservando ad esempio a Ortona la Torre del fortino Caldora, la Torre dei Baglioni in via d'Annunzio, e a Vasto la Torre di Bassano in Piazza Rossetti. Alfonso d'Aragona apportò nuove tecniche nel periodo 1442-52, erigendo sopra una vecchia fortezza angioina il Castello Aragonese di Ortona.

Ingresso asburgico al Forte Cinquecentesco, L'Aquila

Alfonso adottò lo schema diverso, usando un impianto trapezoidale irregolare, purtroppo oggi non visibile interamente a Ortona, in quanto una porzione del castello è franata nel 1946, e sino al 2009 il castello non ha subito alcun intervento di recupero, dopo gli ulteriori danni bellici del 1943-44. Caratteristiche sono le torri cilindriche a scarpa, quattro agli angoli, le maggiori, e altre due poste a intervallo lungo le mura a doppio piano, mentre all'interno del campo si trovava una palazzina privata del castelliere, oggi scomparsa a causa dei danni del 1943. La tecnica aragonese consiste infatti proprio nell'uso del torrione cilindrico a doppia muratura per contrastare l'impatto delle palle di cannone, assorbendone la forza dell'urto.

L'ultimo esempio notevole di innovazione architettonica in Abruzzo dei fortilizi, è dato dal Forte spagnolo dell'Aquila, dato che l'altra coeva fortezza spagnola di Pescara, composta da cinque bastioni a sud del fiume presso il villaggio abitato, e altri due a nord del fiume dove si trovava la caserma d'artiglieria, è andata quasi completamente smantellata dalla metà del XIX secolo ai primi anni del XX secolo. Oggi infatti di essa rimane solo il muro delle casermette in via delle Caserme, dove è stato allestito nel 1982 il Museo delle Genti d'Abruzzo. Il castello Cinquecentesco dell'Aquila invece, eretto nel 1534 su progetto di Luis Escrivà per volere di don Pedro Alvarez di Toledo, viceré di Napoli, comportò la distruzione di una parte delle mura della città e della porzione a nord-ovest del Quarto Santa Maria: l'impianto venne concepito a pianta quadrangolare, con quattro monumentali bastioni lanceolati per impedire ogni sorta di attacco, venne scavato un profondo fossato, venne realizzato un solo ponte in pietra per l'accesso al portale monumentale ad arco, con la cornice decorata da architrave a fregi, tra cui lo stemma asburgico dell'aquila bicefala.

Altre costruzioni cinquecentesche

Si annoverano il Forte San Carlo sopra Montorio al Vomano, eretto quando l'Abruzzo Ulteriore Primo passò nel dominio spagnolo nel XVI secolo, e poi la fortezza di Civitella del Tronto. Il forte di Montorio doveva rappresentare un valido baluardo difensivo, insieme alle fortezze di Civitella e Castel Manfrino a Valle Castellana, eretto per volere di Manfredi di Svevia, ma non è sopravvissuto sino a oggi, sicché ne rimangono dei ruderi.

La fortezza borbonica di Civitella è una realizzazione militare imponente, frutto di vari rifacimenti, a partire dal primo castello normanno fino ai rifacimenti angioini e aragonesi. La conformazione attuale risale alla costruzione del 1559, durante il regno di Filippo II di Spagna, poiché il fortino aragonese non serviva più per resistere agli assedi d'artiglieria, considerano che il territorio di Teramo fu saccheggiato dalle truppe pontificie durante la guerra del sale del 1556-57. La fortezza pertanto, occupando tutto il colle sovrastante l'abitato di Civitella, divenne un baluardo imprendibile, offrendo anche rifugio alla popolazione nei momenti di massima allerta, mentre in cima fu eretta la piazzaforte con le caserme militari e la casa del governatore

Caratteristiche dei castelli, fortificazioni, torri

Lo stesso argomento in dettaglio: Architetture militari dell'Abruzzo.
La Fortezza Spagnola de L'Aquila in un disegno d'epoca

L'Abruzzo è una delle regioni italiane più ricche di castelli e fortificazioni, dato il carattere nettamente strategico della posizione al centro-sud degli Appennini. e data la presenza di numerosi massicci montuosi come il gruppo della Majella, del Gran Sasso d'Italia, dei Monti Frentani, del Monte Sirente, del Velino e delle montagne dell'Alto Sangro, che vennero conquistate dai Longobardi, poi dai Franchi e dai Normanni nel VI-X secolo, con l'insediamento di numerosi villaggi fortificati, e castelli posti a guardia, insieme a torri di avvistamento, dei passaggi fluviali, collinari e pianeggianti, dove si trovano ancora oggi i tratturi che portano alla Puglia.
In seguito ai primi insediamenti, le vecchie fortezze nel XIII secolo furono adeguate fai vari signori, sotto la protezione di Federico II di Svevia, nel Quattrocento spiccarono i signori Jacopo Caldora nella Majella, Gentile Virginio Orsini e Marcantonio Colonna nella Marsica, e Antonio Piccolomini nella conca fucense e nella piana di Navelli, ultimi grandi feudatari dell'Abruzzo.

L'Aquila

Lo stesso argomento in dettaglio: Mura dell'Aquila.
Porta Castello

Notizie delle fortificazioni della città si hanno dopo la ricostruzione della città nel 1265, finanziata da Carlo I d'Angiò, poiché la precedente città sveva fondata nel 1254 era stata distrutta da Manfredi di Sicilia nel 1259. Il complesso murario fu molto imponente e protetto, come riportano anche gli storici Buccio di Ranallo e Anton Ludovico Antinori (XVIII secolo) negli Annali aquilani, dove dice che all'epoca del terremoto del 1703, la città che era provvista di 86 torri e 12 porte, a causa di vari problemi e della perdita d'importanza di molti accessi, gli accessi principali furono ridotti a quattro: Porta Bazzano, Porta Romana, Porta Napoli e Porta Santa Maria o Castello.
Tuttavia, come dimostra la stesa pianta della città del 1575, opera di Girolamo Pico Fonticulano, L'Aquila era dotata di una cinta muraria davvero vasta, che si estendeva ben oltre la terra colonizzata dalle case, per permettere la coltivazione di campi dentro il controllo delle torri, come dimostrano i feudi di Campo di Fossa, Largo Castello e Porcinaro. Le porte erano state fondate in corrispondenza dei vari "locali" di colonizzazione, poiché la città venne costruita dai mercanti e artigiani dei castelli che sorgono attorno la conca nella vallata dell'Aterno, come Paganica, Bazzano, Roio, Arischia, Lucoli, Assergi, e a ogni castellano durante la costruzione della città venne affidato un locale dove costruire case coloniche, palazzi e chiese, da cui la leggenda dei 99 castelli con 99 piazze, 99 chiese, 99 palazzi, simboleggiata dai mascheroni della fontana delle 99 cannelle, nella parte meridionale della città.

Dunque in base ai maggiori castelli che fondarono la città, successivamente nel 1276 ripartiti in quattro rioni (Santa Maria, San Pietro, San Giorgio, San Giovanni), esistono ancora oggi, tranne alcuni tratti murari demoliti, le basi a scarpa delle torri di controllo con le porte di accesso, ma seguendo la mappa del Fonticulano ci si può meglio orientale sull'antico assetto murario. Da nord-ovest, dove si trova il Castello spagnolo, sorgeva Porta Santa Maria, ossia l'attuale ingresso, dalla Fontana luminosa di D'Antino (1934), al Corso Vittorio Emanuele II tra Palazzo Leone e Palazzo del Combattente, poi proseguendo verso est, in senso orario, ci sono Porta Castello, Porta Leoni (documentata nel 1316 per un restauro da parte dell'attuale capitano della città), Porta Bazzano, Porta Tione, a sud-ovest, proseguendo in giù: Porta di Bagno, Porta Roiana, Porta Rivera, agli inizi dell'800 in occasione della visita di Ferdinando II delle Due Sicilie venne realizzata Porta Napoli, nella parte estrema a sud del viale Crispi, proseguendo dalla Fontana delle 99 cannelle con Porta Rivera ci sono Porta Stazione o di Poggio Santa Maria, Porta Romana (tra questa e Porta Barete si ipotizza esistesse una certa Porta Pilese), poi il bastione della monumentale Porta Barete, corrispondente lungo il decumano massimo con Porta Bazzano, e tornano a nord-ovest verso il castello, Porta San Lorenzo e Porta Branconio.

Il tratto murario di Porta Tione

Seguendo il perimetro odierno, le mura abbracciano, sempre partendo dal castello in senso orario via Castello, via Zara, via Luigi Signorini Corsi (dove costeggiano l'Istituto Dottrina Cristiana), via Francesco del Greco (dove si trova Porta Leoni), via inValidi di Guerra (dove si trova il moderno quartiere Costanzo Ciano), via Barbara Micarelli, che si immette in via Fortebraccio, da cui si accede mediante Porta Bazzano, poi Costa Picenze con Porta Tione, il viale Luigi Rendina, che comprende una zona in cui le mura sono semi-offuscate dalla mole moderna della sede del Consiglio della Regione Abruzzo, dietro il Palazzo dell'Esposizione, seguendo c'è il viale Luigi Cadorna che occupa una parte non inclusa originariamente nelle mura, che dal viale Crispi riprendevano mediante Porta di Bagno in via Luigi Sturzo. Questo tratto è stato negli anni '60 pesantemente modificato con l'urbanizzazione del viale XX Settembre, e restano solo le porte di Lucoli e di Roio; il tratto murario, da sud a ovest, riprende presso il Borgo Rivera con la porta omonima, lungo il viale Tancredi di Pentima, arrivando fino a Porta Poggio Santa Maria, da dove il perimetro risale verso nord lungo il viale XXV Aprile attraversando Porta Romana, confluendo nel viale Roma, dove si trovava Porta Barete. Da qui le mura, attraverso via Santa Croce, proseguono verso il castello, costeggiando gli edifici dell'antico convento di Santa Lucia (oggi sede dell'Opera Salesiana), e mediante il viale San Giovanni Bosco costeggiano Porta Pizzoli (o San Lorenzo), la chiesa di San Silvestro, immettendosi nel viale Duca degli Abruzzi, dove le mura sono stati quasi del tutto demolite, meno il tratto di Porta Branconia, e dove riprendono a costeggiare i monasteri di Sant'Agnese e San Basilio, che si trovano nello spiazzo del Piazzale Battaglione degli Alpini, dove sorgeva Porta Santa Maria Paganica.

Il Forte Cinquecentesco nel 2007
  • Forte spagnolo: Detto anche "Castello Cinquecentesco", costituisce un particolarissimo esempio dell'architettura militare cinquecentesca., edificato secondo le efficienti e moderne tecniche dell'epoca spagnola. Fu edificato sopra il "Castelletto" nel 1535, quando il viceré don Pedro di Toledo commissionò la progettazione a Pedro Luis Escrivà[20], con finanziamento diretto dagli aquilani, per la punizione di essersi ribellati alla corona spagnola. L'edificio presenta una pianta quadrata con cortile interno, circondata da quattro grandi bastioni angolari dai profili affilati, i quali si contraddistinguono per la singolare presenza di doppi lobi di raccordo al corpo quadrato, che avevano la funzione di raddoppiare il numero delle bocche da fuoco.[21]Il perimetro dell'intera costruzione è contornato da un enorme fossato, non destinato a essere allagato, dal quale si erge a scarpata il recinto poligonale a bastioni. All'ingresso di sud-est si arriva attraverso un punto in muratura, impostato su piloni a pianta romboidale; è interessante notare come il parallelismo dei lati dei piloni corrisponda a quello delle linee di tiro delle feritoie, situate nei bastioni, così da impedire la presenza di punti morti dove agli aggressori avrebbero potuto trovare riparo.

La facciata principale è molto decorata dal portale in pietra con il fregio centrale dello stemma asburgico di Carlo V con l'aquila bicipite, e di due aperture con timpani triangolari. L'architettura interna è costituita al piano terra da un ampio porticato a robusti pilastri quadrati, dai vari locali del corpo di fabbrica e da una cappella. Una scala conduce al piano superiore dove si trovano grandi sale decorate con soffitti lignei e motivi ornamentali in pietra, destinate a ospitare il Governatore Militare. Il parco attuale dove il castello si trova è stato realizzato negli anni '30, poiché in precedenza era un arido campo usato come foro boario, mentre dopo la seconda guerra mondiale (allestimento nel 1949-51[22], fino al 2009, la fortezza ospitò la sede del Museo Nazionale d'Abruzzo, dal 2015 riaperta nell'ex mattatoio di Borgo Rivera.

Torre dell'orologio del Palazzo Margherita, vista da via Cavour
  • Palazzo Civico o di Margherita d'Austria - Torre civica: si trovano in Piazza del Palazzo, da sempre sede del potere civile e amministrativo aquilano. Fino al 1575 era stata sede del Capitano Regio che amministrava la giustizie e la vita pubblica, fino all'arrivo della governatrice Margherita d'Austria, figlia di Carlo V di Spagna[23], che fece ricostruire completamente l'antico palazzo medievale. Il palazzo fu completamente rimesso a nuovo, mantenendo l'antico torre civica, e arrivò ad annoverare 134 finestre, assumendo un aspetto quasi reale per una città di provincia. Il palazzo tuttavia, oggi è frutto di ricostruzioni successive al grande terremoto del 1703, assumendo all'interno un aspetto ottocentesco, e fuori tratti dell'antico stile rinascimentale. La torre civica risale all'epoca della fondazione della città (1254 circa), ed è l'unico elemento superstite dell'antico costruzione medievale del Palazzo. La torre attuale è più bassa rispetto all'altezza originaria (52 metri circa), perché tagliata dai terremoti, ma presenta ancora caratteristici elementi architettonici, come lo stemma civico e la targa a Giuseppe Garibaldi. La torre nel XV secolo fu provvista di un orologio, uno dei primi realizzati in Italia dopo Venezia, e in cima vennero poste le campane che scandivano la vita cittadina, e avvisavano la popolazione in caso di pericolo. L'antica campana "Reatinella" che suonava sopra la torre fu trafugata dall'esercito di Rieti nel 1313, e recuperata qualche anno più tardi. L'altezza attuale della torre è di 26 metri, ha pianta quadrata, strutturata su tre ripiani e mezzo, suddivisi da cornice marcapiano con rivestimento in conci lapidei. La parte superiore è chiaramente mozzata, con un terrazzino ornato da edicola votiva e una campana che sostituisce l'originare Reatinella, andata distrutta nel Cinquecento dagli spagnoli. Ancora oggi l'orologio e la campana, dopo il ripristino in seguito al terremoto del 2009, battono 99 colpi in ricordo della leggenda dei castelli che fondarono la città.
  • Castello Rivera: si trova nel quartiere San Sisto, ed è una residenza che imita le antiche strutture castellate del Medioevo. Fu edificato nel XVI secolo dalla famiglia Rivera, che oggi ancora ne detiene il possesso, e ha un aspetto rettangolare, con una torre di guardai quadrata coronata in sommità da merli. La facciata, che rievoca i palazzi cinquecenteschi romani, ha un doppio ordine di finestre, lo stemma della famiglia sopra il portale maggiore d'ingresso, che ha una cornice che corre lungo l'arco a tutto sesto.
Porta Leoni
  • Porta Bazzano: si trova all'ingresso di via Fortebraccio dal piazzale del Termina "Lorenzo Natali", principale ingresso alla città da est. Disponeva di una doppia fortificazione con pianta centrale, di cui oggi rimangono tracce. Nei pressi era situato l'ospedale di San Matteo dei Bastardi, tale portale venne modificata dopo il 1703 con un grande aspetto monumentale in stile barocco, caratterizzato da un fronte raffigurante lo stemma civico dell'Aquila e i quattro santi patroni della città, insieme allo stemma asburgico. Nella pianta del Fotniculano la porta aveva una caratteristica medievale sormontata da una grande torre merlata, simile alla coeva Porta Leoni.
  • Porta Tione: si trova nel locale di San Michele, più a sud di Porta Bazzano, e si trova sopra un'altura di questo quartiere, in posizione molto elevata rispetto alle altre porte di accesso. Tale porta conserva ancora l'aspetto medievale, con un fornice ogivale, sormontato da una torretta, modificata dopo il 1703 con una decorazione a lanterna.
  • Porta di Bagno: si trova in via Campo di Fossa, a sud di Porta Tione, e conserva l'aspetto medievale. Si presume fosse dotata di torretta di controllo che sovrastava l'arco gotico d'ingresso. Nel Novecento è stata murata, ma conserva ancora l'aspetto orriginale.
  • Porta Napoli o San Ferdinando: è una costruzione recente rispetto alle altre porte medievali, e si trova all'estremità meridionale del viale Francesco Crispi. Fu edificata in onore di Ferdinando II delle Due Sicilie che nel 1820 venne a visitare la città, demolendo la chiesa di San Lorenzo dei Porcinari. Costituita da un arco a sesto acuto semplice, in pietra incanalata da lesene, con due bastioni laterali di contenimento a curvature.
  • Porta Castello: si trova sulla via omonima, presso il Forte spagnolol ed è diventata nel XVII secolo l'ingresso principale da nord-ovest, dopo la distruzione di Porta Paganica e Porta Barisciano. L'arco è decorato da una grande cornice in pietra bianca, sormontato dagli stemmi asburgici di Carlo V, presenti anche all'ingresso del Forte.
  • Porta Leoni: si trova all'estremità orientale dia via San Beranardino, costituendo uno degli assi longitudinali dell'impianto urbanistico rinascimentale della città. Il suo opposto è Porta Barete lungo via Roma. Il nome proviene dal capitano regio Leone di Cicco, che completò la cinta muraria nel XIII secolo. La porta è ad arco ogivale doppio, costituita da una torre alta 12 metri. Fu murata nel 1461 quando vi si raccolsero le macerie del terremoto, ma qualche anno dopo venne già riaperta per permettere l'accesso alla basilica di San Bernardino. Nel lato di via San Bernardino la porta è provvista di un affresco cinquecentesco della Vergine col Bambino.
  • Porta Branconia: fa riferimento alla zona di San Silvestro, posta all'estremità di via Coppito, il suo opposto è la Porta Roiana, ed è costituita da una semplice arcata a tutto sesto in conci di pietra, che si apre tra le mura. La porta fu murata già nel 1378 circa ed è stata successivamente riaperta, ed è in buono stato. Prende il suo nome dalla ricca famiglia Branconio che si installò nella Piazza San Silvestro.
  • Porta Barete: detta anche "Porta Lavareto", era posta al limite occidentale di via Roma, la principale per l'ingresso da ovest alla città. Nella sua conformazione originale disponeva di una doppia fortificazione con piazza centrale, e dal contrario della maggior parte delle porte aquilane, era posta in pieno, con nei pressi l'ospedale di Santo Spirito dei Bastardi, dotato di torrione, che comunicava con la torre della porta. Nonostante nel 1823 fosse stato redatto un progetto di ricostruzione in stile neoclassico monumentale della porta, la porta venne semi-demolita e interrata per rendere minore la pendenza della strada per l'accesso in città, un fatto inusuale nello smantellamento delle mura delle città, poiché questo è l'unico caso di vera e propria distruzione di un manufatto. Dopo il terremoto del 2009, nel 2014 è stata presentato un progetto di ricostruzione x novo della porta e di abbattimento del ponte moderno che parte dalle mura, collegando il centro al nucleo moderno di Pile. Il progetto riguarda la ricostruzione in stile medievale, con due torri di controllo, come le fonti documentavano la porta, ma per il momento nulla di concreto è stato realizzato.
  • Porta San Lorenzo o di Pizzoli: si trova nella zona "Lauretana", all'estremità occidentale di via San Giovanni Bosco, in collegamento con via Garibaldi e via Castello, costituendo uno degli assi longitudinali dell'impianto urbanistico rinascimentale. La porta era murata già nel 1622 e successivamente venne semi-demolita e interrata. Oggi è ancora visibile, con un semplice arco a tutto sesto che si apre nella cinta muraria in pietra.
Porta Rivera
  • Porta Rivera: si trova all'ingresso del Borgo Rivera, lungo via Tancredi da Pentima, e risale al XIII secolo. Si tratta di un semplice arco a tutto sesto aperto nelle mura, con cornice in stucco.
  • Porta Lucoli: non distante da Porta Roiana, si trova nei pressi della chiesa di Sant'Apollonia. Presente sulla pianta della città di Giacomo Lauro (1600), fu chiusa dopo il terremoto del 1703, ma ancora oggi è esistente, con un arco ogivale.
  • Porta Roiana: costituiva l'ingresso alla città da sud, dal monastero di Santa Maria delle Bone Novelle, e fu realizzata nel XIV secolo. Fu di grande importanza per il passaggio dei traffici fino al XVIII secolo, quando topo il terremoto venne chiusa, anche perché un secolo più tardi fu realizzato il viadotto moderno di Ponte Sant'Apollonia, oggi via XX Settembre. Ha un arco ogivale in pietra.
  • Porta Romana - Porta Stazione: la prima porta si trova a sud-ovest, nei pressi della stazione ferroviaria, e adiacente Porta Poggio Santa Maria, o della Stazione. Le due porte sono all'estremità di via Filomusi Guelfi e sono molto simili tra loro, con arco in pietra a tutto sesto incorniciato da stucco.

Valle Aternina - Campo Imperatore

Castello del Barone d'Ocre
  • Castello di Ocre: l'antico borgo fortificato sorgeva sopra una grande dolina del Monte Circolo, da cui dominava in posizione strategica la valle dell'Aterno e l'altopiano delle Rocche. Non ci sono notizie precise sulle origini, ma la prima testimonianza che attesta il feudo è del 1178, relativa alla bolla papale di Alessandro III, dove il possedimento era tra le proprietà del vescovo di Forcona.[24]Nel 1254 è nominato "Cassari Castro", e contribuì alla fondazione di L'Aquila[25]. Con Carlo I d'Angiò nel 1266 divenne possesso della regia corte, che lo affida nel 1269 a Morel de Saours. Il declino avvenne nel XV secolo con l'assedio di Braccio da Montone nel 1423 durante la guerra dell'Aquila, poiché temuto per il suo importante ruolo strategico. Nel XVI secolo non è menzionato più come "castrum" ma come "villa", segno dello spopolamento del forte, che si andava stanziando nella vallata sottostante, presso i borghi di San Panfilo, San Martino e San Felice. Il castello fu affidato al "barone d'Ocre", da cui prese il nome, ma la crisi era irreversibile, e cadde in abbandono nel primo '900. La sua importanza è data dal fatto di costituire, al pari di poche altre strutture militari abruzzesi, una vera e propria cittadella militare, dotata di alloggi e di fortino militare, circondate da possenti mura con torrioni angolari. La cinta muraria forma una sorta di triangolo rinforzato da torri: il lato nord-ovest è quello maggiormente munito, ne annovera tre disposte parallelamente. Il fianco nord-est invece appare meno difeso e presenta un'altezza ridotta della cortina muraria, perché protetto dallo strapiombo roccioso, con una sola torre rompitratta, mentre nella parte mediana c'è in corrispondenza dello spigolo nord, una torre angolare quadrata.
Mura del monastero di Santo Spirito
  • Monastero-fortezza di Santo Spirito (Ocre): l'abbazia benedettina fu fondata nel 1226 dal beato Placido da Roio, che stava in eremitaggio presso una grotta vicino il monte del castello di Ocre, in località Peretola. I, terreno gli fu donato da Bernardo conte di Ocre, e dalla madre Roalda perché vi fosse eretta una casa religiosa intitolata allo Spirito Santo. Nel 1248 il beato Placido morì e l'abbazia passò all'osservanza cistercense, dipendete dall'abbazia di Santa Maria di Casanova nell'Abruzzo vestino. La sua fortuna, legata ad alcuni miracoli del beato Placido, terminò presto e cadde in commenda ai primi anni del '300, una prima volta nel 1310, e l'altra nel 1331 insieme alla Badia di Casanova. Ridottosi il numero dei monaci, entrò a far parte della Congregazione Regolare Romana nel 1632 e nel 1692 le attività abbaziali furono soppresse da papa Innocenzo X. Dopo un periodo di semi-abbandono nell'800-'900, quando la chiesa era un cimitero, il monastero fu completamente recuperato. L'antica chiesa dentro le mura si presenta a navata unica, coperta originariamente da volta ogivale, sostituita poi da travature in seguito al terremoto del 1703. Il perimetro murario è quadrangolare irregolare, in pietra concia irregolare. Sul lato s'ingresso si aprono delle piccole finestre bifore ad arco ogivale, e un portale molto semplice, a sesto acuto.
Castello di Fossa
  • Castello di Fossa: si trova nella parte più alta del paese, lungo la dorsale rocciosa della montagna che scende dalla dolina del castello di Ocre. L'intero borgo nacque sulle rovine della città romana di Aveia, il toponimo ha origine dalla "Fossa" del Monte Circolo, alle cui pendici si trova il comune odierno. Il castello fu costruito per garantire il controllo più in basso tra la valle Aternina e quella Subequana, presenta una pianta trapezoidale con quattro torri quadrate che contornano l'intero perimetro, e un torrione circolare maggiore, posto in direzione della montagna. Quest'ultimo dovrebbe rappresentare la costruzione più antica, riferibile ai secoli XII-XIII, come testimonia la differente tecnica costruttiva.[26]

La parte restante del castello è più tarda, e di interesse si notano la balestriera, che si apre nel torrione cilindrico, le varie archibugiere, l'arco di accesso caratterizzato dal motivo a ogiva.

  • Castello Dragonetti- De Torres (Pizzoli): è una costruzione residenziale del XVI secolo, eretta sopra l'antico castello medievale che sovrasta il comune. Ha pianta quadrata con torrette angolari, una delle quali risale all'antica struttura medievale del XII secolo, e ha pianta pentagonale. Le casermette da tiro sono leggermente sporgenti dagli angoli, e dotate di una serie di feritoie e archibugiere. Le facciate sono spartite da tre cornice marcapiano e su una di essere è dipinta una meridiana. L'aspetto attuale è frutto del rimaneggiamento della famiglia aquilana dei Dragonetti, che affidò il progetto all'architetto francese Pietro Labitro, il quale demolì gran parte delle mura che circondavano la torre pentagonale, usata all'epoca come rimessa per il bestiame.
Torre del castello di Assergi
  • Castello di Sant'Eusanio Forconese: si trova sopra un colle che sovrasta l'attuale abitato. Sulla cima del Monte Cerro si trova il recinto fortificato, a guardia del fiume Aterno, nella direzione di Poggio Picenze e San Demetrio ne' Vestini. La planimetria è abbastanza irregolare, e mostra cinque torrioni di forma semi-circolare e quattro quadrati, che hanno la caratteristica difensiva a rompitratta, molto vicini tra loro[27]. Una porta ad arco a sesto acuto, oggi murata, si apre sul versante della torre con la chiesa di Santa Maria. Il lato ovest del recinto, che non possiede la protezione naturale, era scavato in direzione nord-sud, difeso da un fosso parallelo al tratto murario. Quest'ultimo, alto 7 metri circa, con una sezione muraria di circa 1 metro, non mostra tracce di merli e non possiede il camminamento di ronda. Le torri circolari, con un diametro compreso tra 3 e 5 metri, si estendono su più livelli e non hanno scarpa e coronamento mediano.
    Si presume che il castello esistesse già nel 1198, dove si trovava un insediamento dei Benedettini. L'impianto di difesa, oggi visibile, è il prodotto di varie fasi di ricostruzione, e presenta un aspetto trecentesco per le torri circolari, e quattrocentesco per quelle quadrate. Nel XVII secolo il castello non era più usato come presidio militare, visto che il nuovo paese di Sant'Eusanio si era sviluppato più a valle, e vi venne edificata una piccola chiesa dedicata alla Madonna.
Torre del castello di Barisciano
  • Castello di Barisciano: sorge sulle pendici del Monte Selva, fuori dal paese, a 1500 metri di altezza. Esso era l'ultimo posto di controllo al confine della valle Aternina con la piana di Navelli, ed era una garanzia per il presidio sul grande tratturo che da L'Aquila portava a Foggia, e sulla biforcazione per Centurelle-Montesecco[28]. Il castello probabilmente esisteva già nell'VIII secolo e fu potenziato nel XIII, partecipando alla fondazione di L'Aquila. Fino al 1529 appartenne a nobili famiglie, per poi essere abbandonato, e tra le vicende militari si ricorda il tremendo assedio di Braccio da Montone nel 1423 che lo ridusse più o meno alle condizioni attuali, compromettendo per sempre la sua funzione militare. Nel XVI secolo, dato che il castello non serviva più a difesa dell'abitato sottostante, sempre in continua espansione, fu riutilizzato per mezzo di un torrione per l'edificazione di una cappella dedicata a San Rocco, protettore contro la peste. Tale castello, insieme a quello coevo di San Pio delle Camere, rappresenta il tipico esempio di castello-recinto[29], anche se questo non ha l'aspetto triangolare con la grande torre rompitratta, ma ha impianto rettangolare con quattro torri angolari.
  • Città fortificata di Assergi: il borgo di Assergi si sviluppò da un antico presidio romano nel XII secolo, e contribuì alla fondare L'Aquila, costruendo l'attuale chiesa del Carmine (fino al XVI secolo "Santa Maria di Assergi"). Il borgo vecchio ha ancora il tipico aspetto di recinto fortificato a pianta circolare, con mura di cinta provviste di torrette a scarpa. I tratti meglio conservati sono quelli di via Porta del Colle e via del Convento, dove c'è l'accesso principale della Torre dell'orologio, che faceva parte dell'antico castello oggi scomparso[30]. La torre è una delle originali 12, ha base a scarpa, con ingresso ad arco, incorniciato da blocchi di pietra. Al di sopra si apre una feritoia a cannoniera, probabilmente inserita in un secondo momento, dettata dall'esigenza di migliorare militarmente la torre. Oggi la torre è usata come abitazione privata, come dimostrano le finestre sulla parte mediana, e la parte sommitale è decorata da un doppio orologio, con una gabbia di ferro che contiene due campane. Una seconda torre si trova accanto a questa, e ha pianta rettangolare, in pietra concia, mentre le basi delle altre torri, si trovano in Porta de Colle. Un'altra torre fu adattata come campanile della chiesa di Santa Maria Assunta, che fu edificata, come si vede dal retro e dall'abside semicircolare, proprio lungo il tracciato murario, affinché fosse protetta in modo migliore.
Castello di Rocca Calascio
  • Rocca Calascio: si tratta di un paese semi-disabitato che sorge sopra il comune di Calascio, composto dal borgo medievale con la chiesa civica, la parte alta del borgo semi-diroccata, il castello della Rocca e l'oratorio di Santa Maria della Pietà. Il castello, situato a oltre 15 000 metri di altitudine, vanta il primato di essere il castello a quota più alta maggiormente conservato d'Italia. Le prime notizie del borgo di Rocca Calascio, citato come una delle 5 terre appartenenti alla Baronia di Carapelle Calvisio, si trovano nella Cronografia della Storia degli Abruzzi di Anton Ludovico Antinori, anche se il primo documento in cui òa Rocca è citata risale al 1380, quando il castello era una semplice torre di avvistamento dei Normanni. Si ritiene che i Normanni abbiano edificato il presidio sopra una fortino militare d'epoca romana, in posizione senza dubbio dominante sulla vallata di Navelli dove si trova il grande tratturo che porta alla Puglia. Infatti l'involucro murario attuale della torre maestra è posteriore, e si ritiene che sia il prodotto della fortificazione dei vecchi presidi medievali voluta da Federico II di Svevia. La rocca ebbe un notevole ruolo per il controllo dei tracciati minori della valle, oltre al grande tratturo, nel XV secolo fu possesso dei Piccolomini, che avevano il castello di Capestrano, e l'aspetto attuale, con le merlature, risale al restauro di Antonio Piccolomini, poiché la rocca fu danneggiata dal terremoto aquilano del 1461.[31]

Nel 1579 Costanza Piccolomini, ultima discendente della famiglia, vendette i possedimento del casato, compresa la Rocca, al Granduca di Toscana, nel 1703 il grande terremoto de L'Aquila distrusse parte superiore della torre maestra, e il paese sottostante, che fu ulteriormente spogliato dagli stessi abitanti per la ricostruzione del nuovo paese sottostante, e per risanare il centro principale di Calascio. Nel 1743 la Rocca passò a Carlo III di Borbone, ma era come se il paese conducesse una vita a sé, lontano dalle principali situazioni politiche e sociali. Il terremoto della Marsica del 1915 segnò la rovina del paese sovrastante e del castello, tanto che si spopolò, e gli abitanti si trasferirono tutti a Calascio. Solo dagli anni '60 in poi è partito un lento progetto di recupero e riqualificazione dell'area, fino a diventare importante meta turistica degli appassionati di trekking e d'arte.<nr/>Il castello è costruito interamente in pietra locale, tanto che i bastioni delle quattro torri angolari a scarpa si fondono con la roccia. Il nucleo originario è il maschio centrale a forma quadrata, oggi in parte cimaso a causa dei terremoti, il cui ingresso è collocato a 5 metri dal livello del suolo. Nel XIII secolo attorno al maschio fu costruita una cerchia muraria quadrata, munita agli angoli da 4 torrioni circolari con scarpa, ma privi di appari difensivi sporgenti. Probabilmente le merlature sulle torri furono fatte costruire dai Piccolomini, ma oggi non esistono più Ai piedi della Rocca si sviluppò il villaggio, anch'esso cinto da mura, di cui restano poche tracce, se non parti di mura perimetrali.

Scorcio di Santo Stefano di Sessanio
  • Borgo di Santo Stefano di Sessanio e torre medicea: il borgo venne eretto nel XII secolo sopra l'antico pagus romano Sextantio, che vuole dire "16 miglia" dalla città principale di Peltuinum (Prata d'Ansidonia), importante crocevia dei traffici commerciali da Roma verso la costa adriatica. Il borgo medievale appartenne alla baronia di Carapelle Calvisio, divenendo poi nel XV secolo possesso dei Medici e dei Piccolomini. Sotto la casata di Francesco de' Medici, Santo Stefano visse il periodo di massimo splendore, intorno al commercio della "carfagna", lana nera di tipo grezzo, prevalentemente usata per le uniformi militari e per il saio dei monaci. Nel XVIII secolo il borgo entrò nell'orbita del Regno delle Due Sicilie e divenne possedimento privato del re di Napoli fino all'Unità d'Italia.[32]Il nucleo centrale medievale fino al 2009 era dominato dalla torre circolare medicea, oggi in ricostruzione. Emergeva dal profilo urbano come evidente espressione di potere sul territorio circostante, e comunicava con Rocca Calascio. Non aveva un vero e proprio castello, ma v'era il Palazzo del Capitano, ancora oggi esistente, con un elegante loggiato di chiaro stile rinascimentale. Il borgo è caratterizzato da piazze minuscole e vie strette che si sviluppano in maniera circolare, insieme alle abitazioni addossate le une sulle altre, che conducono in cima alla torre.
La torre di Santo Stefano di Sessanio nel 2005
  • Castel del Monte: si presume che l'abitato abbia origini romane, poiché si hanno notizie di un piccolo pagus del IV secolo a.C. chiamato "Città Tre Corone". Dopo la caduta di Roma il luogo diventò il posto ideale per realizzare un castello, da cui successivamente si espanse il borgo medievale. Il primo documento è del 1223, una bolla pontificia di papa Onorio III che informava il vescovo Oddone di Valva dei suoi possedimenti, tra cui Castellum de Montis. Il paese fu nei secoli successivi feudo degli Acquaviva di Atri, poi dei Piccolomini e dei D'Aquino. Nel 1474 fu per poco tempo feudo di Francesco Sforza, e venne incluso nella baronia di Carapelle insieme ai centri di Castelvecchio, Calascio, Santo Stefano. I Piccolomini detennero la proprietà del feudo sino al 1579 quando la Contea fu venuta alla duchessa d'Amalfi Costanza, che detenne le terre della baronia insieme al Granducato di Toscana dei Medici.
Castel del Monte

La parte più alta del borgo è chiamata "Ricetto" dall'aspetto planimetrico circolare con strette stradine, che si racchiudevano attorno al castello. Tale fortino è stato sostituito, come accadde anche a Caporciano, Pescomaggiore, Tussio e Castelvecchio, da una chiesa, la parrocchia di San Marco Evangelista, e infatti lungo il perimetro della chiesa è ancora possibile vedere tracce di bastioni e fortificazioni, così come il campanile stessa, che rappresenta una delle antiche torri. L'interno borgo è costruito sulla roccia, attraversato da gallerie sotterranee, chiamate "sporti", antichi cunicoli che collegano una parte all'altra del paese, e permettevano spostamenti sicuro e riparati dal freddo. Oltre alla chiesa di San Marco, le altre sono quelle della Madonna del Suffragio, o dei Pastori, e quella di San Rocco, piccola capella ricavata da un torrione difensivo a scarpa, con porta di accesso ad arco ogivale.

  • Castelvecchio Calvisio: si pensa che sia sorto in epoca medievale sopra l'antico presidio romano di Calvisia, nel XII secolo. Il feudo appartenne a vari signori: i Conti di Celano, gli Sforza (XV secolo), e poi alla Baronia di Carapelle. Anche Castelvecchio nel 1423 subì l'assedio di Braccio da Montone. Anche questo paese ha il tipico aspetto fortificato sopra un colle, con un impianto planimetrico circolare con mura di cinta, e porte di accesso, provviste di torri. Le porte superstiti sono Porta Maggiore, situata a ovest, Porta del Ponte a nord-ovest e Porta San Martino a est, che in seguito all'ampliamento delle mura fu inglobata dentro il borgo. Questa è quella meglio conservata, provvista di torre in conci di pietra con arco ogivale, e orologio con campanile presso la sommità. L'interno ha un sistema viario molto ben scandito da cardi e decumani, anziché i viottoli serpentini o a costa, tipici dei paesi medievali, e la chiesa principale è dedicata a San Giovanni.
Porta San Martino a Castelvecchio Calvisio
  • Castello circolare di Poggio Picenze: il borgo sorse presso il Monte Picenze, dal toponimo dei Piceni che abitavano la valle insieme ai Vestini. Il castello sarebbe stato fondato nell'XI secolo, anche se il primo documento che ne attesta la presenza come Podio de Picentia è del 1173. Nella descrizione, il castello aveva mura di fortificazione e 6 torri, di cui una centrale. Il castello fu soggetto a vari attacchi, come quello del 1423 di Braccio da Montone. Nel 1566 il castello del Poggio fu dato in feudo a Giangiacomo Leognani-Castriota, che vi si insediò, e nei secoli successivi passò ai de Sterlich di Chieti. Nel 1806 il castello cessò la sua funzione difensiva, nonché amministrativa, perché fu abolito il feudalesimo, e nel 1832 venne semi-demolito perché a rischio crollo. Fu così che parte del castello fu inglobata nelle abitazioni civili, mentre la parte di via Giacomo Matteotti, con muratura a scarpa, a pianta cilindrica, resta ancora visibile. La parte della torre maestra superiore è stata tagliata nel 1832.
  • Torre di guardia di Picenze: si trova nella frazione omonima, lungo una scarpata che domina l'abitato dal Monte Picenze. La torre ha origini longobarde (VII secolo), costruita come avamposto di controllo della vallata d'Aterno, onde avvertire i cittadini di Poggio Picenze in caso di attacchi, visto che nel X secolo ci furono in Abruzzo le invasioni dei Saraceni e degli Ungari. La torre oggi è conservata solo a metà, nella sua pianta cilindrica, perché parte è rovinata durante i terremoti e i secoli di incuria, e ben tenuta da dei tiranti di ferro per impedirne il crollo. Ha una decorazione in pietra concia, e ci sono delle feritoie.
  • Castello di Pescomaggiore e chiesa di Santa Maria Assunta: il borgo di Pescomaggiore, posto tra Camarda e Paganica, fu fondato inizialmente nel XII secolo come un castello-recinto, che successivamente si sviluppò come un paese cinto da mura (XV-XVI secolo). Il perimetro triangolare del castello era puntellato da più torri, oggi scomparse, a causa di incuria a terremoti, dato che l'ultimo, quello di Avezzano del 1915, distrusse l'ultima torretta. All'interno del recinto murario di conserva la chiesetta di Santa Maria Assunta, edificata sui resti del dongione, in avanzato stato di decadenza, anche se ha subito danni col terremoto del 2009, ed è ingabbiata in attesa di restauro. Le origini di questa chiesa sono romaniche, ma fu restaurata nel 1407, e subì diversi rimaneggiamenti. Ha navata unica, con copertura a capanna, e un modesto campanile a vela. In facciata ha un portale pietra datato 1904, l'altare maggiore interno è in stucco del 1867, mentre da testimonianze storiche si sa che la chiesa aveva degli affreschi, che si conservano sulla parete destra in maniera frammentaria, come la scena della Madonna col Bambino tra San Bernardino e un santo francescano, del XVI secolo.
  • Torre di guardia di Camarda: da una descrizione dettagliata dello storico Anton Ludovico Antinori[33], il castello di Camarda nella metà del Settecento risultava ancora ben efficiente e stabilmente usato. Era potenziato da quattro torri, di cui rimane il torrione situato a settentrione nel punto più alto, compito di puntone di vedetta. All'epoca il castello aveva ancora la porta d'accesso, successivamente distrutta, che permetteva il passaggio dei mezzi agricoli nel recinto. Con l'abolizione del feudalesimo, il castello venne inglobato nelle costruzioni civili nell'800, perdendo quasi completamente il suo aspetto, tanto che oggi è riconoscibile solo dalla torre maestra, insieme a parte delle mura con le bocche di cannone e le fuciliere. Il castello doveva essere molto importante, menzionato nel Chronicon Farfense[34] nel X secolo, proprietà del signore Atenulfo di Intempera (ossia Tempéra), nel 1173.

Altopiano di Navelli - Altopiano delle Rocche

Palazzo Santucci di Navelli
  • Palazzo Santucci (Navelli): l'imponente palazzo spicca sulla sommità del colle sul quale si trova il borgo medievale, contornato da un susseguirsi di case-torri, di palazzo gentilizi cinquecenteschi e loggiati rinascimentali, insieme a chiese barocche. Il palazzo fu edificato sopra l'antico castello nel 1632 dal feudatario Camillo Caracciolo. Esso rappresenta il classico esempio di palazzo castellato cinquecentesco, come quello dei Dragonetti a Pizzoli, usato come residenza signorile dei baroni di Navelli, sorto inizialmente come castello militare. Le sue architetture sono la fusione del carattere residenziale tardo-rinascimentale e di quello difensivo della preesistente struttura, della quale sono riconoscibili alcuni elementi come le torrette esterne sporgenti rispetto alla struttura, e poggianti su mensole.[35]Il palazzo è dotato di un ampio cortile con pozzo centrale, e una scala a due rampe, che conduce al loggiato occidentale superiore. Il perimetro esterno doveva essere contornato di fossato di recinzione, come si deduce dalla presenza di una traccia attorno al corpo di fabbrica. L'antico castello era inglobato in una cortina muraria profondamente modificata nel XVII secolo, oggi inglobata completamente nel tessuto urbano del borgo: permane un tratto con due torri di controllo a pianta circolare con scarpatura basamentale. Tale cinta muraria del borgo doveva svolge il ruolo di cinta bassa, rispetto al castello superiore.
Torre di Civitaretenga di Navelli prima del 2009
  • Castello ellittico di Fagnano Alto: il paese esisteva già all'epoca romana, come testimonia il ponte antico presso contrada Campana. In cima all'antico colle Ofanianum, sui resti di un'antica rocca dei Vestini, nell'XI secolo venne eretto il castello a pianta ellittica, che costituiva un vero e proprio nucleo abitativo, come il castello di Ocre, posto a controllo della piana di Navelli e dell'altopiano delle Rocche lungo la vallata dell'Aterno. Il castello ancora oggi conserva abbastanza bene l'impianto, con due porte di accesso e tre torri di guardia, dotate di merli. Anch'esso nel 1423 subì l'assedio di Fortebraccio da Montone, e nel XV secolo passò ai feudatari di Alfonso d'Aragona[non chiaro]. Nel 1553 il castello passò a Pietro Gonzales di Mendoza, nel 565 al signore Giuseppe Carafa fino all'occupazione francese del XVII secolo. Fino ai primi anni del '900, il borgo di Fagnano Castello era la sede amministrativa, successivamente spostata più a valle. Le porte di accesso hanno arco ogivale con cornice in pietra concia, del XIV secolo, le torri merlate risalgono al Quattrocento. Dentro le mura è possibile ancora vedere i resti della chiesa di Santa Maria, con la torre campanaria in piedi, la cui sede parrocchiale, dopo il crollo, fu spostata nella chiesa di San Pietro, appena fuori le mura, di chiaro aspetto romanico (XII secolo).
  • Castello di Stiffe: del castello sono visibili solo alcuni tratti delle mura perimetrali, e sovrasta l'abitato di Stiffe, nel comune di San Demetrio. Il castello sorse nel XII secolo, avendo il tipico aspetto di fortezza-recinto adagiata sull'altura di un monticello, e partecipò nel 1254 alla fondazione de L'Aquila. Nelle Cronache aquilane, specialmente in quella che parla della guerra di Braccio, si ricorda la valorosa resistenza del castello di Stiffe contro le truppe di Fortebraccio, che a differenza degli altri castelli, non riuscirono a espugnare la fortezza, così come a Fontecchio. Tuttavia, dato che l'abitato nei secoli successivi si sviluppò più a valle, il castello perse le sue funzioni maggiori, e cadde in abbandono.
  • Torre di Civitaretenga: ubicata nel centro storico del paese, risale al XIII secolo, e faceva parte di un sistema difensivo che abbracciava tutto il centro. L'edificio ha aspetto quadrangolare di circa 4 metri per lato, con altezza di 14 metri. Sulla sommità presenta beccatelli che probabilmente sorreggevano l'apparato sporgente che non esiste più. Le pareti in muratura presentano una tessitura a conci squadrati, alternati a parti in pietrame. La torre, che era usata come sede dell'orologio civico, fu gravemente danneggiata dal terremoto del 2009.
Torre dell'orologio di Fontecchio
  • Palazzo Corvi e torre pentagonale (Fontecchio): la torre e il palazzo costituiscono un tutt'uno con il borgo medievale, e in origine erano il castello fortificato, successivamente trasformato in residenza gentilizia. La torre dell'orologio costituisce l'accesso principale al borgo antico dal piazzale della Fontana Trecentesca; si addossava a un'ala del Palazzo Muzii, della quale rimane solo una finestra ad arco polilobato a tutto sesto, e piedritti in pietra. I prospetti a nord ed est della torre presentano feritoie e caditoie su beccatelli, su quello nord è posto anche uno storico orologio del XV secolo, mentre il prospetto ovest (interno) si caratterizza per la presenza della scala d'accesso. Passando sotto l'arco ogivale si notano le tracce di un affresco della Madonna col Bambino sul lato est, mentre a ovest la parete si caratterizza per la presenza di un arco in pietra a sesto ribassato. Tale arco ogivale è detto Porta dei Santi, mentre un'altra porta interessante, sempre a ogiva, è la Porta dell'Orso. L'orologio è uno dei più antichi d'Italia, con quadrante all'italiana, diviso in 6 ore, che segnava con i suoi rintocchi la vita pubblica di Fontecchio. I 50 rintocchi di ogni giorno ricordano lo sventato assedio spagnolo del 1648, il meccanismo dell'orologio costituito da ingranaggi mossi da contrappesi, ancora oggi è azionato a mano, e ogni 6 ore necessita di una mano che ritiri i contrappesi con l'ausilio di un sistema d'argano.[36]Il palazzo baronale della famiglia Corvi sorge sul punto più alto del borgo, e dalla sua mole si comprende che era il castello, oggi frutto di vari accorpamenti di palazzi medievali, inclusa una torre merlata. Il palazzo castellato fu dotato nel 1400 di cisterna con il portico colonnato, con le volte a vela, e nel 1423 fu assediato da Fortebraccio, e nel 1648 dagli spagnoli. In quest'occasione Fontecchio divenne un feudo, e il castello divenne una residenza gentilizia. Presso via Palazzo si trovano degli appartamenti che anticamente erano per la servitù, insieme alle stalle e alle cantine. Ben mantenuto è un caldaio di rame incastrato a terra su un focolare, affiancato da porticati in pietra, dove c'è scolpita una raffigurazione della famiglia Corvi (1690).
Borgo si Rovere
  • Castello-recinto di Rovere: si trova nel comune di Rocca di Mezzo. Le origini di Rovere risalirebbero a un recinto fortificato dei Superequani. Dopo la conquista romana, il presidio venne abbandonato e nuovamente fortificato, divenendo un vero e proprio castello sopra uno sperone roccioso a guardia dell'altopiano delle Rocche[37]. Gli scavi archeologici hanno dimostrato che il castello era molto antico, dato che è documentato già dal 981 d.C., con una prima cittadella munita di mura e torri; in una seconda fase il borgo si spostò più a valle fino al margine della pianura, e il castello venne abbandonato, usato addirittura come cava per la costruzione di nuove case. Il "castrum Roboris" era all'epoca dei Longobardi una semplice torre di guardia, che divenne castello nel XII secolo, dotato di mura e fossato; due cisterne con un recinto triangolare con funzione e residenza militare, e ai vertici tre torri circolari. Tra il XV-XVI secolo il castello divenne una residenza gentilizia, ma successivamente venne abbandonato, e il terremoto del 1915 contribuì all'abbandono definitivo della struttura. La parrocchia del borgo, ancora oggi esistente era dedicata alla Madonna delle Grazie, e sorgeva fuori l'abitato.
  • Torre normanna di Rocca di Cambio: si trova accanto la chiesa di San Pietro, e doveva essere un acstello collegato con bastione di avvistamento (IX secolo). Successivamente il castello venne conquistato dai Normanni, nel 1254 partecipò a fondare L'Aquila, e venne successivamente saccheggiato da Braccio da Montone (1424) e danneggiato da vari terremoti, come quello peggiore del 1703. Oggi resta solo la torre a pianta quadrata, in origine con la sommità decorata da merli.
Torre di Santa Jona
  • Torre Santa Jona di Ovindoli: la torre è un antico monumento, del XIII secolo, che domina la contrada omonima. Ha un aspetto cilindrico, perfettamente conservata, costruita dai Conti Berardi di Celano, che svilupparono la costruzione di roccaforti e torri di guardia nella Marsica fino ai confini con Rocca di Cambio. Il complesso è posto in posizione dominante sulla contrada, offrendo un'ampia panoramica sulla conca del Fucino e delle montagne del Sirente-Velino.
  • Torre dell'orologio di Tione degli Abruzzi: si trova nel rione San Nicola di Bari, e doveva far parte di un castello oggi scomparso. La torre ha pianta quadrata in conci di pietra regolari, decorata in cima da merli, e al centro da un orologio ottocentesco. L'aspetto attuale, molto sobrio e compito, è frutto del restauro conservativo del 1951.
Torre di Roccapreturo
  • Torre di Roccapreturo (Acciano): si trattava di un castello-recinto con pianta triangolare, posto in posizione chiaramente strategica presso la ripida orografia del terreno roccioso che sovrasta Acciano. Il recinto costotuiva uno degli elementi fortificati principali della difesa del territorio, in relazione con i castelli di Bominaco e San Pio. Partecipò alla fondazione de L'Aquila, e con i secoli il borgo sottostante di Roccapreturo si ampliò. Del castello oggi non rimane molto, se non la torre puntone maggiore, abbastanza conservata, a pianta pentagonale irregolare, con altezza di 10 metri. Le fonti testimoniano che il territorio nel 1185 era feudo dei Gualtieri signori di Collepietro e parenti dei Conti di Celano; successivamente il castello appartenne ai Masci de L'Aquila e ai Cappelletti di Rieti.
Borgo di Beffi
  • Borgo fortificato di Beffi Inferiore (Acciano): il borgo fortificato faceva parte della rete difensiva dell'altopiano delle Rocche e della valle di Goriano: il torrione che lo caratterizza ha la pianta a forma pentagonale irregolare, i particolari costruttivi fanno pensare all'antica edificazione datata XII secolo. Il documento più antico testimonia l'esistenza di Beffi già dal 1185, quando il territorio apparteneva a Rainaldo da Beffe, concessogli da Raiano, poiché il territorio si trova a confine tra la diocesi Amiternina e quella di Valva. Negli anni l'antico borgo abbandonato è stato recuperato, e oltre alla torre è possibile leggere l'antico impianto medievale con mura e case, provviste di ampi giardini murati con orti. Si conserva l'antica porta di accesso, con arco a sesto acuto e a tutto sesto all'interno, con lo stemma recante una cittadella fortificata in rilievo. Appena fuori le mura si trova la parrocchia di San Michele Arcangelo, del XV secolo, che possiede un robusto campanile sormontato da cuspide; l'interno è barocco, con stucchi settecenteschi, che hanno modificato l'antico aspetto medievale-rinascimentale. Sotto il borgo, presso il fiume Aterno, si trova un antico ponte romano che porta alla vecchia stazione ferroviaria in disuso, e a un mulino settecentesco. Vi si trova la chiesa rurale di Santa Maria Silvana.
Torre di Goriano Valli
  • Torre di Goriano Valle (Tione degli Abruzzi): si trova fuori dall'abitato, presso un burrone comunicante col borgo medievale di Beffi. La torre di avvistamento fu edificata nel XII secolo, avente pianta circolare, con struttura a canna, del diametro di 6,70 metri, realizzata con vani sovrapposti creati con struttura lignea, voltati a botte. L'ingresso era posto al primo piano, da dove si poteva ritirare la scala. La torre serviva prevalentemente per l'avvistamento più che per la difesa del territorio.
  • Borgo fortificato di Collepietro e Torre Gregori: le origini del castello di Collepietro risalgono a Ugo di Provenza, che lo fondò nel 926 elo concesse ai conti franchi Attone di Chieti e Berardo di Celano. Da Berardo, primo Conti dei Marsi o dei Berardi, nacquero Rainaldo, Oderisio e Teodino. Il primo ebbe in feudo la Marsica, il secondo Valva (Corfinio e Sulmona) e il terzo Rieti, Amiternum e Forcona. Un ramo dei Conti di Valva si stabilì a Collpietro con Teodino, dando origine alla dinastia dei Collepetrani. Da un discendente di nome Gualtieri nacque Oderisio di Collepietro padrone di Carapelle Calvisio, Civitaretenga, Isola del Gran Sasso d'Italia e Palearia, poi Tossicia, Forca di Valle, Castelli, Collalto, Basciano, Vico, Carretta e Valva. Nell'XI secolo il feudo si sviluppò grazie all'arrivo dei Normanni, Oderisio di Collepietro, fu uomo di fiducia del re Ruggero II di Sicilia, divenendo giustiziere del regno. Nel 1148 con il titolo di Conte di Palearia, Oderisio continuò a far prosperare il borgo perché crocevia dei traffici commerciali dalla valle dell'Aterno verso la via Tiburtina Valeria per Popoli. Il borgo ancora oggi, a pianta ellittica, conserva abbastanza bene l'antico aspetto, composto da case-mura, e da piccole strade interne, con la chiesa madre di San Giovanni. Alcune case sono delle vere e proprie torri di guardia con l'arco a sesto acuto per accedervi. Nel borgo si trova Torre Gregori, dell'XI secolo, nata come presidio di avvistamento, e oggi inglobata tra le case. Ha pianta quadrata irregolare, con l'asse minore orientato in direzione nord-sud, realizzata in conci di pietra calcarea locale piuttosto irregolari e blocchi squadrati di rinforzo agli spigoli. Le aperture ricavate sulle quattro facciate dell'edificio lasciano prevedere la disposizione e il numero dei quattro livello interno attuali. Un primo livello è difeso da una finestra rettangolare rinforzata da laterizi nel lato settentrionale, e una feritoia completata da una cannoniera nel lato orientale. Seguono altri tre piani rialzati, con ingresso sul lato meridionale.
Castello recinto di Bominaco
  • Castello di Bominaco: il castello sorge sopra il piccolo villaggio, e sopra il centro di Caporciano, dominando la parte occidentale della piana di Navelli. Il primo impianto risale al XII secolo, quando esisteva la torre di controllo, e l'allargamento a castello-recinto è stato eseguito un secolo più tardi. Oggi le mura presentano dei danneggiamenti, dovuto al terribile assalto di Braccio da Montone nel 1424, quando era feudatario Cipriano di Iacobuccio di Forfona, che chiese a papa Martino V di ristrutturare la fortezza. La conta muraria, intervallata da torri rompitratta a pianta quadrata, delimita uno spazio a forma trapezoidale, a sud-est nel punto più alto del recinto, il perimetro si conclude con la robusta torre cilindrica con base a scarpata e coronamento aggettante superiore. All'interno del recinto sono ancora visibili tracce murarie delle strutture architettoniche di un tempo, come le case civili e le casermette. Il castello serviva, oltre a proteggere al valle, anche a guardia dell'antico monastero di Santa Maria, di cui restano la chiesa principale di Santa Maria Assunta e l'oratorio di San Pellegrino, con preziosissimi affreschi duecenteschi.
Veduta di Caporciano e della torre campanaria della parrocchia di San Benedetto
  • Torre campanaria di Caporciano e borgo superiore: il borgo di Caporciano è citato come "castello" nel 1193, quando Galgano conte di Collepietro, fratello di Derisio signore di Carapelle, ottenne il feudo, che allora contava 40 fuochi. Il toponimo attuale appare per la prima volta nel 1184, in un successivo documento citato dall'Antinori si apprende che nel 1294, anno d'incoronazione del pontefice abruzzese Celestino V, il re Carlo II d'Angiò prese sotto protezione la parrocchia di San Cesidio in Caporciano, soggetta al monastero di Santo Spirito di Sulmona; il territorio comunque era già soggetto al potere della Chiesa, poiché sopra Caporciano si trovava il monastero di Santa Maria di Bominaco. Il nome di Caporciano deriverebbe dal latino Caput Jani, ossia il dio bifronte Giano, o anche Caput Porci, per la presenza di cinghiali nel territorio: il recinto fortificato ha una direttrice prevalente nord-sud, la sua forma è riconducibile a un triangolo, al cui vertice si trova la torre maggiore, oggi campanile della chiesa madre di San Benedetto. La scelta del posto fu voluta dalla strategicità del colle, in comunicazione con le fortezze di San Pio delle Camere, Navelli, Bominaco, Civitaretenga e Rocca Calascio. Oggi l'antico castello è stato quasi completamente inglobato nelle case civili, e si conserva abbastanza bene la torre campanaria, molto simile ad altre torri poste verso sud, trasformate in case. Sono ancora intatte due porte di accesso. Il castello fu trasformato nel XVI secolo, poiché la popolazione era aumentata, e vi vennero costruite della case: la torre a nord era lo sperone più avanzato del recinto fortificato, che partendo da lì si sviluppava a sud, lungo la direttrice indicata dalla porta della torre. Questa porta d'ingresso al castello era posta laddove il pendio del terreno era maggiore, forse per mettere in difficoltà gli assalitori o gli ospiti sgraditi per eventuali controlli. Le tracce leggibili delle case fortificate sono riconducibili al '300-'400: le finestrelle ad architrave trapezoidale, che hanno come principio costruttivo il trilite, di piccole dimensioni e certamente sono le più antiche dell'antico borgo. Di epoca più tarda sono le finestre a tutto sesto con mensoloni in pietra modanati, usati come piombatoia per gettare pietre contro gli assalitori. Sotto il piano di calpestio della chiesa di San Benedetto, durante i lavori di restauro, è stata ritrovata l'originaria quota pavimentale del recinto fortificato, con una cisterna e un cimitero usato dalla Confraternita dei Morti della Madonna Addolorata. La torre campanaria a sud-ovest ha le classiche finestrelle di difesa a oculo, le cannoniere con diametro di 30 cm; la torre è a base quadrata irregolare, alta 19 metri, realizzata in grossi conci di pietra quadrata, posti in basso. Inizialmente la torre fu costruita senza la scarpa ai lati est-nord-ovest, e nel corso dei restauri è apparso a ovest un paramento della torre in conci squadrati. Vennero alla luce anche i cardini del portone di accesso al castello, con i resti di un arco, ammorsato agli stipiti della torre. Al primo piano sorgeva un solaio poggiante su arco in muratura, già a questo livello sono presenti le aperture di difesa, oltre al primo solaio, esistevano altri due piani con orditura ligneo, le cui tracce in muratura sono ben evidenti. Le aperture consistono in monofore a bandiera di cui due sono state ricoperte. L'apertura a sud che guardava verso l'interno del recinto, è munita di doppia seduta per la guardia, mentre le altre sono munite di stipiti scolpiti e di una sola seduta. La torre terminava con terrazzo merlato, di cui è possibile leggerne le tracce, sostituito da un solaio in cemento per la cella campanaria.
  • Torre campanaria di Tussio: nella fase precedente il 1266, anno di ricostruzione de L'Aquila, a Tussio esisteva il castello-recinto con sviluppo poligonale a mezza costa. Dopo quest'anno, il castello venne distrutto, e con il materiale venne edificata la nuova chiesa di San Martino, lasciando una delle torri, che ne divenne il campanile, a pianta circolare. La torre campanaria è stata ottenuta sopraelevando la torre del castello, mantenendo la muratura originaria nella fascia inferiore del fusto, fin dove si leggono le strutture in pietrame di piccola pezzatura, legata alla malta. Nella fascia superiore è stato aggiunto il secondo corpo di fabbrica a pianta poligonale, contenente l'orologio e la cella campanaria, in assetto configurativo completamente diverso dall'originale.
Castello Camponeschi
  • Castel Camponeschi (Prata d'Ansidonia): si tratta di una vera e propria cittadella fortificata che sorge sopra un colle a distanza dal comune di Prata. Il villaggio è composto da mura di cinta interrotte da torri quadrangolari, due porte di accesso, con case interne, il palazzo del Capitano e la chiesetta di San Pietro. Scarsa è la documentazione riguardo il castello, ma doveva esistere già in età medievale, e fu feudo di Pietro Lalle Camponeschi de L'Aquila, membro di un'importanza famiglia patrizia del quarto di San Pietro. Nei documenti il castello è nominato per la prima volta nel 1508, il borgo continuò a vivere sino ai primi anni '50 del Novecento, quando venne abbandonato e lasciato al degrado. Negli anni '70 vi si volsero dei festival legati al romanzo Lo Hobbit di Tolkien, e più avanti partirono dei lavori di recupero che si conclusero a metà a causa del terremoto del 2009. Il borgo interno è composto da case rurali a una sola stanza, molto semplice, collegate per mezzo di archi, e due abitazioni più grandi che costituivano i palazzi del potere, in stile quattrocentesco. La chiesa di San Pietro è molto semplice, in pietra concia, con aula unica, ed è oggi aula conferenza.
  • Castello di San Pio delle Camere: sovrasta il centro storico di San Pio, ed è l'archetipo del castello-recinto abruzzese. La fortezza risale al 1100, quando venne costruita la torre-puntone maggiore, sul punto più alto della montagna rocciosa. Successivamente il castello prese l'aspetto di un triangolo isoscele, con altre due torri maggiori angolari rompitratta. Il maniero partecipò alla fondazione de L'Aquila, e subì la vendetta di Fortebraccio nel 1424, che ditrusse il castello, come è possibile vedere ancora oggi. L'uniformità d'insieme della struttura e i rapporti con l'ambiente circostante fanno di questa fortezza un'esemplificazione tipologica. Le peculiarità costruttive della torre puntone pentagonale creano dubbi sull'uniformità della costruzione, e suggeriscono l'ipotesi di un impianto preesistente normanno, ampliato nel XII secolo. Il primitivo villaggio inoltre, al pari di Barisciano, Bominaco e Rocca Calscio, era racchiuso proprio dentro le mura, e successivamente per l'aumento della popolazione, il centro di San Pio si spostò più a valle.
Il Castello Piccolomini di Capestrano
  • Castello Piccolomini (Capestrano): esso rappresenta, nonostante i vari interventi, uno dei complessi fortificati più interessanti d'Abruzzo. Le sue vicende sono legate al succedersi di varie famiglie che ebbero il feudo di Capestrano: i Duchi d'Acquaviva di San Valentino in Abruzzo Citeriore, imparentati con quelli di Atri, poi i Piccolomini, Francesco De Medici, fino all'eversione dal feudalesimo, quando il castello divenne, e lo è ancora oggi, sede del Municipio. L'edificio residenziale quattrocentesco (1485) ingloba i resti di un antico castello medievale dell'XI secolo circa, di cui resta la grande torre centrale prismatica. Esso si compone di due corpi disposti a L, di cui il maggiore a sud-ovest, forma il lato di fondo della piazza maggiore di Capestrano, mentre il minore chiude il cortile interno verso nord-ovest.[38]Il castello ha un duplice funzione: la residenza del signore feudale e avamposto militare per quanto riguarda la grande torre centrale: la facciata principale che sta sulla piazza, si presenta serrata tra due torri angolari a scarpa, ed è il frutto di una radicale trasformazione del 1924, che ha inserito nelle mura difensive un severo ingresso, sovrastato dallo stemma dei Piccolomini. Al primo piano si aprono 5 finestre ad arco acuto, in marmo, risalenti all'età rinascimentale; l'originale ingresso al complesso si trovava sul lato est, protetto da un fossato con ponte levatoio, di cui restano i forti delle catene e il rivellino. Il cortile interno di grande bellezza, è occupato da un pozzo quattrocentesco, fiancheggiato da colonne con capitelli fogliati e intagliati, una bella scalinata in pietra conduce ai piani superiori; l'interno è stato ristrutturato nei vari interventi di recupero iniziati nel 1924, ed è sede di un museo civico della cultura locale. Vi si trova anche una copia della statua del guerriero Nevio Pompuledio, ritrovato nella campagna tra Capestrano e Ofena.
  • Torre Forca di Penne (Capestrano): si trova sopra i monti di Ofena, a confine con la provincia di Pescara. Esattamente posta nel valico omonimo, importante percorso tratturale Centurelle-Montesecco, tra le due province, la torre risale al XIII secolo, spiccando su un piano roccioso, circondata da membrature alla base, che testimoniano la presenza di un vero e proprio piccolo castello. La torre è alta 20 metri, a pianta quadrata, con tre aperture su una facciata, a testimonianza dei tre livelli interni in cui era divisa.

La Conca Peligna e Valle Subequana

Porta Napoli e Porta Filiamabili a Sulmona
  • Mura fortificate di Sulmona: è probabile che la cinta muraria originaria sia del III secolo a.C., quando Sulmona era la capitale dei Peligni italici, successivamente conquistata da Roma. Giulio Cesare nel 49 a.C. parla di Sulmona come una città fortificata, e il poeta Ovidio negli Amores ricorda "le mura dell'umida Sulmona". La città antica si strutturò più o meno come un castrum, con forma quadrangolare, composto da cardo e decumano. La cinta muraria altomedievale ricalcò l'area romana, e ne mantenne le dimensioni sino al XIII secolo. La parte romana abbracciava la zona di Campo San Panfilo e la parte del Corso Ovidio sino allo sbocco in Piazza Maggiore, le porte medievali erano 6, due alle estremità del cardo e quattro agli angoli del quadrato, e un ingresso secondario a occidente. Alle porte corrispondevano altrettanti distretti amministrativi, ossia i sestieri, i cui abitanti erano tenuti anche alla custodia, al mantenimento e al consolidamento dell'apparto difensivo.[39]Durante l'età sveva, Sulmona assunse il ruolo di capitale del Giustizierato d'Abruzzo (1233) fondato da Federico II, le prospere condizioni socio-economiche e la centralità geografica della città nel nuovo territorio abruzzese, favorirono l'ampio popolamento dell'antica città romana. Ben presto gli spazi urbani divennero saturi, e si iniziarono a occupare zone campestri fuori le mura sia a nord sia a sud, dato che l'espansione trasversale era impedita dai fiumi Vella e Gizio. Sorsero i borghi extraurbani di Porta Pacentrana, Borgo San Panfilo, Porta Filiamabili e Porta Sant'Antonio, che furono cinti di un nuovo perimetro murario, completato nel 1302 nella parte settentrionale. La città di Sulmona assunse un aspetto fusiforme che ancora oggi si conserva abbastanza bene, con nuove 7 porte aggiunte a quelle storiche, con l'aggiunta più avanti di Porta Saccoccia, presso Porta Orientale (o Pacentrana). Durante il regno di Alfonso I d'Aragona nel 1443 furono edificati dei torrioni angolari con muratura a scarpa, di cui rimane solo la torre presso Porta Iapasseri. Nel XVI secolo la cinta muraria iniziò a perdere importanza, anche se era ancora ben consolidata, come dimostra la carta geografica del Pacichelli. Il terremoto disastroso del 1706 e le succesisve ricostruzioni fecero cadere alcune porte, mentre più tratti di mura venivano inglobati nelle case civili.
Porta Molina

Benché è ancora ben leggibile l'impianto murario, le mura vere e proprie dell'epoca aragonese sono visibili solo in alcuni tratti, come a Porta Romana, presso la torre di Porta Iapasseri in via Circonvallazione Orientale, a Porta Pacentrana e dietro il convento di Santa Chiara, dove si trova il parcheggio multipiano. Delle sette porte che si aprivano nella prima cinta, rimangono solo 4, di cui la piùà conservata è Porta Filiamabili (o Filiorum Amabilis), risalente al Trecento nell'attuale conformazione, mentre gli altri accessi di Porta Bonomini e Porta Iapasseri sono scomparsi, e ne rimangono solo tracce degli stipiti. Delle 8 porte successive della seconda cinta, rimangono 6, tutte in buono stati di conservazione, e in uso, con l'eccezione di Porta Napoli, nel cui arco è stato posto un grande vaso per impedire l'accesso alle automobili. La torre a nord-est, presso Porta Iapasseri, è dell'epoca aragonese, composta da un bastione a scarpata, e di muratura in conci squadrati. Un'altra torre-bastione si trova a ovest, presso Porta Bonomini, edificata dal Duca di Calabria nel corso del sopralluogo alle fortificazioni del 1485. Le porte ancora in piedi sono: Porta Pacentrana - Porta Napoli - Porta Bonomini - Porta Filiorum Amabilis - Porta Sant'Antonio Abate - Porta Molina - Porta Romana - Porta Santa Maria della Tomba - Porta Saccoccia.

La torre maestra del castello di Pacentro
  • Castello Caldora Cantelmo e porte del borgo (Pacentro): : il castello si trova a quota 718 metri s.l.m., costituisce una delle strutture fortificate più belle e conservate dell'Abruzzo. Il suo ruolo è stato costantemente quello della difesa e del controllo del Morrone e della valle Peligna; le prime citazioni risalgono al Chronicon Casauriense nel 951 e poi nell'XI secolo. Dopo alcune opere di manutenzione volute da Federico II di Svevia, nel XIV secolo il castello passò ai Caldora, e di conseguenza nelle mani di Jacopo, che lo trasformò nella struttura attuale, irta di torri di controllo e fossato con cinta muraria. Vennero innalzate le tre torri interne, anche se quella di nord-est priva delle classiche merlature a sbalzo, è probabilmente precedente, e l'altra successiva al 1418, fu realizzata durante il completamento della difesa esterna, con la costruzione dei bastioni cilindrici angolari.[40]La pianta del castello non è perfettamente rettangolare e rispetta l'esigenza, caratteristica delle fortezze di mezza costa, di arroccare la costruzione in maniera da avere il pendio montano sulle spalle. La struttura presenta una doppia cinta muraria, quella interna più antica e più deteriorata, quella esterna più recente e decisamente meglio conservata, con delle torri cilindriche angolari. Diversi sono gli stemmi posti sul complesso, quasi tutti difficilmente leggibili, e quello migliore è degli Orsini sulla torre sud-ovest; tali stemmi sono disposti lungo un muro interno. Il castello fu infatti, dopo i Caldora-Cantelmo, proprietà di vari signori, dei quali l'ultima famiglia fu quella dei Barberini di Roma. Nel 1957 il castello andò al Comune, che lo restaurò e lo rese fruibile al pubblico, dopo il consolidamento di alcune parti nel 1964, e la ripulitura delle torri nel 1974. Tali restauri sono stati giudicati troppo invasivi, perché per alcune parti, per tenerle in piedi, si è usato del cemento armato a vista. Dagli anni '90 sono iniziati altri restauri per consentire la fruibilità di tutte le torri (oggi solo una è accessibile), aprire i passaggi delle scuderie, dei saloni e dei sotterranei. Una grande sala, forse in origine cappella privata, è usata come museo del castello.
  • Porta Mulino: è la porta principale di accesso, dal campo dei Mulini, esistente già dal XIII secolo. L'area circostante all'interno ed esterno delle mura, fu luogo di riscossione dei dazi e centro di lavorazione per la presenza dei mulini. Uno di questi era ancora esistente, distrutto nel 1943 dai tedeschi. Presso la porta, che ha arco ogivale con federa incorniciata, si trova la "pietra Tonna", grossa pietra incavata usata per la misura del tomolo, e venne ribattezzata "della Vergogna", perché i debitori venivano fatti sedere nudi sulla pietra davanti ai passanti, in forma di pubblica umiliazione. Una leggenda vuole che la pietra fosse anche il luogo di ritrovo delle streghe nelle notti sabbatiche.
  • Porta della Rosa: è stata così chiamata in onore della famiglia Orsini, la cui rosa dello stemma mostra cinque petali. Lo stemma raffigura uno scudo che mostra l'arco di pietra con appunto la rosa degli Orsini, ed era l'ingresso alla contrada della Madonna di Loreto, ossia il punto di congiungimento di Fondo Vallone con Piazza del Popolo.
  • Porta della Rapa: si trova all'estremità orientale di via Colle, punto di ingresso al borgo Caldora delle mura medievali. La porta fu restaurata nel 1550, come testimonia la data, con lo stemma della rosa degli Orsini. Costituiva l'accesso principale alla contrada Colle, che si estende dal Casarino fino alla porta.
Castello di Pettorano sul Gizio
  • Castello Cantelmo e porte del borgo (Pettorano sul Gizio): concepita come una delle principali fortezze della valle Peligna, la costruzione risale all'XI secolo durante il governo normanno, dipendente dalla diocesi valvense. Nel secolo successivo il castello fu di proprietà di Oddone da Pettorano, più avanti nel XIII secolo degli Svevi, e infine dei Cantelmo di Popoli, con il matrimonio di Amile d'Agoult con Giovanna di Odorisio da Ponte. Danneggiato dal terremoto della Maiella del 1706, il castello divenne residenza signorile, e gli ultimi proprietari lo cedettero al comune nel 1977. Il castello ha pianta circolare irregolare, scandito agli angoli da robuste torri cilindriche, tranne una porzione che è stata demolita per le case civili. Di epoca normanna è il torrione centrale a pianta poligonale, mentre le altre due torri minori circondano la muratura a scarpa a ovest. Il sistema difensivo è quello della muratura a sacco, con paramento esterno in pietra sbozzata e malta di calce. Il castello era inoltre decorato dagli stemmi gentilizi e da mobili settecenteschi, il tutto saccheggiato all'inizio del '900, quando il castello fu abbandonato.
Veduta di Roccacasale, sovrastata dal castello
    • Castello Rocca Valleoscura (Rocca Pia): il paese di Rocca Pia, già Rocca Valle Oscura, si trova al confine della valle del Gizio con la conca Peligna, e a sud con l'altopiano delle Cinquemiglia. Il nome subì vari cambiamenti: nel 1815 dopo la conquista francese del castello, il paese divenne Rocca Letizia in onore di Letizia Bonaparte, madre di Napoleone, e anche se il re Ferdinando II delle Due Sicilie annullò tale decreto, fino al 1860 continuò a essere chiamato così. In quest'anno il re Vittorio Emanuele II, in visita nell'Abruzzo per raggiungere Pescara, cambiò il nome nel definitivo Rocca Pia, in ricordo della principessa Maria Pia di Savoia. Le origini di Rocca Valle Oscura risalgono all'alto Medioevo: la prima attestazione di un sito abitato risale a un diploma dell'876 d.C., ossia Guio duca di Spoleto, concesse la chiesa di San Marcello in Florina, presso la rocca, ai monaci dell'abbazia di San Vincenzo al Volturno, che aveva numerosi feudi nell'alto Sangro. Dunque Florina era il primo nome del paese, che successivamente venne fortificato con un castello. Nel XV secolo il paese i sviluppò più a valle con un secondo nucleo fortificato, ancora oggi visibile, nominato quartiere Castelluccio, e infine nel XVIIi secolo il paese scese ancora, espandendosi attorno alla parrocchia di Santa Maria Maggiore. I resti dell'antico castello si trovano sopra l'altura che sovrasta il Castelluccio, e consistono in un recinto a pianta poligonale con alcune torri a scarpa sopravvissute, inclusa la torre maestra, mozzata.
  • Castello De Sanctis (Roccacasale): situato alle pendici del Monte Morrone, in forte pendenza, il castello domina la strada che collega Popoli a Sulmona, nonché il borgo sottostante. La leggenda narra che il castello venne costruito nel 925 d.V., per volontà del Conte di Spoleto per sbarrare la strada agli invasori Saraceni, che muovevano verso l'alto Sangro e l'altopiano delle Cinquemiglia. Dal XV secolo sino al XVII secolo appartenne alla famiglia Cantelmo di Popoli, e poi ai baroni De Sanctis, che lo ebbero in feudo sino al 1803, anno in cui il castello fu preso d'assedio dalle truppe di Duhesme durante l'invasione francese, e la resistenza disperata dell'abruzzese Giuseppe Pronio, comandante delle truppe filoborboniche. Il castello è costituito da un recinto triangolare, tipico delle prime fortificazioni abruzzesi della piana di Navelli e dell'Aterno, al cui vertice nord campeggia la torre-puntone, posta a protezione degli attacchi dall'alto, oggi parazialmente crollata. Lungo il lato della valle si affaccia il borgo medievale, con i resti di un grande palazzo baronale, che testimonia la perdita d'importanza del castello nel corso del XVII secolo, poiché lo stesso procedimento avvenne con la rocca di Popoli, abbandonata dai Cantelmo con l'edificazione del palazzo ducale nel centro cittadino. Il castello di Roccacasale all'interno conserva cisterne, fondamenta, tracce di casermette, riportate alla luce con i restauri del 1994-96, che hanno recuperato una grande porzione, che dal 2004 è stata adibita a Museo permanente delle Tradizioni Contadine locali.
Torre dell'orologio a Raiano
  • Torre dell'orologio di Raiano: il paese risale al IX secolo, come testimonia un documento sugli insediamenti franco-longobardi nella valle Peligna. Nell'872 era noto come Castrum Radiani, nel 1047 appartenne ai castelli in possesso dell'abbazia di San Clemente a Casauria, con diploma di Enrico III; nel 1162 Roberto di Bassavilla conye di Loritello, padrone di Raiano, fu dichiarato ribelle e sostituito dal conte Gilberto di Gravina in Puglia. Nel 1294 vi transitò il corteo del frate Pietro da Morrone in direzione de L'Aquila per essere incoronata Papa Celestino V. Nel 1208 si compirono saccheggi da parte di Raimondo de Sangro, e nel 1337 il paese fu feudo per molti secoli della famiglia Cantelmo di Popoli. Raiano non era dotata di un vero e proprio castello, ma di un sistema di torri difensive, di cui rimane solo una, addossata a un palazzo ottocentesco. La torre ha pianta circolare, in conci di pietra irregolari, con base a scarpa, e il lato rivolto verso la piazza è stato ornato nell'800 con un orologio e cella campanaria per battere le ore.
  • Eremo-fortezza di San Terenziano (Corfinio): si tratta di una chiesa fortificata che sorge fuori l'abitato. Le prime notizie sul complesso risalgono al 1323 e riguardano il pagamento delle decime, mentre due secoli più tardi, nel 1522, l'eremo viene nominato insieme alle altre chiese di Corfinio nella bolla del vescovo De Rusticis, mentre nel 1819 ci fu una visita pastorale del vescovo Tiberi. La chiesa è inclusa in una fortezza quadrata a diversi piani abitativi, nella parte esterna c'è un piccolo orto, riserva alimentare per coloro che praticavano la vita ascetica; la struttura nella parte retrostante si affaccia sul precipizio. Le dimensioni del complesso sono notevoli: 18x17 metri, al piano terra la pianta è quadrata, con angoli smussati, a croce greca, i cui bracci sono separati da tratti di mura decorate con lesene e capitelli fitomorfi. Una scala consente l'accesso al piano superiore, anch'esso caratterizzato da ambienti riservati al dormitorio, mentre un'altra permette l'accesso al piano dell'organo. Il lungo stato d'abbandono della chiesa ha consentito che perdesse gran parte degli arredi e dei dipinti: oggi rimangono degli angeli in stucco sull'altare centrale, l'ambiente inferiore è scavato direttamente nella roccia, la parte più antico della chiesa. Due sono i vani, collocati a una quota superiore rispetto a quella del pavimento: essi sono scavati nella roccia, rispecchiando lo stile di vita medievale degli eremiti. Sono coperti da volta a botte, accanto a questi c'è una terza stanza, realizzata in muratura, e posta sopra una cisterna.
Castello degli Scorpioni-Di Sangro a Bugnara
  • Torre del castello di Introdacqua: si trova alle pendici del Monte Plaia, nella parte più alta del borgo, eretta come fortificazione di avvistamento. La torre ha base quadrata, potenziata da una robusta cinta poligonale che la circonda, formando una scarpata. La cinta muraria, aggiunto forse in un secondo momento, possiede un'apertura sormontata da un arco, e dagli incassi murari che accoglievano i bolzoni a sostegno dell'antico ponte levatoio. Lo spazio anulare fra la torre e le mura è assai contratto, cosicché il fortilizio risulta dai due elementi, e non può essere collegato ai castelli-recinto dell'Abruzzo. In un secondo momento presso la torre furono scavate le feritoie per le bocche da fuoco.
  • Castello Degli Scorpioni (Bugnara): si trova nella parte alta del borgo, detta Rocca Scorpione o Colle San Nicola. Fu edificato nel VII secolo circa come torre di avvistamento, e più avanti venne fortificato come un vero palazzo del potere. Nel 1361 appartenne alla famiglia De Sangro, che aveva i feudi di Anversa degli Abruzzi, Frattura Vecchia, Palena. Nel 1442 venne istituita da re Alfonso la regia dogana aragonese che portò al castello di Bugnara notevoli introiti. Nel XVI secolo il castello passò agli Scorpioni di Penne, da cui il nome attuale. Venne danneggiato dai terremoti del 1706, del 1933, da quello della Valle di Comino del 1984, per cui venne dichiarato inagibile e abbandonato, fino ad altri danni provocati nel 2009. Il castello oggi conserva poco della struttura medievale, perché con gli Scorpioni fu trasformato in residenza gentilizia, e solo le parti laterali mostrano la muratura a scarpa, con tracce di torri circolari. Il palazzo ha pianta rettangolare, con bastioni di fortificazione, e un accesso al cortile interno, che permette l'ingresso alla struttura vera e propria. Nel 2018 sono stati stanziati dei fondi per il recupero.
Porta da Piedi a Vittorito
  • Palazzo Castellato (Campo di Giove): si trova in Largo Castello, costruito nel XVI secolo sopra l'antico castello. L'ingresso principale è costituito da un portale in pietra con arco a tutto sesto, sovrastato da una nicchia che accoglie una figura antropomorfa, elemento originario, così come lo sono le finestre a coronamento orizzontale del primo piano. Inequivocabilmente cinquecentesca è la loggia situata all'ultimo piano, che si apre sulla piazza. Presenta 4 fornici con archi a tutto sesto e semplici capitelli cubici. Il castello si trova nella parte più alta del paese, che si eleva sopra una roccia, e conserva poco della pianta originaria, probabilmente ellittica, come dimostra lo spicchio meglio conservatosi, poiché il resto si fonde con le case del borgo antico. Da sinistra si collega al Palazzo Ricciardi, sede del municipio del paese. Fu abitato principalmente dalle famiglie Cantelmo e Caldora.
  • Torre e Porta da Piedi (Vittorito): costituiscono la parte alta del borgo vecchio. Esso si è sviluppato da una principale torretta quadrata semidiroccata che sorge sopra lo spuntone di roccia, risalente all'XI secolo e di proprietà dei Conti di Valva. Nel XIV secolo il borgo si sviluppò più a valle, con una serie di palazzi che sono stati ricavati dall'antica struttura, forse cilindrica, del castello, con la grande Porta da Piedi. Sopra questa porta è stato ricavato un orologio civico con campane.

La Marsica e Valle Roveto

Il castello Orsini prima del terremoto del 1915
  • Castello Orsini-Colonna (Avezzano): il castello di Avezzano è certo uno dei monumenti fortificati più significativi dell'Abruzzo, malgrado le trasformazioni e le devastazioni che ha subito, presentando al caratteristica forma quadrangolare e l'aspetto quattrocentesco dei castelli romano-viterbesi, risaltato dalle torri angolari a scarpa con merlature sulla sommità. Significati in modo particolare dovevano essere le fini accortezze costruttive del torrione difensivo originario, costruito nell'XI secolo con pietre lavorate in conci squadrati, incastonati con precisione, come le pietre presenti nell'arco a sesto acuto d'ingresso, vicino alla quale si osserva il portale del 1565, ricostruito dai Colonna con le ristrutturazioni del maniero, con pietre lavorate e sfaccettature in rilievo troncopiramidali, che sostengono un arco a forma di trapezio, sulla cui pietra centrale è collocato l'emblema della famiglia Colonna[41], che si contrappone alla bestia degli Orsini, che edificarono il castello. La fortezza fu costruita nel 1490 da Gentile Virginio Orsini, come testimonia l'iscrizione sulla lapide del portale, dove si trovano i buchi delle catene dell'antico ponte levatoio, incorporando la preesistente torre di avvistamento, che fino al 1915 era ancora in piedi, collocata al centro del castello. La torre sarebbe stata costruita nel 1182 dal signore di Avezzano Conte Gentile di Palearia e di Celano dei Berardi; lo sviluppo della tecnica d'assalto, con l'utilizzo sempre più frequente d'artiglieria, fece diventare la rocca inefficiente, cosicché i successivi feudatari, i Colonna nella persona di Marcantonio, realizzarono l'attuale fortezza quadrata con torri. Si presume che Marcantonio avesse ricostruito anche la cinta muraria di Avezzano, che abbracciava tutto il perimetro dell'area storica, con mura interrotte da torri merlate di guardia, e porte di accesso. La cinta abbracciava l'area della vecchia chiesa di San Bartolomeo, di cui oggi resta una colonna dopo la distruzione del 1915, la vecchia Piazza Vittorio Emanuele III, l'area del castello stesso con la vicina chiesa di San Giovanni Decollato, l'area di via XX Settembre e via Mattei, dove si trovavano palazzi seicenteschi, i monasteri di Santa Caterina da Siena e San Rocco, la chiesa della Santissima Trinità, e le due porte di San Francesco, presso il castello, e di San Rocco, dalla parte opposta.
La città di Avezzano intorno al 1830

Tutto il centro antico di Avezzano il 3 gennaio 1915 fu letteralmente azzerato, con la distruzione di tutti gli edifici, meno il portale di San Bartolomeo, il castello, seppur gravemente danneggiato, e la chiesa di San Giovanni, fondata nel tetto. La famiglia Colonna entrò in possesso di Avezzano nel 1520 e lo mantenne per gli ultimi trent'anni del secolo, realizzando i loggiati, rimpiazzando il fossato con un giardino. Dopo il terremoto del 1915 che distrusse tutto l'interno del castello con la torre antica, mozzando le altre quattro, altri danni ci furono con i bombardamenti del 1944. Fino agli anni '70 il castello rimase abbandonato, quando avvenne un drastico processo di recupero, che portò la fortezza a essere sede della Pinacoteca d'Arte Moderna.

Il castello di Avezzano oggi

Il castello ha pianta quadrangolare, il suo carattere difensivo è ancora ben leggibile nell'alto basamento scarpato, negli angoli rinforzati dalle torri munite di bocche da fuoco, nell'ampio fossato oggi giardino pubblico. Nel prospetto principale sono ubicati due accessi, il primo ad arco acuto realizzato dagli Orsini nel 1490, il secondo del 1565 dei Colonna, decorato da bugne a punta di diamante, sormontate da architrave trapezoidale scolpito a bassorilievo, con due orsi rampanti, simbolo degli Orsini, che offrono rose allo stemma centrale dei Colonna. In alto la fortezza si concludeva con un coronamento in apparato sporgente di merli e beccatelli, così come la sommità delle torri, di cui rimangono porzioni superstiti, a causa del terremoto del 1915. Quando il castello nel XVII secolo perse la funzione militare, furono creati all'interno delle mura dei corpi di fabbrica per essere adibito a funzioni abitative del signore feudatario, e prima della distruzione tellurica era un rinomato albergo della città. Lo spazio interno è stato completamente distrutto e trasformato in forme moderne per essere adibito appunto a pinacoteca e a spazio eventi culturali.

Castello Piccolomini e borgo di Celano
  • Castello Piccolomini (Celano): si trova in posizione dominante, in cima all'abitato, sulla piana del Fucino. Pe ril suo impianto compatto ed elegante, le sue caratteristiche dello stile, costituisce una presenza originale nell'Abruzzo marsicano, rappresentando le varie fasi di passaggio da castello duecentesco al castello quattrocentesco dei Piccolomini con aspetto di residenza signorile. Il castello in origine era una torre di controllo dei Longobardi, successivamente ampliato dai Conti dei Marsi o Berardi nel XIII secolo, che posero la sede del potere a Celano, controllando una vasta parte della Marsica. Il castello, dopo la distruzione di Federico II di Svevia, venne ampliato nel 1392 sempre di Berardi, che edificarono la poderosa cinta muraria con torri rompitratta, in seguito i rimaneggiamenti furono proseguiti dal Conte Leonello Acclozamora nel 1451, quando la dinastia dei Berardi si era estinta, che realizzò il piano nobile del castello e le quattro torri angolari, conferendo l'aspetto attuale alla struttura. Il castello in quel periodo appartenne ad Antonio Piccolomini, che prese possesso di tanti altri forti nella Marsica, come Pescina dei Marsi, Ortucchio, Balsorano Vecchio, e nel XVII secolo fu venduto ad altre famiglie, che vi stabilirono la sede del potere feudale sino al 1806. Il terremoto del 1915 ha gravemente sfregiato il castello, con il crollo di alcune torri, la distruzione dl chiostro interno, e con il successivo abbandono sino agli anni '60, quando venne restaurato completamente, poiché il primo progetto di recupero fu interrotto dallo scoppio della seconda guerra mondiale.
Il borgo di Albe Vecchia con il castello Orsini, in un disegno ottocentesco di Edward Lear

Oggi il castello ospita il Museo d'arte sacra della Marsica, con reperti storici provenienti dalle più importanti chiese della conca del Fucino, nonché pezzi di edifici religiosi oggi non più esistenti, in gran parte a causa della distruzione del 1915. Il castello ha pianta rettangolare, con lati più lunghi rivolti a nord e sud, e un monumentale ingresso sormontato dallo slanciato portale ogivale. All'interno di prgio è il cortile con pozzo centrale, circondato da quattro lati da un doppio portico ad arcate, che si ripetono nei loggiati superiori. Il maschio è circondato da cinta muraria ad andamento irregolare, potenziata da torrette a pianta quadrata e torrioni conici. Le torri angolari del castello mostrano in chiaro aspetto rinascimentale-medievale, con finestre bifore gotiche, e merlature e beccatelli tipici del tardo Quattrocento.

Il castello Orsini di Albe oggi
  • Castello Orsini (Alba Fucens): i resti dell'antico paese di Albe Vecchia e del castello Orsini, risalgono alla fortificazione del presidio della famiglia Orsini dopo il 268, anno in cui l'antico feudo dei Berardi passò a questa famiglia. Il castello era la seconda sede del potere della famiglia dei Marsi, dopo Celano, che edificarono sul Monte Pettorino di Albe il castello, insieme al borgo. Nel 1268 il paese assisté al tentativo di Corradino di Svevia di riprendersi il regno di Sicilia contro Carlo I d'Angiò, nella famosa battaglia di Tagliacozzo. Carlo I vinse, e si vendicò contro i Berardi, che avevano appoggiato lo Svevo, usurpando il potere della Contea di Albe.Il castello venne saccheggiato e depotenziato, fino al 1441, quando gli Orsini ricostruirono la roccaforte. Nel XVI secolo dopo un periodo di abbandono, il castello passò ai Colonna, che conquistarono la Marsica, ma non ritornò più allo splendore dei Berardi, data l'isolata posizione sopra cui si ergeva. Il castello subì una lenta fase di declino per tutto il Settecento e l'Ottocento, fino al terremoto del 1915, che lo danneggiò seriamente. Nel 1944 fu presidio del comando tedesco, che cercava di bloccare l'arrivo americano nella Marsica, e subì alcuni bombardamenti. Ridotto allo stati di rudere, nel 2000 venne parzialmente restaurato, anche se però il maniero ha perso tutta la bellezza di un tempo, insieme a gran parte del borgo di Albe Vecchia. Il castello ha una pianta rettangolare e sono ancora visibili tre lati del perimetro murario, con due torrioni circolari a scarpa, gli angoli nord e sud, e i resti di una torre quadrata a ovest, che era decorata da beccatelli quattrocenteschi. Il portale, ancora conservato, presenta arco a sesto acuto, che rievoca i fasti trecenteschi, con l'aggiunta posteriore di una scarpa esterna del Quattrocento.
Castello di Balsorano
  • Castello Piccolomini (Balsorano): il castello risalirebbe all'XI secolo, primo feudatario accertato fu un vassallo della corona di Napoli. Appartenuto anche alla famiglia Berardi di Celano, nel 1465 la contea di Celano fu assegnata a papa Pio II Piccolomini che con l'aiuto del nipote Antonio e del re Ferrante I rifortificò i principali presidi della Marsica, incluso quello di Balsorano Vecchio. Ad Antonio Piccolomini successero Alfonso conte di Celano e barone di Balsorano, Innico Piccolomini, la cui unica erede Costanza si sposò con Alfonso V Piccolomini, suo cugino, che nel 1572 vendette l'intera ex contea di Celano a Giovanni Carlo Silverio Piccolomini.[42]

Nel 1700 la famiglia napoletana si estinse, e il castello passò sotto il potere del barone Testa, insieme a Celano, fino a quando il feudo di Balsorano nel 1850 fu venuto al francese Carlo Lefebvre, fondatore dell'industria meccanica della valle del Liri nel 1854. Dopo la sua morte, il castello passò al figlio Ernesto, e poi al nipote Illan de Toledo de Casafuerte, che si adoperò per abbellire la fortezza in stile neogotico. Il terremoto del 1915 distrusse l'abitato di Balsorano Vecchio, danneggiando anche il castello, che perse la torre maestra, ma venne restaurato grazie al Commendator Ettore Zannelli, che lo acquistò. Il castello oggi è sede di albergo e ristorante, ha pianta pentagonale irregolare, con poderose torri di guardia a pianta circolare con base a scarpa, e sommità merlata. L'intera struttura poggia sul Monte Cornacchia, in affaccia sulla Valle Roveto, a confine col Lazio reatino. Verso la facciata il rettangolo ha un breve lato, mentre i due lati e quello posteriore mostrano un aspetto trapezoidale, i lati sono divise da bastioni imponenti, e poi da un cornicione marcapiano. Le finestre del primo settore sono bifore, mentre le altre monofore. La copertura del tetto è in tegole classiche, e coprono la parte dove sorgeva il grande torrione di guardia. L'entrata è costituita da una cinta muraria restaurata, che avvolgeva il castello. Si accede da un arco e si giunge al castello vero e proprio, con un portale semplice ornato da loggia belvedere. L'interno è stato abbellito in stile rinascimentale-neogotico, con arazzi e armature d'epoca. Interessante è la sala delle cerimonie con arazzi cinquecenteschi e affreschi con i blasoni dei vari feudatari del castello. Una seconda sala è arricchita da caminetto in pietra con i alti affrescati con armi da guerra. Di pregio è anche la privata cappella Piccolomini, a navata unica, in stile quattrocentesco, con affreschi ritraenti figure geometriche, le croci di Cristo con sfumature in blu lapislazzuli e giallo ocra. L'altare si trova presso l'abside con finestre a tutto sesto, e decorazioni a raggi solari.

Affresco rinascimentale dentro il castello di Morrea
  • Castello Piccolomini di Morrea (San Vincenzo Valle Roveto): il castello ha alle spalle molti secoli di storia. Il primitivo fortilizio è stato realizzato dai conti Berardi nel XII secolo per rafforzare il presidio di Morrea, già dotato di fortificazioni. Il borgo, ben fortificato, è stato per anni sito di interesse per vari signori, che cercarono di attaccarlo, insieme anche ai briganti. Il castello fu conquistato dai Normanni nel 1143, e Morrea passò alla giurisdizione della Contea di Albe fino al 1463, quando fu inserita nella baronia di Balsorano sotto il governo dei Piccolomini, che ebbe il castello fino al XVII secolo. Sotto questa famiglia, il castello perse la funzione militare, e divenne una dimora gentilizia, come dimostrano gli affreschi interni, e il corpo principale, ornato di un loggiato cinquecentesco. Dopo i Piccolomini, il castello andò al barone Testa, la cui famiglia lo possedette sino al 1806. Gli ultimi proprietari del castello furono i De Caris, e la fortezza venne abbandonata dopo il terremoto del 1915, e nel 1944 rischiò la distruzione per i bombardamenti alleati. La pianta è rettangolare, presentando quattro torri angolari, e un corpo centrale a forma di palazzo rinascimentale. L'ingresso è segnato da un monumentale portale in pietra ad arco ogivale, e oltre si trova un giardino con piccola corte e loggiato, con finestre arcuate. Gli interni sono riccamente affrescati, con volte circolari; al piano terra si sale una scalinata con pareti affrescate, alla loggetta si trovano affreschi con figure umane, forse i membri del casato Piccolomini. Al piano superiore ci sono i soffitti a cassettone, rivestiti di un'antica carta stampata a mo' di stoffa, dipinta a fiori. Nelle stesse sale si trovano grandi caminetti per riscaldare il castello.
Torre Febonio di Trasacco
  • Torre Febonio (Trasacco): così chiamata per essere appartenuta a Muzio Febonio, illustre storico della Marsica, vissuto nel Seicento. La torre è alta 27 metri, a pianta quadrata, con la parte terminale a forma cilindrica, innalzata nell'XI secolo circa come presidio di avvistamento. La prima struttura di base, che si erige per circa un terzo dell'altezza totale della torre, ha semplice feritoie, dalla tecnica muraria molto grossolana, che alcuni studiosi fanno risalire all'epoca romana. Probabilmente sarebbe il palazzo imperiale fatto erigere dall'imperatore Claudio per Messalina quando venne nella Marsica per prosciugare il lago Fucino. La torre però esisteva certamente all'epoca dei Franchi e dei Normanni, quando nella Marsica governavano i Berardi di Celano. Infatti il Chronicon Farfense del X secolo parla di una torre di villa Transquas (antico nome di Trasacco), dicendo che nel 970 la torre era sede del capitano di Giustizia. La parte mediana, caratterizzata da cortina a blocchetti squadrati, dalle aperture bifore, dai merli rettangolari impostati a filo, risale al Mille, l'ultima parte a forma circolare, poggiante sulla struttura sottostante a forma di parallelepipedo, con apparato a sporgere superiore dotato di beccatelli e mensoloni, tipico dell'intervento rinascimentale degli Orsini, è senz'altro posteriore al XV secolo. Dunque la famiglia Febonio possedette la torre più avanti nei secoli. Il terremoto del 1915 danneggiò la parte superiore, facendo crollare parte della merlatura, ma i restauri successivi hanno permesso di rendere la torre agibile e visitabile.
  • Torre delle Stelle (Aielli Alta): si tratta di una torre di controllo del XIII secolo edificata nella parte più alta di Aielli. Rimasta intatta anche dopo il terremoto del 1915, venne recuperata con l'istituzione di un osservatorio astronomico con museo annesso. L'osservatorio ha un telescopio MEADE da 10", il museo planetario è in grado di proiettare 600 stelle su una cupola di 3 metri di diametro e due posizioni computerizzate per la visione di animazioni e simulazioni inoltre, fanno parte del museo vari globi, una mostra fotografica, orologi solari e strumenti ottici. La torre ha pianta circolare, dotata di feritoie, ed è in pietra concia irregolare.
Torre normanna di Collarmele
  • Torre di Collarmele: fu edificata dopo la battaglia di Tagliacozzo, nel 1297, quando l'abitato fu cinto di torrioni di difesa. La torre è alta 18 metri, con diametro di 9, presenta feritoie su tutte le direzioni che servivano a scagliare frecce sul nemico. La sua posizione a sud dell'attuale centro non è causale, ma rispetto un piano di allineamento con la torre di Aielli, il castello Piccolomini di Celano e altre fortificazioni, in modo da avere maggior possibilità di comunicazione durante gli attacchi. La torre è rimasta intatta, nonostante i grandi terremoti del 1703 e del 1915, ed è stata restaurata divenendo sede della Pro loco di Collarmele, con l'allestimento di un presepe artigianale permanente. Ha pianta circolare, ed è stata realizzata in conci di pietra tagliata e ben squadrata.
Torre di Sperone vecchio tra le rocce
  • Torre di Sperone Vecchio (Gioia dei Marsi): la torre, forse facente parte di un antico castello, risale alla seconda metà del XIII secolo, quando i conti Berardi di Celano rafforzarono il sistema difensivo della Marsica orientale, costruendo baluardi militari lungo le vie di accesso alla contea. Posta a 1240 metri su.l.m., la torre guarda verso il Fucino, con uno spettacolare panorama sulla vallata. Il vecchio paese di Sperone, oggi nel comune di Gioia dei Marsi, si trova appena sotto la torre, ed era composto di case in pietra, calce e architravi di legno. Fino agli anni '70 nel paese mancava ancora l'energia elettrica e le fonti di luce erano date ancora dalle fiaccole e dalle lanterne a olio, mentre la mancanza di rete idrica faceva sì che l'acqua dovesse essere attinta dalle fonti. Il borgo vecchio di Sperone venne quasi distrutto dal terremoto del 1915, il cui epicentro si presume fosse localizzato proprio nei pressi di Sperone, e dei baraccamenti vennero costruiti più a valle, prendendo il nome di Sperone Nuovo. Benché il paese fosse stato ricostruito, continuava a mancare delle risorse di prima necessità, come ad esempio la scuola e la chiesa, perché il maestro doveva salire a piedi da Gioia, così come il parroco, una volta alla settimana. La strada asfaltata fu realizzata nel 1951, per permettere un collegamento più semplice con Gioia, la centralina telefonica venne inaugurata nel 1963; da una parte la tecnologia arrivò nel paese portando benefici, dall'altra favorì l'emigrazione. Il borgo di Sperone Vecchio oggi è abbandonato, ma meta di turismo, al pari del borgo vecchio di Rocca Calascio, mentre la popolazione si è trasferita a Sperone Nuovo.
La torre di guardia

Nel 1985 si restaurò la vecchia chiesa di San Nicola a Sperone Vecchio, in occasione della festa patronale, e ogni anno si svolge un pellegrinaggio al borgo abbandonato, fino alla torre. Questa torre ha pianta circolare, in blocchi di pietra irregolare, con delle feritoie per scagliare le frecce, e tettoia superiore per le sentinelle. Il terremoto del 1915 la danneggiò nella parte di base, facendo crollare della muratura, tanto che la torre rischiò più volte di collassare, fino al definitivo restauro. Una leggenda vuole che il vecchio duca feudatario dei Berardi, custodisse nella torre un serpente bianco portato dall'Oriente durante la seconda crociata, con cui uccideva i giovani fidanzati delle spose di cui voleva approfittare. In questo modo il duca faceva in modo che i giovani uccisi, non avrebbero ostacolato la sua pratica dellius primae noctis. Tale leggenda è nata con il ritrovamento di una fossa comune piena di armi, dove probabilmente erano gettati i nemici che attaccarono Sperone.[43]

  • Torre di Bisegna: si trova nel cuore del borgo antico, ha pianta triangolare, con spigoli in tagliato, e si imposta direttamente su uno spuntone di roccia affiorante. Presenta un portale arcuato inserito posteriormente sul lato S, a livello dell'attuale pavimentazione. La torre ha una muratura omogenea, con blocchetti di medie dimensioni, posti in filari orizzontali regolari. Gli angoli sono realizzati con blocchi più grandi, posti in opera alternativamente di testa e di taglio. Risale al XII secolo.
Castello Orsini e chiesa di Santa Maria della Vittoria
  • Rocca Orsini di Scurcola Marsicana: il castello si trova nella parte parte più alta, accanto alla chiesa di Santa Maria della Vittoria, e domina l'ingresso della valle del Salto, dell'Imele e dei Piani Palentini di Tagliacozzo. Rappresenta un originale esempio di architettura fortificata al confine della Marsica, e rispecchia le varie fasi edificatorie che lo hanno interessato. Secondo le indagini archeologiche, il castello risale all'epoca del passaggio di Federico II di Svevia, quando era una torre pentagonale, innalzata dai nobili De Pontibus. Nel Quattrocento il castello andò in mano gli Orsini di Avezzano, che modificarono la struttura trasformando il castello-recinto in modo da fargli assumere la connotazione attuale, con alcuni ritocchi dei successivi possessori Colonna. Prima del terremoto del 1915, il castello, come quello di Avezzano, era dotato di tettorie a pagoda, e di belle merlature quattrocentesche sulle sommità delle torri, successivamente distrutte. L'edificio si presenta in sostanza come una rocca a pianta triangolare isoscele, dotata di due torrioni minori cilindrici a oriente, e un massiccio puntone semi-ellittico a ovest, la parte più antica, che ingloba la torre duecentesca. Sui tre lati sono ancora visibili gli elementi militari, come le bombardiere con apertura a strombo. L'architetto chiamato dagli Orsini (Gentile Virginio) per l'adeguamento del castello sarebbe stato Francesco Di Giorgio Martini, nel momento in cui gli Orsini si apprestavano a riadattare anche le rocche di Campagnano e Bracciano. Il linguaggio architettonico del fortilizio è profondamente legato ai dettami riportati da Francesco Di Giorgio nei suoi trattati: la pianta triangolare, la difesa di casermette, le proporzioni della piccola rocca, il bastione maggiore semi-ovato. Dopo il terremoto del 1915, il castello rimase per molti anni abbandonato, fino a quando i cittadini di Scurcola si adoperarono nel 1997 con un fondo per il suo recupero, avvenuto soltanto all'esterno, poiché nuovi fondi sono stati sbloccati nel 2017, per l'adeguamento dell'interno, al fine di rendere la rocca perfettamente fruibile.
Il castello di Ortucchio
  • castello Piccolomini (Ortucchio): rappresenta una struttura fortificata unica nella Marsica, tra le meglio conservate della conca Fucense insieme al castello di Celano. Il suo impianto fu determinato dalla presenza dell'isolotto di Ortucchio, che allora sporgeva dall'acqua del lago Fucino, edificato sul Colle Sant'Orante, dal nome della chiesetta, con la sua forma ovale. Si ipotizza l'esistenza di un centro fortificato italico di piccole dimensioni, chiamato Ocri, e poi nell'epoca romana Ortucla. Tali ipotesi sono state avvalorate dal ritrovamento di strutture architettoniche presso la chiesa di Sant'Orante e frammenti di selce e punte di lancia del III secolo a.C.
Ortucchio nel 1860, in vista l'isolotto sul lago Fucino, con la chiesa di Santa Maria e la torre maestra del castello

A partire dal 987-822 d.C. il Chronicon Farfense cita la presenza della chiesa di Santa Maria in Ortucchio (oggi Sant'Orante), nel XIII secolo i Conti dei Marsi sentirono la necessità di edificare una torre pentagonale, con piccolo recinto a triangolo per proteggere l'isola da attacchi, e anche per sorvegliare, data la posizione strategica, i traffici lacustri del pesce. La torre oggi è il mastio del castello Piccolomini, trasformata a pianta quadrata, con scarpa alla base e apparato sporgente per il tiro piombante. La torre lacustre, simili ad altre nella conca del Fucino, come quelle di Casanova-Paterno, Avezzano-Luco dei Marsi, favorì il concretizzarsi di un feudo consistente, poiché l'abitato si sviluppò più a valle. La torre fu divisa dal paese con l'intervento del Conte Pietro di Celano e Lionello Acclozamora[44], creando un fossato, realizzando un recinto quadrato dotato di torri a U, similmente come fu fatto per il castello di Celano. Al castello sono aggiunte difese laterali ricavate sui bordi longitudinali dei fossati nord e sud, con ampie grandi ali di fabbricati e basso muro sul davanti con ingresso defilato orientato a sud-ovest. Il fabbricato sud costituisce un puntone avanzato, per controllare l'ingresso delle barche nella darsena interna e successivamente alla peschiera del castello. L'importanza del nuovo fortilizio e del vicino nucleo urbano è confermata da un documento aragonese del 1445 in cui Ortucchium compare come feudo tra i possedimenti di Lionello Acclozamora. Dopo la sua morte il castello andò in mano a Ruggerotto, ultimo dei conti di Celano, che lo perse nel 1495 in seguito al suo assassinio dopo la sconfitta contro Napoleone Orsini a Pratola[45]. La contea andò in mano a Papa Pio II Piccolomini, che delegò il nipote Antonio per assumere il controllo del contado nella sede di Celano. Anche il sovrano napoletano Ferrante I approvò la concessione, perché Antonio nel 1461 aveva sposato la figlia Maria d'Aragona, e il castello venne notevolmente potenziano con il raddoppio delle murature, l'aggiunta di quattro torri angolari circolari, e il restauro della torre maestra. Il lavoro fu terminato nel 1448, come testimonia l'iscrizione sul portale di accesso del recinto, che recita:

Antonis.Picholomineus./de.Avagonia.Amalfice.dux./atq(ue).Celani. comes.Regni.Sicilice. Magister. iusticiari/us. Ad conservandum. in./ offitio. oppidanos. hanc./arcem. extruxi t.. / a. fundamentis./ MCCC. LXXXXVII.

Ingresso al castello

L'iscrizione conferma il compito del castello quale fortezza a difesa del lago, usata per controllare i pescatori e gli agricoltori del Fucino che erano contrari alla politica fiscale del Piccolomini. La politica di Antonio infatti riguardò l'organizzazione urbana e amministrativa di tutto il borgo, con il miglioramento delle vie, in modo che dirigessero tutte verso il castello, e che fossero ben sorvegliate da mura di guardia con torri. Sull'ala di fabbricato posta a sud del fossato, la puntone, venne creata "la Stanga" dove si ritiravano le tasse della caccia e della pesca, la terziaria, la terza parte del pesce e degli uccelli. Dall'età dei Piccolomini in poi fino al 1806, il castello appartenne agli Orsini, e poi ad altri signori. Il prosciugamento del lago Fucino da parte del principe Alessandro Torlonia di Avezzano fece perdere al castello tutte le funzioni militari di un tempo. Il terremoto del 1915 rase al suolo tutto il paese, risparmiando solo il castello, che perse una torre angolare, e parte della chiesetta di Sant'Orante[46]. Successivamente venne restaurato e reso fruibile. La torre quadrata interna, il mastio, è certamente anteriore alle cortine attuali in quanto la sua base, nei lati est e sud, è stata inglobata nella larga muratura realizzata in epoca posteriore; inoltre non esiste un parallelismo tra bastioni e lati della stessa torre. Alla base del lato nord, gli speroni rocciosi e le tracce in muratura denunciano l'esistenza di ponte levatoio che permetteva un collegamento con l'abitato.

Particolare del ponte interno

La scarpa di base e l'apparato sporgente, tipologie costruttive legate all'arte militare del tiro piombante, datano la torre alla prima metà del Trecento. Se fosse stta edificata più tardi, sarebbe stata a pianta cilindrica, come voleva la politica di Ruggero II dei Marsi di Celano per le torri di Aielli, Santa Iona di Ovindoli, Sperone e Collarmele. Prima dell'arrivo del Piccolomini, l'interno del castello era dotato di peschiera, più grande di quella successiva del Quattrocento, sistema di difesa a torrette a U, accessibile dal Fucino mediante un arco d'ingresso posto a ovest. Sopra la peschiera si trovavano le casermette per l'alloggio dei militari, di cui rimane uno solo, ancora coperto da volta a botte, sull'angolo nord-est. Intorno si hanno fossati scavati nella roccia calcarea, delimitati da due ali di fabbricati avanzati a puntone verso il lago, coronati da un basso muro sul fronte del lago, dotati di altro ingresso. Sul fronte dell'abitato l'accesso alla fortezza fu protetto da una torre avanzata a puntone, dotata di due ponti levatoi, il primo frontale che permetteva comunicazione tra castello e torre, l'altro laterale, sul lato sud, che permetteva il passaggio tra torre e battiponte esterno, ossia un doppio passaggio citato da Muzio Febonio e Anton Ludovico Antinori. Durante l'intervento ricostruttivo di Antonio Piccolomini, la torre nord-ovest, che era più grande di quella attuale, fu ridotta, e poi demolita nell'800 per creare uno slargo; la torre ovest venne raddoppiata di grandezza, l'ingresso che collegava la peschiera con il lago fu murato e ridotto, un errore di calcolo, che non tenne conto delle continue piene del Fucino, che danneggiarono ripetutamente nei secoli la peschiera e le case di Ortucchio, come la grande piena del 1816. L'ingresso sul versante est munito di ampia serie di feritoie a sparo, fu risolto con la ristrutturazione del corpo quadrangolare sporgente, coronato da iscrizione e da superiori mensole poggianti su tripla fila di beccatelli arrotondati. La vecchia torre trecentesca dei Berardi fu dotata di finestre e apparato sporgente di beccatelli e merlature. Nell'800 fu aggiunto l'orologio civico. Sul cortile interno fu realizzato un nuovo ambiente sovrastante, tramite porticato, la peschiera, dove si riconoscono un forno e un pozzo. Anche i fossati furono modificati e resi più profondi, allargata nella zona ovest per far posto alla grande torre maestra. L'iscrizione all'ingresso denuncia il fatto che la preoccupazione del Piccolomini fosse data dagli infedeli '"oppidani", tenuti in continuo controllo con la minaccia delle armi per le esose tasse. Il castello risultava abbandonato già ai primi del '900, danneggiato nel 1915, e recuperato nel 1963 dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici de L'Aquila.

Veduta di Pescina vecchia, la torre-loggia della Casa del Cardinale Mazzarino e la torre pentagonale dei Piccolomini
  • Torre Piccolomini di Pescina: costituisce la parte più alta dell'antico abitato di Rocca Vecchia, poiché il centro attuale di Pescina si spostò più a valle nel XVII secolo. In mezzo alla rocca fu costruito all'epoca italico-marsicana un castello con mura di cinta, a guardia della Valle del Giovenco, distrutto nell'89 a.C. per opera del console Silla. Il recinto fortificato era detto anche Arx Antiqua dai Romani, edificato nel VII secolo a.C. Nel Medioevo, dopo le incursioni barbare, nel 1000 venne edificata una nuova piccola fortezza sotto la guida di Guglielmo II di Sicilia. Durante la lotta per le investiture del XII secolo, i pescinesi, che avevano appoggiato il papa, subirono la vendetta di Enrico con la distruzione del castello.
Torre Piccolomini

Federico II di Svevia nel 1232 fece riparare il castello con l'obbligo di obbedienza all'imperatore, nel 1315 appartenne a Ugone di Balzo, che lo abbellì sfarzosamente, nel 1417 passò a Nicola Conte di Celano, e successivamente nel 1571 ai Piccolomini. Il castello era l'ultima rocca orientale della Marsica presso la forra di Cocullo, ed era molto ben fortificato, dotato anche di passaggi sotterranei attraverso le grotte, ed era a pianta romboidale con presenza di angoli e rientranze nella cinta muraria, due porte di accesso (ovest ed est), cisterne, terrazzamenti. La torre maestra antica a pianta pentagonale è ciò che oggi si conserva meglio del castello, usata come abitazione del signore, e come zona di avvistamento, in comunicazione con le altre sparse per la Marsica, e con quella di Venere dei Marsi. Il castello, già depotenziato nell'800, subì la distruzione dal terremoto del 1915, che fece rimanere in piedi solo la torre maestra, mentre il sistema fortificato di mura di cinta, che scendeva fino al fiume, abbracciando l'antica casa del Cardinale Giulio Raimondo Mazzarino, andò completamente distrutto, salvo un bastione con una torretta a finestre bifore, che guarda verso il fiume Giovenco. Benché la torre sia stata restaurata, l'abitato di Rocca Vecchia si andò spopolando, quando i bombardamenti della seconda guerra mondiale distrussero definitivamente l'antica chiesa di San Giuseppe (anticamente di San Berardo), ai cui piedi è situata la tomba dello scrittore pescinese Ignazio Silone.

  • Castello di Ortona dei Marsi: posizionato in zona orientale, sopra un colle dominante il borgo, il castello sorge sopra la fortificazione italica di Milonia, distrutta nella terza guerra sannitica. Nel XII secolo divenne un importante presidio per controllare i confini della Marsica con la valle del Giovenco e la forca di Cocullo sulla vallata del Sagittario. La torre si presume fu edificata dai conti Berardi di Celano, e il castello appartenne a questa stirpe fino al 1666, quando venne venduto a Francescantonio Paolini di Magliano de' Marsi, e successivamente passò ai Massimini nel Settecento, venendo poi abbandonato. La cinta muraria che avvolge il castello è quanto rimane della cittadella di Milonia, la torre circolare è stata aggiunta nel XVI secolo, con delle feritoie per le bocche da fuoco. Questa torre è ciò che si conserva meglio del castello, ha forma circolare con basamento a scarpa, a nord è posto l'ingresso con scala retrattile, sormontato da un elemento monolitico triangolare.
Il borgo di Cocullo
  • Torre San Nicola di Cocullo e cinta fortificata: situato nell'alta valle del Sagittario, a confine con la Marsica, il borgo di Cocullo risale all'epoca italica, quando era detto Koukulon, e poi Oppidum Cuculum dai Romani, come è testimoniato anche nella Geografia di Strabone, importante punto strategico per il passaggio della via Valeria dalla Marsica nella conca Peligna. La fortificazione attuale del paese risale al XII secolo, quando venne costruito il piccolo castello con la torre, oggi campanile della chiesa di San Nicola, insieme alle abitazioni-mura che compongono un perfetto cerchio. Ancora oggi la parte più antica posta a ridosso della torre San Nicola, mostra i resti del primitivo abitato italico, e della fortificazione trecentesca, di cui si riconoscono i tratti di mura tra gli edifici, presso Porta Ruggeri, Porta di Manno e Porta Renovata. Nel rione San Nicola si trovano costruzioni che conservano murature e strutture molto antiche, anche se modificate, riconducibili alle case italiche, mentre terrazzamenti e arcate medievali si trovano in via Sant'Orsola.
Chiesa di San Nicola con torre
    • Torre San Nicola: antica e imponente, fu edificata nel XII secolo nel complesso dei lavori di ricostruzione del borgo fortificato. Fu usata come punto di avvistamento e di difesa dei cittadini, e più avanti negli anni divenne campanile della chiesa. Tale chiese è citata nella bolla pontificia di Lucio III nel 1185, e poi nel 1356, durante una visita del vescovo dei Marsi. Nel 1915 il terremoto distrusse parte del coronamento sommitale a merlature e beccatelli. Essa ha una pianta quadrata con grandi blocchi di pietra squadrati, sapientemente sistemati: il prospetto anteriore presenta una singola cella campanaria, al livello superiore due monofore accostate. La porzione maggiormente conservata è quella posteriore, dove nella sommità ci sono i beccatelli con apparato sporgente, e più in basso lungo la parete verticale c'è l'orologio civico, le arcate della cella campanaria e una piccola finestra quadrata.
Porta Ruggeri, ingresso al rione San Nicola
    • Porta di Manno: è una delle tre porte di Cocullo, costruita nel XII secolo a protezione dei primitivo insediamento, che si sviluppò attorno al palazzo baronale e alla torre quadrata. La porta è posta ai piedi della salita del rione San Nicola, l'unica che conserva ancora l'arco a sesto acuto, realizzata in conci di pietra posti direttamente sullo sperone roccioso del colle, sopra il quale si sviluppa il centro. Oltre l'archivolto, la porta conserva parte dei piedritti con le mensole d'imposta e nel prospetto interno, un cardine in pietra per l'alloggiamento delle antiche ante di chiusura. La porta era provvista di torre di difesa, oggi trasformata in abitazione civile, ed è sormontata da una finestra balconata.
    • Porta Ruggeri: si apre lungo il tracciato interno della cinta muraria medievale, ed è la porta più vicina alla torre San Nicola. Prende il nome dal conte Ruggero dei Berardi di Celano, che fortificò Cocullo: è in pietra concia, presenta arco a a tutto sesto, poggiante su mensole d'imposta e un piedritto a vista, l'altro è stato invece inglobato nelle case. Le pareti interne hanno passaggio voltato a botte, e sono costruite sulla roccia del colle.
  • Castello medievale di Rosciolo dei Marsi: il castello è ricordato nel 1048 nel documento di donazione di Berardo dei Marsi di Celano, dove lo donava al convento di Santa Maria della Valle, oggi chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta. Nel 1084 il castello e le sue pertinenze furono date dal conte Berardo V all'abbazia di Montecassino, inclusa la chiesa di Santa Maria. Il possedimento venne riconosciuto anche da Enrico IV di Franconia nel 1191 e da Lotario nel 1131. Nei secoli a venire il paese di Rosciolo si espanse fuori dal castello, e possedette il controllo su Villa Maggiore, Villa San Martino, Villa Santa Maria, alleate di Corradino di Svevia, che vennero assalite dalle truppe di Carlo I d'Angiò nel 1268 nella battaglia di Tagliacozzo. Nel corso dei secoli il castello fu trasformato in palazzo baronale, e dell'aspetto medievale resta una torre posta a strapiombo del colle roccioso, con base a scarpa, legata alla cinta fortificata di case-mura.
Monte Civita e mura della rocca di Tagliacozzo
  • Rocca Orsini di Tagliacozzo: il castello venne eretto sopra il monte sovrastante la città intorno all'XI secolo. La sua presenza era indispensabile per proteggere i confini occidentali della Marsica con Rieti. Il castello era una vera e propria rocca, da cui partiva la cinta a strapiombo, che legava a sé l'abitato di Tagliacozzo. Strutture murarie minori, orientate a sud-est, scendevano sulle balze rocciose verso la chiesa di Santa Maria del Soccorso, per bloccare qualsiasi tentativo di penetrazione nemica, mentre a nord-est iniziava il muro che scendeva a valle. Il castello, più volte rimaneggiato, soprattutto nel Quattro-Cinquecento, cadde in abbandono per il cessare degli attacchi, e alla fine del XVII secolo doveva essere già in rovina, come il piccolo borgo di Santa Cecilia, che era sorto alle sue pendici, oggi scomparso. Il castello ha pianta quadrangolare con i bastioni angolari molto sporgenti e pronunciati, lanceolati, molto simili alla Fortezza aquilana e al castello Caldora di Vasto. Il resto della cinta di Tagliacozzo venne inglobato nella case, e restano le porte di accesso: Porta San Rocco, Palazzo Ducale degli Orsini, Porta da Piedi, Porta dei Marsi.
  • Castello Tremonti e Castello San Donato di Tagliacozzo: si trovano nelle località omonime, e comunicavano con la Rocca di Tagliacozzo. La struttura del castello Tremonti del XII secolo sorge sopra l'abitato, ha pianta quadrangolare, con una grossa torre centrale quadrata. Il castello San Donato si erge e 1171 metri d'altitudine, meno conservato dell'altro, risalente all'XI secolo, opera dei Conti dei Marsi. La prima menzione risale al 1057, quando i privilegi di papa Stefano IX al vescovo dei Marsi Pandolfo furono concessi insieme al castrum de Pomperano, ossia il borgo San Donato e di Poggio Filippo. Nel 1067 il castello è nuovamente nominato come residenza di Oderisio II Conte dei Marsi, e viene citata anche l'attuale chiesetta di Sant'Erasmo. Il castello gode di un'ottima posizione strategica, permettendo una piena visuale verso sud sulla valle dell'Imele e dulla via Valeria. Inoltre era collegato visivamente con Catselvecchio a nord-ovest, Tremonti e la Rocca di Tagliacozzo a ovest, e Girifalco a sud. La struttura è formata da un recinto fortificato intervallato da torri quadrangolari. In corrispondenza del punto più elevato si trova il maschio con tre torri circolari sugli angoli, e una divisione interna in ambienti, Il tutto è costruito con muratura a doppia cortina, con conglomerato cementizio interno e pezzi di calcare all'esterno. Leggendo le strutture murarie, si capisce che una prima edificazione risale all'XI secolo, e la seconda al secolo seguente, quando venne rinforzata la parte superiore.
Il borgo di Carsoli, sovrastato dal castello Sant'Angelo
  • Castello Sant'Angelo di Carsoli: si trova sulla parte alta del borgo, edificato dagli Angioini nel XIII secolo. Le prime citazioni risalgono al Mille, quando esisteva un piccolo fortino edificato dai Conti dei Marsi come ultimo presidio di difesa del territorio al confine con la zona reatina. L'area era controllata dall'abbazia di Cassino, che aveva in feudo la chiesa di Santa Maria in Cellis, il borgo arroccato si sviluppò, ancora di più con il passaggio di potere agli Orsini nel XV secolo, e poi ai Colonna. Abbandonato poco dopo, cadde in degrado fino a che non rimasero che le mura perimetrali. Il castello è a guardia della piana di Oricola e del Cavaliere, aveva una pianta irregolare che gli dava la forma di fortezza-recinto a forma di L, l'elemento architettonico più antico è l'alta torre maestra posta ad angolo tra le due mura, da cui si sviluppò la cinta successiva delle torri quadrangolari. La parte delle mura del versante sud-est è crollata.
Castello di Oricola
  • Castello medievale di Oricola: con l'arrivo di Berardo I Conte dei Marsi di Celano nel 930 circa, venne riedificata la rete di castelli che avrebbero dovuto proteggere la Piana del Cavaliere, poiché l'antico villaggio di Carsioli non era più in grado di garantire il controllo. Sorsero i borghi di Oricola e Arsoli. Oricola nacque come castello in cima a un monte con il borgo fortificato ai suoi piedi, e riuscì nel 937 a scacciare l'invasione Ungara, anche se costoro penetrarono fino a Sulmona. Tra il 970 e il 1010 il Conte dei Marsi Rainaldo I fece di Oricola la sua residenza, migliorando le qualità difensive, alla sua morte il feudo andò alla moglie Aldegrina, che poi cedette Oricola i monaci di Subiaco nel 1096. Nel 1147 il grande feudo della Marsica fu ripartito in Contea di Celano, Contea di Albe e Contea di Carsoli, nel 1167 nacque la signoria di Tagliacozzo. Oricola fu governata dai De Pontibus, sotto il dominio di Tagliacozzo (XIII-XIV secolo). Nel Trecento la famiglia umbra cedette il dominio agli Orsini di Roma, che mantennero il dominio sino al 1497, spostandosi poi da Tagliacozzo nel cuore della Marsica, ad Avezzano. Gli Orsini dettero al castello l'aspetto attuale, trasformando da pianta quadrata a pianta triangolare, nel 1497 i Colonna spodestarono gli Orsini a Tagliacozzo, e vennero sconfitti dagli stessi nel 1528 in una battaglia a Magliano dei Marsi, riprendendosi l'antico territorio carseolano. In quest'occasione si svolse la battaglia presso il castello di Oricola, dove si era rifugiata la popolazione, perché gli Orsini intendevano vendicarsi del tradimento civile. Ci fu l'eccidio di massa, con solo 300 cittadini superstiti, che si adoperarono per fortificare il castello. Gli Orsini persero definitivamente la Marsica nel 1557, che passò ai Colonna, che alla pari degli Orsini, compirono una carneficina contro la popolazione. Dal 1799 al 1801 il castello divenne sede del quartier generale francese di Gioacchino Murat contro la corona borbonica, nel 1806 i Colonna persero definitivamente il castello, con l'abolizione del feudalismo. Il castello ha pianta triangolare irregolare, ricavata dall'originale rettangolare, con tre torri di controllo a pianta circolare con base a scarpa, e coronamento di merlature e beccatelli su quella superiore. La facciata è molto sobria, con ordine di finestre in cornice di pietra, così come il portale ad arco a tutto sesto.
Castello fortezza di Pereto
  • Castello di Pereto: alle pendici del Monte Forcellese, al confine col Lazio, il castello di Pereto sovrasta la Piana del Cavaliere e l'antica via Tiburtina Valeria. Fu tra le prime fortificazioni carseolane del territorio, data anche la sua conformazione fortezza-recinto, con caratteristiche piuttosto particolari rispetto ai canoni del recinto classico abruzzese. La parte più antica è il mastio del XII secolo, sorta su precedente fortino militare, che è a pianta quadrata, costruito con grossi blocchi di pietra squadrata, suddiviso in cinque piani, che accoglievano il corpo di guardia, i magazzini, le prigioni, la residenza signorile e in alto la vedetta. Nel XIV secolo vennero aggiunte altre torri minori quadrate, collegate con la cinta muraria. Sulla cortina a sud-ovest a 4 metri, era posto l'accesso principale, reso più difficile dalla presenza di un parapetto e da un'apertura superiore piombante. Nella parte sovrastante è ancora visibile lo stemma degli Orsini, che in quell'epoca conquistarono il castello. Al camminamento di ronda tra le torri si accedeva mediante una scaletta in muratura, ricavata nello spessore della cortina orientale.
Palazzo Savelli di Poggio Cinolfo
  • Castello baronale Savelli (Poggio Cinolfo): venne costruito in cima al paese come castello fortificato, nell'XI secolo, posto di confine cella Contea dei Marsi con i possedimento di Cassino. Dopo la famiglia Berardi di Celano, nel 1297 appartenne ai Mareri, poi agli Zambeccari, padroni di Collalto Sabino. Tra il '500 e il '600 fu dei Conti Savelli, che trasformarono il castello in palazzo gentilizio, non modificando però troppo massicciamente l'impianto. Nel XVIII secolo il palazzo fu donato da Carlo VI d'Asburgo al Marchese Ottieri, patrizio romano, anche se gli ultimi signori di Poggio Cinolfo furono i baroni Coletti. L'edificio ha pianta quadrata, con elementi militari soltanto nelle quattro torri angolari. La parte frontale è dominata dalla grande porta d'accesso, contornata da grossi rilievi in pietra bugnata. Gli accessi sono due, quello secondario consentiva il passaggio delle carrozze, all'interno c'è un piccolo cortile con pozzo, decorato da pilastri in pietra lavorata. Gli ambienti interni sono decorati da affreschi e voltati a botte. Al piano terra c'era anche la farmacia privata Coletti, un panificio, una scuderia, e le cisterne d'acqua. Il pianterreno era anche adibito alle cucine della servitù, il piano intermedio era quello nobile.
Castel Mancino
  • Castel Mancino di Pescasseroli: si trova a 1332 m d'altitudine, a 20 minuti di cammino da Pescasseroli, nel mezzo del bosco del sentiero B3 Parco Nazionale d'Abruzzo. Si tratta del tipico castello-recinto poligonale abruzzese, con mura perimetrali interrotte da torri, più il grande mastio in posizione dominante. La prima costruzione risale al X secolo per difendere la popolazione dagli Ungari, successivamente divenne presidio all'accesso del Fucino. Fu danneggiato dai terremoti del 1456 e del 1706. Dopo il terremoto del 1915, gran parte del castello venne spogliata per riedificare le case di Pescasseroli, tanto che oggi della fortezza rimangono resti. Ben leggibile è l'impianto, alternato dalle torri a pianta semicircolare
  • Torre di Venere dei Marsi: si torva nella contrada di Pescina, e la sovrasta da un picco roccioso. Dall'antico abitato romano con il tempio dedicato a Cerere, i Conti dei Marsi nel X secolo edificarono tre torri di guardia (oggi rimane solo una, perché le altre sono state distrutte nel 1915) per controllare la valle del Giovenco. Con la vittoria di Forca Caruso nel 937 i Berardo di Celano divenne signori assoluti della Marsica, e a questo periodo viene fatta risalire la torre, che nei secoli successiva, insieme alle altre, costituì un castello fortificato. Tale castello risultava già abbandonato nel XV secolo, tanto che oggi non ve n'è traccia, e la torre superstite fu messa a guardia del santuario della Madonna dei Bisognosi, a poca distanza, eretto nel 1550. Questo santuario è stato fedelmente recuperato nel 1949, quando era stato sventrato dal terremoto, e così venne restaurata anche la torre, che oggi si mostra a pianta circolare.
  • Torre medievale di Collelongo: si trova in Piazza San Rocco, di origini normanne, rimaneggiata nel XV secolo, e mutata a causa dei danni del sisma di Avezzano (1915). Fu edificata come presidio di avvistamento lungo il percorso che dal Fucino conduceva alla Valle Roveto. Nel corso degli anni essa è stata inglobata nelle abitazioni civili, anche se la parte sporgente mostra ancora l'apparto murario in pietra concia, con base a scarpa, tipico rinforzo dell'epoca trecentesca. Incominciò a essere abitata nel corso del Quattrocento, quando divenne la zona di avvistamento dei baroni di Collelongo, che vi edificarono il palazzo baronale.

L'altopiano delle Cinquemiglia

Borgo alto di Castel di Sangro: Via Paradiso, dipinto di Teofilo Patini, conservato nella Pinacoteca civica Patiniana
  • Castello del Re (Castel di Sangro): sorge sulla montagna che sovrasta il paese. La montagna, già fortificata dai Sanniti Pentri contro Roma nel III secolo a.C., nel IX secolo d.C. venne rifortificato quando il feudo passò all'abbazia di San Vincenzo al Volturno, che aveva un monastero succursale chiamato Santa Maria di Cinquemiglia. Il nuovo castello sorse appunto per via delle varie scorrerie saracene e ungare, nell'XI secolo i figli di un tal Conte di Borrello si sotituirono ai Benedettini di San Vincenzo, tra questi vi era il conte Odorisio, che fu capostipite della dinastia dei De Sangro, che nel 1050 governò il nuovo castello a guardia del passaggio da Napoli lungo il fiume, per entrare a Sulmona. All'epoca il feudo era noto come Castrum Sari. Il passaggio nella via degli Abruzzi dal Regno fu ben controllato, garantendo la tranquillità dei commerci, ma questa stabilità faceva gola a varie famiglie: nel 1228 le truppe del cardinale Colonna attaccarono il castello e distrussero il borgo per punire i cittadini della fedeltà a Federico II di Svevia, rappresentato lì da Rainaldo II De Sangro. Qualche anno più tardi nei pressi del borgo l'eremita Pietro da Morrone edificò un monastero. Ai De Sangro successero i cadetti di Carlo I d'Angiò, e il castello per un secolo fu conteso tra gli Angioini e gli Aragonesi, fino a che, dopo anche aver subito i terremoti del 1456 e del 1706, e la peste del 1656, il re Carlo III di Borbone concesse a Castel di Sangro l'onorificenza di città". Nel frattempo però la vecchia fortezza sul monte era stata già abbandonata da anni, perché la città si era sviluppata più a valle, presso il fiume. Il "castello del Re" sorge sul Colle San Giovanni, dove svettavano le mura ciclopiche dei Sanniti. AI feudatari dopo i de Sangro furono i D'Aquino, i D'Afflitto e i Caracciolo. Probabilmente dal castello partiva una cinta muraria che avvolgeva il borgo sottostante, il cui nucleo più antico, attorno la Basilica di Santa Maria Assunta, è detto "Civita". Quando il castello fu abbandonato, vi venne eretto l'eremo dei Santi Cosma e Damiano, ancora oggi esistente e meta di pellegrinaggi. Il castello è ancora abbastanza integro, si conservano due grandi torri circolari con base a scarpa, e parte della muratura. Doveva avere una pianta triangolare irregolare, ma la torre puntone è stata sostituita dalla chiesetta.
Castello di Alfedena
  • Roccacinquemiglia: si tratta di un borgo fortificato posto tra Castel di Sangro e Roccaraso, edificato in zona Serra di Monaco, dove si trovavano delle mura ciclopiche sannitiche. Il borgo fu costruito per proteggere il sottostante monastero di Santa Maria delle Cinquemiglia (703 d.C.), di cui oggi restano ruderi, edificato proprio presso il Sangro. Il paese inizialmente fu comune a sé, e poi fu assoggettato a Castel di Sangro, tra i feudatari ci furono i Marchesani (XVI-XVIII secolo). La rocchetta sorgeva presso la punta del colle, e oggi di essa si conserva solo la torre campanaria della chiesa di San Giovanni Battista, che fino al 1944 era parrocchia del paese, quando venne distrutta dai nazisti. Prima della devastazione della seconda guerra mondiale, il paese aveva ancora il tipico aspetto fortificato circolare, con case-mura di cinta. Oggi la civita è stata destinata a zona archeologica, e la chiesa parrocchiale si trova ai piedi della salita, dedicata a San Rocco.

Gole del Sagittario e la valle di Barrea

Castello di Barrea
  • Castello baronale di Barrea: il castello è una roccaforte che si trova nella parte superiore di Vallis Regia (antico toponimo di Barrea). L'ingresso è raggiungibile da Porta di Sopra, percorrendo il corso principale. Della struttura originaria rimangono le mura, il torrione a pianta circolare e una seconda torre a scarpa irregolare. L'impianto presenta varie irregolarità perché si adatta alla morfologia del terreno, venne probabilmente eretto dai de Sangro, il primo conte citato è Simone del Sangro, vissuto tra il 1140 e il 1160, come testimonia il Catalogus baronum. Costui edificò il primitivo impianto della torre quadrata, da cui poi vennero erette le mura di cinta. Nel 1230 il castello fu distrutto dal Cardinale Giovanni Colonna, nell'ambito della guerra di papa Gregorio IX e Federico II di Svevia, nella quale i de Sangro avevano parteggiato per lo svevo.[47]Nel XV secolo il feudatario di Barrea era Jacopo Caldora, e passò poi al giglio Antonio e al nipote Giovanni Caldora, che aggiunse la torre rotonda, che oggi è la meglio conservata. Del castello si ha una dettagliata descrizione del 1719 di Giovanni Leonardo Russo, dove scrive che del castello erano rimasti in casalino quadrato cadente, la torre, alcuni torrioni esposti verso sud, all'interno delle mura vi erano due case e una stalla. Nel 1812 fu restaurato per evitare l'assalto dei briganti, ma il castello andò sempre più in rovina, tanto che nel primo '900 è descritto in pessime condizioni da Emidio Agostinone. Danneggiato dal terremoto laziale del 1984, il castello venne definitivamente restaurato e reso fruibile al pubblico.
Torre normanna del castello baronale di Anversa
  • Torre ottagonale di Alfedena: fa parte dell'antico castello edificatovi nell'XI secolo, sopra l'antica cinta fortificata sannita dell'acropoli di Aufidena. Il castello appartenne ai De Sangro nel XII secolo, e andò distrutto col terremoto del 1456. Nel corso dei secoli è stato progressivamente abbandonato, finché non rimasero che le mura perimetrali a pianta poligonale, e la torre ottagonale irregolare, composta di feritoie, realizzata in pietra concia irregolare.
  • castello normanno (Anversa degli Abruzzi): si trova sulla parte più alta del paese, in origine una torre normanna realizzata nell'XI secolo. Nel XV secolo il castello fu trasformato da Antonio de Sangro, e appartenne alla famiglia per tutta l'epoca aragonese, finché non fu venduto ad altri feudatari. Il terremoto di Sulmona del 1706 ha gravemente danneggiato la struttura, facendo crollare metà della torre normanna, come testimonia lo stato attuale, e altri corpi di fabbrica, che vennero ridimensionati in un unico palazzo residenziale. Nei primi anni del Novecento il castello fu visitato dal poeta Gabriele d'Annunzio in compagnia dell'archeologo Antonio De Nino, e la suggestione del maniero in rovine gli ispirò la tragedia La fiaccola sotto il moggio (1905), dove si parla della rovina finale della nobile famiglia de Sangro. Il fortilizio originario era la torre puntone a pianta parallelepipeda, e dal palazzo abitativo del XVI secolo, il tutto compreso nell'area delle mura, ancora ben visibili, con giardino interno, collegate all'antica cappella privata, individuabile dal campanile a torre. La torre normanna è legata alle strutture abitative tramite un basso ambiente, come fosse un passetto. Il blocco a pianta rettangolare destinato al palazzo gentilizio è caratterizzato da varie finestre balconate, che si alternano su tutti i prospetti a finestre quadrate più piccole, incorniciate da piattabande in marmo. L'interno del castello, conservava presso la cappella privata il Trittico di Anversa degli Abruzzi, opera in legno policromo dell'epoca rinascimentale.
Castello e torre di Villalago
  • Rocca di Villalago: il centro storico si caratterizza, insieme a quello di Scanno dalla bellezza d'insieme delle masse murarie. Dai punti di vista delle colline circostanti, si nota il suo ergersi proporzionato digradante sulla cresta montuosa di Argoneta, nella cornice delle gole del Sagittario, e del lago di San Domenico. Il borgo si sviluppa attorno al monticello dove si trova l'antica torre longobarda, con la vicina chiesetta di San Michele Arcangelo, al paese medievale che degrada verso la piazza della parrocchia di Santa Maria di Loreto, e nel sobborgo di via Roma. La parte più alta conserva due torri, la più antica ricostruita dai Normanni nell'XI secolo, durante il periodo dell'incastellamento.[48]Il Torrione domina il paesaggio e il palazzo del vecchio municipio, edificato nel XIX secolo sopra la chiesa di San Giovanni, e aveva funzione di avvistamento. Nel corso dei secoli l'antiao castelletto venne inglobato nel nuovo palazzo residenziale, e la torre perse la sua caratteristica principale. Essendo stata restaurata perfettamente, è accessibile, e vi si trova il Museo dell Arti Contadine locali. Ha pianta circolare con base a scarpa, e cella superiore con finestre colombaie, e sommità a pagoda.
Scanno
  • Borgo di Scanno: l'origine del nome viene dal latino Scamnum (sgabello), perché il colle sopra cui sorgeva l'antico pagus italico somiglia a una piccola panca, adagiata in mezzo ai monti del Sagittario. Una lapide romana rinvenuta nel paese, conservata nel Museo della lana, testimonia chiaramente che il luogo era abitato prima dell'incastellamento medievale. Durante le invasioni barbariche del V secolo d.C. il paese rimase immune, ma fu saccheggiata dai Saraceni. A quest'epoca si farebbe risalire il costume tradizionale scannese femminile, che ha molte somiglianze con le tradizioni arabe, ad esempio per quanto concerne il copricapo locale, che sembra un turbante turco. La posizione impervia sopra cui sorge il paese, permise la sua completa conservazione al livello urbano, nel XIX secolo si sviluppò in centro l'arte dell'oreficeria, anche se la prima notizia di una bottega è datata 1718.[49]Lo sviluppo di quest'arte e delle botteghe, molte delle quali in via degli Orafi, permise la realizzazione del gioiello detto la "presentosa", regalo di nozze per il corredo femminile. Nel 1915 il terremoto di Avezzano distrusse il paese di Frattura, frazione di Scanno, e danneggiò alcune strutture del borgo principale, ma non in maniera grave. Il centro storico oggi, perfettamente conservato, e uno dei più belli della regione, è il frutto dell'unione di vari piccoli nuclei dell'antico pagus. La parte più antica è il Betifulo, in seguito ribattezzato quartiere Sant'Angelo dal nome della chiesa. Tra il secoli XII-XIII gli abitanti si trasferirono in localià Scamnum, che corrisponde all'attuale altura della chiesa di Sant'Eustachio. I due centri si fusero intorno al 1447, scendendo sempre più in basso, in contrada Madonna della Valle, dove oggi sorge la parrocchia, nonché chiesa principale del paese. L'espansione continuò nel Cinquecento verso sud-ovest, e ciò è riferibile allo stile architettonico delle case e dei palazzi gentilizi, molto diversi da quelli addossati e stretti del rione Terravecchia o San Michele. Le mura di cinta, già inglobate nelle case, vennero demolite nel 1909 quando venne realizzata la strada Scanno-Barrea, insieme al campanile della chiesa di San Rocco (la torre medievale prima di quello attuale) e alcuni palazzi. L'itinerario viario che divideva in due il paese è ancora oggi leggibile dalla chiesa di Santa Maria della Valle presso Piazza Codacchiola (ricorda la coda di una volpe), la strada principale della "via Ciambella" arriva a fontana Sarracco, conducendo a Piazza San Rocco, per poi tornare al piazzale principale mediante via Silla e via de Angelis. Il sistema viario è molto più intricato nella zona Terravecchia, specialmente nella zona di via Arco Santa Croce, via Simone e via Ciorla. Scanno non ha mai avuto un vero e proprio castello, ma delle torri di guardia e delle mura di cinta, neanche troppo fortificate. Pertanto gli elementi fortificati sono pochi:
Arco di Sant'Eustachio
    • Porta Sant'Eustachio: situata in Largo dell'Olmo, la porta prende il nome dalla vicina chiesa, ed è una delle più antiche del paese. Faceva parte di un sistema difensivo dotato di altre porte, abbattute intorno al 1909 per allargare la strada di accesso a Scanno. La porta in conci di pietra squadrata presenta volta a botte ribassata, e si conclude con un tetto a due falde. Il vano collocato superiormente è parte oggi di una casa privata; sul prospetto interno della porta, a destra è ancora oggi visibile uno degli antichi cardini. Entrando nella zona di Terravecchia, sopra la porta si scorge una costruzione alta e stretta, forse una torre di guardia, come è indicata nell'incisione di Scanno di Giovan Battista Pacichelli (1692).
    • Arco Santa Croce: situata nella parte sud, sulla via Ciorla, risale al XV secolo. Fu aperta lungo la seconda cinta muraria rinascimentale per proteggere i nuovi quartieri appena sorti. Comunicava con Porta Codacchiola, Porta Santa Maria e Porta Sant'Antonio, demolite nel tardo Ottocento. Ha un arco a sesto ribassato, concludendosi con tetto a due falde. Realizzata nella parte inferiore con blocchi di pietra squadrata, mentre nella zona superiore è in pietra grezza. Sopra l'arco è ancora visibile la canditoia dalla quale si facevano cadere liquidi bollenti sui nemici.

Valle Subequana

Cortile interno del castello Barberini a Gagliano Aterno
  • Palazzo Castello Barberini (Castelvecchio Subequo): fu costruito dai conti di Celano nell'XI secolo, accanto la chiesa di San Giovanni Battista. Nel XIII secolo appartenne ai Conti di Valva, e nel XVII secolo ai Barberini, che avevano anche Gagliano Aterno. Il castello per questo subì varie modifiche, e si mostra come un'elegante strutture seicentesca con bastioni fortificati e loggette rinascimentali. L'interno ha una forma rettangolare irregolare, a L, poiché una porzione è stata demolita per allargare la chiesa. Alcune case del borgo sono legate a cerniera al castello, soprattutto nella zona ovest, con torrette merlate di guardia. Una torre a bifora di una casa palaziata si affaccia su Piazza Vittorio Emanuele.
Veduta esterna del castello Barberini
  • Castello Barberini (Gagliano Aterno): è caratterizzato da pianta irregolare, ad andamento poligonale, concepita per adattarsi all'orografia del territorio su cui sorge. La sua fondazione risale al 1328, come attesta una lapide, quando Isabella d'Aquila, contessa di Celano, fece erigere il palazzo sopra una vecchia costruzione abbandonata, edificata nel XII secolo ai Conti dei Marsi. Nel 1423 subì l'attacco di Braccio da Montone in viaggio per L'Aquila, poi passò ai Piccolomini, e successivamente nel Cinquecento ai Barberini, fino al 1806. Fu anche delle famiglie Pietropaoli e Lazzeroni, che oggi ne hanno ancora il possesso e usano il castello come residenza privata. La struttura è ritenuta uno dei castelli meglio conservati dell'Abruzzo e dell'Italia: un organismo architettonico stratificato e complesso, caratterizzato da doppia cinta muraria merlata a forte scarpata, che ne ricorda l'origine militare. La cinta più interna è raggiungibile mediante un ingresso sopraelevato al di là di quello che era il fossato: è coronata da merlatura guelfa e assume una forma di torrioni di rinforzo cilindrici, e in un solo caso torre puntone poligonale. Oltre la cortina muraria merlata si sviluppa l'edificio-palazzo, caratterizzato dall'accostamento di più corpi di fabbrica gravitanti intorno al cortile interno col pozzo e portico a loggiato. Sui prospetti esterni si notano bene gli interventi effettuati per trasformare il castello, da costruzione militare a residenza signorile: l'edificio è stato oggetto di lavori di sopraelevazione, con delle finestre tardo gotiche ad arco ogivale, di diverse epoche, aperte lungo il perimetro. Di particolare grazie è la loggia interna a due ordini, con archi acuti.
  • Torre medievale di Castel di Ieri: si trova in cima al paese, voluta dai conti di Celano, dunque intorno all'XI secolo, quando la zona era controllata dai Normanni. La torre faceva parte di un castello oggi scomparso tra le case civili attorno l'edificio, a pianta quadrata, con accesso rialzato dal piano della prima muraglia protettiva. La torre è realizzata in conci di pietra regolari, priva di merlatura e di apparti difensivi, la porta sul lato orientale costituiva l'ingresso che comunicava con l'esterno del borgo attraverso un ponte levatoio.

Chieti

Porta Pescara, arco gotico

Anche se oggi non sembra, Chieti aveva un circuito murario ben definito, soprattutto con l'espansione urbana avvenuta dai Normanni in poi. Dopo le demolizioni di metà '800, e di inizio '900, oggi è difficile leggere ancora con precisione il perimetro delle mura, se non aiutandosi con antiche stampe seicentesche, come quella del Pacichelli. Le mura erano ben definite in età angioina, restaurate nel Quattrocento, con delle torri di controllo e delle porte di accesso, in tutto 9, benché oggi ne sia rimasta soltanto una, Porta Pescara. Le altre porte erano:

  • Porta Zunica o di Colle Gallo, demolita agli inizi del '900, dotata di tre arcate poiché fu ricostruita nel Settecento sopra la Porta Gallo, nota anche come Tre Porte o Piazza Grande, perché immetteva al sagrato di San Giustino. Oggi è visibile il vuoto dell'accesso da via Asinio Herio alla piazza; la porta stava tra delle case demolite, sopra cui furono eretti il Palazzo di Giustizia e Palazzo Mezzanotte.
  • Porta Bucciaia su via Arniense avente sbocco in Largo Cavallerizza, dietro la Cattedrale, presso Piazza Zuccarini.
  • Porta Pescara, ancora esistente, che permetteva l'accesso alla città da nord, verso il mare, nel quartiere di Trivigliano. Si trova in via di Porta Pescara, e in via Silvino Olivieri è preceduta da un monumentale arco in laterizio, in stile neoclassico, dotato di meridiana, un monumento in omaggio alla porta medievale molto più piccola, per l'ingresso al centro storico.
  • Porta Santa Maria o San Pietro, all'altezza della Caserma Pierantoni in Largo di Porta Santa Maria, dove si trovava un convento dedicato a Santa Maria (XVI secolo).
  • Porta Sant'Angelo, detta anche Porta Sant'Antonio, Porta Minerva o Porta Sant'Anna, ubicata all'altezza del Piano Sant'Angelo, oggi Piazza Matteotti, secondo altri la porta si trovava all'ingresso di via Arniense da Piazza Garibaldi, presso la chiesa di Sant'Antonio. Faceva parte del rione Terranova, costruito dai Longobardi attorno alla chiesa di Sant'Antonio Abate e poi al monastero delle Clarisse.
  • Porta Orientale o Porta Monacisca, o ancora Porta San Giovanni: era situata all'altezza della chiesa di Materdomini, e oggi se ne conserva un basamento di una parete palaziale, in via Materdomini.
  • Porta Santa Croce, o delle Tre Croci, o ancora Porta Sant'Andrea: era posta all'altezza della chiesa della Trinità in Piazza Trento e Trieste. Era una porta medievale, demolita nell'800 con un progetto di ricostruzione monumentale mai avvenuto, e di essa rimane traccia nella cappella del Suffragio della chiesa della Santissima Trinità, ricavata da uno dei grandi bastioni a torre dell'ingresso fortificato.
  • Porta Nuova, detta anche Porta Reale o Porta Napoli: costituiva l'accesso da nord-ovest, all'altezza del rione di San Paolo, presso l'area dell'antico teatro romano.
  • Porta Santa Caterina, detta anche Porta de Nuculis o "di un solo occhio": costituiva l'accesso dal viale Asinio Herio, a nord, al rione di San Gaetano.

Dopo la costruzione della linea ferroviaria Sulmona-Pescara, anche Chieti alta vide un grande incremento demografico e dunque un'espansione urbana al di fuori delle mura, che furono definitivamente demolite, oppure inglobate nelle case civili. Le porte rimaste, come ad esempio Porta Zunica, ancora esistente ai primi del '900, furono definitivamente smantellate, mentre nuovi quartieri come quello del Sacro Cuore o di Borgo Marfisi prendevano forma fuori dai secolari confini. Gli elementi fortificati oggi ancora visibili sono, insieme a strutture militari moderne:

Porta Pescara
Porta Pescara
unica rimasta delle originali nove porte medievali, fu eretta nel 1250, nel periodo angioino; si trova nel quartiere Santa Maria, in via di Porta Pescara. La struttura originale è un semplice arco gotico ogivale in pietra. La semplicità della sagoma è impreziosita da piccole mensole a foglia, che rivestono l'interno. La porta medievale all'entrata della via è preceduta da un arco trionfale del '700, on in stile neoclassico. La decorazione è in metope e triglifi, con l'arco principale, e una torretta con architrave a triangolo, impreziosita dell'orologio centrale.
Campanile del Duomo in una stampa del tardo '800
Torre del Duomo
costituiva certamente anch'essa un elemento di controllo e di avvistamento, essendo la torre più alta di Chieti, posta nel punto più elevato della città. La torre fu edificata nel XII secolo, e in una stampa del Cinquecento è molto simile alla conformazione attuale. In una stampa seicentesca la sommità della torre è diroccata, e il monumento fu ulteriormente danneggiati dal terremoto del 1703, tanto che l'aspetto odierno è frutto di restauri in stile neogotico operati dapprima nella metà dell'800, e poi, per quanto concerne la guglia, protratti fino agli anni '50, quando fu ricostruita daccapo la cuspide. Nell'interno della torre c'è un'iscrizione de'poca angioina che dice A.D. MCCCXXXV h.op.fec. Bartholomeus Jacobi. Il primo livello è stato innalzato in conci di pietra squadrati, mentre per gli altri livelli è stato usato il laterizio. I tre livelli furono fatti nel 1335. Il prisma della cella campanaria è stato compiuto nel 1498 dal maestro Antonio da Lodi, su ispirazione delle chiese di Atri, Campli e Teramo, ma la cuspide attuale è una ricostruzione tarda. Infatti, benché le tecniche decorative siano tipiche ad esempio della torre del Duomo teramano, con archetti pensili, piccoli oculi con smalti incastonati, oculo centrale per l'orologio sotto l'arco della campana, sopra il tamburo ottagonale della cupola, dopo il terremoto del 1703 nel primo '900 fu realizzata una cupola circolare, e nel 1934, con i restauri della Cattedrale in stile neogotico, venne realizzata la cuspide, danneggiata nella seconda guerra mondiale, e poi restaurata.
Torre di Colantonio Valignani
Torre dei Toppi

La torre originale è del XIV secolo, con merlature aggiuntive del periodo rinascimentale. La torre non faceva parte della cinta muraria, ma era una fortificazione del palazzo nobile dei Toppi, assieme alla torre del palazzo arcivescovile. Ha pianta rettangolare irregolare, con oblò superiore, e merlature sul cornicione.

Torre del Palazzo Arcivescovile
La torre è merlata, realizzata in laterizio, risalente al 1470, decorata da archetti pensili, impreziositi da coppelle in maiolica policroma. Fu fatta erigere dal vescovo Monsignor Colantonio Valignani. È legata al palazzo arcivescovile, che attualmente ospita l'Archivio Diocesano.
Torre dei Valignani
si trova in via De Lollis, e rappresenta una rielaborazione di un avamposto di controllo ad abitazione privata. La torre ha uno stile quattrocentesco, a pianta quadrangolare irregolare, con bastioni, feritoie, e un coronamento di merli.
Torre Anelli Fieramosca
si trova nella zona del cimitero, e risale al Quattrocento, costruita dalla famiglia teatina Anelli, poi passata ai Fieramosca nel Cinquecento. La torre ha pianta quadrangolare, realizzata in muratura e mattoni, con il coronamento superiore a merli.

Valle dell'Alento-Foro

Porta da Capo di Villamagna
Porta da Piedi
  • Porte di Villamagna: le porte di Villamagna sono ciò che rimane dell'antico recinto fortificato, che probabilmente doveva avere anche un castello. Le porte sono quella da Capo, presso la chiesa di Santa Maria Maggiore, e da Piedi, sul versante opposto. Dal rimaneggiamento di Porta da Capo non si può definire con precisione a che epoca appartenesse, se non per lo stemma nobile della preesistente costruzione (XVI secolo?). La porta infatti è stata ricostruita daccapo nell'800 in forme monumentali, con un arco a tutto sesto inglobato in una slanciata parete, scandita da paraste, e da pinnacoli lungo la cornice superiore a falde ricurve. Porta da Piedi è più antica, benché sia stata lo stesso rimaneggiata, e presenta un fornice a tutto sesto, inquadrato tra due nicchie cieche aggettanti.
  • Castello baronale Nolli (Ari): il feudo di Ari sorse nel IX secolo circa, con il fenomeno dell'incastellamento, che avvenne sopra il piccolo colle dove oggi si trova il palazzo baronale. Il corso Galilei, spina dorsale che sfocia nel piazzale, delimita l'antico assetto urbano. Per proteggere il versante sud-est del centro, da frane, all'inizio del Novecento fu realizzato il muraglione, che cinge tutto il perimetro vecchio. Fino alla seconda guerra mondiale, il nucleo di Ari era tutto concentrato sul colle, e non lungo la strada provinciale che porta a Giuliano Teatino. Il borgo conteneva palazzo comunale, il palazzo-castello e la cappella privata che era anche la chiesa parrocchiale, mentre le altre chiese sorgevano fuori l'abitato, come quella di Sant'Antonio e della Madonna delle Grazie. La torre dell'antico castello fu realizzata nel Settecento, coronata da merli posticci, a testimonianza di come il primitivo presidio perse immediatamente la funzione difensiva, divenendo residenza nobiliare. Dall'intitolazione della chiesa di San Salvatore, antica cappella del castello, e oggi ricostruita sopra il colle che sovrasta l'antico abitato, si comprende che il feudo fu fondato dai Longobardi, documenti relativi alla presenza di Ari si hanno nel 1120, quando ne era in possesso il vescovo Gerardo di Chieti. L'antica parte del castello è leggibile nei sotterranei del palazzo, con volte a crociera, a partire dal XVI secolo il castello appartenne ai De Vega, i De Palma, i Carafa, che lo ampliarono con l'aggiunta di corpi di fabbrica. Dal 1577 al 1918 il castello divenne sede amministrativa di Ramignani di Chieti, che usarono il castello come residenza estiva, modificandolo notevolmente in stile rinascimentale. nel Settecento il palazzo si era ingrandito notevolmente, al punto di sfiorare la chiesa di San Salvatore: la baronessa proprietaria del paalzzo fece aprire una finestra-tribuna nel muro per seguire le funzioni religiose senza uscire di casa. Questa chiesa doveva esistere già nel XIII secolo, citata nel 1325. Nel Settecento fu profondamente trasformata in stile barocco, mentre l'antica area della vecchia chiesa divenne una torre merlata di bassa statura, annessa al palazzo. Nella metà del Settecento questi lavori furono realizzati dai nuovi proprietari di Ari e di Tollo: i Nolli di Roma, che usarono il palazzo come i Ramignani. Nel primo '900 il palazzo, come il convento di Francesco Paolo Michetti a Francavilla, divenne un cenacolo culturale, a cui aderirono Gabriele d'Annunzio, la baronessa Francie Picton Walow, l'amico D'Alessandro e Luigi Pirandello, che si trovò a essere presidente di commissione e docente nei borghi del chietino, della città di Lanciano, e della valle pescarese, come Città Sant'Angelo. Dopo i danni della seconda guerra mondiale, negli anni '50 la vecchia chiesa di San Salvatore, gravemente danneggiata, fu demolita, e ne venne realizzata una nuova sul colle. Della presenza delle vecchia chiesa nel palazzo si notano due stanze voltate a crociera, un tempo locali di servizio dell'edificio sacro, e il muro di fondazione, a cui oggi si addossa la rampa che da Piazza Bucciante porta al centro. Il prospetto del palazzo verso valle presenta un ritmo regolare delle finestre, e denuncia una sovrapposizione delle tecniche costruttive.
Torre aragonese di Ripa Teatina
  • Torre aragonese di Ripa Teatina: l'origine di Ripa Teatina risalgono ai popoli Marrucini. Durante l'arrivo dei Longobardi, venne edificata una torre, e il feudo andò al ducato di Spoleto. Distrutta da Pipino il Breve nel 1802 insieme a Chieti, Ripa venne incorporata dai Normanni nel Ducato di Puglia (1076), divenne città demaniale con gli Svevi, si schierò con Ladislao contro il rivale Luigi II di Francia, e nel 1413 fu gratificata col titolo di "Baronessa" delle terre del Contado Teatino. Ripa Teatina conobbe il periodo di massimo splendore nell'epoca aragonese, quando dette aiuti militari ad Alfonso II d'Aragona nel 1484, che la cinse di torri di guardia ancora oggi esistenti. Un torrione si trova all'ingresso del borgo, a pianta cilindrica, con merlature sulla sommità, mentre altre due torri sono inglobate nelle case del borgo alto. Dunque Ripa era ben servita di una cinta muraria, che però oggi è scomparsa per via degli smantellamenti del XVIII secolo.
  • Torre di Danzica o del Colle (Rapino): sovrasta l'abitato, nei pressi della grotta del Colle, che ha testimoniato la presenza umana in queste zona sin dal neolitico, e poi nell'epoca italica prima dell'arrivo dei Marrucini, quando esisteva il villaggio di Danzica, da cui poi gli abitanti si spostarono a Rapino e a Teate, fondando la famosa città. Il villaggio esisteva anche nel Medioevo, ben fortificato, posto a guardia del monastero di San Salvatore alla Maiella. Sulla sommità di località Colle si trova oggi solo la torre di guardia, collegata a un recinto poligonale in pendenza; essa è realizzata con poderosa muratura sulla quale si aprono feritoie, caratterizzata da cortine di pietra e da un nucleo di malta e pietrame eterogeneo. All'interno della torre si vede ancora una volta a botte, che era il vano sottostante, adibito a deposito. Ai piani superiori si accedeva mediante botole con scalette di legno. La parte superiore è semi-crollata, e dato l'aspetto quattrocentesco, doveva essere decorata da merlature.
Dipinto di Francavilla vecchia in Illustrazione italiana (1877), opera di Francesco Paolo Michetti
  • Quartiere Civita (Francavilla al Mare): le origini di Francavilla risalgono al passaggio dei Franchi, da cui il toponimo "Villa dei Franchi". Il primitivo abitato, arroccato sul colle Civita, era abitato da contadini e pescatori. Nel XIII secolo il paese assunse una vera e propria connotazione di villaggio fortificato cinto da mura e torri, con tre porte di accesso: Porta Ripa, Porta Marina e Porta Romana, mentre le torri che fino al 1944 costituivano la cinta muraria, oggi scomparsa, sono ancora oggi esistenti: Torre Ciarrapico, posto di guardia dell'antico convento di San Francesco, Torre d'Argento, posta a est e Torre Masci in via Michetti. In origine le torri erano ben 12, comprese quelle presso il mare e il porto presso il fiume Alento, dove si trovava il deposito del sale. Saccheggiata nel Quattrocento dal Conte di Lando, Francavilla nell'estate 1566 subì un grave attacco turco, venendo incendiata, la chiesa di San Franco venne saccheggiata e spogliata. Nei secoli successivi, fu feudo dei D'Avalos di Vasto fino all'abolizione del feudalesimo nel 1806. Dopo l'unità d'Italia, il centro divenne un'importante meta turistica per il turismo balneare: nel 1873 venne realizzato il primo stabilimento, nel 1878 venne realizzato il Kursaal Sirena dall'architetto Antonino Liberi, trasformato nel 1947 nel Palazzo Sirena, e demolito nel 2017. Il pittore toccolano Francesco Paolo Michetti acquistò alla fine degli anni Settanta dell'800 l'ex convento di Santa Maria del Gesù e San'Antonio, realizzando il suo personale atelier, che divenne di lì a poco cenacolo culturale di artici come D'Annunzio, Francesco Paolo Tosti, Edoardo Scarfoglio, Basilio Cascella, Costantino Barbella e Matilde Serao. Il borgo della Civita nel 1944 fu quasi distrutto dai bombardamenti alleati, e solo pochi elementi storici si salvarono dalla distruzione. Nel 1947 una sbrigativa ricostruzione del centro, come avvenne per le vicine Ortona, Tollo, Pescara e Orsogna, non tenendo conto del valore storico del patrimonio ancora recuperabile, fece in modo di distruggere per sempre l'antico aspetto medievale-rinascimentale di Francavilla, con la demolizione totale della vecchia chiesa di San Franco per la ricostruzione della nuova parrocchia di Santa Maria Maggiore, realizzata nel 1948 da Ludovico Quaroni, delle case superstiti dell'antico borgo e delle vecchie mura sul lato rivolta al mare. L'antico abitato venne completamente cancellato con colate di cemento e nuovi palazzi residenziali privi di qualsiasi valore artistico, il Municipio compreso, che originalmente si trovava nel Palazzo San Domenico, per fortuna rimasto intatto e oggi sede del Museo artistico "Francesco P. Michetti". Si conservano inoltre le tre torri di controllo: Torre Ciarrapico, sede del museo navale, risalente al XVI secolo, dotata di elegante loggiato superiore, anticamente torre di guardia del convento di San Francesco, di cui resta un muro perimetrale; in seguito Torre d'Argento posta in via Civitella, a pianta circolare, con feritoia e base a scarpa, e Torre Masci in via Michetti, che risale all'epoca spagnola del XVI secolo, con pianta ellittica e parte sommitale decorata da merlature. Altre torri nella zona, ridotte a ruderi, sono Torre Di Giovanni, Torre del Monte e Torre Rapinesi.
Veduta di Miglianico: la chiesa di San Pantaleone e il castello
  • Castello Masci (Miglianico): si trova dietro la chiesa di San Pantaleone e San Michele, realizzato nel 1150 e distrutto varie volte. Ebbe funzione di presidio militare, con lo scopo di difendere la costa adriatica dagli attacchi turchi quando venne fortificato nel XIV secolo dagli Orsini di Guardiagrele. Nel XVIII secolo fu feudo dei Valignani di Chieti, che lo tennero fino al 1806. Nel 1492 il castello fu distrutto dai turchi, e lo stesso avvenne nel 1566, quando venne gravemente danneggiato. Ultimi danneggiamenti ci furono nel 1943, quando il castello subì attacchi tedeschi e americani, perdendo l'antico aspetto tardo rinascimentale. Venne restaurato, ma senza che fosse tenuta in considerazione la valenza storica del manufatto, come dimostrano le cortine murarie delle quattro torri angolari, e le schematiche aperture delle finestre, un tempo ad arco a sesto acuto, il tutto a ricalcare un pressapochismo e impoverimento dell'insieme alla pari di miseri palazzine anni '60. Il castello ha pianta quadrata con chiostro interno, e dal XVII secolo è stato trasformato in residenza gentilizia. Dato che è di proprietà privata, non è possibile effettuare un accurato e serio restauro che riporti il castello all'antico splendore.
  • Torre Mucchia (Ortona): si tratta di una torretta di guardia fatta edificare nella seconda metà del XVI secolo da Carlo V, nella località omonima sopra Lido Riccio. Il territorio ortonese, così come quello pescarese, vastese e francavillese, era da anni soggetto ad attacchi turchi, e quello del 1566 fu particolarmente devastante, tanto che la corona spagnola si adoperò per edificare delle torri difensive sulla costa di ciascun centro abitato. Torre Mucchia fa parte di questo sistema insieme a Torre del Moro, che si trova sulla sponda sud del centro di Ortona, ed è oggi inglobata in una villaggio camping. Ha pianta quadrangolare, e forse era composta di un piano superiore a quello attuale, perché manca tutto l'apparto decorativo di merlature.
Castello De Riseis-D'Aragona a Crecchio
  • Castello ducale di Crecchio: sorge al margine dell'antico centro, in luogo molto favorevole per l'avvistamento strategico, tra i due corsi d'acqua dei fiumi Arielli e Riopago. La parte più antica è la torre nord-est, molto semplice nell'aspetto rispetto alle altre, tipica costruzione di guardia dei Normanni (XI secolo). Nel 1279, Crecchio e il castello risultavano sotto la giurisdizione di Guglielmo Morello, signore di Arielli, nel secolo successivo subì delle devastazioni. Il castello attuale fu costruito nel XV secolo, quando venne adibito a residenza gentilizia dagli aragonesi. Nel 1789 il barone De Riseis acquistò il castello, facendo realizzare il camminamento merlato e le decorazioni nardo-gotiche. La torre sud-ovest in stile chiaramente gotico fu restaurata nel 1904 dopo il terremoto di Orsogna del 1881. La famiglia era molto legata sentimentalmente alla casa Savoia, tanto che il re Vittorio Emanuele III e il principe Umberto II di Savoia spesso negli anni '30, come testimoniano le fotografie all'interno delle sale, venivano a fare visita ai baroni a Crecchio. Il 9 settembre 1943, durante la fuga di reali di Roma, il sovrano Vittorio Emanuele, con il figlio Umberto e la consorte Elena si rifugiarono per una notte a Crecchio, volendo partire in aereo da Pescara per Brindisi, e successivamente prendendo la via del mare dal porto di Ortona, e di lì a poco il castello e il paese subirono un pesante bombardamento alleato che danneggiarono seriamente metà del maniero. Con il successivo recupero negli anni '50, il castello negli anni '80 divenne sede permanente del Museo Altomedievale dell'Abruzzo Bizantino, che raccoglie reperti d'epoca tardo-romana e bizantina (IV-VII secolo d.C.) rinvenuti in Abruzzo e nelle vicinanze di Crecchio.
Parte nord del castello, con la torre gotica

La struttura, suggestiva nel suo complesso alquanto, mostra nelle sue linee costruttive la trasformazione subita nei vari secoli, costituita da quattro corpi serrati da torri angolari disposti intorno a un cortile circolare aperto, loggiato su due lati, con muratura decorata a merli. La torre normanna di nord-est rappresenta il corpo originario, che serviva solo a scopo di avvistamento, composta all'interno da tre piani divisa da una ripida e stretta scalinata a chiocciola. Le torri a sud, con caratteri tardo-gotici, sono dell'epoca aragonese, con restauri del tardo Ottocento. L'interno conserva poco dell'aspetto originario a causa dei bombardamenti, tranne la camera reale della porzione posta accanto la torre normanna, dove si trova il letto di Vittorio Emanuele, insieme a una collezione di foto d'epoca dei De Riseis con i membri di Casa Savoia. Le altre stanze sono state adeguate per ospitare la collezione museale. All'ingresso, prima di entrate nel castello vero e proprio, il portale immette in un cortile con pozzo e stemma gentilizio dei De Riseis, da cui una rampa di scale porta all'entrata, mentre un secondo ingresso alla base conduce al seminterrato e alle cantine. Il castello, prima del 1943, e dei restauri successivi, era dotato anche di un grande giardino esterno e di una cappella privata, dedicata a San Rocco.

Torre di Bene
  • Torre di Bene (Orsogna): si tratta di una torre di guardia del tratturo Centurelle-Montesecco, realizzata forse nel XIV secolo, ma rimaneggiata ampiamente nel XIX come residenza privata. Altre voci vogliono che facesse parte di un castello oggi scomparso, detto Castel di Septe, infeudato alla città di Lanciano, ma forse si tratta di una confusione con il castello di Mozzagrogna. Non essendo stata toccata dai bombardamenti del 1943-44, che distrussero ilo castello vero e proprio di Orsogna, posto in affaccio su Piazza Mazzini, accanto il Municipio, la torre cadde in abbandono fino alla fine degli anni '90, quando venne recuperata e allestita a sala espositiva di mostre e presepi nel periodo natalizio. Nel 2017 è partito il progetto per far diventare la torre sede della Biblioteca della Città del Vino di Orsogna. Il nome attuale della torre deriva dall'ultimo proprietario, si trova nella periferia a ovest del comune, caratterizzata da un maschio quadrangolare con base a scarpa, realizzata in laterizio, e divisa da cornici in tre piani, di cui l'ultimo è più piccolo, adibito a colombaia. Non ci sono particolari segni di abbellimento, se non le feritoie varie, e una grande finestra architravata posta all'ingresso principale.
Veduta occidentale di Lanciano, il quartiere Civitanova con le mura ancora esistenti, e il complesso fortificato delle Torri Montanare.convento di Santa Giovina

Valle Frentana

Porta San Biagio di Lanciano
Torri Montanare
  • Mura di Lanciano - Porta San Biagio - Torre aragonese: le mura costituiscono il tratto di un'imponente opera di fortificazione protrattasi nei secoli, che racchiude i quattro rioni storici della città (Lanciano Vecchio, Civitanova, Sacca e Borgo). Il primo tratto di mura risale alla nuova ricostruzione di Lancianovecchia sul Colle Erminio, sopra l'antico abitato di Anxanum, col tratto di Porta San Biagio, del 1059 circa, anno di fondazione della chiesa omonima. Tuttavia delle mura dovevano esistere già nel VII secolo, come dimostrano l'esistenza di case abitate e di chiese, come quelle di San Maurizio e di San Lorenzo, oggi scomparse, e di un castello a pianta elicoidale, detto "Tonnino", che doveva sorgere dove oggi si trova il Palazzo Vergilj. Le mura furono fortificate dal Conte Ugo Malmozzetto, quando Lanciano entrò nella Contea di Manoppello (XII secolo), poi da Federico II di Svevia, e infine da Alfonso I d'Aragona nel 1489, che si occupò di recintare il quartiere sorgente di Civitanova, sopra il Colle Selva, in corrispondenza del Colle Erminio. Nel XIII secolo era stato ben fortificato anche il rione Borgo, di fondazione franco-longobarda, il cui villaggio si era costituito partendo dal vecchio convento di San Legonziano, dove si era verificato nell'VIII secolo il famoso miracolo eucaristico di Lanciano. Nel XV secolo erano presenti otto porte, più altre che si aggiunsero nel XVIII secolo: quelle storiche erano Porta Sant'Angelo, posta presso la fonte del Borgo che introduceva a questo quartiere, Porta San Nicola e Porta Sant'Antonio, poste presso il Ponte dell'Ammazzo, Porta Civitanova, posta accanto le Torri Montanare, Porta Bagnara e Porta Diocleziana, poste presso il ponte della Cattedrale di Santa Maria del Ponte e infine Porta San Biagio, ancora oggi esistente. Questa porta risale all'XI secolo, realizzata in pietra di fiume con conci ben tagliati e assemblati, e mostra un arco ogivale, rifacimento del XIII secolo. Nei secoli seguenti, come detto, si aggiunsero altri ingressi come Porta della Noce e Porta Santa Chiara, che furono nella metà dell'800, come le altre porte, demolite insieme a parte delle mura, per favorire lo sviluppo urbano della città. Il perimetro murario da Civitanova (zona Torri Montanare) fino al Borgo, è in tecnica mista, in laterizio, in pietra arenaria e ciottoli, presentano muratura a scarpa intervallata da torri a pianta quadrata. Il tratto di via del Torrione, sotto Santa Chiara, mostra una caratteristica più uniforme, essendo dell'epoca aragonese, e ha un torrione cilindrico con base a scarpa, decorato in sommità da merlature e beccatelli, e diviso internamente in due piani. Le Torri Montanare sono così chiamate per proteggere la città dagli attacchi provenienti dalla montagna Majella, e risalgono al XII secolo circa, quando venne costruito il rione Civita Nova. Dovevano essere in precedenza più torri, viste le basi tagliate delle mura che proseguono per buona parte del viale Spaventa: la torre più grande è quella più antica, risalente all'epoca di Ugo Malmozzetto, ed è in pietra concia irregolare, a pianta rettangolare, con merlature molto grezze. La seconda torre più bassa è stata restaurata nell'epoca aragonese, come dimostra la parte superiore, che segue la tecnica del laterizio, con le classiche merlature rinascimentali. Il tratto murario prosegue per via Paul Harris e abbraccia l'area conventuale di Santa Maria Nova (oggi Santa Giovina, XVI secolo). Altri tratti murari sono presso i bastioni di Civita Nova, con muratura in opus mixtum, il Borgo in via del Torrione, e Lancianovecchia in via dei Bastioni e via Agorai. Queste due vie mostrano ancora tratti di mura, realizzata sempre in opus mixtum. in via dei Bastioni ci sono due grandi archi sopra cui si sono costruite delle case, dove c'erano delle torri di guardia, mentre in via Agorai le mura sono in pietrame e tufo, e dei tratti mostrano delle porte gotiche murate. Le porte erano:
Tratto murario di via delle Ripe (rione Civitanova)
    • Porta San Biagio: unica superstite, posta all'ingresso da nord del rione Lancianovecchio, presso la chiesa omonima. Ha un arco ogivale gotico, e muratura in pietra concia a blocchi squadrati, risalente al X-XII secolo.
    • Porta Bagnara: del XIII ssecolo, posta nella salita dei Bastioni, presso il Ponte di Diocleziano. Prendeva il nome da un'antica fonte, oggi scomparsa.
    • Porta Diocelziana - Santa Maria del Ponte: risale al XIII secolo, e oggi, benché modificata, è ancora esistente, costituendo l'ingresso al ponte romano dal retro della Cattedrale. Con i lavori d'interramento del fosso e della creazione del corso nuovo all'inizio del Novecento, la porta è stata notevolmente sopraelevata, ma è ancora ben visibile l'arco a tutto sesto da cui si accede, e la torretta medievale di guardia, oggi trasformata in una casa civile.
    • Porta Sant'Angelo: costituiva l'accesso al rione Borgo dalla fonte medievale, e prendeva il nome da una cappella dedicata a san Michele Arcangelo, posta nei pressi del convento di San Francesco. La porta è descritta dagli storici come una delle più belle e decorate della città, prima della distruzione. Si trovava all'incirca all'ingresso di salita dell'Asilo.
    • Porta Santa Chiara o Porta Reale: è una delle porte più recenti, aperte nella metà dell'Ottocento per Ferdinando II delle Due Sicilie in visita alla città. Si trovava all'ingresso del corso Roma presso la chiesa di San Filippo Neri del monastero delle Clarisse, e fu demolita nel 1850 circa.
    • Porta Civitanova - Santa Maria Nova: si trovava presso le Torri Montanare, accesso principale al rione storico.
    • Porta della Noce: si trova in via delle Ripe, ed è posteriore alle porte medievali principali: consiste in un arco a tutto sesto in laterizio che si apre in una fascia di palazzi gentilizi, tra cui Palazzo Macchiocchini Madonna e Palazzo Bocache.
      • Porta San Nicola e Porta Sant'Antonio: costituivano due ingressi lungo il Ponte dell'Ammazzo, sotto la cchiesa di San Nicola nel rione Sacca. La prima doveva sorgere dal lato della chiesa, l'altra invece dal lato del Piazzale Garibaldi, dove si trovava un monastero omonimo, andato distrutto.
  • Palazzo baronale Caccianini con torre (Frisa): si trova all'ingresso del borgo vecchio. L'antica fortificazione, risalente al XIII secolo, citata durante il dominio della Contea di Manoppello da parte di Ugo Malmozzetto e Roberto di Loritello, conserva ancora oggi una torre circolare, annessa al palazzo della famiglia Caccianini, ricavato dall'antico castello. Alla metà del XVIII secolo, la fabbrica venne ampliata con sopraelevazioni del fronte, e l'asse trasversale, collegata alla porta d'ingresso al borgo, è stata ricavata nel XIX secolo. Il fronte si affaccia su Piazza Principe di Piemonte, dei tre livelli in cui il prospetto si articola, il primo e il terzo risultano coperti da intonaco, mentre il mediano è in muratura eterogenea, variamente scoperto dalla caduta del rivestimento in intonaco. Al pianterreno ci sono numerosi ingressi, aperti di recente per l'accesso ai locali di abitazione, al primo livello le finestre sono murate, conservando il loro ritmo regolare, l'unica traccia dell'antica compagine. A esse fanno da contrappunto le aperture dell'ultimo piano, affacciate su balconi e incorniciate da motivi in stucco. In prossimità della torre medievale c'è un loggiato che si affaccia su terrazzo con balaustra. Il cortile interno al borgo si sviluppa su due livelli, il pianterreno del palazzo presenta due accessi con mostra in mattoni, quello più piccolo e chiuso da un arco a tutto sesto, quello più grande ha un interessante arco policentrico aggettante. La sommità di questo palazzo è coronata da una torre civica con l'orologio del paese.
Atessa: largo Torretta, il punto più alto del rione San Michele
  • Castello di Sette (Mozzagrogna): o anche "di Septe", si trova nei pressi di Mozzagrogna. Il castello, a differenza di quanto denuncia l'aspetto attuale, è molto antico, e risale all'XI secolo, donato nel 1040 da Landolfo, figlio di Trasmondo conte di Chieti, all'abbazia di San Giovanni in Venere. Ergendosi sopra un alto colle presso la vallata del Sangro, controllava molto bene il traffico fluviale e il passaggio dei pastori con le pecore verso il mare. I signori "dei Sette", grazie ai fabbri, costruivano spade, frecce e armature presso le officine del castello, rifornendo anche la città di Lanciano. Una leggenda vuole che nel 1062 il castello fosse abitato dal conte Trasmondo, e che in quel periodo nel villaggio pesarese di Aternum, nella chiesa di Santa Maria di Gerusalemme gli ebrei avessero profanato l'immagine sacra di Cristo con un colpo di lancia, e che questa avesse iniziato a sanguinare. I profanatori raccolsero il sangue in un'ampolla, e portarono l'icona nel castello di Sette.
Bastione orientale del rione Santa Croce di Atessa

Uno di essi fu accusato di stupro e portato in giudizio da Trasmondo, che lo fece imprigionare.[50]Il nome "sette" deriverebbe proprio dal fatto che Trasmondo e i suoi successori si adoperarono per portare nella fortezza altri oggetti sacri, in modo da raggiungere tale cifra, in modo da sentirsi protetti da Dio per governare la valle. L'ampolla però fu trasferita nella chiesa di San Salvatore a Pescara, con processione guidata dal Conte Trasmondo e sua moglie. Nel 1070 il castello fu preso dai Normanni che attraversarono la vecchia via Traiano Frentana, e passò nelle mani del feroce Ugo Malmozzetto, che per ridurre all'obbedienza i vecchi baroni, incendiò l'abbazia di Santo Stefano in Rivomaris a Casalbordino e il Castello di Septe. Nel 1259 re Manfredi di Svevia dichiarò Lanciano terra demaniale, donando il castello e il feudo di Piazzano d'Atessa. Nel 1303 Filippo di Fiandra e Conte di Chieti sposò Matilde di Cortinaco, di famiglia francese, e divenne signore di Lanciano, stabilendosi al castello. Filippo però si comportò tirannicamente con esosa politica fiscale, tanto che il castello venne preso d'assalto di lancianesi, mettendolo in fuga. Dopo questo periodo, nel Quattrocento il castello versò il grave stato d'abbandono, nel 1707 risultava in possesso dei Conti Genuino, e nel XIX secolo venne restaurato ampiamente, in modo da assumere l'aspetto attuale neogotico. Nel 1943 fu danneggiato dai bombardamenti alleati, ma restaurato e trasformato in hotel ristorante di lusso. Il castello ha pianta rettangolare, con corpi inquadrati da torrioni angolari con base a scarpa e merlature sulla sommità. Il corpo principale è diviso da un cornicione in beccatelli aggettante, che corre lungo tutto il perimetro, anche delle torri, e nella sommità dell'avancorpo aggettante ha merli. La parte superiore del castello, quello della mansarda, è più ristretta, ornata da un ordine di finestre a tutto sesto. Davanti l'entrata si trova uno splendido giardino con piscina, e altri piccoli edifici in stile neogotico, inclusa una cappella, che doveva essere quella privata della famiglia.

  • Mura e porte di Atessa: il centro storico si presenta come il risultato di processo di conurbazione di due diversi villaggi di origine longobarda del VI secolo, ossia i quartieri Ate - Tixa, rispettivamente di San Michele e Santa Croce, dal nome delle chiese, con al centro io nodo di saldatura del colle del duomo di San Leucio. La tipica struttura ellittica di questi insediamenti tradiscono i processi di espansione e ampliamenti che si sono avvicendati nei secoli. Il quartiere Santa Croce ossia Tixa (lato nord) si ramifica a mo' di fuso intorno a Piazza Castello, con la costruzione di "Casa De Marco" (forse proprio il vecchio presidio fortificato), con la chiesa di San Pietro. L'anello più esterno costituito da via Menotti de Fracesco raccorda Largo Municipio con Piazza Santa Croce, dove si trova la chiesa omonima, affiancata dal campanile, che costituiva una torre di guardia.
Porta San Michele
  • Palazzo del Teatro Di Loreto Liberati, con torre (Castel Frentano): si trova in Piazza Caporali, mentre al torretta di questa struttura guarda in Largo Crognale. Le mura furono costruite nel XIV secolo sopra il recinto normanno, e poi inglobate negli edifici. Il tratto in questione è in pietra e mattoni disposti irregolarmente, e il bastione del torrione, che dà il nome anche alla via, è a pianta poligonale irregolare, terminante in merlatura, ed è inglobato nell'edificio del Teatro comunale. Questo è l'unico tratto di mura abbastanza conservato, in modo da permettere una lettura dell'antico perimetro fortificato di Castel Nuovo (poi "Frentano"), che abbracciava anche Piazza Caporali, via Roma e via dell'Asilo, e altre porzioni, che però sono franate a oriente nella metà dell'800. Il palazzo edificato sopra le mura occidentali di via Torrione divenne sede teatrale nel 1853, quando l'intendente di Chieti permise che si celebrassero spettacoli e commedie. Nel 1923 si costituì un comitato civico che si prefigurava il compito di realizzare una struttura teatrale vera e propria. La sede teatrale allora venne spostata nel Palazzo dei Portici, dove aveva sede il comune, mentre i lavori di realizzazione presso Piazza Caporali prendevano avvio, terminando nel 1927, con una capienza di 20 posti. Il 3 marzo 1930 un incendio danneggiò la struttura, ma l'attività continuò grazie a Eduardo Di Loreto e Pierino Liberati. Dopo la seconda guerra mondiale, il teatro venne inaugurato nuovamente nel 1945.
Castello ducale di Casoli e chiesa di Santa Maria Maggiore
  • Castello ducale di Casoli: il castello venne realizzato nell'XI secolo circa come torre di avvistamento, dove si rifugiarono gli abitanti della cittadella di Cluviae (in Piano La Roma). Nel XII secolo la struttura venne ampliata, e si costituì il primo nucleo abitato di Casulae, entrato nella Contea di Manoppello. Dal 1369 al 1489 Casoli fece parte del dominio degli Orsini di Guardiagrele, conquistata da Napoleone, e dopo la rovina della famiglia romana, il castello andò in mano ai D'Aquino. Fino all'800 passò in mano di varie famiglie, fino ai Masciantonio. La figura di Pasquale Masciantonio divenne molto importante nel panorama culturale casolano e abruzzese, perché il castello, come Francavilla e Ari, divenne cenacolo culturale per personaggi quali D'Annunzio, De Titta, Serao e Michetti. Ospite principale del castello fu Gabriele d'Annunzio, molto amico del Masciantonio, il quale vi completò il romanzo Le vergini delle rocce (1895), e soleva chiamare nelle lettere l'amico "Pascal". Nel corso della seconda guerra mondiale, il castello divenne sede del comando militare della Brigata Maiella capitanata da Ettore Troilo, con l'ausilio del Generale Whigram, che prese parte alla battaglia di Pizzoferrato, morendovi. Il castello, dopo essere stato ceduto al comune di Casoli negli anni '80, venne restaurato, anche con grossolani errori di calcolo per alcune stanze, come quella dove dimorò D'Annunzio, e venne adibito a museo politematico: infatti una sala detta "Genrale Whigram", ripercorre le vicende belliche di Casoli e della Brigata Maiella, che nacque proprio nel castello, un'altra sala grande riveste il ruolo di Museo delle Tradizioni e sala conferenze, mentre l'ultima è dedicata al cenacolo culturale di Pasquale Masciantonio con D'Annunzio e Michetti, e da lì si accede alla stanza da letto del Vate, con i graffiti che incise sulle pareti, massime filosofiche e letterarie. La parte esterna del castello è a pianta rettangolare irregolare con tracce di bastioni. Nel periodo di possesso della famiglia Masciantonio si è avuta la definizione distributiva della parte anteriore del Palazzo, il quale ha ospitato la parte propriamente residenziale. Qui si ha la revisione sia nella scansione dei livelli sia nel disegno degli ambienti. Tutto il corpo ha subito in questa fase un rifacimento della copertura in capriate lignee, con un rialzo della linea di gronda, che conferiscono alla facciata più l'aspetto di un Palazzo signorile che di roccaforte di difesa, coronato da un ininterrotto apparato a sporgere, costituito da mensole ad aggetto successive in mattoni, che reggono archetti acuti.
Torre della Porta a Paglieta

Altri interventi riguardano la modifica dell'originaria scalinata interna, con la realizzazione dell'odierna rampa marmorea di collegamento verticale; l'ingresso al corpo dall'esterno, dato da un portale archiacuto ubicato nelle immediate prospicienze della Torre. Un accesso secondario al Palazzo era fornito da un piccolo portale, archi voltato, in pietra lavorata, ubicato lungo la facciata sud-ovest che dava accesso diretto al vano che aveva funzione di frantoio.

  • Torretta del Lago: si trova presso il lago Sant'Angelo di Casoli, detta anche "Torre di Prata". Probabilmente fu realizzata nell'XI secolo, come si nota dall'aspetto classico delle torri di guardia normanne. La costruzione risale al periodo d'incastellamento del medio Sangro, e appartenne alla famiglia Prata, come denuncia il nome. Nell'800, nel periodo postunitario, fu luogo di rifugio dei briganti, per cui è detta anche "torre brigantesca". La torre presenta un paramento murario in pietra calcarea, ciottoli di fiume e scapoli completano la sezione muraria a sacco, di notevole spessore, e piccoli inseriti in laterizio sono usati in corrispondenza delle aperture.
  • Torre della Porta (Paglieta): le origini storiche di Paglieta sono testimoniate da reperti d'epoca italica sparsi per la valle. Nel IX secolo il castrum a pianta elicoidale fu eretto sopra il colle del centro storico, e per molti anni fu feudo di Lanciano. Le mura sono state inglobate nelle case, ma sono ancora visibili una torre rinascimentale circolare con beccatelli, nei pressi della maggiore Torre della Porta, che oggi è il campanile della parrocchia di Santa Maria Assunta. Il rimaneggiamento settecentesco è ben visibile nella parte superiore, a differenza dell'arco ogivale medievale d'ingresso, dacché la torre è stata dotata di orologio civico e di cella campanaria. La fabbrica è in mattoni, e presenta una suddivisione in tre parti caratterizzate da cornici aggettanti. Nella zona centrale, da Piazza Roma, si vede un'apertura rettangolare verso l'esterno, e un vano a scala d'accesso a ridosso della torre, unico elemento che testimonia il compito militare che il mastio fungeva anticamente.
Palazzo Sirolli nel 2009
  • Palazzo Sirolli (Altino): si trova accanto la chiesa madre di Santa Maria del Popolo, e costituiva probabilmente l'antico recinto fortificato del paese, viste le mura poligonali di cinta rivolte a oriente. Il castello successivamente divenne un palazzo nobiliare nel XVIII secolo, e ancora oggi appartiene ai Sirolli, Sulla facciata sono evidenti gli interventi di consolidamento della fabbrica, in particolare un contrafforte a scarpata, realizzato al centro della parete fino alla quota del primo piano, in affaccio su Largo Palazzo. Le murature dell'edificio sono in bozze di pietra e ciottoli spaccati con apparecchiatura irregolare a filari suborizzontali, rafforzati ai cantonali da conci giustapposti di dimensioni maggiori. Le aperture sono in soglie di pietra e cornici in mattoni sagomati secondo modanature classiche. Sul prospetto vi sono tracce d intonaci. Il coronamento è ottenuto con un cornicione di tre fasce di romanelle aggettante, annegate nella muratura e sormontate dai coppi della copertura.

Area del medio Sangro-Aventino

Chiesa di San Giovanni apostolo a Colledimezzo: il castello si trova accanto al campanile
  • Castello D'Avalos (Colledimezzo): nel periodo normanno (1160-65) il paese era chiamato Colle de Menso, posseduto da Rainaldo, abitato da 24 fuochi. Durante il periodo angioino-aragonese, il feudo divenne preda di diversi signori, nel 1462 rientra con 12 feudi nella Contea di Monteodorisio dei D'Avalos, che tennero il paese sino al 1806. Persa la funzione militare, il castello venne trasformato in una residenza signorile, posto accanto la parrocchia di San Giovanni Evangelista, e si ridusse a una semplice casa. Le tracce militari sono visibili nei contrafforti che sono aggrappate alla montagna rocciosa, a strapiombo: l'ingresso è molto semplice, con tre arcate in pietra a tutto sesto.
  • Castello di Buonanotte Vecchio (Montebello sul Sangro): si tratta di un borgo abbandonato che costituiva il nucleo antico del paese di Montebello, completamente ricostruito a valle negli anni '70, poiché una frana del costone roccioso mise a serio rischio l'incolumità degli abitanti. Una leggenda vuole che il paese, sorto nel XII secolo, si chiamasse Malanotte per il rito dello ius primae noctis che il signorotto locale esercitava sulle coppie appena sposate, portandosi al letto la ragazza fresca di matrimonio. Nel [XVII secolo appartenne ai Ricci di Lanciano e nel 1757 ai Caracciolo di Villa Santa Maria. Nell'800 subì un terremoto, e negli anni '60 una frana del costone roccioso fece spopolare completamente l'abitato. Oggi è ancora abbastanza conservato, con la fila di case poste sulla spaccatura della roccia montuosa, con da una parte il campanile della vecchia chiesa di Santa Giusta e dall'altra la torre maestra e le mura fortificate dell'antico castello.
Terravecchia (Fara San Martino)
  • Palazzo castellato Croce (Fallascoso): si tratta di un antico castello situato in cima al borgo, frazione di Torricella Peligna. Il castello doveva esistere dal XIII secolo, poiché anche Torricella ne aveva uno, distrutto purtroppo nel 1943, ma nel XVIII secolo venne trasformato in residenza gentilizia, e nel XIX secolo appartenne alla famiglia Croce di Montenerodomo. Il palazzo è un blocco quadrangolare con cortina interna e semplice decorazioni tardo-settecentesche.
Castello Baglioni (Civitella M. Raimondo)
  • Borgo di Terravecchia (Fara San Martino): l'attuale struttura di Terravecchia è il rione storico di Fara, da cui si accede da Piazza Roma, dove si trova il campanile della chiesa della SS. Annunziata. Il rione è posto su un'altura tra due fossati, facilmente difendibile, avendo il controllo degli accessi principali da Casoli verso la Majella. Il quartiere conserva le testimonianze della stratificazione medievale, fino alla sua definitiva sistemazione ottocentesca. Gli storici identificano il primo insediamento con un centro fortificato dei popoli Carricini, dal nome di Tarinum. Nel Medioevo il paese fu fondati dai Longobardi per volere della contessa Hyselgarda, prendendo il nome di castellum vallis Sancti Martini.[51]Il paese divenne feudo della vicina abbazia di San Martino in Valle, importante postazione di controllo dei traffici e dei transumanti della Majella orientale. L'antica torre con le case annesse si allargo nel XIII secolo, divenendo un vero e proprio paese fortificato, dove venne eretta la chiesa di Santa Maria in Fara (oggi chiesa dell'Annunziata). La cinta muraria aveva una torretta rompitratta a U, con spigoli di 30 metri, dotata di feritoie, che permettevano il tiro diretto, oggi ancora presente, e adibita a struttura residenziale. La cinta muraria fu allargata in età rinascimentale, con la creazione di un bastione che si concludeva a forma semicilindrica, con colubrine e cannoni nei pressi di Porta da Piedi, al fine di sorvegliare il Ponte del Re sul fosso della chiesa di San Pietro. L'apparato medievale è stato in buona parte distrutto dal terremoto del 1706, vennero modificate la Porta del Sole, la chiesa dell'Annunziata, la chiesa di San Remigio e della Madonna delle Grazie. L'accesso al borgo è dato dalla porta del campanile della chiesa di Maria SS. Annunziata, con due archi gemelli per le campane, e una lunetta affrescata. La principale via Terravecchia conduce in dedalo di stradine che portano al belvedere della torretta. Le case sono tutte addossate tra loro, realizzate in pietra di montagna. Il secondo nucleo, separato da una forra, è caratterizzato da via Napoli e via San Pietro, con case a pianta irregolare, che si stringono tra loro presso strada Morella Ripa.
Porta San Giovanni a Guardiagrele
Lo stesso argomento in dettaglio: Porte e torri di Guardiagrele.
  • Borgo fortificato di Guardiagrele: il centro storico è frutto dell'unione nel XIII secolo dei due "guasti" franco-longobardi di Guardia e Graeli, che sorgevano l'uno presso Torre Orsini, l'altro intorno alla Cattedrale di Santa Maria Maggiore. Il paese subì varie modifiche, specialmente dopo il terremoto del 1706 e i bombardamenti del 1943, che ne hanno in parte alterato l'aspetto con costruzioni moderne. La cinta muraria medievale è ancora ben identificabile, avvolge tutto il centro, anche se in molti tratti è stata sostituita dalle abitazioni e dai palazzi. Il tratto meglio conservato è quello di Porta San Giovanni-Torre Adriana. Si tratta di una torre posta a settentrione-ovest, vicino il complesso delle botteghe dei mastri ramai, presenta un aspetto cilindrico, con muratura in pietrame regolare di piccolo taglio. La Torre Stella è gemella di Torre Adriana, posta lungo via Occidentale. Ha forma circolare, con il prospetto alterato da due balconi, perché divenuta residenza civile. Nella muratura si trova lo stemma gentilizio della famiglia Stella. Segue Torre San Pietro, in via Modesto della Porta, che essendo adiacente a un arco a ogiva, faceva parte del complesso della chiesa di San Pietro Celestino, andata distrutta.
Via Occidentale con Torre Adriana

La torre presenta una monofora, con portale tardo gotico alla base. Sulla facciata della chiesa si trova un'epigrafe del 1438 che parla di un restauro eseguito da un tal fratello Angelo Miscia di Guardiagrele. La Torre di Gastaldo è una delle più antiche, situata in via San Francesco, vicino il Palazzo delle Poste, e per la sua imponenza si pensa che fosse la sede del governatore del gastaldato longobardo. Si tratta di una casa-torre fortificata di epoca altomedievale (VIII secolo). Il paramento murario è composto da conci di pietra squadrata agli angoli, pietrame misto a laterizio nel resto della struttura. Il terzo e il quarto livello sono delimitati dalla cornice marcapiano a denti di lupo.

Torre dell'Acquedotto, presso Largo Garibaldi

L'ultima principale torre è quella dell'antico castello longobardo, detta Torrione Orsini'. A pianta quadrata, con grosse mura in pietra spesse 80 cm, non ha la copertura superiore perché crollata, forse in seguito al terremoto del 1706. Chiusa ai lati essa presenta un'apertura alla base, utilizzata per l'accesso, e una finestra sul lato opposto, oltre allo stemma della città di Guardiagrele e una targa commemorativa a Giuseppe Garibaldi, a cui è intitolato anche il piazzale. Proprio in virtù di questa commemorazione, nella metà dell'800 il piazzale del Rosario venne sanificato, demolendo ciò che restava del castello (1849). Fu atterrata la parte dei recinti a nord-ovest, e venne colmato il fossato di protezione. Testimonianza che la torre era collegata al castello è data dal parco pubblico, e da una seconda torre, quella dell'Acquedotto, ricostruita in forme fedeli, in pietra, dopo le distruzioni del 1943. Ha pianta quadrata con delle feritoie, e vi è affissa una targa con citazione dannunziana del romano Il trionfo della morte, in cui il poeta ricorda la "città di pietra".

Le antiche porte sono Porta San Giovanni, detta anche Porta Fiera, ricostruita in forme monumentali nel 1841, con aspetto neoclassico. La struttura articolata intorno all'arco a tutto sesto, presenta un paramento regolare in pietra solo sulla facciata esterna. Sulla sommità è collocato un fastigio con stemma civico e iscrizione a ricordo del restauro. Porta San Pietro è l'arco d'ingresso all'antica chiesa di San Pietro Celestino distrutta, con arco medievale ogivale, Porta del Vento o di Graeli si trova sul lato destro di Largo Garibaldi, presso la chiesetta della Madonna del Rosario, costituita da arco a tutto sesto in conci di pietra squadrati, che delimitano una volta a botte in laterizio, che imposta su muratura in pietrame. Esisteva anche una Porta San Giacomo, demolita nel primo Novecento per consentire il miglioramento del passaggio dei carri e poi dei veicoli, e oggi rimane solo la traccia presso la via omonima.

  • Castello Baglioni (Civitella Messer Raimondo): l'originario castello a pianta quadrangolare, con annesso bastione in pietra, posizionato in corrispondenza del fronte orientale, si sviluppa su due livelli intorno a vasta corte centrale, a forma rettangolare, e si tratta oggi dell'unica testimonianza del castello, poiché il resto è divenuta dimora gentilizia. L'insediamento di Civitella è menzionato nel XII secolo nel Catalogus baronum. Nel XVIII secolo appartenne ai Baglioni di Ortona, che restaurarono ampiamente il maniero facendolo divenire un palazzo settecentesco con torretta. Fortificato molto bene, il castello ha la facciata inquadrata da cantonali in pietra, articolata su tre livelli, e si presenta scandita da sette assi, con un leggero scatto in avanti del blocco d'ingresso. In alto, sullo spigolo destro del prospetto principale è posta una torretta realizzata in laterizio su mensole in pietra, utilizzata anticamente per scopi difensivi, e restaurata in stile neogotico. L'entrata del palazzo avviene mediante un imponente portale realizzato in pietra della Majella, che abbraccia i primi due piani dell'edificio, entrambi compromessi nella disposizione delle aperture, che tuttavia è ancora leggibile nell'ultimo livello. Nel piano nobile, in asse col portale, si trova un balcone su mensole di pietra, cui si affacciano tre aperture, insieme a piccole bucature che danno luce al sottotetto.
Castello De Corvi di Roccasalegna
  • Castello di Roccascalegna: si presume che il castello fosse sorto da una piccola torre di guardia edificata dai Bizantini e poi dai Longobardi nel VI-VIII secolo, sopra lo spuntone di roccia che domina la valle del Rio Secco. Benché abbia aspetto medievale, il castello non è citato nelle fonti, almeno sino al 1525, in un documento dove è ben descritto, e dove si richiede un restauro per le bocche da fuoco. Un altro atto notarile descrive il restauro del castello nel 1705, quando il maniero era in abbandono. Nuovamente abbandonato alla metà del Settecento, rimase così sino al 1985, quando il comune si decise a restaurarlo, con lavori conclusi nel 1996. Il nome di Roccascalegna è menzionato nel Catalogus baronum nel 1379, quando il feudo era nella Contea di Manoppello; secondo uno studio "scarengia" da "scalegna" deriva da "scarenna" per indicare il fianco scosceso della roccia. Una leggenda vuole che il castello fosse dotato di una scala di accesso, nel momento in cui era barone un tal Corvo de Corvis, che esercitava spietatamente l'editto dello ius primae noctis, andando a letto la prima notte di nozze con le novelle spose del paese.
La chiesa di San Pietro vista dal castello

Nel 1646, quando Corvo de Corvis si accingeva a congiungersi con l'ennesima ragazza, venne ucciso dal suo marito, travestitosi da donna e penetrato nel castello, e il barone morendo, secondo le voci, avrebbe lasciato un'impronta di sangue sul muro della torretta. Tale torretta però, posta alla base del castello, crollò nel 1940. Il castello si trova nella parte alta del borgo, sopra la chiesa di San Pietro. nel complesso si possono distinguere una ripida gradinata di accesso, i resti della garitta che proteggeva l'accesso, e una prima torre di guardia a pianta circolare, parzialmente crollata, caratterizzata da rinforzo della muratura nella parte inferiore e da bocche da fuoco nella zona superiore. Sulla sinistra si nota un portale di pietra a tutto sesto, con ghiera ornata da cuore rovesciato, da dove si passava alla torre crollata nel 1940. Sul fianco nord-ovest emergono altre due torri addossate alle mura, a pianta semicircolare, la Torre del Carcere e Torre del Forno, caratterizzate da spesse cortine murarie interrotte da aperture e bocche da fuoco. Queste torri oggi sono sala museale delle armi da guerra. Presso l'ultima torre si trova l'antica cappella privata del Rosario, oggi sala conferenze, realizzata nel 1577, a semplice vano rettangolare interno e pianta a capanna. L'ultimo punto di guardia, la Torretta, posta in posizione dominante, è cortonata da merlatura guelfa, con numerose aperture quadrate e fori per l'avvistamento. Il versante sud-est, privo di fortificazione, si adegua alla morfologia dello spuntone roccioso, ed è protetto solo dalla torre semicircolare dell'ingresso.

  • Torre del castello di Lama dei Peligni: il nome proverrebbe da "Lamatura" (terreno dell'acqua stagna), ma anche forse dal terreno molto franoso, che ha causato infatti, coi terremoti del 1706 e del 1933, la semi-distruzione del borgo vecchio. Lo stemma civico riportava anticamente solo un monte con tre cime, rappresentando i Monti Pizzi; successivamente venne aggiunta una lama a mezzo stando, a significare il proprio nome del paese. Tale stemma doveva esistere già nel XIV secolo, quando Lama era dotata di un castello. La fortezza dominava il paese di Lamavecchia, che oggi è posto a estremo ovest, lungo la frana, e in abbandono. Dopo il 1706 il paese si spostò più all'interno, lungo la scarpata della Majella, attorno la parrocchia dei Santi Nicola e Clemente. Il castello venne trasformato in residenza gentilizia nel Settecento, ma gravemente danneggiato dai tedeschi nel 1943, tanto che oggi rimane una torre. Tale torre però risulta il frutto dell'accorpamento di più parti, poiché solo in alcuni tratti mostra elementi di fortificazione, mentre le varie porte e le bucature lasciano intendere il processo di trasformazione del castello in palazzo.
castello di Palena
  • Castello ducale di Palena: il castello si trova sul punto più alto dell'abitato, caratterizzato anche dalla torretta dell'orologio, edificata negli anni '50. Nell'anno Mille esisteva una piccola fortezza, quando Palena era un insieme di villaggi sparsi, feudi di Matteo Da Letto (Lettopalena), successivamente il feudo appartenne ai Valda, ai Borrello, ai Mallerius ai De Sangro, che fortificarono il castello come si presenta nelle forme attuali. L'apparato difensivo delle torri, oggi scomparso a causa del terremoto del 1933, fu apportato da Jacopo Caldora e dai Conti D'Aquino, tanto che la fortezza era detta Castel Forte. Il palazzo è caratterizzato da una pianta rettangolare irregolare, che si rivela frutto della varie trasformazioni: esternamente le mura sono a scarpata, contraffortate, e inglobate nella roccia naturale, mentre le finestre della loggetta rinascimentale dell'avancorpo danno l'immagine di una residenza nobiliare. Oggi il castello è sede del Museo Geopaleontologico.
Torretta del castello di Palena
  • Eremo della Madonna dell'Altare: posto su uno strapiombo sulla forra della Forchetta, l'eremo-fortezza è preceduto da un cortile recintato su tre lati. Ha l'aspetto di una piccola rocca a pianta quadrata con bastioni a contrafforte sulla roccia viva. Il complesso è costituito dalla chiesa, da un nucleo abitativo molto articolato ed elegante per i monaci e i pellegrini, e un giardino pensile. Un lungo corridoio esterno, che si affaccia su balconata, conduce sino all'ingresso del piazzale antistante, costituito da una semplice portale a tutto sesto. La chiesa presenta un prospetto a coronamento orizzontale molto semplice, con al centro un portale architravato, sormontato da finestra a lunettone. Internamente ha un aspetto neoclassico, a navata unica, con copertura delle volte irregolare. Il settore abitativo a palazzo castellato, sulla destra, si sviluppa su tre piani. Il santuario fu costruito nei pressi di Taverna, dove si trovava una grotta presso cui il frate Pietro da Morrone sostò tra il 1235 e il 138 prima di arrivare al Morrone. Nel XIV secolo fu costruita un'edicola sacra da Roberto da Salle, successore di Pietro Angelerio, e poi divenne un santuario vero e proprio, detenuto dai Padri Celestini sino al 1807, in collaborazione con la famiglia Perticone quando l'ordine fu soppresso.
  • La Castelletta (Palena): si tratta di una delle masserie fortificate più interessanti dell'Abruzzo, posta in Piana Casone. La prima costruzione è del XVII secolo, su una preesistente casa fortificata, anche se la tradizione vuole che l'edificio sorga sull'antichissimo tempio di Ercole. La casa era una grancia dei conti di Palena, nonché residenza estiva dei nobili feudatari. L'edificio, sviluppato su due livelli, sorge in un luogo isolato, i suoi elementi più interessanti sono le due torrette angolari circolari, incastonate per circa un terzo della circonferenza, Le aperture sono esito delle trasformazioni settecentesche per distribuire gli ambienti abitativi. Coerentemente con il carattere difensivo della casa, il prospetto principale si presenta austero, privo di articolazioni volumetriche, al pianterreno sono due portali a tutto sesto, con mostra in pietra, simmetricamente disposti rispetto a tre piccole finestre quadrate. Al pino superiore le finestre più grandi, a forma rettangolare, inquadrate da conci di pietra, sono perfettamente in asse con le bucature sottostanti. A terminazione dei prospetti ci sono cornici a romanelle a filari di coppi sfalsati
Mura del castello di Archi
  • Castello baronale (Archi): detto anche "Palazzo Lannutti", si trova sulla parte più alta del paese, risalente all'XI secolo, a guardia del paese di Fara Adami. Del castello oggi restano ruderi in seguito ai danni dei tedeschi, che vi posero il comando militare, e al successivo abbandono fino a oggi. Resta leggibile la pianta quadrata con torri angolari cilindriche a scarpa, di cui restano due, una cilindrica, e l'altra semi-quadrata, oltre la cortina muraria sulla quale si aprivano le varie feritoie per l'uso dei cannoni. Il castello conteneva un ampio cortile con pozzo e la cisterna per la raccolta dell'acqua. Fu proprietà di Martino de Segna, che a metà del Cinquecento fece restaurare il castello nelle forme attuali, in un aspetto tardo aragonese, opera del mastro Antonio Malerba. Successivamente il castello fu venduto a Fabrizio Colonna, che conquistò la Valle del Sangro grazie a Carlo V di Spagna, ma l'ultima famiglia nobile che dimorò al castello fu quella degli Adimari, marchesi della vicina Bomba; benché il castello oggi sia detto Palazzo Lannutti, in quanto nella metà dell'Ottocento fu di questa famiglia. Dopo i danni della seconda guerra mondiale, il lato orientale è scomparso, mentre si sono conservati in parte i muri esterni dei lati sud e ovest. Anche se in precarie condizioni, il castello rappresenta ancora il simbolo storico della comunità di Archi, il cui borgo si è sviluppato nel XIV secolo più a valle, lungo la dorsale del costone collinare, dalla cappella castellata della Vergine del Rosario, fino alla parrocchia di Santa Maria dell'Olmo. Benché sia ancora il simbolo della comunità, tal comunità ha fatto poco o niente per restaurare il castello oggi.
  • Mura del castello di Quadri: si trattava di un edificio fortificato posto in via del Colle, in cima all'antico nucleo di Quadri. Potrebbe essere stato edificato nel XII secolo, quando gli abitanti dell'antica località di Trebula (dove oggi sorge la chiesa della Madonna dello Spineto) si trasferirono su un colle per fortificarsi dagli attacchi. A causa dei massicci danni della seconda guerra mondiale, del castello rimane solo un lato, per altro molto rimaneggiato, segno che già prima della distruzione era diventato un palazzo residenziale. Il paramento a scarpa è formato in prevalenza da pietra calcarea, nella parte della sommità, corrispondente al piano nobile, compaiono accanto a bozze di pietra calcarea, elementi in laterizio e ciottoli di fiume, di cui è ricca la valle del fiume Sangro.
Castello di Gamberale
  • Castello di Gamberale: si trova in cima al paese, realizzato forse nel XII secolo, ma restaurato varie volte. Danneggiato dal terremoto del 1933, fu semi-distrutto nel 1944 e danneggiato ancora una volta nel 1984, quando crollò l'antica torre di guardia a causa del terremoto. Si ipotizza, dato l'aspetto, che sia stato costruito su un'antica chiesa, un'iscrizione sulla facciata principale, si apprende che nel 1881 fu ristrutturato da Pasquale Bucci. Tuttavia i restauri successivi, pressoché grossolani, hanno restituito una caricatura dell'antico castello, che oggi appare come una struttura falso-antica in stile pseudo-gotico. Ha pianta rettangolare con il lato verso il paese arrotondato presso l'abside, e contraffortato. La facciata è inesistente, il porticato di base è moderno, così come la torre angolar,e dove si trovano l'orologio e delle discutibili antenne radio. Le facciate sono state intonacate di bianco e fanno da contrasto alle pareti in pietra a vista. L'interno è usato come sala conferenze.
  • Mura del castello Caldora (Civitaluparella): si trova nella parte più alta del borgo, accanto la chiesa dell'Annunziata. Il castello doveva esistere già nel XII secolo, quando nel 1173 è citato da papa Alessandro III. Nel XV secolo appartenne ad Antonio Caldora, figlio di Jacopo, dove vi trovò rifugio nella guerra contro Ferdinando I d'Aragona. Una leggenda vuole che il castello sia stato ridotto a rudere dagli abitanti che ricacciarono con le armi Antonio, ma più che altro il danno è dovuto all'incuria e all'abbandono secolare, poiché fotografie storiche mostrano una torretta ancora esistente nel primo Novecento. I danni della seconda guerra mondiale hanno fatto il resto. I muri superstiti attestano come la costruzione fosse in pietra sbozzata e ciottoli di calcare e pietra arenaria. Rimane una fascia muraria, e tracce di ambienti sotterranei sopra il colle, probabilmente le cantine.
  • Castello di Giuliopoli (Rosello): non è una vera e propria struttura fortificata, ma una sontuosa dimora gentilizia fatta edificare da Giulio Caracciolo nel XVII secolo, che fondò il piccolo paese. Il castello fu dimora di don Vincenzo Pellegrini, poi nel 1917 vi nacque Odilio Domenico Pellegrini, Conte di Timbriade e di Rosello. Nel 1943 venne parzialmente distrutto dalla guerra, ma ricostruito subito e ampliato sempre dalla famiglia di Odilio negli anni '70, e adibito ad albergo. Il castello conserva le parti originali nella facciata principale in pietra a vista, che rappresenta un esempio di unione eclettica di diversi stili, dal gotico al rinascimentale. L'accesso è dato da un portale ad arco a tutto sesto, con due bucature laterali a mo' di alloggiamenti delle catene del ponte levatoio, mentre la parte superiore della struttura, ricostruita, ricalca il'aspetto dei castelli inglesi trecenteschi, con sfarzo di merlature e beccatelli, e una torretta di avvistamento con finestre bifore. L'interno è stato arredato dal conte Odilio con l'opera degli artigiani locali, mentre altri pezzi storici sono stati acquistati dalla famiglia. Dalla parte opposta dell'ingresso si trovga il giardino a quadrato.
  • Castello Baronale (Pizzoferrato): si tratta di un complesso di due edifici posti in cima al paese sulla roccia della montagna, lungo via Portella: il primo è detto Rocca Vecchia, ed è l'antico presidio militare di cui restano ruderi, l'altro è un palazzetto baronale ricavato più a valle. Il palazzo ducale è a pianta rettangolare con due torrette angolari circolari, all'interno dotato di due piani. Nel 1943 fu sede del comando militare tedesco, e venne preso d'assalto dai partigiani della brigata Maiella, capitanati dal generale Whigram, che vi perse la vita. Tuttavia, prima dei rinforzi alleati, i partigiani dovettero subire la controffensiva tedesca, rifugiandosi nella vicina chiesa di Santa Maria del Girone, che era la storica cappella baronale.

Fortificazioni presso la costa dei Trabocchi

Lo stesso argomento in dettaglio: Costa dei Trabocchi.
Castello aragonese di Ortona
  • Castello aragonese (Ortona): è il frutto di varie ricostruzioni, a partire dall'arx romana dell'antica Hortona. Nel XIII secolo doveva esistere un fortino Angioino, ma la trasformazione avvenne con Jacopo Caldora, che fece ricostruire le mura, e poi nel 1452-92, riedificato da Alfonso I d'Aragona e dai suoi successori. Il castello perse la funzione difensiva nel XVII secolo, acquistato dai Baglioni e divenne una residenza signorile, come dimostrano le storiche fotografie del palazzetto ubicato all'interno delle mura, distrutto nel 1943. Proprio in occasione della tragica battaglia di Ortona, il castello che era in abbandono, divenne una polveriera, e saltò in aria, e nel 1946 uno smottamento del terreno tufaceo inghiottì metà della struttura, facendole perdere l'aspetto trapezoidale irregolare. I restauri di consolidamento si protrassero dal 2001 al 2009, restituendo la struttura all'antico aspetto, anche se per sempre compromessa dalla guerra. Ha un aspetto a trapezio caratterizzato da quattro (oggi tre) torri cilindriche tipiche dell'epoca aragonese, e da cortine a scarpata. Oggi del palazzo antico all'interno delle mura rimane un pezzo di muratura, con decorazione a cornice. Le mura hanno pianta a scarpa più larga, e il corpo centrale a forma di cilindro con finestre ad arco gotico. Sulla parte ovest c'è una terza torre più piccolo cilindrica con arco gotico. La pavimentazione della base del lato d'ingresso con arcate sulla muratura, lascia intravedere che il castello avesse un fossato, poi colmato. L'interno è stato adibito a giardino da passeggio, con belvedere in affaccio sul mare. Una delle due torri è divenuta un museo storico che ricorda le vicende della struttura.
Il rione Terravecchia visto da via G. D'Annunzio, con la cupola della Cattedrale e le case-mura della cinta fortificata di Jacopo Caldora; lungo la cinta si trova anche Torre Baglioni
  • Mura di Ortona e Castello Caldora: il rione di Terravecchia, compreso tra corso Matteotti, la passeggiata Orientale, Piazza San Tommaso, Largo Castello e via D'Annunzio, costituisce il nucleo più antico della cittadella. Le origini risalgono all'epoca italica, quando Ortona era il proto dei Frentani, successivamente conquistato da Roma. Nel Medioevo nel XII-XIV secolo il quartiere si sviluppò attorno la Basilica di Santa Maria degli Angeli (oggi cattedrale), e nel XV secolo vennero rafforzate le mura caldoriane e il castello.
    Il confine con il nuovo quartiere di Terranova era posto in Largo Farnese, dove nel XVI secolo Margherita d'Austria volle edificare il palazzo omonimo. Il resto del contado era di proprietà del convento di Sant'Anna (oggi chiesa di Santa Caterina), presso la piazza del Teatro Vittoria. Il nucleo storico della Terravecchia è caratterizzato da un impianto rettangolare, con parte delle mura ancora visibili in via D'Annunzio, nella porzione accanto Torre Baglioni, dove si trovava Porta Marina. I palazzi più caratteristici sono Palazzo Riccardi, dove morì Madama Margherita, Palazzo De Sanctis, Palazzo Ciavocco, Palazzo Arcivescovile e Palazzo De Benedictis. Le chiese dopo il 1943 sono state in gran parte rimaneggiate, come l'ex chiesa di San Domenico con convento, oggi sede della biblioteca diocesana, mentre l'antico monastero di San Francesco d'Assisi è stato completamente stravolto.
    Per non parlare della ricostruzione postbellica della Cattedrale, restaurata in uno stile pseudo-romanico gotico.

Le Porte erano, oltre alla Marina all'imbocco di via D'Annunzio da Largo Castello (porta Marina Occidentale), la seconda porta del castello a Oriente presso il fosso delle Ripe (si trovava tra la Passeggiata Orientale e Largo Castello), Porta del Carmine, posta in Piazza Plebiscito per l'ingresso al centro da via Cavour, e Porta San Giacomo o di Santa Maria, che stava in via L. Dommarco, ingresso alla strada del convento di Santa Maria delle Grazie
. Il rione Terranova nacque nel XVII secolo, con l'allargarsi della cinta muraria di Porta Caldari, posta nell'ex Piazza della Vittoria, all'jngresso del corso, e Porta Santa Caterina, che si trovava lungo via Marina, ancora in parte visibile. L'asse viario principale è il corso Vittorio Emanuele, l'antica Strada Grande, che andava a sfociare nel Largo Farnese e nella piazza del Municipio. I vari palazzi gentilizi che si sono costruiti sono Palazzo Mazzoccone, Palazzo Petroni, Palazzo De Lectis, Palazzo Lavalle-Castiglione. Prima del 1943 sopravviveva sul corso anche la cappella di San Biagio, poi distrutta. Le altre chiese sono quella di Santa Caterina, di San Rocco, fuori le mura, e del Sacro Cuore, in via dei Bastioni. Di interesse, lungo via L. Dommarco, il bastione fortificato a scarpata, con la torretta quadrata irregolare, detta "fortino Caldora", oggi sede di una cantina vinicola, la "Farnese". Risale alla prima metà del XV secolo, quando Jacopo Caldora fece fortificare le mura, e il maschio è ornato da bucature e merlature sulla sommità.

  • Torre del Moro (Ortona): si tratta di una torre di avvistamento presso contrada San Donato, alla foce del fiume. Fu realizzata nel XVI secolo per proteggere la costa dagli attacchi turchi, e più volte venne rimaneggiata, e anche abbandonata. Infatti prima del 1943 delle fotografie la rappresentano danneggiata, ma ancora in piedi, con la sommità ornata da merli. Dopo i bombardamenti e i cannoneggiamenti, della torre è rimasto il moncone di base. Altre torri costiere di Ortona, eretta nella metà del XVI secolo, sono Torre Mucchia in località Riccio-San Marco, ancora in piedi ma in degrado, avente pianta quadrata, e la Torre del Foro, presso contrada Foro, oggi scomparsa, che forse aveva pianta cilindrica.
Scorcio di San Vito vecchia, via del Macello
  • Mura di San Vito Chietino: le prime notizie di San Vito risalgono all'età romana, quando esisteva (e le rovine attuali lo dimostrano) un porto fluviale presso località Murata Bassa, ossia l'attuale porticciolo turistico della Marina. Il borgo vero e proprio sopra la cresta collinare si sviluppò nell'VIII secolo, insieme al culto di San Vito Martire, e con i Longobardi entrò nel ducato di Spoleto. Con la conquista normanna dell'XI secolo San Vito si dotò di mura di cinta, con l'edificazione del fortino militare detto Castellalto. Nel periodo aragonese il porto sanvitese era usato con scalo commerciale da Lanciano, il che provocò varie lotte con la vicina rivale Ortona, che dal XIV secolo fino al 1426 varie volte tentò di evitare la ricostruzione potenziata del porto da parte di Lanciano, fino allo scoppio di una guerra, sanata da San Giovanni da Capestrano. Con la decadenza delle fiere in seguito alle guerre franco-spagnole per il dominio del Regno di Napoli, San Vito decadde, e venne venduta a Sancho Lopez nel 1528, che lo vendette a vari altri signori, come i Caracciolo, fino a diventare municipio nell'800, incluso nel distretto di Lanciano. La parte più antica di San Vito inizia da Piazza Garibaldi e termina lungo il corso Trento e Trieste, le mura parzialmente visibili della cinta delimitano la parte del torrione sud-est in Piazza Garibaldi, e via Mario Bianco. Il castello era un piccolo fortilizio militare collegato alle mura di cinta e alle torri di controllo, che sono visibili lungo via Orientale e via Mario Bianco, in parte inglobate nelle case nel Settecento, e in parte ancora visibili, che denunciano l'aspetto in opus mixtum e opus cementicium. Una torrione è visibile presso Piazza Garibaldi, mentre un'altra porzione in via Bianco, mentre l'antico palazzo del Capitano in stile rinascimentale, con elegante loggiato, si trova accanto la sede municipale, in Largo Altobelli, ed è un'area spettacoli pensile, detto Teatro Due Pini.
  • Palazzo baronale D'Onofrio (Sant'Apollinare Chietino): frazione di San Vito, esisteva già nel XII secolo come castello fortificato, come dimostrano le bolle pontificie di Alessandro III del 1176 e delle carte geografiche vaticane del 1581. Una pianta del castello del 1872 firmata dal geometra Donato Forlani, riporta una configurazione dell'abitato simile all'attuale, con i vari corpi di fabbrica che costituiscono il recinto fortificato, chiuso dalle mura e unito all'arco trionfale di accesso. In origine era il castello di Sant'Apollinare, posto a strapiombo sullo sperone tufaceo, separato dal borgo, che si sviluppò con la chiesa di Sant'Apollinare (oggi parrocchia di Santa Maria delle Grazie). L'accesso all'intero complesso è dato dal portale trionfale in laterizio ad arco tutto sesto. Elementi a salienti dello spazio interno riguardano l'antica fabbrica castellata, un volume intonacato circondato da un porticato ad archi, il grande spazio del cortile, oltre a una serie di fabbricati annessi, a uso di rimesse e cantine. La struttura originaria del palazzo è ancora ben leggibile dal prospetto posteriore, dove per due dei tre livelli salgono dei contrafforti a scarpa, posti in corrispondenza dei muri maestri della fabbrica, in pietra sbozzata, con cantonali degli speroni in laterizio. L'originaria sequenza delle aperture è stata nel tempo modificata con la chiusura di alcune finestre e la riduzione di altre. La decorazione sterna, in funzione dell'originaria destinazione, è assente. L'interno invece è decorato da affreschi settecentesche nelle pareti e nelle volte a botte delle stanze.
Arco dei Filippini a Rocca San Giovanni, nella piazza principale
  • Mura di Rocca San Giovanni: si trovano sul tratto orientale del borgo, dietro la chiesa di San Matteo. I resti più significativi risalgono all'epoca normanna, e culminano con il torrione dei Filippini. Le mura a scarpa in ciottoli di pietra, circondavano un tempo tutto il piccolo borgo, edificato per proteggere dagli attacchi il monastero di San Giovanni in Venere. Il tratto a scarpa è decorato da resti di merlature e basi di torri, il torrione dei Filippini ha pianta circolare irregolare, ed è adibito a funzione abitativa.

Area del Trigno-Sinello - Vasto

castello dei Marchesi di Palmoli
  • Castello ducale di Carpineto Sinello: di proprietà dei Bassi-D'Alanno, si trova in cima a Carpineto. Si mostra come un compatto edificio medievale, articolato in più corpi di fabbrica disposti attorno a un cortile centrale. La prima menzione del castello è del XII secolo, anche se, in virtù dell'intitolazione della parrocchia all'Arcangelo Michele, santo caro ai Longobardi, si ipotizza che il castello sia stato edificato sopra una preesistente torre del VII secolo. Nel XIII secolo il castello fu dei De Sangro, poi degli Acclozamora; nel XVI secolo appartenne ai D'Alanno, e poi al Barone Bassi, che si unì alla famiglia Valignani di Chieti in matrimonio, acquistando il castello. Michele Bassi rimodellò il castello in struttura gentilizia, tra i corpi che compongono il castello c'è la torre a nord, sul punto più elevato, e costituisce la parte più antica. Attraverso una ripida rampa si accede alla corte; sul lato meridionale con base a scarpa si trova una bocca da fuoco a protezione dell'accesso; al di sotto del cornicione, come unico ornamento, vi sono poste singolari applicazioni in stucco, raffiguranti teste di putti. L'interno del palazzo è caratterizzato da uno scalone e da molti ambienti affrescati, stanze voltate a botte, in stile settecentesco. Il castello è stato rilevato dalla Soprintendenza dei Beni d'Abruzzo nel 1991, perché in forte degrado, e ingabbiato per un corposo restauro, che però non si è ancora concluso per ritardi e inghippi burocratici.
  • Borgo fortificato di Policorvo (Carpineto): si tratta di un villaggio che sorge fuori Carpineto, composto da una masseria castellata principale, a pianta quadrata, con cortile interno, e circondata sul fianco da un piccolissimo agglomerato urbano, abitato anticamente dai contadini e dai servi della famiglia che risiedeva nel palazzo. Nel villaggio si trova anche la piccola cappella per le funzioni religiose.
  • Torre medievale di Furci: fa parte del sistema di case fortificate del borgo antico, e si trova nei pressi della casa natale del beato Angelo da Furci. Il torrione ha pianta circolare, in pietra di forma irregolare, e ha la sommità merlata, elementi che fanno pensare all'edificazione tra il XIII-XV secolo. Il torrione è collegato a un palazzetto nobiliare che fiancheggia l'arco d'ingresso al paese storico.
Torre del castello di Palmoli
  • Castello marchesale di Palmoli: il castello si trova all'ingresso del borgo, realizzato nell'XI secolo come torre di guardia, e la testimonianza è data dal torrione maestro, che nei secoli a seguire è stato allargato. Il bastione poligonale oggi si mostra nell'aspetto svevo-angioino del XIII-XIV secolo, mentre da esso parte il complesso a L del palazzo fortificato (XVI secolo), con annessa cappella di San Carlo del XVIII secolo. Il palazzo mostra all'esterno un aspetto rinascimentale, con paramento in conci di pietra minuta, e cornici ad arco ogivale. L'interno è stato adibito a Museo della Civiltà Contadina.
  • Palazzo Tour d'Eau (Carunchio): si tratta dell'antico castello del paese alto, trasformato in residenza gentilizia nel XVIII secolo. Nel 2002 è stato trasformato in hotel di lusso, senza però manomettere le antiche stanze: la struttura ha pianta leggermente rettangolare, con quattro bastioni fortificati angolari, che lasciando intravedere la presenza di antiche torri in pietra. L'insieme è in stile tardo-settecentesco, con ordine regolare di finestre, e grande portale a tutto sesto con cornice in mostra.
Palazzo Franceschelli di Montazzoli
  • Castello Franceschelli di Montazzoli: il castello sorge sulla parte più alta del paese, e ha un aspetto irregolare per seguire la morfologia del puntone roccioso sopra cui sorge. Esso è tendente al rettangolo, ma a un punto si piega assumendo una forme simile al parallelepipedo. Il complesso attuale è sorto nel XVI secolo, si distribuisce su un'altezza di due livelli, più mezzanino sul prospetto est, ed è caratterizzato da una scarpata al basamento, sui prospetti est e sud, e dalla parte superiore legata a un marcapiano in travertino. Il prospetto nord è stato ricostruito dopo il terremoto del 1907, in blocchi di pietra squadrati e regolari, conservando solo alla base la muratura antica. Le cinque grandi finestre che si aprono a nord hanno un arco ribassato, molto diverse da quelle degli altri prospetti del castello. La compatta massa muraria a est è interrotta dalle aperture, quadrate e più piccole quelle del piano inferiore, più ampie quelle del piano nobile, dotate di balconi su mensole. Interessante è la finestra quadrata del marcapiano a est, usata probabilmente come feritoia del carcere interno, dove si torva un blocco con inciso Nolite nocere. Il portale principale ha un arco ogivale e battenti in legno. Gli ambienti interni sono sette-ottocenteschi, riccamente affrescati con motivi classici e floreali.
Veduta del centro di Celenza: la chiesa di Santa Maria Assunta
  • Resti di Roccavecchia (Roccaspinalveti): l'area dell'alta valle del Trigno, nella zona di località Rocca, era abitata sin dall'epoca romana, come dimostrano reperti di un tempio dedicato a Marte. Il paese sorse nel Medioevo, ed è menzionato nel XIII secolo, quando venne a contesa con Lanciano, per dei furti. I lancianesi assediarono la rocca distruggendola, ma venne ricostruita. Nel Settecento il paese è menzionato come Rocca Spina Oliveta, ma all'inizio dell'800 una grave frana fece scivolare a valle gran parte del paese, che venne abbandonato per essere ricostruito completamente, più a valle, col nome di Roccaspinalveti. Dell'abitato antico si riconoscono le mura di alcune case, del palazzo baronale, e dell'antica chiesa di San Pietro, in località Aia Bruna.
Torre della Fara
  • Torre della Fara (Celenza sul Trigno): si trova lungo la Strada statale 650, presso il fiume Trigno, a confine tra Abruzzo e Molise. Rappresenta il tipico esempio di presidio sobrio e funzionale dei franco-longobardi, a guardia dell'antico santuario della Madonna del Canneto (Roccavivara), dall'altra parte del fiume. Risalirebbe all'XI secolo, alta 15 metri, con diametro di 6. La torre ha pianta cilindrica, con assenza di muratura a scarpa, materiale in pietra concia irregolare, e con ingressi interni divisi a piani accessibili da scale, e feritoie scavate per le bocche da fuoco. L'ambiente dei sotterranei era adibito anche a cisterna per la raccolta dell'acqua.
  • Borgo fortificato con torre (Celenza): benché conserva ancora l'antico aspetto che si distingue nettamente dall'abitato novecentesco raccolto tra Piazza Mazzini e Corso Umberto I, il centro medievale è stato molto rimaneggiato, soprattutto in seguito ai danni della seconda guerra mondiale. Il borgo ha uno schema a pettine adagiato sul colle, orientato verso le due direttrici principali del tratturo Ateleta-Biferno, che scorre sotto l'antica Porta Capo, e la strada del santuario della Madonna di Canneto presso la vecchia Porta da Piedi. Il fulcro antico del borgo era Piazza Maestra (oggi Piazza del Popolo), dove sorgeva la porta di accesso al borgo, con la chiesa di Santa Maria Assunta, rifatta nel 1605, dotata di robusta torre di controllo, oggi il campanile, e dell'adiacente Palazzo Ducale Caracciolo, demolito nell'800. Alcune case del borgo conservano ancora muratura a scarpa, come quelle di via Pomeriali e via Frainili, dove prima della guerra sorgeva una torre, nelle case murate di via Palazzo, dove si trova la casa Piccoli D'Aloisio.
  • Castelfraiano (Castiglione Messer Marino): si tratta di una fortezza longobarda del VI secolo, situata in cima al monte che sovrasta il centro di Castiglione. Della fortezza, oggi inglobata nel parco eolico, resta ben poco, se non minute tracce, perché già abbandonata nel XIII secolo, quando sul colle di Castiglione venne eretto il castello, anch'esso perduto.
Monteodorisio
  • Borgo fortificato di Monteodorisio: il territorio di Monteodorisio fu abitato sin dall'epoca italica dei Frentani. Presso il borgo sono stati ritrovati i resti di una villa romana, segno della colonizzazione del territorio portuale di Vasto, dove presso Punta Penna esistevano i villaggi di Buca e Punta D'Erce. Il territorio pianeggiantee favorì l'agricoltura e vari insediamenti abitativi. Il colle dove oggi sorge il borgo fu cinto da mura, divenendo da villa "civitas", e nel X secolo divenne la città principale di una contea omonima. Nel 572 i Longobardi discesero in Italia, creando il Ducato di Spoleto e quello di Benevento, dove l'Abruzzo fu incluso. All'epoca Monteodorisio subì il saccheggio, e venne edificata una torre di controllo, l'antico presidio del castello d'Avalos, che comunicava con la Torre della Fara, presente al confine dell'Abruzzo e del Molise sul fiume Trigno, compresa oggi nel comune di Celenza sul Trigno. A quest'epoca (VIII secolo) risalirebbe il toponimo attuale, dal nome Mons e dal germanico Auderis, attestato anche nella cronaca dell'abbazia di Farfa nel 763, mentre un tal Auderirius risultò essere vescovo di Ascoli Piceno nel 776. Tuttavia il toponimo è riferibile al conte Oderisio dei Marsi di Celano, che estese i suoi domini fino alla costa adriatica frentana dalla Marsica.
    Importante è un documento in cui la Chiesa dava in concessione al conte Berardo dei Marsi la chiesa di San Nicola presso Monteodorisio. Nella carta si riporta che Attone vescovo e conte di Chieti, aveva il diritto di eleggere i prelati della chiesa e di ricevere le tasse, senza rendere conto all'episcopato Teatino. Da documenti pubblicati dal filologo abruzzese Cesare de Lollis, si apprende che sotto il governo di carlo I d'Angiò, Monteodorisio, Pescara e altri borghi abruzzesi furono dati in feudo a Sordello da Goito, il poeta incontrato da Dante Alighieri nel Purgatorio. Si ipotizza anche che nel XII secolo fosse stata eretta una piccola chiesa gestita dai Cavalieri dell'Ordine di Malta, che avevano la loro sede a Vasto, nella distrutta chiesa di San Giovanni Battista di Gerusalemme.
Il castello D'Avalos di Monteodorisio

Il borgo fortificato era recintato da mura, poi inglobate nelle case, girava intorno al quartiere Capo Rocca, dove si trova il castello, poi proseguiva in già per via Porta Carbonara nel rione Capo Rotto, dove si trova una torre detta "Castelluccio" (XII secolo). Altri limiti sono posti in Largo San Francesco dove si trovava la torre campanaria dell'antica chiesa dei Francescani, via del Muro Rotto. Presso il santuario di Santa Maria delle Grazie, appena fuori il borgo, si trova Torre dei Celestini. I monumenti principali sono il Castello D'Avalos, il Palazzo Suriani, la chiesa madre di San Giovanni, e fino al 1964 sopravviveva la chiesa di San Francesco, al termine della via Vittorio Emanuele.

  • Castello d'Avalos (Monteodorisio): il complesso risale a una torre di avvistamento dell'XI secolo fatta edificare dal Conte Oderisio dei Berardi di Celano. Successivamente nel XIII secolo divenne un castello vero e proprio appartenuto agli Orsini e poi ai D'Avalos di Vasto. Benché sia stato molto manomesso nel XVI secolo, divenendo un palazzo gentilizio, la torre maestra di Oderisio, insieme alle altre tre lascia comprendere il ruolo militare della struttura. Del castello si preservano il tratto murario nord-occidentale, fornito di quattro bocche da cannone, il complesso residenziale castellato del lato sud-ovest, e tre torri, molto rimaneggiate. Il torrione ovest è ornato da coronamento a mensole a forma di becco, senza feritoie, con un ornamento superiore ad archi intrecciati, sormontato da un secondo a ovoli; la torre a nord è a scarpa e il livello superiore appiombo, con mattoni collocati a spina di pesce; l'ultima torre è quella dell'antico presidio altomedievale, a base a scarpa, e con muratura molto più fortificata delle altre, ricca di feritoie per le bocche da fuoco. Le mura in mattoni e ciottoli di fiume mostrano alcune opere di consolidamento riferibili alla fine del Quattrocento, mentre altri interventi raffazzonati sono del 1960. La zona della quarta torre, nella corte interna, è stato costruito nella metà dell'Ottocento il palazzo municipale. L'interno del castello è sede del Museo delle Tradizioni.
Castello Caldora di Vasto
  • Castello Caldoresco (Vasto): sebbene preannunci il genere della fortezza quattrocentesca, il castello è il frutto di vari accorpamenti, introno alla corte rettangolare con i lati maggiori rivolti a oriente e occidente, rafforzato agli angoli da singolari bastioni lanceolati, il castello mantiene alcune caratteristiche storiche, come l'impianto a sporgere sui bastioni a mandorla, che coesistono con i torrioni circolari ci concezione sorpassata. Questi elementi testimoniano la funzione sostenuta dalla fortificazione vastese, esistente sin dal X secolo, quando venne eretta dal capitano Aimone d'Oddone, primi signore del Guasto d'Aymone e di Guasto Gisone. Nel corso dei secoli appartenne a diversi signori, ma la trasformazione attuali la si deve al capitano Jacopo Caldora nella prima metà del Quattrocento. Le parti ovest e nord conservano meglio l'apparato difensivo, che non si trovano nelle parti che si affacciano sul corso Garibaldi e Piazza Rossetti, che vennero rimodellate con la demolizione dei bastioni e la costruzione di edifici residenziali, come il Palazzo Palmieri, affacciato sulla piazza. Si presume che proprio questo palazzo sia stato edificato sopra una precedente struttura medievale, che doveva servire da armeria del castello. La costruzione originaria aveva pianta quadrata, con i torrioni cilindrici, di cui solo due sono conservati, che inglobava la torre originaria a pianta circolare.
Vasto nel 1831, dipinto di Gabriele Smargiassi: in vita il rione Santa Maria con le torri di Bassano e di Santa Maria Maggiore

Tale struttura è del XIV secolo, prima che Jacopo Caldora restaurasse il castello (1439). Dopo la sua morte, il castello appartenne al figlio Antonio, e poi a Innico I d'Avalos, prima che fosse costruita la sontuosa dimora patrizia alla fine del Corso de Parma. A questo intervento corrisponde la struttura esterna dell'impianto con i bastioni, che incorporò quella quadrata interna. L'utilizzo del bastione a torre lanceolata rappresenta il passo avanti della tecnica di fortificazione tardo medievale-inizio rinascimentale, perché diminuisce la debolezza dello spigolo, aumentandone la resistenza.

  • Cinta muraria di Vasto e torri: la città era dotata di una cinta muraria che abbracciava i due rioni storici del Guasto d'Aymone, costruito sopra la preesistente città romana di Histonium, e di Guasto Gisone, di fondazione prettamente medievale (XI secolo), separati dalla piana del castello medievale. Le mura, benché oggi in gran parte demolite o inglobate nelle case, furono ricostruita con Jacopo Caldora, quando i due quartieri erano stati uniti da Carlo II d'Angiò in un solo nucleo: vennero realizzate le mura di cinta lungo il perimetro della loggia Amblingh, via delle Lame, via Roma, Corso Plebiscito e la via che costeggia l'area dell'antico anfiteatro, ossia Piazza Rossetti, fino al largo dove sorgeva il convento di Santa Chiara. Le porte erano quattro: Porta Castello - Porta Palazzo - Porta Catena - Porta Nuova. Oggi restano solo due, di cui si parla. Porta Palazzo era un ingresso minore, scomparso già nel XVIII secolo, posta presso il Palazzo d'Avalos nella zona di Piazza del Popolo.
Disegno ottocentesco di Porta Nuova
    • Porta Castello: si trovava sul lato sud-est del castello, lato Piazza Rossetti, con accesso verso Piazza Diomede. Era un ponte sorretto da spallette in muratura, sull'arcata superiore nel 656 venne collocata una pietra dal santuario di San Michele a Monte Sant'Angelo a protezione da terremoti. La decorazione era formata da due capitelli marmorei. Nel 1828 per permettere un passaggio più facilitato l'arco venne demolito
    • Porta Nuova: esistente, situata presso via Roma, accesso a nord della città. Fu edificata nel 1544 nei pressi del convento di San Domenico (oggi chiesa di Santa Filomena), all'inizio del Corso Palizzi. Ha struttura imponente, tanto che divenne una delle principali porte della città. Nel 1790 il mastrogiurato Tambelli la restaurò nell'aspetto oggi visibile, con lo stemma della città, sormontato da una loggetta. Di recente sopra l'arco è stato collocato un oculo con lo smalto raffigurante San Pietro, patrono del quartiere d'Aymone.
    • Porta Santa Maria o della Catena: si trova sulla loggia Amblingh, principale ingresso da questa zona al quartiere Santa Maria. Si tratta di una delle porte più antiche della città, con arco a seso acuto in laterizi, mentre le imposte poggiano su due lastroni di pietra. Internamente la porta ha un arco scoperto e l'altro è più basso, al fianco sinistro si innesta un cardine di pietra che aveva un incavo cilindrico per il perno del battente. La porta risale al 1391.

Per quanto riguarda le torri delle mura, esse sono ancora visibili, e se ne conservano tre un un totale di sette. Cingevano le parti di mura più importanti della città, come Torre di Bassano per chi veniva da sud, all'ingresso di Piazza Rossetti, poi Torre Diomede e Torre Santo Spirito a nord-ovest e nord, una per proteggere il castello Caldora, l'altra per il convento di Santo Spirito, oggi trasformato nel Teatro Rossetti. Le torri scomparse sono: Torre Moschetti, situata nel lato sud della città, nei pressi di Torre Bacchetta, ossia dove oggi si apre Largo Marconi. Nel 1850 il sindaco Pietro Muzii, descrivendola, decide di abbatterla per migliorare l'accesso alla città dalla villa comunale. La torre era a pianta cilindrica, visibile anche nelle tele dei pittori Smargiassi e Palizzi, con la cima diroccata, e con i fori delle archibugiere. Torre Bacchetta si trovava presso la loggia Amblingh, a forma semicilindrica, e intorno al 1850 fu demolita perché a rischio crollo. Una terza torre, dal nome sconosciuto, si trovava a nord, forse in corrispondenza di Torre Santo Spirito, risalente al XVI secolo, demolita nel 1787 perché cadente.

Torre di Bassano

Le torri della città sono:

    • Torre di Bassano: si trova in Piazza Rossetti, risalente al 1439 circa, quando Jacopo Caldora ricostruì il castello e le mura. Rappresenta un caso particolare di torri di guardia civica del sud Italia, lo storico Luigi Marchesani nella metà dell'800, nella Storia di Vatso, la descrive in cattive condizioni, ma recante ancora tutti i fasti del Medioevo, inclusa un'icona della Madonna a protezione della città. Al primo piano comprende una serie di archetti che assumono forme sporgenti e merlature, tanto da creare un rigonfiamento del diametro esterno in aggetto, con le mensole ad arco, ma meno accentuato che nei bastioni del castello medievale. Salendo, al piano superiore la struttura si restringe, il piano finale è decorato da uno spalto che fuoriesce, il cui parapetto è sorretto da mensoloni con archetti ovali, a morbida curvatura. Al di sopra corre un nuovo cordone che è sovrastato da un parapetto che culmina in merlatura. La torre venne restaurata dai D'Avalos nel Cinquecento, nel XVII secolo passò alla famiglia Bassano, da cui il nome attuale. Nel 1814 sopra la torre venne collocato il cavo del telegrafo, successivamente rimosso nel 1839.
Torre laterale del castello Caldora
    • Torre Diomede del Moro: si trova sul Corso Plebiscito, ed è oggi una struttura abitativa. La torre fu eretta nel 1439 dal Caldora, e nei secoli successivi divenne dimora, neviera, magazzino, fino a luogo di rifugio nel 1943 durante i raid aerei americani. Ha un aspetto cilindrico, a due piani, con cornice aggettante a merlature rinascimentali.
    • Torre Santo Spirito o Diamante: faceva parte del complesso monastero di Santo Spirito fondato dai Celestini di Pietro da Morrone, e si trova all'incrocio del corso Garibaldi con via Crispi. Ha aspetto allungato cilindrico, nonostante le varie manomissioni, conserva ancora l'aspetto medievale, e oggi è abitata. Sul bastione è ancora leggibile la data del 1493, anno del restauro, con degli stemmi regali, e della città del Vasto.[52]La torre era annessa al monastero dei Celestini edificato nel 1327 e soppresso nel 1807, quando la chiesa passò ai De Pompeis. Lo storico Marchesani riporta che la chiesa sconsacrata era sul punto di crollare, quando la municipalità decise di costruirvi un teatro in occasione della visita di Ferdinando II delle Due Sicilie nel 1819. La torre allora divenne una struttura abitata, con le feritoie trasformate in finestre. La parte superiore è in cemento, realizzazione posticcia, e da alcuni disegni del XVII secolo si nota che la torre era dotata di una cuspide conica molto ben lavorata.
  • Torre di Punta Penna (Vasto): si trova presso il porto di Vasto, tipico presidio militare di avvistamento del Viceregno spagnolo, edificata da don Parafon de Ribeira nel 1563, insieme a tante altre torri costiere dell'Abruzzo Ultra e Citra. Ha pianta quadrata costituita da mattoni con lat intonacati. Ha un'apertura per ciascun lato e due ingresso al lato sud, uno al piano terra e uno al primo piano, da cui si accede mediante una scala. Nel 1977 un corposo restauro modificò la torre, con la sostituzione della copertura a falde con una a pagoda, i barbacani vennero modificati con delle canditoie.

Pescara e la fortezza spagnola

Lo stesso argomento in dettaglio: Fortezza di Pescara.
Via delle Caserme a Pescara, porzione del bagno penale, unico elemento superstite della trapezoidale fortezza spagnola, dove si trova il Museo delle Genti d'Abruzzo

Pescara sin dall'epoca romana divenne un importante scalo commerciale italico-romano, a confine del Piceno e del Sannio, tanto da diventare la zona di confine nel Medioevo sino al 1860 dei due Abruzzi Ultra e Citra. Il villaggio romano di Aternum sorgeva nei pressi di Piazza Garibaldi, nella zona storica del quartiere Porta Nuova, e si presume che fosse popolata anche una porzione al di là del fiume, a nord, nella zona di via Caduta del Forte. Il villaggio fortificato fui ingrandito con l'arrivo dei Bizantini nel VI secolo, e poi con i Normanni nell'XI secolo. Infatti prima della ricostruzione della nuova fortezza spagnola nel XVI secolo, le descrizioni del villaggio, pressoché spopolato a causa della malaria e delle piene, era un presidio militare composto nella zona di via delle Caserme-Piazza Unione dalle mura bizantine con la torre maestra di guardia, e dal resto delle fortificazioni normanno-sveve, che abbracciavano più o meno la fascia del nuovo perimetro spagnolo.

Dopo l'abbandono della cittadella romana di Aternum, Pescara sino al XVI secolo doveva sicuramente essere un semplice castello-fortino con torre per proteggere i traffici sul porto e sul fiume, dato il luogo malsano e la scarsità di abitanti. Già nei documenti del Quattrocento si definisce Pescara come un fortino ben strutturato, complici le ristrutturazioni normanne delle antiche mura bizantine fatto da Ruggero II di Sicilia. Questa cinta era particolarmente visibile sul lato sud, insieme a quella bizantina del VII secolo, ossia la parte attuale del lungofiume di via delle Caserme, con uno spessore murario di 3,60 metri. Si suppone che questo lato avesse anche tre torri, due delle quali appostate presso l'antico ponte romano, dove a ovest si apriva una porta di accesso. Delle torri, che servivano per il pagamento del pedaggio per l'accesso al fiume, resta parte di un torrione sul lato mare, semi-coperta dal cemento.
Il lato ovest si sviluppava lungo la via Orazio e presentava 5 torri. Il lato sud era il più esteso e correva lungo via Conte di Ruvo, e aveva 8 torri. Il lato est dalla parte del mare presentava l'altra porta di accesso, difesa dalla torre "Propugnaculum", il piccolo castelletto che sorgeva presso Piazza Unione. Il lato est era dunque il più corto; la ristrutturazione delle mura apportata da Francesco del Borgo, e poi da Jacopo Caldora, aveva fatto sì che Pescara all'epoca di Carlo V si presentasse già ben munita di mura. Carlo V infatti si interessò a Pescara nel 1527 circa, dopo che respinse l'attacco francese, e iniziò i lavori cinque anni più tardi per rendere Pescara la fortezza marina più grande d'Abruzzo.

Una relazione redatta nel 1531 in occasione della confisca del feudo dal potere di Chieti, offre un quadro desolante di Pescara, una terra perduta, abbandonata dalla popolazione, con la presenza di 4 locande, depositi merci, una doganella per il passaggio delle merci dal mare, e una seconda per il transito delle pecore via terra. La rendita annua che venne quantificata dal perito per il feudo era di 500 ducati, che faceva sì che in caso di vendita, Pescara avrebbe potuto avere un valore di 10.000 ducati. Carlo V respinse le offerte di Chieti che voleva tenersi per sé il porto di Aterno, e comprò Pescara, affidandola ai D'Avalos di Vasto, che la tenne in concessione fino al 1806. A partire dal viceré Pietro Alvarez de Toledo, gli spagnoli si misero a potenziare dal 1533 la nuova fortezza di Pescara, dandole la forma di un castello trapezoidale con tre bastioni grandi sulla riva sud del fiume, e altri due su quella nord. Rinforzando i tratti murari già esistenti, gli spagnoli, edificarono ex novo soltanto i tratti a sud-est, ossia la parte di via Conte di Ruvo-viale Vittoria Colonna. Inoltre edificarono una chiesa barocca, che sopravvisse sino al 1943, dedicata a "San Giacomo degli Spagnoli", e si trovava in via dei Bastioni, accanto la chiesa del Rosario, scomparsa anch'essa nella devastazione bellica.
Si sostiene che i bastioni di questa fortezza, dedicati ognuno a un santo: San Vitale (nord-ovest), San Francesco dei Cappuccini (nord-est), Sant'Antonio (ovest), San Rocco (sud-ovest), San Giacomo (sud), San Nicola (sud-est), San Cristoforo (est), avessero anche una chiesa omonima, e tale ipotesi sarebbe data dalla presenza della chiesa di San Giacomo lungo il bastione omonimo, e di altre chiese storiche oggi non più esistenti, come San Nicola o Sant'Antonio, citate nei documenti del monastero di San Giovanni in Venere, che nel XII secolo aveva in feudo Pescara.

fine di via delle Caserme con il monumento a Ennio Flaiano che si affaccia su Piazza Unione, dall'unificazione delle due città nel 1927

Vi fu un secondo episodio, dopo quello francese, che impose a Carlo V l'accelerazione dei lavori per Pescara: il pontefice Paolo IV chiamò nel 1556 il re di Francia Enrico IIad intervenire contro gli spagnoli. Il francese Duca di Guisa invase l'Abruzzo, conquistando Teramo e Campli, rimanendo bloccato però nell'assedio di Civitella del Tronto, ritirandosi. Gli spagnoli con il duca d'Alba si era riorganizzato con l'esercito, e ricacciò i francesi proprio presso Pescara, intuendo l'importanza strategica della fortezza. I lavori vennero accelerati, e in una relazione del 1560 del duca d'Alcalà già si citano 200 fuochi che abitavano la nuova cittadella dentro le mura. Nel 1558 c'è una relazione del maresciallo di Campo Bernardo di Aldana il quale chiedeva la fortificazione dei bastioni a nord e sud del fiume, ma il duca d'Alcalà si affidò al progettista Tommaso Scala, che iniziò i lavori sulla riva destra, completando l'opera molto velocemente. Nei documenti di questi anni infatti si cita la realizzazione del bastione San Giacomo, che doveva stare tra via Italica e via Vittoria Colonna. Nel 1560 veniva realizzato il terrapieno del bastione Sant'Antonio a monte del fiume, presso la vecchia torre di via Orazio. Nel 1562 veniva riorganizzato il bastione San Nicola insieme alla torre, posto a confluenza tra via Vittoria Colonna e viale Guglielmo Marconi. Nel 1563 si provvide a realizzare la caserma per l'alloggiamento dei militari, mentre si lavorava al bastione San Rocco, presso la via della stazione di Pescara Portanuova, e al bastione San Cristoforo o della Bandiera, posto sul lungofiume est, gemello del bastione Sant'Antonio sul lato ovest.
In sostanza il perimetro murario della nuova fortezza pescarese, ancora oggi in parte leggibile soprattutto sul tratto del Lungaterno Sud e della zona sud-ovest di viale Orazio, comprendeva le attuali strade di Piazza Garibaldi, via delle Caserme, via Lago di Scanno, Corso Manthonp, via Catullo, via Corfinio, via Properzio, via Catone, viale Vittoria Colonna, via Conte di Ruvo, Piazza Alessandrini (ex XX Settembre), Piazza Unione all'incrocio di via delle Caserme col viale Marconi, poi a ovest via dei Bastioni, Piazza Garibaldi, fino all'incrocio con viale Orazio di via Vittoria Colonna e via Conte di Ruvo, con l'antico fossato che lambiva via Lago di Scanno. La porzione di Castellammare a nord del fiume invece comprendeva la porzione del Corso Vittorio Emanuele che costeggia a sinistra via Chieti e via Caduta del Forte, dove si riconosce ancora ciò che resta del bastione San Vitale, demolito e sopra cui venne costruito il grande palazzo del Cinema teatro Massimo, che ha più o meno lo stesso aspetto di un contrafforte a spigolo. Una porzione in via Pesaro lascia intravedere ciò che resta dell'armeria della fortezza, e vi si torva la cappella del Carmine.

Disegno ricostruttivo dell'antica fortezza di Pescara
Pescara vecchia nel primo '900, veduta di via dei Bastioni, all'incrocio con viale Umberto I (oggi via d'Annunzio); veduta della torre campanaria della vecchia chiesa del Santissimo Sacramento, demolita nel 1929 per erigere la nuova Cattedrale di San Cetteo. Il campanile in fondo è della chiesa del Santissimo Rosario, distrutta durante la seconda guerra mondiale

Con la costruzione di questa nuova fortezza, la più grande d'Abruzzo dopo il Forte spagnolo de L'Aquila, Pescara subì vari attacchi, per interessi politici e strategici. Nel 1707 ad esempio il duca Gian Girolamo II Acquaviva dovette difendere la fortezza durante la guerra di successione spagnola, contro gli attacchi militari degli austriaci. Il duca Acquaviva tenne bloccati per un mese oltre 9 mila austriaci con solo 800 uomini. Gli austriaci tornarono ad attaccare Pescara nel 1734: gli spagnoli sbarcarono a Livorno, unirono le loro forze col duca di Parma e di Piacenza Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna, conquistando Napoli il 10 maggio. A comando del duca di Castropignano, gli spagnoli iniziarono l'assedio di Pescara il 20 giugno, ponendo il quartier generale presso il convento di San Giuseppe sposo di Maria, che si trovava nella zona nord-ovest, presso l'attuale nuova parrocchia in via Paolini. I colpi d'artiglieria sparati dalla fortezza però danneggiarono il convento, e l'assedio terminò presto con la presa della fortezza, difesa da 800 austriaci circa, il 4 agosto 1734. Tale convento infine fu chiuso nel 1811, riaperto nel 1819 e soppresso definitivamente nel 1866 con le leggi piemontesi.

Gabriele d'Annunzio fu uno degli ultimi testimoni oculari ad assistere al cambiamento profondo di pescara vecchia, essendo nato nel quartiere del bagno penale, presso Piazza Garibaldi, o del comune. Nel Notturno ricordò alcuni edifici oggi scomparsi della città, come il bastione e la chiesa di San Giacomo, anche se nel 1927 circa fu lui stesso a volere l'unione delle due città, ed a sollecitare la costruzione di una nuova chiesa dedicata a San Cetteo patrono, dove custodire le spoglie della madre Luisa De Benedictis

Durante gli anni della "repubblica partenopea" (1799), Pescara vide protagonisti gli insorti Gabriele Manthonè ed Ettore Carafa. I francesi, che avevano con Gioacchino Murat occupato gli Abruzzi, e successivamente nel 1806 per mezzo di Giuseppe Bonaparte, presero possesso della fortezza, e sancirono la separazione di Pescara vecchia dal nuovo comune che stava nascendo a nord-est, presso la costa del bastione San Vitale, chiamatosi "Castellammare Adriatico", affidato all'amministrazione della provincia di Teramo, mentre Pescara restava a Chieti in Abruzzo Citeriore.
Pescara subì un altro assedio nel 1815 quando gli austriaci, appostatisi presso la Villa del Fuoco, cannoneggiarono la fortezza da ovest, costringendola alla resa. Con il governo partenopeo dei Borbone, tra il 1815 e il 1853 fu avviata una campagna di bonifica dell'area, con la costruzione dei canali, la bonifica delle paludi a nord (la Vallicella) e a sud (lago Palata). Nel 1838 nella fortezza fu rinchiuso anche il patriota pennese Clemente De Caesaris, che aveva organizzato la rivolta dei "martiri pennesi" contro la Corona partenopea, fucilati a Teramo nel 1837, ma riuscì a fuggire.

In seguito alle leggi sull'eversione dalla feudalità, Castellammare, per la vicinanza alla costa e per il favorevole terreno pianeggiante, subì un rapido sviluppo economico e demografico, mentre anche l'area attorno veniva colonizzata tra il 1833 e il 1842 da vari contadini. Anche la pesca divenne molto redditizia, dato che i mercanti non erano più costretti a pagare il dazio alla fortezza, e sulla sponda sinistra a nord del fiume si creò il piccolo villaggio del Borgo Marino, attraversato oggi da via Pietro Gobetti. I Borbone avviarono la prima fase di smantellamento parziale delle mura, riducendo la zona delle caserme a bagno penale per rinchiuderci i dissidenti politici e i sovversivi. La prigione, nota come lo "Spielberg d'Abruzzo" per il duro trattamento riservato ai detenuti, per le condizioni igienico-sanitarie disastrose e per le numerose morti causate dagli allagamenti delle celle per le piene del fiume, visi i problemi d'insabbiamento del fiume presso il porto, e l'aria salmastra-paludosa generata dalle numerose paludi del contado. Le piene del 1887 e del 1888 furono così tragiche che rischiarono di minacciare anche la nuova rete ferroviaria che aveva stazione a Portanuova e poi a Pescara Centrale, presso il Corso Vittorio Emanuele. Viste le esigenze di svecchiare la città, data la nuova tecnologia, e le possibilità per la piccola realtà provinciale di diventare un importante punto di collegamento per i traffici ferroviari e stradali, ci furono una serie di interventi che interrarono la fortezza, per permettere le opere di nuova costruzione. Recenti scoperte infatti hanno trovato le tracce dei bastioni e delle mura sotto l'attuale piano di calpestio, e proprio tali mura sono diventate le fondamenta per la nuova città in costruzione. L'antico ponte romano che collegava le due rive del fiume nord-sud crollò nel 1703, e fu costruito un ponte levatoio di legno. Con l'arrivo della ferrovia, nel 1863 fu edificato il nuovo ponte di ferro, successivamente negli anni '30 ricostruito in forme monumentali da Cesare Bazzani, architetto anche della nuova Cattedrale.

Stando alle testimonianze di D'Annunzio, Pescara vecchia alla fine dell'800, malgrado le nuove opere di bonifica e modernizzazione dei trasporti e degli edifici, conservava ancora un vago aspetto dell'antica fortezza, e resistevano ancora i bastioni di San Giacomo, San Vitale e San Nicola. Successivamente venne aperto verso il parco della Pineta il moderno viale Umberto I (oggi viale D'Annunzio), che si collegava mediante il ponte ferrato a nord con la Stazione vecchia di Pescara Centrale, che stava nel comune di Castellammare, mentre il viale Marconi, aperto sempre dalla pineta, attraversava orizzontalmente la fortezza, giungendo nella zona del vecchio castello in Piazza Unione, e mediante il ponte, si collegava a nord con Castellammare lungo il corso Vittorio Emanuele.

Il quartiere è detto oggi Porta Nuova in quanto prima degli inizi del Novecento esisteva l'arco trionfale dell'antica chiesa di Santa Maria di Gerusalemme che, collegato col campanile della stessa e di quello della vecchia chiesa di San Cetteo, formavano un ingresso fortificato da ovest all'antica cittadella. Il termine in sé è errato, perché non si trattava di una porta d'accesso, bensì di ciò che rimaneva dell'antica chiesa altomedievale, ma il toponimo negli anni a seguire si rafforzò sempre di più, tanto da diventare il nome della circoscrizione pescarese della città a sud-ovest. Con gli scavi archeologici, un frammenti di colonna dell'antico arco è stato rinvenuto sul viale D'Annunzio, davanti il sagrato della Cattedrale nuova di Pescara.

Valle della Pescara e dei Vestini

Torre del Duomo
  • Mura medievali di Penne: sono ancora oggi in parte visibili, e abbracciano il centro storico del rione Colle Sacro e di Porta da Capo. Nel corso del Settecento persero la loro funzione difensiva e vennero inglobate con le case, o demolite, insieme alle torri, di cui restano alcune tracce, con l'eccezione di Torre Romana, presso Porta San Francesco. Anche la torre del Duomo di San Massimo svolgeva la funzione di difesa. Le mura sono in laterizio o in mattone cotto, e delimitano anche il passaggio di strette vie a serpente, dette "coste". Presso Colle Castello sorgeva il fortino longobardo, a guardia della città, oggi scomparso.
    • Torre Romana: si tratta di una delle torri di controllo poste a sud-ovest delle mura, presso Porta San Francesco. Evidentemente esisteva già all'epoca romana, ma fu fortificata dai Normanni. Ha impianto quadrangolare con una cornice marcapiano ad archetti pensili, e tetto a spioventi. Il materiale è vario, dal laterizio al mattone cotto.
    • Torre del Duomo di San Massimo: la torre della Cattedrale di Penne risale intorno al X secolo, anche se fu modificata nei secoli successivi, assumendo l'aspetto attuale in mattoni faccia vista. Si articola in un primo basso livello con cornicione, e in un secondo blocco con paraste angolari leggermente sporgenti, e quattro fasce di archetti pensili medievali che stanno appena sotto le quattro finestre per le campane. In un lato il portale conserva ancora una cornice con rilievi fitomorfi, tipici dell'arte longobarda, segno evidente dell'antichità remota della torre. La cornice della sommità aveva quattro piccole lanterne angolari, danneggiate dalla seconda guerra mondiale e quindi rimosse, e una grande lanterna centrale con la gabbia di due campane che battono le ore.
Coste delle mura medievali
Porta da Capo
Porta della Ringa
    • Porta San Francesco: è la principale delle porte di accesso dal lato est, già nota come Porta San Nicola, anche se in realtà era dedicata al patrono San Massimo. La porta fu abbattuta e ricostruita in forme monumentali nel 1780 su progetto di Francecso De Sio, è di fattura imponente, con il suo arco centrale a tutto sesto in ornato di bugnato, e affiancato da larghe lesene poste su alti basamenti, con i capitelli a sostegno della fascia architravata. La parte superiore della cornice è sormontata da un frontone mistilineo curvo sotto il quale si apre la nicchia che accoglie la statua di San Massimo, una lapide invece ricorda la visita di San Francesco d'Assisi nel 1216, da cui il nome della porta.
    • Porta da Capo: detta anche di Santa Croce o Porta Teramo. Sorge accanto la chiesa di Santa Croce, e venne denominata così nel 1847 quando nella chiesa entrarono i Passionisti. L'aspetto attuale della porta a doppio fornice è delò 1523, fatta rifare da Alessandro de' Medici: si compone di un arco a sesto acuto trecentesco, e del secondo arco più moderno a tutto sesto.
    • Porta della Ringa: antica porta dell'Arengo. I primi cenni riguardo questa porta risalgono a Muzio Pansa, che la cita nel XVII secolo, detta "dell'Arringa". Nel 1842 il Decurionato di Penne acconsentì all'abbattimento e alla ricostruzione ex novo come accesso monumentale alla città. Il finanziamento venne dal barone don Diego Aliprandi, Cavaliere di Malta di San Giovanni, in previsione della visita di Ferdinando II delle Due Sicilie a Penne. La porta ospita due lapide della famiglia De Torres, una in latina l'altra in italiano, dove si spiega il motivo della distruzione e della ricostruzione. Dal punto di vista dell'abbellimento delle mura medievali in Abruzzo, questa porta rappresenta uno degli esempi più felici di questo genere, insieme forse a Porta Napoli dell'Aquila: si presenta in due distinti corpi gemelli, una base sormontata da tre colonne composite sostenenti architravi e cornici, a loro volta sormontate da piedritti, guglie e palle in pietra, in chiaro stile neoclassico. Elemento principale è il mattone, che presenta dimensioni maggiori nelle colonne, mentre da altre parti sono visibili gli intonaci nella facciatelle.
    • Porta dei Conci: successivamente detta Porta dei Ferrari o semplicemente Portella. Si trova nei pressi dei Portici Salconio ed è una delle meglio conservate della cinta muraria medievale, insieme a Porta da Capo. L'antica denominazione tra origini dai "conci", ovvero le assemblee pubbliche sul sagrato della chiesa di San Giovanni Battista, per discutere sui beni da amministrare, sulle opere pubbliche e sulle elezioni vescovili. La porta è collegata a quella di San Comizio da un viottolo, al livello inferiore della strada carrabile, caratterizzata da un arco ogivale del XIV secolo con cornice in pietra.
Castello Chiola
  • Castello Chiola (Loreto Aprutino): si trova nella parte alta di Loreto, e avrebbe origini longobarde, quando esisteva una prima torre di avvistamento. La torre venne trasformata in castello con l'arrivo dei Normanni. Nel XV secolo fu contesto tra Angioini e Aragonesi, e nei secoli seguenti appartenne a varie famiglie, tra cui i D'Aquino e i Caracciolo. Ne XIX secolo appartenne ai Chiola, che lo restaurarono nell'aspetto attuale di palazzo gentilizio. La costruzione si presenta molto variegata per la stratificazione degli interventi: ha impianto quadrangolare con corpi angolari aggettanti, a testimonianza della presenza di torri, la facciata è dominata dal portale ad arco a tutto sesto, sormontato da grande balcone con finestre neoclassiche. All'interno le camere sono state modificate perché oggi il castello è un albergo di lusso, mentre i seminterrati con le cantine contengono ancora le classiche volte a crociera e a botte.
Palazzo De Felice di Rosciano nel 2012
  • Palazzo De Felice (Rosciano): si trova nella parte alta del borgo, accanto la parrocchia di Sant'Eurosia e Santa Maria Assunta. Deriverebbe da una torre puntone dei Normanni, posta a guardia della Pescara. Di interesse questa porzione contiene le feritoie del XIII secolo, e la sommità a spioventi. Il palazzo accanto è frutto del rifacimento dell'antico castello nel XVII secolo, ma il successivo abbandono ha fatto perdere ogni traccia di decorazione della struttura. Il castello è in restauro, con il compito di ospitare un museo permanente che valorizzi la cultura arbresche della vicina Villa Badessa.
  • Castello De Caesaris - Torre De Sterlich (Spoltore): si trova nel centro storico, in posizione più bassa rispetto al castello longobardo che sovrasta il paese. Esisteva sin dal XV secolo, acquistato nel 1935 dalla famiglia de Cesaris, e passato di proprietà alla nobile Luciana, che negli anni Settanta lo restaurò. Dall'esterno il castello si presenta come una fortezza dal muro perimetrale imponente e omogeneo, con qualche finestra e una sola apertura in basso. Diversamente l'altra facciata non modificata nei secoli successivi, guarda verso il centro storico, con un aspetto settecentesco di palazzo gentilizio sovrastato da torretta quadrata di controllo, decorata da merli. L'interno al seminterrato ha 7 cisterne e una stalla per 12 cavalli, al piano superiore varie scale scomunicanti si rincorrono attorno a una chiostrina. Nei restauri è stato recuperato anche un grande magazzino cinquecentesco con le volte a crociera, sorrette da colonne, il grande salone al pianterreno. Oggi il castello è usato per serate di gala ed eventi culturali.

La torre De Sterlich si trova sulla campagna orientale di Spoltore, e risale al XVI secolo, avente aspetto rinascimentale, ornata da ricche merlature e beccatelli, e finestre ad arco ogivale.

  • Castello longobardo (Spoltore): le prime notizie del Castrum Spulturii si hanno in un documento vescovile di Chieti del 937, e si tratta di una delle fortificazioni franco-longobarde più conservate dell'Abruzzo. Sorge in cima al paese, a pianta quadrata irregolare con torrioni angolari cilindrici: un bastione esagonale al vertice nord e due torrioni agli spigoli sud-ovest. Il castello perse d'importanza strategica dopo il Quattrocento, cadendo in degrado, e venendo in parte inglobato nelle case, tanto che una porzione, quella est, manca delle torri perché vi sono state costruite delle case.
  • Castello Marcantonio (Cepagatti): il castello sorgerebbe sopra una villa dei Vestini italici, poiché nel 1970 sono stati ritrovati dei frammenti di ceramica con l'iscrizione "Panphilus magister". Il torrione molto sproporzionato rispetto al resto del castello fa pensare all'edificazione dei Longobardi nel VII secolo, avente la funzione di avvistamento. Preso entrò nei domini di Chieti, zona di confine tra l'Abruzzo Citeriore e l'Abruzzo Ulteriore. Dunque la cosiddetta Torre Alex (dal proprietario Alessandro Valignano, che lo tenne nel 1632) risale al VII secolo, il castello venne restaurato da questa famiglia di Chieti nel 1458. Passato a Federico e Giacomo Valignani nella metà del XVII secolo, il castello divenne della famiglia Della Valle, anche se continuò a essere abitato dai Valignani, come il celebre letterato Federico Valignani, fondatore della Colonia Tegea degli arcadici. Quando morì Federico, in mancanza di figli, il castello passò a varie famiglie fino al 1904 ai Marcantonio. Il castello oggi è location per matrimoni, ed è caratterizzato dalla gigantesca torre Alex, a pianta quadrata con sommità coperta da tetto ligneo, e affiancata dalla cappella di San Rocco, in stile neogotico. Il resto della struttura mostra un elegante aspetto rinascimentale in laterizio, con archi gotici e merlature che corrono lungo il perimetro di tutta la struttura.
Torre di Alanno
  • Torre longobarda di Alanno: si trova in via XX Settembre, e insieme a una seconda torre nei pressi della parrocchia della Beata Vergine Assunta (via R. De Novellis), costituiva un insediamento fortificato longobardo, che più tardi divenne un castello, anche se oggi scomparso. Questa torre, che è la meglio conservata, ha impianto circolare, con aspetto medievale del XIV secolo, oggi adibita ad abitazione privata. Non risulta intonacata, pertanto ha il paramento in pietra concia a vista, tetto a cono in coppi senza discendenti. La seconda torre merlata in via De Novellis ha pianta quadrata, divisa da cornice marcapiano a dentelli, similmente alle torri campanarie di Lanciano, e ha la sommità costellata da merli.
  • Palazzo-castello di Farnese (San Valentino in Abruzzo Citeriore): si trova nella parte più alta, accanto il Duomo dei SS. Valentino e Damiano. La fabbrica odierna è frutto di numerosi rifacimenti, a partire del XVI secolo, con l'entrata del paese nello "stato Farnesiano abruzzese" di Margherita d'Austria e Ottavio Farnese. La data 1507 testimonia un primo restauro del castello, in merito all'epigrafe commemorativa unica nell'androne d'ingresso, voluto dal conte Giacomo sotto il dominio Farnese. Gli apparati difensivi della muratura poligonale vennero smantellati e venne costruito il palazzo rinascimentale a organismo multiplo. Nel 1784 il palazzo fu ceduto a Giuseppe Andrea Franchi, e divenne successivamente un carcere, citato anche da Gabriele d'Annunzio nel Trionfo della morte (1894). Tutto il complesso è formato da un insieme di edifici nel recinto delle mura costituendi il primitivo castello del XIII secolo. Appartenuto ai Conti Perigiis della Tolfa, nel 1583 con Margherita d'Austria assunse l'aspetto attuale. All'interno l'androne si apre sulla corte su cui s'affacciano i vari edifici costituendi il complesso, di cui il più antico è quello di fronte all'accesso a due piani. Alla sinistra è accostata la scalinata d'onore che raggiunge il portale della loggetta quadrata, scolpito con decorazioni rinascimentali.
  • Castello dei Castiglione (Elice): è una corposa struttura che sorge accanto la chiesa madre di San Martino. il 10 luglio 1084 il feudo di Elice era compreso nel castello di Loreto Aprutino, comandato dal conte Guglielmo Tassone, che donò il piccolo fortino all'abbazia di San Giovanni in Venere. Nel 1168 aveva 264 abitanti, era amministrato da Guillermo Camarda. Nel 1279 era feudatario Fovitosa di Raiano, nel 1284 erano signori Bertoldo e Pietro di Roma. La muratura è prevalentemente in laterizio, eseguita con la tradizionale tecnica a secco. L'edificio è diviso a più livelli, piano a livello stradale, con ambienti interrati dal terrapieno stradale, piano sopraelevato, primo e secondo piano costituenti la zona residenziale. Sul lato piazza, c'è un dislivello col piano stradale superiore ai 3 metri. In questi sotterranei con 5 pozzi in muratura, v'erano ammassai olio, grano e derrate. Il portale d'ingresso immette in un androne a volta i lati, del quale si aprono i locali adibiti a cantine, stalle e alloggi dei servi e della milizia. V'è una grande mangiatoia ben conservata nel locale del corpo di guardia con all'esterno una panca di pietra. Dall'androne si passa al cortile scoperto, caratterizzato dal disegno della pavimentazione, formata da 5 cerchi concentrici posti a distanza regolare, e collegati da due diametri corrispondenti alla circonferenza maggiore, e da una serie di raggi a distanza regolare. Le stanze interne sono in stile settecentesco, alcune affrescate, la leggenda vuole che il castello ne avesse 99: infatti sono molti i piccoli ingressi, e stanze segrete, alcune delle quali accessibili per mezzo di botole di legno, come quella del "trabocchetto", dove finivano i nemici per morire di fame.
Castello di Nocciano
  • Castello De Sterlich-Aliprandi (Nocciano): si trova separato dal paese, sorgente nelle valli del Cigno, tra la Pescara e la Nora. La fortezza risalirebbe, per l'aspetto all'XI secolo, quando venne edificato il torrione ovest a base scarpata poligonale, successivamente inglobato nell'edificio successivo. La storia del castello è legata agli Aliprandi di Penne e ai de Sterlich di Cermignano, che lo tennero nel XVI secolo. In quest'occasione il castello fu trasformato in parte in residenza gentilizia. La struttura ha pianta irregolare rettangolare, con una forma simile alla doppia L. Il prospetto principale, poligonale, è sottolineato da una larga rampa d'accesso in pietra che conduce al portale principale, ad arco a tutto sesto, incorniciato da un riquadro leggermente aggettante. Sulla facciata si notano varie finestre pertinenti certamente del periodo rinascimentale. Tra queste pregevole è una monofora trilobata e strombata che in origine doveva essere una feritoia. Nel castello, si accede a una piccola corte pavimentata in ciottoli che apre da un lato verso il giardino, conservando al piano nobile la loggetta a tre arcate di coronamento, con merli ghibellini. All'interno il castello è stato ristrutturato ampiamente nel 1993 per ospitare il Museo delle Arti.

Majella occidentale

Castel Menardo
  • Castel Menardo (Serramonacesca): si trova fuori dal paese, sopra il puntone roccioso di Colle Ciumina, da cui domina la valle della Pescara e i valichi della Maiella occidentale. La sua collocazione, raggiungibile solo a piedi, è certamente da ricollegarsi all'indiscusso carattere difensivo che la fortezza doveva possedere. L'edificazione del forte risale al XII secolo, e insieme alla Torre di Polegra, a poca distanza era posto a difesa dell'abbazia di San Liberatore a Majella. La leggenda vuole che il castello fosse stato eretto da Carlo Magno, che avrebbe fondato anche il monastero. Il corpo squadrato è simile alle fortificazioni cassinesi, di cui il monastero fu zona feudale, a corpo triangolare con corpo maggiore quadrangolare inserito su una delle estremità, e le due torri circolari agli altri vertici. Il castello forse era costruito su due livelli, ma per i danni che ha subito è difficile una chiara lettura.
  • Torre di Polegra (Serramonacesca): si trova sopra l'eremo di San Giovanni, ed è ciò che rimane di un antico villaggio fortificato del XII secolo. Resta la torre a pianta circolare, in conci di pietra irregolari, con feritoie, e tagliata a metà a causa di un crollo.
Il castello di Popoli nel 2007, prima del restauro
  • Castello ducale Cantelmo (Popoli): il Castrum Populi fu edificata sopra la montagna che sovrasta l'abitato, seguendo lo schema del recinto a pianta triangolare come quelli di Barisciano e San Pio delle Camere (XII secolo). Tre torri tagliano il perimetro murario, e la maggiore è quella originaria, usata come zona di avvistamento, edificata nel X secolo dai Franchi, a guardia del valico dei "tre Abruzzi" verso l'abbazia di San Clemente a Casauria e della Basilica di San Pelino a Valva. La torre rotonda con base a scarpa è certamente simbolo del rifacimento dei duchi Cantelmo, Conti di Popoli, che ebbero il castello dal XIV al XVIII secolo. La torre sarebbe stata costruita dal conte Restaino Cantelmo, volendo realizzare un sistema di fortificazione più moderno, a differenza della coeva torre angolare quadrata. Il muro che unisce le torri e il mastio ha una lunghezza di 50 metri, e occupa la posizione più a nord, di circa 40 metri è invece il muro nella zona meridionale, che ha il compito di collegare il mastio e la torre rotonda. Il castello, appartenuto dunque ai Cantelmo, nel XVIII secolo venne abbandonato, perché la residenza ducale del potere fu realizzata nel pieno centro cittadino, e subì i danni del terremoto del 1706., come è possibile veder ancora oggi, con grandi parti crollate.
  • Roccacaramanico (Sant'Eufemia a Maiella): si tratta di un borgo semi-disabitato, entrato nel circuito turistico dell'albergo diffuso al fine di preservarlo dall'abbandono. Il paese sorse come castello fortificato sopra Caramanico Terme, anch'esso dotato di castello, distrutto però dal sisma del 1933. Il castello sarebbe stato fondato nell'875 d.C., documentato nel 1520, quando divenne feudo dei d'Aquino, Aragona, Angiò, Carafa e Caracciolo (XVII secolo). Fu danneggiato dal terremoto del 1706, come mostra il castello, oggi sede di una locanda, notevolmente rimaneggiato, e abbandonato negli anni '70 del Novecento per poi essere recuperato.
castello Gizzi
  • Castello Gizzi (Torre de' Passeri): il castello nacque come torre di avvistamento nell'XI secolo, a difesa dell'abbazia di San Clemente a Casauria. Successivamente la famiglia Mazara di Sulmona ampliò la vecchia struttura nel XVIII secolo, sotto l'egida marchesa Smeralda, che iniziò i lavori nel 1719. Il complesso, di aspetto settecentesco con un monumentale portale in stile classico, è vincolato dal Ministero dei Beni Culturali, composto da quattro livelli, i primi due interrato e seminterrato, e poi il pianterreno e quello nobile per la residenza. Si evidenzia il cortile stuccato e decorato, il grande portale in pietra sormontato da balcone monumentale con lo stemma dei Mazara, una serie di cinque archi medievali nel muro di cinta. Nel piazzale sono sistemati una lapide di sarcofago del IV secolo e dei reperti romani rinvenuti nella zona, da esso si accede al belvedere che porta a una costa tufacea costellata di grotte. Il castello è sede del Centro studi Casa di Dante, acquistato dai Marchesi Gizzi nel 1967.
Castello di Tocco da Casauria
  • Castello Caracciolo (Tocco da Casauria): il castello esisteva nel 1000, come dimostra il Chronicon Casauriense, appartenuto ai conti eredi di Girardo, nobile franco che edificò la fortezza. Distrutto dai monaci di Casauria, il nuovo castello venne ricostruito nel XII secolo, danneggiato dal terremoto del 1156, appartenuto al Conte di Loritello e di Manoppello. Durante il sisma, vi morì il conte Giovanni de Tortis, e la ricostruzione fu avviata dal figlio Antonio, con l'impianto rettangolare e quattro torri angolari merlate, che consentivano alle guardie di proteggersi durante gli attacchi. All'interno c'è il cortile e sulle pareti vi era lo stemma nobiliare. In un'altra parete c'è una canditoia che serviva a lanciare pietre in caso di penetrazione nemica. Le stanze al pianterreno erano riservate alla servitù, stalle, dispensa. I De Tortis furono duchi di Tocco sino al XV secolo, poi vennero Ferrante d'Afflitto e infine i Caracciolo, che hanno ancora la proprietà del castello, nonostante l'eversione dal feudalesimo del 1806. Il castello necessita di urgenti interventi di recupero, vista la sua perfetta conservazione. L'esterno è tipicamente medievale, nonostante le torri siano state adibite a funzione abitativa. L'interno ha un vasto cortile quadrato.
  • Castello di Musellaro (Bolognano): esisteva già nel XII secolo, come testimonia il Chronicon Casauriense. L'attuale aspetto del castello, trasformato in palazzo residenziale settecentesco, denuncia le origini, che risalirebbero a una torre di guardia, da cui si sviluppò il resto della struttura. Il castello si presenta composto da tre corpi di fabbrica: sul versante occidentale sorge Palazoz Tabassi, il quale si imposta su pianta rettangolare con piano seminterrato e tre fuori terra. L'accesso al piano seminterrato è posto sul prospetto nord, dove una cornice in pietra delinea il portale; le aperture dei tre piani decorano il resto del palazzo con persiane in legno intagliato, balconcini con ringhiere e un'iscrizione. Su Piazza Crocifisso si affaccia il prospetto principale, che oggi è ostello. 6 ingressi, due tamponati, si succedono per l'intera lunghezza del prospetto, tutti decorati in conci di pietra a chiave, sul secondo ingresso è visibile l'antica archibugiera. Il resto del prospetto è arricchito da finestre con cornici sorrette da mensoline. Sul lato meridionale si trova un loggiato che conduce alla cappella del Crocifisso.
Castello Baroni di Genova (Salle)
  • Castello dei Baroni di Genova (Salle Nuovo): si trova nel paese di Salle Vecchio, distrutto da una frana del 1933, e ancor maggiormente danneggiato dal terremoto marsicano del 1915. Le origini risalgono all'XI secolo, come cita il Chronicon Casauriense, nonché il portale bronzeo dell'abbazia, con i castelli infeudati dell'Abruzzo. Diverse furono le famiglie che abitarono la fortezza, come i Colonna, i Gonzaga e i D'Aquino fino al barone Giacinto di Genova nel 1646, da cui prese il nome, e che lo trasformò in residenza signorile, senza modificare l'esterno. Il castello in pietra lavorata della Majella, ha pianta irregolare a L, il cui braccio lungo è occupato dalla cappella del Beato Roberto; la facciata principale offre tre ingressi con feritoie da cui ancora ci sono i fusti delle cannole. Sul lato nord, l'ingresso al museo civico da cui si accede mediante un viale giardino all'italiana. Il prospetto nord-est è occupato dalla parete della cappella, da due accessi uno al piano terra e l'altro a rivellino. Quest'ultimo coronato da merlatura, costituisce la parte più antica del castello. Sono ben conservati degli stemmi nobiliari, specialmente quelli dei Baroni Genova.
  • Torre Quadrata di Roccamorice: si trova nel centro storico, usata come punto d'avvistamento. La torre si presenta a base quadrata, realizzata in conti di pietrame regolare. Presenta cannoniere e feritoie su tutti i prospetti, l'accesso principale è posto a 6 metri da terra, raggiungibile da una scala. Nella parte interna sono stati realizzati due piani con struttura di ferro, collegati da scalinata, poiché ospita un museo civico.

Il Gran Sasso

Torre della Badia di Casanova, in un disegno di Edward Lear
  • Castello Mediceo (Bussi sul Tirino): fu edificato dalla famiglia D'Angiò nel XIII secolo, e appartenne ai monaci di San Benedetto in Perillis. Il castello fortificato si sviluppò insieme all'abitato dall'antico torre di avvistamento dei Longobardi, posta in cima alla montagna in zona San Rocco, e successivamente entrò nei possedimenti del duchi Cantelmo. Successivamente andò ai Pietropaoli di Navelli e ai De Medici di Capestrano (XVII secolo). Interessante la sua struttura ben conservata, con al grande torre rinascimentale merlata.
  • Torre di guardia dell'abbazia di Santa Maria di Casanova (Villa Celiera): era un fiorente monastero cistercense, il primo fondato in Abruzzo dalla contessa Margherita di Loreto Aprutino (1191), affiliata all'abbazia delle Tre Fontane di Roma. Fu protetta da Innocenzo III e Federico II, nel 1368 venne affidata ai Celestini, e con l'impoverimento dell'ordine, anche l'abbazia nel XV secolo cadde in lento declino fino all'abbandono nel 1807. L'abbazia sorge fuori l'abitato di Villa Celiera, e se ne conservano la torre di guardia, usata come punto di rifugio e d'avvistamento, e parti della chiesa, con contrafforti e costoloni delle volte. La torre ha pianta quadrata in conci di pietra ben lavorati.
  • Castello di Pescosansonesco Vecchio (Pescosansonesco Nuovo): il paese vecchio di Pescosansonesco è citato nel 983 dall'abate di Casauria Adamo I, in possesso del Conte Sansone, da cui la fusione del toponimo attuale. Nel 1264 gli Svevi costruirono il nuovo castello, passato poi ai Cantelmo di Popoli fino al 1571. La proprietà del castello passò in seguito ai Valignani di Chieti e ai D'Afflitto di Tocco fino al '700, quando il castello venne danneggiato prima dal terremoto del 1706, e poi rovinò in parte per il terremoto del 1933. Oggi restano dei muri, insieme alle case fortificati del paese vecchio sopra il pesco roccioso.

Teramo

Porta Melatina, o dell'ospedale psichiatrico di Sant'Antonio abate

La città di Teramo fu cinta da mura nel 1158 circa, dopo la distruzione di due anni prima da parte del conte Roberto III di Loritello, che rase letteralmente al suolo la città, meno alcuni edifici. Nelle carte storiche del XVII secolo è ancora ben visibile la cinta muraria con porte e torri di guardia, che però nel XVIII secolo perse d'importanza, e incominciò a essere smantellata. All'inizio del Novecento quasi tutto il perimetro murario era scomparso, con l'eccezione di alcune porte e di Torre Bruciata, l'antico campanile della vecchia Cattedrale di Santa Maria Aprutiensis. La cinta muraria abbracciava la zona della Circonvallazione Ragusa a nord, con il tratto di Porta delle Recluse - Porta Melatino, ingresso dell'ex ospedale psichiatrico "Sant'Antonio", via Porta Reale a est, la Circonvallazione Spalato a sud, il viale Mazzini a ovest con l'ingresso da Porta Due di Coppe al Corso San Giorgio. Le porte visibili sono:

Torre Bruciata
    • Torre Bruciata: fa parte del complesso di Sant'Anna dei Pompetti. Si tratta di un bastione romano del II secolo a.C., poi trasformato in campanile della vecchia cattedrale di Santa Maria Aprutiensis, alta 10 metri, con mura possenti che la circondano. L'appellativo "bruciata" proviene dalle vistose parti ancora in nero che risalgono alla distruzione di Roberto di Loritello.
    • Porta Reale o Porta Madonna: si trova allo sbocco a est del Corso De Michetti, ed è una delle storiche porte di accesso al centro storico. Insieme a Porta Melatina si tratta di un arco onorario, e non di fortificazione, edificato nel 1925 in onore di Ferdinando I delle Due Sicilie che visitò la città. L'arco si chiama anche Porta Madonna perché volge verso il santuario di Santa Maria delle Grazie, e fu costruito in maniera molto rozza e semplice, con un grande arco a tutto sesto sorretto da pilastri murari laterali. L'arco infatti, come si presenta oggi, è frutto di un restauro apportato durante il Ventennio, con dei blocchi di travertino, cui furono apposti dei fasci littori, successivamente rimossi.

Davanti l'ingresso dal Piazzale Madre Teresa, dove si trova il santuario, si trova una statua ritraente Giuseppe Garibaldi nelle vesti di condottiero.

    • Porta delle Recluse: è una porta realizzata agli inizi del '900, durante l'opera di ampliamento dell'ospedale psichiatrico. Si tratta di un grande arco a tutto sesto, dove venivano fatte passare le internate di sesso femminile nelle sale di degenza.
    • Porta Melatina: è una porta storica delle mura, risalente al XIV secolo, ma pesantemente modificata nel corso di ampliamento dell'ospedale psichiatrico, di cui è coeva Porta delle Recluse. Oggi la porta presenta un semplice arco a tutto sesto, ed è l'ingresso principale al centro storico venendo da Nord, nonché all'ospedale psichiatrico, il cui corpo principale poggia proprio sopra l'arco.

Costa teramana

Disegno della città di Giulia Nova, fondata da Giulio Antonio I D'Acquaviva
  • Torre di Carlo V (Martinsicuro): la torre si trova alla foce del fiume Tronto, edificata nel XVI secolo insieme alle torri costiere dell'Abruzzo, della Puglia e del Lazio per fortificare i mari dagli attacchi dei turchi e di altri nemici. Dal 2009 è sede di un museo archeologico del Castrum Trudentinum: è a pianta quadrata, divisa in tre livelli, scanditi da cornice marcapiano. La torre termina con tetto a falde, aggiunto posteriormente, ed è ornata da finestre che si aprono sul prospetto maggiore. Si ammira un'edicola sul lato principale, affiancata da due colonnine con capitelli, che sorreggono l'architrave.
  • Borgo rinascimentale di Giulianova: il borgo esisteva dall'epoca romana quando era detto Castrum Novum, successivamente divenne Castro San Flaviano per le reliquie del santo di Costantinopoli che vi giunsero miracolosamente, con la successiva erezione del duomo a cupola. Il borgo venne ricostruito dal duca Giulio Antonio Acquaviva nel 1471, come esempio di "città ideale" rinascimentale, con pianta quadrata a scacchiera, scandita da mura con torri cilindriche merlate. Vi si entrava mediante tre porte: Porta Napoli o Cappuccini, Porta Marina e Porta da Capo. Nell'Ottocento si aggiunsero Porta San Rocco e Porta San Francesco. Delle quattro torri che determinavano gli angoli, poste al centro della cinta muraria, restano Torre "Il Bianco", poi Torre Porta Napoli, in parte conservata, e altre due torri sul lato est.
Torre di Cerrano
  • Torre del Salinello (Giulianova):si trova nella Marina, lungo la statale Adriatica, tipico esempio di torre costiera di guardia del XVI secolo, edificata dal viceré Parafan de Riberira, duca di Alcalà. La torre è databile 1568, in laterizio, a tronco piramidale di circa 10 metri, di lato alla base, composta da due piani, uno al livello di base e l'altro è primo piano. Coronata da un apparato sporgente sorretto da quattro beccatelli con tre canditoie per lato, strutturato per proteggere la costa dagli attacchi.
  • Torre di Cerrano: si trova nella costa tra Silvi Marina e Pineto, e probabilmente doveva già esistere all'epoca del I secolo d.C., quando si trovava nella zona un antico porto, del municipium di Hadria, oggi Atri. La torre è stata riedificata nel XVI secolo (1568) dal viceré per proteggere la costa dagli attacchi. La torre nel 1981 divenne patrimonio della provincia di Teramo, insieme con un'area naturale protetta, di cui è infopoint e centro documentazioni. Essa è riccamente decorata, tanto da essere la torre simbolo della costa abruzzese, divisa in due piani: il primo a pianta quadrata a bastioni, con terrazza merlata, e il secondo più piccolo, con delle feritoie circolari, e decorazione a merli.
  • Torre dell'orologio (Tortoreto Alto): si trova nel borgo superiore, punto massimo della cinta muraria di difesa, oggi inglobata tra le case antiche. La torre mostra tre fasi costruttive, la prima del VII secolo in pietra di fiume, come mostra la base con l'arco a tutto sesto, la fase centrale del XII secolo con la porta ad arco, e la parte più alta del XIX secolo riadattata per ospitare l'orologio e la cella campanaria. Interessante quest'ultima parte, ricostruita in stile neogotico, con l'arco a sesto acuto della campana maggiore.

Valle del Vomano

Torre di Montegualtieri
  • Rocca di Capo d'Atri e Porta San Domenico (Atri): si tratta della grande fortezza della città, realizzata da Luigi di Savoia nel 1390 sul lato occidentale dell'antica Atri, distrutta dai cittadini che si ribellarono a Ladislao di Durazzo nel 1414. Ricostruita dagli Acquaviva, contenne gli assalti del 1461, anche se poi venne abbandonata e demolita, restandone solo parte di un bastione. All'interno sono state ritrovate cisterne in mattoni, per l'acqua piovana, la parte superiore del terrazzo che si apre sulla Valle del Vomano era utilizzata per l'avvistamento. La Porta di San Domenico, presso il monastero di San Giovanni, nella parte nord della città di Atri, è quanto rimane della cinta muraria, demolita nella metà dell'Ottocento. Ha un arco ogivale gotico del XIII secolo.
  • Torre di Montegualtieri (Cermignano): si trova nella contrada omonima. La forma triangolare ne fa un esempio unico in Abruzzo, escludendo la fortificazione longobarda di Sutrium a Bussi. La muratura p costituita di pietra cava, arenaria locale, lavorata fino a ottenere il mattone regolare. I mattoni costituiscono la cortina muraria del recinto esterno, della quale si notano alcuni rifacimenti in pietrisco irregolare. La fortificazione si allunga dal terrapieno consolidato dal muro contro terra a scarpa, e ha una parete rivolta verso il borgo, mentre uno spigolo e le latre due fasce rivolte verso il Vomano. La sommità è decorata da canditoie, beccatelli e merlature.
  • Torre della regina Giovanna (Bisenti): torre a pianta quadrangolare, a difesa del borgo, edificata nel XIII secolo, e restaurata da Giovanna I di Napoli. L'edificio si presenta a muratura continua, con muro a scarpa nella parte del basamento. Numerosi sono stati gli interventi di restauro, specialmente nel XV secolo, le finestre sui lati sud-ovest e nord-ovest probabilmente in origine era feritoie. Anche nella parte superiore si sono verificate delle modifiche, all'inizio doveva esserci l'apparato a sporgere, costituito da tetto a falda.
Porta San Giovanni a Castelnuovo di Campli
  • Torre di Ripattoni (Bellante): risale al XIV secolo ed è la torre campanaria della chiesa di Santa Maria de Erulis. L'edificio nel corso dei secoli ha subito rimaneggiamenti, specialmente nella parte in basso della scarpa, di cui forse non era provvista. Anche nelle aperture sono riscontrabili anomalie, molte oggi sono state murate. La struttura muraria è tipica dell'area teramana con tessitura in parte in ciottoli, ma con ammorsature d'angolo e coronamento in sottili mattoni connessi perfettamente. L'apparato a sporgere in beccatelli, più forti nelle zone angolari, permette di assimilare la torre con la porta di accesso di Bellante, e le due porte di Ancarano, dello stesso periodo quattrocentesco.
  • Porta Angioina di Catelnuovo (Campli): detta anche "Porta San Giovanni" per la chiesa annessa, risale al 1300, considerata una delle fortificazioni più interessanti del territorio. L'arco a tutto sesto, con scolpita fascia ornamentale, si apre nella massiccia struttura muraria, costruita in pietra della cave di loanella, fiancheggiata dai resti della cinta fortificata. La struttura si chiude con eleganti archetti intrecciati, e alla sinistra è sormontata da una torre campanaria con archi gotici ogivali, la torre della chiesa di San Giovanni.
  • Borgo fortificato di Castelbasso (Castellalto): è una frazione del comune, cinta da torri di guardia rinascimentali, e con due porte di accesso.
  • Castello Bacucco (Arsita): in cima al paese, del piccolo castello del XII secolo, rafforzato da torri a U, resta una sola angolare, posta a nord. Il castello fortificato fu ampliato nella seconda metà del Cinquecento, quando il territorio fu incluso nei domini farnesiani di Margherita d'Austria, e divenne un palazzo residenziale, che oggi si presenta nelle vesti settecentesche.
  • Castello degli Acquaviva (Montefino): di antico conserva il caratteristico torrione nella zona est, con loggia ad arcate a tutto sesto. La struttura più antica in pietrame è inglobata nelle muraglie in laterizio del XVII secolo, nelle quali si notano i beccatelli e le canditoie. Sui muri delle scarpe di rinforzo vi sono dell'epigrafi degli anni 1734-37, che indicano i restauri dopo il terremoto del 1730. Dal 1438 al 1442 il castello fu di Giosia Acquaviva, figlio di Andrea Matteo, che combatté contro Francesco Sforza per conquistare il ducato di Atri.

Valle del Tronto

Castello superiore della fortezza di Civitella
  • Fortezza di Civitella del Tronto: rappresenta una delle opere più mirabili d'ingegneria militare del territorio italiano, con oltre 500 metri di lunghezza, 25.000 metri quadrati di superficie, è la fortezza più grande d'Abruzzo, estremo baluardo del confine settentrionale del Regno di Napoli. La fortezza venne costruita sopra quella aragonese nel 1559, dal re Filippo II di Spagna. Sostenne l'assedio piemontese del 1860, e resistette per molti mesi, prima di capitolare, mentre veniva proclamato il Regno Sabaudo. Dal punto di vista architettonico, il forte è suddiviso in due settori, quello difensivo e l'altro abitativo. La parte primaria è concentrata sul versante collinare meno scosceso, più esposto agli attacchi, con difesa organizzata da una sequenza di tre camminamenti coperti, che rappresentavano degli imbuti dove bloccare gli assalitori: il primo camminamento coperto ha un fossato con ponte levatoio, il secondo porta a Piazza del Forte, detto "il Cavaliere", utilizzata per l'addestramento delle truppe, la parte difensiva del terzo camminamento porta attraverso la scalinata all'arco monumentale che conduce alla zona superiore delle casermette. Questa parte è dotata di caserma maggiore, cappella di Santa Barbara, la Campana Faro a sinistra, a ricordo dei morti della seconda guerra mondiale, i resti delle casermette e dei magazzini, la grande cisterna dell'acqua piovana. Il palazzo maggiore del Governatore è stato distrutto nell'assedio del 1860, inaugurato nel 1574 insieme alla chiesa maggiore di San Giacomo degli Spagnoli, con i resti degli alloggiamenti della guarnigione privata. La fortezza oggi è meta di pellegrinaggi di nostalgici filoborbonici, ed è sede del Museo delle Armi da Guerra.

Fortificazioni perdute

La lista è parziale.

  • Castello di Paganica: perse la sua importanza dopo i gravi danni del 1424 inflitti da Braccio da Montone. Sorgeva sopra il colle della chiesa di Santa Maria del Presepe (detta anche San Giovanni in Castello, in quanto una preesistente cappella già esisteva), e partecipò alla fondazione de L'Aquila nel 1254, combattendo anche per questioni territoriali con la rivale Bazzano. Una prima volta il castello fu preso da Lalle I Camponeschi de L'Aquila, e poi da Fortebraccio.
  • Castello di Coppito (L'Aquila): fino al primo Novecento resisteva una torre merlata, la torre aveva pianta quadrata, doveva sorgere nella parte più alta del paese storico in via Capo l'Aia.
  • Castello di San Vittorino (L'Aquila): si trovava in cima al paese, e oggi a testimonianza esiste solo via Castello, probabilmente dutavte il periodo franco fu costruito sfruttando l'antica arx italica di Amiternum.
  • Castello di Lucoli: si trovava nella frazione Collimento, come dimostrano alcune ricostruzioni, e sorgeva in un colle lievemente distaccato dal centro abitato.
  • Castello di Leporanica: si trovava sul monte accanto la frazione di San Nicandro di Prata d'Ansidonia. Distrutto nel 1424 da Braccio da Montone, venne abbandonato e non più riedificato. Reatano tracce del tipico impianto a recinto normanno.
  • Castello di Orsa a Pratola Peligna, su un colle posto accanto Pratola, il Monte Orsa, era a pianta circolare con le mura a recinto tipiche dell'epoca normanna. Si conservano ruderi di torri rompitratta.
  • Castello di Manoppello: era molto antico, e sorgeva in Piazza Garibaldi, fu sede dall'XI secolo del signore di Manoppello, si ricorda la figura di Ugo di Malmozzetto, successivamente nel XIV secolo passò agli Orsini.
  • Castello di Caramanico Terme: costruito dai Longobardi e appartenuto ai D'Aquino, sorgeva sopra il costone roccioso di via Castello, e nel 1933 esisteva solo una torretta di guardia. Danneggiato dal terremoto di quell'anno, fu demolito completamente.
Chiesa di Santa Maria del Presepe, sopra il castello di Paganica (L'Aquila)
  • Castello longobardo di Città Sant'Angelo: edificato nell'VIII secolo, fu distrutto nel 1239 per volere di Federico II per ribellioni, ma tracce se ne conservarono, poi venne demolito nel XVIII secolo per problemi statici, e inglobato in altri edifici. Sorgeva dietro la chiesa di Sant'Agostino, si conservano tracce in via Grottone.
  • Rocca Acquaviva (Teramo): piccolo fortilizio realizzato dai duchi di Atri nella zona di Piazza Garibaldi. Infatti il quartiere che si sviluppa lungo il viale della villa comunale prende il nome di Castello. Un'altra piccola roccaforte stava nell'ex Piazza della Cittadella, nel centro storico, oggi Piazza Martiri Pennesi. La Cittadella fu demolita per volere dei cittadini nel XV secolo, vi aveva sede il capitano di Giustizia, ma a causa delle rivolte civili dei Melatino e i De Valle, e delle angherie della famiglia Acquaviva, divenne un luogo instabile per i cittadini, simbolo della tirannia.
  • Castello Cantelmo di Pretoro: sorgeva in cima al paese, nel piazzale omonimo (Largo Castello). Già ridimensionato notevolmente dopo il terremoto del 1706. Nella prima metà del Novecento era già scomparso del tutto. Alcune porzioni sono state inglobate nelle case attorno.
  • Torre civica di Roccaraso: era ciò che rimaneva del castello medievale, distrutto nel 1706 dal terremoto della Majella. La torre, ancora in buono stato nel primo Novecento, a pianta irregolare, con base a scarpa e sommità merlata, usata per l'orologio civico, venne distrutta nel 1943. Sui trovava davanti la chiesa di sant'Ippolito in Piazza XX Settembre, dove oggi sorge la parrocchia di Santa Maria Assunta. La torre aveva una porta di accesso al borgo antico, a fornice a sesto acuto, tutto il borgo occupava un'area in declivio sul colle roccioso che si trova davanti la chiesa, oggi vi si trovano abitazioni e strutture alberghiere moderne.
  • Castello di Carceri Alte (Ateleta): fortezza militare distrutta dal terremoto del 1456, si trovava in questa località di Ateleta.
  • Castello dei Colonna (Orsogna): sorgeva in Piazza Mazzini, detta ancora Largo Castello o del Mercato. Fu ampliato nel XV secolo da questa famiglia, esistente già nel XIII secolo e menzionato da Federico II, e prima del 1944 era ancora esistente, a pianta rettangolare con quattro grandi torri angolari quadrate. Con i danni bellici gravissimi, il castello fu demolito, e vi venne costruito un misero condominio con i portici della piazza, e accanto il palazzo delle poste.
  • Castello baronale di Torricella Peligna: prima fortificazione di Torricella, nei secoli divenne palazzo gentilizio con i bastioni laterali ancora fortificati, come dimostrano fotografie storiche. Con i danni del 1943 venne gravemente danneggiato e demolito. Oggi vi sorge l'obelisco dei Caduti Civili. Si trovava accanto la chiesa madre di San Giacomo.
  • Castello dei Conti di Pagliara (Isola del Gran Sasso d'Italia). era un'importante fortezza militare esistente sin dal X secolo e posseduta dai Conti di Celano, sorgeva presso questa località. Nel corso dei secoli dal XIV secolo in poi, venne abbandonata quando venne edificato il paese di Isola, e oggi ne restano ruderi. Da un'ala del castello è stato ricavato un eremo, dedicato a Santa Colomba.
  • Castello di Filetto: non era un vero e proprio castello, ma un abitato fortificato delimitato da via Roma, via Orientale, via San Francesco e via Piave. La piazza principale vede un grande bastione quadrato a scarpa, dove si ergeva la chiesa di San Ciro, oggi vi si trova una torretta dell'orologio.
  • Torre di Turrivalignani: sorgeva alla fine di via Vittorio Emanuele su Piazza Umberto I, dove si trova la chiesa di Santo Stefano. La torre, che dava il nome al Comune, era ancora visibile in fotografie del primo Novecento, aveva un impianto circolare, con feritoie e tetto a pagoda. Dopo la guerra, venne abbattuta perché pericolante e sostituta da una semplice abitazione.

Caratteristiche architettoniche della città

La città: lo sviluppo urbano a partire dal Medioevo

Ci sono dei casi anche notevoli, in cui durante la dominazione longobarda si vennero a creare dei villaggi a sé stanti, di nuova fondazione, presso abitati già esistenti, risalenti all'epoca romana. Quasi sempre, eccettuata Chieti, si ha un doppio villaggio, i quali abitati col tempo, quasi sostanzialmente con l'espansione demografica del XIV-XV secolo, si andarono riunendo in una sola entità: vale a dire le città del Vasto, di Teramo, di Guardiagrele, di Atessa.

Guardiagrele, Torre Orsini
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Atessa.

Atessa Per Atessa si avevano sino al XIII secolo due realtà distinte, i quartieri di Ate e Tixa, separati dal fosso del Rio Falco, che occupava l'area dell'attuale Piazza Pietro Benedetti con la chiesa di San Giovanni. Ate era sormontata da una torretta longobarda sul punto più alto, ancora denominato Largo Torretta, e la parrocchia era la chiesa di San Michele, la cinta muraria si trovava nella parte a sud del Rio Falco, e terminava nel campo della fiera dell'attuale Piazza Garibaldi, ed era accessibile, come lo è tuttora, da Porta San Michele. Il quartiere Tixa o di Santa Croce abbraccia l'are a nord, attraversata da via Menotti De Francesco e dalla strada della Vittoria, che parte da Largo Castello, andando a terminare, come l'altra strada principale, nella piazzetta della chiesa madre di Santa Croce, il cui campanile era una delle torri di guardia. Sul fatto dell'unione simbolica delle due città, per il fiorire dell'economia e della demografia a partire dal XIII secolo con la dominazione angioina, è nata anche una leggenda popolare, che riguarda le vicende del santo patrono Leucio vescovo d'Alessandria, che combatté contro il dragone che impediva l'unione delle due città, dormendo nella caverna del Rio Falco, e che esigeva un tributo umano. Leucio uccise il drago, estrasse dal corpo una costola, e volle che sul colle della battaglia fosse eretta una chiesa in ricordo dell'avvenimento, oggi esso è il duomo di San Leucio (in effetti risalente all'859), con la costola, benché studi abbiano rilevato che la costola sia di un elefante preistorico, ben custodita in una nicchia apposita.

Veduta di Lanciano
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Lanciano.
  • Lanciano: la città originaria di Anxanum abbracciava l'area del rione Lanciano Vecchio sopra il Colle Erminio, delimitato dalla via dei Frentani, che sale dalla Piazza del Plebiscito, oggi sede centrale del centro storico, e accesso ai tre quartieri storici, oltre al Colle Erminio, ma in passato semplice crocevia dei pellegrini e dei mercanti che si dirigevano al prato della Fiera. Studi archeologici hanno rilevato come un secondo piccolo abitato sorgesse sul Colle Pietroso, dove si trova il rione Borgo, mentre la Sacca e la Civitanova rimasero scarsamente popolate sino al XII-XIII secolo. Durante il Medioevo il quartiere Borgo nell'VIII secolo fu rifondato come abitato fortificato, l'antica Anxanum veniva cinta di mura già dai Bizantini nel VI secolo, e veniva eretto un castello (il Tonnino), scomparso nell'XI secolo. Il quartiere Sacca veniva nel 1191 colonizzato da ebrei esiliati da Napoli, e la Civitanova, con la fondazione nel XIII secolo della chiesa di Santa Maria Maggiore, iniziò a popolarsi densamente, sino a divenire principale sede vescovile nel 1515, ed a fondersi completamente con la Sacca. Prima di sostanziali modifiche urbane nella metà dell'Ottocento, con ad esempio la colmata del fiume paludoso Malavalle, che di fatto impediva i collegamenti tra i rioni Civitanova e Borgo, e la Sacca con Lancianovecchio, a causa della presenza di un solo ponte e della franosità dei colli, Lanciano era cinta da possenti mura, ancora in parte visibili lungo strada delle Ripe, via Agorai, via del Torrione e via dei Bastioni, demolite nel 1819 circa, insieme a molte porte di accesso, di cui rimase solo una delle principali 9 porte, quella di San Biagio, a nord di Lanciano Vecchio. In sostanza, con la piena fusione dei quartieri con unico sbocco la Piazza del Plebiscito, la cui chiesa della Madonna delle Grazie nel XVIII secolo venne elevata a sede vescovile e cattedrale, dedicata a Santa Maria del Ponte e dell'Annunziata, Lanciano ha conservato perfettamente il centro storico, benché la città nuova a partire dal 1904, si fosse spostata lungo la strada nuova del Corso Trento e Trieste, aperto appositamente per incrementare l'economia borghese e la crescita demografica oltre le mura.
Facciata del Duomo di Santa Maria Maggiore - Guardiagrele - e torre campanaria centrale
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Guardiagrele.
  • Guardiagrele: in antichità esisteva il villaggio romano di Grele, che si trovava più o meno nell'area del Largo Giuseppe Garibaldi, occupando la prima porzione, scendendo da sud, del Corso Roma, sino all'altezza di Piazza Santa Maria Maggiore. Fuori le mura esistevano altri villaggi circostanti, non appartenenti però al gruppo italico dei Frentani, come Grele, ossia Cluviae presso Casoli dei Carricini, e Danzica o Touta Marouca, presso Rapino, dei Marrucini. A causa di radicali rifacimenti della città, è possibile soltanto immaginare come fosse la cittadina ai tempi di Roma; in seguito ai saccheggi dei Vandali e dei Goti, con la presenza Bizantina iniziò a diffondersi il culto cristiano, e fu necessario ricavare dai templi, come quelli di Minerva, Giove e Diana, le principali chiese, ovvero quella di San Nicola di Bari, anticamente di San Donato vescovo, e poi quella di San Silvestro, al centro del corso Roma verso Santa Maria Maggiore. Questa chiesa, oggi noto anche come duomo, è stata eretta nel VII secolo, e rifatta ampiamente nel XII-XIII. I due abitati dunque erano costituiti da Grele vecchia, a cui è stato aggiunto il prefisso longobardo di "wardia" per la presenza di una torre ci controllo, che poi nel XIV secolo andò a costituire parte del castello Orsini, benché dopo il sisma del 1706 sopravvisse solo l'antico torrione di guardia, e l'abitato sorto in prosecuzione del Corso Roma, a nord di Piazza Santa Maria Maggiore, presso il campo delle chiese di San Siro e delle Clarisse. Sopra la chiesa di San Siro nella metà del XIII secolo, venne costruito il convento dei Francescani, con relativo orto che si estendeva sino a Porta San Giacomo, mentre ancora più a nord,l a confine con le mura, si trovava l'orto del convento delle Clarisse (ampiamente demolito nel XIX secolo per essere adibito a villa pubblica, nel 1923), che occupava la parte del sobborgo di San Giovanni Battista, cuore pulsante dei mastri lavoratori del rame. In sostanza il punto di unione delle due realtà abitative su proprio l'area dell'antico cimitero, ossia la piazza col Duomo di Santa Maria Maggiore.
Lo stesso argomento in dettaglio: Centro storico di Penne.
Città Sant'Angelo, torre del convento di San Francesco d'Assisi
  • Penne: in epoca italica fu un avamposto romano, già abitato dai Vestini, di cui era la capitale. A causa dei vari rifacimenti a partire dall'VIII-XIII secolo, a dimostrazione ulteriore per l'assenza di consistenti reperti archeologici che la cittadina era soltanto un avamposto militare, piuttosto che una città strutturata a tutti gli effetti, il tessuto antico ha perso ogni traccia. A differenza di ciò, con la costituzione dell'abitato normanno-svevo, sono stati creati due quartieri principali, sorvegliati da quattro piccoli fortini militari situati sul Colle Cappuccio, sul Colle Sacro, sul Colle Romano e sul Colle Santa Croce, di cui purtroppo non è rimasta traccia, eccettuati alcuni ruderi sulla salita Castello, nel rione Santa Croce, o Porta da Capo. Le due realtà abitative erano costituite da Penne Vecchia, che sorgeva intorno al Colle Sacro, abbracciando anche i rioni di San Paolo di Colle Duomo e San Comizio, e quello di Penne Nuova (o Civita Nuova), sorta a nord di Piazza Luca da Penne con la chiesa di San Domenico, comprendente i rioni da Piedi, da Capo e di Mezzo. Ancora oggi la città, in seguito alla fusione completa di questi quartieri, abbracciati ancora in parte dalle mura fortificate con le relative porte di accesso (si ricordano le due monumentali di Santa Croce e di San Francesco a sud), conserva i toponimi di questi 6 quartieri, ossia Rione da Capo, presso la chiesa di Santa Croce, il convento di Santa Chiara, l'area del Castello e di Palazzo Scorpione - Margherita d'Austria, il Rione di Mezzo, comprendente il convento di San Giovanni Evangelista, di Palazzo dei Vestini, attraversato inoltre dalle due grandi strade di Corso Martiri Pennesi e Corso dei Vestini, il rione da Piedi con la Piazza Luca da Penne, il Palazzo Aliprandi De Sterlich, il convento dei Domenicani, il rione San Comizio, attraversato in gran parte dal Corso Emilio Alessandrini, con le chiese dell'Annunziata, del monastero dei Cavalieri di Malta di San Giovanni Gerosolimitano, e i rioni San Paolo e Colle Sacro, con le chiese di Sant'Agostino, di San Panfilo e del Duomo di San Massimo.
  • Città Sant'Angelo: la città era esistente sin dall'epoca italica, anche se non si hanno molte notizie. Conquistata dai normanni che eressero una primitiva fortezza sul Colle Casale, presso l'attuale chiesa di Sant'Agostino, e ancor prima dai normanni, che sul capo estremo di questo colle eressero la chiesa collegiata di San Michele, loro patrono, nel 1239 Città Sant'Angelo fu distrutta dalle truppe di Federico II di Svevia e rifatta daccapo. Tuttavia soltanto nel XVIII secolo si avrà un pieno sviluppo del tessuto edilizio, in quanto, oltre alla strada principale orizzontale, il corso Vittorio Emanuele, e alla sua parallela via del Sole, o corso Umberto I, molte aree erano residenze private con cortili, oppure degli orti dei principali monastero di Sant'Agostino, di Santa Chiara, di San Bernardo da Chiaravalle, di San Francesco d'Assisi e di San Michele. Curiosamente nella metà dell'Ottocento, a causa di un'epidemia assai grave di colera, l'amministrazione provvide a fortificare le mura anziché abbatterle, per evitare il dilagare del contagio, e fece erigere a sud-est nuove porte, la Porta Nuova e Porta Sant'Antonio, dato che Porta Sant'Angelo, che introduceva da est dall'attuale parco comunale, era già scomparsa nel primo Ottocento.
Incisione storica della chiesa di San Paolo, edificata sopra il Tempio dei Dioscuri, ripristinato nel 1927
Chieti, Porta Pescara
Chieti, torre di Palazzo Toppi
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Chieti.
  • Chieti: la città attuale risulta il complesso processo di fusione di varie realtà già esistenti all'epoca italica, poiché la marrucina Teate era una delle città più fiorenti dell'intero Sannio romano - dunque con un impianto urbano già ben formato e composto da strade ortogonali, piazze, complessi edilizi, termali, acquedotti. La città italica mantenne sempre l'antico aspetto, anche se dopo le devastazioni barbare, e l'incendio dell'801 di Pipino il Breve durante la guerra d'occupazione del ducato di Benevento, e la si può individuare nell'asse del Corso Marrucino, partendo da Piazza Trento e Trieste con la chiesa della Trinità, da via Gennaro Ravizza, che permetteva il collegamento dall'area della Civitella, dove si trovava il foto sacro, trasformato poi nel I secolo in anfiteatro romano, con la nuova area sacra centrale, dei templi della Triade, che corrisponde alla Piazza del Tempietti. Altri edifici dovevano insistere lungo tutto il corso principale, all'altezza del Palazzo de' Mayo, come dimostra la cisterna romana sotterraneo, sino al Largo del Pozzo, oggi Piazza G.Gabriele Valignani, con la Banca d'Italia e il palazzo arcivescovile, dove si trovava un pozzo sacro italico. Il proseguimento a nord, verso la via Ulpia (oggi sempre il corso Marrucino), sino all'incrocio con via Arniense, e alla via di Porta Pescara. La colonizzazione longobarda ha interessato l'antica città di Teate con l'edificazione dei due quartieri di San Paolo e Trivigliano, o di Santa Maria. Il primo fu ricavato dall'area dei tempietti, con la sconsacrazione del tempio di Castore e Polluce, per essere trasformato in chiesa, almeno sino al 1927, dedicata ai Santi Pietro e Paolo. Venne costruito anche il sobborgo del rione Santa Caterina, la cui chiesa nel XVIII secolo fu trasformata, mantenendo tuttavia l'impianto a croce greca bizantina, e consacrata a San Gaetano Thiene. Mentre la Civitella veniva trasformata in cimitero e in cava per il prelievo di materiale da costruzione, anche se già dal XIII secolo vi erano installati i Celestini presso il monastero di Santa Maria della Civitella, il rione di Santa Maria o Trivigliano, come quello di San Paolo, prendeva costituzione dalla discesa di Porta Pescara; come il precedente, ancora oggi è facilmente leggibile distinguere la totale estraneità di questo borgo rispetto alla città romana già esistente, per le vie strette, le case addossate, e la formazione ovoidale che si stringeva attorno a un punto centrale, una torre, un fortino, insomma un elemento di difesa. Anche il rione di San Paolo, prima delle radicali trasformazioni e sventramenti del 1927-36, era leggibile nel suo impianto semi-circolare e assai racchiuso, insieme al sobborgo di San Nicola, che volgeva verso il corso Marrucino. A Trivigliano venne fondato il convento di Santa Maria, e poi nel XIII secolo il monastero degli Agostiniani, mentre pare che esistesse già prima della costruzione la chiesetta di sant'Agata dei Goti, rifatta nel XIII secolo e poi ancora nel Settecento.
    Altre costruzioni, benché completamente invase dal tessuto edilizio settecentesco, dovevano insistere a nord-est, presso il Piano Sant'Angelo (Piazza Matteotti) in quanto si trovavano una cappella e una porta di accesso, e presso il rione di Porta Monacisca, con la chiesa di Santa Maria Mater Domini, costruita su una preesistente longobarda, per l'appunto.
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Vasto e Centro storico di Vasto.
Veduta del rione Guasto d'Aimone, dalla via Adriatica
  • Vasto: non è difficile ancora oggi riconoscere le due nature del centro di Vasto, ossia quella romana di Histonium, sopra cui a seguito della distruzione del conte Aimone di Dordona nell'802, sorse il rione del Guasto d'Aimone (il termine longobardo "wast" intende una gastaldia, ossia una sorta di amministrazione municipale e territoriale del circondario), e quello nuovo, in parte esistente già dal V secolo, e poi ampliatosi nel IX secolo, del Guasto Gisone.
Veduta dalla Marina del quartiere di Guasto Gisone, dominato dalla mole della chiesa di Santa Maria Maggiore

I due rioni, detti anche rispettivamente di San Pietro e Santa Maria Maggiore per la presenza delle due chiese prepositurali (purtroppo gran parte della collegiata di San Pietro è franata nel cataclisma del febbraio 1956), occupavano tutta l'area della città di Histonium, e dei relativi orti occupati dai due acquedotti romani delle Luci e del Murello, continuati a usare per la raccolta delle acque, nelle cisterne, sino al XIX secolo, insomma furono croce e delizia della popolazione, poiché determinarono anche il fenomeno di varie e importanti frane del centro storico, nel 1817, nel 1836 e soprattutto nel 1956. Il rione del Guasto d'Aimone è stato costruito direttamente sopra le case e i templi romani, conservando perfettamente l'asse viario ortogonale, come dimostrano le strade del Corso Plebiscito e Corso Dante, il cardo e il decumano massimo, poi via Laccetti, via Barbarotta, via del Forno Rosso, via San Francesco d'Assisi, via delle Terme, via Osidia, Corso Francesco Palizzi, la strada del Muro delle Lame, franata nel 1956 e sostituita dalla via Adriatica. Infatti sotto il convento dei Francescani, ora demolito, annesso alla chiesa di Sant'Antonio di Padova, nei primi anni '50 sono state rinvenute le preziose terme di Vasto, che per importanza della decorazione pavimentale musica, sono paragonabili alle terme di Ostia antica.
Questo quartiere, separato dal Castello Gisone dalla strada Corsea, oggi Corso De Parma, a ovest andava a terminare a ridosso dell'anfiteatro romano, che per causa naturali si interrò, e vi si ricavò l'attuale Piazza Rossetti, anticamente piazza del mercato, poi dal 1861 dedicata a Camillo Benso di Cavour. Il rione del Guasto Gisone ha la tipica conformazione longobarda di abitato fortificato da mura, visibili da Piazza Rossetti e strada Cavour, e dalla passeggiata della Loggia Amblingh, a pianta ovoidale con il dedalo di stradine che si divaricano sino a restringersi attorno al complesso della chiesa di Santa Maria Maggiore, sorta nell'XI secolo sopra la preesistente di Sant'Eleuterio, e ben difesa dalla torre longobarda detta "Battaglia", che domina la città del Vasto. Le strade principali sono via Santa Maria Maggiore, via Lupacchino, via Tiziano, Loggia Amblingh, via San Gaetanello, Piazza Mattioli. Nel 1439 Giacomo Caldora eresse la sua casa di guardia presso l'area dell'attuale Palazzo d'Avalos, ricostruito nel 1578 sopra le rovine lasciate dal saccheggio turco del 1566, e inoltre riformulò la cinta muraria di Vasto, che comprese i due nuclei, già riunificati sotto una sola amministrazione nel 1385; in particolare fortificò la parte di Piazza Rossetti come dimostra la Torre di Bassano, poi la circonvallazione di via Cavour e Piazza Marconi, dove si trovavano due torri demolite nei primi anni del Novecento, e il convento delle Clarisse, anch'esso distrutto nel 1933, poi le torri di guardia miste alle case di Loggia Amblingh, come dimostra la stessa casa natale del poeta Gabriele Rossetti; nel rione Guasto d'Aimone sorsero la Torre Diomede del Moro e la Santo Spirito o Diamante, che era a guardia del monastero di Santo Spirito dei Celestini. Le porte in totale erano 4, oggi sopravvissute solo in 2: Porta Castello presso Piazza Diomede, Porta Nuova all'accesso da nord-est, Porta Palazzo presso Piazza del Popolo e Porta Catena, presso la Loggia Amblingh, all'accesso alla strada per Santa Maria Maggiore.

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Teramo.
Facciata del duomo di Teramo vista, in notturna, dall'antico Corso Trivio, oggi dedicato a Vincenzo Cerulli
  • Teramo: l'antico abitato di Teramo (Urbs Interamnia), come è stato rilevato dagli studi di Muzio de' Mutii, Niccola Palma e Francesco Savini, era molto più piccola dell'attuale centro composto da quattro rioni medievali. L'abitato storico doveva occupare l'area del quartiere Santa Maria a Bitetto e del quartiere San Leonardo, dove infatti insistono reperti ancora in piedi, quali l'anfiteatro romano di Teramo, il teatro romano di Teramo, dei mosaici sotterranei pavimentali rinvenuti in domus situate sotto Palazzo Savini (domus del Leone), la domus di Largo Torre Bruciata del I secolo, sopra cui vi venne fondata la primitiva cattedrale di Teramo, la domus di Largo Madonna delle Grazie fuori Porta Reale. In seguito all'incendio della città da parte di Roberto II di Loritello nel 1156, Teramo dovette essere ricostruita, e proprio in questo caso si andò delineando il nuovo aspetto del centro, diviso stavolta in quattro quartieri, di cui uno popolatosi assai tardi, dal XVIII secolo in poi (il quarto San Giorgio o Terranova): il già citato San Giorgio, poi Santa Maria a Bitetto, il più piccolo,confinante con il rione Santo Spirito che si sviluppa lungo il Corso di Porta Romana, e il San Leonardo o Sant'Antonio, che comprende tutta la parte orientale del centro storico, da Corso Cerulli-De Michetti a Porta Reale, con l'area di Largo Torre Bruciata e di Porta Carrese, sino a raggiungere Piazza del Mercato, con la facciata del Duomo di San Berardo. Il corso San Giorgio, che delimita la parte occidentale, iniziando da Piazza Martiri della Libertà, anticamente dedicata a Vittorio Emanuele II, con i due edifici porticati del corso, la seconda facciata del Duomo e il palazzo arcivescovile, si concludeva in Piazza Garibaldi mediante Porta Due di Coppe. Anche in questo caso la piena fusione dei quattro quartieri, che avevano già una precisa conformazione, un capitano di giustizia e un gonfalone proprio nel XXI-XIV secolo, e le cui famiglie dal XVI al XVIII secolo costituirono con i loro rappresentanti il Parlamento municipale dei 48 Patrizi, avvenne nel Settecento, quando la popolazione tornò a salire, in seguito alle crisi e alle carestie del Seicento.

Città fortificate nel Medioevo

L'Aquila

L'Aquila, Porta Leoni
L'Aquila, Porta Napoli

Le mura dell'Aquila vennero di sicuro iniziate poco dopo il 1254, quando venne fondata dai castelli confocolieri del circondario aternino, ma a causa della distruzione di Manfredi di Svevia nel 1259, si dovette aspettare il 1267 circa, e poi il 1316 per vedere la cerchia muraria completata. Per la presneza dei monasteri e delle campagne da coltivare insieme alle vigne in tranquillità, senza subire attacchi e atti predatori, le mura furono estese molto oltre il nucleo abitato dei quattro quartieri di San Giorgio, San Pietro, Santa Maria e San Giovanni di Lucoli, sicché si dovette attendere il primo trentennio del Novecento perché le case arrivassero ad avvicinare e scavalcare le mura, oscillando la popolazione sempre intorno ai 20.000 abitanti, prima dir aggiungerne i 50.000.
Le mura, quasi conservate del tutto, eccettuate delle parti scomparse, rappresentano il confine della città con il contado, si estendo per oltre 5&nspb;km, occupando un'area di 157 ettari. La cinta muraria era già in buona parte realizzata intorno al 1270, quando il governatore Lucchesino da Firenze suddivise la città in quattro rioni.

Nel 1316 si creò la Porta Leoni nel rione Santa Maria, come dimostra la lapide di completamento da parte del capitano Leone di Cicco da Cascia; in origine dovevano essere molto più ampie, poi ridotte, anche a causa dei terremoti che le danneggiarono[53] L'Antinori parla di 4 porte funzionali, ossia Porta Barete o Lavareto, che conduceva da Roma, lungo la strada del quarto San Pietro che tagliava in due orizzontalmente il centro storico, sino all'incrocio dei Quattro Cantoni col corso Vittorio Emanuele e via san Bernardino, che terminava con Porta Leoni, e poco più a sud con Porta Bazzano, altra principale strada di accesso, che oltre l'arco si biforcava in Costa Masciarelli e via Fortebraccio, una adattata per raggiungere facilmente Piazza Duomo, l'altra per attraversare il Quarto Santa Giusta o San Giorgio.

Le altre porte principali erano Porta Paganica, già semi-distrutta dagli Spagnoli nel 1534, situata in viale Ovidio presso il castello Cinquecentesco, e Porta Bazzano, per l'appunto. Nel 1820 verrà creata, nell'area dell'ex orto dei Cappuccini del monastero di San Michele, la Porta San Ferdinando o da Napoli, in onore al sovrano Ferdinando IV di Borbone, e per monumentalizzare la nuova strada di accesso (l'attuale viale F. Crispi), che da Pianola di Roio permetteva di raggiungere direttamente Piazza Duomo mediante il Corso Federico II. Le porte e le mura furono di particolare importanza per la città, dato che nel XIV secolo vennero creati accessi secondari per i relativi castelli fondatori del contado aternino, quali Ocre, Bagno, Roio, Sassa, Bazzano, Pizzoli, Paganica, Barete, Tione degli Abruzzi. Ressero all'assedio del 1423-24 del capitano Braccio da Montone, e ai vari terremoti del 1461 e del 1703, per citare i più gravi. Le demolizioni arrivarono solo nel 1534 con l'arrivo degli Spagnoli, che tagliarono la parte nord dell'accesso al corso Vittorio Emanuele, per edificarci il castello Cinquecentesco, determinando la scomparsa di Porta Paganica, e nel 1567 occupando i locali del Guasto, di Tempèra e Paganica, ostruendo Porta Barisciano, che dopo il 1703 verrà ritrasformata in Porta Castello, a caratteristiche monumentali.

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Sulmona e Centro storico di Sulmona.

Sulmona La cinta fortificata di Sulmona era esistente, si suppone, sin dall'epoca italico-romana (III-I sec. a.C.), poiché veniva descritta come "oppidum"; lo stesso poeta Ovidio negli Amores parla delle mura dell'umida Sulmona[54]La città si strutturò come un castrum, ancora riconoscibile nella parte nord del centro, a pianta quadrangolare, con un cardo e due decumani. La città sino al XIII secolo rimase in questo aspetto urbano, la cinta muraria altomedievale con Porta San Panfilo, Porta Sant'Agostino, Porta Romana e Porta Iapasseri (le porte in tutto erano 6) calcò fedelmente l'impianto murario romano; a queste porte corrispondevano i distretti amministrativi, ossia i sestieri con gli abitanti comandati da un capitano. Durante l'età svevo-angioina (1224-1390) Sulmona assunse il ruolo di capitale del Giustizierato d'Abruzzo, richiamando inevitabilmente vari mercanti e famiglie coloniche, e ben presto si rese necessario l'ampliamento delle mura, sia a nord sia a sud, perché le parti est-ovest erano impedite dai fiumi Vella-Gizio.

Porta Filiamabili

Sorsero così sei "borghi" fuori le mura storiche, occupando l'area di Piazza Maggiore dove si svolgeva il mercato, la cerchia muraria fu raddoppiata, con l'edificazione di torri e porte di accesso; già nel 1290 doveva essere completata, nel 1302 la parte settentrionale era completata, con Porta Sant'Antonio e Porta Pacentrana. La città assunse così l'aspetto fusiforme ancora oggi visibile: oltre a queste due porte vennero realizzate Porta Manaresca, Porta Molina, Porta Filiamabili, Porta Santa Maria della Tomba e Porta Nuova, mentre Porta Saccoccia, di modesta fattura, fu realizzata nel XVI secolo. l'adeguamento delle mura ci fu nel 1443 con Alfonso I d'Aragona che prese in controllo Sulmona dopo la sconfitta degli Angioini, le torri vennero modernizzate con il sistema difensivo cilindrico a scarpa, di cui resta l'esempio della torretta della Circonvallazione Orientale. La conta muraria subì un duro colpo con la distruzione del terremoto della Maiella del 1706; se le torri e le porte resistettero al terremoto, sicuramente molto materiale venne prelevato per la ricostruzione delle case, e dato il fatto che le mura erano già inservibili dal XVII-XVIII secolo per l'assenza di attacchi, molti tratti vennero inglobati nelle case. Altri tratti vennero abbattuti nell'Ottocento, come il caso della cinta muraria meridionale, risparmiando Porta Napoli, per il suo valore artistico.

La cinta muraria è di opera mista, risalente al XV secolo per come si presenta oggi: si conservano ampi tratti a Porta Romana, Porta Japasseri, Porta Bonomini, di cui rimangono solo i piedritti; Porta Molina invece si presenta in forme tarde (XVI secolo). Delle 8 porte della seconda cinta muraria dei "Borghi", restano solo 6 (Porta Filiamabili, Porta Sant'Antonio, Porta Napoli, Porta Santa Maria, Porta Pacentrana, Porta Saccoccia), in buono stato di conservazione, ancora attraversabili, con l'eccezione di Porta Napoli, che per motivi di conservazione, è stata bloccata da due vasi di pietra all'arco, permettendo il percorso ai due lati lungo il corso Ovidio.

Teramo e Giulianova Teramo a partire da dopo il 1815 ha visto perdere sempre di più l'antica conformazione fortificata a causa di varie trasformazioni architettoniche e urbane, alcune anche del tutto errate e distruttive, che hanno per sempre cambiato l'aspetto originario medievale-rinascimentale del tessuto dei quartieri. La cinta muraria circondava le attuali strade di Piazza Garibaldi, Porta Romana, Circonvallazione Spalato con via San Giuseppe, Piazza del Carmine presso il quartiere di Santa Maria a Bitetto, Porta Reale che era il principale accesso orientale dal santuario della Madonna delle Grazie al corso De Michetti, e poi la circonvallazione Ragusa e il viale di Porta Melatina (anticamente di Sant'Antonio Abate), che mediante l'ospedale degli infermi, poi trasformato nel manicomio, immetteva direttamente al quartiere San Leonardo, arrivando alla Piazza Sant'Anna (o Largo Antica Cattedrale o di Torre Bruciata) e alla casa patrizia della famiglia Melatino; la circonvallazione terminava poi sempre in Piazza Garibaldi, dove si trovava Porta San Giorgio, trasformata nel 1826 a carattere monumentale, con due colonne laterali che erano ornate da due vasi monumentali, per questo detta "Porta Due di Coppe".

Immagine antica di Porta Reale, e la seguente che rispecchia il restauro del fascismo (1936)

Nel 1929 la porta fu abbattuta e i vasi traslati nella villa comunale, fortunatamente, anche negli sventramenti degli anni '50 e '70 del Novecento, Porta Melatina e la coeva Porta delle Recluse, presso il manicomio, non vennero toccare, nel 1936 si era pensato di distruggere anche Porta Reale o della Madonna delle Grazie, ricavata nel 1820 da una più piccola, trasformata in stile monumentale per onorare il re Ferdinando IV di Borbone. Dato che alla fine l'idea di migliorare l'ingresso al Corso De Michetti, all'epoca dedicato a Garibaldi, fu accantonata, si procedette ad ampliare l'ingresso, trasformando l'accesso in stile razionalista, con i fasci littori e la scritta INTERAMNIA VRBS, in ricordo dell'antica città dei Pretuzi. Tuttavia erano andate perdute la Porta San Giorgio, la Porta della Quercia o di San Giuseppe che immetteva da sud al Corso di Porta Romana - andò persa già dal 1799 la stessa porta di questa strada - e Porta Carrese, secondo accesso da oriente in una strada parallela al Corso De Michetti.

Pianta dell'antica città di Giulia Nova

Per quanto riguarda Giulianova, nulla si sa dell'urbanistica dell'antico tessuto edilizio del precedente borgo detto "Terravecchia - Castel San Flaviano", per la presenza delle reliquie del vescovo Flaviano di Costantinopoli. Nel 1478 il duca di Atri Giulio Antonio I Acquaviva d'Aragona, seguendo il modello della "città ideale rinascimentale", volle rifare daccapo questa città, che da secoli era seconda sede vescovile, e che era gravata dalle scorrerie dei turchi. Pertanto venne ridefinito l'impianto della città, detta "Giulia Nova" dal nome del conte e duca: l'impianto aveva come punto baricentrico attorno le mura il duomo di San Flaviano, anch'esso rifatto daccapo a pianta circolare con poderosa cupola monumentale a tegole policrome, seguendo i più rigidi canoni geometrici del Rinascimento fiorentino e romano; la città fu messa in una cinta muraria quadrilatera, di cui ciascun lato era scandito da tre torri rompitratta, a pianta circolare a scarpa, con merlatura alla ghibellina. La città era accessibile da tre porte: Porta da Piedi o della Marina, Porta Napoli o dei Cappuccini e Porta da Capo a lato nord, mentre nel XIX secolo furono create Porta San Rocco e Porta San Francesco. Dei quattro torrioni angolari principali, sopravvivono il Torrione "il Bianco", di cui è scomparsa la merlatura a ghibellina originaria, e sede attuale del muso civico archeologico, poi Torrione di Porta Napoli, il Torrione di Porta Santa Maria a nord-est. Le torri poste a sud-est e ovest sono state abbattute, insieme a parte del convento di San Francesco, per allargare la Piazza Vittorio Emanuele (oggi della Libertà) e facilitare l'accesso alla città. Il convento di San Francesco, eccettuata la chiesa, riconsacrata a Sant'Antonio di Padova, divenne il palazzo delle scuole elementari "De Amicis", mentre a est, veniva eretto il monumento a Vittorio Emanuele II da Raffaello Pagliaccetti, scultore e pittore locale.

Lo stesso argomento in dettaglio: Centro storico di Lanciano.
Torri Montanare di Lanciano

Lanciano La cinta fortificata di Lanciano costituisce, benché in parte abbattuta con le porte e le torri nel 1819-46, abbraccia ancora gran parte dei quattro rioni storici della città (Lanciano Vecchio, Civitanova, Sacca e il Borgo). Il primo insediamento documentato delle mura difensive risale alla relazione del Conte di Manoppello Ugo Malmozzetto nel 1059, che cita la Porta di San Biagio a nord del Colle Erminio, presso la chiesa omonima, poi il torrione normanno di Porta Sant'Angelo presso il fosso Pietroso, e le Torri Montanare all'ingresso di Porta Civitanova, presso il viale S. Spaventa. Nel 489 gli aragonesi recintarono di mura la città in maniera completa, ristrutturando e ammodernando delle parti divenute ormai obsolete, e di ciò è possibile vedere il torrione aragonese sotto il piano a bastione del convento di Santa Chiara, e la seconda torre minore delle Torri Montanare. Il perimetro, realizzato ad opus mixtum, in laterizio, pietra di fiume e tufacea, arenaria e ciottoli, presenta nel lato della Civitanova (zona strada delle Ripe) e a Lanciano Vecchio (via Agorai e via dei Bastioni) ancora valide caratteristiche difensive, che man mano dal XVIII secolo in poi si sono fuse con le abitazioni prospicienti. La parte del rione Civitanova mostra le torri Montanare a diversa altezza, a pianta quadrata, alternate a lunghi tratti di cortine murarie del viale S. Spaventa, realizzate a chiaro scopo difensivo, mentre all'angolo opposto del quartiere Borgo nei pressi di Porta Santa Chiara (ingresso dal Corso Roma), la torre aragonese assume la forma cilindrica, con base a scarpa, e interessante distribuzione degli spazi interni a doppio piano, e decorazione sommitale a beccatelli.

Porta San Biagio, Lanciano

Nel versante meridionale del borgo di Civitanova, si conserva ancora un buon tratto delle mura, ossia le Torri Montanare: emerge per altezza la torre rettangolare più antica, chiusa su tre lati, mentre il lato volto su Piazza d'Armi dell'ex convento di Santa Maria Nuova o Santa Giovina, mostra gli archi e gli accessi con i camminamenti di ronda; accanto si trova la torre più bassa, dell'epoca aragonese, in mattoni regolari ben conservati, a differenza della torre normanna più alta, malgrado la decorazione dei beccatelli sia stata rifatta negli anni '60 del Novecento in quanto crollata.

Le porte lancianesi in tutto erano 9: Porta San Biagio presso la chiesa omonima, poi Porta Sant'Angelo, rifatta nel 1204 attraverso cui si accedeva alla fonte del Borgo, oppure al rione medievale per mezzo di via dell'Asilo o via dei Tribunali. La porta era difesa da un torrione normanno, e venne abbattuta nel 1846 per allargare la strada di accesso a Lanciano, era citata dagli storici come una delle meglio realizzate della città, e oggi dell'antica torre si conserva ancora una porzione, riadattata a cereria e annessa all'antico ospedale di Sant'Angelo con annessa chiesa, presso la fonte del Borgo, in Piazza F.P. Memmo. Altre porte erano Porta Civitanova o di Santa Maria Nuova presso le Torri Montanare, Porta della Noce (ancora conservata, e annessa ai palazzi, lungo via delle Ripe), Porta San Nicola presso la chiesa omonima, a guardia del Ponte di Lamaccio, che serviva come passaggio dal rione Sacca a Lanciano Vecchio, e posto di blocco per il pagamento del dazio, dato che il torrione di San Nicola era coevo dell'altro di Sant'Antonio abate, che era a guardia di una chiesa con monastero, scomparsa nel XVII secolo, e della relativa porta di accesso.

Torre Adriana, Guardiagrele

Presso il ponte di Diocleziano sopravvive ancora, benché ampiamente rimaneggiata, la Porta di Santa Maria del Ponte, anch'essa usata in passato come gabella del dazio dei mercanti per accedere alla piana delle fiere, essa è stata interrata, e trasformata a semplice arco con sopra un'abitazione, e costituisce l'elemento di collegamento tra l'ex ospedale e convento di San Giovanni di Dio (via Piave), con il retro della Cattedrale della Madonna del Ponte. L'ultima porta principale della cinta muraria, demolita nel 1850, era quella di Santa Chiara, all'ingresso del corso Roma, presso il convento delle Clarisse, sopra cui fu costruita la caserma militare Duca degli Abruzzi, e nel 1952 il nuovo palazzo delle scuole magistrali.

Lo stesso argomento in dettaglio: Porte e torri di Guardiagrele.

Guardiagrele

Porta di San Giovanni, Guardiagrele

La cinta muraria guardiese è accessibile sia dall'ex strada statale, entrando a Porta San Giovanni, sia dall'accesso a via Orientale, entrando dal torrione Orsini a Largo Garibaldi. La cinta muraria normanna fu completata nel XII secolo, e ampliata dopo il 1456, subendo drastiche modifiche, dopo le distruzioni telluriche del 1703 e del 1706, e poi alla fine dell'Ottocento con sistematiche demolizioni. Degli accessi antichi restano Porta San Giovanni o della Fiera, rifatta in forme monumentali nel 1841, articolata ad arco a tutto sesto, con paramento regolare in pietra su facciata esterna. Sulla sommità è collocato un fastigio con lo stemma civico e un'iscrizione commemorativa. Segue Porta San Pietro Celestino, che costituisce l'arco di accesso all'antica chiesa posta in via Modesto Della Porta, del XIII secolo, ad arco ogivale gotico. In Largo Garibaldi c'è Porta di Grele o del Vento o del Rosario, perché collegata alla chiesa omonima, semplice arco a tutto sesto. In via San Giacomo sino agli anni '60 insisteva Porta San Giacomo, accesso a sud-ovest delle mura, e dalle foto storiche si vede come la porta era una delle meglio conservate della città, con arco a tutto sesto incluso tra due torrioni di guardia. Fu demolita per migliorare l'accesso alla città.

Le torri sopravvissute della cinta muraria di Guardiagrele sono:

  • Torre Adriana - via Occidentale, presso Porta San Giovanni
  • Torre Stella - via Occidentale
  • Torre del Gastaldo - in via San Francesco, risalente all'epoca longobarda
  • Torre Orsini - Largo Garibaldi, rimasuglio del castello fortificato del XV secolo
  • Torre dell'Acquedotto - via del Torrione, rifatta dopo la distruzione del 1943

Torre San Pietro - in via Modesto Della Porta, attigua alla porta omonima dell'ex chiesa

Atessa

Il centro storico si presenta come il risultato di un processo di conurbazione di due opposti insediamenti di origine longobarda (VI secolo), ossia "Ate - Tixa", corrispondenti agli attuali rioni di Santa Croce e San Michele, con al centro il nodo di saldatura rappresentato dal duomo di San Leucio, e dai sobborghi attorno agglomerati. La tipica struttura elicoidale di questi antichi insediamenti tradiscono i processi di espansione e ampliamento che si sono avvicendati nel corso dei secoli. Il quartiere di Santa Croce, ossia Tixa (lato nord) si ramifica a mo' di fuso intorno a piazza Castello, riferimento a un'antica struttura fortilizia legata alla chiesetta di San Pietro, individuata nella "casa De Marco", benché oggi ampiamente rimaneggiata. L'anello più esterno, costituito dall'attuale via Menotti de Francesco, raccorda largo Municipio (già piazza Mercato) con piazza Santa Croce dove si affaccia l'omonima chiesa di antichissime origini, costituita da una torre di guardia sulla destra che è anche campanile.
Lungo il percorso dell'arteria stradale si comprende l'antico disegno del circuito murario, dove sono presenti le chiese della Madonna della Cintura, Porta Santa Margherita, poi degli slarghi e muraglioni che interrompono la cortina delle case.

Atessa, veduta di Arco 'Ndriano o Nuova Porta San Nicola

Il borgo di Ate a sud di San Leucio, evidenzia la struttura a chiocciola che culmina in largo Torretta, parte più alta dove si trova una torretta di controllo, molto ribassata rispetto alla struttura originaria. La chiesa principale è quella di San Michele, ampiamente rimaneggiata nel XIX secolo in stile neoclassico. Le case sono racchiude attorno a questi due punti cardinali, e l'accesso è dato da Porta San Michele. Nel corso dei secoli il villaggio si è sviluppato fino a lambire a nord il vialone del corso Vittorio Emanuele, e a est il viale Duca degli Abruzzi, che degrada in piazza Garibaldi, o piazza del Mercato Nuovo. Il quartiere include vari palazzi storici, come Palazzo Spaventa, e le chiese di San Rocco, Santa Maria Addolorata e San Giovanni. Possedeva anche la chiesa di San Nicola, posta presso Arco 'Ndriano, in mezzo al corso Vittorio Emanuele.

Chiesa di Santa Croce (Atessa) con la torre campanaria ricavata da una torre di guardia delle mura

la città di Atessa era dotata di una cinta difensiva provvista di torri e porte di accesso, e muraglioni in alcuni punti raddoppiati, insieme alle case-mura. Non si hanno date certe sull'edificazione della cinta muraria, ma documentazioni attestano l'esistenza della porta di San Giuseppe già nel 1240. Del circuito sono ancora visibili, oltre le tre porte superstiti, la torretta circolare e resti dei beccatelli appartenuti a una torre distrutta. Delle mura vere e proprie oggi è rimasto un tratto tra Porta San Giuseppe e Porta Santa Margherita, le quali insieme a Porta San Michele e Porta San Nicola sono le uniche rimaste della cinta difensiva. Altre notizie si hanno nel 1616, quando ci furono dei restauri di consolidamento. Nel XVIII secolo restavano in piedi 8 delle 10 porte originali, come riferiscono gli Annali di Tommaso Bartoletti; la porta di Santa Croce adiacente la chiesa, era stata distrutta, ed esistevano ancora Porta San Lorenzo, Porta San Giovanni e Porta San Nicola Vecchia. Quest'ultima fu demolita prima del 1761, e con una petizione venne riedificata nel 1780 lungo il corso Vittorio Emanuele, detta "Arco 'Ndriano", mentre nel 1861 veniva demolita Porta San Lorenzo presso Piazza Oberdan, per agevolare l'ingresso in città delle carrozze. Porta Sant'Antonio, per l'accesso dal convento delle Clarisse, era documentata dal 1777 e venne distrutta nel 1872 su un progetto di risanamento del piano regolatore cittadino. Altre porte minori erano quelle di San Gaetano, San Giovanni e Arco Pistilli, documentate nel 1702

Porta San Michele

Dopo le porte, della cinta si conservano delle torri di controllo, come la torretta in posizione dominante, ma ridimensionata d'altezza, posta in largo Torretta nel quartiere San Michele, e fatta risalire alla dominazione longobarda. L'elemento circolare della torretta presenta un utilizzo di pietra sia dal punto di vista tipologico, sia morfologico. Si può comunque notare la parte basamentale, sia formata da blocchi di pietra di dimensioni maggiori a quelli della parte superiore. Il suo prospetto attuale è risultato di interventi avvenuti nel corso dei secoli, che hanno stravolto l'antico aspetto, ridimensionandola per essere adibita a casa civile, insieme alle altre costruzioni annesse. A breve distanza da Porta San Michele ripercorrendo l'antico circuiti si trovano una serie di otto beccatelli, probabilmente resti di una torre medievale situata nella zona, inglobati nel muro di un'abitazione privata. Una seconda torre perfettamente conservata si trova nel quartiere Santa Croce, inglobata nelle abitazioni, a pianta circolare con base a scarpa.

Lo stesso argomento in dettaglio: Centro storico di Penne.
Scorcio di Penne
Penne, Portello dei Conci

Penne

Fra le porte d'ingresso alla città ricordiamo innanzitutto la Porta San Francesco (già Porta San Nicola, in largo San Nicola), in realtà dedicata a san Massimo, patrono della città, costruita nel 1780 sul disegno del di Sio. Restaurata e trasformata nel 1870, è di fattura imponente, con il suo grande arco centrale a tutto sesto ornato di bugnato e affiancato da larghe lesene poste su alti basamenti con i capitelli a sostegno della fascia architravale. La parte superiore è sormontata da un frontone mistilineo, per lo più curvo, sotto il quale si apre la nicchia che ospita la statua di San Massimo, copia in calcare dell'originale statua in argento del Sanmartino; una lapide ricorda inoltre la visita di san Francesco a Penne nel 1216. ... La Porta da Capo (in piazza Santa Croce) detta anche Porta Santa Croce dall'insediamento nella diocesi di Penne (1847) dei Passionisti, che alla Croce erano particolarmente devoti deve il suo aspetto al rifacimento decretato dal procuratore della Camera Apostolica, Giovanni degli Asinelli, nel 1523, quindi durante il periodi di Alessandro de' Medici. La porta è composta da un arco acuto trecentesco, all'interno, e da un secondo arco a pieno centro sul lato esterno, realizzato nel 1523. Nella corte tra i due archi è conservato un arco ogivale in pietra del XIV secolo. ... La Porta della Ringa (al termine di corso martiri Pennesi), che corrisponde all'antica Porta dell'Arengo, fu rifatta nel 1832 dal barone Diego Aliprandi in occasione della visita di Ferdinando II di Borbone. La porta è ornata da colonne binate addossate alla parete in laterizio. La parte terminale, con due sfere laterali, aperta la centro, è priva di un collegamento ad arco o architrave. Presenta sul alto sinistro una torre urbica del XVI secolo

Atri, prospetto del Duomo nella piazza omonima, notturna

Il primo centro sorge su un insediamento romano, trasformato nel Medioevo, e soprattutto nel Rinascimento, quando Atri divenne capitale del ducato degli Acquaviva, che dettero lustro alle arti e allo sviluppo urbano architettonico. L'impianto urbano medievale coincide con quello romano, e si distribuisce su tre rilievi collinari, Colle Meralto che è il più elevato, Colle Muro Alto e Colle di Mezzo, difeso da due torri della cinta muraria, che vantava 10 porte di accesso, oggi ridotte a poco più che due. La migliore è Porta San Domenico, posta presso la chiesa omonima, rifatta nel 1528 pur mantenendo l'aspetto ad arco ogivale all'esterno, e il fornice dell'interno ad arco a tutto sesto. Il principale recinto fortificato, da cui partivano le mura, era la Rocca di Capo d'Atri, di cui si conserva un bastione fuori Largo Santo Spirito, in quanto demolito dagli stessi atriani dopo la ribellione ai duchi Acquaviva. Più all'interno del tessuto urbano, seguendo via Picena da Largo San Nicola, si trova il palazzo ducale degli Acquaviva, situato in Piazza Duchi Acquaviva, distribuito intorno a un cortile con loggiato, eretto nel XIV secolo.

Il secondo borgo è frazione del comune di Castellalto, e risulta uno dei migliori esempi di centro fortificato d'epoca rinascimentale della provincia di Teramo, situato sulla dorsale collina re del Vomano, tra Montorio e Roseto. Il borgo ha la configurazione anulare, cinto da mura fortificate da porte e torri ancora conservate, realizzate in muratura di ciottoli di fiume e laterizio. Si accede da Porta Sud. da est mediante Porta Marina, con merlatura alla ghibellina e arco a tutto sesto. La torre rettangolare di Porta Marina è in ciottoli e laterizio, racchiusa da un lato dalla cinta difensiva e dall'altro da un palazzo ottocentesco. Sul versante settentrionale si trova la torretta di Piazza Portella a pianta pentagonale, mentre nella parte alta del borgo si trova la torre della chiesa dei Santi Andrea e Silvestro.

Giulianova la città rinascimentale ideale

Torrione La Rocca o di Porta Napoli

Il duca Giulio Antonio I, nacque in un contesto politico precario, e militò nelle armi con Giovanni Antonio Orsini del Balzo, principe di Taranto, nella campagna di conquista di varie terre tra Abruzzo, Puglia e Marche. Per la fedeltà dimostrata all'Orsini, Giulio ottenne il feudo di Conversano tra i possedimenti del ducato di Atri nel 1455, e più tardi si imparentò con la casata d'Aragona. Nel 1463 tessendo rapporti d'amicizia con il re Ferrante I d'Aragona, Giulio Antonio ottenne il feudo di Montepagano presso Roseto degli Abruzzi. Sicuro dei propri possedimenti feudali acquisiti nel ducato, Giulio Antonio poté progettare la ricostruzione strategica di molte località fiaccate dalle guerre e dalle scorrerie banditesche, il cui esempio massimo è la ricostruzione daccapo dell'antico castello di San Flaviano, che verrà nel 1478 rinominata Giulia Nova.

Giulianova, piazza centrale col duomo in un disegno di Raffaello Pagliaccetti

Il progetto fu affidato all'ingegnere Francesco di Giorgio Martini, che operò anche al castello di Conversano, poi operò ad Atri costruendo la cappella privata di SanLiberato degli Acquaviva, ampliando la chiesa di San Nicola, mentre il pittore Andrea De Litio veniva chiamato al cantiere della basilica cattedrale per affrescare il Coro dei Canonici con le Storie di Gesù e Maria.

Il progetto di San Flaviano nacque a causa della semi-distruzione dello stesso nella battaglia del Tordino del 1460 tra le truppe di Alessandro Sforza e quelle di Giacomo Piccinino, nell'ambito delle scorrerie da parte dei capitani di ventura ribellatisi al potere degli Aragona, dopo la morte di Alfonso I. Il progetto fu di ricostruire l'abitato poco distante da quello vecchio, sopra un colle in posizione dominante sul mare, sui progetti di Francesco di Giorgio Martini e Leon Battista Alberti, che si ispirarono al modello della città ideale rinascimentale, in cui l'elemento principe doveva essere l'armonia assoluta tra le forme geometriche e la calcolata distanza e pienezza dei volumi e l'equilibrio delle forme delle architetture, situate all'interno della cinta muraria ben squadrata, a pianta quadrangolare, intervallata regolarmente da torri di difesa.

Le stesse vie erano disposte ad assi ortogonali, che andavano a finire tutte nella piazza centrale col duomo di San Flaviano, anch'esso ricostruito a pianta ottagonale centrale, con la cupola cilindrica, che fungeva anche da faro per le navi del porto. L'ispirazione allo stile toscano rappresentò il trionfo del progetto di Giulio Antonio Acquaviva, anche se non poté godersela perché nel 1480 con lo sbarco dei turchi a Otranto, Giulio Antonio venne chiamato alle armi da Ferrante I.

Pescara: dalle origini alla fortezza spagnola e alla trasformazione urbana ottocentesca

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Pescara, Geografia di Pescara e Fortino del Pescara.

Non è facile oggi desumere, dall'aspetto prevalentemente moderno dell'architettura di Pescara, la sua antica origine. Da quel che è possibile scorgere dai rettilinei delle vie della zona Porta Nuova, e leggere dalle carte antiche, si sa che l'antico nucleo italico romano, lo scalo commerciale di Ostia Aterni, o semplicemente Aterno, aveva il suo fulcro nell'attuale Piazza Garibaldi, dove sorge il Monumento ai caduti di Cascella.
La città non si espanse con la conquista romana, e nemmeno durante il Medioevo. Si può dire che in un certo senso sino all'Unità d'Italia, il ruolo primario della vecchia Pescara fu quello di una cittadella-caserma, dove però la vita almeno all'epoca romana dovette essere florida e piena di ricchezza per via dei traffici fluviali, come dimostrano i resti di mosaici pavimentali presso le celle delle casermette del Bagno penale borbonico, visitabili dal Museo delle Genti d'Abruzzo, allestito in ciò che rimane della vecchia fortezza spagnola.

Disegno dell'antica fortezza spagnola di Pescara, divisa in due dal fiume: a sud il quartiere Porta Nuova, a nord il quartiere Castellammare con le Caserme

Andando con ordine, durante l'occupazione bizantina (VI secolo), venne eretta una torre-castello, oggi molto rimaneggiata, che sorge in Piazza Unione, e le mura medievali del futuro bastione San Cristoforo resistettero sino alla riedificazione della fortezza nel XVI secolo. Con il passaggio dei vari signorotti feudali, dagli Orsini a Jacopo Caldora, l'antico castello di Pescara, composto di mura e porte di ingresso, da Chieti, da Napoli, la Porta del Sale, e quella da Ortona, venne più volte saccheggiato dagli incursori del mare, e fu conteso dai conti di Chieti per avere il monopolio diretto del traffico fluviale lungo la Val Pescara e sul mare, poiché la porzione a sud di Francavilla al Mare era feudo dell'abbazia di San Giovanni in Venere.
A partire dal 1510 per volere di Carlo V venne progettata una nuova imponente fortezza che avrebbe dovuto sorvegliare il confine dell'Abruzzo Citra e dell'Abruzzo Ultra, e i traffici fluviali fino allo scalo portuale, in modo da resistere agli attacchi.

Sebbene il progetto, portato avanti per decenni sino al 1568 ca. dal Duca D'Alba, dato che all'epoca della scorreria di Pyali Pashà del 1566 il forte era ancora in costruzione, fu del tutto innovativo per l'architettura militare moderna abruzzese, alla pari dell'edificazione nel 1534 del Forte spagnolo a L'Aquila dell'Escrivà, questa fortezza fu anche causa dell'isolamento culturale e urbano pescarese sino al XIX secolo. Fino al XVIII secolo Pescara, come detto, assunse la funzione di città-caserma, dove erano più militari ad abitare il sito che i civili, dato il clima altamente malsano e putrido delle paludi e degli acquitrini (si ricorda la palude della Vallicella) non bonificati. Tuttavia, dopo che venne abbandonata dal Marchese d'Avalos in seguito ai rivolgimenti del 1799, fu desiderata da vari conquistatori, dagli austriaci ai francesi. La fortezza subì infatti l'assedio del generale Duhesme, che da Pescara avrebbe dovuto congiungersi a Sulmona colle truppe di Lemoine[55]
Le piantine storiche del XVII secolo mostrano la fortezza pescarese come un grande trapezio poligonale a cinque grandi bastioni e altri minori: tre a sud della Pescara, nel quartiere Porta Nuova, e due a nord, nel quartiere Castellammare. Partendo da qui, i due grandi bastioni erano a sinistra il San Francesco, e a destra, nell'incrocio tra via Caduta del Forte e Corso Vittorio Emanuele, il San Vitale. Gli studiosi hanno ipotizzato, in vista del nome dei santi di ciascun bastione, che vi fossero state erette delle cappelle, come era testimoniato, prima delle distruzioni belliche del 1943, dalla cappella di San Giacomo degli Spagnoli nel bastione omonimo.

Via delle Caserme, zona Largo dei Frentani, ciò che resta della fortezza spagnola: le casermette militari che oggi ospitano il Museo delle Genti d'Abruzzo.

Al centro tra questi due bastioni di Castellammare, al centro c'era la grande caserma di cavalleria con la cappella della madonna del Carmine, ancora oggi esistente. A sud del fiume, nel rione Porta Nuova, da sinistra a destra, dove si trovava il bastione San Cristoforo di Piazza Unione[56], i tre bastioni maggiori erano il Sant'Antonio a Porta Salaria (zona del Ponte D'Annunzio e inizio di viale Orazio), il San Giacomo (Largo dei Frentani) e il San Cristoforo. Altri due bastioni minori erano il San Rocco (incrocio di via Orazio con via Conte di Ruvo presso Palazzo Michetti) e il San Nicola (incrocio di via Conte di Ruvo con viale Guglielmo Marconi), dove oggi sorge la Camera di Commercio.
Nel Settecento l'antico abitato si andò espandendo pian piano, e nell'Ottocento vennero costruiti i primi edifici in stile eclettico neoclassico-neorinascimento, e dalla fine del secolo sino al primo Novecento, l'area si popolò di palazzetti in stile liberty-rinascimentale, molti dei quali villini signorili, progettati da Antonino Liberi, che realizzò nel 1888 lungo il viale D'Annunzio il Palazzo Perenich in stile fiorentino, e ristrutturò la casa di Gabriele d'Annunzio.

Casa di D'Annunzio vista da via delle Caserme.


Nel frattempo, già dal XVIII secolo, il ruolo della fortezza si andò ridimensionando notevolmente, tanto che le mura a scarpa, con i bastioni lanceolati, incominciarono a diventare delle abitazioni civili, e il potere militare si concentrava nelle casermette di via delle Caserme, dove venivano imprigionati i sovversivi politici, tra cui Gabriele Manthoné e Clemente De Caesaris. L'orografia e l'urbanistica incominciò a essere profondamente intaccata, le antiche cappelle presenti nei bastioni, (alcune delle quali come Sant'Antonio e San Nicola relativamente molto antiche, dato che già nel XII secolo erano citate come possesso di San Giovanni in Venere) venivano smantellate, e rimanevano solo quella del Carmine a nord del fiume presso la gabella del dazio, e l'ex monastero di San Francesco tra Largo dei Frentani e corso Manthoné, poi lungo la strada dei Bastioni la chiesa del SS. Rosario (oggi vi sorge la chiesa del Sacramento in Largo dei Frentani), dove venne battezzato Gabriele d'Annunzio, e distrutta dai bombardamenti del 1943. Presso il viale Orazio esistevano anche i monasteri delle Benedettine (via degli Aprutini) e di Sant'Agostino (via Orazio-Lungaterno Sud), che confinavano a via Conte di Ruvo con l'area della chiesa di Santa Maria di Gerusalemme, che sorgeva presso il sagrato di San Cetteo, demolita nel XVIII secolo, e definitivamente nel XIX, insieme all'arco monumentale di accesso, che dette al quartiere il toponimo di "Porta Nuova".

Il fulcro storico di Castellammare Adriatico, l'ex Piazza Vittorio Emanuele, con la parrocchia del Sacro Cuore, sul corso Umberto I.

Questa chiesa, che alcuni fanno risalire ai tempi della presenza ebraica a Pescara (VIII-X secolo) venne demolita nell'Ottocento, e rimase solo l'arco trionfale col campanile, tanto che venne chiamato "Porta Nuova", e tal toponimo divenne identificativo per il quartiere vecchio, soprattutto quando anche l'arco venne distrutto. Rimanevano la Piazza di Garibaldi con il palazzo comunale, oggi Circolo Aternino, la via delle Caserme, e la chiesa di San Cetteo, che venne demolita nel 1928 e ricostruita in stile neoromanico da Cesare Bazzani nel 1933-38.
Dall'altra parte del fiume, collegata a Pescara mediante un ponte di ferro citato anche da D'Annunzio nelle sue prime prose pescaresi, nella metà dell'Ottocento si era sviluppato un nuovo nucleo urbano noto come Castellammare Adriatico, che ebbe rapido sviluppo quando venne realizzata la ferrovia nel 1863, con scalo primario a Porta Nuova, e poi nella Piazza Centrale (oggi della Repubblica), all'incrocio tra Corso Vittorio Emanuele e Corso Umberto I. Come in alcuni tratti di zona Porta Nuova, Castellammare si dotò di palazzi civili in stile liberty ed eclettico.

L'Aquila, Sulmona, Avezzano

L'Aquila

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia dell'Aquila.
Veduta in carta della città de L'Aquila prima del terremoto del 1703, opera di Giovan Battista Pacichelli.

Un caso eccezionale in Abruzzo nell'ambito storico e artistico-architettonico, è la fondazione de L'Aquila nel 1254 circa, come descrive la Cronica in versi di Buccio di Ranallo. Infatti una consistente parte del romanico abruzzese, presente soprattutto nelle chiese della Valle d'Aterno, del Gran Sasso, della piana di Navelli, della Valle Subequana, della Piana del Cavaliere e anche della Valle Peligna, dove lo stile aquilano si incontrò con quello sulmontino-casauriense, è proprio legata allo sviluppo artistico aquilano, che nel difficile percorso di affermazione, a causa delle varie ricostruzioni per terremoti, riuscì a consolidare un modello base per una consistente parte delle architetture religiose. Insomma il romanico delle chiese di Acciano, Assergi, Fontecchio, Navelli, Bominaco, Castel di Ieri, Castelvecchio Subequo sarebbe stato diverso dalla matrice aquilana che lo plasmò, e si sarebbe diffuso con un influsso più umbro o marchigiano; per cui le vicende dell'arte romanica aquilana, che già di per sé è un originale compendio di questo periodo e del gotico, esempio unico nel centro Italia, racchiuso come sostengono gli studiosi nella facciata della basilica di Santa Maria di Collemaggio. Per cui fu determinate la fondazione della città, e soprattutto assai originale la ripartizione in "locali" e "cantoni" nei quartieri storici.

Con diploma di Corrado IV di Svevia[57], figlio di Federico II, la città nuova venne fondata presso il villaggio di Acculi, oggi nel rione Borgo Rivera, presso la fontana delle 99 cannelle; il permesso venne accordato a feudatari, contadini e artigiani stanchi delle vessazioni dei signorotti dei diversi castelli che popolavano la conca amiternina, quali Bagno, Assergi, Paganica, Roio, Arischia, Sassa. Benché la conca aquilana fosse da secoli abitata come dimostrano le città romane di Amiternum e Forcona, che condividevano anche la sede vescovile, a causa della tesa situazione politica del governo svevo sull'Abruzzo, e della relativa vicinanza di Amiterno ai territori pontifici, venne definito un programma di costruzione della nuova città, con un'area cinta da mura di guardia, e ripartita in rioni con cantoni e locali, ossia il pezzo di terra colonica dove i cittadini avrebbero eretto le case, i palazzi di guardia e le chiese. Il progetto fu assai originale, anche se della città originaria non si sa quasi nulla a causa della distruzione di Manfredi di Svevia nel 1259 per ribellione; mentre dai documenti di Carlo I d'Angiò che volle fortemente la rinascita della città nel 1265, si desume con chiarezza il piano di scansione dei vari cantoni e dei quartieri[58].
I quarti dell'Aquila, legati in parte con i locali agli antichi castelli (la leggenda vuole fossero 99), vennero suddivisi nel 1276, e sono ancora oggi il San Giorgio (o Santa Giusta), Santa Maria, San Pietro e San Giovanni d'Amiterno (o anche San Marciano).

L'Aquila, veduta di Piazza Duomo nel 2008

Il primo occupa la zona sud-est, il secondo che è il più grande tutta la zona nord fino a Piazza Palazzo, il terzo la fascia ovest, e l'ultimo la fascia sud-ovest. Il punto focale della nuova città era ed è ancora oggi Piazza Duomo, dove confluiscono tre dei quattro quartieri. Inoltre furono progettati dei cardi e dei decumani, come il Corso Vittorio Emanuele II (anticamente la Strada Maggiore, che da Porta Paganica, presso il castello cinquecentesco, da nord porta a Piazza Duomo), il corso Federico II, che da Piazza Duomo a sud portava a Porta Napoli, e poi le due vie trasversali di corso Umberto I a ovest, che attraversa i due rioni San Pietro e Santa Maria, diventando poi via Andrea Bafile e via Roma fino a Porta Barete, che incrociandosi al corso Vittorio Emanuele presso il Palazzo del Convitto (costruito sopra l'ex monastero di San Francesco d'Assisi), verso est mediante via San Bernardino che porta fino alla Porta Leoni delle mura, creava l'intersezione detta "Quattro Cantoni".

Inoltre ciascuno dei quattro quarti era ripartito in piccoli locali dei coloni provenienti dai castelli[59], e ciascun gruppo di essi legato indissolubilmente, almeno per il livello storico, più che per il livello politico e religioso a suo tempo. Ad esempio il quarto Santa Giusta ha i locali dei castelli fondatori stanziati nella fascia sud-orientale della valle (Fontecchio, Tione, Goriano Valle, Bazzano, Bagno), Santa Maria quelli del nord (Assergi, Arischia, Camarda, San Silvestro, Pizzoli), San Pietro i castelli di Coppito, Sassa, Barete, Porcinaro, Vigliano, e San Marciano quelli di Roio, Lucoli, Tornimparte, Rocca di Corno, Preturo. Per sottolineare ancora di più il legame di appartenenza ai castelli, anche se altri dicono che si trattò di questioni economico-amministrative, le chiese nuove fondate nei quartieri ebbero lo stesso nome dei relativi castelli di appartenenza, facendo gli esempi più chiari delle quattro chiese parrocchiali dei quarti (la chiesa di Santa Giusta da Santa Giusta extra moenia di Bazzano, chiesa di San Pietro a Coppito dalla parrocchia di Coppito, la chiesa di San Marciano da quella dei SS. Marciano e Nicandro di Roio, e ancor prima da San Giovanni di Lucoli, e infine la chiesa di Santa Maria Paganica dalla parrocchia di Maria SS. Assunta di Paganica).

Torre medievale del Palazzo Margherita, con l'orologio

Le mura furono completate nel 1316, in alcuni punti oggi abbattute, ma per secoli, sino agli anni '50, quando le aree furono completamente occupate dall'edilizia moderna, svolsero la duplice funzione di protezione e delimitazione delle aree dei diversi locali, e dei conventi, poiché esse non erano addossate alle costruzioni, ma di espandevano molto oltre le porzioni territoriali occupate, lasciando ampi spazi per la coltivazione degli orti e delle vigne. Una consistente porzione di mura venne demolita nel 1534 circa a nord del Quarto Santa Maria per la costruzione del Forte spagnolo, quindi l'area di Porta da Paganica per l'ingresso allo stradone maggiore, il corso Vittorio Emanuele, fu rasa al suolo, insieme ad alcuni locali, come la Genca e il Guasto, e rimase solo un piccolo torrione, dove venne costruita poi la chiesetta del Crocifisso, ancora esistente. L'area delle mura, partendo dal castello, e compiendo un giro in senso orario, come dimostrano anche le carte del Fonticulano (1575), del Pacichelli e i dipinti come quello del Gonfalone dell'Aquila di Giovan Paolo Cardone, era caratterizzata da torrette di guardia, di cui sono visibili i contrafforti di base, alternate a porte di accesso dai principali borghi circostanti; dunque da Porta Castello, si scende per Porta Leoni, per i cittadini di Paganica, anche se la porta ufficiale si trovava lungo l'attuale via Ovidio, poi Porta Bazzano per l'accesso a Via Fortebraccio, Porta di Fossa, presso l'area della basilica di Collemaggio, Porta Napoli o San Ferdinando, situata all'estremo sud del centro, lungo la strada della villa comunale, ed edificata nel 1820 a carattere monumentale e celebrativo (per Ferdinando IV di Borbone) e non difensivo; poi risalendo da ovest, la Porta da Bagno, Porta da Lucoli e Porta Roiana lungo via XX Settembre, Porta della Rivera (accesso all'antico borgo di "Acculi", dove nel 1272 fu costruita la fontana delle 99 cannelle), Porta Stazione (per la presenza della stazione ferroviaria, anticamente detta "Porta da Poggio Santa Maria"), Porta Barete, che all'uscita di via Roma era la corrispettiva di Porta Bazzano, tagliando orizzontalmente in due il centro aquilano, la quale benne demolita per essere ricostruita nel 1826 in forme monumentali, ma senza l'avvio definitivo dei lavori, e pertanto in parte interrata; infine a nord-ovest Porta da Pizzoli o di San Lorenzo (oggi murata) e Porta Branconio, per l'accesso da Collebrincioni al locale di San Silvestro.

Veduta di Avezzano in un disegno del 1830
  • Avezzano: la città come la si vede oggi è il frutto della ricostruzione sistematica dopo il disastroso terremoto del 3 gennaio 1915, che la rase al suolo, insieme a tanti altri comuni circostanti, presso la conca del Fucino. Si sa da Muzio Febonio e da documenti abbaziali di Farfa e Cassino, nonché anche da scoperte archeologiche (una villa e l'acquedotto claudio), che l'area doveva essere abitata sin dall'epoca della conquista romana della Marsica, divenuta "provincia Valeria" (I secolo a.C.), e anche dopo la caduta dell'impero, e la conquista longobarda e normanna. Installatosi il conte Berardo il Francisco nel X secolo presso la torre di Celano, che divenne il castello, la "villa" (ossia villaggio) di Avezzano fu citata sia dai monaci di Farfa sia di Montecassino, che avevano possedimenti nel territorio fucense, insieme alla gestione amministrativa di chiese. Avezzano sino all'epoca della costruzione da parte di Gentile Virginio Orsini del castello Orsini Colonna (metà del XV secolo), era dominata da una torre centrale, che fu inglobata nel castello quattrocentesco, e poi purtroppo abbattuta dal sisma del 1915, fondata dai Longobardi, che sorvegliava l'abitato, dove si trovava la chiesa parrocchiale di San Salvatore, del X secolo. Tuttavia, per vedere un pieno sviluppo della città, in modo tale da raggiungere un aspetto orografico caratterizzato da strade, da una piazza principale, e dalla circonvallazione delle mura, bisognerà attendere il Settecento, e ancora di più la metà dell'Ottocento, quando le mura furono definitivamente abbattute, e la città poté espandersi. In una pianta del 1830, è possibile vedere Avezzano, almeno la parte circolare del centro storico, come lo era anche basandosi sulle testimonianze delle fotografie del primo Novecento, scattate per le strade della città, prima della distruzione tellurica del 1915.
Disegno del De Bernardinis (1791) del villaggio di Pietraquaria, sopra Avezzano, col santuario della Madonna

In quest'epoca la città di Avezzano prese il definitivo assetto urbano che era integro sino al terremoto della Marsica del 1915, quando la città e molti altri centri della Marsica furono quasi completamente distrutti dalle forti scosse sismiche. Attraverso le mappe storiche del XVIII secolo e soprattutto del 1830, si può comprendere l'aspetto antico della città, oramai quasi completamente scomparso, tranne alcuni esempi come il Castello Orsini-Colonna. La città era a pianta ellittica irregolare, protetta da cinta muraria alternata da torri di guardia, opera degli Orsini e dei Colonna, dove si aprivano tre porte: porta San Rocco a nord, con la chiesa omonima dentro le mura; porta San Bartolomeo a est, che si apriva presso la chiesa scomparsa di Sant'Andrea, ossia l'antichissima chiesa di San Salvatore del X secolo; a sud, presso il castello, c'era porta San Francesco, collegata con la chiesa omonima, la cui via portava fino al Convento dei Cappuccini, ricostruito ex novo nel quartiere Frati dopo il 1915.

Il Castello Orsini prima del 1915

Prendendo la strada principale dal castello, chiamata poi Corso Umberto I, si poteva trovare il palazzo della Sottintendenza provinciale, e la collegiata di San Bartolomeo, di cui dopo il 1915 rimase in piedi una parte del portale. Il sistema viario e di costruzione delle case era tipicamente tardo-medievale rinascimentale, con piccoli slarghi che si trovavano in corrispondenza dei sagrati delle chiese, che erano molte: la Santissima Trinità, a est chiesa e convento di Santa Maria in Vico, la chiesa di San Rocco e il convento di Santa Caterina da Siena. Tutte queste strutture, insieme ai palazzi gentilizi, crollarono nel 1915, anche se alcune delle chiese ricostruite conservano i toponimi delle antiche parrocchie. Fuori porta San Francesco, in corrispondenza del largo del castello, si trova il parco Torlonia, con la villa dei principi romani, anch'essa distrutta nel 1915, e ricostruita in stile eclettico. Sopra il monte Salviano si trova il Santuario della Madonna di Pietraquaria, che in disegni del Seicento era raffigurato insieme a casette che componevano un villaggio a sé, il quale è miracolosamente scampato al disastro tellurico
È quasi impossibile riconoscere l'antico tracciato urbano di Avezzano, poiché sopra le fondamenta delle antiche case è stata ricostruita la città nuova: certo è che dal largo di San Bartolomeo, percorrendo viale XX Settembre, si può comprendere che la città antica sorgeva proprio lì, dacché la direttrice parte da piazza castello, e sfocia in piazza Risorgimento, la piazza centrale ricostruita da zero e in posizione diversa dal baricentro dell'antica collegiata, e lì troneggia la nuova Cattedrale dei Marsi dedicata a San Bartolomeo.

Porta Napoli, Sulmona
Lo stesso argomento in dettaglio: Centro storico di Sulmona.
  • Sulmona: la città è quella che risente maggiormente dell'influsso napoletano sin dal XIV secolo e dal XV, come dimostrano le case civili con gli archi al livello base caratterizzato dal motivo "durazzesco", ossia quel tipo di porta dall'arco slanciato e orientale importato da Ladislao d'Ungheria durante il regno di Luigi d'Angiò e Giovanna I d'Angiò. Il centro storico è diviso in due parti quanto a periodo di edificazione, e quanto a suddivisioni storiche si compone di 4 sestieri (Porta Manaresca, Porta Filiamabili, Porta Bonomini, Porta Japasseri) e 3 borghi (Santa Maria della Tomba, San Panfilo, Pacentrano). Il primo nucleo mostra il tipico assetto quadrangolare del castrum romano, delimitato dalle due circonvallazioni occidentali e orientali dei due fiumi che lambiscono la città, il Vella e il Gizio, si accede dall'antica area di Porta Sant'Agostino al corso Ovidio, dal Piazzale Carlo Tresca, davanti la villa pubblica, e lo stradone maggiore taglia in due il centro sino ad arrivare allo sbocco di Piazza Garibaldi (o Piazza Maggiore) presso l'inizio dell'acquedotto medievale con la fontana del Vecchio.
    Dunque questa parte dell'antico abitato romano, sopra cui nel XII-XIII secolo fu ricostruito quello medievale dei vari sestieri (Porta Japasseri, Porta Filiamabili, Porta Bonomini, con altre porte di accesso quali la San Panfilo, la Porta Romana, la Porta Manaresca, la Porta Molina). Durante il governo degli Angiò si sentì la necessità di ampliare la cinta muraria, e di realizzare attorno il campo della Fiera, ossia della piazza maggiore, con l'acquedotto di re Manfredi del 1256, nuove unità abitative.

Si vennero così a costituire i borghi attorno ai monasteri isolati: Sant'Agata (dove si trova la chiesa di San Filippo Neri), San Francesco della Scarpa, Santa Maria della Tomba, la grancia dei Celestini di Santa Lucia e il convento di Santa Chiara. Presso Santa Maria della Tomba si costituì il borgo omonimo, presso Sant'Agata a sud di Porta Manaresca il Borgo Pacentrano o di Porta d'Oriente, mentre a nord, presso la cattedrale di San Panfilo, il borgo omonimo cinto dalle mura, oggi del tutto scomparse, accessibile da due porte, una presso il duomo, e l'altra all'imbocco del Corso Ovidio, presso lo scomparso monastero di Sant'Agostino.

Le fontane

Le singole voci sono elencate nella Categoria:Fontane dell'Abruzzo.

Un capitolo speciale merita quello della fontana abruzzese. L'acqua in Abruzzo, per la presenza di laghi, sorgenti, fiumi, falde acquifere, è sempre stata parte integrante della tradizione popolare (racconti, incontri d'amore, canzoni popolari, dipinti e poesie). Per la ricca presenza delle acque, sin dall'epoca italico-romana, sono emerse cisterne, pozzi, fontane, di cui si ricordano la cisterna di Chieti presso l'ex Largo del Pozzo (Piazza Valignani), poi la fontana dell'Acqua Ventina di Penne, benché rifatta daccapo nella prima metà dell'Ottocento in stile neoclassico, una fontana di Lanciano la cui leggenda vuole fosse edificata nel III secolo d.C., ma rifatta poi nel 1823-25, ossia la Fonte Grande di Civitanova, e infine la Fonte Pila nel comune di Atri, anch'essa in stile ottocentesco, in mattoni a vista, rifatta però sopra rovine di una fonte romana.
In parte documentate dai reperti archeologici, in altri casi solo da leggende, a questo gruppo di fonti farebbe parte anche la Fonte Peticcia di Ortona, la cui leggenda vuole fosse stata stazione di fermata del re Annibale Barca durante la seconda guerra punica.

Fomntana delle 99 cannelle, L'Aquila

Le fontane in Abruzzo ebbero un ruolo centrale a partire dal Medioevo, esse si trovavano non solo nelle città, ma anche lungo i principali tratturi che dalla montagna scendevano alla Puglia, per il ristoro dei viandanti, dei mercanti e dei pastori, nonché delle stesse bestie. Moltissime sono sparse presso la Majella, sul Gran Sasso, sul gruppo montuoso del Sirente-Velino, e presso Campo Imperatore, e sono quasi tutte costituite a blocco di pietra, con grande vasca di abbeveraggio, e delle piccole cannelle da cui sgorga l'acqua.
Altre fontane più monumentali, risalenti al XIII-XIV secolo, si conservano nei centri de L'Aquila, Lanciano, Sulmona e Teramo. Nel 1272 Tancredi da Pentima, per celebrare la fondazione della città dai famosi 99 castelli, presso la località di Acculi, dove sarebbe nato il primitivo nucleo aquilano, eresse la fontana delle 99 cannelle o della Rivera, con i mascheroni a carattere allegorico, e le mattonelle a doppio colore bianco e rosso, gli originali colorii civici dell'Aquila, con la pietra calcarea di Scoppito (AQ).
A Sulmona invece si ricordano la fonte di Santa Maria Giovanna fuori le mura a ovest, la fonte di Porta Iapasseri e la fontana di Sant'Agata, con bassorilievi romanici, mascheroni, temi allegorici e animaleschi.

Fontana Grande di Civitanova, Lanciano

Più o meno tuttavia, l'arte dei maestri nel realizzare le fontane nel Medioevo, è evidente in tutti i centri che avevano una certa potenza economica. A L'Aquila vennero realizzate altre fontane romaniche, come vuole anche la leggenda dei 99 castelli (un locale con una fontana, una piazza una chiesa ciascuno), si conservano infatti gli esemplari della fontana di Piazza Santa Maria Paganica, di San Pietro Coppito, di Santa Margherita, di Santa Giusta e di San Marciano. Nella vicina Fontecchio si conserva una bellissima fontana "trecentesca" presso la Piazza del Popolo, attigua a un'edicoletta votiva con l'affresco della Madonna col Bambino, la fonte si caratterizza particolarmente per le rifiniture della vasca ottagonale, e per il fusto a edicola del tipo ostensorio in stile gotico, da cui dei mascheroni fanno sgorgare l'acqua; poi a Cocullo si trova una fontana ai piedi del sobborgo San Domenico, con la struttura del tipo "a muro" in conci di pietra, fatta erigere dai Conti dei Marsi nel XII secolo, con l'abbeveratoio e tre arcate ogivali per permettere l'accesso alle lavandaie per bagnare i panni.

Fontana medievale di Cocullo
Fontana trecentesca di Fontecchio

Fontane simili a questa sono anche a Gagliano Aterno (AQ) e a Pennapiedimonte (CH). Nel Quattrocento le fontane hanno subito l'influsso rinascimentale, tra queste la più significativa è la Fontana del Vecchio, sul corso Ovidio a Sulmona, posta a termine dell'acquedotto di Manfredi di Svevia del 1256, che capta le acque del Gizio, e mostra le caratteristiche della scultura aragonese, con le rifiniture molto più accentuate e particolareggiate delle cannelle e del mascherone del fauno che getta l'acqua. Nel corso dei secoli a venire, il circondario di Sulmona con i maestri scalpellini ha fatto scuola alle altre realtà abruzzesi, come mostrano le opere di Scanno, in particolar modo la fontana Sarracco presso la chiesa madre di Santa Maria della Valle, oppure la Fontana del Rovetone a Tocco da Casauria o a Chieti, la Fonte dei Cannelli del XVII secolo, finanziata dalla famiglia Valignani.

L'arte della fontana come carattere monumentale architettonico, ebbe nuova ripresa nell'Ottocento, quando le municipalità decisero di abbellire i vari centri con opere non solo utili per le lavandaie costrette a recarsi nelle fonti delle sorgenti fuori le mura, o semplicemente per abbeveraggio degli animali, ma anche per la comunità intera. Infatti le fontane vennero costruite in luoghi d'incontro, piazze, slarghi, o al termine dei corsi principali, come testimoniano le opere in ghisa e pietra (la vasca) di Pacentro (fontana di Piazza del Popolo), di Sulmona (fontanone di Piazza Garibaldi), di Chieti (la fontana di Piazza Vittorio Emanuele, spostata poi in Piazza Mazzini nella villa comunale), di Vasto (la fontana Grande dei d'Avalos, spostata poi in Piazza Barbacani), la fontana dell'Acqua Ventina di Penne (sotto il colle della chiesa di Colleromano), la fontana monumentale di San Valentino in Abruzzo Citeriore, la fontana di Piazza Municipio a Pescocostanzo, la fontana Grande di Atessa in Piazza Fontana (oggi è stata sostituita con una del 2005, presso Piazza Oberdan), la Fonte di Piazza San Tommaso a Ortona, purtroppo distrutta nel 1943, la fontana dell'Obelisco monumentale, sempre eretta nel primo Ottocento, a Tagliacozzo, e via dicendo.

Fontana del Vecchio, Sulmona

Quasi tutte esaltano il carattere monumentale con impianto cilindrico oppure ottagonale, con la vasca istoriata o decorata da rilievi e dediche, e lo stelo a fusto in ghisa, spesso e volentieri diviso in più strati con vaschette, putti, angeli o figure femminili che rievocano la tradizione della contadina abruzzese, da cui scaturisce l'acqua. Questa tradizione è continuata anche tra la fine e l'inizio del nuovo secolo (il Novecento), con la Fontana di Tornareccio, la Fontana delle 5 cannelle di Fossacesia, la Fontana Grande di Lanciano, distrutta nel 1924 per erigere il Monumento ai caduti di Piazza Plebiscito.

Durante il fascismo, i nuovi modelli del revival classicista e del razionalismo di regime, hanno preso forma nelle principali città d'Abruzzo, si ricordano i modelli della Fontana Vecchia di Nicola D'Antino in Piazza Duomo a L'Aquila (1934), il quale dette completamento definitivo a un gruppo di storiche fontane della città, che non avevano mai preso una definitiva forma, nonostante vari progetti a partire dal XVIII secolo dopo il sisma del 1703, poi la Fontana luminosa all'ingresso del corso Vittorio Emanuele, il capolavoro di D'Antino, la Montantina in Piazza IX Martiri a L'Aquila del 1928, sempre di D'Antino, e poi a Pescara: la fontana "La Pescara" presso Piazza Italia (la sede centrale degli uffici amministrativi), il gruppo scultoreo dei nudi femminili, sempre di Nicola D'Antino, presso il Ponte Littorio che collegava i due nuclei di Porta Nuova e Castellammare, distrutto nel 1944 dai tedeschi, la fontana del Littorio del 1933 presso Salle Nuovo (1933), piccolo centro ricostruito daccapo dopo una frana che distrusse il paese storico.

La fontana è tornata a occupare posti di rilievo con lo sperimentalismo artistico moderno, soprattutto a Pescara e Teramo. Pescara è divenuta dagli anni '80 in poi una città delle fontane, partendo con La Nave di Pietro Cascella del 1987, sul lungomare Matteotti, seguita dai modelli della Fontana della Meridiana (2004) sul lungomare Colombo, della fontana di Piazza San Francesco, della fontana di Piazza Le Laudi su viale Primo Vere, conclusa negli anni '90, la prima a dotarsi di giochi di luce nell'area della riviera adriatica. Di interesse, nei primi anni 2000, anche la Fontana Vola del 2001 in Piazza di Porta Caldari a Ortona, seguita dalla fontana "del Vino" del 2016 posta in contrada Caldari (esempio unico nel suo genere nel centro-sud Italia) e la Fontana Giò Pomodoro del 2005 presso Piazza Oberdan ad Atessa.

L'eremo abruzzese

L'eremitaggio cristiano in Abruzzo iniziò nel X secolo circa, quando il monaco basiliano San Falco da Taverna Vecchia, decise di partire per queste montagne insieme con altri sette compagni: San Nicola Greco (venerato a Rosello e custodito nella chiesa di San Francesco a Guardiagrele), Sant'Ilarione di Prata, che si fermò a Casoli, presso località Torretta, San Franco Pellegrino, noto ad Assergi e ivi venerato, oltre a Francavilla al Mare, Sant'Orante venerato a Ortucchio nella Marsicae San Rinaldo, di cui esiste la grotta con eremo in Fallascoso (Torricella Peligna. San Falco alloggiò in un eremo presso Palena, e fu vescovo del paese, morendovi, e venendo venerato nella chiesa parrocchiale di Sant'Antonino.

Scala Santa dell'eremo di Santo Spirito alla Majella

La fede della popolazione abruzzese ha portato dunque alla creazione non solo di monasteri e chiese dipendenti da abbazie, ma numerosi eremi presso la collina, e soprattutto presso le montagne, tra la Majella e il Gran Sasso. Proprio da questi monaci basiliani, che si rifugiarono in silenzio e in meditazione in grotte, alla loro morte vennero pian piano edificati altarini di culto, che poi divennero delle vere e proprie cappelle, e il culto dell'eremitaggio venne ripreso qualche secolo più avanti da frate Pietro Angelerio del Morrone, ossia papa Celestino V; tuttavia oltre alla presenza originaria dei monaci basiliani, esistono grotte abitate sin dall'epoca italica o addirittura neolitica, come la grotta del Colle di Rapino, dove vennero edificate delle piccole cappelle. Importante è anche l'esempio della grotta Sant'Angelo in Liscia (CH).

Pietro Angelerio nella metà del Duecento partì dal Molise per raggiungere Palena, inserendosi nella grotta dell'attuale eremo della Madonna dell'Altare, costruito più tardi a mo' di fortezza sulla roccia, successivamente si spostò sul Morrone verso la conca Peligna, fondando con i suoi adepti l'eremo di Sant'Onofrio al Morrone, dove rimase sino alla chiamata nel 1294 per recarsi a L'Aquila per essere incoronato pontefice presso la basilica di Collemaggio, sempre da lui fondata. Numerosi sono gli eremi nel territorio abruzzese, tra questi spiccano l'eremo di Santo Spirito a Majella presso Roccamorice, considerato dal punto di vista architettonico uno dei più rappresentativi di questa cultura cristiana, in quanto fonde l'elemento naturale della grotta, con pitture, affreschi rinascimentali, e la chiesa nuova edificata nel XIV secolo per ospitare maggiori pellegrini. Vi dimorò nel 1244 Pietro Angelerio, prima di fondare l'eremo di Sant'Onofrio, e per questo è molto frequentato.

Cappella affrescata dell'eremo di Sant'Onofrio al Morrone
  • Eremo di Santo Spirito a Majella: per la particolare edificazione fra le rocce, che successivamente subì modifiche con la costruzione della cappella, è stata utilizzata in maniera esemplare la struttura della roccia: ogni elemento architettonico impiegato si posa perfettamente con la parete della montagna, in modo da ricreare un'unione tra chiesa sacra e la natura, che rimanda all'unione simbolica tra ambiente e vita spirituale, nel rispetto della regola basiliana. L'entrata principale dell'eremo conduce verso la chiesetta e le sue stanze, con portale architravato, invece percorrendo un tunnel ci si ritrova in altri ambienti, denominati "casa del Principe", e infine alla Scala Santa, con la cappella.
San Bartolomeo in Legio
Veduta dell'eremo di San Venanzio presso Raiano
  • Eremo di San Bartolomeo in Legio: sempre presso l'eremo di Santo Spirito, si trova quest'altro complesso rupestre, scavato in un buco orizzontale attraverso le balze della roccia. Anche questo è dotato di grotta votiva e di chiesetta introducente.
  • Eremo di Sant'Onofrio al Morrone: fondato da Celestino V presso Sulmona, e sopra il santuario di Ercole Curino, si affaccia sulla Valle Peligna. Il complesso è composto da un tardo portico ad archi che introduce alla chiesetta, si conservano presso la grotta delle pitture trecentesche sulla vita monastica, compreso il ritratto di Pietro Angelerio
  • Eremo della Madonna dell'Altare: presso Palena, al confine del Valico della Forchetta, vi soggiornò Pietro da Morrone, e consta di una piccola grotta originaria, con la chiesetta del XV secolo, e un attiguo monastero usato come ricovero dei pellegrino, posto a strapiombo sulla forra rocciosa.
  • Eremo di San Venanzio. presso la riserva naturale delle Gole, in Raiano (AQ), si trova questo eremo con grotta, caratterizzato dall'accesso a ponte di pietra con camminatoio coperto, sopra il fiume Aterno. L'eremo consta della grotta votiva e della chiesa rifatta nel XVII-XVIII secolo.

Altri eremi

  • Eremo di San Franco (Assergi)
  • Eremo di San Rinaldo (Torricella Peligna)
  • Grotta San Falco (Palena)
  • Grotta di Sant'Angelo (Lama dei Peligni)
  • Grotta di San Michele (Liscia)
  • Grotta Sant'Angelo (Palombaro)
  • Grotta Sant'Angelo (Lettomanoppello)
  • Grotta Sant'Angelo (Ripe di Civitella del Tronto)
  • Grotta del Colle e ruderi di Santa Maria de Cryptis (Rapino)
  • Eremo di San Francesco alle Scalelle (Gole del Salinello - Valle Castellana)
  • Eremo di Sant'Angelo in Volturino (Valle Castellana)
  • Eremo di San Giovanni all'Orfento (Caramanico Terme)
  • Cappella di Santa Croce del Morrone (Monte Morrone, Sulmona)
  • Eremo della Madonna della Mazza (Pretoro)
  • Eremo della Madonna di Coccia (Campo di Giove)
  • Tombe rupestri San Liberatore alla Majella (Serramonacesca)
  • Ex abbazia di San Martino in Valle (Fara San Martino)
  • Eremo di Sant'Egidio (Scanno)
  • Eremo di Santa Maria del Cauto (Morino Vecchio)

Storia dell'architettura

Antichità e periodo italico

Architettura del Paleolitico-Neolitico

  • Grotte e villaggi della Majella: i primi insediamenti abruzzesi risalgono a 700.000 anni fa, quando le tribù erano stanziate presso le grotte e le cave, quasi soprattutto di pietra montuosa, come dimostrano i numerosi ritrovamenti sulla Majella e sul Gran Sasso d'Italia. I ritrovamenti più antichi, documentati nel Museo delle Genti d'Abruzzo a Pescara, riguardano le Svolte di Popoli, la Valle Giumentina e la Grotta dei Piccioni di Bolognano. Quest'ultima era già nota agli archeologici nel 1835, e fu oggetto di scavi da parte del barone Giovanni Leopardi di Penne, e successivamente altri scavi più approfonditi vennero effettuati nel 1951 dal prof. A. Radmilli. Sostanzialmente l'architettura nell'epoca paleolitica in Abruzzo era quasi nulla, poiché l'importanza dei reperti si concentra di più sugli oggetti e i materiali usati per la caccia, l'uso domestico, la sepoltura e la cottura dei cibi. Per la zona vestina, si considera la "cultura Bertoniana" per i ritrovamenti nei pressi di Montebello di Bertona e Bolognano, che ricopre un arco di tempo di 8.000 anni.

I siti abitati, dove sono stati fatti i ritrovamenti, spaziano per tutta la Majella: dalla parte occidentale con la Grotta Fornelli di Caramanico, il Piano d'Oro di San Valentino in Abruzzo Citeriore, il rifugio De Pompeis, la Breccia di Castel Menardo a Serramonacesca, la Costa d'Avignone a Lettomanoppello, il Piano Santa Maria Arabona di Manoppello, il guado San Leonardo a Pacentro, il piano Colapetre e Guado di Coccia a Campo di Giove, e gli Altipiani Maggiori della Majella: Monte Genzana-Sparvera, Pantanello, Colli Difesa, Piana del Leone. Altre ricerche specifiche del 1978 hanno interessato nell'area Peligna i monti San Giovenale (elementi d'età del bronzo), la Valle Gentile (paleolitico medio e superiore), Fontanella-Selvapiana (paleolitico medio), e verso la Piana delle Cinquemiglia, il Monte Pratello, Fonte La Ria, Fonte Chiarano.

Invece per la Majella orientale, i siti maggiori sono il Calvario di Pretoro, la grotta del Colle di Rapino, e il sito di Piano La Torre di Guardiagrele, dove sono stati rinvenuti manufatti dell'età acheuleana e levalloisia (bifacciali). Nella zona della Majella, il primo sito d'interesse è quello delle Svolte di Popoli, dove il Leopardi nel 1958 ritrovò dei bifacciali, strumenti di tecnica levallois e ossa di ippopotami, cervo e bove. Nella Valle Giumentina, tra l'Orfento e il torrente Santo Spirito, la colmata naturale del bacino lacustre ha permesso la formazione di una serie di suoli con diverse stratigrafie. Il giacimento era noto già nel 1880, nel 1939 e poi nel 1954-55 ci furono gli scavi: il deposito lacustre ha 28 strati, vi si alternano formazioni calcaree biancastre, depositate in periodi freddi, formazioni argillose nerastre, testimoni di periodi di magra durante il clima caldo. La fase più arcaica proviene dai livelli torbosi, il deposito è caratterizzato da un'industria tecnica clactoniana; nello strato 37 giallastro si presenta ossido di ferro, negli strati 40-42 si assiste a un ritorno della tecnica clactoniana, già documentata nel 37.

    • Grotta di Caramanico: si trova nella zona di contrada San Tommaso, abitata nel Paleolitico superiore, mentre in contrada San Nicolao si trova un giacimento in parte livellato dai lavori di realizzazione del campo sportivo negli anni '70, e il materiale è stato recuperato nel 1974. La stratigrafia è di 3 metri
    • Rifugio De Pompeis: si trova nei pressi dell'eremo di San Bartolomeo in Legio, è un ampio riparo scavato da acque torrentizie nelle pareti rocciose. La grotta fu abitata in diverse epoche, iniziando dal Paleolitico superiore bertoniano, per cui sono stati ritrovati vari reperti archeologici, successivamente il rifugio divenne luogo di ristoro di pellegrini e di eremitaggio, soprattutto nel Medioevo, dall'VIII al XIV secolo.
    • Grotta del Calvario di Pretoro: pianoro a 750 metri, ha restituito reperti del Paleolitico inferiore-medio, il secondo dell'Aurugnaciano medio.
  • Il villaggio delle Paludi di Celano: l'insediamento si trova in località Paludi, alle pendici del bacino lacustre del Fucino, risale al XVII-X secolo a.C., ed è considerato il villaggio preistorico più antico dell'Abruzzo. Il terreno ha restituito materiale organico in perfetto stati di conservazione, come pali in legno di quercia, salice e pioppo per realizzare le palafitte, insieme a tazze, boccali, ciotole e olle di ceramica dei rispettivi corredi funebri maschili e femminili

Architettura della fase italica (VII-II sec. a.C.)

  • Necropoli Comino (Guardiagrele): si trova presso Guardiagrele nella contrada omonima. Fu scoperta da don Filippo Ferrari nel 1913, che allestì una privata collezione, notevolmente arricchita nel 1998 da nuovi scavi e dall'istituzione del museo archeologico civico a Guardiagrele. Gli scavi hanno permesso di datare le varie stratificazioni temporali del sito, dal X secolo a.C. fino al III secolo. Nella prima fascia remota le tombe sono assai monumentali, il che fa pensare a figure nobili, come la tomba 38 con lo scheletro ornato da oggetti di bronzo come spada, punta di lancia, fibula, rasoio rettangolare e bracciali. Nella seconda fase dell'VIII-VI secolo ci sono tombe più semplici a tumulo, che hanno restituito vari oggetti di bronzo, e infine le tombe del IV-II secolo, con sepoltura molto profonda, ma poco conservate. La tipologia tipica dei sepolcri di Comino è la fossa terragna a margini netti, scavata nella breccia, dove giaceva lo scheletro con il corredo, e data la presenza di numerose tombe, specialmente quelle della prima fase, con sassi che costituiscono i perimetro circolare, gli studiosi hanno ritrovato numerose somiglianze con la necropoli di Fossa. Benché questa appartenesse al popolo dei Carricini-Marrucini, mentre l'altra a quello dei Vestini.
Mura di Pallanum
  • Pallanum (Atessa): villaggio si sviluppò nelle forme attuali intorno al V secolo a.C., e si suppone fosse stato fondato dalla tribù dei Lucani[60]. Le mura ciclopiche erano dette anche "mura Paladine", edificate a scopo protettivo, e sono costituite da tre ingressi. Porta del Piano, Porta del Monte, e l'accesso dalla via del tratturo. Alcune abitazioni si trovano anche fuori dal perimetro murario, e sono tipiche capanne a tholos erette con la pietra incastrata. Una lapide commemorativa a Lucio Cornelio Scipione Barbato, capostipite della famosa casata degli Scipioni romani, parla delle sue conquiste nel Sannio, citando anche una certa "Loucanam" sottomessa. Forse si tratterebbe esattamente del villaggio di Monte Pallano, dato che nel Medioevo nelle zone sorgerà il monastero di Santo Stefano "in Lucana". Con la conquista romana anche Pallanum cadde, il nerf, il principe che controllava l'amministrazione, venne sostituito dal meddix tuticus, magistrato romano.
    Si ritiene che Pallanum rimase in attività come centro di controllo delle guarnigioni della valle, fino alla caduta di Roma, quando venne usato come riparo da viandanti e pastori, dato che non si ebbero opere di incastellamento e infeudamento, tipiche del primo Medioevo italiano.
  • Necropoli di Ponte Messato: si trova fuori Teramo sul Viale Cavalieri di Vittorio Veneto, in località Cona. La necropoli si trova lungo la antica via Cecilia, che da Interamnia portava ad Amiternum, nonché è stata trovata una seconda necropoli, che si trova nella zona tra Interamnia e Castrum Novum (Giulianova). Da quest'ultima provengono due iscrizioni funerarie con la menzione dei defunti: Archipeta Eunuchus, Valeria Praetuttiana, nonché un'altra di Quinto Poppeo, patrono del municipio della colonia, riadoperata come coperchio di una tomba. I ritrovamenti di monete attestano l'uso di questa necropoli fino alla seconda metà del III secolo d.C. Lungo il tracciato della stessa via, presso il fiume Vezzola, due urne in travertino testimoniano la probabile esistenza di una stanza sepolcrale con tombe a fossa. La zona di Ponte Messato è stata scoperta nel 1961, nei pressi della chiesa della Madonna della Cona, e fu scavata a più riprese tra il 2000 e il 2008. Le tombe rinvenute appartengono a varie epoche, a partire dal IX secolo a.C. fino all'età imperiale. La necropoli del periodo italico risale ai secoli IX-VI, con tombe a inumazione, mentre quelle del II secolo d.C. sono a incinerazione, con tombe a cappuccina. Gran parte del materiale dei corredi funebri è conservato oggi nel Museo archeologico "Francesco Savini", della necropoli c'è una particolare tomba imponente che raggiungeva i 3 metri di altezza, con mausoleo allineato sulla strada, dove 2 cippi gemelli indicavano i confini di proprietà dell'area sepolcrale del defunto "Sextus Histimennius".
Necropoli di Fossa
  • Necropoli di Fossa: rappresenta il simbolo delle necropoli abruzzesi d'età neolitico-italica, data la sua stratificazione secolare, impiantata nel IX secolo a.C.[61].. Molti oggetti d'uso quotidiano fanno parte dei corredi funebri, come rasoi in bronzo di forma rettangolare e armi di ferro, che testimoniano la credenza in un aldilà in cui il defunto avrebbe dovuto difendersi. Nelle tombe d'ambito femminile, che sono prive dei menhir disposti in modo circolare come nei sepolcri maschili, sono stati trovati preziosi ornamento in ambra, ferro e pasta vitrea. Le sepolture consentono la suddivisione in periodi: il periodo orientalizzante del VIII-VII secolo, che sono meno imponenti di quelle più remote del XII secolo a.C., e che sono scavate a tumulo, e successivamente v'è il periodo più tardo del IV-I secolo a.C., dell'età ellenistico-romana, dove le tombe ritrovano una certa monumentalità, con muratura, dromos di accesso e preziosi letti funebri rivestiti in osso e avorio scolpiti[62]. La tomba 520 infatti ha un letto raffigurante le divinità di Dioniso, le Menadi ed Ercole.
  • Necropoli di Campovalano: è una contrada presso il comune di Campli (TE). La necropoli di questa contrada, i cui scavi sono stati effettuati dalla Soprintendenza negli anni '70, ha riportato alla luce 600 tombe, che abbracciano un arco cronologico che va dall'età del Bronzo alla conquista romana. Il corredo funebre della prima fase è molto semplice, caratterizzato da un solo oggetto decorativo posto sul torace dell'inumato. Nelle sepolture del VII-VI sec. a.C. si evidenziano cambiamento del sistema di sepoltura, con arricchimento dei corredi. La tomba n. 100, che per la grandezza, la monumentalità e la ricchezza del corredo, lascia immaginare che fosse quella di un personaggio d'alto rango sociale, poiché accanto al sepolcro sono stati rinvenuti i resti di un carro da guerra.
    Questa fase delle sepolture è detta "regia", per la presenza dei sepolcri di vari capi della tribù, la tipologia dei sepolcri è a tumulo, con un diametro variante dai 4 ai 25 metri. Il corredo funebre sia per gli uomini sia per le donne sono accomunati dalla presenza di ceramiche e vasi di bronzo, a significare la simbologia del banchetto funebre: nelle tombe maschili prevale il corredo composto da armi, mentre per le donne ci sono gli strumenti domestici per la cucitura, la tessitura, la filatura. Dopo la fase "monarchica", la più antica, e quella "repubblicana" del VI-IV secolo, segue quella "ellenistica" del III-I secolo a.C., con le tombe più semplici scavate a fossa, orientate verso sud, con i corredi in ceramica lavorati a tornio, frequentemente verniciate in nero. Nelle sepolture femminili si rinvengono numerosi strumenti per la cura del corpo, come netta-unghie, netta-orecchie, gingilli in bronzo e d'oro come orecchini, mentre nelle tombe maschili spariscono le armi, per lasciare spazio a oggetti per la pratica sportiva.

Architettura romana

Caratteristiche generali

Delle antiche costruzioni dei popoli italici che dominavano l'Abruzzo si ha poco, poiché gran parte delle antiche città, e dei monumenti isolati edificati da Marsi, Marrucini, Sanniti, Peligni e Frentani, è stato riedificato o restaurato durante il governo romano dal I secolo a.C. al IV secolo d.C. Dell'epoca neolitica si conservano molto fedelmente, benché in maniera stratificata, le necropoli. Gli esempi di maggior interesse sono la necropoli di Fossa, la necropoli di Comino di Guardiagrele e la necropoli di Campovalano, usate già dal XII secolo a.C. circa, fino al II secolo a.C. La stratificazione più antica mostra delle tombe a circolo, con il perimetro scandito da menhir piantati sul terreno, e ricco corredo interno di oggetti e utensili per il defunto oltre la vita terrena[63]; vale a dire che si tratta di tombe di personaggi nobili e di antichi re delle tribù. I ricchi corredi nella fase intermedia del VII-V secolo a.C. andò ridmensionandosi fino a una nuova fase di monumentalità di ambito ellenistico-romano nel III secolo a.C.

Menhir della necropoli di Fossa

L'arrivo di Roma in Abruzzo favorì lo sviluppo di piccoli villaggi rurali e delle antiche città capitali dei popoli come Marruvium, Teate, Anxanum, Interamnia, Amiternum. La monumentalità dell'architettura del II secolo a.C. - I secolo è ancora bene evidente nell'assetto urbano di alcune città quali Sulmona, Juvanum e Vasto (nel rione San Pietro), con il classico schema del castrum quadrato con cardo e decumano, poiché le varie stratificazioni delle epoche successive, soprattutto dal Medioevo in su, hanno alterato la configurazione orografica di molti antichi centri. Il monumentalismo è molto evidente nelle strutture pubbliche quali teatri, anfiteatri, basiliche, fori, impianti termali, templi.
Nella provincia de L'Aquila gli esempi più riusciti e meglio conservati sono la città di Alba Fucens nella Marsica e l'area archeologica di Amiternum. Alba Fucens sorse come una città militare nel 304 a.C.[64]per sorvegliare dal Velino la piana del Fucino, e con la definitiva colonizzazione romana fu ingrandita con strade, piazza e templi. Mirabile è l'anfiteatro romano scavato nella roccia, una delle strutture costruite nelle zone più elevate d'Italia, insieme al complesso viario di cardi e decumani, con strade maggiori via dei Pilastri e via dei Macelli. Si conservano anche il tempio di Ercole, e ciò che resta del tempio di Apollo, inglobato nella medievale chiesa di San Pietro in Albe.

Il tempio maggiore di Chieti

Amiternum invece è stata più volte ricostruita, dall'antico oppidum sul colle di San Vittorino (presso L'Aquila) fino al foro centrale sulla sponda dell'Aterno, dove oggi si trovano l'anfiteatro romano con la scuola dei gladiatori. Solitamente, in base ai restauri e alle tecniche usate per la maggior parte delle architetture nel territorio abruzzese, si può fornire la datazione intorno al I-II secolo d.C., con materiale in opus mixtum, opera cementizia e opus reticulatum per le terme, i templi, i teatri[65], soprattutto per le architetture di Chieti e Teramo.
Chieti conserva molto dell'antica città capitale dei Marrucini, grazie alle opere del console Marco Vezio Marcello, che restaurò i templi della Triade Capitolina, ancora ben conservati, soprattutto il tempio dei Dioscuri, in quanto fu trasformato nella chiesa di San Paolo, realizzato con la tecnica dell'opus reticulatum. Si conservano parte dell'anfiteatro romano del rione Civitella, nel punto più alto della città, collegato a un sistema museale archeologico, il complesso di cisterne sotterranee della via Tecta, con ambienti voltati a botte che convogliavano le acque fino al complesso delle terme romane nel lato est della città, che presentano tracce di mosaico, nello stile tipico pompeiano del I secolo, con tessere nere su sfondo bianco, tecnica riproposta anche nelle terme di Histonium a Vasto, e in alcuni mosaici delle varie domus di Teramo, eccetto il "Mosaico del Leone" di Palazzo Savini, molto più elaborato.

Tornando a Chieti, alcuni mosaici sono stai rinvenuti in antiche domus presenti lungo la via centrale del Corso Marrucino, sopra cui oggi sorgono palazzi settecenteschi, nella Piazza San Giustino, mentre nella zona di Santa Maria Calvona è stata rinvenuta una necropoli, e nel quartiere Civitella il frontone di un tempio appartenente a periodo marrucino pre-conquista romana, quando l'area sacra si trovava proprio sulla Civitella, anziché nella Piazzetta dei Templi.

Anfiteatro di Amiternum

Tralasciano gli altri importanti mosaici delle domus e delle terme di Vasto e Teramo, nella provincia di Chieti altri esempi di architettura, sufficientemente conservati, si hanno a Lanciano e Montenerodomo, nell'area archeologica di Juvanum, anche se ci sono molti altri esempi. Lanciano, secondo gli storici Pollidori e Priori, aveva una decina di templi: il tempio di Giove presso le torri Montanare, il tempio di Marte presso la Cattedrale della Madonna del Ponte, il tempio di Giunone Lucina presso la chiesa di Santa Lucia, il tempio di Apollo presso Santa Maria Maggiore, un teatro nella zona del palazzo arcivescovile, il complesso termale sotto il Palazzo De Crecchio, il tempio di Pellina in Piazza dei Frentani, dove vi venne costruita la chiesa di San Maurizio e il tempio di Minerva sotto la chiesa di San Biagio, dove vi venne eretta la cappella di San Giorgio.
Ancora alcune testimonianze di queste strutture sono parzialmente leggibili, per lo più lastre e lapidi. Meglio conservato è il complesso sotterraneo di Piazza Plebiscito, del Ponte di Diocleziano e della cisterna romana sotto il convento di San Legonziano, sopra cui oggi sorge il santuario di San Francesco del Miracolo Eucaristico. Il ponte, come riporta una lapide rinvenuta nel Settecento dallo storico Omobono Bocache[66], fu realmente edificato nel III secolo sotto il governo di Diocleziano, per facilitare il passaggio dalla città romana al campo della Fiera, e dall'XI secolo in poi venne stravolto e modificato ripetutamente. Resti di capanne protostoriche e dell'antico foto romano invece sono stati scoperti nel percorso sotterraneo che porta fino alla cisterna di San Legonziano.

Mosaico del Nettuno nelle terme di Vasto

La città di Juvanum sorge su una piana molto favorevole allo sviluppo edilizio, da cui si spiega il voluminoso impianto urbano della città dei Carricini, seconda solo ad Alba Fucens in Abruzzo per la conservazione del sito stesso. Sono leggibili il cardo e il decumano, la pianta delle case, della basilica, del foro, dei templi maggiori, e delle porte di accesso. Accanto il sito si trovano anche i resti dell'abbazia di Santa Maria in Palazzo, mentre in leggera pendenza, per sfruttare il declivio del colle montuoso, si staglia il teatro romano. Questa tecnica di sfruttamento geologico è stata usata anche per il teatro di Amiternum, del teatro romano di Chieti a Porta Napoli, e a Teramo, per il teatro romano in Piazza Orsini.
Nella valle Frentana di grande interesse si conserva il villaggio tardo neolitico di Pallanum, che sorge sul monte omonimo, nel comune di Tornareccio, composto da mura di cinta a blocchi di pietra ciclopica incastrati tra loro, con casermette all'interno dell'area, e tre porte di accesso. Si tratta del miglior esempio di villaggio proto-storico pastorale usato per la difesa e la guardia della valle del Sangro, più che per uso abitativo. Scendendo ancora più in basso nella provincia di Chieti si trovano i siti più meridionali del popolo Frentano, dell'antica Histonium a Vasto, e dell'area sacra dei templi italici di Schiavi d'Abruzzo, nelle montagna a confine con il Molise isernino degli antichi Pentri.
Questa città si sviluppò prevalentemente con l'arrivo romano, perché prima era solo un villaggio di pirati, e dalle lapidi conservate nel Museo archeologico di Palazzo d'Avalos si desume che i consoli della città nel I secolo si dettero da fare per restaurare e abbellire i monumenti quali i templi, le terme, i teatri e l'anfiteatro monumentale di Piazza Rossetti, oggi interrato. La città romana del quartiere San Pietro (o Guasto d'Aimone), era ben organizzata con un sistema viario di cardi e decumani a scacchiera, ancora oggi molto ben evidente nelle direttrici di Corso Dante e Corso Plebiscito, che si differenzia molto dal quartiere medievale di Santa Maria Maggiore, più avvolto a spirale attorno alla chiesa. Dagli studi già effettuati nell'Ottocento da Luigi Marchesani sugli acquedotti
[67], Histonium dovette essere una delle più grandi città di periferia del Sannio abruzzese, con un sistema all'avanguardia di acquedotti e cisterne, usati anche nel Medioevo. Il complesso di cisterne è stato rinvenuto in varie parti del centro storico, soprattutto nel Largo Santa Chiara, dove si trovava il convento, mentre degli acquedotti, il più importante fu quello del Murello, che da viale Incoronata portava l'acqua fino a Piazza Rossetti, alimentando dunque anche l'allagamento artificiale dell'anfiteatro per le naumachie, e proseguiva a sud verso contrada Sant'Antonio.

Dei templi dovevano esistere presso i luoghi dove oggi sorgono le principali chiese del rione San Pietro, con fonti attestate nell'area della chiesa di Santa Maria delle Grazie e dell'ex parrocchia di San Pietro, edificata sopra il tempio di Cerere. Ciò che resta di più palpabile dello splendore romano istoniese è il complesso delle terme di Vasto presso l'ex convento dei Francescani di Sant'Antonio di Padova. Il complesso sorgeva sotto il palazzo conventuale, demolito negli anni '50, ed è possibile leggere i vari ambienti come il tepidarium, il frigidarium e il calidarium, anticamente tutti mosaicati nella zona del pavimento, mentre oggi restano alcuni elementi, come l'ambiente del "mosaico di Nettuno", attorniato da delfini e creature marine mostruose, che hanno portato a fare analogie con i mosaici delle terme di Ostia antica per la ricercatezza e il particolarismo delle forme e dei volti. La tecnica è quella delle tessere a ciottoli di fiume nere e bianche messe su uno sfondo geometrico, la stessa tecnica usata anche per il santuario di Ercole Curino a Sulmona, benché il mosaico di lì fosse stato composto di tessere policrome e festoni più ricercati, nel pieno stile pompeiano.

I due "morroni" funebri di Corfinium, presso la Basilica di San Pelino a Corfinio


Curiosamente, nella provincia di Pescara poco resta dell'architettura italico-romana, in quanto le antiche città come Penne e Aternum (Pescara) furono più volte ricostruite sopra le loro fondamenta. Penne era una delle città più influenti della provincia Vestina, insieme a Città Sant'Angelo, e ciò è dimostrato dai reperti scultorei rinvenuti. La ricca presenza di acque favorì la costruzioni di fontane, come quella dell'Acqua Ventina, anche se oggi si presenta nel rifacimento completo ottocentesco.
Aternum oppure "Ostia Aterni", era un insieme di piccoli villaggi di pescatori favoriti dalla presenza della via Tiburtina Valeria[68], che portava direttamente a Roma per mezzo di Chieti e del valico di Popoli, passando poi per Sulmona e Marruvium nella Marsica, di cui oggi non si ha completamente traccia, per via delle secolari distruzioni e ricostruzioni del centro pescarese. Una traccia di mosaico romano è stata rinvenuta sotto il Ponte d'Annunzio, segno che la cittadella sorgeva nell'area di Piazza Garibaldi, nella circoscrizione Porta Nuova. Si trattava sì di un fiorente emporio commerciale, dato che Pescara sarà sempre oggetto di contesa per la presenza strategica allo sbocco del fiume omonimo, al confine storico tra i due Abruzzi Ultra e Citra, ma all'epoca romana non dovette essere un centro culturale, né tanto meno di grande rilevanza politica da produrre architetture monumentali degne di nota. Infatti il villaggio pescarese di Aterno per il clima malsano delle paludi attorno il fiume, dopo il 476 d.C. venne abbandonato, e rifortificato con mura dai Bizantini, e di conseguenza dagli Angioini, assumendo la connotazione di cittadella-fortezza a guardia dei traffici commerciali sull'Adriatico[69].

Teatro romano di Teramo

Nella provincia di Teramo sono stati rinvenuti numerosi reperti sia nella capitale dei Pretuzi sia nelle cittadine principali quali Hadria (Atri) e Castrum Novum (Giulianova). Il patrimonio più consistente però si trova a Teramo, rappresentato innanzitutto dall'anfiteatro e dal teatro romano. Il primo è poco conservato, se non nell'impianto e nelle mura perimetrali, poiché vi fu eretto il Seminario vescovile, mentre il teatro romano per metà è conservato, poiché presso la scena sono stati edificati dei palazzi. Lo stile è simile ai teatri di Chieti e L'Aquila, in opus mixtum e cementicium. Di grande interesse sono i mosaici rinvenuti sotto diversi palazzi, come la domus di Largo Torre Bruciata, sopra cui nel VI secolo venne eretta l'antica Cattedrale di Santa Maria Aprutiensis, la domus del Mosaico di Bacco, la domus di Largo Madonna delle Grazie e la domus del Leone, il cui mosaico rappresenta il manifesto dell'arte pavimentale teramana. Lo stile pompeiano è portato al suo culmine nel particolarismo e la ricercatezza dei dettagli nella figura della belva che ghermisce una serpe, con un primo piano della facciata con le fauci spalancate, che guardano direttamente lo spettatore. Il disegno è incluso in uno sfondo a cornice in tessere bianche e nere disposte a formare un contesto geometrico di motivi decorativi animaleschi e arabeschi, e l'incasso fa parte di un sistema di "quadri" che adornano tutto il pavimento della domus, con diversi disegni.

Le città romane

  • Area aquilana-aternina: l'antica città dei Sabini si trova sul colle di San Vittorino, tra Coppito e Pizzoli, capitale dei Vestini aquilani, e importante città sino al IX secolo, Marco Terenzio Varrone sosteneva che i cittadini si chiamassero Atermini in quanto risiedevano presso il fiume Aterno.[70], e dello stesso parere erano Catone il Vecchio e Dionigi di Alicarnasso[71]La città dette i natali ad Appio Claudio Cieco e allo storico Gaio Sallustio Crispo. Dell'antica città italica poco rimane, in quanto l'abitato subì varie trasformazioni e anche distruzioni per terremoti e invasioni barbariche, soprattutto dal VII secolo in poi. Nel 293 a.C. fu conquistata dal console Manio Curio Dentato, che vi installò le tribù Quirina e Velina. L'antico oppidum italico sul colle di San Vittorino, come dimostra la presenza del teatro romano, si andò spostando sulla riva del fiume, più a valle, nell'area dell'anfiteatro romano di Amiternum. Nel 27 a.C. la città divenne municipium, e durante l'età augustea la città vide il suo apogeo con grandi costruzioni di teatri, templi, strade e fori. Dalle epigrafi si sa che la città era divisa in due da un cardo, nella zona nord c'era il centro con il foro romano, in seguito il complesso termale sulla sponda destra del fiume, e lì anche due acquedotti, che furono usati anche dalla città nuova d'Aquila nel Medioevo. La città divenne anche centro fiorente dei traffici commerciali e della transumanza, visto che si trovava in posizione favorevole lungo la via Tiburtina Valeria[72], ma nel 574 d.C. dopo un periodo di crisi, venne distrutta dai Longobardi e inclusa nella provincia Valeria della Marsica. Dopo che venne progressivamente abbandonata dai cittadini che parteciparono nel 1254 a fondare la nuova città, insieme ad altri castelli ella zona, nel 1878 furono condotti gli scavi archeologici per riscoprire l'antico tesoro di Amiternum. Vennero alla luce un calendario liturgico, il teatro e l'anfiteatro, nella zona "Ara di Saturno". La scena è lunga circa 60 metri, presenta molti elementi di interesse che accomunano questao monumento al Colosseo romano, con muratura in opus reticulatum.
Il teatro romano di Amiternum

Altro grande importante centro della vallata dell'Aterno, situato però nella piana di Navelli, lungo il tracciato della Tiburtina Valeria, è il sito di Peltuinum. Il territorio si trova tra gli attuali comuni di Prata d'Ansidonia e San Pio delle Camere, le prime campagne di studio furono avviate tra il 1982 e il 1965, in collaborazione della Soprintendenza con l'Università degli Studi La Sapienza: nel corso dei primi scavi furono scoperte le mura di cinta nell'area meridionale. La città fu fondata dai Vestini nel III secolo a.C., come dimostra lo stile delle mura, e dopo la conquista romana furono erette le grandi strutture pubbliche, e la città divenne una florida stazione commerciale perché posta sulla via Tiburtina e sul tratturo che collegava Amiternum con la Puglia, e da lì si dipartiva la via Claudia Nova, edificata dall'imperatore Claudio nel 47 d.C. L'edilizia dei monumenti oggi conservati consiste in edifici in opus cementicium con paramento reticolato sostituito in tratti da blocchetti. Si conservano, dell'epoca pre-romana, un tratto della cinta muraria in mattoni a doppio andamento, con porta dal doppio fornice, racchiusa tra due torri di guardia a pianta semi-ellittica, insieme al tempio di Apollo e a un teatro romano, conservato in parte perché divenuto cava di prelievo per la vicina chiesa di San Paolo di Peltuinum. Il tempio di Apollo era quadrato, con pronao a colonne d'ordine corinzio, tre colonne sul prolungamento delle ante, orientato a nord. Le cella era grande 17x10 metri, e la pavimentazione era in opus sectile.[73]

Il santuario di Ercole Curino a Sulmona
  • Area Peligno-Marsicana: nella Valle Peligna, i cambiamenti sono stati apportati alle tre principali città di Sulmona, Corfinio e Ocriticum (oggi Cansano). Nella Marsica invece si hanno importanti reperti nella domus romana di Avezzano, nel complesso termale di Marruvio, nell'anfiteatro di Alba Fucens, e nei cunicoli di Claudio, che rappresentano il primo tentativo di prosciugamento del Fucino. Per quanto riguarda Sulmona fu restaurato il santuario di Ercole Curino fuori le mura, esistente sin dal IV secolo a.C., seguendo lo stile di matrice ellenistica, e laziale romana.[74]Il complesso del tempio si articola su due livelli di terrazze, con muro in opera cementizia. Al di sopra di questi muri c'è il piazzale con 14 ambienti a volta a botte, sul secondo terrazzo che è maggiore, si trovava il tempio, di cui rimane la cella sacra, in posizione più elevate, che era circondata dal piazzale e dall'ordine delle colonne. Questo sacello conserva mosaici parietali e pavimentali con motivi decorativi ellenistici, ornamenti in tralci vegetali, animali, delfini, palmette, delle folgori che alludono alla forza di Giove, padre di Ercole, dedicatario del tempio. Una lapide attesta il restauro curato da Caio Settimio Popilliano, conservata nel museo civico di Sulmona. A proposito del complesso basilicale dell'Annunziata, nell'area del palazzo del museo è stata rinvenuta una preziosa domus romana nello scavo del 1991. Al livello più basso i mosaici per lo stile fanno datare la casa al II secolo d.C., e la costruzione era dotata di un "impluvium" per l'acqua piovana. Su una parete si conserva anche un affresco in stile pompeiano, che ritrae la "hierogamia" tra Dioniso e Arianna e Pan ed Eros.[75]
Piazza del Teatro Romano a Corfinio, con l'abside della chiesa di San Martino

La città di Corfinium nel I secolo d.C., dopo lo smantellamento del governo della "capitale Italica", e il passaggio di Giulio Cesare con le sue truppe nel 49 a.C. per ristabilire l'ordine[76], spento ogni sentimento di ribellione, nell'epoca imperiale divenne un importante centro della valle Peligna, insieme a Sulmona. Benché oggi sia difficile la lettura dell'area romana a causa della ricostruzione della cittadina nel Medioevo, in Piazza Corfinium è possibile vedere il semicerchio del teatro romano, che fu costruito sull'estremità orientale dell'arx di difesa. L'imperatore Claudio potenziò la viabilità mediante la via Claudia Nova, e ampliò la vecchia via Valeria. Nel II-III secolo d.C. tale fermento urbano non si estinse, e testimonianze epigrafiche lasciato intendere come la città fosse ancora in pieno sviluppo commerciale. Un grande complesso termale venne eretto da Sergio Cornelio Dolabella nel 113 d.C., e nello stesso periodo fu eretto un nuovo tempio per volere di Gneo Alfio Massimo, come si deduce dalle epigrafi[77]. Presso la Basilica di San Pelino, che si trova fuori il centro, si stagliano due monumenti funebri in pietra della Majella, detti "morroni", perché ricavati dal Monte Morrone, in origine rivestiti di travertino. Rappresentano insieme a quelli di San Benedetto dei Marsi un importante esempio dell'evoluzione della sepoltura abruzzese d'epoca italica, questa volta di stampo celebrativo, seguendo la forma del mausoleo. A causa dei saccheggi che Corfinio subì dal V secolo in poi è difficile dare una chiara lettura del manufatto, una torre è più grande dell'altra, disposta di un vano, dove si trovava la camera sepolcrale, mentre l'altra è più piccola. Presso questa si trova una lapide che ricorda la fierezza dell'antica Corfinium durante la guerra sociale, quando divenne la capitale dello stato dei Sanniti. Di interesse è anche l'area del teatro romano, costruito nel I secolo, con diametro di circa 75 metri, e una capienza di 4000 posti. Scena e orchestra vennero distrutte nel V secolo circa, per utilizzare il materiale per la costruzione di chiese e altri edifici, come testimonia la presenza della parrocchia di San Martino, addossata alla cavea.

Basilica di San Pelino, che sorge sopra degli edifici romani

Il villaggio di Ocriticum fu costruito in località Iovis Larene, come testimonia anche la "Tabula Peutingeriana", poco distante da Sulmona. Di fondazione italica, il primitivo villaggio era caratterizzato dall'abitato e una necropoli (IV secolo a.C.). Un terremoto verificatosi in età adrianea nel II secolo d.C. danneggiò irreparabilmente il villaggio, che si spopolò lentamente fino all'abbandono nel VI secolo. Quel che è possibile leggere di questo villaggio sono i templi maggiori, uno d'epoca italica (IV sec a.C.) dedicato a Ercole, e l'altro del I secolo, dedicato a Giove, provvisti di recinto protettivo.[78]
Nella Marsica, ad Alba Fucens esemplare è l'anfiteatro romano del I secolo d.C., che presenta due porte di ingresso, una a taglio della cinta muraria da sud, e l'altra posta verso l'interno della città a nord. Ha forma ellittica, scavato sul fianco dell'altura di San Pietro, avente l'asse minore 40x69 metri e l'asse maggiore 95x80 metri. Sull'arco della porta nord è presente un'iscrizione che indica il nome del committente, sul lato sinistro p stata rinvenuta una villa che ha la particolarità di essere stata tagliata al momento della costruzione del monumento. Presso San Benedetto dei Marsi nel I secolo d.C. fu realizzato il complesso termale con domus, che oggi si trova nel cuore del nuovo centro cittadino, dove si trova ancora il calidarium con il pavimento mosaicato in tessere bianche e nere. A Magliano de' Marsi invece si trova la preziosa presunta tomba del re Perseo di Macedonia, morto nel 168 a.C. per mano violenta nella prigione di Alba Fucens. Il sepolcro si trova lungo l'antica via Tiburtina ai piedi di Magliano, e del fasto originario poco rimane, poiché danneggiata dal tempo e dall'uomo. Doveva avere un aspetto circolare con copertura a cappuccina in sassi, e dei vani interni accessibili da archi. Di recente è stata affissa una targa che spiega meglio i misteri del manufatto.

  • Area Teatino-Frentana:
Il tempio di Castore e Polluce, ex chiesa di San Paolo, a Chieti

Durante il processo di romanizzazione della città dei Marrucini, l'esempio migliore è dato dalla mugnificenza della famiglia di Marco Vezio Marcello, la cui presenza è attesta dalla lapide del restauro del complesso dei Templi Romani, o Giulio-Claudi. Detti anche "tempietti di San Paolo", perché nel VII secolo vi fu ricavata la chiesa dei SS. Pietro e Paolo, seguendo lo stesso esempio della chiesa di San Pietro ad Alba Fucens, sono stati individuati con certezza da Desiderio Scerna con gli scavi degli anni '20 del XX secolo, quando la chiesa di San Paolo fu sconsacrata e liberata delle costruzioni successive.[79]Nel 1997 durante i lavori di sventramento del quartiere San Paolo, fu riportato un ulteriore ambiente ipogeo. Si tratta del luogo di culto più antico di Chieti, ed è composto da tre tempietti limitrofi, più un pozzo sacro. I primi due constano di cella con pronao e cripta, mentre l'ultimo è costituito semplicemente da cella e cripta. Alcuni elementi fanno ipotizzare che siano stati costruiti esattamente nel I secolo a.C., con le mura in calcestruzzo del primo e secondo tempio, e l'suo dell'opus reticulatum per il restauro dei Vezii. Il terzo tempio appare più tardo, del III secolo d.C., quando a Teate la vecchia triade italica degli Dei sopra la Civitella venne definitivamente sostituita dal foro romano, con il completamento dei santuari della Triade Capitolina di Giove, Giunone e Minerva. Tuttavia le fondamenta di questo terzo tempio lasciano comprendere che un edificio sacro del IV secolo a.C. doveva esistere. Nel vano del secondo tempio c'è un pozzo sacro profondo 38 metri, nei vani delle cripte si sono conservate delle monete, frammenti scultorei, busti, pietre sepolcrali e iscrizioni.[80]Il fronte dei tre templi è rivolto verso sud-est, l'antico foro, anticamente vi era un quarto tempio, dove oggi si trova il Palazzo delle Poste, e aveva pianta rettangolare del quale si può ammirare solamente la parte della cella in opus mixtum, con resti del pavimento in lastre di marmo. L'intervento restaurativo di Vezio Marcello e di Elvidia Priscilla si può leggere sull'iscrizione del frontone del tempio maggiore di Castore e Polluce, il più conservato, perché trasformato nella chiesa di San Paolo. Ha impianto rettangolare con facciata a coronamento orizzontale dal frontone con iscrizione e architrave curvilinea, di epoca più tarda. Le finestre create sia sui lati sia sull'abside, poi murate, sono rimaneggiamenti dell'epoca cristiana. Il materiale è in opus reticulatum. Un altro pozzo sacro si trovava in "Largo del Pozzo", oggi Piazza Valignani, e sorgeva dove oggi si trova la fontana luminosa.

Altorilievo d'epoca romana conservato nel Museo "La Civitella" di Chieti
Mosaico del Nettuno nel complesso delle terme romane di Sant'Antonio

Dopo l'esempio del Ponte di Diocleziano di Lanciano, la seconda città frentana che beneficiò maggiormente dell'influenza romana fu Vasto, ossia "Histonium". Già dal XVIII secolo diversi ritrovamenti hanno costituito delle vere e proprie collezioni di lapidi e vasellame, che nel XIX hanno composto, per via di Luigi Marchesani un primo museo civico. Nell'ambito religioso, lo storico Marchesani scoperse una necropoli romana che si trovava lungo la direttrice di viale Incoronata[81]. Giungendo verso la città, le tombe si dispongono lungo i lati, settentrionale e occidentale, e una via lastricata che forse scendeva al mare, presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie. La zona del sepolcreto urbano corrisponde a via Crispi e via Roma sud, il vallone di San Sebastiano e la chiesa della Madonna delle Grazie da est, dove sono stati ritrovati tegoloni e pavimenti musivi, e nuclei colombari presso il complesso di Santa Lucia e la cappella del Soccorso. Da San Sebastiano le tombe prendono orientamento verso est-ovest, per assumere uno nord-sud, e proseguono passando per Piazza Diamante fino a Piazza Barbacani, dove si hanno i ritrovamenti più abbondanti. Il tipo di sepoltura è a inumazione, mentre l'incinerazione è più rara, la tipologia più diffusa nelle tombe è quella a tegoloni, con copertura a cappuccina. Delle tombe monumentali, come il sarcofago di tal P. Paquius Sceva, si trovano vari esemplari nella zona Madonna del Soccorso, come pavimenti musivi nella zona Madonna delle Grazie, e quelli in opus spicatum con il colombario in contrada Santa Lucia.

Al livello monumentale, dei templi si conserva poco, poiché vennero distrutti nel IX secolo circa, durante il saccheggio longobardo del conte Aymone, e successivamente vi vennero erette delle chiese, come l'esempio di San Pietro sopra il tempio di Giunone. Il complesso termale rinvenuto nell'ex convento dei Francescani di Sant'Antonio di Padova è di estremo interesse, e fu scoperto nel 1973. Nel 1997 fu scoperto un altro pavimento termale a mosaico presso la chiesa della Madonna delle Grazie, a poca distanza dl complesso francescano, quello più famoso, detto "del Nettuno" per la figura divina ritratta, insieme al corteo delle Nereidi. L'ampiezza del pavimento è di 200 metri quadri, e ha molte somiglianze con i mosaici di Ostia antica, Pompei: la figura centrale è quella di Nettuno che regge il tridente nella sinistra, e nella destra tiene un delfino, elementi riconducibili alla classica mitologia. Vi appaiono anche figure femminili, le Nereidi, che compongono il corteo, una figura maschile che cavalca un mostro marino e vari motivi floreali e geometrie culminanti a tridente, che costituiscono il corredo della cornice del pavimento, a tessere bianco-nere.[82]I pavimenti termali di Vasto risalgono al II secolo d.C., e fanno parte del progetto di ristrutturazione urbana romana, come l'esempio dell'anfiteatro seminterrato sotto Piazza Rossetti, e gli acquedotti romani sotterranei del quartiere Guasto d'Aimone. Di questi si menzionano l'acquedotto delle Luci e del Murello. Il primo è in laterizio, aveva origine a sud della città, non lontano dalla chiesetta di Sant'Antonio abate e giungeva nella parte bassa dopo un percorso di 4&nspb;km, immettendosi nelle cisterne di Largo Santa Chiara, di cui restano due tronconi superstiti, per totale di 12 cisterne sotterranee e nove ambienti in laterizio. Il primo giace sotto Piazza Marconi, via Moschetto e Piazza del Mercato Santa Chiara, il secondo è sotto l'isolato compreso tra via Cavour, via De Amicis e Piazza Marconi. L'acquedotto Murello in parte sopraelevato, e in parte interrato, era in laterizio, e proveniva da nord, passando per Corso Garibaldi, attraverso via Murello, insinuandosi sotto la distrutta chiesa di San Giovanni di Malta, proseguendo per Corso Dante, alimentando la cisterna di via Tacito, uscendo sotto via Laccetti, per giungere in Piazza Caprioli e in via Barbarotta. Fino al '500 nel piano delle Cisterne vi era un collo con colonnetta ad arco, dove scorreva l'acqua, a mo' di fontana.

Piazza Rossetti di Vasto, che anticamente corrispondeva all'area dell'anfiteatro

Per l'anfiteatro romano che stava in Piazza Rossetti, interessante è la "via Naumachia" posta accanto la chiesa di San Francesco di Paola, e originalmente ubicata dentro il manufatto, che era alimentata dai canali sotterranei che vi introducevano l'acqua per farvi galleggiare navi per le battaglie. Altre condotte idriche furono rinvenute nel rione denominato via Lago, dove nel 1614 furono ritrovati il muro e le condotte con sezione in direzione verso le chiese di San Giovanni e San Pietro. Questi acquedotti furono usati sino al 1926, quando venne costruito il moderno acquedotto del Sinello, e non sempre venne mantenuti con regolarità, dato che, a causa delle numerose rotture dei canali, la città alta fu soggetta a numerose frane e smottamenti, soprattutto nell'Ottocento.

Case di via Adriatica. Scavi archeologici hanno confermato che la maggior parte delle abitazioni del rione Guasto d'Aymone, ossia quello costruito sopra la romana Histonium, hanno basamento romano, così come il sistema viario di questa zona storica è molto diversa da quello del Guasto Gisone: il primo è a scacchiera con cardi e decumani (Corso Dante e Corso Plebiscito), mentre il secondo è tipico del Medioevo, con stradine ricurve che terminano in piazzette, e avvolgono la mole della chiesa di Santa Maria Maggiore

Per quanto riguardava l'architettura sacra, s'è scoperta nel rione Guasto d'Aymone la "valle dei Templi", dove sorgevano i santuari di Bacco, Giove Capitolino, Cerere, sopra cui fu costruita la chiesa di San Pietro.

Piazza Rossetti: in vista la chiesa di San Francesco di Paola, con l'attigua via Naumachia. Gli storici hanno ipotizzato che in vista dell'anfiteatro della piazza, la via fosse la condotta da cui veniva fatta scorrere l'acqua per inondare la struttura, e inscenare battaglie navali all'epoca romana

Noto poeta abruzzese, dopo Publio Ovidio Nasone, nato a Sulmona, fu anche Lucio Valerio Pudente, di cui presso il museo archeologico resta una testa in marmo. Dall'iscrizione sul manufatti si apprende che Lucio a soli 13 anni, nel 106 d.C., gareggiando nel sesto agone sacro di Giove Capitolino, per voto unanime della giuria vinse il primo premio per la poesia. Scopo del certame era quello di emulare i grandi letterati che provenivano dalle province per entrare in un'accademia poetica. A 45 anni Lucio Valerio fu nominato con decreto di Antonino Pio curatore della Imposte, e controllore imperiale dell'amministrazione finanziaria del municipio di Aesernia, con l'incarico di soprintendere all'amministrazione delle rendite e dei possedimenti pubblici.

  • Area Teramano-Picena:
Il teatro romano di Teramo

La città di Interamnia Praetutiorum insieme alla subregione dell "Aprutium", da cui il nome Abruzzo, non fu compresa nella Regione IV del Sannio, ma nella Regio V dei Piceni, insieme a Castrum Novum, ossia Giulianova e Hadria (Atri), che dette i natali all'imperatore Elio Adriano. La città capitale dei Pretuzi nel corso del I secolo a.C., fino alla prima età imperiale, subì anch'essa la romanizzazione architettonica, e sono tantissimi gli esempi conservati, come l'anfiteatro romano di Teramo, dove oggi sorge il Seminario Vescovile, poi il teatro romano, tra i più conservati della regione, e varie domus scoperte nei sotterranei dei palazzi settecenteschi, come la domus e mosaico del Leone di Palazzo Savini, la domus di Porta Carrese, la domus col mosaico di Bacco, e la domus di Largo Torre Bruciata. Il teatro romano fu innalzato nel settore occidentale della città, all'interno delle mura, lungo la direttrice del decumano di Corso Vecchio, oggi Corso De Michetti, diverticolo della via Cecilia. La costruzione fu condizionata dall'orografia, infatti l'esistenza di un pendio naturale al quale si addossarono l'ima e la media cavea spiega l'accecamento delle ultime tre arcate occidentali. Il piano originario del monumento si trova a metri 2,50 sotto l'attuale calpestio. Dal corridoio si dipartivano 21 settori radiali a cuneo, le gradinate della cavea che avevano un diametro di 78 metri potevano accogliere circa 3600 spettatori, rette da una struttura in opera cementizia, con pietre di fiume nei paramenti, racchiusa da un doppio anello di pilastri. Della cavea è stato scavato il tratto orientale, assieme a poco meno della metà del pulpitum lungo 43 metri che presenta una fronte rettilinea alta circa 1,30 metri, e articolata in due nicchie rettangolari laterali, e tre circolari mediane. Per quanto riguarda la decorazione delle partizioni architettoniche, è stato usato il marmo, l'orchestra è pavimentata di marmo bianco, nel pulpitum è nella decorazione della fronte scenica, con marmo policromo.

Il mosaico del Leone nella domus di Palazzo Savini a Teramo

Oltre al teatro di Largo Torre Bruciata, costruita nel II secolo d.C., da cui nel VI secolo fu ricavata l'antica Cattedrale di Santa Maria Aprutiensis, che successivamente nel XII secolo diventerà la chiesa di Sant'Anna dei Pompetti. Attraverso la domus si accede nell'atrio, il cui pavimento lungo circa 10 metri, è realizzato in opus sculatum, cioè con pezzetti di pietra e marmo di diversi colori e formati, inseriti in uno sfondo bianco per formare decorazioni, a tessere bianche e nere disposte a motivo romboidale. Al centro della stanza si trova l'impluvium, per raccoglie l'acqua piovana. Il mosaico teramano di maggior interesse è quello "del Leone" nel seminterrato di Palazzo Savini, realizzato nel I secolo d.C. con minutissimi tasselli apposti su lastre di marmo, che poi veniva inserito in un tesellato più esteso. La bestia è ritratta in primo piano mentre ghermisce un serpente, nel mosaico le tessere dello sfondo sono quadrangolari, allungate quelle dei baffi, tonde quelle della pupilla e dell'iride; i colori usati sono l'arancio e il grigio verde nelle loro diverse gradazioni. La scena è dominata dalla testa del leone con le fauci spalancate e la folta criniera, tipico dell'esempio pompeiano. La cornice è decorata da ghirlande pompose e maschere.

Nell'area teramana vari sono stati i ritrovamenti di santuari, necropoli e templi d'epoca romana, come quelli di Basciano e Penna Sant'Andrea, nonché il tempio di Ercole di Montorio al Vomano. ma tra queste strutture molto interessante risulta la presunta "casa di Ponzio Pilato" a Bisenti, la cui tradizione voglia che fosse di origini abruzzesi. La casa si trova appena fuori il centro storico, e le varie ipotesi che appartenesse all'epoca del primo impero si basano sulla presenza dell'impianto idrico a qanat, uguale a quello di Gerusalemme, che prendeva le acque dal Monte Atam, fatto costruire secondo lo storico Giuseppe Flavio proprio da Pilato. Secondo la leggenda Pilato, dopo la sua attività a Gerusalemme, sarebbe tornato in Abruzzo, e prima di essere esiliato avrebbe fatto costruire un nuovo acquedotto simile al qanat di Gerusalemme. L'edificio oggi conserva poco dell'aspetto romano, se non l'impluvium e il sistema idrico sotterraneo, poiché nel passare dei secoli è stato modificato, tanto che oggi si presente in aspetto Medievale. Nel lato nord si notano ciottoli con basamento del vestibolo dell'antica domus, presso la Fonte Vecchia di Bisenti si troverebbero delle tracce del canale qanat, che in pratica avrebbe attraversato tutto l'abitato seguendo la direttrice sud-est dalla casa di Pilato.

Medioevo

Arte longobarda e franca

Il portale di San Liberatore a Majella

Del periodo del VI-IX secolo non si ha quasi nulla la livello architettonico, benché le fonti parlando di costruzioni avviate già dall'epoca bizantina sopra le antiche strutture romane, quali chiese, recinti fortificati e torri. Della presenza bizantina in Abruzzo si hanno numerose sculture, ma poche architetture, e queste sono conservate nel Museo dell'Abruzzo bizantino altomedievale a Crecchio, si ha notizia che intorno al 610 fosse stata eretta la chiesa di San Maurizio a Lanciano, e il Sargiacomo la definisce come la chiesa più antica della città esistente[83], almeno fino alla demolizione nel tardo Ottocento. Ma cappelle dovettero essere state edificate almeno in tutte le città dove i popoli di Bisanzio e della Grecia attecchirono, come Chieti e Ortona. Nella prima venne fondata una chiesa dedicata a San Pietro, poi divenuto convento di Santa Maria, e successivamente, qualche secolo più tardi, sopra il tempio maggiore della Triade venne eretta la chiesa di San Paolo; a Ortona invece veniva consacrata la basilica di Santa Maria degli Angeli (oggi Cattedrale di San Tommaso dopo la ricostruzione nel primo decennio del XIII secolo), mentre nella costa teatina veniva fondata l'abbazia di Santo Stefano in Rivomaris, uno dei monasteri benedettini più antichi d'Abruzzo, purtroppo non pervenuto integro a causa della decadenza del XVII secolo.

L'ordine benedettino per mezzo della potente abbazia di Montecassino, si sparse molto facilmente in Abruzzo, grazie soprattutto al discepolo di San Benedetto, Sant'Equizio d'Amiterno, il quale fondò ad Arischia l'abbazia benedettina, e nei secoli seguenti, specialmente con i Longobardi e i Franchi, vennero eretti nuovi monasteri, quali l'abbazia di San Liberatore a Majella, la Basilica di San Pelino a Corfinio, l'abbazia di San Salvatore alla Majella, la chiesa di Santa Maria a Vico a Sant'Omero, l'abbazia di San Bartolomeo a Carpineto.
In contrapposizione all'ordine benedettino, dal XII secolo al XIII secolo spuntarono in Abruzzo altri monasteri dell'ordine cluniacense e cistercense, quali l'abbazia di Santa Maria Arabona, l'abbazia di Santa Maria di Casanova, l'abbazia dei Santi Vito e Salvo, e a Lanciano la chiesa di Santa Maria Maggiore.

Monasteri bizantini e longobardi

Oggi a causa dei vari rifacimenti, nonché distruzioni avvenute nel corso dei secoli per abbandono, saccheggi o terremoti, architetture ascrivibili all'età compresa tra il VI secolo e il IX secolo sono veramente poche. Sostanzialmente si hanno alcuni esempi di costruzioni fortificate bizantine presso le coste, come l'antico presidio di Crecchio con il castello ducale, poi l'abbazia di Santo Stefano in Rivomaris a Casalbordino, l'antica cinta muraria di Aternum (l'antica Pescara), ampliata nell'XI-XII secolo dai normanni, ma abbattuta e rifatta daccapo nel XVI secolo durante il governo spagnolo, e il Castello Bacucco di Arsita (TE). Altre chiese erette in quest'epoca, tra V e VI secolo, furono la prima cattedrale di Santa Maria Aprutiense a Teramo, sopra una domus romana in Largo Torre Bruciata, distrutta nel 1156 da Roberto di Loritello nell'incendio della città, mentre nella campagna litoranea di Ortona veniva eretta la basilica di San Marco, ci cui si conservano l'impianto perimetrale e tracce di pavimenti musivi.

Sarebbe meglio tuttavia prendere in considerazione due elementi architettonici abbastanza conservati, e di cui si hanno notizie certe: l'abbazia di Santo Stefano sulla costa di Casalbordino, e l'abbazia benedettina di San Benedetto in Perillis (AQ).

Ruderi di Santo Stefano in Rivomaris

Monastero di Santo Stefano in Rivomaris

Si trova sul colle di Santo Stefano, posto nella costa tra Casalbordino Lido e Lido Leo Morge di Torino di Sangro. Fu eretto in epoca paleocristiana tra il V e il VI secolo, rappresenta una delle testimonianze più prestigiose dell'architettura bizantina abruzzese. Preso l'abbazia divenne una delle principali a dominare il territorio costiero teatino, arrivando ad avere feudi sino a Ortona e Vasto. Secondo la Cronaca di Santo Stefano redatta dal monaco Rolando. la chiesa sarebbe nata nell'842 dal nobile Giosuè, che volle dedicare il cenobio al primo martire. La chiesa fu distrutta nel 937 dagli Ungari e riedificata nel 971 dall'abate Trasmondo I, marchese di Chieti. Fu monastero dell'Osservanza Benedettina sino a 1257, quando papa Alessandro IV lo sottopose alla giurisdizione dell'abbazia di Santa Maria Arabona di Manoppello, dei monaci cistercensi[84]Nel 1587 papa Sisto V incorporò l'abbazia al Collegio Romano di San Bonaventura, anche se l'abbazia era stata già gravata dal saccheggio turco del 1566, e non si riprese mai più, sino a che cadde in abbandono, scomparendo del tutto nell'Ottocento, eccettuate tracce perimetrali e il pavimento.,

Gli scavi archeologici del 1992 hanno restituito il pavimento musivo, decorato a motivi geometrici e vegetali, disposti in tappeti rettangolari. Si distingue un'unica composizione figurata in cui è ancora leggibile una testa di cervo, simboleggiante la fedeltà che anela, una volta battezzato il neofita, a rinascere in cristo, mentre la pianta a tralci e viticci che si snoda attorno è l'Albero della Vita. Oltre al pavimento si conservano alcuni muri diroccati, che permettono di leggere l'impianto rettangolare a tre navate, con abside semicircolare.

Monastero di San Benedetto in Perillis

Monastero benedettino di San Benedetto in Perillis, su comune.sanbenedettoinperillis.aq.it.

Si trova nella parte alta del paese, considerata da Mario Moretti, soprintendente negli anni '60 ai restauri dei complessi monastici abruzzesi, tra le chiese più antiche dell'Ordine Benedettino in Abruzzo[85], ancor più della chiesa di San Paolo di Peltuino a Prata d'Ansidonia, come vuole Gavini. Il monastero è citato nell'800 d.C, eretto insieme ai signori longobardi che edificarono il presidio, fortificando l'abbazia con una torre di guardia ancora esistente, nella stessa maniera delle torri fortificate dell'abbazia di San Bartolomeo a Carpineto della Nora e di Santa Maria Aprutiense a Teramo, con la Torre Bruciata, e forse anche delle primitive costruzioni del IX secolo di San Clemente a Casauria, San Pelino in Valva e San Panfilo a Sulmona. L'abbazia di San Benedetto fu rifatta nel 1074 dal vescovo di Valva Trasmondo, che curò il rifacimento anche di San Panfilo e San Pelino, profondamente gravate dalle invasioni ungare e saracene del 937, e fu consacrata con rifacimento tardo romanico nel 1345. Moretti nel 1968-73 curò i restauri, anche se assai invasivi, volendo eliminare tutto il beverone a stucco tipico dei rifacimenti ottocenteschi delle chiese, riportando alla luce preziosi affreschi duecenteschi.

La chiesa risale dunque al IX secolo circa, presenta la facciata romanica a salienti, con un tardo loggiato centrale di arcate a tutto sesto, e la parte centrale di essa più alta rispetto alle altre, segnando di fatto l'ampiezza e l'altezza delle tre navate interne. L'interno si presenta coevo a molte abbazie situate nella vicina Piana di Navelli, ossia rispetta lo stile benedettino ante Mille, pur con interventi ornamentali successivi romanici, in particolar modo ha forti somiglianze con l'abbazia di Santa Maria Assunta di Bominaco e l'abbazia di San Pietro ad Oratorium di Capestrano, ma anche con la chiesa cimiteriale di Santa Maria in Cerulis di Navelli. L'interno è a tre navate, di cui la centrale è più ampia, la copertura del soffitto, rifatta nel 1973 è a capriate lignee, presso il catino absidale semicircolare, preceduto da un arco trionfale, si trova il portale di ingresso romanico, dato che l'abbazia possiede due facciate, realizzate in epoche differenti, alla stessa maniera del Duomo di Teramo. Il ciclo di affreschi delle storie dei santi pellegrini locali, come Sant'Onofrio e il Pellegrino, hanno affinità con cicli spoletani e umbri, ma anche con i preziosi cicli della vallata, presenti nell'oratorio di San Pellegrino a Bominaco e di Santa Maria ad Cryptas di Fossa, anche se questi sono molto più tardi, della seconda metà del Duecento.

Monasteri maggiori romanico-gotici in Abruzzo

Lo stesso argomento in dettaglio: Architetture religiose dell'Abruzzo.
Chiesa di Santa Maria di Ronzano in Castel Castagna (TE)

La religione cristiana in Abruzzo è una delle componenti fondamentali, già dai primi tempi dei martiri, che impiegavano la propria vita per predicare la fede cattolica, venendo accettata dalla popolazione, la quale costruì all'istante edifici adibito al loro culto. Per questo esempio si ricorda la costruzione della Basilica concattedrale valvense di San Pelino da Brindisi, rifatta però nell'VIII e nel 1000 dopo il saccheggio del 937, seconda sede della diocesi di Sulmona Valva. Anche per San Panfilo da Sulmona, benché non martirizzato, in quanto primo vescovo della città, già nel VII secolo esisteva una cappella a lui dedicata, ampiamente rifatta dall'abate Trasmondo nel Mille.

Per la presenza di chiese già adibite al culto cristiano, si hanno gli esempi di Penne, Vasto e Guardiagrele. Pee la prima la fondazione della diocesi è dovuta alla figura semi-leggendaria di San Patras, discepolo dell'apostolo Pietro, che in pellegrinaggio raggiunse la città dei Vestini. Tuttavia con il martirio di San Massimo Levita di Aveia nel III secolo, quando nel IX secolo le sue reliquie vennero trasportate a Penne da Castiglione della Pescara (oggi Castiglione a Casauria) presso il tempio sacro eretto sull'altura del tempio di Diana, ossia la Cattedrale della Beata Vergine degli Angeli, poi di San Massimo Levita, Penne poté avere completamente il suo punto di riferimento religioso.

Particolare del portale maggiore dell'abbazia di Santa Maria di Propezzano

A Guardiagrele invece già dal V secolo vennero costruite, sopra templi romani, le chiese di San Donato (oggi San Nicola) e di San Silvestro, e Vasto insisteva la chiesa di Sant'Eleuterio a Castello Gisone, sopra cui oggi sorge la parrocchia di Santa Maria Maggiore. Come già spiegato, il romanico in Abruzzo procedette a fasi alterne, e sperimentò varie caratteristiche differenti in base alla conformazione territoriale. Ad esempio a L'Aquila si utilizzò la pietra calcarea locale giallognola, o quella bianco-rossiccia di Sassa, ricorrente nelle facciate di Santa Maria di Collemaggio e della fonte delle 99 cannelle; oltretutto occorre tener conto del fatto che le chiese furono ricostruite, insieme ai palazzi, a più riprese, benché si possa notare che il romanico aveva raggiunto da subito una piena caratterizzazione, seguendo il modello romano e umbro. Il 1308 è l'anno del completamento del portale di facciata della chiesa di Santa Maria Paganica del Quarto Santa Maria, esso mostra la caratteristica forte strombatura a colonnine caratterizzate da capitelli finemente lavorati a motivi fitomorfi, e la lunetta con il bassorilievo centrale della Madonna col Bambino, mentre altri portali, come quelli di Collemaggio, Santa Giusta, San Marciano, vennero ornati da affreschi del XV-XVI secolo.

Interno della cripta della chiesa di San Giovanni ad Insulam (Isola del Gran Sasso)

Le facciate delle altre chiese risalgono alla ricostruzione post sisma del 1349, alcune come quella della chiesa di San Silvestro mostrano un'impronta decisamente più gotica, seguendo lo stile umbro del gotico internazionale italiano di Assisi.
Il romanico della Majella e della Valle Peligna si avvalse sempre dell'uso della pietra, subendo influenze napoletane, ma anche una caratterizzazione a sé stante per quanto riguarda la lavorazione dei preziosi amboni abbaziali della bottega di Guardiagrele dei maestri Nicodemo, Roberto e Ruggero; tuttavia rimase sempre la caratteristica comune dell'impianto con facciata a salienti, croce latina o impianto rettangolare, abside semicircolare, facciata a salienti, un portale centrale, o tre, dei quali maggiore doveva essere sempre quello centrale, e in asse con uno o più rosoni radiali. Ne sono ancora esempio le abbazie di San Liberatore alla Majella, la chiesa di San Panfilo a Sulmona prima dei sostanziali rifacimenti trecenteschi e quattrocenteschi, la chiesa di Santa Maria della Tomba e quella di San Francesco della Scarpa dei Frati Minori, di cui resta l'esempio del portale della "Rotonda" prospettante sul Corso Ovidio.

Interno della chiesa di San Clemente al Vomano (Notaresco)

Nel pescarese il romanico interessò i centri di Moscufo, Pianella, Città Sant'Angelo, Loreto Aprutino, anche se oggi soltanto alcuni esemplari sono ben riconoscibili, l'abbazia dei SS. Giovanni e Vincenzo a Turrivalignani, la chiesa di Santa Maria Maggiore fuori le mura a Pianella, e la chiesa di Santa Maria del Lago di Moscufo. L'impiantistica rimane la stessa, cambia l'uso del materiale, non più pietra calcarea, ma ciottoli di fiume e laterizio in conci lavorati, alternati alla pietra bianca per le cornici dei portali, dei rosoni, degli amboni, dei cibori e degli altari.
Stessa cosa può dirsi per il romanico teramano, di cui si conservano alcuni esempi a Teramo (Duomo di Santa Maria Assunta, chiesa di Santa Caterina, chiesa di San Luca, ex monastero di San Giovanni a Scorzone, il convento dei Cappuccini, e la facciata antica del monastero di Sant'Angelo delle Benedettine, trasformato selvaggiamente in stile neogotico da Francesco Savini negli anni '30, quando era ormai conosciuto come il santuario della Madonna delle Grazie), poi ad Atri, con la pianta del Duomo di Raynaldo d'Atri (il portale maggiore è del 1305), Morro d'Oro, Sant'Omero, Notaresco, di cui si hanno i bellissimi esemplari della chiesa di Santa Maria di Propezzano, della chiesa di San Clemente al Vomano, della chiesa di Santa Maria a Vico, insieme ad altri complessi abbaziali della Valle delle Grandi Abbazie, come Santa Maria di Ronzano, San Giovanni ad Insulam (Isola del Gran Sasso), San Salvatore di Canzano.

Portale romanico di Raynaldo d'Atri (1305) della Basilica concattedrale di Atri

Nel chietino si conservano gli esemplari dell'abbazia di San Giovanni in Venere, fondata nel 1000, la città di Chieti doveva avere l'originario impianto della Cattedrale di San Giustino in stile romanico, ma a causa di vari rifacimenti, essa si presenta in uno stile misto, poi a Lanciano la storica facciata volta su via Garibaldi della chiesa di Santa Maria Maggiore, prima che l'asse fosse completamente ruotato verso l'abside nel 1317 dall'architetto Francesco Petrini, e infine presso la Majella orientale il borgo di Guardiagrele, di cui resta l'esempio della facciata monumentale con torre campanaria centrale del Duomo di Santa Maria Maggiore, eretta alla stessa maniera di altre chiese quali quella di San Pietro in Alba Fucens, nella Marsica, caratteristica non estranea ai primi cenobi benedettini sorti in tutto l'Abruzzo nel IX secolo, dotati di torri di guardia e di protezione dagli attacchi ungari e saraceni, che erano assai frequenti all'epoca.
L'uso della torre fortificata infatti comparve anche nei nuovi monasteri cistercensi, quali quello di Santa Maria di Casanova nella valle omonima, di Santo Spirito d'Ocre presso Fossa e Santa Maria Assunta a Bominaco.

Il Duomo di Teramo, rifatto nel 1168 e consacrato a San Berardo da Pagliara e Santa Maria Assunta dal 1933, quando si conclusero i restauri che vollero riportare alla luce il romanico dal barocco settecentesco, risale al 1158, quando iniziarono i lavori di rifacimento dopo che la storica cattedrale di Santa Maria Aprutiense in Largo Torre Bruciata venne distrutta dal Conte Roberto di Loritello. La caratteristica di questa chiesa, dallo stile misto, è l'impianto classico a pianta a croce latina, leggermente curvata, con interno a tre navate sostenute da robusti pilastri quadrati, poggianti su pulvini, e dall'arco trionfale che introduce all'altare. L'elemento principe romanico è il portale di Diodato Romano, realizzato seguendo già lo stile gotico, per la presenza della svettante ghimberga che arriva sino alla sommità della facciata, inglobando il portale romanico strombato ad arco a tutto sesto, e il rosone a oculo in asse.

Incisione del portale gotico del 1375 della chiesa di Sant'Antonio abate in Chieti

Presso Chieti si conserva in stile romanico-gotico, benché con evidenti rifacimenti tardo ottocenteschi in stile revival, la chiesetta della Madonna del Tricalle, edificata sopra la struttura circolare del tempio di Diana Trivia (primi anni del XIV secolo). Ad Atri, come detto, c'è la Basilica cattedrale di Santa Maria Assunta consacrata nel 1100, celebre per il portale di Raynaldo d'Atri e Raimondo del Poggio, che mostra una strombatura più lieve. Alla metà del XIV secolo in città risalgono i complessi di San Domenico o San Giovanni, e di Sant'Agostino, con il portal realizzato, insieme a quello di Santa Maria Nuova di Cellino Attanasio, da Matteo Capro da Capua. Presso Giulianova si conserva il notevole esemplare della chiesa di Santa Maria a Mare, con il portale sempre di Matteo Capro, decorato con segni enigmatici.
In Guardiagrele oltre al duomo con il portale strombato ad arcata ogivale e gruppo scultoreo di Nicola da Guardiagrele dell'Annunciazione, si conserva la facciata della chiesa di San Francesco, dal portale a cornice a spina di pesce e tralci vegetali, incassato in una ghimberga gotica. La chiesa di Santa Maria Maggiore di Lanciano invece risulta il complesso e articolato esito del rifacimento intorno al 1317, dell'intero impianto. L'antica facciata romanica, di cui resta un arco ogivale del portico, che precede il portale romanico vero e proprio con arco a tutto sesto e decorazione vegetale, prospetta su via Garibaldi, e la facciata trecentesca era l'abside dell'impianto di metà XIII secolo, eseguito con i contrafforti e le finestre tipiche dei cenobi cluniacensi. La facciata fu rifatta da Francesco Petrini da Lanciano, come testimonia l'epigrafe della lunetta del portale maggiore, che risulta essere il trionfo dell'interpretazione abruzzese dell'area Citeriore, della scultura gotica francese, che già aveva fatto la sua comparsa nell'area con Nicola Mancino da Ortona, che realizzò i portali di San Tommaso nella città, e di Santa Maria in Civitellis a Chieti.

Incisione storica del portale di Diodato Romano della Cattedrale di Teramo
Il complesso dell'Annunziata di Sulmona

Sul fianco di via Garibaldi, è da notare anche il portale che attualmente consente l'accesso alla chiesa, frutto di maestranze pugliesi, forse di Castel del Monte, dato che l'aspetto è molto simile al castello ottagonale federiciano, segno che la città di Lanciano, essendo sin dall'epoca angioina molto importante al livello commerciale, attraesse a sé anche maestranze e culture diverse che andavano oltre il confine regionale. Andando a Ortona, si conserva la Cattedrale di San Tommaso Apostolo, anche se in uno stile piuttosto artificioso e impoverito dell'originale fasto ante distruzione del 21 dicembre 1943. La chiesa esisteva sin dal XII secolo, fu ampliata con il portico ad archi ogivali e i due portali di Nicola Mancino, unici elementi medievali, dato che il corpo della cattedrale fu rifatto ampiamente dopo il saccheggio turco del 1566 in stile barocco.

A Sulmona si conserva la mirabile facciata del Palazzo Annunziata, facente parte del complesso della Santissima Annunziata sul Corso Ovidio, terminata nel 1320, anche se rimaneggiata più volte a causa dei terremoti del 1456 e del 1706. Rappresenta il trionfo del gotico abruzzese internazionale. La parte più antica del palazzo è il settore con la Porta dell'Orologio; tale orologio fu installato nel XVI secolo; il portone presenta come elementi decorativi la statua di San Michele, due coppie di colonne per lato che si prolungano oltre i capitelli, attorcigliandosi in simmetriche volute, per poi assottigliarsi e terminare in rosoncini.
Di poco superiore c'è la trifora ornata da colonnine tortili poggianti su leoni accovacciati e statuine a tutto tondo; presso gli stipiti sono raffigurate le Quattro Virtù, sul lato opposto il simbolo dell'Agnello Mistico dentro una raggiera, sostenuta da due angeli. Al di sopra è posto lo stemma civico.
La parte centrale del palazzo è di stampo rinascimentale; il portale principale dà accesso alla Cappella del Corpo di Cristo, adornato da ghirlande, festoni, timpani, volute, figure animali di rettili e uccelli, nella parte mediana ci sono due piedritti con due tondi e un gruppo scultoreo della "Madonna col Bambino tra angeli". Il portale è sovrastato da una bifora con due angeli che sorreggono lo stemma del Pio Ente della Casa Santa dell'Annunziata, decorato da motivi a candelabra e ricchi trafori.
L'ultima parte laterale del 1519-22 possiede un portale abbastanza classico, privo di timpano e di ridotte dimensioni; entro due tondi posti nei pennacchi sono rappresentati l'Angelo Gabriele e la Vergine. Nella base dei piedritti c'è lo stemma dell'Annunziata, e presso i pilastri i Quattro Dottori della Chiesa Gregorio Magno, Bonaventura, Sant'Agostino e San Girolamo.

Altri portali di pregio abbastanza conservati a Sulmona, sono quelli realizzati dallo scultore Nicola Salvitti, ossia della Cattedrale di San Panfilo, a forma di edicola votiva, con due colonne laterali terminanti a lanterna, ospitanti i santi patroni, poi di Santa Maria della Tomba, e di Sant'Agostino, che si rifà al gotico duecentesco degli Angioini di Napoli, oggi rimontato nella facciata della chiesa di San Filippo Neri.
A Vasto, a causa di vari rifacimenti nel XVII-XVIII secolo da parte della famiglia d'Avalos per ostentare il pregio della città, nonché per i dettami dei due rettori delle collegiate di Santa Maria Maggiore e San Pietro, oggi dell'architettura romanico-gotica si conservano solo due esemplari: il portale del Duomo di San Giuseppe, anticamente chiesa di Sant'Agostino, e quello della facciata di San Pietro, unico elemento lasciato in piedi dopo le demolizioni necessarie dovute alla frana del 1956 che interessò il costone a mare, del centro storico del quartiere Guasto d'Aimone.

Veduta del monastero delle Benedettine di Sant'Angelo, oggi santuario della Madonna delle Grazie, fuori la cinta muraria di Teramo. L'aspetto odierno neogotico è dovuto a rifacimenti degli anni '30 del Novecento

Il portale di San Pietro è ascrivibile a una scuola relativa a quella di Francesco Petrini di Lanciano, che firmò altri portali in città quali quello di Sant'Agostino e il rosone della chiesa di Santa Lucia, quello del duomo di San Leucio di Atessa nel 1312, e quello del Duomo di Larino nel 1319. Questa scuola pare che ebbe committenze anche ad Agnone nell'alto Molise, come dimostrerebbe il portale della chiesa di Sant'Emidio. A parere di altri questa bottega non ebbe radici profonde nel territorio abruzzese, come quella del Petrini, dato che questi portali hanno chiara impronta laziale-reatina, visto che il maestro che realizzò la facciata di San Pietro, è Rogerio da Fregene, il quale forse lavorò anche a quello della chiesa di Sant'Agostino

Storia del romanico in Abruzzo

Le origini

Nell'843 la subregione dell'Abruzzo Citeriore, facente parte dell'antico Sannio, si staccò dal ducato di Spoleto, formando vari territori: la Contea dei Marsi, articolata nei gastaldati di Rieti, Amiternum, Forcona, Marsica, Valva, Penne e Chieti, trasformati poi in comitati longobardi, che poi vennero conquistati dai Normanni, Nel 1076 Roberto I di Loritello conquistò il comitato di Chieti, il suo capitano Ugo Malmozzetto si impossessò del comitato di Penne, istituì una signoria a Manoppello, e poi penetrò anche nel comitato di Valva, occupando l'abbazia di San Clemente a Casauria. Nel corso dell'Alto Medioevo si verificò una saldatura perfetta fra assetto diocesano e amministrativo degli ex comitati longobardi nel riunito Giustizierato d'Abruzzo (1233) con capitale Sulmona; infatti ai sette gastaldati dell'ex Contea dei Marsi corrispondono infatti altrettante diocesi, coincidenti con l'estensione dei confini. Meno vincolato a queste rigide forme amministrative è il fenomeno di fondazione dei cenobi dell'Ordine Benedettino, incidendo in forma più capillare e profonda nelle realtà socio economiche dei castelli e dei feudi.

Portale della chiesa di San Pietro a Vasto
Portale della chiesa di Santa Maria Maggiore a Lanciano

La rete di fondazioni è fitta, basti pensare che alcuni monasteri erano dotati di possedimenti dentro e fuori i confini dell'Abruzzo, quali l'abbazia di San Clemente a Casauria, indipendente dalle abbazie storiche di Montecassino e Farfa, che venne realizzata sopra un'isoletta lungo il fiume Pescara, presso le gole della Majella e del feudo di Popoli, posta in posizione strategica per controllare i traffici commerciali e fluviali, e per questo occupata anche dal conte Ugo Malmozzetto, dato che si innestava sul tracciato dell'antica via Tiburtina Valeria, che dal porto di Aterno, lambendo Chieti, andava raggiungere Sulmona, oppure la Marsica attraverso la forca di Cocullo.
Con il dominio angioino (XIII secolo), l'Abruzzo divenne passaggio obbligatorio tra Napoli e il nord Italia, tanto che si andò a definire una "via degli Abruzzi", ricalcante le direttrici dell'età romana, che passavano da Castel di Sangro a Sulmona e L'Aquila, mentre seguendo la via Claudia Nova, si raggiungevano l'alto Lazio, l'Umbria e la Toscana.

Con l'eccezione della chiesa di Santa Maria a Vico nel teramano, una delle più antiche dell'Abruzzo, fondata nell'XI secolo, in questo contado retto dai Conti Aprutini sino all'inglobo nel Giustizierato Abruzzese, a cui dette anche il nome, in Teramo esisteva la storica cattedrale di Santa Maria Aprutiense. Prima del Mille, oltre alle già citate San Pietro in Oratorium e San Clemente a Casauria (871), si conosce la fondazione di altri monasteri, oggi non pervenuti integralmente o addirittura scomparsi, che vennero fondati nell'epoca di transizione dal potere longobardo al franco, con la discesa in Italia di Ottone I di Sassonia: vale a dire i monasteri di Sant'Angelo in Barregio a Villetta Barrea, dipendente da Montecassino, Santa Maria in Propezzano a Morro d'Oro, San Vincenzo de Flaturno ad Anversa degli Abruzzi, la collegiata di San Michele a Città Sant'Angelo, il monastero di Santo Spirito alla Majella presso Roccamorice, la chiesa benedettina di San Salvatore alla Majella, sopra Rapino, che ebbe in possedimento sino al XV secolo varie chiese del territorio guardiese, la chiesa di Sant'Agata di Chieti.
Appare significativo l'apporto delle testimonianze archeologiche al problema della diffusione del cristianesimo, se in base alle sole fonti la presenza delle comunità cristiane non può farsi risalire anteriormente al V secolo. In base alle evidenze offerteci dai cimiteri, dalle catacombe e dalla iscrizioni parietali, può fissarsi al massimo al IV secolo, e tralasciando i centri di Forcona, Amiterno, Priferno, San Clemente in Fratta, si ricordano le catacombe di San Vittorino d'Amiterno presso la chiesa di San Michele fuori L'Aquila, di Santa Giusta presso la chiesa di contrada Bazzano, e infine della catacomba di Saupraequum sotto il convento di San Francesco a Castelvecchio Subequo, che scoperta nel 1943, per il materiale rinvenuto, rappresenterebbe il luogo cristiano più antico d'Abruzzo[86].

Dall'epoca longobarda ai primi cenobi

Di importazione romana sarebbero invece i due sarcofagi di Clemente I papa presso la cripta di San Clemente a Casauria e quello della chiesa di San Pietro in Campovalano[87]: il primo fu usato per accogliere appunto il corpo del papa dedicatario del cenobio, concesse da papa Adriano II a Ludovico il Giovane quando era abate Leonate, il secondo di Aurelio Ausonio, fondatore della chiesa di San Pietro nel V secolo, sopra l'abitato italico di Campovalano. Sarcofagi e fronti d'epoca più tarda si hanno nella chiesa di San Pietro di Alba Fucens, del VI secolo, del vescovo Albino già nella cattedrale di San Massimo presso Forcona (L'Aquila), che attestano il diramarsi di una produzione plastica di radice locale,ma informata a livello di scelte tipologiche, iconografiche e formali. Non esente è il sarcofago rinvenuto nel piazzale antistante la basilica di San Pelino a Corfinio, con dispositivo a loggette, che condivide la morfologia caratterizzante di un gruppo di sepolture barbariche diffuse in Italia, nel bacino del Mediterraneo[88]
Le sculture d'epoca alto medievale riguardano la cattedrale di Forcona, con un portale scandito in tre pannelli a rilievo ritraenti un grifo, un leone e una leonessa, dalla formulazione plastica, non facilmente databile; poi si conservano transenne di finestre a San Pietro di Campovalano, conservate nel Museo Nazionale dell'Aquila, accostabili al IX secolo. Elementi di reimpiego, come plutei e arredi liturgici, sono conservati a L'Aquila e provengono dalla chiesa di San Giustino di Paganica, Alba Fucens, San Pietro ad Oratorium, Santa Maria Aprutiense di Teramo, San Giovanni in Venere e San Massimo di Penne, resti di un ciborio di San Giustino di Paganica, un davanzale di ambone proveniente da San Michele a Città Sant'Angelo.

Avvio del romanico abruzzese
Portale monumentale di San Clemente a Casauria

L'inizio di questa parabola avviene con la costruzione di tre grandi cenobi: San Pelino in Valva (Corfinio) con l'annesso oratorio di Sant'Alessandro Papa (1075) da parte dell'abate Trasmondo, la Cattedrale di San Panfilo a Sulmona e l'abbazia di San Liberatore a Majella nel 1080, rifatta sopra un monastero voluto da Carlo Magno. Nel giro di alcuni decenni segue a ruota di compimento una nutrita serie di edifici fondarti ex novo o su siti preesistenti, la chiesa di Santa Maria Assunta di Bominaco nel 1092-1130[89], San Pietro ad Oratorium nel 1100, San Clemente al Vomano nel 1108, Santa Maria in Valle Porclaneta a Rosciolo dei Marsi nell'XI secolo, e San Pietro di Alba Fucens nel 1123-26[90]Il tratto incisivo della Campania e di Roma va riconoscendosi principalmente nell'impulso provocato dalla ridefinizione dall'ampliamento dell'assetto diocesano, e delle sedi monastiche, non senza il concorso della nobiltà normanna in cerca di consenso. Gli abati e vescovi preposti furono indotti a sollecitare una massiccia campagna di riedificazione dei cenobi già esistenti, sia per causa naturali come distruzioni telluriche, sia per le invasioni, o semplicemente per convenzioni politiche e ragioni di Stato.

Tale fattore prese avvio con il rifacimento dell'abbazia di Montecassino da parte dell'abate Desiderio, che fu d'esempio per la spinta al rinnovamento edilizio dei monasteri benedettini; dato che Cassino da secoli aveva in feudo la Marsica, oggi alcuni elementi dei siti romanici, come la chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta, presentano notevoli affinità. Quanto a questa chiesa è da sottolineare l'affinità dell'iconostasi cosmatesca, insieme a quella di San Pietro di Alba Fucens, con quella di Montecassino, insieme alle ante lignee del portale, alle stesse formelle del portale di San Clemente a Casauria con i riquadri dei castelli e dei feudi in possedimento.

Interno dell'abbazia di San Liberatore alla Majella

Abbazia di San Liberatore a Majella In un passo della Cronaca Cassinese di Pietro Diacono, si fa riferimento all'esistenza di San Liberatore alla Majella, rifatta dal preposto Adenulfo per volere di Desiderio abate nel 1080, stile ancora oggi visibile secondo lo schema dell'invasivo restauro del 1968, quando l'abbazia era da anni in abbandono, e oggetto di vari rifacimenti per via dei terremoti. La chiesa ha tre navate, senza transetto, con la copertura lignea del soffitto a capriate, all'esterno a destra la grande torre campanaria, mentre scomparso è il portico iniziale. San Liberatore rappresenta la fusione degli schemi architettonici dell'arte campana quanto a impianto, e lombardi quanto a impaginazione della decorazione, che si ispira alla radice bizantina per la rielaborazione degli stipiti, degli archivolti, dei portali della facciata, mentre benedettina è la matrice dei singoli elementi ornamentali come ovoli, fuseruole, tortiglioni delle colonne.
L'intelaiatura è esaltata dall'uso del pilastro[91], invece che dalla più plastica colonna, chiusi entro una griglia metrica di prensilità visiva,, la lunghezza dell'edificio è pari al doppio della larghezza, e il medesimo rapporto è riproposto fra l'ampiezza della navata centrale e le laterali. L'invaso spaziale raggiunge la qualità del pensiero architettonico singolare, seppur ricco di addentellati sul piano della trafila paradigmatica dei singoli elementi, tra l'altro assimilati, sicché il pensiero architettonico di San Liberatore si discosta in parte dal progetto desideriano di Montecassino

Facciata del monastero di San Clemente a Casauria

Abbazia di San Clemente a Casauria La chiesa è stata sempre vista come il modello ufficiale del romanico abruzzese, che in parte farebbe riferimento al romanico pugliese come i cenobi di Castel Castagna e Pianella. Nel 1176 l'abate Leone fece rifare la chiesa, e i lavori si conclusero nel 1182. L'atrio antistante è sovrastato da una cappella, aperta grazie a un mirabile loggiato verso la navata centrale, pur rimandando ai modelli borgognoni, trova il suo corrispondente nella chiesa del Santo Sepolcro di Barletta[92]. La facciata è divisa da una cornice che la divide orizzontalmente: in alto c'è un attico coronato con quattro bifore architravate e ogivali, collocate con i restauri del dopo terremoto 1448. Il portico di base è riccamente decorato nelle tre arcate di accesso, con costoloni prismatici: il portale maggiore ha l'archivolto formato da tre archi a ferro di cavallo, concentrici e gradualmente rientranti, figure a rilievi che rappresentano la storia dell'abbazia: San Clemente Papa seduto al centro con a sinistra i santi Fabio e Cornelio e alla sinistra l'abate Leonate che mostra il modellino dell'abbazia. Nel grosso architrave sono raffigurate in ordine di successione le storie relative alla fondazione dell'abbazia da parte dell'imperatore Ludovico il Giovane, e quelle successive sino al XII secolo, di cui esiste anche la fonte cartacea della Cronaca di Casauria. I battenti bronzei del portale centrale apparterrebbero alla committenza dell'abate Ioele nel 1192, sono suddivisi in 72 riquadri occupati da formelle con le croci, figure di abati, rosoni e i Castelli posseduti dall'abbazia, sparsi per l'Abruzzo e il Molise (oggi si conservano 14 formelle originali, le altre sono state rifatte).
L'interno è a pianta a croce latina, anche se i bracci del transetto sono spariti, con abside semicircolare, e presbiterio preceduto da arco trionfale, leggermente rialzato per consentire l'accesso alla cripta sotterranea. L'interno è diviso da tre navate da pilastri quadrangolari e archi leggermente ogivali, il soffitto è a capriate lignee. Sulla destra è da ammirare l'ambone romanico a lettorino con riquadri decorati a fioroni e con scene tratte dall'Antico Testamento, opera di frate Giacomo da Popoli.

Incisione ottocentesca delle tre absidi di San Giovanni in Venere

Abbazia di San Giovanni in Venere Rimanda invece a modelli campani, con accenni alla facciata tardo romanica del duomo di Monreale, la soluzione adottata nelle absidi di San Giovanni in Venere presso Fossacesia (1180-1190), ornate da archi e dischi colorati negli spazi di risulta[93]Nella configurazione dell'architettura medievale, prima dei dettami cassinesi, il pugliese influenzò di molto i cenobi situati sulla costa regionale, e le absidi di San Giovanni in Venere rappresentano l'esempio più felice, oltre al fatto di aver rimaneggiato, per il colonnato della cripta, elementi di spoglio in granito e marmo policromo e nervato dal tempio di Venere preesistente. L'interno a tre navate con pilastri ad arcate a tutto sesto è stato manomesso dagli attacchi turchi del 1566, e dai rifacimenti, e dai restauri degli anni '50, che hanno cambiato il pavimento originario.

Il romanico aquilano

Incisione storica del portale maggiore della chiesa di Santa Maria Paganica (1308) a L'Aquila

Non si conoscono i nomi degli architetti delle chiese abruzzesi, eccezione fatta per la facciata di Collemaggio, realizzata forse da Domenico da Capodistria su ispirazione delle facciate venete (la basilica di Sant'Antonio di Padova) e del Duomo di Todi[94]), ma soltanto testimonianze di una bottega di Guardiagrele composta dai maestri Nicodemo, Roberto e Ruggero, i quali realizzarono amboni originali per le abbazie abruzzesi di San Clemente, San Pelino, Santa Maria del Lago e Santa Maria in Valle Porclaneta. Lo schema compositivo della pianta chiesastica è sostanzialmente questo: un impianto basilicale o rettangolare, con torre di controllo e una facciata tripartita da paraste, o ancora a coronamento orizzontale, decorata da uno o tre portali strombati oppure a semplice arco a tutto sesto con lunetta dipinta, o scolpita da bassorilievi, come nel caso di San Clemente a Casauria. Presso il retro si trovano una o tre absidi semicircolari, come nei casi di San Giovanni in Venere e Sant'Eusanio Forconese, mentre gli interni, alcuni dei quali ricostruiti nell'epoca del gotico e del barocco, sono a tre navate con arcate a tutto sesto o a sesto acuto (nei casi del periodo di transizione dal romanico al proto-gotico, come a San Giovanni in Venere), arco trionfale che precede il presbiterio e ambone monumentale nella navata centrale, ciborio presso l'altare, di cui si conservano molto bene quelli di San Pietro ad Oratorium e di San Clemente al Vomano.

Porta Santa sul fianco della basilica di Santa Maria di Collemaggio (1288-94)

Un'evoluzione singolare del romanico abruzzese fu quello aquilano, sperimentato sin dal XIII secolo, ma le cui testimonianze tangibili risalgono al Trecento. L'esempio più antico è la facciata della chiesa di Santa Giusta nel rione San Giorgio, del 1308, mentre altri esempi nella città sono le facciate della chiesa di Santa Maria Paganica, della basilica di Santa Maria di Collemaggio, della chiesa di San Silvestro, della chiesa di San Pietro a Coppito, la chiesa di San Marciano, di Santa Maria di Farfa, della chiesa della Madonna degli Angeli, nonché di numerose chiese situate nel circondario e nelle frazioni, come gli esempi di Assergi, Sant'Eusanio Forconese, San Vittorino.
Il romanico aquilano mantenne il tipico impianto a pianta rettangolare con una o più absidi retrostanti, facciata a coronamento orizzontale ornata da un rosone a raggiera, portale strombato con lunetta affrescata o scolpita e interni a una o tre navate. Tale schema si configurò dal 1308 con l'esempio della chiesa di Santa Giusta, e ancor più con le ricostruzioni dopo il terremoto del 1349. Quasi tutte le principali chiese del centro aquilano hanno questo aspetto: Santa Maria di Collemaggio, Santa Maria di Paganica, Santa Giusta, San Marco, San Pietro Coppito, San Marciano, San Flaviano, Santa Maria del Carmine, Santa Maria di Roio e San Silvestro.
Solo in alcuni casi a L'Aquila il romanico venne deposto nella decorazione degli esterni per usare il barocco, come per la chiesa di San Pietro a Coppito e della Chiesa di Santa Maria del Carmine. Mentre gran parte degli interni venne ricostruita completamente dopo il terremoto dell'Aquila del 1703, nel periodo del 1967-72 l'architetto Mario Moretti tentò di ripristinare l'originale aspetto medievale tramite massicci ripristinamenti sulla facciata di San Pietro a Coppito, e negli interni di questa chiesa, di Santa Maria di Collemaggio e di San Silvestro. Altro caso simile era avvenuto negli anni '30 col ripristino della facciata di San Marciano, chiesa capoquartiere del rione San Giovanni.

Il romanico abruzzese in generale

Bisogna capire che oggigiorno la lettura delle varie architetture abruzzesi, soprattutto per le chiese, i monasteri, i castelli, è completamente stratigrafica, in quanto tali monumenti furono oggetto di saccheggi, distruzioni e rifacimenti attraverso i secoli; e per comprendere il passaggio da uno stile all'altro nell'ambito architettonico, è necessario conoscere le vicende storiche della regione d'Abruzzo. Nell'ambito chiesastico dunque, nel IX-X secolo abbiamo la fioritura dei grandi monasteri benedettini e poi cistercensi, quali l'abbazia di San Clemente a Casauria, la chiesa di San Clemente al Vomano, la chiesa di Santa Maria di Propezzano, l'abbazia di San Pietro ad Oratorium, il complesso benedettino di Santa Maria a Bominaco con il celebre pittoresco oratorio di San Pellegrino. Ma moltissimi altri furono i monasteri, oggi non più esistenti, che vennero fondati, testimoniati dei regesti dei monasteri di Farfa, San Vincenzo al Volturno e Montecassino, che prima dell'872, con la fondazione di San Clemente a Casauria, si spartivano il territorio ecclesiastico abruzzese. A causa, dunque dei rifacimenti, soprattutto a partire dall'XI-XII secolo con l'ingresso dell'arte romanica, non è possibile stabilire con certezza quale fosse il tipico stile dell'epoca franco-longobarda, e restano solo scarne testimonianze da documenti, come ad esempio la presenza di un pavimento a mosaico presso la chiesa di San Maurizio a Lanciano, stessa presenza riscontrata a Santo Stefano in Rivomaris, on in torri di avvistamento, comunque restaurate e manomesse nei secoli successivi alla loro costruzione.

Facciata di San Clemente a Casauria

L'architettura ecclesiastica primaria, come si è visto, specialmente durante la ricostruzione delle antiche città romane di Teate, Histonium, Interamnia, Anxanum, durante l'arrivo dei Longobardi e poi dei Franchi, si è mostrata attraverso la conversione degli antichi templi pagani in cenobi e cappelle votive dedicate alla Madonna, a San Michele Arcangelo (protettore dei Longobardi), a Santissimo Salvatore, o a San Pietro. E questi sono gli esempi della chiesa di San Giorgio, poi San Biagio di Lanciano, eretta sopra il tempio di Minerva (altri esempi in città si hanno con la chiesa di Santa Lucia sopra Giunone, Santa Maria Maggiore sopra Apollo), San Paolo di Chieti sopra il tempio dei Dioscuri, Santa Maria Aprutiensis in San Getulio sopra la domus romana del I secolo, San Pietro di Vasto sopra Cerere, Santa Maria Intus di Sulmona (oggi San Gaetano). Insomma, non solo per i centri, ma la colonizzazione e la riconversione cristiana degli antichi templi si sparse anche in quei piccoli santuari presenti lungo i tracciati antichi della via Valeria, della via Claudia Nova, della via Traiana, come ad esempio è stato dimostrato per Santa Maria a Vico nel teramano, da Francesco Savini e confermato dal Moretti[95]

Portale della Luna di San Giovanni in Venere

Parlando del romanico, si sviluppò in Abruzzo nel XII secolo circa, quando i monasteri, danneggiati da incursioni e da terremoti, dovettero essere restaurati. Dal Chronicon Casauriense di San Clemente si può ben comprendere il periodo di ricostruzione dell'abbazia da parte dell'abate Trasmondo, che nel 1075 volle restaurare questo cenobio, insieme alla Cattedrale di San Panfilo a Sulmona e alla Basilica di Corfinio. A questo periodo risale la facciata monumentale con il portico ad arcate che precede l'ingresso dato da tre portali, riccamente scolpiti con le scene di vita iniziale del monastero, che rievocano la sua fondazione da parte di Lotario II.
Dall'esempio di Casauria, uno dei più eminenti del romanico abruzzese, questo stile si diffuse, in maniera piuttosto eterogenea in tutto l'Abruzzo oggi conosciuto. Nel territorio della Majella i monasteri vennero restaurati con la pietra bianca della montagna, venendo arricchiti nell'ambito scultoreo e monumentale seguendo le orme dei monasteri di Roma e della Lombardia, con impianti rettangolari ad abside posteriore semicircolare, facciata tripartita ornata da archetti, lesene logge cieche, e portali a tutto sesto con lunette riccamente decorate, e grandi torri di guardia come campanile.

Dettaglio della facciata del Duomo di Atri

Per quanto è possibile desumere dalle chiese, che ancora in parte conservano l'aspetto romanico, lo stile della Majella si differenziò notevolmente dalle altri correnti romaniche de L'Aquila, di Teramo e di Chieti. Nel teramano venne impiegata sia la pietra sia il mattone, e il romanico risentì dell'influsso umbro-marchigiano, come è visibile dalla facciata della Cattedrale di San Berardo a Teramo, dalla chiesa dei Cappuccini e, prima del suo restauro neogotico, dal santuario della Madonna delle Grazie, in cui l'impianto della facciata era o a salienti, tripartito da pilastri, oppure a coronamento orizzontale dalla forma quadrata, con ampio nartece di base porticato, e oculo centrale, solitamente ornato da rosone. Romanica è anche la facciata della Basilica di Santa Maria Assunta di Atri, che rappresenta il più felice esempio del tardo-romanico teramano (XIII secolo), che è a coronamento orizzontale, quadrata, con portale a tutto sesto strombato, che riporta già quelle decorazioni a tralci e fitomorfe più care allo stile gotico, così come la decorazione molto fine ed elaborata della raggiera del rosone.

Facciata di Santa Maria di Collemaggio

Del romanico a Chieti in provincia si hanno pochi esemplari, poiché la città fu più volte ricostruita, sino alla completa trasformazione barocca, benché l'antica Cattedrale di San Giustino, riconsacrata nel 1069, all'epoca avesse dovuto mostrare un aspetto romanico, insieme a Sant'Agata dei Goti, San Giovanni di Malta e Santa Maria sopra San Pietro. Lo stesso vale per Ortona, anche se la martoriata Cattedrale fu più volte distrutta e ricostruita fino al restauro del 1949, e oggi restano i pochi resti della basilica di San Marco in contrada San Donato, del IX secolo. Tra gli esempi più rivelanti figura l'abbazia di San Giovanni in Venere sulla costa dei Trabocchi, fondata dall'abate Trasmondo II di Chieti, molto importante per comprendere l'eterogeneità del romanico abruzzese, poiché mostra chiari influssi d'arte siculo-pugliese[96], specialmente per quanto concerne la triplice abside semicircolare, con motivi decorativi del tutto assenti nelle altre abbazie abruzzesi, che rievocano paesaggi d'Oriente. Tipicamente abruzzese invece è il "portale della Luna" della facciata, dove è rappresentata la Deesis, insieme a delle scene dell'Antico Testamento, in un conglomerarsi di personaggi e natura tipico della regione.
Nella Marsica, a causa dei disastrosi terremoti, l'ultimo del 1915, resta poco dell'architettura antica, sia romanica, sia gotica o barocca, e i pochi esempi rimasti sono la Basilica dei Santi Cesidio e Rufino, in particolare il "portale degli Uomini", posto sul lato Piazza Umberto I di Trasacco, la facciata della chiesa di San Giovanni di Celano, la chiesa di San Pietro d'Albe ad Alba Fucens e l'interno della chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta a Rosciolo dei Marsi. Si tratta di un romanico molto simile a quello della Majella, ma che riprende più che altro il romanico laziale, e soprattutto quello aquilano, per lo stile delle facciate, dei portali e delle rose.

San Silvestro a L'Aquila

Parlando del romanico aquilano, costituisce un caso a sé, che ha fatto scuole per i centri limitrofi della valle d'Aterno e del Gran Sasso. La presenza di chiese è attestata sin dalla fondazione della città nel 1254, anche se a causa della distruzione di Manfredi di Svevia nel 1259, e del terremoto del 1349, si possono avere solo delle idee sullo stile primario dei principali edifici religiosi del centro. Lo stesso vale per il monumento simbolo del romanico abruzzese e aquilano: la Basilica di Santa Maria di Collemaggio, completata nel 1288[97], ma sicuramente più volte restaurata. Dunque il romanico a L'Aquila prese avvio molto tardi, e risentì sicuramente degli influssi del nascente gotico. E la differenza tra questo romanico e quello di chiese di villaggi già esistenti prima della fondazione, come Camarda, Paganica, Arischia e Bazzano, è molto evidente in templi come la chiesa di San Giustino extra moenia di Paganica o la chiesa di Santa Giusta fuori le mura di Bazzano: il romanico è molto più sobrio, che si addice alle piccole chiese, con un semplice portale a tutto sesto lunettato, e una rosa di dimensioni minuscole, ma comunque molto ben ornata nella raggiera, tanto che si è parlato di collegamento con le altre strutture della chiesa di San Paolo di Peltuinum, dell'oratorio di San Pellegrino con la chiesa di Santa Maria a Bominaco, dell'abbazia di San Pietro ad Oratorium a Capestrano; lo stesso vale per Santa Giusta fuori Bazzano, risalente al XII-XIII secolo, mostrante tutti i tipici aspetti dell'antico romanico abruzzese primario.
L'Aquila invece, nelle facciate di Collemaggio, di Santa Maria Paganica, di San Silvestro, di San Pietro di Coppito (post restauro 1974), di Santa Giusta, di San Marciano, di San Pietro di Sassa, di Santa Maria di Roio, Santa Maria di Forfona, mostra lo stesso schema, adottato anche nelle chiese di alcune frazioni, di cui si parlerà: una facciata quadrata a coronamento orizzontale di archetti pensili, suddivisa da cornici, con una grande rosa centrale a raggiera a colonnine tortili che culminano in un piccolo cerchio baricentrico, e portale fortemente strombato ad arco a tutto sesto, con doppia cornice, e lunetta ornata da affreschi oppure da sculture, come nei casi di San Silvestro, Santa Maria di Roio e Santa Maria Paganica, che solitamente rappresentano l'incoronazione della Vergine col Bambino.

Il castello Caldora di Pacentro

Questo stile rappresentò a L'Aquila e nella vallata il modello da seguire per la costruzione, e per la ricostruzione stessa delle chiese, visto che la zona è da secoli soggetta a terremoti. Il carattere romanico aquilano è stato così forte da resistere ai secoli delle trasformazioni rinascimentali e barocche, tanto che esempi eclatanti di chiese completamente barocche all'interno e romaniche all'esterno si riscontrano in quasi tutte le contrade della città e dei borghi circostanti. Una bell'esempio di romanico è dato dalla facciata della chiesa di Santa Maria Assunta di Assergi, con uno dei più elaborati rosoni della vallata, mentre il romanico più modesto del modello Santa Giusta fuori Bazzano e San Giustino si riscontra più o meno nei centri di Camarda, Lucoli, Tornimparte, Aragno, Ocre, Calascio, e ogni chiesa mostra il classico inconfondibile schema aquilano.
Per quanto concerne l'architettura civile, militare e monumentale, si hanno purtroppo sparuti esemplari, sempre per via di distruzioni e trasformazioni. Parlando dell'architettura militare medievale, essa comparve con i Longobardi sotto forma di torri di avvistamento e di difesa, alcune delle quali ancora esistenti, come la torre di Picenze a Barisciano, la torre di Sutrium a Bussi sul Tirino, la torre della Fara a Celenza sul Trigno, la torre di Goriano Valli. Si tratta di strutture realizzate senza particolare criterio artistico, molto spoglie, a pianta quadrata, triangolare o circolare, suddivise a più piani. Si conserva in Abruzzo solo un caso di strutture castellata d'epoca longobarda, ossia il castello di Spoltore, che domina il centro, a pianta quadrata irregolare con torri angolari rompitratta.

Nel X-XII secolo con il passaggio dai Franchi ai Normanni, l'Abruzzo divenne una serie di contadi e comitati amministrati da diverse città. Nella Marsica si ha la contea di Celano dei Marsi-Berardi, a Chieti il comitato omonimo, a L'Aquila un insieme di baronie gestite da Carapelle Calvisio e dal Celano stessa. I conti dei Marsi, insieme ai loro parenti conti di Valva nella valle Peligna, tessettero una rete di fortificazioni di piccola taglia, perlopiù torri di guardia, sopra i picchi di montagna, a guarda della Marsica tutta, della valle del Fucino e della Piana del Cavaliere al confine col territorio pontificio a Carsoli, e lo stesso venne fatto nel territorio di Sulmona, con castelli e torrette che erano sotto la giurisdizione di Corfinio e San Clemente a Casauria. Nella terra d'Aquila abbiamo gli esempi più classici del castello-recinto a pianta poligonale o triangolare, ossia un reticolato di mura alternato da torri rompitratta angolari, con la torre puntone situata nel punto più elevato, esempi sono il castello di San Pio delle Camere, il castello di Barisciano, il castello di Bominaco, il castello di Ocre. Questi castelli divennero inservibili, soprattutto dopo l'assedio di Braccio da Montone 1424 nella guerra contro L'Aquila, e gli abitati si svilupparono più a valle.

Il castello Piccolomini di Ortucchio

Nell'epoca normanna, dall'XI secolo al XIII, i castelli si moltiplicarono, e da antichi presidi-fortezza, come l'esempio di Rocca Calascio, divennero delle vere e proprie strutture gentilizie, mantenendo comunque la funzione militare. Scarni sono gli esempi, a causa delle corpose ristrutturazioni del XIV secolo, e specialmente nei secoli XVI-XVIII, quando molti castelli divennero delle residenze principesche, perdendo ogni carattere difensivo. Con il passaggio di Federico II di Svevia in Abruzzo, alcune strutture vennero restaurate, anche se la svolta vera e propria ci fu con Jacopo Caldora, Giacomo Cantelmo, Alfonso I d'Aragona, la famiglia Orsini, e Antonio Piccolomini. Il Caldora fortificò il castello di Pacentro[98], il castello Caldoresco a Vasto, il fortino di Ortona, il castello di Civitaluparella, e anche fortificazioni che oggi però portano il nome dei Cantelmo di Popoli, che soppiantarono la dinastia, modificando le strutture di Pettorano sul Gizio, Popoli stessa, Roccacasale, spartendosi il territorio della Majella con i feudatari De Sangro. Il miglioramento delle tecniche apportate dal Caldora, come il sistema di bastioni lanceolati del castello di Vasto, fu ripreso dai Cantelmo, che ampliarono il castello di Pettornao dall'antica torre puntone normanna, con recinto circondato da mura alternate a torri di guardia, così come a Popoli, dove alla classica torre quadrata rompitratta, venne sostituita la torre circolare aragonese con base a scarpa e coronamento a merlature sulla sommità.
Nella Marsica gli Orsini di Avezzano e d i Piccolomini di Celano e Ortucchio dettero notevole contributo alla modernizzazione delle strutture militari, basandosi l'uno sul modello romano, l'altro su quello napoletano, con ampio recinto a fossato, muratura doppia alternata da torri angolari, spesso cilindriche con coronamento a merlature e beccatelli, inglobando le grandi torri pentagonali rimasuglio delle antiche fortificazioni dei Berardi di Celano.

Il gotico abruzzese in generale

Finestra trifora del Palazzo Annunziata di Sulmona

Il gotico in Abruzzo si manifestò nei primi anni del Trecento, almeno per le testimonianze oggi tangibili, poiché sicuramente venne impiegato una trentina d'anni prima, tra il 1268 e il 1269, quando salì al potere Carlo I d'Angiò a Napoli. Carlo, sconfitto Corradino di Svevia a Tagliacozzo, ricompensò la città neonata de L'Aquila per gli aiuti militari, e fece dapprima erigere l'abbazia di Santa Maria della Vittoria ai piedi di Scurcola Marsicana, poi a L'Aquila fece costruire il monastero della chiesa di Sant'Agostino, con convento degli Agostiniani, sede della Prefettura dal XIX secolo sino al 2009. Carlo I s'interessò anche di Sulmona, città già molto cara alla casa di Svevia, poiché nel 1256 Manfredi di Sicilia aveva fatto erigere il monumentale acquedotto medievale in Piazza Maggiore[99], una delle opere d'ingegneria idrica più interessanti del centro-sud italiano.
Già questo acquedotto può considerarsi un perfetto esempio del gotico abruzzese, che nei primi aspetti di chiese e palazzi, ebbe ancora chiaramente l'influsso romanico, e come il romanico, perdurò sino al XV secolo, durante la ricostruzione di Sulmona post sisma 1456.

A causa dei terremoti, non è possibile vedere i due complessi monastici di Sant'Agostino a L'Aquila e San Francesco a Sulmona nel loro aspetto originario, poiché l'ultima catastrofe tellurica del 1706, ha indotto, insieme al grande terremoto aquilano del 1703, alla ricostruzione barocca dei siti, lasciando pochi elementi delle strutture precedenti. Dunque le prime presenza del gotico in Abruzzo sono attestate dalla costruzione cistercense dell'abbazia di Santa Maria d'Arabona di Manoppello, e dal restauro dei portali della Cattedrale di San Tommaso Apostolo di Ortona e della chiesa di Santa Maria della Civitella a Chieti, insieme ovviamente al coevo portale di Sant'Antonio abate.
Parlando di Santa Maria in Arabona, essa rappresenta la costruzione d'ordine cistercense meglio riuscita nel territorio abruzzese.

Santa Maria d'Arabona in un disegno ottocentesco
Il modello cistercense ideale di Santa Maria d'Arabona
Lo stesso argomento in dettaglio: Abbazia di Santa Maria Arabona.

La prima fondazione cistercense abruzzese è la badia di Casanova a Villa Celiera (1195-1197), poi ci furono Santa Maria d'Arabona, Santo Spirito di Ocre e l'abbazia dei Santi Vito e Salvo a San Salvo, sopra cui oggi sorge la parrocchia di San Giuseppe. I lavori si protrassero dal 1197 al 1208. Per la sua importanza nel 1259 venne resa indipendente dalla giurisdizione vescovile di Sulmona da Alessandro IV. La stratificazione dello stile cluniacense con quello cistercense è dato dalla seconda trance di lavori eseguita dopo il terremoto del 1349, che non furono mai ultimati. La mole del profilo geometrico rigoroso e geometrico della chiesa si impone sul paesaggio; l'interruzione dei lavori nella prima campata dell'aula hanno conferito alla chiesa l'ingannevole aspetto di pianta centrale, mentre il prospetto originario doveva essere un corpo longitudinale a tre navate, in linea con "piano bernardino", ossia da San Bernardo di Chiaravalle nel 1133 per tali monasteri.

Disegno del 1898 del portale di Santa Maria della Civitella a Chieti

Il piano prevedeva un transetto sporgente rispetto al corpo longitudinale e la terminazione piatta del coro ai cui lati si dispongono le cappelle. Il modello non seguì pedissequamente quello di San Bernardo delle chiese cistercensi, ma si adattò alle esigenze e alle circostanze territoriali per quanto riguarda i lati del coro con deambulatorio e la navata con le finestre, la volta a botte e a crociera. Infatti il modello di San Bernardo, durante i lavori, subì delle modifiche, assumendo quelle espressioni del gotico: la chiesa doveva avere dunque, nel nuovo impianto, una forma a croce greca, con capocroce composto da due campate di diversa profondità, e da 5 monofore disposte su due ordini nella tipica configurazione piramidale. Tuttavia i lavori furono interrotti ancora, e il campanile, che in origine doveva stare al centro della pianta a croce, fu spostato su uno dei lati, e il rosone, 4 per ogni lato, venne alterato e spostato d'asse.

Francesco Petrini, l'apogeo del gotico abruzzese

Un altro mirabile esempio di modello cluniacense, modificato ugualmente durante la costruzione, è la chiesa di Santa Maria Maggiore di Lanciano, edificata nel 1269 sopra una preesistente romanica. Gli aspetti dell'ordine cluniacense sono visibili soprattutto sulla nuova faccia trecentesca, dove i contrafforti e le finestre monofore fanno da cornice e incasso del nuovo grande e monumentale rosone e del portale maggiore realizzati dallo scultore locale Francesco Petrini (o secondo altri "Perrini"[100]). La chiesa di Lanciano rappresenta un caso unico in Abruzzo, ma non estraneo alla concezione locale di smontaggio e rimontaggio, di riutilizzo infinito di impianti già esistenti in epoca romanica, e di trasformazione delle vecchie strutture in nuove seguendo le ultime correnti artistiche.

Casa di Buccio di Ranallo a L'Aquila

L'esempio di Lanciano, benché Petrini lavorò anche nella chiesa di Sant'Agostino in città, nel duomo di San Leucio ad Atessa e nella Cattedrale di San Pardo a Larino, rimane comunque un caso a sé per lo sfarzo e la minuzia del particolarismo abruzzese, nel convogliare tutti i modelli base delle decorazioni a rilievo dell'ornato in un'unica opera in un solo edificio, segno evidente che l'autore prima di completare l'opera nel 1317, risentì di vari influssi gotici, forniti forse da Nicola Mancino, autore del portale di San Tommaso a Ortona (1312) e di Santa Maria della Civitella (1321). La chiesa di Lanciano oltretutto mostra un altro aspetto inedito del gotico, ma comunque affascinante del gotico abruzzese, ossia il portale laterale, su cui gli studiosi hanno riscontrato delle forti analogie con il portale del Castel del Monte di Andria[101], segno evidente della presenza federiciana in Abruzzo, e anche a Lanciano naturalmente.

Il gotico abruzzese nell'architettura civile

Dell'architettura palaziale e civile di stile gotico resta poco, sempre a causa dei vari rifacimenti, e gli unici mirabili esempi si trovano a L'Aquila, Sulmona, Lanciano e Teramo. Nella prima città si conservano alcune case trecentesche, come quella di Buccio di Ranallo, primo storico della città, a Sulmona il monumentale Palazzo Annunziata, del complesso chiesastico omonimo, a Lanciano le botteghe medievale di Nicola de Rubeis (benché siano del Quattrocento), insieme a una casa con bifora gotica nei pressi di Santa Maria Maggiore, e a Teramo la casa dei Melatino, nobile famiglia che ebbe in potere la città nel XIII-XIV secolo. Con l'eccezione del Palazzo Annunziata, il gotico civile non ha prodotto brillanti costruzioni, e gli architetti del tempo si sono limitati a riprodurre i classici canoni dei portali ad arco acuto e finestre bifore, sul modello dei palazzo umbro-toscani. Merita un discorso a parte il Palazzo dell'Annunziata, insieme al Palazzo Sanità e a Palazzo Tabassi di Sulmona (parlando delle porzioni gotiche, per lo più le finestre bifore). Il complesso ospedaliero fu costruito nel 1320, ma restaurato dopo il 1349 e il 1456, salvandosi almeno nella facciata dopo il disastro del 1706, tanto da essere considerata la struttura palaziale gotica per eccellenza dell'Abruzzo. Unici infatti sono i portali, con le finestre, che dimostrano anche il passaggio di varie mani d'epoche diverse alla costruzione. Da sinistra, il grande portale con cornice in tralci vegetali è chiaramente trecentesco, e nella lunetta è raffigurata la Madonna col Bambino. La ghimberga che contiene la lunetta primaria è una decorazione del tutto inedita, unica nel suo genere nella valle Peligna, non caratterizzata da un grande arco, come ad esempio quella del Duomo di Teramo, ma realizzata con una scultura minuta e meticolosa incastonata sul piano della facciata, a cordoni di tralci che s'intrecciano tra loro, così come i tralci presenti nella lunetta acuta che l'arco realizza. Sopra di esso c'è il finestrone a trifora con cornice riccamente modellata a trapunta, e due angeli che sorreggono un oculo con l'Agnello mistico che regge la croce. Il portale secondario è cinquecentesco, con architrave a timpano triangolare, e con bassorilievo all'interno, ma comunque è ascrivile al periodo gotico, benché molto tardo. E tardo gotico è anche il possente campanile della Santissima Annunziata, realizzato nei primi anni del Cinquecento, scandito da cornici e da lati con archi sestoacuti, e infine sormontato da slanciata cuspide piramidale. Il campanile servirà da modello per gli altri coevi delle chiese della vallata, come per l'abbazia di Santo Spirito al Morrone e la chiesa di Santa Maria della Misericordia a Pacentro.

Altre architetture gotiche

Prima fase (metà del XIV secolo e XV secolo)

Particolare della facciata della Taverna Ducale di Popoli

Il 1340 è anno d'inizio dei lavori della chiesa di san Marco di Pianola a L'Aquila, mentre nell'anno seguente iniziarono quelli della chiesa di San Vito di Tornimparte, presso la fontana delle 99 cannelle. Alla morte di re Roberto nel 1343 dunque, non essendoci eredi legittimi, salì al trono la nipote Giovanna I d'Angiò, le famiglie aquilane dei Pretatti e dei Camponeschi presupponendo la debolezza della regina, colsero l'occasione per spartirsi il potere della città, non senza guerre, dove vinsero i Camponeschi, che esiliarono i nemici e ne bruciarono i palazzi di rappresentanza. Il 25 gennaio 1348 avvenne un grave terremoto con epicentro a L'Aquila, e l'anno seguente ne seguì un altro localizzato nel Molise, che danneggiò gran parte dell'Abruzzo centro-orientale aquilano e sulmonese, tanto che venne citato anche dallo scrittore Giovanni Boccaccio, in visita a Sulmona, e dall'umanista sulmontino Giovanni Quatrario.
Questo terremoto dette inizio a nuovi cantieri di ricostruzione della Cattedrale dei Santi Massimo e Giorgio a L'Aquila (anche se oggi questo intervento, meno che il mausoleo di Amico Agnifili, è stato azzerato dalla furia del terremoto del 1703), della chiesa di San Francesco a Palazzo, e delle principali parrocchie dei quartieri quali Santa Giusta[102], San Pietro, San Marciano, Santa Maria di Paganica e San Silvestro, come le vediamo oggi nell'aspetto tardo romanico esterno, e delle mura medievali di Porta Romana, Porta Bazzano e di Porta Leone. L'anno seguente riprende la costruzione della chiesa di santa Maria d'Assergi o del Carmine, e anche di quella di San Silvestro. Nel 1360 l'antica Marruvium venne distrutta da Francesco del Balzo, duca di Andria, e i pochi abitanti superstiti si trincerarono nel monastero di San Benedetto ricostruendo una piccola cittadella, da cui il nome "San Benedetto dei Marsi". In questi anni visse anche il celebre cronachista Buccio di Ranallo aquilano, che fino al 1363 narrò nella Cronaca rimata le vicende della città dalla fondazione sino al 1362. Nel 1372 a Teramo si consolida il potere dei Melatino, che edificano il loro palazzo di rappresentanza nel rione San Leonardo, l'anno seguente a L'Aquila venne edificato il monastero di Sant'Amico.

Carlo III di Durazzo salì al trono nel 1381 e vi regnò sino al 1386: nel 1389 iniziò l'edificazione della nuova chiesa di Santa Maria del Ponte a Lanciano[103], che rimase in stile gotico sino al XVIII secolo, quando venne completamente trasformata nell'attuale edificio. L'anno seguente Antonio Acquaviva d'Atri divenne signore di Teramo, fu scacciato dai Melatino; nel 1392 la città di Chieti si alleò con altri castelli e baroni a favore del re Ladislao, per ottenere più potere nel contado, annettendo i borghi di Cepagatti, Spoltore, Vacri, Casacanditella. Nello stesso anno venne realizzato lo splendido portale gotico di Nicola Salvitti della Cattedrale di San Panfilo si Sulmona, coevo di quello della chiesa di Santa Maria della Tomba, mentre a Celano veniva ricostruito il castello Piccolomini voluto da Ruggero Orsini Del Balzo, passato a questa famiglia napoletana per mano di Antonio Maria de' Piccolomini, che si spartì il potere nella Marsica insieme agli Orsini e ai Colonna.

Ghimberga di Diodato Romano nel portale della Cattedrale di Santa Maria Assunta a Teramo

Il gotico abruzzese dunque non fu perfettamente omogeneo, ma alla maniera delle chiese di Perugia e Assisi, fu in continuazione caratterizzato dallo sperimentalismo e dall'individualismo delle maestranze dei diversi cantieri. Sempre come in riferimento al romanico, sia il gotico, sia il rinascimento, sia il barocco eccetera, in Abruzzo si svilupparono in maniera eterogenea e differente per via dei confini di montagna, che impedivano di fatto i diretti rapporti tra l'est e l'ovest della regione, e dunque per il fatto che l'Abruzzo Citeriore di Chieti costituiva un caso a sé dal punto di vista gotico, l'Abruzzo Ulteriore di Teramo veniva influenzato dalle Marche, l'Abruzzo Ulteriore di Sulmona subiva l'influenza napoletana, e l'Abruzzo di L'Aquila e della Marsica si ispirava alle correnti umbro-laziali.
L'Aquila come si è detto fino ai primi del Quattrocento, video prevalere l'arte romanica, ma anche quella gotica, benché gli esempi architettonici siano relativamente pochi, a differenza della scultura, da una parte per il terremoto del 1461, che impose alla ricostruzione l'uso delle tecniche della nuova corrente del Rinascimento, dall'altra per via dell'ulteriore distruzione del 1703. In effetti si potrebbe parlare di sperimentalismo gotico già dal dopo 1349, quando le chiese e gli edifici vennero ricostruiti nel tardo-romanico, poiché già i rosoni di Collemaggio e delle altre principali chiese di San Silvestro, Santa Giusta, San Pietro eccetera mostrano chiaramente spunti gotici, come ha evidenziato anche il Moretti, ma la chiesa gotica per eccellenza, almeno prima delle trasformazioni radicali, dovette essere la chiesa di San Domenico con annesso monastero dei Domenicani. L'insieme è piuttosto eterogeneo, la facciata a metà è tardo romanica, seguendo il modello aquilano, l'altra invece è stata lasciata incompiuta durante la ricostruzione barocca, ma ciò che interessa è l'abside semicircolare posteriore, insieme al grande finestrone posto su via Amiternini, che ricorda molto il gotico radiale francese, le cui nervature dell'arco a sesto acuto vanno ben oltre il sobrio stile usato nel primo Trecento. Altri esempi di gotico a L'Aquila si hanno nella chiesa di Santa Maria del Soccorso presso il cimitero (anche se mostra più che altro tracce rinascimentali), nella chiesa della Madonna degli Angeli.

Seconda fase (tardo XIV e e XV secolo) Nella seconda fase del gotico abruzzese, meritano attenzione la fascia territoriale di Teramo, e soprattutto di Sulmona. A Teramo il gotico in particolare è ancora presente in diverse chiese oltre al Duomo di Santa Maria, nella chiesa di San Domenico, nella chiesa di Sant'Antonio di Padova e nella chiesa di Santa Caterina. Il portale della Cattedrale, di tipo cosmatesco, è di origini romaniche, come dimostra l'arco a tutto sesto, ma è stato corposamente ornato nel 1332 da Diodato Romano nel 1332, con la radiosa ghimberga, e le sculture di Nicola da Guardiagrele. Sopra l'arco a tutto sesto si trovano gli stemmi a scudo di colore rosso della città, di Atri e delle armi del vescovo Niccolò degli Arcioni, il committente del restauro gotico del Duomo. La ghimberga rappresenta un altro caso inedito in Abruzzo, per la sfarzosa monumentalità, tanto che il vertice raggiunge e supera la linea sommitale della facciata: lo stile è quello classico del gotico romano, con decorazione a gattoni. Lo stesso motivo è riproposto nella ghimberga del portale di San Filippo Neri a Sulmona.
Il secondo esempio più importante del gotico teramano e il complesso di San Domenico, voluta nel 1323 da Nicolò degli Arcioni.

Chiesa di San Domenico a Teramo

La grande chiesa fu portata a compimento nel 1407, con i contributi di Matteo Melatino, che era morto nel 1371. Elementi architettonici e strutturali, riscontrabili nella parete esterna della cappella del Rosario, tra cui due piccole finestre sestiacute, inducono a pensare a una primitiva chiesa successivamente ampliata per volere dei Domenicani. Le chiese degli ordini Mendicanti vennero realizzate seguendo lo slancio mistico e la severa maestà, e la chiesa di Teramo mostra tutte le principali caratteristiche, un esterno sobrio e un'aula unica molto spaziosa, coperta da soffitto a traviatura costolonata in pietra. I monaci eliminarono ogni forma di abbellimento, a differenza dei monaci Francescani nel rione San Leonardo, della chiesa di Sant'Antonio di Padova: la chiesa di San Domenico infatti poggia su semplice basamento sagomato in pietra, con qualche finestrone oblungo a bifora e un grazioso portale tardo-romanico. L'interno è rinforzato da arconi poggianti su robusti contrafforti angolari, che dividono il tetto in 6 campate, mentre il coro che si trova dietro l'altare, è costituito da un'abside con volta a crociera costolonata, con dipinto un cielo stellato.

Portale di Sant'Agostino ad Atri

Anche nel resto del teramano il gotico ancora oggi caratterizza parte delle architetture religiose: il massimo esempio è la chiesa di Sant'Agostino di Atri, nella parte del portale. Infatti si tratta del miglior esempio di "gotico fiammeggiante" d'ispirazione francese, che sembra avere molte analogie anche con il portale maggiore di Palazzo Annunziata a Sulmona, specialmente per la cornice a volute. Realizzato nel 1420 per volere di Piero Bonifacio Acquaviva, da Matteo di Napoli, il portale è inquadrato da questa doppia cornice, quella più esterna composta da motivi fitoformi a punta di diamante, che terminano nel raccordo sommitale, con figura di santo, e in una nicchia appena sotto c'è la statua di Sant'Agostino. Ugualmente in cima ai due stipiti laterali ci sono statue di santi, mentre tutta la cornice a quadretti è ornata da teste angeliche e di putti. Lo stesso può dirsi per l'esempio della chiesa di Santa Maria a Mare di Giulianova, dove i due stipiti sono ornati da leoni stilofori, sopra capitelli corinzi compositi, la cornice strombata dell'arco a tutto sesto è adorna di motivi vegetali e a croquet, e nello strombo più esterno è tempestata di teste angeliche, nel riquadro della lunetta c'è la Madonna col Bambino, e infine tale portale è inquadrato dalla tipica ghimberga gotica.

Portale di Santa Maria della Tomba a Sulmona

Infine a Sulmona e nella valle Peligna il gotico, essendo già presente nel XIII secolo, come testimoniano i documenti delle chiese di San Francesco d'Assisi e Santa Chiara, insieme allo stesso portale dell'antica chiesa degli Agostiniani, distrutta nel 1706, e rimontato nella chiesa di San Filippo in Piazza Garibaldi, si diffuse nel tardo Trecento, con delle maestranze della Majella, che eseguirono varie opere sia nella capitale degli antichi Peligni, sia nei centri della montagna orientale e occidentale, fino a Guardiagrele, come dimostra l'esterno del Cattedrale di Santa Maria Maggiore. Nicola Salvitti eseguì nel 1391 il portale della Cattedrale di San Panfilo, che gli fu commissionato dal vescovo Bartolomeo di Gasparre. Gavini sostiene che Salvitti operò anche nelle altre principali chiese di Sulmona, realizzando la facciata di San Francesco della Scarpa[104], e anche il portale di Santa Maria della Tomba. La mostra di San Panfilo, si richiama alla tipologia squisitamente gotica; infatti nel rispetto della maggior parte dei portali abruzzesi, presenta maggior sviluppo nel senso verticali, tanto che l'archivolto ogivale tocca quasi la cornice marcapiano, esempio di interpretazione e trasformazione all'abruzzese delle correnti artistiche, come il portale di Teramo, eseguito per celebrare il potere del vescovo degli Aprutini, che all'epoca amministrava il potere temporale e spirituale nella città.
Questo portale di San Panfilo, come gli altri coevi del Salvitti, è sovrastato da una lunetta archiacuta con affresco posteriore, ai lati due colonnine sostenute da leoni stilofori, che atterrano delle prede, con capitelli che s'impostano in edicolette con le statue dei santi patroni della diocesi e di Sulmona. Questi elementi differenziano il portale dagli altri, anche se il modello del leone stiloforo con colonna di sostegno era già frequente dal tardo romanico abruzzese, come dimostrano i casi di San Giovanni ad Insulam e Santa Maria Maggiore di Lanciano.

Il Rinascimento

La presenza di re Ladislao in Abruzzo, che governò su L'Aquila dal 1400 al 1414, comportò la repressione delle lotte delle famiglie Camponeschi e Bonagiunta, e gli inizi della ricostruzione della chiesa di Santa Giusta nel quartiere omonimo, di cui è parrocchia. Dal 1414 al 1435 regnò Giovanna II di Napoli, nel 1415 venne fondato da Giovanni Stronconi il convento di San Giuliano nei pressi di L'Aquila, con il beneplacito di San Bernardino da Siena e San Giovanni da Capestrano, considerato il primo dei Frati Osservanti d'Abruzzo. Nel 1240 Braccio da Montone, condottiero della regina Giovanna, divenne signore di Teramo, carica che mantenne sino alla morte nel 1424, mettendo a freno i disordini cittadini; nel contempo Luigi III d'Angiò combatté contro Alfonso d'Aragona, gli avvenimenti di questa guerra si riscontrano intorno Napoli, occupata dagli Aragonesi, mentre a L'Aquila, stretta d'assedio da Braccio dal 1423, si oppose una valida resistenza durante l'assedio, con una colazione composta dalle truppe di papa Martino V, Jacopo Caldora, Muzio Attendolo Sforza, assedio vinto il 2 giugno 1424 contro Braccio, che morirà per le ferite.
Nel 1432 venne eretto nella chiesa di San Biagio a L'Aquila in stile gotico il monumento sepolcro a Pietro Lalle Camponeschi, opera di Gualtiero d'Alemagna[105], mentre l'orafo e scultore Nicola da Guardiagrele eseguiva il Paliotto mirabile del'altare maggior della Cattedrale di Teramo. Dal 1435 al 1442 Renato d'Angiò, personaggio che si collega al cattolicesimo abruzzese, nel 1438 ascoltò le prediche di San Bernardino a L'Aquila, dove morì. Nel 1441 Giovanni Orsini venne nominato feudatario di Tagliacozzo e di Albe, nel 1442 a seguito di una guerra vinta contro Carlo d'Angiò, Alfonso I d'Aragona divenne re di Napoli, regnano sino al 1448.

Il castello aragonese di Ortona (1448-1452 ca.)

Date importanti sono il 1443, quando Alfonso suddivise il Regno di Napoli in 12 province, nominò Chieti capoluogo degli Abruzzi Citra e Ultra, dove il fiume Pescara è il confine tra le due sottoprovince. Il 1444 poi, quando morì San Bernardino, e il 1445, quando Alfonso fece costruire ai confini degli Abruzzi con le Marche la fortezza di Civitella del Tronto. L'attività del sovrano venne completata allorché riordinò tutte le antiche disposizioni e consuetudini riguardanti la pastorizia e la transumanza nel Regno di Napoli, formando un'amministrazione particolare denominata "Dogana della mena delle pecore in Puglia", con sede a Foggia. Con tale atto fu favorita la transumanza delle montagne e regolarizzata, sino al Tavoliere delle Puglie dall'Aquila, da dove il grande tratturo partiva dalla basilica di Santa Maria di Collemaggio.
Nello stesso anno fu costruito l'ospedale di San Salvatore all'Aquila, presso l'ex convento di Sant'Agnese, voluto fortemente da San Giovanni di Capestrano il quale nel 1448 fondò anche il convento di San Francesco a Caramanico Terme, mentre a Ortona il vecchio fortino Caldora veniva notevolmente potenziano, assumendo l'attuale connotazione del Castello Aragonese[106]

Nel 1454 vengono intrapresi lavori della fabbrica della basilica di San Bernardino a L'Aquila, lavori bloccati dal grave terremoto del 1461, e successivamente riportati in opera dal maestro Nicola Filotesio di Amatrice, che realizzò la pregevole facciata. In questo periodo nella grande piana di Navelli si sviluppò la coltivazione dello zafferano, che dette a L'Aquila notevoli benefici. Nel 1457 venne conclusa la costruzione dell'ospedale aquilano del convento di Sant'Agnese, nel 1459 dopo un forte terremoto, si riprese come detto la costruzione del cantiere di San Bernardino, durante il regno di Ferrante I d'Aragona. Dopo il terremoto del 1461 si procedette alla sistemazione idrica aquilana mediante un grande acquedotto, che sostituiva il precedente romano, e vennero risistemate le fontane pubbliche, venne istituito il Monte di Pietà dal frate Giacomo della Marca, mentre il Comune devolvette per 10 anni la gabella dello zafferano di Navelli per finanziare il cantiere di San Bernardino.

La Fontana del Vecchio a Sulmona, con lo stemma aragonese (1474)

Nel 1466 fu ricostruita Basilica di Santa Maria del Colle a Pescocostanzo nell'altopiano delle Cinquemiglia, nel 1469 venne costruita la chiesa di Santa Maria del Soccorso a L'Aquila, con la mugnificenza di Jacopo di Notar Nanni, che si fece erigere il proprio mausoleo dallo scultore locale Silvestro di Giacomo dell'Aquila, autore anche del mausoleo di San Bernardino e di varie opere lignee scultoree a carattere sacro. Nel 1470 Giulio Antonio Acquaviva rifondò l'antico castello romano-bizantino di Castrum Novum, chiamandolo Giulianova, trasferendovi tutti i cittadini di San Flaviano, dal nome della chiesa dove era venerato il santo, all'epoca chiamata "Terravecchia"; nello stesso anno furono fondati i monasteri del santuario di Santa Maria dei Lumi a Civitella del Tronto, e del convento di Santa Maria del Paradiso a Tocco da Casauria, dove già esisteva un monastero dei Francescani, poi di San Domenico. Contemporaneamente a Chieti il vescovo Costantino Valignano restò il palazzo vescovile, dotato di una torre di guardia del 1470, eretta da Colantonio Valignani. Nel 1472 venne traslato nella basilica di San Bernardino il corpo santo, che nel frattempo si trovava nella cella dell'ex convento di San Francesco a Palazzo, dove oggi sorge il Palazzo del Convitto Nazionale "Domenico Cotugno", benché la cella di morte sia stata preservata. La città di Sulmona alla fine della costruzione dell'acquedotto svevo, edificò la Fontana del Vecchio che si affaccia sul Corso Ovidio, dalle eleganti forme rinascimentali con lo stemma aragonese e datazione 1474, e una dei pochi esempi del rinascimento sulmontino, visti i danni del grave terremoto del 1706 che ci sarà.
La città di Pescocostanzo chiese in quei tempi alla regina Giovanna I d'Aragona la concessione per gli abitanti di alcuni pascoli selezionati per il Tavoliere, a dimostrazione dello stato d'immunità della città, anziché sottostare a un feudatario; nel contempo Ferrante donò alla regina sua cugina la città di Sulmona. Nel 1480 morì Renato d'Angiò e gli successe Carlo IV d'Angiò, nello stesso anno a L'Aquila congiurarono contro Ferdinando le potenti famiglie della città, dato che avevano sempre in odio la casa d'Aragona dal momento della sua installazione al trono, nonostante le numerose concessioni ricevute e le esenzioni dai pesi fiscali.

San Bernardino, il simbolo del rinascimento abruzzese

Lo stesso argomento in dettaglio: Basilica di San Bernardino.
Facciata di San Bernardino

Fu realizzata nella parte ovest del quarto, verso Porta Leoni. La costruzione di una chiesa che conservasse le spoglie di San Bernardino da Siena, morto nel 1444, e proclamato santo nel 1450, fu voluta dal monaco San Giovanni da Capestrano, con finanziamento del banchiere di Jacopo di Notar Nanni, intimo del santo senese. I lavori furono avviati e terminati tra il 1454 e il 1472[107], con la bella facciata realizzata in stile rinascimentale da Cola dell'Amatrice (1525), di cui resta l'unico elemento originario insieme al campanile, mozzato dal sisma del 1703, che distrusse anche l'interno. Il terremoto dunque danneggiò seriamente la chiesa, che venne ricostruita insieme all'annesso convento. Nel 1946 Papa Pio XII la elevò a basilica minore, e divenne sede definitiva della confraternita che organizza la processione del Cristo morto. Il terremoto del 2009 danneggiò nuovamente la chiesa e distrusse il campanile, che però è stato mirabilmente ricostruito, insieme al restauro della chiesa, terminato nel 2015. La facciata è divisa in tre ordini per mezzo di cornici marcapiano, mentre quattro coppie di paraste dividono verticalmente il piano. In cima si trovano tre oculi, due dei quali mostrano il trigramma PHS di San Bernardino circondato da sole con raggi, mentre al livello inferiore si trovano solo due oculi laterali, e lo spazio centrale è occupato da tre grandi finestre. Al termine del grande cornicione riccamente decorato, si trovano alla base tre portali architravati, dei quali quello centrale è più grande, con una decorazione molto festosa della Vergine col Bambino tra San Giovanni di Capestrano e San Bernardino. La chiesa ha una cupola presso il transetto, un campanile laterale a torre un una abside semicircolare, mentre a destra il complesso è attaccato al grande edificio dei frati, con chiostro abbellito da pozzo e doppia fila di arcate ogivali. L'interno è composto da tre navate e da un grande vano ottagonale dove si trova la cupola, più l'altare. Lungo la navata destra la seconda cappella custodisce la pala d'altare smaltata di Andrea della Robbia della Vergine Incoronata - Resurrezione e Vita di Gesù.

Le torri campanarie rinascimentali

La fascia territoriale di Teramo e Atri beneficiò molto, grazie alla politica dei Melatino e specialmente degli Acquaviva, della nuova corrente artistica rinascimentale, specialmente nel settore architettonico. Non a caso le città, benché molto antiche e risalenti all'epoca romana, si presentano insieme ai borghi circostanti con un tessuto edilizio il cui materiale è il mattone cotto e la pietra tufacea e arenaria. Poche sono le strutture medievali sopravvissute per via dei rifacimenti, come nell'esempio di Teramo dove restano Palazzo Melatino, Casa Franchi, Casa Catenacci, la chiesa di Santa Caterina e quella di San Luca.
programma di rinnovamento, nella direttrice separata dalla ristrutturazione di chiese e palazzi, che si estese poi in giù nell'Abruzzo Citeriore di Chieti, riguardò la rifortificazione degli antichi presidi da una parte, e il carattere prettamente ornamentale e monumentale dall'altra, rappresentato da Antonio da Lodi. La presenza lombarda in Abruzzo nel XV secolo dette vita alla "scuola Atriana" per quanto riguarda la ricostruzione monumentale dei campanili delle grandi cattedrali e collegiate. Antonio fu attivo a Teramo nel 1493, a Chieti nel 1498, e in questo lustro si dedicò al rifacimento delle torri di Santa Maria La Nova di Cellino Attanasio, di Santa Maria in Platea a Campli, di San Michele a Città Sant'Angelo e così via. Ovviamente Antonio fu capo di una bottega, data la differenza di questi "campanili fratelli", alcuni più decorati, altri di modesta fattura, come quelli di Sant'Antimo a Montepagano, della Madonna delle Vergini a Torricella Sicura.

Torre campanaria della chiesa di Santa Maria Nova a Cellino Attanasio

I modelli primari sono le torri della Cattedrale di San Berardo a Teramo e della Basilica dell'Assunta ad Atri. Quest'ultimo alto 57 metri, risaliva al XII secolo, avente forma prismatica quadrangolare, terminato nel 1305 da Rainaldo d'Atri e Raimondo del Poggio, che lavorarono alla fabbrica della basilica trasformandola in stile gotico. Il prisma ottagonale superiore è stato realizzato da Antonio, che ha decorato il resto della torre con cammei, losanghe e cornici marcapiano. Quattro grandi occhialoni con cornice smussata compaiono sulle facce del terzo ordine mentre il quarto è destinato alla cella campanaria. Il prisma ottagonale è scandito da lesene angolari collegate in alto da archetti pensili a tutto sesto, con sottostante scodella, mentre orizzontalmente è diviso in due ordini da fascia rilevata. Nell'ordine inferiore sono poste otto bifore ad arco con sottile colonnina centrale, base e capitello. L'ordine superiore mostra otto oculi incorniciate a fasce a rilievo, bordate con scodelline invetriate policrome, che si trovano sia sotto le arcatelle accavallate, sia lungo le fasce di coronamento. Infine otto pinnacoli concludono in alto il prisma, circondato da cuspide piramidale che culmina con globo metallico a croce.
Insomma il campanile di Atri costituisce l'archetipo e modello dei campanili fratelli dell'Abruzzo rinascimentale, e molto simile a esso è la torre del Duomo di Teramo, esistente già dal XII secolo, ma completata nella parte superiore (1493) da Antonio. Sopra il prisma del Duomo di elevano quattro pinnacoli, la torre non presenta lesene angolari, presenti invece nel prisma.

Il campanile di Santa Maria in Platea a Campli è del 1395, fu decorato da Antonio, e restaurato nel 1893 da Norbero Rozzi, che ricostruì la cuspide abbattuta da un fulmine nel 1780, e lo stile del prisma è coevo a quello di Atri e Teramo. Un restauro abbastanza corposo, ma fedele al progetto originale, si ebbe nei primi anni del Novecento anche nel campanile di San Giustino a Chieti, poiché il terremoto del 1703 aveva abbattuto la cuspide.

Veduta del Castello cinquecentesco

Il Forte spagnolo de L'Aquila, detto anche "Castello Cinquecentesco", costituisce un particolarissimo esempio dell'architettura militare rinascimentale, edificato secondo le efficienti e moderne tecniche dell'epoca spagnola. Fu edificato sopra il "Castelletto" nel 1535, quando il viceré don Pedro di Toledo commissionò la progettazione a Pedro Luis Escrivà (o Pirro Aloisio Scrivà[108]), con finanziamento diretto dagli aquilani, per la punizione di essersi ribellati alla corona spagnola. L'edificio presenta una pianta quadrata con cortile interno, circondata da quattro grandi bastioni angolari dai profili affilati, i quali si contraddistinguono per la singolare presenza di doppi lobi di raccordo al corpo quadrato, che avevano la funzione di raddoppiare il numero delle bocche da fuoco.

Il perimetro dell'intera costruzione è contornato da un enorme fossato, non destinato a essere allagato, dal quale si erge a scarpata il recinto poligonale a bastioni. All'ingresso di sud-est si arriva attraverso un punto in muratura, impostato su piloni a pianta romboidale; è interessante notare come il parallelismo dei lati dei piloni corrisponda a quello delle linee di tiro delle feritoie, situate nei bastioni, così da impedire la presenza di punti morti dove agli aggressori avrebbero potuto trovare riparo.

La facciata principale è molto decorata dal portale in pietra con il fregio centrale dello stemma asburgico di Carlo V con l'aquila bicipite, e di due aperture con timpani triangolari. L'architettura interna è costituita al piano terra da un ampio porticato a robusti pilastri quadrati, dai vari locali del corpo di fabbrica e da una cappella. Una scala conduce al piano superiore dove si trovano grandi sale decorate con soffitti lignei e motivi ornamentali in pietra, destinate a ospitare il Governatore Militare.

Pescara, via delle Caserme

Monumentale fu, poiché oggi è quasi scomparsa, la fortezza spagnola voluta da Carlo V nel 1510 a Pescara. La fortezza ricopriva tutta l'area abitata dell'antica Aterno, il nucleo a sud della Pescara (oggi il rione Porta Nuova), e la porzione del quartiere Castellammare Adriatico a nord del fiume. Essa era a pianta trapezoidale irregolare con sette grandi bastioni lanceolati, come quelli del castello de L'Aquila, e ne aveva due a nord, dove si trovava la Caserma di artiglieria (i bastioni San Vitale e San Francesco), e cinque a sud, ossia San Nicola, San Cristoforo, San Rocco, San Giacomo e Sant'Antonio. Si ipotizza che, in vista della presenza della chiesa di San Giacomo, distrutta però nel 1943, questi bastioni fossero dotati di cappelle. Anche se nell'abitato di Aterno esistevano i monasteri di Sant'Agostino, delle benedettine femmine, di San Francesco d'Assisi e di San Giacomo, molte alla chiesa parrocchiale di San Cetteo.

Dopo la perdita della funzione militare, il forte nel XVIII secolo venne lentamente smantellato, soprattutto nel tardo Ottocento, per permettere lo sviluppo della città nuova verso il mare e verso Castellammare. Oggi di quest'antica fortezza resta solo il tratto delle ex-fabbriche penali in via delle Caserme, vicino la casa natale di Gabriele d'Annunzio, dove è stato allestito il Museo delle Genti d'Abruzzo.

Barocco e tardo barocco

Interno barocco del Duomo di San Giustino a Chieti

Il barocco dell'Abruzzo Citeriore

Il barocco in Abruzzo, come gli altri stili precedenti, s'impose per caratteri di restauro e conservazione, più che per aderire al nuovo manifesto artistico. Tuttavia è il caso di non generalizzare, prendendo a parte gli episodi tellurici di L'Aquila e Sulmona del 1703-1706, poiché con il Concilio di Trento del 1545 già si erano prese le nuove misure di riforma dell'architettura delle chiese. Infatti in Abruzzo prevarrà, sia nei restauri a causa dei terremoti, sia per conferire nuovo slancio e nuovi spazi elle preesistenti chiese, la riforma gesuitica romana, soprattutto a L'Aquila e Chieti. Questa attuò il programma di rifacimento totale dell'architettura sia civile sia religiosa a partire dalla metà del Seicento, ma con interventi molto più cospicui nella metà del Settecento. La Cattedrale di San Giustino dal 1764 al 1770 fu completamente trasformata, con la volta realizzata dall'artista Zoppo, su committenza degli arcivescovi Matteo Seminiato e Francesco Brancia[109]. Il risultato, discostandosi dal corredo pittorico di tele, è quello di un barocco molto sobrio ed equilibrato, di stampo lombardo, poiché a Chieti operarono maestranze nordiche e napoletane, insieme allo stuccatore teatino Michele Clerici e a Carlo Fantoni.
Queste maestranze modificarono corposamente, con l'aiuto degli stuccatori Giovan Battista Gianni e il pittore Giovanni Battista Spinelli, tutte le chiese della città, a partire dal complesso della chiesa di San Francesco al Corso fino alla chiesa della Trinità, dall'ex convento di Sant'Anna degli Scolopi (oggi San Domenico Nuovo) fino al monastero di San Domenico (demolito nel 1913), dalla chiesa di San Giovanni Battista alla chiesa di Sant'Agostino.

Chieti, Lanciano e Vasto Il barocco a Chieti fu il risultato della collaborazione di diverse correnti di pensiero, che produssero una città nuova e moderna. Il barocco delle chiese si alterna dall'influenza nordico-lombarda a quella romano-napoletana, mentre i palazzi hanno subito l'influsso dell'arte laziale.

Interno della Basilica della Madonna del Ponte a Lanciano

Il barocco abruzzese però, come soprattutto nei casi di Vasto e Lanciano, nell'ambito chiesastico si curò di rinnovare sì, anche in maniera troppo espansiva in certi casi, gli interni delle parrocchie, ma non in maniera da stravolgere, almeno non nella maggior parte dei casi, tutta la struttura precedente dell'architettura, lasciando sostanzialmente integri gli esterni e le facciate. Cosicché oggi si hanno molte chiese con un aspetto apparentemente gotico o romanico fuori, e l'interno barocco, o addirittura neoclassico. Casi a parte poi sono quelli della metà del Novecento, dove si combatté una battaglia di ripristino e smantellamento degli interventi barocchi e medievali delle chiese di Penne, L'Aquila, Sulmona e Teramo, il cui massimo esponente fu il soprintendente Mario Moretti.

Oltre a Penne, a Lanciano il barocco può sintetizzarsi, da una parte come l'ultimo segno di grandezza di una città in cronica decadenza economico-politica a causa dell'infeudamento spagnolo[110], dall'altra come il tentativo in parte riuscito della città di dare lustro a sé stessa, anche se mentre nell'Abruzzo fiorivano nuovi monasteri e nuove chiese, in città venne realizzata solo la chiesa di Santa Maria del Suffragio, o del Purgatorio. A causa delle varie conquiste da parte dei francesi e degli spagnoli, e fiaccata da lotte fratricide delle famiglie più nobili, Lanciano attraversò l'epoca barocca senza che nulla di nuovo, sia dal livello politico sia artistico, desse nuovo slancio vitale alla società, eccetto l'aver dato i natali al compositore Fedele Fenaroli. Tuttavia fu necessaria, in virtù dei traffici mercantili e delle fiere, che comunque davano lo stesso lustro alla città e capitali all'economia agricola, e dunque in riferimento all'arricchimento dei privati, del marchese d'Avalos che aveva in feudo la città, e dell'Arcivescovo, in ambito religioso la costruzione di una nuova grande chiesa che potesse ospitare più agevolmente le funzioni religiose. La Piazza centrale, oggi del Plebiscito, era diventata ormai il centro vitale dell'economia e della vita pubblica, quando prima nel medioevo il centro stava nel rione Civitanova, con sede della cattedra la chiesa di Santa Maria Maggiore, posta accanto al palazzo arcivescovile; e dunque la vecchia chiesa di Santa Maria delle Grazie o del Ponte (XIV secolo), non riusciva più a contenere le funzioni religiose. Dalla metà del Settecento in poi questa chiesa venne radicalmente trasformata da varie maestranze quali Carlo Fantoni e Giacinto Diano, che si spartirono i lavori di riammodernamento delle parrocchie di Lanciano con Carlo Piazzola e Girolamo Rizza[111]

Chiesa della Madonna del Carmine a Vasto

La vecchia chiesa del Ponte di Diocleziano divenne nuova sede della cattedra, nel XVII secolo era stata già costruita la monumentale torre civica, fu dotata di una navata, con un soffitto voltato con quattro ellissi, e cupola verso l'abside, e una grande cappella laterale dedicata al Sacramento. La facciata verrà completata solo in parte, in stile neoclassico nel 1819 da Eugenio Michitelli, mentre tutte le chiese di Lanciano: Sant'Agostino, San Francesco, Santa Lucia, Santa Chiara, Santa Maria Maggiore, San Nicola, San Maurizio, San Giovanni Battista venivano rifatte negli interni. Ma non si trattò di radicali trasformazioni, quanto più di semplici creazioni di strati di stucco con decorazioni varie a ricoprire la muratura in mattoni e pietra dell'epoca medievale.
Ovviamente un caso a sé stante fu la chiesa di Santa Maria Maggiore, che venne stravolta con la creazione di una seconda facciata nel XVI secolo in stile pseudomedievale, e dotata di altre due navate, in modo che la chiesa ne avesse in tutto 5. Tutto questo fu tolto con l'interno gotico a tre navate ripristinato nel 1968, anche se dall'esterno si evince chiaramente la disorganicità dell'insieme, incominciando dal campanile a torre posto in posizione.

Lunetta d'altare della chiesa di San Domenico ad Atessa

La terza città dell'Abruzzo Citeriore che maggiormente beneficiò del barocco, fu Atessa. I maggiori contributi furono apportati alle chiese di San Leucio, San Michele, Madonna della Cintura, Santa Croce, San Domenico e al convento di San Pasquale. La partitura in stucchi di almeno due chiese di Atessa (San Domenico e San Leucio), venne realizzata nel 1601 ca da Tommaso Gutard Lombardo, mentre le pitture, d'ispirazione napoletana, furono realizzate dall'artista locale Giacomo Falcucci nella metà dell'800. Benché lo stile dei palazzi sia più tardo, specialmente quelli affacciati sul Corso Vittorio Emanuele, è ben chiaro l'uso del mattone cotto e del laterizio, usato anche a Penne, che tende a un moderato classicismo per quanto riguarda gli esterni, sia di chiese sia di architetture civili, e a uno slanciato percorso di ricerca prospettica e decorativa di stampo campano per gli interni, soprattutto dei luoghi sacri.

Chiesa di Santa Maria della Vittoria a Villa Romagnoli di Mozzagrogna, un tipico esempio di barocco rurale abruzzese

Nell'epoca del tardo barocco, in Abruzzo si hanno il completamento di alcune strutture, specialmente a L'Aquila, come la chiesa delle Anime Sante e la Cattedrale di San Massimo, nella seconda metà del Settecento. Tuttavia Atessa e Chieti possono considerarsi, insieme a Lanciano, l'esempio tipico della seconda fase del barocco in Abruzzo, che come si è detto entrò tardi, e solo in sparuti casi nella seconda metà del Seicento.
In questa fase, alle soglie dell'Ottocento, l'arte tardo barocco si manifestò soprattutto nell'ambito rurale, con la costruzione ci case coloniche di campagna, cascinali e masserie, nonché piccole cappelle votive nelle contrade. E ovviamente lo stile si manifestò nelle varie diverse sfaccettature, in base alla fascia territoriale abruzzese. Gli esempi più interessanti si trovano nel contado di Chieti, Lanciano, Vasto e Atessa, in quei punti dove le antiche masserie si conservano ancora abbastanza fedelmente allo stile originario, senza aggiunte posticce, con il tipico aspetto di casa fortificata palaziata in mattone cotto, e dove le chiese mostrano una cristallizzazione del barocco napoletano, tanto da aver raggiunto una connotazione di modello base tipico abruzzese: ossia la pianta rettangolare a capanna con tetto spiovente, portale in mattoni, finestrone centrale, e campanile (anche se molti di questi sono ottocenteschi) a torre con orologio d'ornamento e gabbia metallica in ferro battuto con le campane per battere le ore.

Queste chiese sono presenti soprattutto nell'area frentana attorno Lanciano, avendo conservato di originale solo l'esterno, poiché gli interni, salvo alcuni casi, furono riammodernati nel secondo Ottocento, adottando lo stile neoclassico.

Il rinnovamento delle città dello "Stato Farnesiano"

Il soffitto della chiesa di Santa Chiara a Penne

Altre città che beneficiarono del barocco semplicemente per rinnovamento furono Penne, Lanciano e Vasto. La prima città, subì già dall'epoca dello stato farnesiano di Margherita d'Austria e Ottavio Farnese nella metà del XVI secolo un radicale cambiamento architettonico, vedendo fiorire il rinascimento e il primo barocco seicentesco, riscontrabile nella tecnica edilizia presente in tutte le architetture, tanto da esser definita "città del mattone", molto simili anche a quelle del paese di Città Sant'Angelo, nonché di Loreto Aprutino.

Sorsero palazzi rinascimentali e seicenteschi di stampo manierista, come Palazzo dei Vestini, Palazzo Margarita, Palazzo Aliprandi, mentre le antiche chiese medievali subivano l'influsso di rinnovamento teatino, il cui esponente fu Giovan Battista Gianni, che arredò gran parte dei monasteri, come Santa Chiara e San Giovanni dell'Ordine di Malta.
Quanto riguarda le chiese, a Penne e Città Sant'Angelo si testimonia la presenza di Giovan Battista Gianni, artista lombardo, che stuccò le principali parrocchie di Santa Chiara, San Giovanni Evangelista e San Giovanni Gerosolimitano, oltre alla chiesa di San Bernardo. I suoi discepoli, attivi nel secondo ventennio del Settecento, ossia Girolamo Rizza e Carlo Piazzola, furono attivi specialmente a Chieti e Lanciano.

Il modello pennese e angolano si estese presto, con imitatori, per tutto il Settecento nel distretto di Città Sant'Angelo, sino ai confini con Teramo. Di queste architetture, che prediligevano l'eleganza del mattone tagliato e del laterizio, e specialmente della decorazione interna delle chiese con fastosi apparati a stucco e pennacchi dalle svariate forme, l'esempio più felice è la chiesa di Santa Chiara in Città Sant'Angelo.

La monaca abbadessa Laura de Sterlich stipulò un contratto con questi stuccatori, allievi di Giovan Battista Gianni, che ugualmente fu molto attivo tra Penne (San Giovanni Evangelista, Santa Chiara, San Giovanni Gerosolimitano dei Cavalieri di Malta) e Chieti (chiesa di San Francesco al Corso, Chiesa di San Domenico al Corso); questa chiesa dunque rappresenta uno dei vertici dello sperimentalismo barocco in Abruzzo d'ispirazione lombarda. La geometria triangolare prende ispirazione ai modelli romani di Francesco Borromini, di Guarino Guarini e Bernardo Vittore, la pianta è costituita dal triangolo equilatero ai cui vertici sono collocate tre cappelle absidate, incorniciate da ampi archi a tutto sesto. Le pareti si caratterizzano per la presenza di lesene con capitelli in stile corinzio, sulle quali si imposta la cornice mistilinea, sormontato da un motivo a palmette dorate su fondo blu.

La cupola emisferica si innesta, tramite cornice che ne ricalca il profilo, su una fascia circolare scandita dalle ampie arcate delle cappelle, e da lesene con capitelli ionici. Nel medesimo spazio si collocano poi le finestre rettangolari e sei medaglioni sorretti da putti. La cupola presenta una modesta decorazione a partitura geometrica, ed è illuminata da tre aperture ovali, poste in asse con tre altari; all'articolata composizione interna si contrappone la semplicità della faccia, composto da parte centrale a terminazione piana, e da due ali laterali poco spioventi, prive di plasticità. Il corpo maggiore della faccia è leggermente concavo, scandito verticalmente da due fasci di lesene mentre presenta una cornice marcapiano, che ne divide lo spazio in due. Nella fascia superiore si trova un finestrone centrale, in basso il portale, decorato da semplice lunetta

Palazzo Coppa Zuccari

All'interno la controfacciata è dominata dalla cantoria con l'organo, sostenuta da quattro mensole, decorata da motivi vegetali e nastrini e fascette: il pannello maggiore ha due cantari con fiori laterali, la colomba centrale dello Spirito santo o l'allegoria cristiana del Pellicano. Sulla sinistra dell'accesso si nota una grata metallica, che metteva in comunicazione la chiesa con i locali interni delle monache di clausura, che assistevano alle funzioni mediante il matroneo. Il pavimento della chiesa è stato realizzato nel 1856 dall'artigiano friulano Giovanni Pellarin, che realizzò anche quello di San Francesco d'Assisi, e la parte dell'altare della collegiata di San Michele. Fa parte dei "terrazzi" alla veneziana, ripartizione modulare di triangolari gialli, bianchi e neri, convergenti verso il rosone centrale, che costituisce il punto di intersezione di due assi, composti da triangoli più grandi, il cui andamento dall'interno verso l'esterno crea un movimento ottico di espansione, con gli assi orientati verso i Punti Cardinali.

I tre altari caratterizzati sono caratterizzati dalla profusione di cornici e dorature, presentano una nicchia inserita in una struttura riccamente modanata, priva di ordini e sormontata da cartiglio con iscrizione latina. Lateralmente su ciascuno spiccano due paraste decorate da motivi a grottesche ed elementi fitomorfi, accompagnati da busti, putti e uccelli; l'altare maggiore è decorato a Santa Chiara d'Assisi, con la statua vestita, adora di un abito in stoffa dell'ordine, sul petto dal reliquiario in argento, contenente un frammento osseo; il corredo è completato da una pisside, un pastorale e una corona. Lateralmente spiccano altre due statue di Santa Barbara e Santa Caterina d'Alessandria con la ruota dentata del martirio.
Presso i lati della chiesa si trovano altre statue di santi: San Pasquale Baylon, Sant'Antonio di Padova con il Bambino, presso il terzo altare c'è la Madonna del Rosario, affiancata da San Francesco di Paola e San Francesco Saverio. Questi altari sono oranti da pannelli affrescati, che mostrano molte figure di sante donne. Santa Cecilia, Santa Teresa d'Avila, Giuditta con Oloferne.

Il soffitto ligneo di San Bernardino a L'Aquila, di Ferdinando Mosca
Il barocco di ricostruzione tra L'Aquila e Sulmona

Nella fascia teramana non si hanno spiccanti esempi d'arte barocca, se non in sparuti casi, come nella chiesa dello Spirito Santo nella città di Teramo, e nella Collegiata di Santa Maria in Platea a Campli. Il resto, per quanto fosse stato toccato da questa corrente artistica, o fu ripristinato massicciamente nel corso della metà del Novecento in un ipotetico stile medievale, come nei casi di Santa Maria delle Grazie e del Duomo di Santa Maria e San Berardo a Teramo stessa, o del Duomo di Giulianova o del Santuario dello Splendore. Sicché la presenza barocca nella provincia fu sì d'interesse, ma senza quello slancio artistico e sperimentale che si evince specialmente a L'Aquila e Sulmona, durante i lavori di riedificazione delle città dopo i disastri tellurici. Il barocco nel teramano subì l'influenza marchigiana, e ciò si vede nell'interno tardo-rinascimentale e proto-barocco di Santa Maria in Campli, nel convento dei Sette Fratelli di Giulianova e nel santuario di Santa Maria dei Lumi a Civitella del Tronto.

Per quanto concerne L'Aquila, la città conservò sì l'antico assetto medievale di cardi e decumani, con le mura di cinta, ma molte chiese storiche edificate nel XIII-XIV secolo subirono drasticamente dei rinnovamenti per gli evidenti danni del 1703. Per questo una parte di chiese dalla facciata romanica medievale, come San Pietro a Coppito, Santa Giusta e San Marciano, all'interno presentano uno stile del tutto diverso. Benché da una parte il barocco aquilano si fosse limitato soltanto a mostrare il classico schema di paraste con capitelli corinzi-ionici a divisione degli ambienti, di trabeazioni e cantorie, in altri casi furono adottati degli schemi sperimentali molto interessanti, provenienti specialmente da Roma, le cui maestranze di massimo interesse furono Giovan Battista Contini, Francesco Bedeschini, Ferdinando Mosca, Giuseppe Valadier, Sebastiano Cipriani. Tra il 1709 e il 1713 furono avviati i lavori principali alle fabbriche di Sant'Agostino, San Biagio d'Amiterno, Santa Maria del Suffragio e la Cattedrale di San Massimo in Piazza del Mercato. Queste quattro chiese infatti rappresentano la sintesi ideale, insieme al vicino oratorio di Sant'Antonio di Palazzo de Nardis, del barocco aquilano d'ispirazione romana. Per Sant'Agostino, dal Contini venne scelto il modello berniniano di Santa Maria di Montesanto a Roma[112], ovvero una pianta ellittica centrale con cupola superiore rettangolare, per la chiesa delle Anime Sante in Piazza Duomo Carlo Buratti progettò con Pietro Pozzolini un modello molto interessante di facciata, in travertino, con forme molto slanciate ma senza sfarzi, e una nicchia superiore con fasce geometriche, e nicchie laterali per le statue dei santi. Il Valadier progettò la cupola nel 1805. Il Duomo di San Massimo venne ricostruito ex novo dal Cipriani, e il progetto si limitò a una pianta monumentale a croce latina con abside semicircolare, cappelle laterali nella navata unica, e semi-cupole lungo il soffitto per accogliere affreschi. La facciata, avviata nel secondo Ottocento e completata solo durante il fascismo, non venne mai ultimata secondo il progetto, di cui non venne rispettata neanche la realizzazione della monumentale cupola all'altezza del presbiterio.

Chiesa delle Anime Sante

Anche le fabbriche di San Bernardino e Santa Maria di Collemaggio vennero notevolmente ampliate, insieme ad altri monasteri sorti proprio in prossimità dell'anno del terremoto, e che quindi non subirono grandi danni proprio perché ancora in fase di completamente, come il conventi di dei Gesuiti di Santa Margherita e l'ex convento di Santa Teresa d'Avila. Drastiche modifiche furono apportate alle chiese di San Domenico e San Pietro di Coppito, nonché a Santa Maria Paganica. La prima chiesa fu completata nel 1712 da Pietro Piazzola, che però non terminò la ricostruzione della facciata. L'interno oggi, benché monumentale, appare molto spoglio a causa della trasformazione in carcere dell'ex convento nel 1809, ma lo stile delle volte e botte intervallate da arconi, la trabeazione e i capitelli corinzi delle colonne-paraste delle tre navate dimostrano l'uso della forma base del barocco, senza alcunché di originale; e lo stesso poteva dirsi per San Pietro a Coppito, prima dei drastici restauri del 1974, sia dell'interno che della facciata, e sia di Santa Maria Paganica. Questa chiesa anzi, come ha dimostrato il terremoto del 2009, fu un esperimento non terminato di innalzamento notevole dell'originaria altezza, come si vede dalla facciata romanica, da cui parte quella barocca. La cupola e gli affreschi interni vennero terminati da Carlo Patrignani nel primo Novecento, e maldestri restauri successivi con il cemento armato hanno fatto sì che col 2009 tutto il tetto crollasse.

Nell'architettura civile, i maggiori esempi a L'Aquila sono il Palazzo Alfieri, il Palazzo Camponeschi, il Palazzo Arcivescovile, il Palazzo Centi, il Palazzo Margherita, il Palazzo Cipolloni Cannella, il Palazzo Gaglioffi-Benedetti e il Palazzo Porcinari. Molti di questi, insieme con altri, sono stati edificati su preesistenti costruzioni distrutte dal terremoto, altri, come Palazzo Quinzi o Palazzo Alfieri Ossorio erano già esistenti, e vennero ingranditi e riammodernati nel nuovo stile da architetti di rilievo quali Francesco Fontana, Francesco d'Accumuli, Carlo Waldis, il Mastro Cola di Cicco, che realizzò la facciata di Palazzo Centi. Le maestranze locali, pressoché di Pescocostanzo, esperti nell'intagliare il legno, realizzarono tra il 1715 e il 1721 di particolare pregio i soffitti lignei delle basiliche di Collemaggio e San Bernardino, ossia Panfilo Ranalli e Ferdinando Mosca. La magnificenza dell'intaglio, della doratura, e della decorazione delle scene sacre, specialmente in San Bernardino, hanno fatto scuola in tutto l'Abruzzo, eccettuata la cittadina di Pescocostanzo, con il coevo soffitto della Basilica di Santa Maria del Colle. Purtroppo, a causa di drastiche scelte anacronistiche, con il soprintendente Mario Moretti nel 1968 il soffitto ligneo di Collemaggio a fioroni, e dunque in ripresa dell'antico stile abruzzese romanico della scultura d'ambone, fu distrutto insieme all'apparato barocco interno. Ricostruzione di Sulmona dopo il 1706

Cappellone di Giacomo Spagna dell'Annunziata, a Sulmona

A Sulmona, ugualmente come L'Aquila, in seguito al terremoto del 1706, tutta l'area Peligna, dovette essere ricostruita. L'influsso fu prettamente napoletano, anche se in merito all'interpretazione abruzzese degli stili, la città ancora oggi si caratterizza per una sua originalità. Il monumento simbolo della ricostruzione barocca è senza dubbio la chiesa del complesso della Santissima Annunziata, seguito da San Francesco d'Assisi e da Santa Chiara. La chiesa dell'Annunziata fu ricostruita, eccetto il campanile, ex novo da Tommaso Cefalo e Giacomo Spagna nella metà del Settecento, in collaborazione con pittori e maestranze scalpelline, e intagliatori come Ferdinando Mosca, che fu molto attivo nel realizzare pulpiti, organi, soffitti. La facciata è caratterizzata da un portale a timpano curvilineo spezzato[113], caratteristica frequente in quasi tutti i portali barocchi della città e dei comuni limitrofi, con tralci vegetali e figure di putti. L'avancorpo centrale inoltre è più aggettante, inquadrato da doppie colonne laterali, con un finestrone centrale che ripropone, in maniera più arricchita, il modello del timpano spezzato, così come la sommità della facciata stessa, a timpano spezzato con statue di santi.

Esterno della chiesa di Santa Caterina, Sulmona

Il barocco fu impiegato anche per la Cattedrale di San Panfilo, sebbene in maniera meno monumentale, usato soltanto nella forma base della navata unica con volta a botte e paraste laterali, e per il vicino Episcopio. Entrando nella città, gli esempi più felici, tralasciando momentaneamente i palazzi, sono Santa Caterina d'Alessandria, San Francesco e Santa Chiara d'Assisi. Quest'ultima fu ricostruita in forme monumentali dal bergamasco Pietro Fantoni (1711), parente del più famoso Carlo Fantoni, che si occupò della ricostruzione di altre chiese sulmonesi. L'eclettismo barocco in Santa Chiara è molto evidente, dalle forme allegre e slanciate della facciata con doppie paraste corinzie laterali, e l'interno riccamente decorato da affreschi e altari in marmi policromi finemente lavorati, e intagli lignei dorati.

Singolare è anche la chiesa di Santa Caterina d'Alessandria di Sulmona, un caso unico per la città, e per l'architettura sperimentale barocca d'Abruzzo. Fu sperimentata una tecnica geometrica illusionistica simile a quello di Santa Chiara in Città Sant'Angelo: l'architetto Ferdinando Fuga nella ricostruzione del complesso dopo il sisma del 1706, adottò lo schema a impianto ellittico, già usato per la chiesa di Santa Maria dell'Orazione e Morte a Roma. Oltre alla decorazione a pennacchi e stucchi, soprattutto sugli spicchi della cupola ellissoidale che sovrasta l'aula centrale, il pittore Giambattista Gamba realizzò la decorazione con gli affreschi della Gloria di Santa Caterina e presso la cupola le Allegorie delle Virtù Cardinali e del Tetramorfo degli Evangelisti.

Tardo Settecento: la renovatio di Città Sant'Angelo

Le residenze signorili del centro corrispondono alla tipologia del palazzo nato come organismo unitario dall'accorpamento di edifici preesistenti. Al primo tipo dell'organismo unitario appartengono Palazzo Basile, Palazzo Imperato, Palazzo Coppa Zuccaro, Palazzo Ghiotti del 1880; il secondo tipo di trasformazione su strutture esistenti è riferito a Palazzo Castagna, al Maury, di cui si conserva il cortile risalente all'epoca medievale. Altri adattamenti subirono il Palazzo Crognale, il Palazzo Baronale sorto sopra la casa del Capitano Regio, di cui si conservano gli alloggi della servitù, gli scantinati per i prodotti agricoli, le stalle. Nella muratura medievale degli edifici sopravvissuti manca la perfetta verticalità delle pareti: nel muro esterno orientale del convento di San Francesco sono visibili bombature e ondulazioni della parete, sintomo di una non corretta posa in opera; d'altra parte si conservano anche mirabili esempi di maestri del lavoro quali la chiesa collegiata di San Michele, con il portico monumentale sul corso Vittorio Emanuele, con dettagli architettonici delle modanature e archetti pensili in mattoni.

Palazzo Colella

Dai rilievi sulle murature, si comprende che i mattoni usati nelle fabbriche medievali sono caratterizzati dalla variabilità di dimensione e dalla lavorazione non molto accurata: hanno grandi spessori, per il convento dei Francescani la muratura è stata rilevata in tre punti diversi: individuando i mattoni di lunghezza superiore a 30 cm, e spessori minori compresi tra 5–6 cm, come è riscontrato anche sul prospetto laterale della chiesa di San Bernardo, l'unico elemento medievale prima del rifacimento barocco.

La dimensione dei mattoni diminuì con la diffusione di una tecnica di lavorazione più accurata nel XVII-XVIII secolo. Venne usata l'argilla, estratta localmente, e dunque si pensa che vennero realizzate delle fornaci locali per la lavorazione del mattone. Le discrepanze tra i mattoni medievali e quelli settecenteschi, come sulle mura di San Bernardo (XVI secolo), completato già nel 1650. L'impiego del mattone lavorato è visibile nelle stesse caratteristiche lavorative anche negli esterni di Sant'Agostino e nel palazzo baronale, realizzato nel 1648, acquistato dalla famiglia Pinello, la quale commissionò il rifacimento dell'esterno sul corso Vittorio Emanuele. Si tratta del primo grande palazzo costruito in un tessuto precedentemente caratterizzato da cellule abitative modeste; le dimensione dei mattoni dell'edificio sono state rivestite da intonaco, ma venne continuato a essere utilizzato il mattone lungo 30 cm così come per la chiesa di Santa Chiara e il Palazzo Bartolini-Salimbeni. Nel Settecento i vecchi orti conventuali vennero occupati da case altoborghesi e popolari, alcuni isolati vennero occupati del tutto, come il caso del Palazzo Coppa Zuccaro, di proprietà di una famiglia facoltosa. I palazzi Imperato e Castagna sono realizzati con l'architettura settecentesca, conservando la facciata originale senza rivestimenti a intonaco; Palazzo Caccia venne realizzato tra il 1750 e il 1780; i lavori di rifacimento di San Bernardo servirono per adeguare l'edificio conventuale e quello della chiesa con impianto più solenne a navata unica, demolendo le tre originarie. I lavori ebbero inizio nel 1770; la chiesa di Sant'Agostino venne modificata nel 1789.

Furono modificare anche le porte di accesso: Porta Sant'Egidio presso San Bernardo venne modificata alla fine del Settecento, altre furono abbattute, come Porta Sant'Angelo, intorno al 1860. Nel 1845 venne progettata Porta Sant'Antonio, posta tra Porta Sant'Angelo e Porta Sant'Egidio. Architetto fu Emidio Giampiero, che realizzò nel 1856 anche il teatro comunale, ricavandolo da dei locali dell'ex convento dei Francescani. Caratteri più monumentali, anche nella loro sobrietà del linguaggio neoclassico, sono assunti dal Palazzo dell'Istituto magistrale Spaventa, a poca distanza dalla Collegiata.

Ottocento, tra neoclassicismo ed eclettismo

L'Emiciclo a L'Aquila, di Carlo Waldis

Nella seconda metà del XIX secolo il neoclassicismo entrò in Abruzzo. Nella maggior parte dei casi venne utilizzato come completamento e decorazione di architetture religiose che necessitavano di consistenti restauri, oppure per l'edificazione dei palazzi di rappresentanza delle principali città entrate nel neocostituito Regno d'Italia. Nell'architettura civile soprattutto pochi furono i casi di slancio artistico, e l'unico esemplare è il contributo di Carlo Waldis nella costruzione nel 1888 del Palazzo dell'Emiciclo sopra il vecchio convento di San Michele, a L'Aquila. Il palazzo, oggi sede del Consiglio Regionale d'Abruzzo, nei lati estremi ha due bracci colonnati che a semicerchio formano un piazzale centrale, esempio unico in Abruzzo, d'ispirazione al colonnato di Bernini di San Pietro in Vaticano, e una facciata monumentale sperimentale, con ornamenti floreali e vegetali che già alludono alla successiva venuta dell'eclettismo liberty.

Come detto, nel resto dell'architettura, il neoclassicismo si occupò di comparire nei palazzi municipali, nei palazzi della Provincia, della Prefettura, e delle Poste, in certi casi anche molto tardi, alle soglie degli anni '20 del Novecento, quando già lo stile nel resto d'Italia era stato soppiantato dal liberty. Sono questi ad esempio i casi del Palazzo del Governo di Chieti costruito sopra l'antico convento di San Domenico Vecchio nel 1913, e mostra caratteri eclettici liberty-neoclassici. Sempre a Chieti, non lasciandosi ingannare dai monumentali palazzi umbertino-vittoriani del Corso Marrucino, edificati dagli anni '10 ai '20 del Novecento (Palazzo Croce, Palazzo De Felice, Palazzo delle Poste, Palazzo Lepri ex UPIM, Palazzo Banca d'Italia), altre presenza del neoclassico si hanno nel teatro Marrucino, inaugurato nel 1818, ma profondamente modificato dopo il Risorgimento con l'aggiunta della facciata nuova e dell'interno riccamente dipinto e stuccato alla maniera dei teatri d'opera; e poi il Palazzo Vergilj, oggi sede del Museo Archeologico d'Abruzzo. Il neoclassicismo religioso s'interessò di alcune chiese, soprattutto nelle contrade teatine, in città riguardò l'interno della parrocchia di Sant'Antonio abate, e di San Francesco di Paola.

Prospetto della Basilica di Santa Maria del Ponte a Lanciano nel 1899

A Lanciano con Filippo Sargiacomo il neoclassico fu usato dal 1856 in poi per il restauro di numerose chiese, e per la costruzione di alcuni palazzi, come il Municipio, e della monumentale facciata della Madonna del Ponte (1819). Il neoclassicismo lancianese non si distingue per particolare interesse creativo, ma anzi fu usato semplicemente per sopperire al grave degrado delle chiese storiche, come Santa Maria Maggiore e Santa Lucia soprattutto[114]. In sostanza, con l'eccezione di chiese nate ex novo durante la presenza di questo stile, in Abruzzo il neoclassicismo di architetture religiose si limitò nell'uso di colate di stucco e intonaco bianco, suddivisione della navata in cappelle mediante paraste con capitelli ionici, trabeazioni, altari colonnati schematici in capitelli dorico-ionici, e nient'altro. Se fosse stata completata la facciata della Madonna del Ponte a Lanciano, su progetto di Eugenio Michitelli, il neoclassicismo abruzzese avrebbe avuto il suo posto d'onore nella storia dell'arte, ma il progetto venne completato solo a metà, con la costruzione di un nartece di quattro colonne monumentali, e pannelli che avrebbero dovuto ospitare quadri biblici, mentre da sopra la balconata, la facciata avrebbe dovuto innalzarsi con imponente architrave e colonnato di statue simile alla facciata di San Giovanni in Laterano.

Il revival neogotico

Un altro esempio, stavolta distrutto, di interessante neoclassico abruzzese, era la facciata di San Domenico, sopra cui fu edificato il Palazzo della Provincia, con ricco arredo di colonne, balconate e nicchie di statue, successivamente spostate nelle chiese della Trinità o di San Francesco d'Assisi. Forse un esempio unico nel suo genere è il santuario della chiesa di San Michele a Vasto, riedificato dopo il 1837 quando il santo divenne patrono della città. Il santuario ha pianta ottagonale con la facciata decorata da un ingresso colonnato, e i quattro lati maggiori da finestre e architravi a timpano triangolare.

Palazzo Ritucci Chinni a Vasto

Sempre nella metà dell'Ottocento, fino ai primi anni del secolo successivo, si andò delineando in alcune parti d'Abruzzo lo stile neogotico. Nell'architettura civile si hanno gli esempi del Palazzo Ritucci Chinni a Vasto, che rievoca il gotico veneziano, poi l'interno della stessa Cattedrale di San Giuseppe, terminato nel 1923 da Achille Carnevale, che ne curò anche i dipinti. Da questo esempio, si può ben capire come il neogotico abruzzese abbia preso tre direttrici: il neogotico d'ispirazione veneziana, presente soprattutto nell'architettura civile del teramano, come l'ex hotel Garden di Pineto, il santuario della Madonna dello Splendore di Giulianova e l'antico Palazzo del Credito Abruzzese di Alfonso De Albentiis a Teramo presso la Piazza E. Orsini, prima della demolizione e ricostruzione della Banca BNL negli anni '60. Negli anni '20 fu restaurato anche l'antico santuario della Madonna delle Grazie fuori Teramo, e da qui si può comprendere come l'eclettismo abbracciò sia questo stile della Serenissima, sia il tardo romanico pisano-toscano, per quanto concerne la decorazione a colonne binate bianco-verdi, presenti nel santuario di Giulianova, a Teramo, e anche nel santuario della Madonna delle Grazie di Monteodorisio, ne vastese. Addirittura in questo caso venne dipinto il soffitto riproponendo il modello stellato di Giotto nella cappella degli Scrovegni.
La seconda direttrice fu quella del gotico-liberty, usata a Lanciano in alcuni palazzi del centro storico, a Valle Castellana nel Castello Bonifaci, e nel Castello Della Monica di Teramo, vero e proprio borgo medievale costruito nel tardo Ottocento dall'architetto Gennaro Della Monica, su modello di quello di Torino, la cui architettura è un trionfo di interpretazioni di tutte le forme d'arte del Medioevo, del moresco, e dello stile orientaleggiante del liberty.

Lavori di rifacimento dell'esterno del Duomo di San Giustino a Chieti

Infine la terza direttrice riguardò un'interpretazione del gotico tutta abruzzese, i cui casi di maggior interesse erano delle villette presenti nella campagna tra Chieti e Pescara, distrutte dalla guerra e dalla speculazione edilizia. Una delle architetture più interessanti era Villa Sabucchi a Pescara, dove soggiornò anche Vittorio Emanuele II nel 1860, composta a forma di castello medievale con quattro grandi colonne-torri angolari, che terminavano a cuspide conica, e finestre bifore a sesto acuto.
A Chieti il caso più eclatante del neogotico abruzzesi, da una parte molto discusso, dall'altra apprezzato, è l'esterno della Cattedrale di San Giustino. Il Duomo Teatino, prima degli anni '20 del Novecento, si presentava in forme prettamente barocche, eccetto il campanile, che oggi si presenta in tre fasce ben distinte: la base in pietra dell'antica struttura normanna, la fascia centrale gotico-rinascimentale del XV secolo, e la cuspide su tamburo ricostruita nel Novecento dopo che il terremoto del 1703 distrusse quella storica. Dunque dal 1926 agli anni '30, la cattedrale fu interessata da un massiccio lavoro di rifacimento dell'esterno, che previde la costruzione del nuovo portale d'ingresso in stile gotico, con l'arco a tutto sesto romanico, e la ghimberga maggiore in stile trecentesco, poi il loggiato laterale con archetti incrociati, del tutto assenti nella precedente costruzione, il rosone della facciata maggiore, seminascosto dal campanile, e il rosone del braccio destro del transetto che si affaccia sulla piazza, oltre alla cupola ottagonale. I segni del mancato completamento di questo imponente lavoro di trasformazione sono evidenti soprattutto nel braccio sinistro del transetto, coperto dalla mole del Seminario Vescovile, dove si trova il finestrone barocco. Lungo il lato prospiciente la piazza, furono riaperte anche delle monofore a sesto acuto.

Architettura novecentesca

Ex Kursaal dell'Aurum a Pescara

Il movimento artistico cercò ispirazione nella forza della linea, nel tema floreale e vegetale, nella natura in generale, negli andamenti sinuosi dei tralci e nelle figure fitomorfe, animali e umane, combinate a volute, a elementi di fantasia oppure a quelli iconici e stilistici derivanti dall'arte giapponese. Nella decorazione delle architetture si trovano materiali nuovi, come il cemento armato in sostituzione della pietra, successioni ritmiche di elementi ricorrenti come le piastrelle in maiolica; ma è nelle ringhiere in ferro battuto che la ricerca artistica prende distanza, abbandonando il modello sulmonese-pescolano dell'epoca barocca.
Il liberty fu applicato in Abruzzo a tutte le discipline, dall'architettura alla pittura e alla scultura, i cui massimi esponenti furono Francesco Paolo Michetti, Basilio Cascella e Costantino Barbella; nell'architettura, ribadendo il concetto di continuità tra esterno, interno e arredamento, la nuova tendenza assurse quasi a livello "stile", maggiormente diffuso nelle ville private, negli edifici industriali, nei teatri, nei cinematografi, nei teatri e nelle sale espositive. I centri maggiori dell'Abruzzo beneficiarono dello stile, nell'ambito di progetti nuovi urbanistici, di allargamento dei nuclei abitativi oltre gli storici confini delle mura. In Abruzzo il liberty appare in toni pacati, e non sempre d'immediata identificazione, oppure si riduce a puro apparato decorativo in edifici d'impostazione eclettica. Per il caso di Lanciano, oltre al corso, venne ornato di villini anche il viale dei Cappuccini, per cui venne chiamato anche il famoso artista Gino Coppedè, che completò la villa omonima, e il Palazzo De Angelis sul corso Trento e Trieste, e Villa Marcantonio a Mozzagrogna, a mo' di palazzotto neorinascimentale fiorentino.

Eclettismo novecentesco: liberty, neo rinascimento, neo romanico

Come si è detto, essendosi sparso in maniera non uniforme nel territorio abruzzese, ad esempio a L'Aquila si può annoverare solo l'esempio principale di Villa Silvestrella, il liberty ebbe rapido avvio nella riviera di Pescara (quartiere Pineta e lungomare Matteotti), per via di Antonino Liberi, Camillo Michetti e Paolo De Cecco. Avendo già firmato il Palazzo Perenich, sul viale D'Annunzio, un esperimento di palazzo in bugnato in stile fiorentino, e il Kursaal della Sirena a Francavilla al Mare (1887), che poi sarà ricostruito nel 1947 come Palazzo Sirena, nel 1912 la giunta comunale di Pescara approvò il progetto di risanamento del parco della "Pineta Dannunziana" e della Pineta d'Avalos, a sud del quartiere Porta Nuova e a confine con Francavilla. Le attuali via Luisa d'Annunzio, viale della Pineta, viale Scarfoglio e viale Primo Vere vennero costellate di villini, in gran parte progettati dal Liberi, che rispondevano alle esigenze classiche del liberty, con decorazioni in stucco a tralci vegetali e motivi fitomorfi, esse sono: Villa De Lucretiis, Villa Clerico, Villa Pace, quelle nel quartiere della Pineta, non dimenticando l'importante struttura di Mario Pomilio dell'ex Kursaal dell'Aurum, liquore abruzzese prodotto a Pescara, mentre nella vecchia Castellammare, oggi il cuore pulsante di Pescara, vennero realizzati il Palazzo Muzii in Piazza Salotto in stile neorinascimentale e il Palazzo Verrocchio, oggi Hotel Esplanade, mentre nel quartiere di Pescara vecchia vennero realizzati il Palazzo "Camillo Michetti" con l'annesso teatro "Vicentino Michetti".

Palazzo Muzii-Castelli a Teramo

L'eclettismo liberty abruzzese apparve negli anni '20 con l'avvento del fascismo. Nelle opere non di regime, gli esempi migliori sono il Palazzo Castelli-Muzii di Teramo, ornato da tettoia neorinascimentale e figure umane e vegetali che celebrano la cultura agricola abruzzese. In liberty abruzzese infatti si può dividere in eclettismo neorinascimentale, eclettismo neoclassico di regime e neoromanico. Il liberty venne usati pressoché nelle ville signorili, e in case private, come Casa del Mutilato a Teramo in stile rinascimentale, le ville costiere del teramano e del chietino, come Villa Marchesani a Vasto. Sempre nel chietino, i due centri che beneficiarono specialmente di questo stile sono Lanciano, Vasto e Guardiagrele. La prima grazie al nuovo corso Trento e Trieste edificato dal Sargiacomo nel 1904 circa, negli anni '20 si dotò di signorili palazzi che avrebbero dovuto rappresentare un'entrata scenografica al centro storico dalla villa comunale, nonché il nuovo potere economico e commerciale della città nuova. L'architetto Donato Villante fu uno dei progettisti più influenti, realizzatore della maggior parte dei palazzi del corso, che si distinguono per la loro varietà stilistica che va dal neorinascimentale al neoclassico e al liberty eclettico: Palazzo De Angelis o del Banco di Roma, Palazzo Martelli Fantini, Palazzo Iavicoli Di Santo, Palazzo Bielli, Palazzo Paolini Contento, Palazzo De Simone.
A Guardiagrele li liberty venne usato come decorazione di palazzi civili realizzati su preesistenti costruzioni, e gli esempi più interessanti sono la casa di via San Giovanni, il Palazzo del Priore e Palazzo Liberatoscioli. Si tratta di costruzioni che mostrano chiaramente tracce del proto-razionalismo fascista, che negli anni '20 consisteva nella monumentalità dell'insieme, e nello schematismo delle forme, sintetizzato in una comunione con le linee curve.

Teatro Vittoria di Ortona

A Vasto l'eclettismo si sviluppò soprattutto con l'arrivo del fascismo, quando venne realizzata la monumentale Piazza Rossetti, collegata al Corso Italia, che immetteva alla villa comunale. Gli elementi più nitidi della presenza fascista in città sono il Politeama Ruzzi con l'aquila littoria, e il Palazzo delle Poste, con i fasci littori, mentre le costruzioni edificate lungo il corso nuovo, che sono a metà tra il neoclassico e il neorinascimentale, sono Palazzo Bottari, Palazzo Cieri, Palazzo De Sanctis, Palazzo Martella e Palazzo Melle-Molino.

Chiesa dell'Assunta a Sant'Eusanio del Sangro
Castello Della Monica di Teramo
Facciata di San Rocco a Castelfrentano

Le architetture più importanti, presenti in Abruzzo, di queste tre forme di eclettismo novecentesco sono:

Le correnti del neoromanico, del neoclassico e anche del tardo barocco furono utilizzate anche nel Novecento inoltrato, spesso per sopperire alla mancanza del completamento di alcune facciate, come quella della chiesa di San Rocco di Atessa, oppure per riqualificare completamente alcune cappelle che non erano state mai completate, se non nell'apparato murario in pietra concia, che avrebbe dovuto essere rivestito dal cemento o da decorazioni in pietra. Questi sono i casi dei rifacimenti completi delle chiese di San Giuseppe a San Salvo, di San Rocco a Castel Frentano, di Santa Maria Assunta a Cortino (stile neogotico), e di San Francesco a Cellino Attanasio, restaurando l'antica chiesa in stile gotico. Il rifacimento arbitrario di molti esterni, soprattutto avvalendosi del neogotico, fenomeno molto diffuso nei paesini della provincia di Teramo, oppure nel vastese, nell'area del Trigno-Sinello (Monteodorisio, Casalbordino, Fossacesia), ha fatto sì che l'antica struttura di chiesa campestre tardo barocca andasse perduta, dando un segno immediato di falso e di posticcio.

Interno della Cattedrale di Santa Maria Assunta (Teramo), nello stile romanico riesumato per volere di Francesco Savini nel 1930-33

Anche nel dopoguerra sono stati perpetrati alcuni restauri arbitrari e del tutto avulsi da qualsiasi criterio artistico, mettendo per un attimo da parte i restauri di Mario Moretti delle chiese romaniche dell'Abruzzo e de L'Aquila. Tra questi restauri, iniziati nel 1947 e continuati sino al 1962, si hanno i casi più eclatanti dell'interno del Duomo di Penne rifatto in laterizio (così come che la facciata della chiesa di Sant'Agostino, parzialmente rifatta seguendo il canone romanico), seguendo un vago stile romanico dopo i danni della guerra all'apparato decorativo settecentesco, poi la chiesa di San Donato di Fossacesia in revival neogotico, la basilica del Volto Santo di Manoppello, sciaguratamente restaurata nel 1962-65 riproponendo all'esterno il romanico della basilica di Santa Maria di Collemaggio, e infine l'esterno della chiesa di San Giuseppe di San Salvo, completamente trasformata in un vago stile romanico, abbattendo la torre campanaria dei Cistercensi che si trovava dietro l'abside, ultimo rimasuglio della storica abbazia di San Salvo del Trigno, snaturando insomma completamente il contesto, mentre l'interno si conserva nel rifacimento barocco.

Facciata della chiesa parrocchiale di San Giuseppe a San Salvo (CH), nel rifacimento pseudo romanico del 1962

Altri restauri arbitrari e molto discussi, furono quelli voluti dal filologo Francesco Savini, il quale tra gli anni '20 e '40, fece abbattere tutti i rifacimenti abrocchi all'interno del Duomo di Teramo, riportandolo allo stile romanico originario, escluso il cappellone di San Berardo, poi l'antico convento benedettino di Sant'Angelo delle Donne (volgarmente detto santuario della Madonna delle Grazie), fu abbattuto e praticamente ricostruito daccapo, eccettuati il convento col chiostro e la torre campanaria barocca, seguendo il revival neogotico, benché la facciata di conservasse ancora nel perfetto stile romanico rurale, con il nartece ad archi; infine l'ultimo restauro si concluse presso la chiesa di San Domenico, con il rifacimento dei portali e delle finestre snelle e strette del tipo borgognone, così anche l'interno fu liberato degli apparati barocchi, mostrando gli arconi a pilastri che scandiscono la navata unica a campate, e gli affreschi trecenteschi.

La ricostruzione della Marsica dopo il 1915

Lo stesso argomento in dettaglio: Terremoto della Marsica del 1915.
Ex cattedrale di Santa Sabina in San Benedetto dei Marsi (AQ) prima del 1915

A partire dall'avvento del fascismo, l'eclettismo continuò in Abruzzo, spostandosi però verso un aspetto più monumentale e celebrativo piuttosto che ricercato nella decorazione privata delle abitazioni. Innanzitutto un caso a sé fu la ricostruzione dei centri della Marsica distrutti dal grave terremoto di Avezzano del 1915. Il terremoto, di magnitudo 7.1 della scala Richter, fu un evento catastrofico non solo per le ingenti perdite umane, ma anche per la distruzione di interni centri quali Avezzano, Trasacco, Collarmele, Magliano de' Marsi, Aielli, Gioia dei Marsi, Ortucchio, San Benedetto dei Marsi, compreso naturalmente anche il patrimonio storico e architettonico.
Andarono letteralmente cancellati secoli di architettura, di arte medievale e soprattutto barocca, per sempre, e solo pochi elementi di carattere gotico e romanico sopravvissero alla furia del sisma. Tra queste fortunosamente i castelli di Celano, Ortucchio, Balsorano, Scurcola, le chiese di Santa Maria di Valle Porclaneta, di San Pietro di Alba Fucens, di Santa Maria delle Grazie di Pescina, di Santa Lucia a Magliano. Ma ad esempio storici manufatti come l'ex chiesa di Santa Sabina di San Benedetto dei Marsi, storica sede vescovile della Diocesi Marsicana, andò per sempre distrutta, eccettuata la parte bassa di facciata, di cui si è salvato miracolosamente il portale romanico.

Per accelerare l'opera di riedificazione dei centri maggiormente colpiti, tra cui Avezzano stessa, vennero scelti dei piani urbanisti moderni, con sistema viario a scacchiera, alternato da piazze e giardini pubblici. Avezzano, insieme a Collarmele, Aielli, Ortucchio, Gioia dei Marsi, Magliano de' Marsi, Cerchio fu interamente ricostruita seguendo questo schema, che verrà adottato anche nel 1934 per le nuove città di fondazione sull'Agro Pontino quali Latina, Pomezia e Sabaudia: una piazza centrale con la chiesa parrocchiale, il palazzo comunale, il palazzo delle poste e le strutture principali economico-politiche, il sistema viario principale del cardo e decumano, e il collegamento con i giardini pubblici, e il campo sportivo.

Palazzo Comunale di Avezzano

Oggi gran parte dei centri della Marsica hanno questo aspetto, lo stile eclettico è molto vario, spostandosi dal monumentalismo tipico del fascismo, non ancora razionalista, al neoromanico-liberty impiegato per le architetture religiose. Parlando della città maggiore di Avezzano, il Palazzo Municipale venne realizzato nel 1928 da Sebastiano Bultrini in stile eclettico neogotico-liberty, il Palazzo Torlonia venne rifatto nel 1925 da Giovanni Torlonia in uno stile misto, il Palazzo del Seminario nel 1928 fu ugualmente firmato dal Bultrini, reinterpretando le moderate forme tardo-rinascimentali barocche dei palazzi signorili romani, la Cattedrale di Avezzano invece venne ridisegnata completamente su Piazza Risorgimento nel 1930, completata nel 1942, assumendo un severo aspetto monumentale esterno, e uno più tenue e rinascimentale all'interno, rifacendosi alle chiese emiliano-marchigiane.

Arte di Regime

Il programma di monumentalizzazione dei principali palazzi di rappresentanza, durante il fascismo, prese definitivo avvio dalla metà degli anni '20. L'eclettismo continuò a perdurare, anche nel campo scultoreo e pittorico, fino agli anni '30, ovvero parlando di quell'interpretazione in chiave moderna, ma ancora legata ai canoni classici ottocenteschi, che subirà la definitiva rottura con l'arrivo del razionalismo, che sarà lo stile tipico del Regime.
Parliamo dei casi del Palazzo delle Poste di Chieti, Teramo e L'Aquila, completati tra il 1925 e il 1927, che assumono l'aspetto del tipico modello ottocentesco del grande palazzo a più piani, scandito da cornici, paraste, avancorpi aggettanti, e ordini di finestre a timpani curvilinei e triangolari, e con le finestre degli avancorpi centrali più ornate, e arricchite da balconate per i discorsi.
Le prime forme architettoniche del fascismo, come visto, ebbero sviluppo nella Marsica e L'Aquila, poi nelle altre città, dove palazzi storici vennero requisiti per installare la casa del Fascio, e successivamente in alcuni casi, come a Sulmona, vere e proprie case moderne del Fascio vennero realizzate negli anni '30. Nel 1924 l'architetto Camillo Guerra realizzò a Chieti il Palazzo delle Corporazioni Agricole, ossia l'attuale Camera di Commercio in Piazza Vico. Lo stile è un unicum in Abruzzo, un misto di arte medievale dei palazzi delle Arti e di romanico abruzzese per quanto concerne la torre centrale dell'orologio, in riferimento agli antichi campanili-fortezza delle abbazie benedettine.

Piazza Duomo, L'Aquila

Per far ciò, si dovettero demolire le Scuole Pie degli Scolopi di Sant'Anna, e fu il primo atto di un processo lungo e disastroso di "normalizzazione", già avviato nel tardo Ottocento con la costruzione di grandi piazze e strade dedicate ai padri dell'Italia quali Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Vittorio Emanuele II, Umberto I e Camillo Benso di Cavour. Il processo di normalizzazione aveva riguardato soprattutto Chieti e Pescara, con la demolizione del resto delle mura rimaste in piedi presso Porta Zunica di Largo Cavallerizza a Chieti, e della cinta dei bastioni dell'ex fortezza spagnola di Poeta Nuova a Pescara. La fortezza trapezoidale con cinque grandi bastioni lanceolati, eretta nel XVI secolo, con tre bastioni a sud della Pescara (zona Porta Nuova) e due a nord (zona Castellammare - Corso Vittorio Emanuele), vennero definitivamente smantellati e venne costruito un ponte di ferro per collegare le due città, allora comuni separati fino all'unione nel 1927, con conseguente creazione della provincia omonima.
Dunque questo processo di normalizzazione e monumentalizzazione delle architetture e degli impianti urbani, prese definitivo avvio dal 1927 a Chieti, con lo sventramento del quartiere San Paolo, ossia la zona dei tempietti romani, la modifica consistente di Piazza Duomo a L'Aquila e del grande asse viario del Corso Vittorio Emanuele a nord, e del Corso Federico II a sud, dove i palazzi antichi vennero abbattuti per la costruzione di moderne e massicce costruzioni quali la Banca d'Italia, il Palazzo dei Portici, la Finanza, la sede INPS, l'INAIL, il Banco di Roma e di Napoli.

Palazzo della Camera di Commercio a Chieti

Dunque il 1927 fu un anno particolare per l'Abruzzo, nel quale si effettuarono drastici e notevoli cambiamenti, come la creazione della nuova provincia pescarese, la ridefinizione dei confini territoriali, regalando l'ex circondario dei comuni di Cittaducale (in territorio aquilano) alla provincia di Rieti, stabilendo i confini territoriali a sud col Molise, e la costruzione di nuove città lungo la fascia litoranea teramana, quali Montesilvano Marina, Pineto, Silvi Marina, Roseto degli Abruzzi, Alba Adriatica, Tortoreto Lido e Giulianova Mare. Queste cittadine presero rapido sviluppo, insieme a Francavilla al Mare presso Chieti, grazie alla vicinanza col mare, e beneficiarono del primo turismo balneare d'èlite, insieme a Pescara. Dunque il liberti e l'eclettismo neogotico, come si vede dalle fotografie storiche, attecchì anche in queste zone, anche se oggi, a causa della guerra e della ricostruzione massiccia del boom economico, non ve n'è più traccia. Rimangono solo le principali architetture dei palazzi comunali e delle parrocchie nei principali centri marittimi, e nel caso di Francavilla, completamente distrutta dalla guerra, nemmeno più gli antichi stabilimenti, insieme alla Casa Colonia Marina, edificata durante il fascismo.

Nella seconda fase dell'architettura fascista, in Abruzzo arrivò il razionalismo, anche se fu interpretato sempre in con gli schemi antichi del classicismo greco-romano. Dal 1934 agli anni '40, soprattutto L'Aquila fu centro fiorente di questo stile, rappresentato da Mario Gioia, Vincenzo Di Nanna, Luigi Cardilli, Vittorio Bonadè Bottino. Costo realizzarono i due palazzi d'ingresso al corso Vittorio Emanuele dal piazzale del Castello, ossia la Casa dei Combattenti e il Palazzo Leone, poi il Palazzo Casa del Balilla, la Casa della Giovane Italiana, la chiesa del Cristo Re, l'hotel Campo Imperatore ad Assergi, il villaggio sciistico di Fonte Cerreto e il Grande Albergo del Parco nella villa comunale; mentre lo scultore Nicola D'Antino firmava i capolavori de "La Montanina" in Piazza IX Martiri (allora Piazza XVIII Ottobre), la Fontana luminosa (1934) all'ingresso del corso, il Monumento ai caduti (1928) nella villa comunale, e le due statue maschili in Piazza Duomo del gruppo Fontana vecchia.

Altre architetture d'interesse nel resto d'Abruzzo sono state il sacrario di Andrea Bafile a Bocca di Valle di Guardiagrele, il Palazzo OND e l'ex Biblioteca De Meis a Chieti, la facciata del teatro comunale Fenaroli a Lanciano, che fino al 2017 aveva ancora i fasci littori, il Palazzo del Convitto "Melchiorre Delfico" a Teramo, ancora in stile eclettico neoclassico-neorinasciamentale, opera del De Albentiis. A causa del terremoto del 1933, due borghi come Salle vecchia e Pescosansonesco alto vennero ricostruiti, il municipio di Salle Nuovo è qello più interessante, con il caratteristico schema del vialone che conduce alla piazza della parrocchia e del municipio.
Altra maggiore città che beneficiò della presenza fasciata fu appunto Pescara. Dopo le questioni di unificazione dei due comuni nel 1927, partì il progetto guidato da Cesare Bazzani e Vincenzo Pilotti di allargamento e monumentalizzazione della città in modo da diventare un capoluogo di provincia efficiente, Venne realizzata la Piazza dei Vestini (oggi Piazza Italia) all'ingresso del corso Vittorio Emanuele, con i palazzi di Pilotti del Municipio, della Finanza e del Governo con annessa biblioteca pubblica. Lo stile è quello del razionalismo pieno, anche se ancora incrostato di elementi classici, soprattutto per il Palazzo della Provincia. A poca distanza venne inaugurato il liceo classico, il primo dedicato a Gabriele d'Annunzio quando era ancora in vita (1934); a Pescara vecchia veniva allargato il vecchia viale Umberto I con nuovi palazzi, la vecchia chiesa del Sacramento o di San Cetteo, per problemi statici, veniva demolita e ricostruita in forme neoromaniche dal Bazzani, divenendo il nuovo Duomo di Pescara, all'incrocio di corso Vittorio Emanuele con il corso Umberto I veniva costruito il Banco di Napoli, coevo del principale Palazzo delle Poste, uno degli esempi più riusciti di razionalismo abruzzese, senza infarcimenti neoclassici.

I danni della seconda guerra mondiale

Macerie in via Ravenna, Pescara

Le città maggiormente danneggiate risultarono Ortona, Orsogna, Canosa Sannita, Miglianico, Lettopalena, Montenerodomo, Torricella Peligna, Roccaraso, Ateleta, Castel di Sangro e Taranta Peligna, nonché la città stessa di Pescara, insieme con Avezzano, che tra l'agosto del 1943 e l'aprile del 1944 subirono pesantissimi bombardamenti a tappeto da parte degli alleati.

Pescara, Corso Umberto I e Piazza Salotto nell'immediato dopoguerra

Di queste due città andò perso per sempre il 70% del tessuto urbano antico, benché Avezzano già lo avesse perduto col terremoto del 1915, ma i danni bellici gravarono maggiormente sui complessi del castello Orsini e della chiesa di San Giovanni Battista, ancora in piedi. Invece Pescara perse le chiese di San Giacomo e del Rosario nel quartiere Porta Nuova, i palazzi in stile eclettico che erano stati eretti sul corso Umberto I e sul Corso Vittorio Emanuele. Il bombardamento del 31 agosto e del 14 settembre 1943 rasero al suolo la piazza centrale, dove nel 1948 venne rifatta la Piazza della Rinascita o Salotto, con edifici completamente nuovi.
I danni negli altri centri furono ingentissimi a Ortona, con la perdita di parte del castello, delle chiese di San Domenico, San Francesco e del convento di Santa Maria dei Frati Osservanti, e di parte del corso Vittorio Emanuele, nonché di metà della cattedrale di San Tommaso, minata dai tedeschi il 21 aprile 1943.

Orsogna, divenuta una fortezza inespugnabile perché difesa dai tedeschi, così come Francavilla al Mare, fu occupata dagli alleati solo nel quarto assalto alleato dell'aprile 1944, ma ormai era ridotta a un ammasso di macerie per i cannoneggiamenti e i bombardamenti alleati, andarono perduti per sempre la vecchia chiesa i San Rocco, rifatta in uno stile non conforme all'originale barocco-gotico, con porticato sulla Piazza Mazzini, il castello dei Colonna in Piazza Mazzini, e la chiesa della Madonna del Rifugio, posta davanti la parrocchia di San Nicola, che venne rifatta seguendo lo stile settecentesco originale. Interi quartieri come il Borgo Romano e quello di San Giovanni, con annessa chiesa, furono cancellati dalla storia. Lo stesso valse per Francavilla con la distruzione del Colle Civita, in cui andarono persi la chiesa madre di San Franco, rifatta da Ludovico Quaroni nel 1948 in stile moderno, e una casa risalente al XIV secolo, insieme alla cinta muraria con tre torri di avvistamento, di cui si conserva la Torre Ciarrapico. Anche il kursaal dell Sirena, di Antonino Liberi, luogo ricreativo della riviera in stile eclettico, realizzato dal pescarese alla fine dell'Ottocento, rimase distrutto e fu rifatto daccapo nel 1947, e considerato il simbolo della rinascita francavillese, benché realizzato in uno stile del tutto differente.

Altra sorte drammatica subirono i centri di Lettopalena, Gessopalena e Roccaraso, con la sistematica distruzione tedesca per mezzo della"terra bruciata", ossia minando casa per casa i paesi, in modo da non far trovare agli alleati alcun luogo di riparo o dove trovare rifornimenti. Fu così che questi centri, dall'aspetto ancora medievale e rinascimentale, come Roccaraso, che conservava la torre civica dell'antico castello, e il teatro Angeloni, il primo a esser stato costruito in Abruzzo nel XVII secolo, furono definitivamente cancellate, venendo fatte saltare in aria dalla furia tedesca.l La ricostruzione celere del dopoguerra, soprattutto di Roccaraso per riprendere l'attività turistica del resto come nei casi di Ortona e Francavilla sul mare, non tenne affatto conto dell'antico tessuto edilizio.

La ricostruzione

La Basilica di San Tommaso a Ortona oggi, nella ricostruzione in stile misto del 1946-49

Benché siano andate distrutte, a Pescara vennero realizzate anche altre opere d regime, come il Ponte Littorio a collegamento di Pescara vecchia con il corso Vittorio Emanuele, adornato delle statue di D'Antino, e la centrale del Latte nella zona del circuito, demolita scelleratamente nel 2010.
Dopo la seconda guerra mondiale, una parte del patrimonio architettonico e storico abruzzese andò definitivamente perso, soprattutto per quanto riguarda Ortona, Pescara, Francavilla al Mare, Orsogna e i borghi della Majella orientale, da Gessopalena a Lettopalena. La ricostruzione in certi casi si occupò di restituire alle architetture il loro aspetto originario, in altre, come nei casi più drastici di Ortona, Orsogna e via dicendo, vennero sperimentate nuove forme, specialmente per i monumenti principali quali la Cattedrale di San Tommaso Apostolo, che però fecero grandemente discutere. Infatti la cittadina di Orsogna ad esempio, benché Ortona abbia ancora conservati ampi tratti del centro storico, ha quasi interamente perdute, alla pari di Lettopalena e Montenerodomo, l'antico aspetto, con chiese completamente rifatte in contrasto con l'antica architettura, e palazzi moderni senza valore artistico edificati sugli storici, come l'edificio eretto sopra l'antico castello dei Colonna.

Palazzo delle Poste a Pescara

La ricostruzione in Abruzzo fu celere, nei casi visti anche troppo, sacrificando la storia per il dinamismo e la corsa al boom economico. Stesso caso che si verificò a Pescara e Francavilla, dove ciò che si era salvato dalla guerra, fu definitivamente soppresso. Il caso più specifico è Pescara, dove dalle fotografie storiche si può vedere come alcuni tratti storici della città, del corso Vittorio Emanuele del Corso Umberto I, nonché del corso Manthonè a Pescara vecchia, fino agli anni '70 persistessero ancora quelle architetture di primo Novecento non monumentali, ma aggraziate ed edificate in un pieno equilibrio dell'antico aspetto liberty cittadino, mantenuto anche durante il fascismo, completamente sventare successivamente e sostituite da casermoni e grandi palazzi dagli anni '80 in poi.

Interno pseudo-romanico della Basilica di Santa Maria di Collemaggio, dopo i restauri del 1968-69

Il progetto di ricostruzione di Pescara voluto da Luigi Piccinato e dal Monti negli anni '50, fu in parte rispettato, soprattutto nell'area di Piazza Salotto, con la creazione di ampi viali intervallati da piazzette con giardini; ma successivamente prevalse lo stile di una città "senza rughe" che avrebbe dovuto rifarsi alle metropoli americane, distruggendo il più possibile ciò che era vecchio per apparire moderna e funzionale.

Speculazioni edilizie e i restauri di Mario Moretti

Questi lavori furono fatti similmente anche a Lanciano e Chieti: nella prima lo storico Palazzo delle Poste, coevo del Palazzo De Simone in stile liberty, venne distrutto per la Standa, mentre a Chieti il già gravato rione San Paolo venne smantellato con la costruzione dell'ex INAIL, e presso il corso Marrucino l'antico Palazzo Lepri, a fianco il Vescovado, venne demolito per la costruzione dell'ex UPIM.
Tornando a Teramo, per avviarsi al contesto generale dei grandi restauri del soprintendente Mario Moretti, l'impianto del centro storico venne modificato nell'area delle due Piazze Orsini e Martiri della Libertà (anticamente Piazza Vittorio Emanuele e Piazza Cavour).

Ponte del Mare

Ossia il Duomo di Santa Maria Assunta, nel piano di restauro dei grandi complessi monastici abruzzesi, venne "epurato" della presenza di altre architetture civili, seguendo la tecnica mussoliniana del monumento antico che deve trionfare isolato dalle altre costruzioni. Per cui anche lo storico arco del Monsignore del XVI secolo venne distrutto. Mario Moretti, impugnando una idea giudicata da alcuni anacronistica e deleteria, decise di liberare le principali chiese abruzzesi dalla patina barocca o neoclassica. Già il Duomo di Teramo fu riportato negli anni '30 allo stile sobrio romanico, eccezione per la cappella col polittico di Jacobello del Fiore, mentre dal 1968 al 1974 la maggioranza dei monasteri abruzzesi quali San Bartolomeo di Carpineto, San Giovanni in Venere, San Clemente a Casauria, San Liberatore alla Majella, Santa Maria della Tomba di Sulmona, insieme a Santa Maria di Collemaggio de L'Aquila, San Pietro di Coppito, San Silvestro, San Marciano, e Santa Maria Maggiore a Lanciano subirono drastici rifacimenti negli interni. Il progetto di Moretti era di ripristinare a ogni costo l'aspetto romanico o gotico, coperto o danneggiato dagli interventi successivi barocchi. Per questo interni anche preziosi, come soprattutto quello col soffitto di Panfilo Ranalli di Collemaggio vennero completamente smantellati e distrutti. In certi casi, come nella chiesa di San Silvestro, fu importante il ritrovamento di affreschi rinascimentali della bottega di Francesco da Montereale e di Silvestro di Giacomo da Sulmona, ma in altri, come in Collemaggio, soprattutto per la difformità stilistica dell'interno delle navate con le cappelle laterali barocche, come quella di Celestino V, presentano tracce evidenti di forzatura storica.

Il sacco di Teramo

Storica fotografie di Casa Antonelli sul corso di Porta Romana, con la lapide "delle Malelingue"

In Abruzzo soltanto questa città, superando perfino Chieti, riuscì in pochi anni a distruggere in merito del progresso, ma in realtà della speculazione edilizia, il centro storico. Si tratta di un processo che è maturato sin dai primi anni del fascismo, con sostanziali modifiche al tessuto urbano, l'allargamento del Corso San Giorgio con la perdita di Porta Due di Coppe, la demolizione dello storico complesso dei Benedettini di San Matteo per allargare la Prefettura, la demolizione di Casa Antonelli sul Corso di Porta Romana, con la conseguente traslazione della storica lapide delle "male lingue" (questa citata anche dallo storico Muzio Muzii nel suo trattato del XVI secolo) nel Comune, e la modifica, su progetto di Francesco Savini, assai radicale e contestata degli interni barocchi del Duomo nel 1933 per riportarli allo stato originario romanico, dell'esterno e dell'interno della chiesa di San Domenico a Porta Romana, del rifacimento totale mediante abbattimento del santuario della Madonna delle Grazie in stile neogotico, e via dicendo.
Tuttavia il culmine di questa cosiddetta follia aggressiva al centro storico teramano fu prodotta durante il ventennio dell'amministrazione di Carino Gambacorta a partire dal 1959, con la demolizione in Corso San Giorgio dello storico teatro comunale, per erigervi la Standa.

Nel 1956 circa enne demolito lo storico cine-teatro Apollo in stile liberty francese, poi nel '59 fu la volta del teatro comunale del 1868, grave perdita per il patrimonio artistico teramano; successivamente le demolizioni riguardarono alcune case dei rioni San Leonardo (come il palazzo Pompetti in Largo Torre Bruciata per favori gli scavi archeologici della domus romana), e la demolizione della medievale Casa Bonolis per la costruzione di un palazzo moderno (corso De Michetti, presso la chiesa di Sant'Antonio), lasciando soltanto i portici del XIV secolo; del rione Santo Spirito, demolizioni effettuate nell'area del teatro romano. Altre distruzioni riguardarono soprattutto il rione di Santa Maria a Bitetto, dove molte case di via del Sole, e di Piazza del Carmine, appartenenti al Medioevo e al primo Cinquecento, vennero completamente rase al suolo, con l'eccezione della chiesa della Madonna del Carmine, per realizzare la moderna via Francesco Savini, parallela del Corso De Michetti. Nel piano era compresa la demolizione anche del piazzale del Sole, e dunque anche della Casa Urbani, una delle residenza civili più antiche di Teramo (XII-XIII secolo).
Mentre la città si sviluppava sia a ovest sia a est, nei quartieri Castello, Piano della Lenta, Colleminuccio, Madonna della Cona, San Nicolò e Colleatterrato, le demolizioni continuarono nel quartiere San Giorgio, con la distruzione del Palazzetto del Credito Abruzzese, realizzato in stile neogotico da Alfonso De Albentiis (1925), dei giardini del Palazzo Delfico in via d'Annunzio con la Fontana delle Piccine, e con l'atterramento completo della Piazza della Cittadella, rinominata Piazza Martiri Pennesi. Il piazzale fu ricostruito daccapo dalle antiche strutture ottocentesche, incluso l'Albergo Giardino, con palazzine di modesto gusto estetico e criterio artistico.

Architettura contemporanea

Dopo la stagione dei restauri delle chiese medievali, in Abruzzo l'arte architettonica ebbe il suo massimo centro sperimentale Pescara. Infatti, dopo un periodo di stagnazione dagli anni '80 ai primi anni 2000, in cui la massima architettura d'interesse è stata La Nave di Pietro Cascella (1986), dal 2009 con l'inaugurazione del Ponte del Mare, e del Ponte Flaiano nel 2017, la città adriatica è tornata a diventare un punto di riferimento artistico in Abruzzo. Tuttavia in favore di questo nuovo aspetto moderno della città, la sua storia edilizia e identitaria fu in pochi decenni sacrificata, per via di interventi aggressivi vennero effettuati anche nel delicato contesto dei piccoli edifici della vecchia Pescara a Porta Nuova, come nel caso del viale D'Annunzio e di Piazza Garibaldi, tanto che il corso Manthonè appare soffocato da questi nuovi edifici.

File:Stahlbau Pichler De Cecco.jpg
Palazzo Fuksas di Pescara, sede FATER

In questo periodo, mentre la città diveniva un laboratorio di diverse correnti architettoniche sperimentali, che hanno interessato soprattutto i monumenti pubblici per la famiglia Cascella, le chiese dei quartieri in via di sviluppo (Fontanelle, San Donato, Rancitelli) progettate da Francesco Speranzini (San Gabriele dell'Addolorata, San Giuseppe, Santa Maria degli Angeli, San Luigi Gonzaga), la nuova parrocchia dello Spirito Santo (1963) di Marcello Piacentini insieme alla chiesa di Sant'Andrea e a quella di San Pietro Apostolo (2005) sul lungomare, Pescara divenne la principale città economica e politica d'Abruzzo. Nel 1963 venne realizzato il monumentale Teatro D'Annunzio in ricordo dei cento anni della nascita del poeta, nell'area del bastione San Vitale veniva costruito il teatro Cinema Massimo, poi nei trent'anni a seguire la monumentalizzazione della città avvenne con la realizzazione di fontane pubbliche, come quella della Meridiana, di Piazzale Le Laudi, di San Francesco, mentre alcune aree degradate della città venivano riqualificate sempre con opere di architetti quali Massimiliano Fuksas (il Palazzo della sede FATER), il complesso "Il Molino" a Porta Nuova, e le Torri Camuzzi del 2011, fino all'ultimo recente progetto del nuovo Palazzo del Tribunale (2016).

Come nel resto dell'Italia, il fenomeno architettonico abruzzese si concentrò sull'edificazione di nuovi quartieri nelle città maggiori, con scarso interesse per le architetture monumentali di gran valore, fontane, o quant'altro, se non in rari casi d'occasione, con l'erezione di monumenti e memoriali relativi a particolari momenti storici della regione o della Nazionale.

Quanto alle altre realtà, a differenza di Pescara che si dirige sempre di più verso lo sperimentalismo architettonico, non ci sono particolari segni di innovazione, se non una progressivo propensione al decoro urbano ed estetico, con il rifacimenti monumentale dei principali assi viario e la riqualificazione di piazze, come nei casi di Lanciano (il corso Trento e Trieste) e Teramo (Piazza Martiri della Libertà e Corso San Giorgio).

Note

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  6. ^ A. Clementi, Momenti del Medioevo Abruzzese, Bulzoni 1976, cap. "L'organizzazione"
  7. ^ G. Spagnesi, P. Properzi, L'Aquila. Problemi di forma e storia della città, Dedalo 1993, pp. 19-63
  8. ^ R. Colapietra, L'Aquila dell'Antinori: strutture sociali e urbane della città nel Sei e Settecento, L'Aquila, 1978, III, pp. 455-477
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  12. ^ L. Serra, Il Barocco', in "Aquila monumentale", L'Aquila 1912, pp. 81-107
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  15. ^ S. Benedetti, L'architettura dell'Arcadia, Roma 1730 in "Bernardo Vittore e la disputa fra classicismo e barocco nel Settecento" per gli Atti del Convegno Int. dell'Accademia delle Scienze di Torino, 21-24 sett. 1970, I, pp. 337-391
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Bibliografia

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