Utente:The Boss Bomber2/Sandbox

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca




Titoli nobiliari[modifica | modifica wikitesto]

Principesse di Galles e Duchesse di Cornovaglia[modifica | modifica wikitesto]

Duchesse di Edimburgo[modifica | modifica wikitesto]

Storia d'Italia contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Ex presidenti di regioni francesi[modifica | modifica wikitesto]

Nord-Passo di Calais[modifica | modifica wikitesto]

Poitou-Charentes[modifica | modifica wikitesto]

Commonwealth delle nazioni[modifica | modifica wikitesto]

Europarlamentari e commissari europei[modifica | modifica wikitesto]

Belgio[modifica | modifica wikitesto]

Italia[modifica | modifica wikitesto]

Paesi Bassi[modifica | modifica wikitesto]

Romania[modifica | modifica wikitesto]

Svezia[modifica | modifica wikitesto]

G7/G20[modifica | modifica wikitesto]

Presidenti G7[modifica | modifica wikitesto]

Presidenti G20[modifica | modifica wikitesto]



Consorte del primo ministro del Regno Unito
Akshata Murty, attuale consorte del primo ministro del Regno Unito
Nome originaleSpouse of the prime minister of the United Kingdom
StatoBandiera del Regno Unito Regno Unito
TipoFirst lady
In caricaAkshata Murty
da25 ottobre 2022
Istituito3 aprile 1721
Sede10 Downing Street (consueta)
Primeira-dama del Brasile
Nome originalePrimeira-dama do Brasil
StatoBandiera del Brasile Brasile
TipoFirst lady
In caricaRosângela Lula da Silva
da1° gennaio 2023
Istituito15 novembre 1889
SedePalácio da Alvorada

6ª assemblea del Parlamento croato[modifica | modifica wikitesto]

Nella 6ª assemblea del Parlamento croato (2007–2011), i partiti nel Parlamento croato che includevano l'opposizione erano:

Il leader dell'opposizione era Zoran Milanović, leader del Partito Socialdemocratico di Croazia.

7ª assemblea del Parlamento croato[modifica | modifica wikitesto]

Nella 7ª assemblea del Parlamento croato (2011–2015), i partiti nel Parlamento croato che includevano l'opposizione erano:

8ª assemblea del Parlamento croato[modifica | modifica wikitesto]

Nella 8ª assemblea del Parlamento croato (2015–2016), i partiti nel Parlamento croato che includevano l'opposizione erano:

9ª assemblea del Parlamento croato[modifica | modifica wikitesto]

Nella 9ª assemblea del Parlamento croato (2016–2020), i partiti nel Parlamento croato che includevano l'opposizione erano:

Il leader dell'opposizione dal 14 ottobre 2016 al 26 novembre 2016 è stato Zoran Milanović e dal 26 novembre 2016 è Davor Bernardić, il leader del Partito Socialdemocratico.

10ª assemblea del Parlamento croato[modifica | modifica wikitesto]

Nella 9ª assemblea del Parlamento croato (2020–), i partiti nel Parlamento croato che includevano l'opposizione erano:


Ministro capo dell'Isola di Man[modifica | modifica wikitesto]

Ministro capo dell'Isola di Man
Armi di Sua Maestà
Governo dell'Isola di Man
Nome originale(EN) Chief Minister of the Isle of Man
(GV) Ard-shirveishagh
StatoBandiera dell'Isola di Man Isola di Man
TipoCapo del governo
In caricaAlfred Cannan (Indipendente)
da12 ottobre 2021
Istituitodicembre 1986
Nominato daLuogotenente governatore dell'Isola di Man
Durata mandato5 anni
Sito webwww.gov.im/

Il ministro capo dell'Isola di Man (in inglese: Chief Minister of the Isle of Man, mannese: Ard-shirveishagh) è il capo del governo dell'Isola di Man.

L'ufficio deriva da quello del Presidente del Consiglio esecutivo. Prima del 1980 il Consiglio esecutivo era presieduto dal Luogotenente governatore dell'Isola di Man, ma in seguito il presidente fu eletto da Tynwald, il parlamento dell'Isola di Man. Il titolo è stato cambiato in "Chief Minister" (Ministro capo) nel 1986.[1]

Il ministro capo è nominato dal Luogotenente governatore durante la fase successiva al rinnovo del Tynwald dopo l'elezione generale della Camera delle chiavi. Rimane in carica fino alle future elezioni generali (vale a dire per 5 anni) ed è eleggibile per un secondo mandato, ma può essere rimosso dalla carica con un voto di sfiducia nel Consiglio dei ministri.[2]

Dopo le elezioni generali del novembre 2006, John Shimmin MHK, Stephen Rodan MHK (ministro della sanità e della sicurezza sociale) e David Cannan MHK (ex ministro del tesoro) hanno corso per la nomina a Primo ministro, ma nessuno ha ricevuto la maggioranza necessaria di voti nel Tynwald. Al secondo turno Tony Brown (presidente della Camera delle chiavi) è stato nominato senza opposizione.[3]

Tony Brown si è dimesso dal ruolo di ministro capo il 29 settembre 2011. Il suo successore dal 9 dicembre 2011 fu Allan Bell.[4] Il 1º agosto 2016 Allan Bell ha annunciato che si sarebbe ritirato, dopo 32 anni in rappresentanza di Ramsey nella Camera delle chiavi,[5] dopo sette anni come commissario di Ramsey. Il suo successore, Howard Quayle, è entrato in carica il 4 ottobre 2016.

Elenco[modifica | modifica wikitesto]

No. Immagine Nome
(Nascita–Morte)
Collegio
Mandato Partito Elezione Note
  1 Sir Miles Walker
(1940–)
MHK per Rushen
3 dicembre 1986

3 dicembre 1996
Indipendente 1986  
1991
  2 Donald Gelling
(1938–)
MHK per Malew and Santon
3 dicembre 1996

4 dicembre 2001
Indipendente 1996  
  3 Richard Corkill
(1951–)
MHK per Onchan
4 dicembre 2001

14 dicembre 2004
Indipendente 2001  
  Allan Bell[N 1]
(1947–)
MHK per Ramsey
14 dicembre 2004 Indipendente  
  (2) Donald Gelling
(1938–)
MHK per Malew and Santon
14 dicembre 2004

14 dicembre 2006
Indipendente 2004  
  4 Tony Brown
(1950–)
MHK per Castletown
14 dicembre 2006

11 ottobre 2011
Indipendente 2006  
  5 Allan Bell
(1947–)
MHK per Ramsey
11 ottobre 2011

4 ottobre 2016
Indipendente 2011  
  6 Howard Quayle
(1967–)
MHK per Middle
4 ottobre 2016

12 ottobre 2021
Indipendente 2016 [6]
  7 Alfred Cannan
(1968–)
MHK per Ayre & Michael
12 ottobre 2021

in carica
Indipendente 2021 [7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Constitution (Executive Council) Act 1986
  2. ^ Council of Ministers Act 1990 section 2
  3. ^ Votes and Proceedings of Tynwald, 5 & 14 December 2006
  4. ^ (EN) https://www.bbc.co.uk/news/world-europe-isle-of-man-14273525
  5. ^ (EN) http://www.three.fm/news/isle-of-man-news/chief-minister-steps-down-after-32-years-in-politics/
  6. ^ (EN) MR, New Chief Minister of the Isle of Man, su www.isleofman.com, 4 ottobre 2016. URL consultato il 27 maggio 2023.
  7. ^ (EN) Isle of Man Government - Alfred Cannan appointed as Isle of Man's Chief Minister, su gov.im.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Categoria:Politica dell'Isola di Man

Ministro capo di Jersey[modifica | modifica wikitesto]

(Template qui sotto: da aggiungere alla relativa pagina come riportato qui sotto)

Ministro capo di Jersey
Kristina Moore, attuale Ministro capo di Jersey
Nome originale(NRF) Chef Minnistre dé Jèrri
(EN) Prime minister of Jersey
StatoBandiera di Jersey Jersey
TipoCapo del governo
In caricaKristina Moore
da12 luglio 2022
Istituito8 dicembre 2005
Eletto daStati di Jersey
Nominato daStati di Jersey
Durata mandatoNessuna durata specifica
Il ministro capo è nominato dagli Stati di Jersey a seguito di un'elezione generale o delle dimissioni del precedente ministro capo
Sito webwww.gov.je

(Elenco qui sotto: da aggiungere alla relativa pagina come riportato di seguito)

Elenco[modifica | modifica wikitesto]

Immagine Ministro capo Mandato
Durata in anni e giorni
Frank Walker 18 dicembre
2005
12 dicembre
2008
2005
2 anni e 361 giorni
Terry Le Sueur 12 dicembre
2008
18 novembre
2011
2008
2 anni e 342 giorni
Ian Gorst 18 novembre
2011
7 giugno
2018
2011

2014

6 anni e 202 giorni
John Le Fondré[1] 7 giugno
2018
12 luglio 2022 2018
4 anni e 36 giorni
Kristina Moore 12 luglio
2022
in carica 2018

Note[modifica | modifica wikitesto]

Leader dell'opposizione (Germania)[modifica | modifica wikitesto]

(Template qui sotto: da aggiornare alla relativa pagina come riportato qui sotto):

Leader dell'opposizione
Friedrich Merz, attuale Leader dell'opposizione
Nome originaleOppositionsführer
StatoBandiera della Germania Germania
TipoLeader dell'opposizione
In carica(CDU)
In carica da31 gennaio 2022
Operativo dal7 settembre 1949
Nominato daIl più grande partito politico del Bundestag che non è al governo
Durata mandatoTutto il periodo in cui è leader del più grande partito politico del Bundestag non al governo

(Elenco qui sotto: da aggiornare alla relativa pagina come riportato qui sotto):

# Immagine Nome
(Nascita–Morte)
Partito Mandato Cancelliere
Inizio Fine Durata
1 Kurt Schumacher
(1895–1952)
Partito Socialdemocratico di Germania
(SPD)
7 settembre 1949 20 agosto 1952 2 anni, 348 giorni Konrad Adenauer
2 Erich Ollenhauer
(1901–1963)
Partito Socialdemocratico di Germania
(SPD)
27 settembre 1952 14 dicembre 1963 11 anni, 78 giorni Konrad Adenauer

Ludwig Erhard

3 Fritz Erler
(1913–1967)
Partito Socialdemocratico di Germania
(SPD)
1963 1966 2 anni, 273 giorni Ludwig Erhard
4 Knut von Kühlmann-Stumm
(1916–1977)
Partito Liberale Democratico
(FDP)
1º dicembre 1966 23 gennaio 1968 1 anno, 53 giorni Kurt Georg Kiesinger
5 Wolfgang Mischnick
(1921–2002)
Partito Liberale Democratico
(FDP)
23 gennaio 1968 22 novembre 1969 1 anno, 272 giorni
6 Rainer Barzel
(1924–2006)
Unione Cristiano Democratica
(CDU)
22 novembre 1969 17 maggio 1973 3 anni, 207 giorni Willy Brandt
7 Karl Carstens
(1914–1992)
Unione Cristiano-Democratica
(CDU)
17 maggio 1973 13 settembre 1976 3 anni, 119 giorni Willy Brandt

Helmut Schmidt

8 Helmut Kohl
(1930–2017)
Unione Cristiano-Democratica
(CDU)
13 settembre 1976 1º ottobre 1982 6 anni, 18 giorni Helmut Schmidt
9 Herbert Wehner
(1906–1990)
Partito Socialdemocratico di Germania
(SPD)
1º ottobre 1982 8 marzo 1983 1 anno, 158 giorni Helmut Kohl
10 Hans-Jochen Vogel
(1926–2020)
Partito Socialdemocratico di Germania
(SPD)
8 marzo 1983 12 novembre 1991 8 anni, 249 giorni
11 Hans-Ulrich Klose
(1937–)
Partito Socialdemocratico di Germania
(SPD)
12 novembre 1991 10 novembre 1994 2 anni, 363 giorni
12 Rudolf Scharping
(1947–)
Partito Socialdemocratico di Germania
(SPD)
10 novembre 1994 26 ottobre 1998 3 anni, 350 giorni
13 Wolfgang Schäuble
(1942–)
Unione Cristiano-Democratica
(CDU)
27 ottobre 1998 29 febbraio 2000 1 anno, 125 giorni Gerhard Schröder
14 Friedrich Merz
(1955–)
Unione Cristiano-Democratica
(CDU)
29 febbraio 2000 22 settembre 2002 2 anni, 206 giorni
15 Angela Merkel
(1954–)
Unione Cristiano-Democratica
(CDU)
22 settembre 2002 22 novembre 2005 3 anni, 61 giorni
16 Wolfgang Gerhardt
(1943–)
Partito Liberale Democratico
(FDP)
22 novembre 2005 1º maggio 2006 160 giorni Angela Merkel
17 Guido Westerwelle
(1961–2016)
Partito Liberale Democratico
(FDP)
1º maggio 2006 28 ottobre 2009 3 anni, 180 giorni
18 Frank-Walter Steinmeier
(1956–)
Partito Socialdemocratico di Germania
(SPD)
28 ottobre 2009 16 dicembre 2013 4 anni, 49 giorni
19 Gregor Gysi
(1948–)
Die Linke 17 dicembre 2013 12 ottobre 2015 1 anno, 299 giorni
20 Dietmar Bartsch
(1958–)
Sahra Wagenknecht
(1969–)
Die Linke 12 ottobre 2015 24 ottobre 2017 2 anni, 12 giorni
21 Alexander Gauland
(1941–)
Alice Weidel
(1979–)
Alternativa per la Germania
(AfD)
24 ottobre 2017 8 dicembre 2021 4 anni, 45 giorni
22 Ralph Brinkhaus
(1968–)
Unione Cristiano-Democratica
(CDU)
8 dicembre 2021 15 febbraio 2022 64 giorni Olaf Scholz
23 Friedrich Merz
(1955–)
Unione Cristiano-Democratica
(CDU)
15 febbraio 2022 In carica 167[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Dato aggiornato al 1 maggio 2024.


Presidente del Likud[modifica | modifica wikitesto]

(Elenco qui sotto: da inserire nella relativa pagina alla sezione "Presidenti")</ref>

Presidente Inizio mandato Fine mandato Premierato Elezioni della Knesset Eletto/rieletto come presidente
1 Menachem Begin 1973 1983 1977–1983 1977, 1981
2 Yitzhak Shamir 1983 1993 1983–1984, 1986–1992 1984, 1988, 1992 1983, 1984 e 1992
3 Benjamin Netanyahu 1993 1999 1996–1999 1996, 1999 1993,[1] e 1999 (Gen)[1]
4 Ariel Sharon 1999 2005 2001–2006 2001, 2003 1999 (Set)[1] e 2002[1]
(3) Benjamin Netanyahu 2005 in carica 2009–2021, 2022– 2006, 2009, 2013, 2015, Apr 2019, Set 2019, 2020, 2021, 2022 2005[1] 2007[2] 2012, 2014 e 2019

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Kenig
  2. ^ Jeffrey Heller, Israel's Netanyahu wins re-election as Likud chief, su reuters.com, Reuters, 14 agosto 2007. URL consultato il 21 maggio 2021.






Juan Pablo Duarte y Díez

Juan Pablo Duarte y Díez (Ciudad Colonial, 26 gennaio 1813Caracas, 15 luglio 1876) è stato un politico dominicano[1] ed uno dei padri fondatori della Repubblica Dominicana. Fu un visionario e pensatore liberale che, insieme a Francisco del Rosario Sánchez e Matías Ramón Mella è considerato l'architetto della Repubblica Dominicana e della sua indipendenza da Haiti nel 1844. La sua aspirazione era quella di contribuire a creare una nazione autosufficiente fondata sugli ideali liberali di un governo democratico.

In suo onore il monte più alto dei Caraibi prende il nome di Pico Duarte, come anche: Juan Pablo Duarte Square a New York City e tanti altri luoghi degni di nota, suggerendo l'importanza storica che i dominicani hanno dato a quest'uomo. La sua visione per il paese è stata rapidamente affossata dall'élite conservatrice, che cercava di allineare la nuova nazione con le potenze coloniali e tornare indietro al regionalismo tradizionale. Tuttavia, i suoi ideali democratici, anche se non pienamente concretizzati e un po' imprecisi, sono serviti come principi guida, soprattutto in teoria, per la maggior parte dei governi dominicani. Morì in esilio e questo ha fatto di lui un martire politico agli occhi delle generazioni successive.

I primi anni[modifica | modifica wikitesto]

Duarte nacque a Santo Domingo, Capitaneria generale di Santo Domingo[1] durante il periodo comunemente chiamato "The Era of Foolish Spain", o España Boba.

Il padre di Duarte era Juan José Duarte da Vejer de la Frontera, Cadice, in Spagna, e sua madre era Manuela Díez Jiménez da El Seybo, Capitaneria generale di Santo Domingo - figlia di padre spagnolo e madre dominicana. Nel 1802 Duarte e la Jiménez emigrarono da Santo Domingo a Mayagüez nell'isola di Porto Rico.[2] Questo fu fatto per eludere le imposizioni francesi su Santo Domingo. Questa trasformazione dell'esperienza coloniale dell'isola iniziò un anno prima, quando Toussaint Louverture, governatore di Santo Domingo (ora Haiti), una colonia della Francia localizzata ad occidente di Hispaniola, prese il controllo di Santo Domingo, situata nei due terzi orientali dell'isola. A quel tempo la Francia e Santo Domingo stavano attraversando movimenti sociali esaustivi, cioè la Rivoluzione francese e la Rivoluzione haitiana.


Francisco del Rosario Sánchez

Francisco del Rosario Sánchez (Santo Domingo, 9 marzo 1817San Juan de la Maguana, 4 luglio 1861) è stato un avvocato e politico dominicano. Insieme a Juan Pablo Duarte e Ramón Matías Mella, fu uno dei padri fondatori della Repubblica Dominicana.

Sánchez era un leader e stratega politico nella guerra d'indipendenza dominicana e contrattaccò l'occupazione haitiana, prese le redini della lotta dopo l'assenza di Duarte e proclamò l'indipendenza a Baluarte San Genaro il 27 febbraio 1844.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Sánchez ha studiato latino e filosofia in gioventù con Nicolás Lugo e successivamente con padre Gaspar Hernández, originario del Perù. Durante questo periodo conobbe Juan Pablo Duarte e, insieme a lui e Ramon Mella , fondò nel 1838 La Trinitaria, un'organizzazione segreta che si batteva per l'indipendenza di Hispaniola dalla Spagna.

Il 27 febbraio 1844 fu lui a leggere il proclama che istituiva la Repubblica Dominicana. Per un breve periodo ha guidato il governo provvisorio, la Giunta governativa centrale (Junta Central Gubernativa), della repubblica, fino a quando non è stato sostituito da Tomás Bobadilla. Quando Pedro Santana divenne presidente della Repubblica Dominicana, Sánchez, come Duarte e Mella, dovette andare in esilio. Un decreto del suo successore Manuel Jiménez gli permise di tornare nella Repubblica Dominicana nel 1849. Nel 1859, le sue divergenze con Pedro Santana, che allora deteneva la presidenza per la quarta volta, costrinsero nuovamente Sánchez all'esilio.

Lì fece una campagna contro la minaccia di una rinnovata annessione della Repubblica Dominicana da parte della Spagna. Tre mesi dopo l'annessione nel 1861, tornò nel suo paese con José María Cabral e altri. Fu tradito, arrestato e giustiziato il 4 luglio a San Juan de la Maguana. Nella Repubblica Dominicana il suo compleanno è celebrato come día del patricio Francisco del Rosario Sánchez.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]




Lo status del presidente della Knesset[modifica | modifica wikitesto]

In virtù della sua posizione di presidente dell'autorità legislativa e di presidente ad interim dello Stato, il presidente della Knesset è la quarta carica nell'ordine di precedenza dello Stato in Israele, dopo il presidente, il primo ministro e il primo ministro supplente. Ha persino il diritto di essere sepolto nel grande cimitero della nazione sul monte Herzl, come avviene per i capi di stato. Il presidente della Knesset riceve regolari aggiornamenti dall'intelligence nel suo ufficio e tiene un telefono rosso per le emergenze in ufficio.

La funzione di presidente della Knesset è una posizione statale. Dal momento in cui viene eletto dalla Knesset, è responsabile allo stesso modo nei confronti di tutti i membri della Knesset, di tutte i gruppi parlamentari della Camera, anche se appartiene a un determinato partito, di solito il più grande partito della coalizione. Secondo la prassi statuale in Israele, i poteri cerimoniali e statali devono essere distribuiti tra i capi di stato, quindi il presidente della Knesset apre le celebrazioni del Giorno dell'indipendenza con la cerimonia di accensione delle torce sul Monte Herzl a Gerusalemme.

Il presidente della Knesset, in virtù della sua posizione, è invitato a tutti gli eventi e le cerimonie di stato e può parteciparvi se lo desidera. Riceve delegazioni e capi di stato alla Knesset quando arrivano e li accoglie nel plenum della Knesset durante il loro soggiorno, si reca alle conferenze in tutto il mondo e funge da membro più anziano della Knesset e dello Stato all'interno della delegazione.

Il presidente della Knesset è considerato nella sua posizione, per quanto concerno lo stipendio, come un ministro del governo. Ha diritto ad assumere tre assistenti parlamentari oltre al capo dell'ufficio e della segreteria. Al Presidente della Knesset è concesso un veicolo e un autista, ha diritto ai servizi di sicurezza per conto dello Stato e può ricevere un appartamento per conto dello Stato a Gerusalemme se non è residente della città o dei suoi immediati dintorni. Il presidente della Knesset ha un ufficio parlamentare nella Knesset al secondo piano dove riceve ospiti da Israele e dall'estero.

Elezione[modifica | modifica wikitesto]

Il ruolo del presidente della Knesset è regolato dalla Legge fondamentale: la Knesset, dalla Legge sulla Knesset e dagli Statuti della Knesset.

Secondo lo statuto della Knesset, il presidente della Knesset è eletto dal plenum della Camera con voto palese, nel periodo di tempo compreso tra il giuramento dei membri della Knesset e la formazione del governo. Secondo la legge sulla Knesset, è richiesta una maggioranza speciale di 90 membri della Knesset per rimuovere un presidente in carica (nel caso in cui non venga nominato un presidente permanente) a causa di un comportamento che non si addice alla sua posizione.

Dalla data di convocazione della Knesset fino all'elezione di un presidente permanente, le riunioni plenarie sono presiedute da un presidente temporaneo.

  • Fino alla XV Knesset, la carica era ricoperta dai membri più anziani della Knesset.
  • Nella XVI-XX Knesset, la posizione è stata occupata da un membro anziano della Knesset, che non era un membro del governo.
  • A partire dalla XXI Knesset, la carica è ricoperta dal presidente della Knesset uscente, se riconfermato ed eletto nella nuova Knesset, e se non eletto, da un ex membro della Knesset che non è un membro del governo.

Tradizionalmente, il Presidente della Knesset è eletto dal più grande gruppo parlamentare nella Knesset ed è solitamente sostenuto dai gruppi della coalizione e spesso anche da altri gruppi. In alcuni casi, il Presidente della Knesset è eletto all'unanimità a causa di un'unica candidatura o nel caso di assenza di opposizioni o parti astenute.

In diversi casi il presidente della Knesset non è stato il candidato della coalizione: Nahum Nir è stato il primo presidente della Knesset dall'istituzione dello stato a non appartenere al partito in quel momento al governo ed è stato eletto dalla coalizione Nir, organizzata ad hoc ai fini della sua elezione, contro la volontà del partito al governo, Mapai. Shlomo Hillel è stato presidente per conto del governo a rotazione ed è rimasto nella sua posizione anche dopo. Avraham Borg, nominato dal partito, in quel momento al governo nel 1999, non è stato incluso fu confermato dopo il cambio di governo nel 2001, durante la XV Knesset, sebbene il suo partito fosse membro di quel governo.

Nel 2006 è stata eletta per la prima volta una donna, Dalia Itzik di Kadima.











Notre[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Juan Pablo Duarte Biography, su biography.com, 2010. URL consultato il 26 luglio 2010 (archiviato dall'url originale l'11 settembre 2010).
  2. ^ www.colonialzone-dr.com





Joy Dunlop

Joy Dunlop (Connel, ...) è una conduttrice televisiva, cantante e ballerina scozzese.

Formazione e prime attività[modifica | modifica wikitesto]

Dunlop ha studiato presso il college Sabhal Mòr Ostaig dove si è laureata con lode in lingua e cultura gaelica, ha in seguito vinto il Premio Anna NicDhonnchaidh per i suoi sforzi nel promuovere e sostenere il gaelico nella comunità. Inizialmente dopo aver lavorato come responsabile per lo sviluppo del gaelico per An Comunn Gàidhealach, ha deciso di intraprendere una carriera musicale a tempo pieno nel 2010 e da allora ha lavorato come cantante e conduttrice televisiva e radiofonica.

Carriera musicale[modifica | modifica wikitesto]

Joy ha vinto numerosi premi e fatto viaggi in tutto il Regno Unito, Europa, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti. È stata premiata come "cantante gaelica dell'anno" agli Scottish Folk Music Awards nel 2011 e 2012 e ha vinto il Country Award nel 2010. Ha ricevuto la Medaglia d'oro di An Comunn Gàidhealach al Royal National Mod. Nel 2010 è stata premiata "cantante dell'anno" e "cantante folk celtica dell'anno" nel 2015: è stata la prima vincitrice in assoluto in entrambe le categorie.

Discografia[modifica | modifica wikitesto]

  • 2010 – Dùsgadh[1]
  • 2012 – Fiere (con Twelfth Day)[2]
  • 2013 – Faileasan[3]
  • 2020 – Dithis (con Andrew Dunlop)[4]
  • 2023 – Caoir[5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Dùsgadh (Awakening), su joydunlop.bandcamp.com. URL consultato il 4 novembre 2023.
  2. ^ (EN) Fiere, su joydunlop.bandcamp.com. URL consultato il 4 novembre 2021.
  3. ^ (EN) Faileasan, su joydunlop.bandcamp.com. URL consultato il 4 novembre 2021.
  4. ^ (EN) Dithis, su joydunlop.bandcamp.com. URL consultato il 4 novembre 2023.
  5. ^ (EN) Caoir, su joydunlop.bandcamp.com. URL consultato il 4 novembre 2021.

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

Presidenti

Nome Periodo
Aonghas MacDhonnchaidh 1922-1927
Calum MacLeòid 1938-1946
Neil MacGilleSheathain 1954-1956 [1]
Dòmhnall Grannd 1966-1968 [2]
Iain MacLeòid 2007-?[3]
Ailean Caimbeul 2017[4]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Thomson, Derick (1994) Companion to Gaelic Scotland Glasgow: Gairm, 266.
  2. ^ MacCalmain, T.M. (1971) 'Gaidheal gu Chùl' in D. Grannd "Tìr an Àigh" deas. le Iain A. MacDhòmhnaill, Glaschu: Gairm, d.7
  3. ^ http://www.acgmod.org/about/board/ga 8 aprile 2013
  4. ^ (GD) An Comunn Gàidhealac, Am Bòrd Stiùiridh, su acgmod.org. URL consultato il 15 febbraio 2022.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]



La Dichiarazione di Londra era una dichiarazione emessa dalla Conferenza dei primi ministri del Commonwealth delle nazioni del 1949 riguardo la questione della continua appartenenza dell'India al Commonwealth delle nazioni, dopo la transizione dell'India verso una costituzione repubblicana.

Redatta dal capo di stato indiano V. K. Krishna Menon, la dichiarazione stabiliva l'assenso dei primi ministri del Commonwealth sulla continuazione dell'appartenenza dell'India all'organizzazione, dopo che era diventata una repubblica. Con questa dichiarazione, il governo dell'India aveva espresso il suo assenso riguardo alla figura del re come simbolo di libera associazione degli stati del Commonwealth e come capo del Commonwealth.

La Dichiarazione riguardava solo l'India, considerata un caso eccezionale, e confermava che anche altri membri del Commonwealth delle nazioni dovevano fedeltà comune alla Corona, con un'iniziale accettazione del re come capo del Commonwealth. Tuttavia la dichiarazione ha stabilito un precedente secondo cui il repubblicanesimo è compatibile con l'appartenenza all'organizzazione includendo così repubbliche e singole monarchie. Questa dichiarazione, gettò le basi per un nuovo Commonwealth.[1][2] Il Commonwealth britannico è stato ribattezzato Commonwealth delle nazioni per esprimere questo cambiamento.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) S.A. de Smith, The London Declaration of the Commonwealth Prime Ministers, April 28, 1949, in The Modern Law Review, vol. 12, luglio 1949, pp. 351–354, DOI:10.1111/j.1468-2230.1949.tb00131.x.
  2. ^ (EN) Peter Marshall, Shaping the 'New Commonwealth', 1949, in The Round Table, vol. 88, aprile 1999, pp. 185–197, DOI:10.1080/003585399108108.
  3. ^ (EN) The London Declaration (PDF), su thecommonwealth.org, The Commonwealth, 26 aprile 1949. URL consultato il 18 settembre 2021 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2012).


L'economia dell'Irlanda del Nord è la più piccola dei quattro paesi del Regno Unito. L'Irlanda del Nord un tempo aveva un'economia industriale tradizionale, in particolare la cantieristica navale, la produzione di corde e il tessile, ma la maggior parte delle industrie pesanti sono state sostituite dal settore terziario.

Oggi, l'Irlanda del Nord è ancora segnata dal conflitto nordirlandese (in inglese: the Troubles) intercorso tra la fine degli anni '60 e la metà degli anni '90.

Panoramica[modifica | modifica wikitesto]

Produzione economica e crescita[modifica | modifica wikitesto]

L'Irlanda del Nord ha l'economia più piccola nelle regioni NUT 1 del Regno Unito, valutata a 2,74 miliardi di GBP (3,78 miliardi di EUR) [Quando?]. Rispetto ad altre regioni, la scala è equivalente ai due terzi dell'area con la seconda economia più piccola, l'Inghilterra nord-orientale. Tuttavia, la piccola popolazione dell'Irlanda del Nord è la ragione della sua economia relativamente piccola; Il PIL pro capite dell'Irlanda del Nord di £ 15.200 (21.000 euro) è superiore a quello dell'Inghilterra nord-orientale e del Galles.

Le aree rurali, compreso il nord-ovest, sono particolarmente svantaggiate e hanno i più alti tassi di disoccupazione e povertà in Irlanda del Nord. Infrastrutture scadenti ostacolano lo sviluppo economico della regione. L'Università dell'Ulster ha trasferito molti corsi a Jordanstown.

Negli anni '90, il tasso di crescita economica dell'Irlanda del Nord ha superato quello di altre regioni britanniche, in parte a causa della rapida crescita economica della Repubblica d'Irlanda (nota come la tigre celtica) e del cosiddetto "dividendo della pace". All'inizio del millennio, la recessione economica ha causato un rallentamento del ritmo di crescita al livello del resto del Regno Unito, ma poi è rimbalzato e ha continuato a crescere; nel 2005, si stima che l'economia dell'Irlanda del Nord sia cresciuta del 3,2%, quasi il doppio della crescita complessiva del Regno Unito. Le prospettive di crescita sono superiori rispetto al resto del Regno Unito. Un'indagine condotta dalla banca Halifax nell'aprile 2007 ha rilevato che il prezzo medio delle case in Irlanda del Nord era uno dei più alti del Regno Unito, subito dopo quello di Londra, del sud-ovest e del nord-ovest dell'Inghilterra. Il sondaggio ha anche rilevato che l'Irlanda del Nord occupa tutti i primi dieci "punti caldi" per l' acquisto di case, di cui le aree di Craigavon e Newtownards sono aumentate del 55%. Tuttavia, fino al 2018, il prezzo medio delle case in Irlanda del Nord era il più basso del Regno Unito, circa il 40% inferiore al prezzo prima dello scoppio della bolla dei prezzi delle case del 2008.

Occupazione[modifica | modifica wikitesto]

Rispetto al picco del 17,2% nel 1986, il tasso di disoccupazione in Irlanda del Nord è diminuito drasticamente negli ultimi anni ed è ora intorno al 6,1%. La disoccupazione giovanile e la disoccupazione di lunga durata sono diminuite più rapidamente. Il tasso di inattività in età lavorativa è del 28%, il più alto del Regno Unito.

Rispetto all'intero Regno Unito, la macroeconomia dell'Irlanda del Nord è caratterizzata da orari di lavoro effettivi relativamente lunghi e bassi divari di reddito di genere.

Investimenti[modifica | modifica wikitesto]

Durante il conflitto nordirlandese, l'Irlanda del Nord ha ricevuto solo una piccola quantità di investimenti esteri.

Dopo la firma dell'Accordo di Belfast, gli investimenti in Irlanda del Nord sono aumentati in modo significativo. La maggior parte degli investimenti si concentra sull'area metropolitana di Belfast e sull'area metropolitana di Derry (l'area metropolitana di Derry ha meno investimenti). I progetti principali includono un progetto di vendita al dettaglio del valore di 400 milioni di sterline nel cuore di Belfast, Victoria Square (backup dell'archivio delle pagine, archiviato in Internet Archive). La città ha realizzato il più grande sviluppo del lungomare in Europa con il piano del Titanic Quarter, che ha costato più di 1 miliardo di sterline e avuto la durata di sette anni. Laganside è stata in prima linea nel progetto di ricostruzione della sponda del fiume Lagan. Finora, la società ha investito 800 milioni di sterline nell'area della sponda del fiume e ha anche investito molto nel Cathedral Quarter. A Derry, la ILEX Urban Renaissance Company si è ritirata. Sebbene Derry sia la seconda città più grande dell'Irlanda del Nord, l'area sta ricevendo investimenti. Le aziende culturali non esistono più.

Inoltre, il Dipartimento per l'economia del governo ha incaricato un gruppo industriale scientifico: Matrix Company (inglese: MATRIX) di fornire al governo raccomandazioni scientifiche e tecnologiche per la ricerca e lo sviluppo del business.

Il team Matrix è determinato ad aumentare la ricchezza dell'Irlanda del Nord e incoraggia l'uso della sua fondazione scientifica e di ricerca e sviluppo. Il suo rapporto di lavoro mostra che l'Irlanda del Nord ha ancora bisogno di scienza, sviluppo tecnologico, innovazione economica e sul posto di lavoro.

Le raccomandazioni del gruppo sono i risultati congiunti dei leader e degli esperti del settore tecnologico dell'Irlanda del Nord.

Agricoltura[modifica | modifica wikitesto]

A causa degli elevati costi del lavoro e degli investimenti di capitale, l'agricoltura dell'Irlanda del Nord è stata fortemente meccanizzata, compresi gli investimenti privati ​​e gli agricoltori nell'ambito della politica agricola comune dell'UE. Nel 2000, l'agricoltura rappresentava il 2,4% della produzione economica dell'Irlanda del Nord, che era più dell'1% della produzione agricola del Regno Unito. Come altri paesi del Regno Unito, il bestiame e i prodotti lattiero-caseari rappresentano la maggior parte della produzione agricola. Le colture principali sono la patata, l'orzo e il frumento (tra i più importanti).

Produzione[modifica | modifica wikitesto]

L'industria pesante è concentrata intorno a Belfast e anche altre grandi città e paesi dell'Irlanda del Nord hanno zone legate all'industria pesante. Le aziende leader nell'industria pesante sono: agroalimentare, tessile ed elettronica, seguite da fabbricazione della carta, produzione di mobili , aerospaziale e cantieristica, concentrate nella parte orientale dell'Irlanda del Nord. Tra le varie industrie manifatturiere , l'industria manifatturiera del lino nordirlandese è la più nota ed è considerata la fonte di lino più nota in Europa.

Sebbene il rapporto di produzione economica dell'industria manifatturiera sia inferiore a cinque anni fa, a causa della rapida crescita dell'industria dell'Irlanda del Nord dal 1998 al 2001, la produzione manifatturiera dell'Irlanda del Nord è rimasta sostanzialmente invariata. Ma questa buona scena nasconde i cambiamenti estremi nel livello della catena di produzione manifatturiera, passando dalle industrie tradizionali (tessile, cantieristica, ecc.) alle industrie ad alta tecnologia e ad alta intensità di capitale. Nel 2005 solo le industrie metalmeccaniche e chimiche (le due industrie di livello superiore della filiera) hanno registrato una crescita, mentre la produzione tessile è diminuita del 18%.

In Irlanda del Nord, l'ingegneria è la più grande area di produzione, in particolare la produzione di macchinari aerospaziali e pesanti. Bombardier Aerospace è la società industriale con il maggior numero di dipendenti nella regione, con un totale di 5.400 dipendenti in cinque uffici nell'area metropolitana di Belfast. Altre importanti società di ingegneria in Irlanda del Nord includono Caterpillar, Dow DuPont, Emerson Electric, Fujitsu, Allstate NI, Seagate Technology e North American Coal. La maggior parte di queste aziende ha ricevuto sostegno finanziario dal governo britannico e ha stretti legami accademici e commerciali con la Queen's University Belfast e l'Università dell'Ulster. Tra queste, la Queen's University Belfast è una di queste in ingegneria.

Il famoso Harland and Wolff di Belfast è stato il più grande cantiere navale del mondo del XX secolo, destinato a incontrare una forte concorrenza internazionale negli anni '70 e '80 e il rapido ritardo. Negli anni '90, l'azienda si è diversificata nell'ingegneria civile e nella produzione industriale ed è stata responsabile della costruzione di ponti e piattaforme petrolifere. L'azienda sperava di rivitalizzare l'industria cantieristica costruendo la Queen Mary II , ma l'offerta fallì. La maggior parte dei progetti su Queen's Island si è ridotta e una grande quantità di terreno (incluso il molo dove è stato costruito il Titanic) è stata venduta nel millennio e ricostruita nel Titanic Quarter, un nuovo agglomerato residenziale, commerciale e di industrie high-tech. La nuova piccola e moderna darsena del cantiere richiede solo 800 dipendenti per operare. Harland and Wolf Shipyards non ha costruito nuove navi dal 2003, ma ci sono più segni di coinvolgimento nel settore della costruzione navale, tra cui la demolizione, la riparazione e il rimontaggio delle navi. La società partecipa inoltre attivamente alla progettazione e costruzione di apparecchiature per la generazione di energia offshore (comprese turbine eoliche e motori a turbina idraulica).

Industria dei servizi[modifica | modifica wikitesto]

Come in tutte le economie avanzate, il settore dei servizi rappresenta la maggior parte dell'occupazione e della produzione economica. Il settore dei servizi rappresenta quasi il 70% della produzione economica e il 78% dell'occupazione.

Turismo[modifica | modifica wikitesto]

Sebbene il conflitto nordirlandese abbia portato un'immagine negativa alla regione, il turismo è una parte importante dell'economia dell'Irlanda del Nord. Nel 2004, il numero di turisti è aumentato del 4% a 2,1 milioni e le entrate del turismo sono aumentate del 7% a 325 milioni di sterline, rappresentando l'1% dell'economia complessiva della regione. Grazie al continuo sviluppo pacifico dell'Irlanda del Nord e alla normalizzazione della sua immagine, il turismo è considerato la principale direzione di sviluppo economico in futuro. Le famose attrazioni turistiche includono: la storica città di Derry, Belfast e Armagh, il Selciato del gigante, i castelli dell'Irlanda del Nord e così via. Nel 2012, il Northern Ireland Tourism Board ha organizzato un'attività di promozione turistica denominata "NI 2012 Our Time, Our Place". Un istituto di ricerca indipendente commissionato dalla Turism Administration ha analizzato la promozione di un totale di 31 milioni di sterline di entrate da gennaio a ottobre 2012 e all'inizio del 2013. Tra i progetti guidati da questo evento, i più interessanti sono l'apertura del Titanic Belfast il museo dedicato al Titanic (costo 3,1 milioni di sterline) e la costruzione del Giant's Causeway Visitor Center.

Pubblico dominio[modifica | modifica wikitesto]

Il governo britannico ha emesso un totale di 5 miliardi di sterline in sussidi nel 2006, che è circa il 20% del PIL dell'Irlanda del Nord. Durante la grande recessione del 2009-2010, l'importo totale dei sussidi è salito a 11,547 miliardi di sterline, per poi tornare a 9,16 miliardi di sterline nel 2013-2014. Nel 2017, un centro di ricerca economica e sociale ha pubblicato un articolo di un esperto che stima il pagamento annuale di sussidi per un valore di 10,8 miliardi di euro. Alla fine del 2018, l'Irish Times ha stimato che i sussidi erano aumentati a 10,8 miliardi di sterline quell'anno, ovvero un quarto della produzione economica dell'Irlanda del Nord.

Valuta[modifica | modifica wikitesto]

La valuta ufficiale dell'Irlanda del Nord è la sterlina britannica. L'euro utilizzato nella Repubblica d'Irlanda è accettato anche dai negozi adiacenti al confine irlandese.

Inoltre, quattro banche nordirlandesi hanno il potere di stampare banconote in sterline britanniche: Bank of Ireland, First Trust Bank, Danske Bank e Ulster Bank. La principale banca centrale del Regno Unito è la Banca d'Inghilterra.

Energia[modifica | modifica wikitesto]

Il consumo di energia primaria dell'Irlanda del Nord è di circa 4,9 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. La stragrande maggioranza dell'energia proviene da combustibili fossili.

La pianificazione della politica energetica regionale è di competenza del Dipartimento per l'economia dell'Esecutivo dell'Irlanda del Nord.

Elettricità[modifica | modifica wikitesto]

Il sistema di trasmissione nell'Irlanda del Nord è gestito dalla Northern Ireland System Control Company (SONI) e la Northern Ireland Electric Company (NIE) è responsabile della distribuzione dell'energia e della gestione degli impianti collegati a 850.000 clienti. Nel 2002-2003, l'Irlanda del Nord ha utilizzato 7,867 miliardi di kWh di elettricità [23] , con una media di 4,6 milioni di kWh a persona. Rispetto all'utilizzo pro capite in altre parti del Regno Unito (5,6 milioni di kWh), ogni persona risparmia il 18% di elettricità. La centrale elettrica principale si trova a Ballylumford (in inglese: Ballylumford power station) ed è gestita da Quality Energy Corporation (in inglese: Premier Power). C'è anche la centrale elettrica Kukira a Delhi . Il sistema di trasmissione in tutta l'isola d'Irlanda opera come un unico sistema e dispone di centri di controllo a Dublino e Belfast .

Il sistema di trasmissione dell'Irlanda del Nord è collegato alla Repubblica d'Irlanda da tre connettori transfrontalieri. Il connettore principale che può trasmettere 1,2 gigawatt si trova tra Tandragee (inglese: Tandragee) e Louth County . Ci sono anche due connettori di ricambio che possono trasmettere un totale di 240 milioni di watt. Rete insulare del Mare del Nord, il connettore ad alta tensione Moyle del fondale marino dello stretto di 500 milioni di watt è collegato al sistema di trasmissione nazionale della Gran Bretagna . [venti quattro]

Traffico[modifica | modifica wikitesto]

La Northern Ireland Railway può espandere il proprio territorio riaprendo la linea ferroviaria. Le linee ferroviarie che possono essere riaperte includono Xiaohejin alla stazione di Ama nella contea di Ama .

L'Irlanda del Nord ha tre aeroporti civili: Belfast City Airport , Belfast International Airport e Delhi City Airport . Solo la ferrovia dell'aeroporto di Belfast City , che collega la stazione alla linea Bangor della nota stazione salata (inglese: stazione di Sydenham).

I principali porti dell'Irlanda del Nord sono: Belfast Port , Londonderry Port e Larne Port . Il porto di Belfast è uno dei principali porti del Regno Unito, ha movimentato oltre 17 milioni di tonnellate (16,7 milioni di tonnellate ) di merci nel 2005, equivalenti a due terzi del commercio marittimo dell'Irlanda del Nord.

Differenze regionali/divario nord-sud[modifica | modifica wikitesto]

Regno Unito[modifica | modifica wikitesto]

Secondo i dati Eurostat, ci sono enormi differenze regionali nel PIL pro capite nel Regno Unito. Si va da 11.000 sterline (15.000 euro) nel Galles occidentale a 130.450 sterline (179.800 euro) nella zona ovest di Londra. Ci sono 26 regioni del Regno Unito con un PIL pro capite inferiore a 14.500 sterline (20.000 euro).

Le aree sono le seguenti:

4,5 milioni di persone (8,5% degli inglesi) vivono in queste aree svantaggiate dell'Inghilterra. Undici di questi sono: Durham Borough, Northumberland, North Greater Manchester, Blackpool District, Sefton Borough, Villar Peninsula, Barnsley Doncaster Rotherham Borough, South Nottingham County, Dudley Borough, East of Outer London, Torbay District.

1,4 milioni di persone (45% dei gallesi) vivono in queste aree svantaggiate del Galles. Sei di loro sono: Anglesey, Conwy e Denby County, Southwest Wales, Central Valley City (inglese: Central Valleys), Gwent Valley City, Powys County.

1,1 milioni di persone (20% degli scozzesi) vivono in queste aree svantaggiate della Scozia. Cinque di loro sono: la contea di Clarkman South e Fife, la contea di Lothian in Medio Oriente, la contea di Dunbarton orientale e occidentale, l'Ayrshire nordorientale, la contea di Caithness Sutherland e la contea di East Ross.

1,1 milioni di persone (il 60% della popolazione nordirlandese) vive in queste aree svantaggiate dell'Irlanda del Nord. Tre di questi sono: Outer Belfast, Irlanda del Nord del Nord, Irlanda del Nord occidentale e meridionale.

Università metropolitana di Swansea
Parte del Mount Pleasant Campus dell'Università metropolitana di Swansea
Ubicazione
StatoBandiera del Regno Unito Regno Unito
CittàSwansea
Dati generali
Fondazione1853 – Swansea (municipal) School of Art and Crafts
1872 – Swansea College of Education
1897– Swansea Technical College
Swansea Metropolitan University
1976 – West Glamorgan Institute of Higher Education

L'Università metropolitana di Swansea (in inglese: Swansea Metropolitan University, in gallese: Prifysgol Fetropolitan Abertawe) è un'ex università con sede a Swansea, Galles, Regno Unito. L'università si è fusa con, ed è diventata un campus costituente, l'Università del Galles Trinity Saint David il 1° agosto 2013.

Impiegando più di 500 dipendenti e insegnando a oltre 6.000 studenti, la Swansea Metropolitan University è nata dai tre ex Swansea colleges of Art, Teacher Education, and Technology che sono stati fondati rispettivamente nel 1853, 1872 e 1897 e si sono fusi nel 1976 per formare un centro per l'erogazione dell'istruzione superiore professionale.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Per la maggior parte del XX secolo c'erano - oltre all'Università di Swansea - tre ulteriori istituzioni educative separate che servivano la città di Swansea: la Swansea (Municipal) School of Art and Crafts (fondata nel 1853); lo Swansea Training College (fondato nel 1872) e lo Swansea Technical College (fondato nel 1897). Lo Swansea Training College, che era stato finanziato da Rose Mary Crawshay, era il primo posto in Galles dove le donne potevano formarsi come insegnanti.[1]

Durante questo periodo, la School of Art and Crafts aveva sede in Alexandra Road, non lontano dalla sua posizione attuale ai piedi di Mount Pleasant Hill, di fronte alla stazione di polizia centrale di Swansea.

L'ex College of Education aveva sede nell'area di Townhill della città, dove venivano tenuti i corsi di insegnamento e di discipline umanistiche della Metropolitan University prima di trasferirsi nel nuovo sviluppo universitario.

Lo Swansea Technical College, precedentemente con sede a Mount Pleasant, era un fornitore di qualifiche professionali ben noto e rispettato; dove avevano sede molti dei programmi della Metropolitan University, tra cui economia, informatica, ingegneria e costruzione.

Nel 1976 le tre istituzioni si unirono per formare il West Glamorgan Institute of Higher Education. Nel 1992 l'istituzione è stata ribattezzata Swansea Institute of Higher Education ed è diventata una società indipendente per l'istruzione superiore, lontana dal controllo delle autorità locali. Nel 2008 e dopo un'ispezione durata due anni, il Consiglio privato ha dato il permesso all'istituzione di essere ribattezzata Univeristà metropolitana di Swansea.

Nonostante questi cambiamenti radicali, l'università è rimasta vicina alle sue radici, con le tre istituzioni fondatrici che si riflettono ancora nelle quattro Facoltà che oggi compongono l'università.

Nonostante sia un'istituzione che si concentra sull'insegnamento, il sessanta per cento del lavoro di ricerca dell'università è stato valutato come di "importanza internazionale" e in alcuni casi "leader mondiale" nell'esercizio di valutazione della ricerca del 2008, con particolari punti di forza nell'arte e nel design, insegnamento e ingegneria.

Entrambi i campus di Townhill e Mount sono stati chiusi a causa del trasferimento dell'università in una nuova riqualificazione con sede nel SA1 waterfront.

Facoltà[modifica | modifica wikitesto]

L'Università metropolitana di Swansea aveva quattro facoltà:

Facoltà di Architettura, Informatica e Ingegneria[modifica | modifica wikitesto]

La Facoltà di Design applicato e Ingegneria ha insegnato competenze per ingegneria, logistica, edilizia, informatica, design industriale e industrie creative.

Scuole:

  • Ingegneria
  • Architettura e Ambiente costruito[2]
  • Informatica applicata

Swansea College of Art[modifica | modifica wikitesto]

Con sede nell'ex Dynevor Grammar School ristrutturata, la scuola è ora conosciuta come Swansea College of Art, un campus costituente dell'Università del Galles Trinity Saint David.

Scuole:

  • Scuola di Comunicazione visiva
  • Scuola di Belle arti e Fotografia
  • Scuola di Design e Arti applicate
  • Scuola di Cinema e Media digitali

Facoltà di Lettere e Filosofia[modifica | modifica wikitesto]

Precedentemente basata sul campus Townhill della Swansea Metropolitan University. La Facoltà di lettere e filosofia ha fornito formazione agli insegnanti e ha una vasta gamma di programmi di insegnamento universitari e post-laurea e si è anche ampliata includendo corsi di performance e letteratura, consulenza e psicologia. La Facility of Humanities si è trasferita dal Townhill Campus al SA1 Waterfront Campus a causa della chiusura del Townhill Campus. Il campus doveva essere venduto a sviluppatori.

Scuole:

  • Scuola di Scienze della formazione
  • Scuola di Scienze sociali e Arti dello spettacolo

Facoltà di Economia e Management[modifica | modifica wikitesto]

Con sede presso l'Università del Galles Trinity Saint David, Business campus, High Street Swansea (il sito dell'ex Swansea College of Technology). Aveva un portafoglio di programmi che includeva affari, tempo libero e turismo, servizi pubblici, gestione e assistenza sanitaria e sociale.

Scuole:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Crawshay [née Yeates], Rose Mary (1828–1907), educationist and feminist | Oxford Dictionary of National Biography, in The Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004, DOI:10.1093/ref:odnb/53008.
  2. ^ (EN) Faculty of Architecture, Computing and Engineering, su uwtsd.ac.uk, 7 maggio 2017.

La crisi del governo italiano del 2021 è un evento politico in Italia iniziato nel gennaio 2021 e terminato il mese successivo. Include gli eventi successivi all'annuncio di Matteo Renzi, leader Italia Viva ed ex presidente del consiglio, che avrebbe ritirato il suo sostegno al governo di Giuseppe Conte.

Il 18 e 19 gennaio il partito di Renzi si è astenuto e il governo ha ottenuto voti chiave alla Camera e al Senato, ma non è riuscito a raggiungere la maggioranza assoluta al Senato. Il presidente del Consiglio Conte si è dimesso il 26 gennaio, spingendo il presidente Sergio Mattarella ad avviare le consultazioni sulla formazione di un nuovo governo.

Il 13 febbraio Mario Draghi presta giuramento come primo ministro.

Contesto[modifica | modifica wikitesto]

Le elezioni politiche italiane del 2018 hanno portato alla creazione di un parlamento sospeso. Dopo lunghe trattative, il 1° giugno, è stata finalmente formata una coalizione tra due partiti populisti: il Movimento 5 Stelle (M5C) anti-sistema e la Lega di destra, guidata dall'indipendente Giuseppe Conte come presidente del Consiglio. Questa coalizione si è conclusa con le dimissioni di Conte il 20 agosto 2019 dopo che la Lega ha ritirato il suo sostegno al governo. Nel settembre 2019 è stato formato un nuovo governo tra il M5S e due partiti di sinistra: il Partito Democratico (PD) e Liberi e Uguali (LeU), tenendo a capo Giuseppe Conte.[1][2][3][4] Tuttavia, il 16 settembre, a pochi giorni dal voto di investitura, in un'intervista a la Repubblica, l'ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato l'intenzione di lasciare il PD, creando un nuovo partito centrista e liberale chiamato Italia Viva.[5][6] Due ministri, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, e un viceministro, Ivan Scalfarotto, hanno seguito Renzi nel suo nuovo movimento.[7]

Crisi politica[modifica | modifica wikitesto]

Tra dicembre 2020 e gennaio 2021 sono scoppiate le discussioni nella coalizione di governo tra Conte e Matteo Renzi, l'ex presidente del Consiglio e leader di Italia Viva. Renzi ha chiesto cambiamenti radicali nei piani del governo per ricostruire l'economia dopo la pandemia di COVID-19 e ha anche chiesto a Conte di rinunciare al suo mandato di coordinare le attività dei servizi segreti. Durante la conferenza stampa di fine anno, Conte ha respinto le richieste di Renzi, affermando di avere ancora la maggioranza in parlamento.

Il 13 gennaio, durante una conferenza stampa, Renzi ha annunciato le dimissioni di due ministri, provocando di fatto il crollo del governo Conte. Renzi ha dichiarato:

«Non permetteremo a nessuno di avere pieni poteri, non abbiamo iniziato questo governo per darli a Salvini. C'è un'emergenza drammatica, ma potrebbe non essere l'unico elemento che tiene in vita il governo. Rispondere a una pandemia significa avere la voglia e la necessità di sbloccare i cantieri e agire nel rispetto della politica industriale. C'è un motivo se l'Italia è il Paese con il più alto numero di morti e un PIL che si sgretola.»

Durante una tarda riunione del Consiglio dei ministri, Conte ha criticato aspramente Renzi. Ha dichiarato:

«Italia Viva si è presa seriamente la responsabilità di aprire la crisi di governo. Mi rammarico sinceramente per i danni significativi inflitti al nostro Paese dalla crisi di governo nel bel mezzo della pandemia. Se un partito costringe i suoi ministri a dimettersi, la gravità di questa decisione non può essere diminuita.»

Il presidente del Consiglio è stato subito sostenuto dal segretario del PD, Nicola Zingaretti, che ha definito la crisi "un gravissimo errore contro l'Italia" e "un atto contro il nostro Paese", mentre il ministro della Cultura Dario Franceschini, capo della delegazione democratica al governo, ha detto:

«Chi attacca il presidente del Consiglio va punito, e Giuseppe Conte serve il Paese con passione e dedizione nel momento più difficile della nostra storia repubblicana.»

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha definito la decisione di Renzi "una mossa avventata", sostenendo che il presidente del Consiglio Conte e il presidente Sergio Mattarella sono gli unici due pilastri dell'Italia in un momento di incertezza; mentre Roberto Speranza, ministro della Salute e leader di fatto del partito Liberi e Uguali, ha affermato che Conte "ha servito il Paese con disciplina e onore". Inoltre, molti altri esponenti di spicco del governo come Stefano Patuanelli, Alfonso Bonafede, Vincenzo Spadafora e Riccardo Fraccaro hanno espresso il loro sostegno a Conte. I leader dell'opposizione Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno immediatamente chiesto elezioni anticipate.

Il 15 gennaio Conte ha annunciato che avrebbe denunciato la crisi di governo al parlamento la successiva settimana. In questo caso, ha cercato anche un voto di fiducia per confermare il sostegno parlamentare al governo.

Fiducia nel governo Conte[modifica | modifica wikitesto]

Il 18 gennaio 2021, il governo ha ottenuto la fiducia della Camera dei deputati con 321 voti favorevoli, 259 contrari e 27 astenuti. Il giorno successivo il governo ha ottenuto la fiducia al Senato con 156 voti favorevoli, 140 contrari e 16 astenuti; tuttavia, il governo non è riuscito a raggiungere la maggioranza assoluta alla Camera.

In entrambe le Camere i gruppi di Italia Viva si sono astenuti. Il governo ha anche ricevuto il sostegno di diversi parlamentari non appartenenti alla maggioranza, come tre parlamentari di Forza Italia, uno di +Europa e altri del gruppo misto.

Le dimissioni e le consultazioni di Conte[modifica | modifica wikitesto]

Il 26 gennaio, dopo giorni di infruttuose trattative con senatori centristi e indipendenti per ripristinare la maggioranza assoluta al Senato, Conte si è dimesso da presidente del Consiglio. Il giorno dopo, al Senato si è formato un nuovo gruppo parlamentare, gli europeisti, per sostenere Conte. Il gruppo era composto da membri del Movimento Associativo Italiani all'Estero (MAIE) e da altri senatori centristi e liberali.

Il 27 gennaio, al Quirinale, sono iniziate le consultazioni con il presidente Sergio Mattarella sulla formazione di un nuovo gabinetto, durante le quali si sono incontrati i presidenti di entrambe le camere, la senatrice Elisabetta Casellati e Roberto Fico.

Il 28 gennaio il presidente Mattarella ha incontrato le delegazioni di Per le Autonomie, Liberi e Uguali e Europeisti, che hanno ribadito il loro sostegno a Conte, nonché i parlamentari indipendenti del gruppo misto. Matteo Renzi, ricevuto nel pomeriggio insieme alla delegazione di Italia Viva, ha aperto a un nuovo governo con la stessa vecchia maggioranza, ma si è opposto al compito di formare un nuovo governo Conte, mentre Nicola Zingaretti ha sottolineato la necessità di un nuovo governo con Conte in testa.

Il 29 gennaio il presidente Mattarella ha accolto una coalizione di centrodestra composta da Lega (Lega), Fratelli d'Italia (FdI), Forza Italia (FI) e altri piccoli partiti conservatori. Il leader della Lega Nord Matteo Salvini ha chiesto elezioni anticipate, altrimenti ha aggiunto che a determinate condizioni il centrodestra potrà sostenere il governo di unità nazionale. Le consultazioni si sono concluse con il Movimento 5 Stelle (M5S), il cui leader Vito Crimi ha ribadito il sostegno al presidente del Consiglio Conte e ha aperto al ritorno di Italia Viva nella maggioranza, una dichiarazione che ha suscitato una reazione immediata di Alessandro Di Battista, leader dell'anti-establishment dell'ala M5S, che ha minacciato di ritirarsi dal partito, se Renzi fosse tornato al governo.

Ulteriori trattative e mandato di Draghi[modifica | modifica wikitesto]

Al termine delle consultazioni, Mattarella ha incaricato il presidente della Camera, Roberto Fico, di verificare la possibilità di formare un nuovo governo con la stessa maggioranza di voti del precedente, composto da M5S, PD, IV e LeU.

L'ultimo giorno del 2 febbraio Italia Viva si è scissa dalla maggioranza per disaccordi sia sulla piattaforma che sui membri del governo, che hanno portato Fico a tornare da Mattarella con esito negativo. Dopo la formazione fallimentare del governo, Mattarella ha invitato Mario Draghi al Palazzo del Quirinale, intenzionato a proporgli l'incarico di formare un governo tecnocratico. Il 3 febbraio Draghi ha accettato ufficialmente l'incarico di formare un nuovo governo e ha avviato le consultazioni con i presidenti delle due camere. Lo stesso giorno ha incontrato anche Giuseppe Conte, che lo ha approvato formalmente il giorno successivo.

Il 10 febbraio, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi hanno annunciato insieme dopo l'incontro il loro sostegno a Draghi. Lo stesso giorno, Giorgio Meloni ha condannato l'incontro dei suoi due alleati e ha ribadito la sua opposizione al governo Draghi.

L'11 febbraio la dirigenza nazionale del Partito Democratico ha votato all'unanimità per formare un nuovo governo.

Lo stesso giorno, il M5S ha chiesto ai suoi membri di votare sulla seguente domanda: “Siete d'accordo che il Movimento sostenga un governo tecnico-politico che includa un super-ministero per la transizione ecologica e difenderà i principali risultati raggiunti dal Movimento, insieme ad altre forze politiche indicate dal presidente del Consiglio nominato Mario Draghi?" I membri del partito hanno approvato il referendum online con il 59,3% dei voti. Alessandro Di Battista si è opposto alla decisione del partito di entrare nel nuovo governo e ha lasciato il partito l'11 febbraio 2021.

Formazione del governo Draghi[modifica | modifica wikitesto]

La sera del 12 febbraio Draghi ha incontrato il presidente Mattarella e ha presentato una lista di ministri proposti per il suo governo. Il giuramento ha avuto luogo il 13 febbraio alle 12:00 ora locale.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Grasso, possibile intesa M5s-Pd-Leu - Ultima Ora, su Agenzia ANSA, 19 agosto 2019. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 19 agosto 2019).
  2. ^ Conte wins crucial support for new Italian govt coalition, in Washington Post. URL consultato il 28 agosto 2019 (archiviato dall'url originale il 28 agosto 2019).
  3. ^ C'è l'accordo tra M5s e Pd. Governo giallorosso ai nastri di partenza, su Agi. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 28 agosto 2019).
  4. ^ Governo, Conte e i ministri hanno giurato. Gentiloni in pole per successione a Moscovici, 5 settembre 2019. URL consultato il 15 settembre 2021 (archiviato dall'url originale il 5 settembre 2019).
  5. ^ Renzi lascia il Pd: "Uscire dal partito sarà un bene per tutti. Anche per Conte", in la Repubblica.
  6. ^ Renzi: "Il nome della nuova sfida che stiamo per lanciare sarà Italia viva", in Corriere della Sera, 17 settembre 2019. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2019).
  7. ^ L'iniziativa. Renzi saluta il Pd e lancia "Italia viva". "Siamo 40 in Parlamento", in Avvenire, 17 settembre 2019. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 2 ottobre 2019).

La crisi del governo italiano del 2019 è un evento politico verificatosi in Italia dall'agosto al settembre 2019. È stata causata dal ministro dell'Interno e leader della Lega, Matteo Salvini, che ha annunciato il suo ritiro dal governo e ha chiesto elezioni anticipate, che hanno portato alle dimissioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Successivamente Conte ha istituito un nuovo governo.[1]

Contesto[modifica | modifica wikitesto]

Nelle elezioni politiche italiane del 2018 nessun gruppo politico o partito ha ottenuto la maggioranza assoluta, il che ha portato alla sospensione del parlamento.[2] Il 4 marzo la Lega Nord guidata da Matteo Salvini ha conquistato la maggioranza dei seggi alla Camera dei deputati e al Senato, e il Movimento Cinque Stelle (M5S) anti-sistema guidato da Luigi Di Maio è diventato il partito con più voti. Al terzo posto vi è la coalizione di centrosinistra guidata da Matteo Renzi.[3] Pertanto, sono state necessarie lunghe trattative prima che sia istituito il nuovo governo.

I colloqui tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega Nord hanno portato alla cosiddetta proposta di "cambio di governo", che è stata portata avanti sotto la guida del professore di diritto Giuseppe Conte (sostenuto dal M5S). Dopo una lite con il presidente Sergio Mattarella, il governo di Conte, definito dai media il "primo governo populista dell'Europa occidentale", ha prestato giuramento il 1° giugno.[4]

Crisi[modifica | modifica wikitesto]

(a sinistra) Matteo Salvini, ministro dell'interno propositore della mozione di sfiducia - (a destra) Giuseppe Conte, presidente del Consiglio dei ministri sfiduciato.

Nell'agosto 2019, il vicepremier Salvini ha avviato una mozione di sfiducia a Conte dopo l'intensificarsi delle tensioni.[5] Molti analisti politici ritengono che la mozione di sfiducia sia un tentativo di forzare elezioni anticipate al fine di migliorare lo status della Lega Nord in Parlamento, per garantire che Salvini diventi il ​​prossimo presidente del Consiglio. Il 20 agosto, dopo il dibattito parlamentare, Conte accusa severamente Salvini di essere un opportunista politico che "ha innescato una crisi politica solo per tornaconto personale", dopodiché Conte ha rassegnato le dimissioni da presidente del Consiglio.

Formazione del governo[modifica | modifica wikitesto]

Il 21 agosto Mattarella ha avviato le consultazioni con tutti i gruppi parlamentari. Lo stesso giorno, la politica di orientamento nazionale del Partito Democratico ha aperto formalmente la porta alle opportunità di formare un governo con il Movimento 5 Stelle: basato su europeismo, economia verde e sviluppo sostenibile, opponendosi alla disuguaglianza economica e a nuove politiche di immigrazione.[6] Tuttavia, i colloqui con il presidente Mattarella hanno portato a risultati ambigui, quindi Mattarella ha annunciato che il secondo ciclo di consultazioni si sarebbe tenuto il 28 agosto.[7]

Nei giorni precedenti al secondo turno, iniziò lo scontro tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle.[8] Liberi e Uguali (LeU) ha annunciato che avrebbe sostenuto il potenziale governo del "Movimento 5 Stelle-Partito Democratico".[9] Il 28 agosto, il leader del Partito Democratico Nicola Zingaretti ha annunciato al Quirinale di sostenere la cooperazione con il Movimento 5 Stelle per formare un nuovo governo guidato da Giuseppe Conte. Lo stesso giorno Mattarella il 29 agosto ha invitato Conte al Palazzo del Quirinale affidandoli l'incarico di formare un nuovo governo.[10]

Approvazione da parte dei membri del Movimento 5 Stelle[modifica | modifica wikitesto]

Il 1° settembre, il fondatore del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, ha fortemente sostenuto l'alleanza con il PD, definendola un'"occasione unica" per riformare il Paese.[11] Il 3 settembre, i membri del Movimento 5 Stelle hanno votato a favore della cooperazione con il Partito Democratico.[12]

Scelta Voti %
63,146 79.3%
no 16,488 20.7%
totale 79,634 100.0%
Membri registrati / tasso di voto 117,194 68.0%
Fonte:Associazione RousseauArchiviato il 20201112023540 su vote-results.s3-eu-west-1.amazonaws.com URL di servizio di archiviazione sconosciuto.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Governo, Conte annuncia i ministri: Gualtieri all'Economia, Lamorgese all'Interno, Di Maio agli Esteri. Fraccaro sottosegretario alla presidenza dopo lite tra il premier e il capo politico M5S, in Repubblica.it. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale l'8 novembre 2020).
  2. ^ Alessandro Sala, Elezioni 2018: M5S primo partito, nel centrodestra la Lega supera FI. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 28 marzo 2019).
  3. ^ (EN) Elezioni politiche: vincono M5s e Lega. Crollo del Partito democratico. Centrodestra prima coalizione. Il Carroccio sorpassa Forza Italia. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 26 giugno 2019).
  4. ^ Carlotta Leo, La lista dei ministri del Governo Conte: tutti i nomi, in Corriere della Sera, 31 maggio 2018. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 1° giugno 2018).
  5. ^ La Lega presenta al Senato una mozione di sfiducia a Conte. M5S attacca Salvini: "Giullare", in rainews. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 20 agosto 2019).
  6. ^ Governo, Zingaretti: "I 5 punti per trattare con il M5S. No accordicchi, governo di svolta", in la Repubblica, 21 agosto 2019. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 27 agosto 2019).
  7. ^ Crisi di governo, secondo giro di consultazioni al Colle, in Tgcom24. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 27 agosto 2019).
  8. ^ (EN) Ecco l’accordo sul Conte bis: Zingaretti dà il via libera, nodo su ministeri e manovra, in Fanpage. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 15 settembre 2019).
  9. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore ansa.it
  10. ^ C'è l'accordo tra M5s e Pd. Governo giallorosso ai nastri di partenza, su Agi. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 28 agosto 2019).
  11. ^ L'appello di Grillo ai "ragazzi del Pd": "È il vostro momento", su Agi, 1° settembre 2019. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 22 ottobre 2020).
  12. ^ Governo, via libera di Rousseau all'intesa M5s-Pd con il 79% dei voti. Conte domattina al Quirinale, in la Repubblica, 3 settembre 2019. URL consultato il 15 giugno 2021 (archiviato dall'url originale il 25 novembre 2020).
Predecessore Presidente dell'Assemblea nazionale Successore


Il presidente dell'Althing (in Lingua islandese|islandese: Forseti Alþingis) presiede le riunioni del parlamento islandese.

All'inizio, l'Althing a Reykjavik era solo un organo consultivo.

Legislatura Immagine Nome
(Nascita–Morte)
Mandato
1° legislatura Bjarni Thorsteinsson
(1781–1876)
1 luglio 1845 – 5 agosto 1845
2° legislatura Þórður Sveinbjörnsson
(1786–1856)
1° luglio 1847 – 7 agosto 1847
3° legislatura Jón Sigurðsson
(1811–1879)
2 luglio 1849 – 8 agosto 1849
4° legislatura 1° luglio 1853 – 10 agosto 1853
5° legislatura Hannes Stephensen<br(1799–1856) 2 luglio 1855 – 9 agosto 1855
6° legislatura Jón Sigurðsson
Template:Small
1° luglio 1857 – 17 agosto 1857
7° legislatura Jón Guðmundsson
(1807–1875)
1° luglio 1859 – 18 agosto 1859
8° legislatura 1. juli 1861–19. august 1861
9° legisaltura 80px Halldór Jónsson
small>(1810–1881)
1° luglio 863 – 17 agosto 1863
10° legislatura 80px Jón Sigurðsson
(1811–1879
1° luglio 1865 – 26 agosto 1865
11. rgþ. 1° luglio 1867 – 11 settembre 1867
12. rgþ. 27 luglio 1869 – 13 settembre 1869
13. rgþ. 1° luglio 1871 – 22 agosto 1871
14. rgþ. 1° luglio 1873 – 2 agosto 1873

I 1849 ble Árni Helgason valgt som president, men fratrådte umiddelbart av aldersmessige grunner.

Det forente alltingets president / Template:Small[modifica | modifica wikitesto]

Da Alltinget konstitusjonelt sett ble tildelt lovgivende myndighet, ble det inndelt i to kamre: Den øvre avdeling og den nedre avdeling. Det var imidlertid møtene til Det forente alltinget som hadde det avgjørende ordet i saker som ble diskutert under sesjonen.

Legislatura Immagine Nome
Template:Small
Mandato Partito
1° legislatura 80px Jón Sigurðsson
(1811–1879)
1875–1877
2. lögþ.
3. lögþ. 80px Pétur Pétursson
Template:Small
1879
4. lögþ. 80px Bergur Thorberg
Template:Small
1881
5. lögþ. 80px Magnús Stephensen
Template:Small
1883
6. lögþ. 80px Árni Thorsteinson
Template:Small
1885
7. lögþ. 80px Benedikt Sveinsson
Template:Small
1886–1887
8. lögþ.
9. lögþ. 80px Benedikt Kristjánsson
Template:Small
1889
10. lögþ. 80px Eiríkur Briem
Template:Small
1891
11. lögþ. 80px Benedikt Sveinsson
Template:Small
1893–1894
12. lögþ.
13. lögþ. 80px Ólafur Briem
Template:Small
1895
14. lögþ. 80px Hallgrímur Sveinsson
Template:Small
1897–1899 Framfaraflokkurinn
15. lögþ.
16. lögþ. 80px Eiríkur Briem
Template:Small
1901–1907 Heimastjórnarflokkurinn
17. lögþ.
18. lögþ.
19. lögþ.
20. lögþ.
21. lögþ. 80px Björn Jónsson
Template:Small
1909 Sjálfstæðisflokkurinn
22. lögþ. 80px Skúli Thoroddsen
Template:Small
1909–1911 Sjálfstæðisflokkurinn
23. lögþ. 80px Hannes Hafstein
Template:Small
1912 Sambandsflokkurinn
24. lögþ. 80px Jón Magnússon
Template:Small
1912–1913 Sambandsflokkurinn
25. lögþ. 80px Kristinn Daníelsson
Template:Small
1914–1917 Sjálfstæðisflokkurin
26. lögþ.
27. lögþ.
28. lögþ.
29. lögþ. 80px Jóhannes Jóhannesson
Template:Small
1918–1921 Sjálfstæðisflokkurin
30. lögþ.
31. lögþ.
32. lögþ.
33. lögþ.
34. lögþ. 80px Sigurður Eggerz
Template:Small
1922 Sjálfstæðisflokkurin
80px Magnús Kristjánsson
Template:Small
1922–1923 Heimastjórnarflokkurinn
35. lögþ. Framsóknarflokkurinn
36. lögþ. 80px Jóhannes Jóhannesson
Template:Small
1924–1926 Íhaldsflokkurinn
37. lögþ.
38. lögþ.
39. lögþ. 80px Magnús Torfason
Template:Small
1927–1929 Framsóknarflokkurinn
40. lögþ.
41. lögþ.
42. lögþ. 80px Ásgeir Ásgeirsson
Template:Small
1930–1931 Framsóknarflokkurinn
43. lögþ.
44. lögþ.
80px Einar Árnason
Template:Small
1931–1932 Framsóknarflokkurinn
45. lögþ.
46. lögþ. 80px Tryggvi Þórhallsson
Template:Small
1933 Framsóknarflokkurinn
47. lögþ. 80px Jón Baldvinsson
Template:Small
1933–1938 Alþýðuflokkurinn
48. lögþ.
49. lögþ.
50. lögþ.
51. lögþ.
52. lögþ.
53. lögþ.
80px Haraldur Guðmundsson
Template:Small
1938–1941 Alþýðuflokkurinn
54. lögþ.
55. lögþ.
56. lögþ.
57. lögþ.
58. lögþ.
59. lögþ. 80px Gísli Sveinsson
Template:Small
1942 Sjálfstæðisflokkurinn
60. lögþ.
61. lögþ. 80px Haraldur Guðmundsson
Template:Small
1942–1943 Alþýðuflokkurinn
62. lögþ. 80px Gísli Sveinsson
Template:Small
1943–1945 Sjálfstæðisflokkurinn
63. lögþ.
64. lögþ. 80px Jón Pálmason
Template:Small
1945–1949
65. lögþ.
66. lögþ.
67. lögþ.
68. lögþ.
69. lögþ. 80px Steingrímur Steinþórsson
Template:Small
1949–1950 Framsóknarflokkurinn
70. lögþ. 80px Jón Pálmason
Template:Small
1950–1953 Sjálfstæðisflokkurinn
71. lögþ.
72. lögþ.
73. lögþ. 80px Jörundur Brynjólfsson
Template:Small
1953–1956 Framsóknarflokkurinn
74. lögþ.
75. lögþ.
76. lögþ. 80px Emil Jónsson
Template:Small
1956–1958 Alþýðuflokkurinn
77. lögþ.
78. lögþ. 80px Jón Pálmason
Template:Small
1959 Sjálfstæðisflokkurinn
79. lögþ. 80px Bjarni Benediktsson
Template:Small
1959 Sjálfstæðisflokkurinn
80. lögþ. 80px Friðjón Skarphéðinsson
Template:Small
1959–1963 Alþýðuflokkurinn
81. lögþ.
82. lögþ.
83. lögþ.
84. lögþ. 80px Birgir Finnsson
Template:Small
1963–1971 Alþýðuflokkurinn
85. lögþ.
86. lögþ.
87. lögþ.
88. lögþ.
89. lögþ.
90. lögþ.
91. lögþ.
92. lögþ. 80px Eysteinn Jónsson
Template:Small
1971–1974 Framsóknarflokkurinn
93. lögþ.
94. lögþ.
95. lögþ. 80px Gylfi Þ. Gíslason
Template:Small
1974 Alþýðuflokkurinn
96. lögþ. 80px Ásgeir Bjarnason
Template:Small
1974–1978 Framsóknarflokkurinn
97. lögþ.
98. lögþ.
99. lögþ.
100. lögþ. 80px Gils Guðmundsson
Template:Small
1978–1979 Alþýðubandalagið
101. lögþ. 80px Oddur Ólafsson
Template:Small
1979 Sjálfstæðisflokkurinn
102. lögþ. 80px Jón Helgason
Template:Small
1979–1983 Framsóknarflokkurinn
103. lögþ.
104. lögþ.
105. lögþ.
106. lögþ. 80px Þorvaldur Garðar Kristjánsson
Template:Small
1983–1988 Sjálfstæðisflokkurinn
107. lögþ.
108. lögþ.
109. lögþ.
110. lögþ.
111. lögþ. 80px Guðrún Helgadóttir
Template:Small
1988–1991 Alþýðubandalagið
112. lögþ.
113. lögþ.
114. lögþ. 80px Salóme Þorkelsdóttir
Template:Small
1991 Sjálfstæðisflokkurinn

Alltingets president / Template:Small[modifica | modifica wikitesto]

Etter sammenslåingen av Alltinget til ett kammer, ble Alltingets president betrodd de samme funksjonene som Det forente alltingets president tidligere hadde hatt.

LEgislatura Immagine Nome
Template:Small
Mandato Partito
114. lögþ. Salóme Þorkelsdóttir
(1927–)
1991–1995 Sjálfstæðisflokkurinn
115. lögþ.
116. lögþ.
117. lögþ.
118. lögþ.
119. lögþ. 80px Ólafur G. Einarsson
Template:Small
1995–1999 Sjálfstæðisflokkurinn
120. lögþ.
121. lögþ.
122. lögþ.
123. lögþ.
124. lögþ. 80px Halldór Blöndal
Template:Small
1999–2005 Sjálfstæðisflokkurinn
125. lögþ.
126. lögþ.
127. lögþ.
128. lögþ.
129. lögþ.
130. lögþ.
131. lögþ.
132. lögþ. 80px Sólveig Pétursdóttir
Template:Small
2005–2007 Sjálfstæðisflokkurinn
133. lögþ.
134. lögþ. 80px Sturla Böðvarsson
Template:Small
2007–2009 Sjálfstæðisflokkurinn
135. lögþ.
136. lögþ.
80px Guðbjartur Hannesson
Template:Small
2009 Samfylkingin
137. lögþ. 80px Ásta Ragnheiður Jóhannesdóttir
Template:Small
2009–2013 Samfylkingin
138. lögþ.
139. lögþ.
140. lögþ.
141. lögþ.
142. lögþ. 80px Einar K. Guðfinnsson
Template:Small
2013–2016 Sjálfstæðisflokkurinn
143. lögþ.
144. lögþ.
145. lögþ.
146. lögþ. 80px Steingrímur J. Sigfússon
Template:Small
2016–2017 Vinstrihreyfingin – grænt framboð
80px Unnur Brá Konráðsdóttir
Template:Small
2017 Sjálfstæðisflokkurinn
147. lögþ.
148. lögþ. 80px Steingrímur J. Sigfússon
Template:Small
2017– Vinstrihreyfingin – grænt framboð

La crisi del governo italiano del 2019 è stato un evento politico verificatosi in Italia dall'agosto al settembre 2019. È stato causato dal ministro dell'Interno e leader della Lega Nord, Matteo Salvini, che ha annunciato il suo ritiro dal governo e ha chiesto elezioni anticipate, che hanno portato alle dimissioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Successivamente Conte ha istituito un nuovo governo.[1]

Contesto[modifica | modifica wikitesto]

Nelle elezioni politiche italiane del 2018 nessun gruppo politico o partito ha ottenuto la maggioranza assoluta, il che ha portato alla sospensione del parlamento.[2] Il 4 marzo la Lega Nord guidata da Matteo Salvini ha conquistato la maggioranza dei seggi alla Camera dei deputati e al Senato, e il Movimento Cinque Stelle (M5S) guidato da Luigi Di Maio è diventato il partito con più voti. Al terzo posto vi è la coalizione di centrosinistra guidata da Matteo Renzi. Pertanto, sono state necessarie lunghe trattative prima che sia istituito il nuovo governo.

I colloqui tra il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord hanno portato alla cosiddetta proposta di "cambio di governo", che è stata portata avanti sotto la guida del professore di diritto Giuseppe Conte (preferito e sostenuto dal M5S). Dopo una lite con il presidente Sergio Mattarella, il governo di Conte, definito dai media il "primo governo populista dell'Europa occidentale", ha prestato giuramento il 1 giugno.

Crisi[modifica | modifica wikitesto]

Nell'agosto 2019, il vicepremier Salvini ha avviato una mozione di sfiducia a Conte dopo l'intensificarsi delle tensioni.[3] Molti analisti politici ritengono che la mozione di sfiducia sia un tentativo di forzare elezioni anticipate al fine di migliorare lo status della Lega Nord in Parlamento, per garantire che Salvini diventi il ​​prossimo primo ministro. Il 20 agosto, dopo il dibattito parlamentare, Conte accusa severamente Salvini di essere un opportunista politico che "ha innescato una crisi politica solo per tornaconto personale", dopodiché Conte ha rassegnato le dimissioni da presidente del Consiglio.[4]

Formazione del governo[modifica | modifica wikitesto]

Il 21 agosto Mattarella ha avviato le consultazioni con tutti i gruppi parlamentari. Lo stesso giorno, la politica di orientamento nazionale del Partito Democratico ha aperto formalmente la porta alle opportunità di formare un governo con il Movimento 5 Stelle: basato su europeismo, economia verde e sviluppo sostenibile, opponendosi alla disuguaglianza economica e nuove politiche di immigrazione. Tuttavia, i colloqui con il presidente Mattarella hanno portato a risultati ambigui, quindi Mattarella ha annunciato che il secondo ciclo di consultazioni si terrà il 28 agosto.

Nei giorni precedenti al secondo turno, iniziò lo scontro tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle. Liberi e Uguali (LeU) ha annunciato che sosterrà il potenziale governo del "Movimento 5 Stelle-Partito Democratico". Il 28 agosto, il leader del Partito Democratico Nicola Zingaretti ha annunciato al Quirinale di sostenere la cooperazione con il Movimento 5 Stelle per formare un nuovo governo guidato da Giuseppe Conte. Lo stesso giorno Mattarella il 29 agosto ha invitato Conte al Palazzo del Quirinale affidandoli l'incarico di formare un nuovo governo.

Approvazione da parte dei membri del Movimento 5 Stelle[modifica | modifica wikitesto]

Il 1° settembre, il fondatore del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, ha fortemente sostenuto l'alleanza con il PD, definendola un'"occasione unica" per riformare il Paese.[5] Il 3 settembre, i membri del Movimento 5 Stelle hanno votato a favore della cooperazione con il Partito Democratico.[6]

Scelta Voti %
63,146 79.3%
no 16,488 20.7%
totale 79,634 100.0%
Membri registrati / tasso di voto 117,194 68.0%
Fonte:Associazione RousseauArchiviato il 20201112023540 su vote-results.s3-eu-west-1.amazonaws.com URL di servizio di archiviazione sconosciuto.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Governo, Conte annuncia i ministri: Gualtieri all'Economia, Lamorgese all'Interno, Di Maio agli Esteri. Fraccaro sottosegretario alla presidenza dopo lite tra il premier e il capo politico M5S, su Repubblica.it, 4 settembre 2019 (archiviato dall'url originale l'8 novembre 2020).
  2. ^ Alessandro Sala, Elezioni 2018: M5S primo partito, nel centrodestra la Lega supera FI, su corriere.it. URL consultato il 21 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 28 marzo 2019).
  3. ^ La Lega presenta al Senato una mozione di sfiducia a Conte. M5S attacca Salvini: "Giullare", su rainews. URL consultato il 21 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 20 agosto 2019).
  4. ^ Carlotta De Leo, La lista dei ministri del Governo Conte: tutti i nomi, su Corriere della Sera, 31 maggio 2018. URL consultato il 21 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 1° giungo 2018).
  5. ^ L'appello di Grillo ai "ragazzi del Pd": "È il vostro momento", su Agi, 1° settembre 2019. URL consultato il 21 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 22 ottobre 2020).
  6. ^ Governo, via libera di Rousseau all'intesa M5s-Pd con il 79% dei voti. Conte domattina al Quirinale, su Repubblica.it, 3 settembre 2019. URL consultato il 21 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 25 novembre 2020).

Assemblea Costituente (1946−1948)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Giuseppe Saragat
Umberto Terracini
1946−1948
1947−1948
PSIUP
PCI
Vicepresidente Periodo Partito
Giambattista Bosco Lucarelli
Giovanni Conti
Achille Grandi
Giuseppe Micheli
Fausto Pecorari
Ferdinando Targetti
Umberto Terracini
Umberto Tupini
1946−1948
1946−1948
1946
1947−1948
1946
1946−1948
1947−1948
1946−1947
DC
PSIUP
PRI
DC
DC
PSIUP
PCI
DC

I Legislatura (1948−1953)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Giovanni Gronchi 1948−1953 DC
Vicepresidente Periodo Partito
Giuseppe Fuschini
Gaetano Martino
Giuseppe Chiostergi
Luigi Bennani
Giovanni Leone
Ferdinando Targetti
Egidio Tosato
1948−1949
1948−1953
1948−1953
1953
1950−1953
1948−1953
1949−1950
DC
PLI
PRI
PRI/PSI
DC
PSI
DC

II Legislatura (1953−1958)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Giovanni Gronchi
Giovanni Leone
1953−1955
1955−1958
DC
DC
Vicepresidente Periodo Partito
Giovanni Leone
Gaetano Martino
Cino Macrelli
Edoardo D'Onofrio
Ferdinando Targetti
Giuseppe Rapelli
1953−1955
1953−1954
1954−1958
1953−1958
1953−1958
1955
DC
PLI
GM
PCI
PSI
DC

III legislatura (1958−1963)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Giovanni Leone 1958−1963 DC
Vicepresidente Periodo Partito
Brunetto Bucciarelli-Ducci
Paolo Rossi
Girolamo Li Causi
Ferdinando Targetti
1958−1963
1958−1963
1958−1963
1958−1963
DC
PSDI
PCI
PSI

IV legislatura (1963−1968)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Giovanni Leone
Brunetto Bucciarelli-Ducci
1963
1963−1968
DC
DC
Vicepresidente Periodo Partito
Brunetto Bucciarelli-Ducci
Paolo Rossi
Maria Lisa Cinciari Rodano
Sandro Pertini
Francesco Restivo
Guido Gonella
1963
1963−1968
1963−1968
1963−1968
1963−1966
1966−1968
DC
PSI-PSDI Unificati
PCI
PSI-PSDI Unificati
DC
DC

V legislatura (1968−1972)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Sandro Pertini 1968−1972 PSI
Vicepresidente Periodo Partito
Guido Gonella
Benigno Zaccagnini
Arrigo Boldrini
Lucio Mario Luzzatto
Roberto Lucifredi
1968
1968−1972
1968−1972
1968−1972
1968−1972
DC
DC
PCI
PSIUP
DC

VI legislatura (1972−1976)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Sandro Pertini 1972−1976 PSI
Vicepresidente Periodo Partito
Benigno Zaccagnini
Oscar Luigi Scalfaro
Roberto Lucifredi
Arrigo Boldrini
Nilde Iotti
1972−1975
1975−1976
1972−1976
1972−1976
1972−1976
DC
DC
DC
PCI
PCI

VII legislatura (1976−1979)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Pietro Ingrao 1976−1979 PCI
Vicepresidente Periodo Partito
Luigi Mariotti
Oscar Luigi Scalfaro
Pietro Bucalossi
Virginio Rognoni
Maria Eletta Martini
1976−1979
1976−1979
1976−1979
1976−1978
1978−1979
DC
DC
DC
DC
PCI

VIII legislatura (1979−1983)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Leonilde Iotti 1979−1983 PCI
Vicepresidente Periodo Partito
Maria Eletta Martini
Oscar Luigi Scalfaro
Loris Fortuna
Aldo Aniasi
Pier Luigi Romita
Luigi Preti
1979−1983
1979−1983
1979−1982
1982−1983
1979−1980
1980−1983
DC
DC
PSI
PS
PSDI
PSDI

IX legislatura (1983−1987)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Leonilde Iotti 1983−1987 PCI
Vicepresidente Periodo Partito
Oscar Luigi Scalfaro
Giuseppe Azzaro
Oddo Biasini
Aldo Aniasi
Vito Lattanzio
1983
1983−1987
1983−1987
1983−1987
1983−1987
DC
DC
PRI
PSI
DC

X legislatura (1987−1992)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Leonilde Iotti 1987−1992 PCI
Vicepresidente Periodo Partito
Vito Lattanzio
Adolfo Sarti
Michele Zolla
Aldo Aniasi
Gerardo Bianco
Alfredo Biondi
1987−1988
1990−1992
1988−1992
1987−1992
1987−1990
1987−1992
DC
DC
DC
PSI
DC
PLI

XI legislatura (1992−1994)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Oscar Luigi Scalfaro
Giorgio Napolitano
1992
1992−1994
DC
PDS
Vicepresidente Periodo Partito
Alfredo Biondi
Mario D'Acquisto
Tarcisio Gitti
Silvano Labriola
Clemente Mastella
Stefano Rodotà
1992−1994
1992−1993
1992−1994
1992−1994
1993−1994
1992
PLI
DC
DC-PPI
PSI
CCD
PDS

XII legislatura (1994−1996)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Irene Pivetti 1994−1996 LN
Vicepresidente Periodo Partito
Lorenzo Acquarone
Vittorio Dotti
Ignazio La Russa
Adriana Poli Bortone
Luciano Violante
1992−1996
1994
1994−1996
1994
1994−1996
PPI
FI
AN
AN
Progr. Feder.

XIII legislatura (1996−2001)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Luciano Violante 1996−2001 DS
Vicepresidente Periodo Partito
Alfredo Biondi
Lorenzo Acquarone
Pierluigi Petrini
Clemente Mastella
Carlo Giovanardi
1996−2001
1996−2001
1996−2001
1996−1998
1998−2001
FI
PPI
RI
CCD-UDR
CCD

XIV legislatura (2001−2006)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Pierferdinando Casini 2001−2006 UDC
Vicepresidente Periodo Partito
Alfredo Biondi
Publio Fiori
Fabio Mussi
Clemente Mastella
2001−2006
2001−2006
2001−2006
2001−2006
FI
Misto-ED
DS-Ulivo
Misto-Pop-UDEUR

XV legislatura (2006−2008)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Fausto Bertinotti 2006−2008 UDC
Vicepresidente Periodo Partito
Pierluigi Castagnetti
Carlo Leoni
Giulio Tremonti
Giorgia Meloni
2006−2008
2006−2008
2006−2008
2006−2008
PD-Ulivo
SD
FI
AN

XVI legislatura (2008−2013)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Gianfranco Fini 2008−2013 FLpTP
Vicepresidente Periodo Partito
Maurizio Lupi
Antonio Leone
Rosy Bindi
Rocco Buttiglione
2008−2013
2008−2013
2008−2013
2008−2013
PdL
PdL
PD
UdCpTP

XVII legislatura (2013−2018)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Laura Boldrini 2013−2018 Misto
Vicepresidente Periodo Partito
Marina Sereni
Roberto Giachetti
Luigi Di Maio
Simone Baldelli
2013−2018
2013−2018
2013−2018
2013−2018
PD
PD
M5S
FI-PDL

XVIII legislatura (2018−2022)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Roberto Fico 2018−2022 M5S
Vicepresidente Periodo Partito
Andrea Mandelli
Fabio Rampelli
Ettore Rosato
Maria Edera Spadoni
2021−2022
2018−2022
2018−2022
2018−2022
FI
FdI
IV-IC'è
M5S

XIX legislatura (2022−)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo Partito
Lorenzo Fontana 2022− Lega
Vicepresidente Periodo Partito
Anna Ascani
Sergio Costa
Giorgio Mulè
Fabio Rampelli
2022−
2022−
2022−
2022−
PD-IDP
M5S
FI-PPE
FdI





Affari esteri[modifica | modifica wikitesto]

# Ministro Partito Governo Inizio Fine Note
1 Moshe Sharett Mapai Ben-Gurion 15 maggio 1948 18 giugno 1956 Come primo ministro
2 Golda Meir Mapai
Allineamento
Ben-Gurion
Eshkol
18 giugno 1956 12 gennaio 1966
3 Abba Eban Allineamento
Partito Laburista Israeliano
Allineamento
Eshkol
Meir
13 gennaio 1966 2 giugno 1974
4 Yigal Allon Allineamento Yitzhak Rabin 3 giugno 1974 19 giugno 1977
5 Moshe Dayan Indipendente Begin 20 giungo 1977 23 ottobre 1979
6 Menachem Begin Likud Begin 23 ottobre 1979 10 marzo 1980 Come primo ministro
7 Yitzhak Shamir Likud Begin, Shamir, Peres 10 marzo 1980 20 ottobre 1986 Come primo ministro 1983–1984
8 Shimon Peres Allineamento Shamir 20 ottobre 1986 23 dicembre 1988
9 Moshe Arens Likud Shamir 23 dicembre 1988 12 giugno 1990
10 David Levy Likud Shamir 13 giugno 1990 13 luglio 1992
Shimon Peres Partito Laburista Israeliano Rabin 14 luglio 1992 22 novembre 1995
11 Ehud Barak Partito Laburista Israeliano Peres 22 novembre 1995 18 giugno 1996 Extraparlamentare
David Levy Gesher Netanyahu 18 giugno 1996 6 gennaio 1998
12 Benjamin Netanyahu Likud Netanyahu 6 gennaio 1998 13 ottobre 1998 Come primo ministro
13 Ariel Sharon Likud Netanyahu 13 ottobre 1998 6 giugno 1999
David Levy Un Israele Barak 6 giugno 1999 4 agosto 2000
Ehud Barak Un Israele Barak 4 agosto 2000 10 agosto 2000 Come primo ministro
14 Shlomo Ben-Ami Un Israele Barak 10 agosto 2000 7 marzo 2001
Shimon Peres Partito Laburista Israeliano Sharon 7 marzo 2001 2 novembre 2002
Ariel Sharon Likud Sharon 2 novembre 2002 6 novembre 2002 Come primo ministro
Benjamin Netanyahu Likud Sharon 6 novembre 2002 28 febbraio 2003
15 Silvan Shalom Likud Sharon 28 febbraio 2003 16 gennaio 2006
16 Tzipi Livni Kadima Olmert 18 gennaio 2006 1° aprile 2009
17 Avigdor Lieberman Israel Beitenu Netanyahu 1° aprile 2009 18 dicembre 2012
Benjamin Netanyahu Likud Netanyahu 18 dicembre 2012 11 novembre 2013 Come primo ministro
Avigdor Lieberman Yisrael Beiteinu Netanyahu 11 novembre 2013 6 maggio 2015
Benjamin Netanyahu Likud Netanyahu 14 maggio 2015 17 febbraio 2019 Come primo ministro
18 Yisrael Katz Likud Netanyahu 17 febbraio 2019 in carica

[1]

Responsabilità[modifica | modifica wikitesto]

  • Rilascio della cittadinanza e dello status di residente permanente.
  • Rilascio di visti di ingresso e visti di soggiorno nel paese.
  • Amministrazione degli abitanti: registrazione personale
    • Emissione di carte d'identità israeliane.
    • Rilascio di passaporti israeliani.
    • Registrazioni personali come nascita, matrimonio ecc.
  • Supervisione dei governi locali, dei consigli comunali e dei consigli locali
  • Elezioni
  • Associazioni
  • Pianificazione e supervisione degli edifici

Lista dei Ministri dell'interno[modifica | modifica wikitesto]

# Ministro Partito Governo Mandato
1 Yitzhak Gruenbaum Independent Provvisorio 14 maggio 1948 - 10 marzo 1949
2 Haim-Moshe Shapira Fronte Unito Religioso,
Hapoel HaMizrachi
Ben-Gurion 10 marzo 1949 - 24 dicembre 1952
3 Israel Rokah Sionisti Generali Ben-Gurion 24 dicembre 1952 - 29 giugno 1955
Haim-Moshe Shapira Hapoel HaMizrachi Sharett 29 giugno 1955 - 3 novembre 1955
4 Israel Bar-Yehuda Ahdut HaAvoda Ben-Gurion 3 novembre 1955 - 17 dicembre 1959
Haim-Moshe Shapira Partito Nazionale Religioso Ben-Gurion, Eshkol, Meir 17 dicembre 1959 - 16 luglio 1970
5 Golda Meir Allineamento Meir 16 luglio 1970 - 1° settembre 1970
6 Yosef Burg Partito Nazionale Religioso Meir 1° settembre 1970 - 3 giugno 1974
7 Shlomo Hillel Allineamento Rabin 3 giugno 1974 - 29 ottobre 1974
Yosef Burg Partito Nazionale Religioso Rabin 29 ottobre 1974 - 22 dicembre 1976
Shlomo Hillel Allineamento Rabin 16 gennaio 1977 - 20 giugno 1977
Yosef Burg Partito Nazionale Religioso Begin, Yitzhak Shamir 20 giugno 1977 - 13 settembre 1984
8 Shimon Peres Allineamento Peres 13 settembre 1984 - 24 dicembre 1984
9 Yitzhak Peretz Shas Peres, Shamir 24 dicembre 1984 - 6 gennaio 1987
10 Yitzhak Shamir Likud Shamir 6 gennaio 1987 - 22 dicembre 1988
11 Aryeh Deri Shas Shamir
Rabin
22 dicembre 1988 - 11 maggio 1993
12 Yitzhak Rabin Partito Laburista Israeliano Rabin 11 maggio 1993 - 7 giugno 1993
Aryeh Deri Shas Rabin 7 giugno 1993 - 14 settembre 1993
Yitzhak Rabin Partito Laburista Israeliano Rabin 14 settembre 1993 - 27 febbraio 1995
13 Uzi Baram Partito Laburista Israeliano Rabin 27 febbraio 1995 - 7 giugno 1995
14 David Libai Partito Laburista Israeliano Rabin 19 giugno 1995 - 18 luglio 1995
15 Ehud Barak Partito Laburista Israeliano Rabin 18 luglio 1995 - 22 novembre 1995
16 Haim Ramon Partito Laburista Israeliano 26 22 novembre 1995 - 18 giugno 1996
17 Eli Suissa Extraparlamentare Netanyahu 18 giugno 1996 - 6 luglio 1999
18 Natan Sharansky Yisrael BaAliyah Barak 6 luglio 1999 - 11 luglio 2000
Haim Ramon Un Israele Barak 11 luglio 2000 - 7 marzo 2001
19 Eli Yishai Shas Sharon 7 marzo 2001 - 23 maggio 2002
20 Ariel Sharon Likud Sharon 23 maggio 2002 - 3 giugno 2002
Eli Yishai Shas Sharon 3 giugno 2002 - 28 febbraio 2003
21 Avraham Poraz Shinui Sharon 28 febbraio 2003 - 4 dicembre 2004
22 Ophir Pines-Paz Partito Laburista Israeliano Sharon 10 gennaio 2005 - 23 novembre 2005
Ariel Sharon Kadima Sharon 23 novembre 2005 - 4 maggio 2006
23 Roni Bar-On Kadima Olmert 4 maggio 2006 - 4 luglio 2007
24 Meir Sheetrit Kadima Olmert 4 luglio 2007 - 31 marzo 2009
Eli Yishai Shas Netanyahu 31 marzo 2009 - 18 marzo 2013
25 Gideon Sa'ar Likud Netanyahu 18 marzo 2013 - 5 novembre 2014
26 Gilad Erdan Likud Netanyahu 5 novembre 2014 - 14 maggio 2015
27 Silvan Shalom Likud Netanyahu 14 maggio 2015 - 27 dicembre 2015
28 Benjamin Netanyahu Likud Netanyahu 27 dicembre 2015 - 11 gennaio 2016
Aryeh Deri Shas Netanyahu 11 gennaio 2016 - in carica

Vice ministri[modifica | modifica wikitesto]

# Vice ministro Partito Governo Mandato
1 Shlomo-Yisrael Ben-Meir Partito Nazionale Religioso Ben-Gurion
Eshkol
Meir
28 dicembre 1959 - 15 dicembre 1969
2 Yosef Goldschmidt Partito Nazionale Religioso Meir 22 dicembre 1969 - 16 luglio 1970
Yosef Goldschmidt Partito Nazionale Religioso Meir 19 luglio 1970 - 1° settembre 1970
3 Rafael Pinhasi Shas Shamir 15 gennaio 1990 - 11 giugno 1990
4 Salah Tarif Partito Laburista Israeliano Rabin 27 novembre 1995 - 18 giugno 1996
5 David Azulai Shas Sharon 2 maggio 2001 - 23 maggio 2002
David Azulai Shas Sharon 3 giugno 2002 - 28 febbraio 2003
6 Victor Brailovsky Shinui Sharon 5 marzo 2003 - 29 novembre 2004
7 Ruhama Avraham Kadima Sharon 30 marzo 2005 - 4 maggio 2006
8 Yaron Mazuz Likud Netanyahu 14 giugno 2015 - 11 gennaio 2016
9 Meshulam Nahari Shas Netanyahu 13 gennaio 2016 - in carica

|group5 = Eurodeputati

|list5 =

Il Capo esecutivo della Regione amministrativa speciale di Hong Kong(in cinese: 香港特別行政區 行政 長官; in Pinyin: Xiānggǎng Tèbié Xíngzhèngqū Xíngzhèng Zhangguān) è il capo esecutivo della RAS di Hong Kong, e rappresenta la regione ancor prima della Repubblica Popolare Cinese (RPC).

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Questa funzione sostituì quella del governatore di Hong Kong ai tempi della colonizzazione britannica, il 1° luglio 1997. Il primo cao esecutivo fu Tung Chee-Hwa, che si dimise nel 2005. Altre tre personalità hanno assunto l'incarico da quella data.

Metodo di voto[modifica | modifica wikitesto]

Le elezioni si svolgono indirettamente da un collegio elettorale di 1.200 elettori composto da individui e gruppi.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]


Errore nelle note: Sono presenti dei marcatori <ref> per un gruppo chiamato "N" ma non è stato trovato alcun marcatore <references group="N"/> corrispondente

  1. ^ 1st Life Guards, su regiments.org. URL consultato il 30 aprile 2020 (archiviato il 22 agosto 2006).