Utente:The Boss Bomber2/Sandbox - POLITICA

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Presidente del Senato di Spagna[modifica | modifica wikitesto]

Il presidente del Senato (in spagnolo presidente del Senado) è l'autorità che presiede le sedute del Senato spagnolo, la camera alta delle Corti Generali spagnole. È la quarta autorità del Paese dopo il Monarca (Capo dello Stato), il Presidente del Governo e il Presidente del Congresso dei Deputati (Presidente della camera bassa). Il presidente è eletto tra i senatori e da questi ultimi. Quando il presidente non è in grado di esercitare le proprie funzioni, l'esercizio delle sue funzioni spetta ai vicepresidenti.

Pur condividendo la rappresentanza delle Corti Generali con il Presidente del Congresso de Deputati, la preponderanza costituzionale concessa a quest'ultimo per l'asimmetria del bicameralismo spagnolo, consente al Presidente del Congresso dei Deputati di assumere la guida delle Corti, lasciando il Presidente del Senato al secondo posto dietro di lui, nell'ordine di successione.

La carica è stata istituita con l'entrata in vigore della Costituzione del 1978, tuttavia, essa ha una storia molto più lunga di quasi 200 anni, dalla sua creazione ufficiale nel 1834, quando assunse il titolo di Presidente della Camera dei pari.

A partire dalla XIV legislatura delle Corti Generali, il presidente del Senato è Ander Gil, membro del gruppo parlamentare socialista in rappresentanza di Burgos

Funzioni[modifica | modifica wikitesto]

Al presidente del Senato di Spagna spettano le seguenti funzioni:

  • Essere il Presidente della Camera e il suo rappresentante per quanto concerne tutti gli atti ufficiali.
  • Convocare e presiedere le sedute plenarie del Senato e mantenere l'ordine nelle discussioni, dirigere i dibattiti e convocare e presiedere l'Ufficio di Presidenza del Senato.
  • Convocare e presiedere, ogniqualvolta lo ritenga opportuno, qualsiasi Commissione del Senato.
  • Annunciare l'ordine del giorno della Plenaria del Senato.
  • Mantenere le comunicazioni con il governo centrale e le altre autorità.
  • Firmare, con uno dei Segretari, i messaggi che il Senato deve indirizzare.
  • Interpretare il regolamento.
  • Colmare, d'intesa con l'Ufficio di Presidenza della Commissione di Regolamento, le lacune presenti.
  • Garantire il rispetto del regolamento, la cortesia e le consuetudini parlamentari.
  • Applicare le misure relative alla disciplina parlamentare.
  • Svolgere tutte le altre funzioni attribuite dalla Costituzione, dalle leggi e dal presente Regolamento.

Elezione[modifica | modifica wikitesto]

Come il Presidente del Congresso, viene eletto durante la sessione costitutiva della Camera che segue lo svolgimento delle elezioni generali o durante la prima sessione plenaria dopo le dimissioni del Presidente. Il presidente della Camera in seduta costitutiva o dopo le dimissioni del precedente titolare, sarà il senatore più anziano.

Per eleggere il presidente del Senato al primo scrutinio è richiesta la maggioranza assoluta dei senatori. Se ciò non avviene, viene organizzata una seconda votazione subito dopo la proclamazione dei risultati da parte del presidente della sessione. In questo secondo scrutinio è sufficiente la maggioranza semplice. Ogni senatore è libero di scrivere il nome che vuole sulla propria scheda elettorale, anche se quei senatori del gruppo di maggioranza votano per un candidato predefinito dal proprio partito.

Il suo mandato termina in caso di morte, dimissioni, perdita del mandato di senatore o dopo lo scioglimento del Senato, prima dello svolgimento delle elezioni generali.



Ministri dell'interno della Francia

Sotto la Terza Repubblica, al Ministro del lavoro, dell'igiene, dell'assistenza sociale e della previdenza si affiancava talvolta anche un Sottosegretario di Stato:

Ministro Titolo Sottosegretario di Stato Titolo Governo Inizio Fine
Louis Loucheur Ministro del lavoro, dell'igiene, dell'assistenza e della previdenza sociale Alfred Oberkirch Sottosegretario di Stato al lavoro, all'igiene, all'assistenza e alla previdenza sociale Poincaré IV 1° giugno 1928 11 novembre 1928
Poincaré V 11 novembre 1938 29 luglio 1929
Briand XI 29 luglio 1929 3 novembre 1929
Tardieu I 3 novembre 1929 21 febbraio 1930
Marius "Mario" Roustan Sottosegretario di Stato all'igiene Chautemps I 23 febbraio 1930 2 marzo 1930

Quinta Repubblica[modifica | modifica wikitesto]

Ministro Mandato Partito Governo Altre funzioni
Jean Berthoin
(1895–1979)
8 gennaio 1959 29 maggio 1959
[1]
Partito Radicale Debré
Pierre Chatenet
(1917–1997)
29 maggio 1959 6 maggio 1961
[1]
Indipendente
Roger Frey
(1913–1997)
6 maggio 1961 7 aprile 1967 Unione per la Nuova Repubblica .
Pompidou I
Pompidou II
Pompidou III
Christian Fouchet
(1911–1974)
7 aprile 1967 31 maggio 1968
[1]
Unione dei Democratici per la Repubblica Pompidou IV
Raymond Marcellin
(1914–2004)
31 maggio 1968 1° marzo 1974 Repubblicani Indipendenti .
Couve de Murville
Chaban-Delmas
Messmer I
Messmer II
Jacques Chirac
(1932–2019)
1° marzo 1974 27 maggio 1974 Unione dei Democratici per la Repubblica Messmer III
Michel Poniatowski
(1922–2002)
27 maggio 1974 30 marzo 1977 Repubblicani Indipendenti Chirac I Ministro di Stato
Barre I
Christian Bonnet
(1921–2020)
30 marzo 1977 21 maggio 1981 Unione per la Democrazia Francese Barre II
Barre III
Gaston Defferre
(1910–1986)
21 maggio 1981 17 luglio 1984 Partito Socialista Mauroy I Ministro di Stato
Mauroy II
Mauroy III
Pierre Joxe
(1934)
17 luglio 1984 20 marzo 1986 Partito Socialista Fabius
Charles Pasqua
(1927–2015)
20 marzo 1986 10 maggio 1988 Raggruppamento per la Repubblica Chirac II
Pierre Joxe
(1934)
10 maggio 1988 30 gennaio 1991
[2]
Partito Socialista Rocard I
Rocard II
Philippe Marchand
(1939–2018)
30 gennaio 1991 2 aprile 1992 Partito Socialista
Cresson
Paul Quilès
(1942–2021)
2 aprile 1992 29 marzo 1993 Partito Socialista Bérégovoy
Charles Pasqua
(1927–2015)
29 marzo 1993 17 maggio 1995 Raggruppamento per la Repubblica Balladur
Jean-Louis Debré
(1944)
17 maggio 1995 3 giugno 1997 Raggruppamento per la Repubblica Juppé I
Juppé II
Jean-Pierre Chevènement
(1939)
3 giugno 1997 30 agosto 2000
[1]
Movimento Repubblicano e Cittadino Jospin
Daniel Vaillant
(1949)
30 agosto 2000 6 maggio 2002 Partito Socialista
Nicolas Sarkozy
(1955)
6 maggio 2002 31 marzo 2004 Raggruppamento per la Repubblica
(2002)
Raffarin I Ministro della sicurezza nazionale
Unione per un Movimento Popolare
(2002–05)
Raffarin II
Dominique de Villepin
(1953)
31 marzo 2004 31 maggio 2005 Unione per un Movimento Popolare Raffarin III Ministro della sicurezza nazionale
Nicolas Sarkozy
(1955)
31 maggio 2005 27 marzo 2007
[3]
Unione per un Movimento Popolare de Villepin Ministro di Stato
Ministro della pianificazione territoriale
François Baroin
(1965)
27 marzo 2007 16 maggio 2007 Unione per un Movimento Popolare Ministro della pianificazione territoriale
Michele Alliot-Marie
(1946)
16 maggio 2007 23 giugno 2009
[4]
Unione per un Movimento Popolare Fillon I Ministro dei territori d'oltremare
Fillon II
Brice Hortefeux
(1958)
23 giugno 2009 27 febbraio 2011
[1]
Unione per un Movimento Popolare Ministro dei territori d'oltremare
Fillon III Ministro dei territori d'oltremare
Claude Guéant
(1945)
27 febbraio 2011 15 maggio 2012 Unione per un Movimento Popolare Ministro dei territori d'oltremare
Ministro per l'immigrazione e l'integrazione
Manuel Valls
(1962)
15 maggio 2012 31 marzo 2014 Partito Socialista Ayrault I
Ayrault II
Bernard Cazeneuve
(1963)
31 marzo 2014 6 dicembre 2016 Partito Socialista Valls I
Valls II
Bruno Le Roux
(1965)
6 dicembre 2016 21 marzo 2017
[1]
Partito Socialista Cazeneuve
Matthias Fekl
(1977)
21 marzo 2017 14 maggio 2017 Partito Socialista
Gérard Collomb
(1947)
14 maggio 2017 3 ottobre 2018
[1]
Diver Gauche
(2017)
Philippe I Ministro di Stato
Philippe II
La République en marche
(2017–18)
Édouard Philippe 3 ottobre 2018 16 ottobre 2018 I Repubblicani) Primo ministro
Christophe Castaner
(1966)
16 ottobre 2018 6 luglio 2020 La République en marche
Gérald Darmanin
(1982)
6 luglio 2020 in carica La République en marche Castex
Borne I
Borne II Ministro dei territori d'oltremare

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g Dimesso
  2. ^ Si è dimesso dopo la nomina a Ministro della difesa
  3. ^ Si è dimesso dopo essere stato eletto Presidente della Repubblica
  4. ^ Si è dimessa dopo la nomina a Ministro della giustizia


Ministri della giustizia

Quinta Repubblica[modifica | modifica wikitesto]

Ministro Mandato Partito Governo Altre funzioni
Edmond Michelet
(1899–1970)
8 gennaio 1959 24 agosto 1961
[1]
Unione per la Nuova Repubblica Debré
Bernard Chenot
(1909–1995)
24 agosto 1961 14 aprile 1962 Divers droite
Jean Foyer
(1921–2008)
14 aprile 1962 7 aprile 1967 Unione per la Nuova Repubblica Pompidou I
Pompidou II
Pompidou III
Louis Joxe
(1901–1991)
7 aprile 1967 31 maggio 1968
[1]
Unione dei Democratici per la Repubblica Pompidou IV
René Capitant
(1901–1970)
31 maggio 1968 28 aprile 1969
[1]
Unione dei Democratici per la Repubblica
Jean-Marcel Jeannene
(1910–2010)
28 aprile 1969 20 giugno 1969 Unione dei Democratici per la Repubblica
René Pleven
(1901–1993)
20 giugno 1969 5 aprile 1973 Centro per la Democrazia e il Progresso Chaban-Delmas
Messmer I
Jean Taittinger
(1923–2012)
5 aprile 1973 27 maggio 1974 Unione dei Democratici per la Repubblica Messmer II
Messmer III
Jean Lecanuet
(1920–1993)
27 maggio 1974 26 agosto 1976 Centro Democratico Chirac I
Olivier Guichard
(1920–2004)
26 agosto 1976 30 marzo 1977 Raggruppamento per la Repubblica Barre I Ministro di Stato
Alain Peyrefitte
(1925–1999)
30 marzo 1977 21 maggio 1981 Raggruppamento per la Repubblica Barre II
Barre III
Maurice Faure
(1922–2014)
21 maggio 1981 22 giugno 1981 Partito Radicale di Sinistra Mauroy I
Robert Badinter
(1928)
22 giugno 1981 19 febbraio 1986
[2]
Partito Socialista Mauroy II
Mauroy III
Fabius
Michel Crépeau
(1930–1999)
19 febbraio 1986 20 marzo 1986 Partito Socialista
Albin Chalandon
(1920–2020)
20 marzo 1986 10 maggio 1988 Raggruppamento per la Repubblica Chirac II
Pierre Arpaillange
(1924–2017)
10 maggio 1988 1° ottobre 1990
[1]
Divers gauche Rocard I
Rocard II
Henri Nallet
(1939)
1° ottobre 1990 2 aprile 1992 Partito Socialista
Cresson
Michel Vauzelle
(1944)
2 aprile 1992 29 marzo 1993 Partito Socialista Bérégovoy
Pierre Méhaignerie
(1939)
29 marzo 1993 17 maggio 1995 Unione per la Democrazia Francese Balladur Ministro di Stato
Jacques Toubon
(1941)
17 maggio 1995 3 giugno 1997 Raggruppamento per la Repubblica Juppé I
Juppé II
Élisabeth Guigou
(1946)
3 giugno 1997 18 ottobre 2000
[3]
Partito Socialista Jospin
Marylise Lebranchu
(1947)
18 ottobre 2000 6 maggio 2002 Partito Socialista
Dominique Perben
(1945)
6 maggio 2002 31 maggio 2005 Raggruppamento per la Repubblica
(2002)
Raffarin I
Unione per un Movimento Popolare
(2002–05)
Raffarin II
Raffarin III
Pascal Clemens
(1945)
31 maggio 2005 16 maggio 2007 Unione per un Movimento Popolare de Villepin
Rachida Dati
(1965)
16 maggio 2007 23 giugno 2009
[1]
Unione per un Movimento Popolare Fillon I
Fillon II
Michèle Alliot-Marie
(1946)
23 giugno 2009 14 novembre 2010 Unione per un Movimento Popolare Ministro di Stato
Michel Mercier
(1947)
14 novembre 2010 15 maggio 2012 Indipendente
(Movimento Democratico)
[4]
Fillon III
Christiane Taubira
(1952)
15 maggio 2012 26 gennaio 2016
[1]
Walwari Ayrault I
Ayrault II
Valls I
Valls II
Jean-Jacques Urvoas
(1959)
26 gennaio 2016 14 maggio 2017 Partito Socialista
Cazeneuve
François Bayrou
(1951)
14 maggio 2017 20 giugno 2017 Movimento Democratico Philippe I Ministro di Stato
Nicole Belloubet
(1955)
20 giugno 2017 3 luglio 2020 Divers gauche Philippe II
Éric Dupond-Moretti
(1961)
3 luglio 2020 in carica Indipendente Castex
Borne

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f Dimesso
  2. ^ Si è dimesso dopo la nomina a Presidente del Consiglio costituzionale
  3. ^ Si è dimesso dopo la nomina a Ministro degli affari sociali e del lavoro
  4. ^ Mercier è un membro del Movimento Democratico ma è stato ministro a titolo personale

Marie-Agnès de Gaulle[modifica | modifica wikitesto]

Marie-Agnès de Gaulle

Marie-Agnès de Gaulle (Parigi, 27 maggio 1889Boulogne-Billancourt, 25 marzo 1982) è stata una partigiana francese, sorella maggiore di Charles de Gaulle.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

Durante la prima guerra mondiale, fu responsabile dell'evacuazione di suo fratello, allora tenente de Gaulle, ferito a Dinant il 15 agosto 1914 dopo aver sferrato un attacco alle trincee nemiche.

Durante la seconda guerra mondiale, rispose all'appello del 18 giugno 1940 lanciato dal fratello aderendo rapidamente alla Resistenza francese. Marie-Agnès de Gaulle fu arrestata con il marito nel 1943 e incarcerata per quattordici mesi nel carcere di Fresnes, poi deportata a Bad Godesberg, una dependance del campo di concentramento di Buchenwald dove fu deportato suo marito. Quattro membri della famiglia de Gaulle erano allora in mano ai tedeschi e Heinrich Himmler, vedendo incombere la sconfitta, propose addirittura uno scambio a de Gaulle, da quest'ultimo ignorato. Verso la fine delle ostilità, ad aprile 1945, Marie-Agnès de Gaulle sarà trasferita in Tirolo al castello di Itter in condizioni di detenzione incommensurabili a quelle dei campi, e dove diverse personalità francesi di alto rango come Paul Reynaud, Édouard Daladier, i generali Weygand e Gamelin, Jean Borotra o il colonnello de La Rocque sono detenute dal 1943. Furono liberati dalle truppe americane il 5 maggio 1945.

Vita privata[modifica | modifica wikitesto]

Il 18 gennaio 1910, Marie-Agnès Caroline Julie de Gaulle sposò a Parigi, Alfred Cailliau (Tournai, 7 agosto 1877 – 1967), ingegnere belga. Con suo marito ebbe sette figli: Joseph nel 1910, Marie-Thérèse nel 1912, Michel nel 1913, Henri nel 1915, Charles nel 1916, Pierre nel 1921 e infine Denys nel 1929.

Marie-Agnès de Gaulle perde uno dei suoi figli, Charles (1916-1940), caduto sul fronte vicino a Charleroi il 10 maggio 1940, altri due, il maggiore Henri (nato nel 1915) e Pierre, si unirono alle Forze francesi libere e il quarto, Michel Cailliau, prigioniero di guerra, fuggito nel 1942, creò una rete di resistenza. Ha scritto un libro di ricordi personali sulla sua famiglia nel 1970, principalmente per i suoi figli e nipoti.

Morte[modifica | modifica wikitesto]

È sepolta con i suoi genitori nel cimitero di Sainte-Adresse (Senna Marittima).

Pubblicazioni[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]


Stretta di mano di François Mitterrand e Helmut Kohl a Douaumont[modifica | modifica wikitesto]

La stretta di mano su un manifesto della CDU per le elezioni europee del 1989 (foto AFP)

La stretta di mano di François Mitterrand e Helmut Kohl è uno dei gesti più simbolici della riconciliazione franco-tedesca.

Questa stretta di mano ha luogo nel settembre 1984 davanti a un catafalco posto all'ingresso dell'ossario di Douaumont, durante una commemorazione dei caduti delle due guerre mondiali.[1] Senza che il protocollo lo avesse previsto, il presidente della Repubblica francese, François Mitterrand, afferra con la mano sinistra la mano destra del cancelliere tedesco, Helmut Kohl (un attimo sorpreso), che è in piedi accanto a lui per ascoltare La Marsigliese subito dopo aver ascoltato l'inno tedesco.

Questo evento si riferisce in realtà alla celebrazione dell'anniversario dello sbarco in Normandia, nel mese di giugno del 1984, dove i tedeschi non erano stati invitati.[2]

Questa stretta di mano è stata fotografata frontalmente da Frédéric de La Mure[3][4] (posizionato davanti alla tomba del milite ignoto)[5] e da un altro fotografo, davanti su un podio; gli altri fotografi stavano con le spalle ai capi di stato o più lontani.[6] Il momento è ripreso anche dalla televisione francese presente sul posto.[7].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (FR) Verdun : le geste Mitterrand-Kohl – Institut François Mitterrand, su mitterrand.org. URL consultato il 17 giugno 2023.
  2. ^ (FR) François Cochet, 1916-2006, Verdun sous le regard du monde, Saint-Cloud, 14-18 Éditions, 2006, p. 388, ISBN 2-916385-00-2. Atti del simposio tenutosi a Verdun il 23 e 24 febbraio 2006, organizzato dalle associazioni Mondement 1914 e 14-18 Meuse.
  3. ^ (FR) Daniel Vernet, La poignée de main qu'Helmut Kohl laissera derrière lui, su slate.fr, 28 maggio 2016.
  4. ^ (FR) Ministère de l'Europe et des Affaires étrangères, François Mitterrand - Helmut Kohl : une photo historique, su youtube.com, 19 aprile 2019. URL consultato il 17 giugno 2023.
  5. ^ (FR) Frédéric de La Mure sur la photo de la poignée de main entre Mitterrand et Helmut Kohl : "J'avais la plus mauvaise place", su europe1.fr. URL consultato il 17 giugno 2023.
  6. ^ (FR) la boîte à archives. Mitterrand et Kohl à Douaumont : le pèlerinage de la paix, su republicain-lorrain.fr. URL consultato il 17 giugno 2023.
  7. ^ (FR) François Mitterrand et Helmut Kohl main dans la main, su ina.fr. URL consultato il 17 giugno 2023.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]


Perquisizione dell'FBI a Mar-a-Lago[modifica | modifica wikitesto]

L'8 agosto 2022, il Federal Bureau of Investigation (FBI) ha eseguito un mandato di perquisizione presso la residenza di Donald Trump a Mar-a-Lago, Palm Beach, in Florida. La richiesta del mandato di perquisizione è stata approvata dal procuratore generale degli Stati Uniti Merrick Garland ed eseguita dal giudice Bruce Rinehart dopo essere stata deferita alla National Archives and Records Administration (NARA). Pochi giorni dopo, è stato rivelato che la perquisizione faceva parte delle indagini dell'FBI su Trump riguardo a tre reati federali:

  • violazione dell'Espionage Act of 1917 relativo all'archiviazione non autorizzata di informazioni sulla difesa nazionale;
  • distruzione o nascondimento di documenti "con l'intento di ostacolare o interferire" con le attività del governo federale;
  • rimozione o distruzione illegale di registri del governo federale[1][2] (indipendentemente dalla causa).

Pochi giorni dopo, un tribunale ha rilasciato un documento sugli scopi dell'FBI riguardo alla ricerca e un elenco dettagliato di ciò che l'FBI aveva scoperto.[3][4][5] Nel 2021, gli archivi nazionali hanno tentato di recuperare i documenti. I filmati di sorveglianza del Dipartimento della giustizia del giugno 2022 mostrano scatole che vengono spostate dentro e fuori un magazzino. Il Dipartimento della giustizia ha affermato che i documenti riservati a Mar-a-Lago sono stati probabilmente "trattenuti e rimossi" per impedire le indagini.[6][7]

Sono stati scoperti più di 13.000 documenti governativi che includevano informazioni relative al programma nucleare e informazioni dell'FBI, della CIA e dell'Agenzia per la sicurezza nazionale sugli interessi della sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Di questi documenti, 325 sono stati declassificati: 184 sono stati utilizzati per la citazione in giudizio nel gennaio 2022, altri 38 sono stati utilizzati sempre per la citazione in giudizio nel giugno 2022 e 103 sono stati sequestrati durante la perquisizione a Mar-a-Lago.[4][8][6] Mesi dopo, almeno altri due documenti con contrassegni classificati furono scoperti nelle sedi di Trump. [9][10]

L'8 giugno 2023, Trump è stato incriminato a livello federale con accuse mosse in relazione alla gestione dei documenti.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Maggie Haberman, Glenn Thrush e Charlie Savage, Files Seized From Trump Are Part of Espionage Act Inquiry – The materials included some marked as top secret and meant to be viewed only inside secure government facilities, according to a copy of the warrant., in The New York Times, 12 agosto 2022. URL consultato il 17 giugno 2023.
  2. ^ (EN) Charlie Savage, Trump claims he declassified all the documents at Mar-a-Lago. Even if that's true, it probably doesn't matter., in The New York Times, 12 agosto 2022. URL consultato il 17 giugno 2023 (archiviato dall'url originale il 12 agosto 2022).
  3. ^ (EN) Zachary B. Wolf, Sean O'Key e Christopher Hickey, The affidavit behind the FBI's search of Trump's Mar-a-Lago, annotated, su cnn.com, 26 agosto 2022. URL consultato il 17 giugno 2023 (archiviato dall'url originale il 17 giugno 2023).
  4. ^ a b (EN) Tierney Sneed e Katie Bo Lillis, Mar-a-Lago search inventory shows documents marked as classified mixed with clothes, gifts, press clippings, su cnn.com, 2 settembre 2022. URL consultato il 17 giugno=17 giugno 2023.
  5. ^ (EN) Charlie Smart e Larry Buchanan, What the F.B.I. Seized From Mar-a-Lago, Illustrated, in The New York Times, 3 settembre 2022. URL consultato il 17 giugno 2023 (archiviato dall'url originale il 5 settembre 2022).
  6. ^ a b (EN) Jeremy Herb, Tierney Sneed, Cohen Marshall e Evan Perez, Justice Department says classified documents at Mar-a-Lago were likely 'concealed and removed' to block investigation, su cnn.com, 30 agosto 2022. URL consultato il 27 giugno 2023.
  7. ^ (EN) Franklin Foer, The Inevitable Indictment of Donald Trump: It's clear to me that Merrick Garland will bring charges against Donald Trump. It’s just a matter of when., in The Atlantic, 11 ottobre 2022. URL consultato il 27 giugno 2023 (archiviato dall'url originale l'11 ottobre 2022).
  8. ^ (EN) Devlin Barrett e Carol D. Leonig, Material on foreign nation's nuclear capabilities seized at Trump's Mar-a-Lago, in The Washington Post, 6 setembre 2022. URL consultato il 17 giugno 2023 (archiviato dall'url originale il 7 settembre 2022).
  9. ^ (EN) Jacqueline Alemany, Josh Dawsey, Spencer S. Hsu, Devlin Barrett e Rosalind S. Halderman, Items with classified markings found at Trump storage unit in Florida – The former president’s lawyers have told federal authorities no classified material was found in additional searches of Trump Tower in New York and his golf club in Bedminster, N.J., in The Washington Post, 7 dicembre 2022. URL consultato il 17 giugno 2023.
  10. ^ (EN) Maggie Haberman e Alan Feuer, Classified Documents Found in Trump Search of Storage Site – The discovery came as series of searches were conducted by a team hired by the former president, after a federal judge directed his lawyers to look for any materials still in his possession., in The New York Times, 7 dicembre 2022. URL consultato il 17 giugno 2023.

Costituzione della Corea del Sud[modifica | modifica wikitesto]

Costituzione della Repubblica di Corea del Sud
Preambolo della prima versione della Costituzione
StatoBandiera della Corea del Sud Corea del Sud
Tipo leggeLegge fondamentale dello Stato
ProponenteJo So-ang
Promulgazione17 luglio 1948
Testo
Costituzione della Corea del Sud su Wikisource

La Costituzione della Repubblica di Corea (coreano 대한민국 헌법; hanja 大 韓 民國 民國), è la legge fondamentale della Corea del Sud, promulgata e firmata il 17 luglio 1948.[1]

È stata completamente modificata dieci volte e rivista altre sei, l'ultima risale al 1987, quando fu approvata il 29 ottobre dello stesso anno ed entrò in vigore il 26 febbraio 1988. Dopo l'ultima revisione è iniziato il periodo nella storia della Corea del Sud noto come "Sesta Repubblica di Corea".[2]

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

La Costituzione della Repubblica di Corea è composta da un preambolo, 130 articoli e sei disposizioni aggiuntive. Si compone di dieci capitoli:

  • Capitolo I - Disposizioni generali (제1장 총강).
  • Capitolo II - Diritti e doveri dei cittadini (제2장 국민의 권리와 의무).
  • Capitolo III - Assemblea nazionale (제3장 국회).
  • Capitolo IV - Governo (제4장 정부).
    • Sezione I - Presidente (제1절 대통령).
    • Sezione II - Amministrazione (제2절 행정부).
      • Articolo I - Primo ministro (제1관 국무총리).
      • Articolo II - Consiglio di Stato (제2관 국무회의).
      • Articolo III - Ministeri (제3관 행정각부).
      • Articolo IV – Consiglio di revisione e ispezione (제4관 감사원).
  • Capitolo V - Tribunali (제5장 법원).
  • Capo VI - Tribunale o corte costituzionale (제6장 헌법재판소).
  • Capitolo VII - Elezioni (제7장 선거관리).
  • Capitolo VIII - Amministrazione locale (제8장 지방자치).
  • Capitolo IX - Economia (제9장 경제).
  • Capitolo X - Emendamenti (제10장 헌법개정).
  • Appendice (부칙).

Disposizioni fondamentali[modifica | modifica wikitesto]

La Costituzione stabilisce la separazione dei poteri tra i tre rami del governo: legislativo, esecutivo e giudiziario.

Fonti del diritto[modifica | modifica wikitesto]

Le fonti del diritto nella Repubblica di Corea sono le seguenti:

  • La Costituzione.
  • I trattati internazionali.
  • I testi approvati dall'Assemblea nazionale.
  • I decreti presidenziali.
  • Le ordinanze, le norme e i regolamenti emanati dal Primo ministro, dai ministeri e dagli enti governativi.
  • Le decisioni, leggi, regolamenti e decreti della Corte suprema e della Corte costituzionale.

La Costituzione della Repubblica di Corea del 1987 contiene articoli che trattano della proprietà intellettuale. L'articolo 22, paragrafo 2, protegge i diritti degli autori, degli inventori, degli scienziati, degli ingegneri e degli artisti. L'articolo 9 prevede la protezione e la valorizzazione del patrimonio culturale tradizionale del Paese. Inoltre, l'articolo 23 garantisce a tutti i cittadini il diritto di proprietà.

Corte costituzionale[modifica | modifica wikitesto]

A seguito della revisione costituzionale del 1987, è stata istituita la Corte costituzionale nel settembre 1988. Basata sul modello europeo, è un tribunale specializzato che giudica la costituzionalità delle leggi, arbitra i conflitti di giurisdizione tra autorità governative, esamina le denunce per violazione della Costituzione presentate dai cittadini, decide in caso di procedura di impeachment e pronuncia lo scioglimento dei partiti politici. Le precedenti Costituzioni prevedevano diversi metodi di controllo della costituzionalità delle leggi, ma la magistratura non disponeva dell’indipendenza necessaria per esercitare questi poteri.

I nove giudici della Corte costituzionale restano in carica per sei anni e sono rinnovabili. Nel dicembre 2004, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali 418 leggi e ha revocato 214 decisioni governative.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (ES) Fechas Importantes: Días Festivos de Corea, su camarachilenocoreana.cl. URL consultato il 14 gennaio 2024.
  2. ^ (EN) Sixth Republic - South Korean History, su britannica.com. URL consultato il 14 gennaio 2024.
  3. ^ (EN) Constitutional Court of Korea, su ccourt.go.kr.

Governo della Corea del Sud[modifica | modifica wikitesto]

Governo della Corea del Sud
Emblema del Governo della Repubblica di Corea
StatoBandiera della Corea del Sud Corea del Sud
TipoEsecutivo
Istituito15 agosto 1948
SedeDistretto di Yongsan, Seul
Sito webwww.gov.kr

Il Governo della Corea del Sud è il governo nazionale della Repubblica di Corea, creato per mezzo della Costituzione della Corea del Sud, come autorità esecutiva, legislativa e giudiziaria della repubblica.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Secondo la Costituzione del 1948, la Corea del Sud era una repubblica presidenziale. Nel 1960, con la Seconda Repubblica di Corea il paese divenne una repubblica parlamentare. Dal 1987, con la Sesta Repubblica il paese è tornato ad essere una repubblica presidenziale. Il Presidente è eletto direttamente dal popolo. Il Primo ministro nominato dal Presidente deve essere confermato dal Parlamento.

L'esecutivo[modifica | modifica wikitesto]

Il ramo esecutivo della Corea è guidato dal presidente.[1] Il presidente è eletto a suffragio universale diretto dal popolo ed è l'unico membro eletto del potere esecutivo. Il suo mandato è di cinque anni e la Costituzione non consente mandati consecutivi. Il presidente è il capo del governo, capo dello stato e capo delle forze armate sudcoreane.[2][3] Può dichiarare guerra e proporre leggi al parlamento.[4] Può anche dichiarare lo stato di emergenza e stabilire la legge marziale con l'approvazione del Parlamento.[5] Tuttavia non ha il potere di sciogliere il Parlamento. Questa assenza di potere di sciogliere il parlamento è direttamente collegata alle esperienze dei regimi totalitari della Prima, Terza e Quarta Repubblica.

Se il presidente è sospettato di aver commesso atti contro il Paese, lui e alcuni membri dell'esecutivo sono soggetti a procedura di impeachment da parte del parlamento. Una volta che il Parlamento voterà a favore dell’impeachment, la Corte costituzionale potrà confermare o invalidare questa procedura.

Il presidente della Repubblica è assistito dal primo ministro e dal segretario, da lui nominati.[6] Il primo ministro è scelto dal presidente, tuttavia la sua candidatura deve essere approvata dal Parlamento e quest'ultimo ha il potere di rifiutare candidati nominati dal Presidente per funzioni ministeriali.

Il primo ministro è assistito dal Segretariato del Primo ministro, guidato da altri due ministri. Nel caso in cui il presidente non possa svolgere le sue funzioni, il primo ministro assume ad interim la funzione di capo dello Stato della Corea del Sud fino a quando il presidente non potrà riprendere le sue funzioni o fin quando non ne sarà eletto uno nuovo.[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • Ezola Foster, What's Right for All Americans, Waco, Texas, Wrs Publications, 1995, ISBN 978-1-56796-058-7.

Note[modifica | modifica wikitesto]


Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

First Lady dell'Albania[modifica | modifica wikitesto]

First Lady dell'Albania
Nome originale(SQ) Zonja e Parë
StatoBandiera dell'Albania Albania
TipoFirst lady
In caricaArmanda Ymeri
da24 luglio 2022
Istituito30 aprile 1991

La first lady dell'Albania (in albanese Zonja e Parë) è il titolo non ufficiale usato per designare la moglie del presidente dell'Albania. L'attuale First Lady è Armanda Ymeri, moglie del presidente Bajram Begaj, che ricopre l'incarico dal luglio 2022.

Ruolo[modifica | modifica wikitesto]

La figura della first lady non rappresenta alcuna carica elettiva, non svolge incarichi ufficiali e non percepisce alcuno stipendio. Tuttavia, partecipa ad attività umanitarie e di beneficenza in collaborazione con l'ufficio di presidenza. Le first lady albanesi hanno assunto un ruolo attivo nella campagna del presidente consorte. Tra i suoi compiti vi è quello di accompagnare il presidente all'estero durante le visite di Stato.

Elenco[modifica | modifica wikitesto]

First Lady Inizio Fine Presidente
Repubblica albanese (1925–1928)
1 Geraldine Apponyi[1] 1° febbraio 1925 1° settembre 1928 Ahmet Zogu
Repubblica Popolare Socialista d'Albania (1946–1991)
2 Nexhmije Hoxha[2] 23 ottobre 1944 11 aprile 1985 Enver Hoxha
Repubblica d'Albania (1991–)
3 Semiramis Xhuvani[3] 30 aprile 1991 3 aprile 1992 Ramiz Alia
4 Lirie Ramaj 9 aprile 1992 24 luglio 1997 Sali Berisha
5 Lidra Karagjozi 24 luglio 1997 24 luglio 2002 Rexhep Meidani
6 Milica Niça[4] 24 luglio 2002 24 luglio 2007 Alfred Moisiu
7 Teuta Mema 24 luglio 2007 24 luglio 2012 Bamir Topi
8 Odeta Kosova 24 luglio 2012 24 luglio 2017 Bujar Nishani
9 Monika Kryemadhi[5] 24 luglio 2017 24 luglio 2022 Ilir Meta
10 Armanda Ymeri 24 luglio 2022 in carica Bajram Begaj

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Geraldine Apponyi sposò Ahmet Zogu dieci anni dopo.
  2. ^ Come coniuge del Primo segretario del Partito del Lavoro d'Albania.
  3. ^ Semiramis Xhuvani, la figlia di un eminente studioso Aleksandër Xhuvani morì prima che suo marito assumesse l'incarico di presidente.
  4. ^ Milica Niça morì quando Alfred Moisiu divenne Presidente della Repubblica. La sua figlia più giovane Mirela Moisiu ricoprì le funzioni di First Lady.
  5. ^ Monika Kryemadhi, come membro del Parlamento e leader del secondo più grande partito di opposizione LSI, rifiutò di assumere le funzioni di First Lady, quindi la figlia maggiore della coppia, Bora Meta, ricoprì le funzioni di First Lady.

Note[modifica | modifica wikitesto]


Gruppi parlamentari dissolti:

Gruppo Liberale, Democratico e Riformatore[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Inizio mandato Fine mandato Paese
(Circosrzione)
Partito
Martin Bangemann 17 luglio 1979 27 giugno 1984 Bandiera della Germania
Partito Liberale Democratico
Simone Veil 24 luglio 1984 24 luglio 1989 Bandiera della Francia
Unione per la Democrazia Francese
Valéry Giscard d'Estaing 25 luglio 1989 11 dicembre 1991 Bandiera della Francia
Unione per la Democrazia FrancesePartito Repubblicano
Yves Galland 27 gennaio 1992 18 luglio 1994 Bandiera della Francia
Unione per la Democrazia FrancesePartito Radicale
Gijs de Vries 19 luglio 1994 2 agosto 1998 Bandiera dei Paesi Bassi
Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia
Pat Cox 9 settembre 1998 14 gennaio 2002 Bandiera dell'Irlanda
(Munster)
Indipendente
Graham Watson 16 gennaio 2002 19 luglio 2004 Bandiera del Regno Unito
(Inghilterra sud-occidentale)

Liberal Democratici

Gruppo delle Destre Europee[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Mandato inizio Mandato fine Paese Partito
Jean-Marie Le Pen 1984 1989 Bandiera della Francia
Fronte Nazionale

Europa delle Nazioni e della Libertà[modifica | modifica wikitesto]

Copresidente Mandato inizio Mandato fine Paese
Partito Copresidente Inizio mandato Fine Mandato Paese
(Circoscrizione)
Partito
Marcel de Graaff 2015 2019 Bandiera dei Paesi Bassi
Partito per la Libertà
Marine Le Pen 2015 2017 Bandiera della Francia
(Francia nord-occidentale)

Fronte Nazionale
Nicolas Bay 2017 2019 Bandiera della Francia
(Francia nord-occidentale)

Rassemblement National

Europa della Libertà e della Democrazia Diretta[modifica | modifica wikitesto]

Copresidente Mandato inizio Mandato fine Paese
(Circoscrizione)
Partito Copresidente Inizio mandato Fine Mandato Paese
(Circoscrizione)
Partito
Nigel Farage 2014 2019 Bandiera del Regno Unito
(Inghilterra sud-orientale)

Partito per l'Indipendenza del Regno Unito
poi
Brexit Party
David Borrelli 2014 2017 Bandiera dell'Italia
(Italia nord-orientale)

Movimento 5 Stelle


Gruppi parlamentari attuali:

I Verdi/Alleanza Libera Europea[modifica | modifica wikitesto]

Copresidente Inizio mandato Fine mandato Paese
(Circoscrizione)
Partito Copresidente Inizio mandato Fine Mandato Paese
(Circoscrizione)
Partito
Paul Lannoye 1999 2004 Bandiera del Belgio Belgio
(Francofona)

Ecolo
Heidi Hautala 1999 2004 Bandiera della Finlandia
Lega Verde
Daniel Cohn-Bendit 2004 2014 Bandiera della Germania
Alleanza 90/I Verdi
Monica Frassoni 2004 2009 Bandiera dell'Italia
(Nord-occidentale)

Federazione dei Verdi
Rebecca Harms 2009 2016 Bandiera della Germania
Alleanza 90/I Verdi
Philippe Lamberts 2014 in carica Bandiera del Belgio
(Francofona)

Ecolo
Ska Keller 2016 2022 Bandiera della Germania
Alleanza 90/I Verdi
Terry Reintke 2022 in carica Bandiera della Germania
Alleanza 90/I Verdi

Renew Europe[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Inizio mandato Fine mandato Paese Partito
Dacian Cioloș 2019 2021 Bandiera della Romania
Partito della Libertà, dell'Unità e della Solidarietà
Stéphane Séjourné 2021 in carica Bandiera della Francia
Renaissance

Gruppo del Partito Popolare Europeo[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Inizio mandato Fine mandato Paese
(Circoscrizione)
Partito
Maan Sassen 1953 1958 Bandiera dei Paesi Bassi
Partito Popolare Cattolico
Pierre Wigny 1958 1958 Bandiera del Belgio
Partito Sociale Cristiano
Alain Poher 1958 1966 Bandiera della Francia
Movimento Repubblicano Popolare
Joseph Illerhaus 1966 1969 Bandiera della Germania Ovest
Unione Cristiano-Democratica
Hans Lücker 1969 1975 Bandiera della Germania Ovest
Unione Cristiano-Democratica
Alfred Bertrand 1975 1977 Bandiera del Belgio
Partito Popolare Cristiano
Egon Klepsch 1977 1982 Bandiera della Germania Ovest
Unione Cristiano-Democratica
Paolo Barbi 1982 1984 Bandiera dell'Italia
Democrazia Cristiana
Egon Klepsch 1984 1992 Bandiera della Germania Ovest
/Bandiera della Germania

Unione Cristiano-Democratica
Leo Tindemans 1992 1994 Bandiera del Belgio
(Fiamminga)

Partito Popolare Cristiano
Wilfried Martens 1994 1999 Bandiera del Belgio
(Fiamminga)

Partito Popolare Cristiano
Hans-Gert Pöttering 1999 2007 Bandiera della Germania
Unione Cristiano-Democratica
Joseph Daul 2007 2014 Bandiera della Francia
(Est)

Unione per un Movimento Popolare
Manfred Weber 2014 in carica Bandiera della Germania
Unuone Cristiano-Sociale

Conservatori e Riformisti Europei[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Inizio mandato Fine mandato Paese
(Circosrzione)
Partito
Timothy Kirkhope 2009 2009 Bandiera del Regno Unito
(Yorkshire e Humber)

Conservatore
Michał Kamiński 2009 2011 Bandiera della Polonia
(Varsavia)

Diritto e Giustizia
poi

La Polonia è la Più Importante
Jan Zahradil 2011 2011 Bandiera della Rep. Ceca
Partito Democratico Civico
Martin Callanan 2011 2014 Bandiera del Regno Unito
(Inghilterra nord-orientale)

Conservatore
Syed Kamall 2014 2019 Bandiera del Regno Unito
(Londra)

Conservatore
Raffaele Fitto* 2019 2022 Bandiera dell'Italia
(Meridionale)

Fratelli d'Italia
Ryszard Legutko* 2019 in carica Bandiera della Polonia
(Piccola Polonia e Santacroce e
Santacroce)

Diritto e Giustizia
Jorge Buxadé* 2019 in carica Bandiera della Spagna
Vox
  • Dal 2019 il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei ha due copresidenti.

Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Inizio mandato Fine mandato Paese
(Circoscrizione)
Partito
Guy Mollet 1953 1956 Bandiera della Francia
Sezione Francese dell'Internazionale Operaia
Hendrik Fayat 1956 1958 Bandiera del Belgio
Partito Socialista Belga
Pierre Lapie 1958 1959 Bandiera della Francia
Sezione Francese dell'Internazionale Operaia
Willi Birkelbach 1959 1964 Bandiera della Germania
Partito Socialdemocratico
Käte Strobel 1964 1967 Bandiera della Germania
Partito Socialdemocratico
Francis Vals 1967 1974 Bandiera della Francia
Sezione Francese dell'Internazionale Operaia
Georges Spénale 1974 1975 Bandiera della Francia
Partito Socialista
Ludwig Fellermaier 1975 1979 Bandiera della Germania
Partito Socialdemocratico
Ernest Glinne 1979 1984 Bandiera del Belgio
(Francofona)

Partito Socialista
Rudi Arndt 1984 1989 Bandiera della Germania
Partito Socialdemocratico
Jean-Pierre Cot 1989 1994 Bandiera della Francia
Partito Socialista
Pauline Green 1994 1999 Bandiera del Regno Unito
(London North)

Partito Laburista
Enrique Barón Crespo 1999 2004 Bandiera della Spagna
Partito Socialista Operaio Spagnolo
Martin Schulz 2004 2012 Bandiera della Germania
Partito Socialdemocratico
Hannes Swoboda 2012 2014 Bandiera dell'Austria
Partito Socialdemocratico
Martin Schulz 2014 (maggio) 2014 (giugno) Bandiera della Germania
Partito Socialdemocratico
Gianni Pittella 2014 2018 Bandiera dell'Italia
(Meridionale)

Partito Democrratico
Udo Bullmann 2018 (marzo) 2019 Bandiera della Germania
Partito Socialdemocratico
Iratxe García 2019 in carica Bandiera della Spagna
Partito Socialista Operaio Spagnolo

Corte speciale d'appello per la corruzione e la criminalità organizzata[modifica | modifica wikitesto]

La Corte speciale d'appello per la corruzione e la criminalità organizzata (in albanese Gjykata e Posaçme e Apelit për Korrupsionin dhe Krimin e Organizuar) è un tribunale speciale albanese con giurisdizione sull'interno territorio nazionale. Il tribunale è responsabile nel giudicare i reati di corruzione e criminalità organizzata[1] e le accuse penali contro il Presidente della Repubblica, il Presidente dell'Assemblea, il Primo ministro, un qualsiasi membro del Consiglio dei ministri, il giudice della Corte costituzionale e il giudice della Corte suprema, il Procuratore generale, il giudice dell'Alta Corte di giustizia, i sindaci, i deputati, i viceministri, i membri del Consiglio superiore della magistratura, o anche le accuse contro gli ex funzionari sopra menzionati.[1] La sua struttura organizzativa comprende 11 giudici e 9 segretari.[1] I giudici di questa corte possono impugnare in secondo grado le sentenze del Tribunale per corruzione e criminalità organizzata. La Corte speciale d'appello si avvale di un collegio di tre giudici (a meno che la legge non disponga diversamente).

Note[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]


Milagros Ortiz Bosch[modifica | modifica wikitesto]

Milagros Ortiz Bosch
Milagros Ortiz Bosch nel 2007

Direttrice generale dell'Etica governativa
In carica
Inizio mandato16 agosto 2020
PresidenteLuis Abinader
PredecessoreLidio Cadet

Vicepresidente della Repubblica Dominicana
Durata mandato16 agosto 2000 –
16 agosto 2004
PresidenteHipólito Mejía
PredecessoreJaime David Fernández Mirabal
SuccessoreRafael Alburquerque

Segretario di Stato per l'istruzione
Durata mandato16 agosto 1996 –
16 agosto 2000
PresidenteHipólito Mejía
PredecessoreLigia Amada Melo
SuccessoreAlejandrina Germán

Dati generali
Partito politicoPRM
ProfessioneAvvocato, imprenditrice

Milagros María Ortiz Bosch (Santo Domingo, 23 agosto 1936[1]) è un avvocato, imprenditrice e politica dominicana. È stata la prima donna dominicana a ricoprire la carica di vicepresidente del Paese, dal 2000 al 2004, insieme all'ex presidente Hipólito Mejía. È stata senatrice per il Distrito Nacional in due occasioni (1994-1998 e 1998-2000) e segretario di Stato per l'istruzione.

È stata nuovamente candidata come senatrice del Distrito Nacional per il Partito Rivoluzionario Dominicano (PRD) alle elezioni parlamentari e municipali del 2010, dopo essere stata sconfitta dal candidato del Partito della Liberazione Dominicana Reinaldo Parede Pérez.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Milagros María Ortiz Bosch è nata a Santo Domingo il 23 agosto 1936. Ha sposato l'argentino Joaquín Basanta (Buenos Aires, 1918 circa – Cuba, 1990), dal quale ha avuto il suo unico figlio, il regista Juan Basanta.[2] Si dedicò alla politica fin da giovane, influenzata dallo zio Juan Bosch, divenne vicepresidente della Repubblica Dominicana rimanendo in carica dal 2000 al 2004, sotto il presidente Hipólito Mejía. È stata brevemente presidente ad interim durante le assenze, dovute a viaggi all'estero di quest'ultimo.

È titolare di un dottorato di ricerca cum laude in giurisprudenza e di una specializzazione in scienze politiche.

È stata la prima donna eletta alla vicepresidenza nella storia di questo paese, entrando in carica il 16 agosto 2000, insieme al presidente Hipólito Mejía

Carriera politica[modifica | modifica wikitesto]

Senatrice del Distrito Nacional[modifica | modifica wikitesto]

È stata senatrice della Repubblica e in tale condizione ha fatto parte del primo Consiglio nazionale della magistratura che diede forma e vita all'attuale Corte di cassazione.

La sua storia legislativa non si ferma qui. Da senatrice Milagros ha promosso importanti iniziative per istituzionalizzare la Repubblica, come la legge sulla riforma giudiziaria, la legge sulla riforma dell'istruzione, la legge sulla protezione delle donne e tante altre.

Vicepresidente della Repubblica Dominicana e Segretario di Stato per l'istruzione[modifica | modifica wikitesto]

Durante il quadriennio (2000-2004) in cui è stata vicepresidente della Repubblica, ha ricoperto la carica di segretario di Stato per l'istruzione, diretto la presidenza del Consiglio nazionale delle persone con disabilità e ricoperto ad interim la carica di Presidente della Repubblica in occasione dei viaggi del presidente. In qualità di segretario di Stato per l'istruzione, è stata responsabile della firma dei contratti di prestito con la Banca Interamericana di Sviluppo (IDB) volti alla creazione di programmi multifase per l'istruzione di base e l'istruzione secondaria. Ortiz Bosch ha creato e fornito il Piano strategico di sviluppo dell'istruzione per il periodo 2003-2012 e ha messo in funzione i comitati educativi decentralizzati affinché fossero responsabili del mantenimento delle scuole. Sotto la sua direzione è stato effettuato il primo censimento nazionale delle infrastrutture scolastiche. Fu istituito il Concorso Docente come unico meccanismo di accesso alla carriera pubblica di insegnante, fu creata l'INAFOCAM e le scuole normali furono riorganizzate nell'Istituto Educativo Salomé Ureña de Henríquez.

Per la sua efficacia nel processo di modernizzazione dello Stato, La Segreteria di Stato per l'istruzione ha aderito all'accordo con la Giunta elettorale centrale (JCE) e la Chiesa cattolica, per realizzare un programma di registrazione degli atti di nascita che consentisse l'autorizzazione all'ammissione a scuole per i bambini sprovvisti di documento di identità.

Tra i suoi maggiori contributi c'è la creazione del software TRANSPARENCY, che ha permesso ai dominicani e agli stranieri di accedere su Internet a tutte le azioni della Segreteria di Stato per l'istruzione (SEE) in materia finanziaria, comprese nomine, acquisti, gare d'appalto, tra le altre cose.

Nelle diverse occasioni in cui ha ricoperto la presidenza ad interim, ha dovuto prendere decisioni critiche come la destituzione dell'allora direttore dei Beni Nazionali, Víctor Tió, accusato di corruzione, l'arresto del console dominicano a Cap-Haïtien, l'intervento nell'Istituto Agrario Dominicano prima del rapimento temporaneo di uno dei suoi dirigenti, tra le altre misure.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (ES) Milagros Ortiz Bosch cumple hoy 80 años, in Acento, Santo Domingo, 23 agosto 2016. URL consultato il 25 novembre 2023 (archiviato dall'url originale il 25 agosto 2016).
  2. ^ (ES) Mariela Mejía, Milagros: "Me enseñaron a ser honesta", in Diario Libre, 10 maggio 2010. URL consultato il 25 novembre 2023.
Predecessore Vicepresidente della Repubblica Dominicana Successore
Jaime David Fernández Mirabal 16 agosto 2000 – 16 agosto 2004 Rafael Alburquerque
Predecessore Segretario di Stato per l'istruzione Successore
Ligia Amada Melo 16 agosto 1996 – 16 agosto 2000 Alejandrina Germán
Predecessore Direttrice generale dell'Etica governativa Successore
Lidio Cadet dal 16 agosto 2020 in carica

Margarita Cedeño[modifica | modifica wikitesto]

Margarita Cedeño
Margarita Cedeño nel 2011

Vicepresidente della Repubblica Dominicana
Durata mandato16 agosto 2012 –
16 agosto 2020
PresidenteDanilo Medina
PredecessoreRafael Alburquerque
SuccessoreRaquel Peña de Antuña

Primera dama della Repubblica Dominicana
Durata mandato16 agosto 2004 –
16 agosto 2012
PresidenteLeonel Fernández
PredecessoreRosa Gómez de Mejía
SuccessoreCándida Montilla de Medina

Consigliere legale del Presidente della Repubblica Dominicana
Durata mandato16 agosto 1996 –
16 agosto 2000
PresidenteLeonel Fernández

Dati generali
Partito politicoPartito della Liberazione Dominicana
Titolo di studio
  • Laurea in giurisprudenza
  • Master in legislazione economica
Università
ProfessioneAvvocato

Margarita Maria Cedeño Lizardo, precedentemente nota come Margarita Cedeño de Fernández (Santo Domingo, 1° maggio 1965), è una politica e avvocato dominicana. È stata vicepresidente della Repubblica Dominicana dal 16 agosto 2012 al 16 agosto 2020. È stata primera dama della Repubblica Dominicana dal 2004 al 2012. Attualmente è membro del comitato politico del Partito della Liberazione Dominicana. Il 26 settembre 2021 ha annunciato la sua candidatura alla presidenza per conto del partito di appartenenza.

Biografia: vita privata, formazione e attività professionale[modifica | modifica wikitesto]

Cedeño è nata il 1° maggio 1965 a Santo Domingo[1] da Luis Emilio Cedeño Matos e Angela Margarita Lizardo Olivares.[2]

Ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso l'Università autonoma di Santo Domingo e un master in legislazione economica presso la Pontificia Universidad Católica Madre y Maestra. Ha inoltre partecipato a corsi e seminari presso l'Università di Georgetown e Harvard negli Stati Uniti e l'Università di Ginevra in Svizzera.[1]

Ha collaborato con studi legali locali nella Repubblica Dominicana, tra cui lo studio legale del Dottor Abel Rodríguez del Orbe e Fernández y Asociados, di cui è membro associato.[1] Durante gli anni 1996-2000, ha svolto l'attività di consigliere legale del Presidente della Repubblica Dominicana.

Il 16 ottobre 2009, Margarita Cedeño de Fernández è stata nominata Ambasciatrice di buona volontà dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO).[3]

Carriera politica[modifica | modifica wikitesto]

Leonel Fernandez Reyna, presidente della Repubblica Dominicana e la primera dama Margarita de Fernandez con il presidente USA Barack Obama e la first lady Michelle Obama nel 2009

Quando fu Primera dama (2004–2012), lei e il suo staff coordinarono le politiche sociali dell'amministrazione del marito, generando programmi di salute ed educazione per bambini, giovani, ragazze madri e famiglie, in generale, come elemento chiave della società.

Elezioni presidenziali del 2012[modifica | modifica wikitesto]

Il 10 aprile 2011, in una riunione del Comitato Centrale del Partito della Liberazione Dominicana, ha registrato la sua precandidatura per le elezioni presidenziali del 2012. È stata eletta vicepresidente di Danilo Medina il 20 maggio 2012. È diventata la seconda donna a ricoprire la carica di vicepresidente dopo che Milagros Ortiz Bosch è stata eletta sotto l'ex presidente Hipólito Mejía nel 2000-2004.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c (ES) Biografia, su rsta.pucmm.edu.do. URL consultato il 24 novembre 2023 (archiviato dall'url originale il 20 marzo 2012).
  2. ^ (ES) Margarita Cedeño Lizardo, su vicepresidencia.gob.do. URL consultato il 24 novembre 2023 (archiviato dall'url originale il 27 luglio 2014).
  3. ^ (ES) Excma. Margarita Cedeño de Fernández – Embajadora Extraordinaria de la FAO, su fao.org. URL consultato il 24 novembre 2023 (archiviato dall'url originale il 15 novembre 2010).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Vicepresidente della Repubblica Dominicana Successore
Rafael Alburquerque 16 agosto 2012 – 16 agosto 2020 Raquel Peña de Antuña
Predecessore Primera dama della Repubblica Dominicana Successore
Rosa Gómez de Mejía 16 agosto 2004 – 16 agosto 2012 Cándida Montilla de Medina

Note[modifica | modifica wikitesto]


Cándida Montilla de Medina[modifica | modifica wikitesto]

Cándida Montilla de Medina
Candida Montilla de Medina nel 2015

Primera dama della Repubblica Dominicana
Durata mandato16 agosto 2012 –
16 agosto 2020
PresidenteDanilo Medina
PredecessoreMargarita Cedeño de Fernández
SuccessoreRaquel Arbaje

Dati generali
Partito politicoPLD
UniversitàUniversidad Católica Santo Domingo
ProfessionePsicologa

Cándida Montilla de Medina (Santo Domingo, 3 ottobre 1962) è una psicologa dominicana attiva in campo clinico. Moglie dell'ex presidente Danilo Medina, Montilla de Medina è stata primera dama della Repubblica Dominicana dal 2012 al 2020.[1]

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Formazione e vita personale[modifica | modifica wikitesto]

Montilla de Medina è nata il 3 ottobre 1962 a Santo Domingo, dove ha risieduto per gran parte della sua vita.[1] Si è laureata all'Università Cattolica di Santo Domingo ed è diventata psicologa clinica, specializzata in terapia familiare.[1] Ha anche studiato gestione delle risorse umane presso il Beck Institute for Cognitive Behavior Therapy nella periferia di Filadelfia, in Pennsylvania.[1] Ha condotto studi e seminari nel suo campo, anche presso la INCAE Business School in Costa Rica.

Montilla ha sposato suo marito, Danilo Medina, nel 1987. I due hanno tre figlie: Candy Sibely, Vanessa Daniela e Ana Paula.[2]

Carriera e attività istituzionale[modifica | modifica wikitesto]

Dal 2004 all'agosto 2012, Cándida Montilla de Medina è stata fondatrice e direttrice del Dipartimento per lo sviluppo umano e l'integrazione familiare (PDHIF) presso la Banca centrale della Repubblica Dominicana.[1] Ha lasciato questa posizione per diventare Primera dama del paese nell'agosto 2012.[1]

Ha condotto attivamente la campagna di suo marito durante le elezioni presidenziali nella Repubblica Dominicana del 2012.[1] Ha presieduto un gruppo chiamato "Mujeres Creciendo con Danilo" (Donne che crescono con Danilo), riguardante le donne elettrici impegnate nella candidatura di Medina e del Partito della Liberazione Dominicana (PLD). È divenuta primera dama della Repubblica Dominicana il 16 agosto 2012, quando suo marito ha assunto la presidenza. Durante il suo mandato si è occupata di questioni sanitarie e sociali, dell'assistenza ai bambini e agli anziani, dell'istruzione e degli affari delle donne.[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h (ES) Wendy Carrasco Martinez, ¿Quién es la nueva primera dama de la República, Cándida Montilla de Medina?, in Hoy, 16 agosto 2012. URL consultato il 25 novembre 2023.
  2. ^ (EN) His Excellency Mr. Danilo Medina, President of the Dominican Republic, in Permanent Mission of the Dominican Republic to the United Nations. URL consultato il 25 novembre 2023.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Primera dama della Repubblica Dominicana Successore
Margarita Cedeño de Fernández 16 agosto 2012 – 16 agosto 2020 Raquel Arbaje

Banca centrale della Repubblica Dominicana[modifica | modifica wikitesto]

Banca centrale della Repubblica Dominicana
Sede della Banca centrale della Repubblica Dominicana
Nome originale(ES) Banco Central de la República Dominicana
StatoBandiera della Rep. Dominicana Rep. Dominicana
Tipobanca centrale
Istituito9 ottobre 1947
GovernatoreHéctor Valdez Albizu
SedeSanto Domingo, Distrito Nacional
Sito webwww.bancentral.gov.do

La Banca centrale della Repubblica Dominicana (in spagnolo Banco Central de la República Dominicana) è la banca nazionale della Repubblica Dominicana. Creata attraverso la Legge monetaria e bancaria del 1947, è responsabile della regolamentazione del sistema bancario e monetario del paese.[1][2]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La Banca centrale della Repubblica Dominicana è stata creata il 9 ottobre 1947 per ordine dell'allora presidente Rafael Leónidas Trujillo, in conformità con la Legge Organica n. 1529. Ha iniziato a svolgere le sue funzioni come ente decentrato e con piena autonomia il 23 ottobre dello stesso anno. La sua attività è attualmente disciplinata dalla Legge Organica n. 6142 del 29 dicembre 1962 e sue modifiche.[3]

Organi direttivi[modifica | modifica wikitesto]

L'organo supremo della Banca centrale è il Consiglio monetario, composto da nove membri nominati dal potere esecutivo:

  • Tre membri ex officio, che sono il Governatore della Banca centrale, che presiede il Consiglio, il Ministro delle finanze e il Soprintendente delle banche.
  • Sei membri effettivi con i rispettivi vice, di riconosciuta probità, esperienza e conoscenza in materia monetaria, bancaria ed economica, nonché esperienza in materie attinenti alla produzione nazionale.

Responsabilità[modifica | modifica wikitesto]

Il suo compito è quello di garantire la stabilità dei prezzi, l'adeguata regolamentazione del sistema finanziario e il buon funzionamento dei sistemi di pagamento, agendo come soggetto esecutivo della politica monetaria e valutaria, in conformità con i poteri che la Costituzione e le leggi conferiscono alla società di tesoreria.

Funzioni principali[modifica | modifica wikitesto]

  • Attuare la politica monetaria e di cambio, in conformità con il Programma Monetario approvato dal Consiglio monetario, attraverso l’uso degli strumenti stabiliti nella Legge monetaria e finanziaria.
  • Emettere banconote e monete a corso legale nella Repubblica Dominicana.
  • Compilare, preparare e pubblicare statistiche sulla bilancia dei pagamenti, sul settore monetario, sul settore reale e finanziario e altri necessari per l'adempimento delle sue funzioni.
  • Gestire in modo efficiente le riserve internazionali del Paese, al fine di preservarne la sicurezza, garantire un'adeguata liquidità e allo stesso tempo una redditività efficiente.
  • Gestire il Fondo di emergenza istituito dalla Legge monetaria e finanziaria, nonché il Fondo di consolidamento bancario creato dalla Legge sul rischio sistemico.
  • Effettuare la supervisione dei sistemi di pagamento, nonché del mercato interbancario.
  • Proporre al Consiglio monetario il progetto di regolamento monetario e finanziario in materia monetaria, valutaria e finanziaria.
  • Analizzare il sistema finanziario dominicano nel suo complesso, stimando il suo livello di rischio sistemico, e progettare e proporre le misure normative che derivano da tali analisi e stime.
  • Imporre sanzioni per carenza della riserva legale, mancato rispetto delle regole di funzionamento dei sistemi di pagamento o altre sanzioni stabilite nella Legge monetaria e finanziaria.
  • Contrastare qualsiasi tendenza inflazionistica.
  • Regolamentare il sistema finanziario nazionale con le garanzie e le limitazioni stabilite.
  • Promuovere la liquidità e la solvibilità del sistema bancario nazionale.
  • Creare le condizioni per mantenere il valore esterno e la convertibilità della valuta nazionale.
  • Effettuare le operazioni di cambio previste dalle leggi vigenti e/o dalle deliberazioni all'uopo emanate dal Consiglio monetario.
  • Svolgere altre funzioni attribuiteli dalla legge.

Governatori[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (ES) Conoce cuáles son las funciones del Banco Central, in Listín Diario, 23 ottobre 2020. URL consultato l'8 dicembre 2023.
  2. ^ (ES) Funciones Principales, su bancentral.gov.do. URL consultato l'8 dicembre 2023.
  3. ^ Copia archivada, su bancentral.gov.do. URL consultato l'8 dicembre 2023 (archiviato dall'url originale il 6 agosto 2016).
  4. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z aa ab ac ad ae (ES) Gobernadores, su bancentral.gov.do.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Consiglio nazionale della magistratura[modifica | modifica wikitesto]

Il Consiglio nazionale della magistratura (in spagnolo Consejo Nacional de la MagistraturaCNM) è l'organo costituzionale dominicano incaricato di nominare i giudici della Corte suprema di giustizia, della Corte costituzionale e della Corte elettorale superiore della Repubblica Dominicana, nonché di valutare le capacità dei giudici della Corte suprema di giustizia (articolo 179 della Costituzione dominicana).

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il CNM è stato istituito nella Repubblica Dominicana con la modifica costituzionale del 1994, al CNM è legata la figura di José Francisco Peña Gómez, leader massimo del Partito Rivoluzionario Dominicano (PRD), in seguito alla crisi politica occorsa nelle elezioni presidenziali di quell'anno.

I suoi poteri sono stati ampliati dalla Costituzione dominicana del 2010.

Composizione[modifica | modifica wikitesto]

Secondo l'articolo 178 della Costituzione dominicana, il Consiglio nazionale della magistratura è composto dalle seguenti persone:

  • Il Presidente della Repubblica, che lo presiederà, o, in sua assenza, il Vicepresidente della Repubblica;
  • un senatore, scelto dal Senato che appartenga ad un partito o blocco di partiti diverso da quello del presidente della stessa camera e che rappresenti la seconda maggioranza;
  • il presidente della Camera dei deputati;
  • un deputato, scelto dalla Camera dei deputati, che appartenga ad un partito o blocco di partiti diverso da quello del presidente della stessa camera e che rappresenti la seconda maggioranza;
  • il presidente della Corte suprema di giustizia;
  • un magistrato della Corte suprema di giustizia, da essa scelto, che fungerà da segretario; E

il Procuratore generale della Repubblica.

Elenco dei consigli[modifica | modifica wikitesto]

Consiglio 1997[modifica | modifica wikitesto]

Membri del Consiglio della magistratura (1997)
Potere dello Stato Nome Posizione Partito
Potere esecutivo Leonel Fernández Presidente della Repubblica PLD
Potere giudiziario Néstor Contín Aybar Presidente della Corte suprema di giustizia -
Potere giudiziario Amadeo Julián Giudice della Corte suprema di giustizia -
Potere legislativo Amable Aristy Castro Presidente del Senato PRSC
Potere legislativo Milagros Ortiz Bosch Senatrice PRD
Potere legislativo Rafael Peguero Méndez Presidente della Camera dei deputati PRD
Potere legislativo César Féliz Féliz Deputato PRSC

Consiglio 2001[modifica | modifica wikitesto]

Membri del Consiglio della magistratura (2001)
Potere dello Stato Nome Posizione Partito
Potere esecutivo Hipólito Mejía Presidente della Repubblica PRD
Potere giudiziario Jorge Subero Isa Presidente della Corte suprema di giustizia -
Potere giudiziario Víctor José Castellanos Estrella Giudice della Corte suprema di giustizia -
Potere legislativo Andrés Bautista Presidente del Senato PRD
Potere legislativo José González Espinoza Senatore PTD
Potere legislativo Rafaela Alburquerque Presidente della Camera dei deputati PRSC
Potere legislativo Alfredo Pacheco Deputato PRD

Consiglio 2011[modifica | modifica wikitesto]

Membri del Consiglio nazionale della magistratura (2011)
Potere dello Stato Nome Posizione Partito
Potere esecutivo Leonel Fernández Presidente della Repubblica PLD
Potere esecutivo Radhamés Jiménez Peña Procuratore generale della Repubblica PLD
Potere giudiziario Jorge Subero Isa Presidente della Corte suprema di giustizia -
Potere giudiziario Víctor José Castellanos Estrella Giudice della Corte suprema di giustizia -
Potere legislativo Reinaldo Pared Pérez Presidente del Senado PLD
Potere legislativo Félix Vásquez Senatore PRSC, Eletto nel cartello del PLD
Potere legislativo Abel Martínez Durán Presidente della Camera dei deputati PLD
Potere legislativo Hugo Núñez Deputato PRD

Consiglio 2017[modifica | modifica wikitesto]

Membri del Consiglio nazionale della magistratura (2017)
Potere dello Stato Nome Posizione Partito
Potere esecutivo Danilo Medina Presidente della Repubblica PLD
Potere esecutivo Jean Alain Rodríguez[1] Procuratore generale della Repubblica PLD
Potere giudiziario Mariano Germán Mejía Presidente della Corte suprema di giustizia -
Potere giudiziario Fran Euclides Soto Sánchez Giudice della Corte suprema di giustizia -
Potere legislativo Reinaldo Pared Pérez Presidente del Senato PLD
Potere legislativo José Ignacio Paliza[2] Senatore PRM
Potere legislativo Lucía Medina Presidente della Camera dei deputati PLD
Potere legislativo Josefa Castillo[2] Deputata PRM

Segretario generale del Partito Socialista Operaio Spagnolo[modifica | modifica wikitesto]

Il segretario generale del Partito Socialista Operaio Spagnolo è la seconda carica nell'organigramma del partito, dietro al Presidente. Nonostante ciò, il segretario generale detiene il potere esecutivo all’interno dell’organizzazione, mentre il Presidente ha un carattere più simbolico.

Dal 21 maggio 2017 il segretario generale è Pedro Sánchez, rieletto con oltre il 50% dei voti.

Compiti[modifica | modifica wikitesto]

I compiti del segretario sono:

Elenco[modifica | modifica wikitesto]

  • Pablo Iglesias Possé (1879-1925): primo presidente e segretario generale del PSOE.
  • Andrés Saborit (1925-1931): successore nella segreteria, dopo la morte di Pablo Iglesias nel 1925.
  • Francisco Largo Caballero (1931-1935): primo segretario generale del PSOE, durante la Seconda Repubblica spagnola.
  • Ramón Gómez Peña (1935-1948): segretario generale durante la Guerra civile spagnola (1936-1939) e primo segretario generale, del cosiddetto PSOE in esilio.
  • José Gómez Osorio (1939-1940): primo segretario generale del PSOE "Interno", catturato dal regime franchista e fucilato nel 1940.
  • Sócrates Gómez (1940-1944): 2° segretario del PSOE "Interno", catturato nel 1944, trascorse diversi decenni in prigione fino a quando non riacquistò la libertà, andando in esilio per alcuni anni a Londra a partire dal 1963.
  • Juan Gómez Egido (1944): 3° segretario del PSOE "Interno", uscito di prigione nel 1944 succedette a Sócrates nella carica, e nel 1945 partì per il Congresso del PSOE in esilio tenutosi a Suresnes (Francia), una volta lì andò in esilio. Si è incontrato con il dirigente del PSOE "Esilio", Ramón Gómez Peña, e ha cercato di convincere la CNT, il PSOE "Esilio" e il PCE a lottare insieme contro la dittatura franchista.
  • Eduardo Villegas (1944-1946): succede a Juan Gómez come segretario generale del PSOE "Interno", dopo l'esilio di quest'ultimo in Francia, dopo il congresso di Suresnes nel 1945. Resterà in prigione per 15 anni (1945 -1960), finché non fu rilasciato in libertà vigilata nel 1960.
  • Miguel Ángel Martínez (1946-1965): Dopo l'incarcerazione di Eduardo Villegas nel 1946, Miguel Ángel gli succedette alla testa del PSOE "Interno", come segretario generale. Verrà tradito e processato, ma alla fine verrà assolto nel 1965. Lascerà il suo ruolo nel PSOE Interno a Rodolfo Llopis.
  • Antonio Trigo Mairal (1948-1949): 2° segretario generale del PSOE "Esilio", dopo le dimissioni di Ramón Gómez. Questo fatto apre la strada all'esilio del segretario generale al di fuori della Spagna, poiché era pericoloso a causa della continua pressione della polizia franchista sui militanti socialisti in Spagna.
  • Antonio Hernández Vizcaíno (1949-1952): 3° segretario generale del PSOE "Esilio", di fronte ai prietistas (militanti che sostenevano le tesi di Indalecio Prieto), che riuscì a vincere la direzione della segreteria. Cadrà nel 1952, dopo l'arresto in Spagna del militante socialista Patricio Cruz, che fornì numerose liste di dirigenti del PSOE, dentro e fuori.
  • Tomás Centeno (1952-1953): segretario generale, eletto al Congresso di Tolosa. Nel suo esecutivo c'erano solo altre due persone: Rafael González Gil e Máximo Rodríguez Valverde. Appoggiò il suo successore Teodomiro Menéndez, contro l'esecutivo rivale di José María Fernández, che si formò senza l'appoggio di Tomás, né riconobbe l'esecutivo federale all'estero. Morì nel 1953, dopo un interrogatorio da parte della Polizia.
  • Teodomiro Menéndez (1953-1954): segretario generale in esilio, non accettato dall'organizzazione del PSOE. Succedette a Tomás, dopo la sua morte nel 1953. Tentò senza successo di raggiungere un accordo con i monarchici in esilio, per sconfiggere Franco. Ciò ebbe come conseguenza il suo rifiuto all'interno del PSOE, un partito di tendenza repubblicana.
  • José María Fernández (1953-1954): Ufficialmente era il segretario generale dell'organizzazione PSOE. Ebbe il suo primo tentativo durante il mandato di Tomás Centeno. Dopo la sua morte, fu eletto segretario generale (era già segretario del sindacato UGT) e sostenuto dal PSOE in esilio e in quello dell'interno. Si dimise, dopo la profonda divisione del partito, tra i Teodomisti e i loro seguaci.
  • Rodolfo Llopis (1954-1972): segretario in esilio (1954-1965), e dal 1965 segretario generale del PSOE unificato (Esilio e Interno). Succedette a José María e Teodomiro (senza riconoscimento da parte dell'organizzazione del partito) nel 1954, e nel 1965 prese il posto di Miguel Ángel Martínez del PSOE in Spagna. La sua ideologia sarà segnata dalla linea di pensiero di Largo Caballero e dal suo rifiuto di abbandonare il marxismo ideologico. Nel 1972, al congresso di Tolosa, perde la segreteria generale a favore del gruppo di rinnovamento guidato da Felipe González e Alfonso Guerra, del PSOE "Interno", e delle loro tesi di socialdemocrazia, sullo stile della SPD tedesca. PSOE Partito storico , dal 1978 si chiamava PS.
  • Felipe González (1974-1997): secondo segretario generale del PSOE per longevità (23 anni), dopo Pablo Iglesias (46 anni). La sua tesi sulla socialdemocrazia come via per arrivare al potere conquistò i membri storici del PSOE (Llopís), a Suresnes (Francia) nel 1974. Legalizzò il PSOE nel 1976, dopo la morte di Franco (1975), e Gregorio Peces Barba, rappresenterà il PSOE nella stesura della Costituzione del 1978, iniziata nel 1977. Ha vinto le prime elezioni municipali nel 1979, ed è stato il secondo partito nelle elezioni legislative del 1977 e 1979, le prime elezioni generali dal 1936. (vinto dal Fronte Popolare, di cui faceva parte il PSOE). Nel 1980 tentò di forzare le dimissioni di Adolfo Suárez con una mozione di censura, che non fu approvata. Nel 1981 vide come un colonnello della Guardia Civile entrò al Congresso e tentò di effettuare un colpo di stato, il famoso 23-F , che alla fine non vacillò. Nel 1982 vinse le elezioni politiche con la maggioranza assoluta (202 deputati, un record fino ad oggi). Vincerà le elezioni del 1986 (184 deputati), nelle quali la Spagna entrerà militarmente nella NATO (fu il PSOE a respingere l'idea mentre era all'opposizione durante il governo dell'UCD ) e fu anche colui che firmò l'atto di adesione all'Unione europea. Ha vinto le elezioni del 1989 (175 deputati). Dopo il tentativo di mozione di censura presentato dal PP, González annunciò lo svolgimento delle elezioni nel 1989, un anno prima del previsto. Vincerà le elezioni del 1993 (159 deputati). Nel 1996 indirà le elezioni dopo la crisi e la siccità del 1993, gli scandali del fratello di Guerra, la FILESA, Roldán e il GAL (1983-1995), e l'erosione del PSOE, dopo aver governato ininterrottamente dal 1982. Il PP esce vincitore dalle elezioni e il PSOE ottiene 141 deputati. Lascerà a sorpresa la Segreteria generale del PSOE al 34esimo Congresso del partito a Madrid, annunciando l'intenzione di lasciare la sua posizione politica nel partito. In quel congresso viene eletto Joaquín Almunia.
  • Joaquín Almunia (1997-2000): 2° segretario generale del PSOE, durante la democrazia (dal 1977). Successore di Felipe González, rimase in carica fino alle disastrose elezioni generali del 2000 (124 seggi), dove il PP riconvalidò la sua vittoria e ottenne la maggioranza assoluta. Joaquín Almunia, ha annunciato a sorpresa le dimissioni dalla carica di segretario generale, dopo la sconfitta elettorale.
  • José Luis Rodríguez Zapatero (2000-2012): 3° segretario generale del PSOE durante la democrazia. Eletto al 35° Congresso del PSOE, battendo José Bono, che da allora sarà un fedele collaboratore di Zapatero. Nel 2004, il successore di José María Aznar, Mariano Rajoy, vinse le elezioni generali (164 deputati). Nel suo primo mandato ordinò l'abbandono dall'Iraq dell'esercito spagnolo, l'approvazione delle leggi sul matrimonio omosessuale e sulla dipendenza. Nel 2008 vincerà nuovamente le elezioni (169 seggi) su Mariano Rajoy, e nella sua seconda fase alla guida del governo affronterà la crisi mondiale (dal 2009) e approverà la legge della memoria storica. Il suo logorio alla guida del governo e le sue sfortunate misure anti-crisi porteranno al suo primo sciopero generale nel 2009, indetto da CCOO e UGT. Durante il suo mandato, la lotta al terrorismo divenne più efficace, tanto da portare l'ETA ad annunciare un cessate il fuoco (2006), patto infranto nel 2007 dopo l'attentato di Barajas, e la cessazione definitiva delle violenze nel 2010, dopo le pressioni e la collaborazione nella lotta contro il terrorismo della Policia Nacional, della Guardia Civil spagnola, della Gendarmerie nationale francese e della Guardia nazionale repubblicana portoghese, contro la banda terroristica nel territorio di questi tre paesi. Dopo due anni difficili di crisi (2010 e 2011), ha annunciato inaspettatamente l'indizione delle elezioni generali il 20 novembre (la stessa data della morte di Primo de Rivera e del dittatore Francisco Franco), nel tentativo di vincere le elezioni. Ad aprile annunciò le sue dimissioni dalla candidatura socialista alla presidenza, succedendogli Alfredo Pérez Rubalcaba. Il PP, con il suo candidato Mariano Rajoy (per la terza volta), vince le elezioni generali. Il PSOE è passato da 169 seggi a 110 deputati, 59 deputati in meno e il peggior record di seggi dal periodo di democrazia (dal 1978). A novembre, dopo il disastro elettorale, ha deciso di convocare il 38° Congresso del PSOE, a febbraio, per eleggere il nuovo comitato federale, il presidente e il segretario generale.
  • Alfredo Pérez Rubalcaba (2012-2014). rappresentante del vecchio apparato del partito, che ha l'appoggio dei vecchi baroni del PSOE, in particolare Rodríguez Ibarra, Felipe González e Alfonso Guerra. È stato eletto al 38° Congresso del PSOE, in cui ha vinto contro la candidatura di Carme Chacón. Ha annunciato le sue dimissioni in seguito alla sconfitta alle elezioni europee del 2014.
  • Pedro Sanchez (2014-2016/2017-): è stato eletto segretario generale del PSOE in un Congresso straordinario dopo elezioni primarie aperte ai militanti nelle quali ha vinto con il 48% dei voti contro Eduardo Madina e José Antonio Pérez Tapias. La chiave della sua vittoria è stata l'appoggio della federazione andalusa del partito, la più potente. È stato consigliere del Comune di Madrid e deputato alle Corti Generali. Nel 2016, gli spagnoli sono stati chiamati al voto due volte di seguito per le elezioni generali, dopo il fallito tentativo di formare un governo. Il PSOE ha peggiorato i suoi risultati consecutivamente e, dopo le elezioni regionali del 2016 e la perdita del potere del PSOE in Galizia e nei Paesi Baschi, 17 membri dell'Esecutivo federale si sono dimessi con lo scopo di provocare le dimissioni del segretario generale. Sánchez si è dimesso il 1° ottobre 2016, dopo aver perso un voto nel congresso straordinario. Il Comitato federale ha nominato Javier Fernández Fernández presidente della commissione di gestione che svolgerà funzioni esecutive. 4​ Il 21 maggio 2017 ha vinto le primarie del PSOE , che gli hanno permesso di diventare nuovamente segretario generale durante il XXXIX congresso del partito.

Simone Veil[modifica | modifica wikitesto]

Simone Veil
Simone Veil nel 1984

Membro del Consiglio costituzionale
Durata mandato3 marzo 1998 –
3 marzo 2007
PresidenteRoland Dumas
Yves Guéna
Pierre Mazeaud
PredecessoreJean Cabannes
SuccessoreRenaud Denoix de Saint-Marc

Ministro di Stato
Ministro degli affari sociali, della salute e delle città
Durata mandato29 marzo 1993 –
11 maggio 1995
PresidenteFrancois Mitterrand
Capo del governoEdouard Balladur
VicePhilippe Douste-Blazy
PredecessoreBernard Kouchner
SuccessoreElisabeth Hubert

Ministro della salute
Durata mandato28 maggio 1974 –
4 luglio 1979
PresidenteValery Giscard d'Estaing
Capo del governoJacques Chirac
Raymond Barre
PredecessoreMichel Poniatowski
SuccessoreJacques Barot

Presidente del Parlamento europeo
Durata mandato17 luglio 1979 –
19 gennaio 1982
PredecessoreEmilio Colombo
SuccessorePiet Dankert

Capogruppo dell'LD al Parlamento europeo
Durata mandato24 luglio 1984 –
12 dicembre 1985
PredecessoreMartin Bangemann
SuccessoreValéry Giscard d'Estaing

Europarlamentare
Durata mandato17 luglio 1979 –
30 marzo 1993
LegislaturaI, II, III
Gruppo
parlamentare
I: LD
II, III: LDR
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoUDI (2012-2017)
In precedenza:
UDF (1995-1997)
Titolo di studioLaurea in giurisprudenza
UniversitàÉcole nationale de la magistrature
Istituto di studi politici di Parigi
ProfessioneMagistrato


Predecessore Ministro di Stato
Ministro degli affari sociali, della salute e delle città
Successore
Bernard Kouchner 29 marzo 1993 – 11 maggio 1995 Elisabeth Hubert
Predecessore Presidente del Parlamento europeo Successore
Emilio Colombo 17 luglio 1979 – 19 gennaio 1982 Piet Dankert
Predecessore Ministro della salute Successore
Michel Poniatowski 28 maggio 1974 – 4 luglio 1979 Jacques Barot
Predecessore Capogruppo dell'LDR al Parlamento europeo Successore
se stessa[3] 13 dicembre 1985 – 24 luglio 1989 Valéry Giscard d'Estaing
Predecessore Capogruppo dell'LD al Parlamento europeo Successore
Martin Bangemann 24 luglio 1984 – 12 dicembre 1985 se stessa[4]
Predecessore Seggio n. 13 dell'Académie française Successore
Pierre Messmer 20 novembre 2008 - 30 giugno 2017 Maurizio Serra

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (ES) ¿Quién es Jean Alain Rodríguez, nuevo procurador general de la República?, Hoy Digital, 16 agosto 2016.
  2. ^ a b (ES) PRM escoge José Ignacio Paliza y Josefa Castillo como representantes ante el CNM, su El Caribe.
  3. ^ Come Capogruppo dei Liberali e Democratici
  4. ^ Come Capogruppo dei Liberali, Democratici e Riformatori

Resistenza francese[modifica | modifica wikitesto]

La Médaille de la Résistance premia i combattenti della resistenza.

La resistenza francese (in francese Résistance française), spesso considerata sinonimo di resistenza interna francese, comprende anche la resistenza esterna organizzata dalla Francia libera.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Maria João Rodrigues[modifica | modifica wikitesto]

Maria João Rodrigues
Maria João Rodrigues nel 2017

Capogruppo dell'S&D al Parlamento europeo
Durata mandato7 marzo 2018 –
20 marzo 2018
PredecessoreGianni Pittella
SuccessoreUdo Bullmann

Ministro delle qualifiche e del lavoro
Durata mandato20 ottobre 1995 –
25 novembre 1997
Capo del governoAntónio Guterres
PredecessoreEduardo Ferro Rodrigues
SuccessoreJosé Falcao e Cunha

Europarlamentare
Durata mandato1° luglio 2014 –
1° luglio 2019
LegislaturaVIII
Gruppo
parlamentare
S&D
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoPartito Socialista
Titolo di studio
  • Laurea in sociologia
  • Master in scienze economiche
  • Dottorato in scienze economiche
Università
ProfessioneDocente universitario, accademica

Maria João Rodrigues (Lisbona, 25 settembre 1955) è una politica e accademica portoghese, specializzata in affari dell'Unione europea e politica europea, membro del Parlamento europeo e vicepresidente dell'Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) tra il 2014 e il 2019. Dal 2017 è anche Presidente della European Foundation for Progressive Studies (FEPS). È Definita la "madre della strategia di Lisbona".[1].

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Laureata in sociologia presso l'Università Pubblica di Lisbona ISCTE-IUL. Ha poi studiato all'Università Pantheon-Sorbona, dove ha conseguito un master e un dottorato in scienze economiche.[2] Dal1987 esercita la professione di professore. Negli anni 1989-1995, ha diretto il centro di ricerca per i cambiamenti sociali ed economici presso questa università.[3]

Nel 1995-1999 è stata membro dell'Assemblea della Repubblica per il Partito Socialista.[4]

Nel 1995, il primo ministro António Guterres le ha affidato la carica di ministro delle qualifiche e del lavoro, incarico ricoperto fino al 1997. Nel 1998-2002 è stata consigliere speciale del primo ministro portoghese.[2] Nel 2000 ha svolto un ruolo chiave nell'adozione della Strategia di Lisbona[5] - ha svolto il ruolo della cosiddetta sherpa, ha formulato il concetto di base della strategia e ha portato alla sua attuazione nell'Unione europea.[6] Dal 2002 è tra i membri di diversi gruppi di lavoro operanti presso la Commissione europea, viene anche nominata consigliere speciale, tra gli altri, in materia di vari organi dell'Unione europea. É diventata anche professore all'Université Libre de Bruxelles, membro del think tank Notre Europe e del comitato consultivo dell'European Policy Centre.[3]

Alle elezioni europee del 2014, a nome dei socialisti, è stata eletta eurodeputata dell'VIII legislatura.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Maria João Rodrigues, su newpactforeurope.eu. URL consultato il 23 luglio 2023.
  2. ^ a b (EN) Maria João Rodrigues (DOC), su eesc.europa.eu, 2 maggio 2007. URL consultato il 23 luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 29 aprile 2014).
  3. ^ a b (EN) Presentation, su mariajoaorodrigues.eu. URL consultato il 23 luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 16 luglio 2014).
  4. ^ (PT) Profilo sul sito web dell'Assemblea della Repubblica, su parlamento.pt.
  5. ^ Diritti e solidarietà per guidare la globalizzazione: una risposta alla crisi finanziaria, su europa.eu, 23 ottobre 2008. URL consultato il 23 luglio 2023.
  6. ^ (EN) Economic Reform in Europe: Priorities for the next five years, su policy-network.net, 10 novembre 2004. URL consultato il 23 luglio 2023.
Predecessore Capogruppo del PPE al Parlamento europeo Successore
Egon Klepsch 1992 – 1994 Wilfried Martens


Direzione generale delle carceri[modifica | modifica wikitesto]

Direzione generale delle carceri
Logo ufficiale
Nome originale(SQ) Drejtoria e Përgjithshme e Burgjeve
StatoBandiera dell'Albania Albania
TipoDPB
Direttore generaleAdmir Abrija[1]
SedeTirana
Sito webdpbsh.gov.al

La Direzione generale delle carceri (in albanese Drejtoria e Përgjithshme e BurgjeveDPB) è un'istituzione in Albania sotto l'egida del Ministero della giustizia. Il compito principale della direzione è la gestione degli istituti penali, nonché la creazione di condizioni adeguate per l'applicazione rigorosa di tutti gli obblighi derivanti dal quadro giuridico esistente, al fine di trasformare le condanne penali in opzioni di rieducazione.[2]

Gli obiettivi principali del sistema penitenziario sono i seguenti:

  • Mantenere i detenuti in condizioni abitative e di sicurezza adeguate
  • Trattamento umano dei detenuti
  • Gestire in modo efficiente ed efficace l'attività generale nelle carceri e nei centri di detenzione

La Direzione generale delle carceri ha sotto la sua supervisione 24 istituti penitenziari con una capacità di ospitalità di 6.284 detenuti, a partire dal 2018. Gli istituti penitenziari (IEVP) sono autorità amministrative che eseguono le decisioni emesse dai tribunali per la detenzione e il controllo dei detenuti.[2] Attualmente ci sono un totale di 21 carceri, 1 ospedale carcerario e 1 istituto minorile. Il dato medio del sovraffollamento è di 368 persone in più rispetto alla capacità carceraria.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (SQ) Drejtori i Përgjithshëm, su dpbsh.gov.al.
  2. ^ a b (SQ) Trajtimi dhe respektimi i të drejtave të personave me liri të kufizuar, su dpbsh.gov.al. URL consultato il 21 gennaio 2024 (archiviato dall'url originale il 26 agosto 2018).

Centro editoriale ufficiale[modifica | modifica wikitesto]

Centro editoriale ufficiale
Nome originale(SQ) Qendra e Botimeve Zyrtare
SiglaQBZ
StatoBandiera dell'Albania Albania
OrganizzazioneMinistero della giustizia
Istituito30 giugno 1999[1]
SedeTirana
Sito webqbz.gov.al

Il Centro editoriale ufficiale (in albanese Qendra e Botimeve ZyrtareQBZ) è un'istituzione del governo albanese sotto la diretta supervisione del Ministero della giustizia. Ad esso spetta la pubblicazione della Gazzetta ufficiale, del Bollettino delle notizie ufficiali e l'aggiornamento e la manutenzione dell'Archivio elettronico degli atti e delle altre pubblicazioni, ai sensi della "legge sull'organizzazione e il funzionamento del Centro editoriale ufficiale”.[2]

Il centro è responsabile della pubblicazione degli atti, delle pubblicazioni a stampa dei codici aggiornati e delle sintesi della legislazione (per argomento), della custodia e della non pubblicazione di dati, leggi e altri atti, fino al loro inserimento nella gazzetta ufficiale o nel bollettino ufficiale delle comunicazioni.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (SQ) Për krijimin e Qendrës së Publikimeve Zyrtare (PDF), su nchb.al, 1999.
  2. ^ (SQ) Ligji për Qendrën e Botimeve Zyrtare (PDF), in Ministria e Drejtësisë, 10 luglio 2014.
  3. ^ (SQ) Gerti Shella, Transparenca e Botimeve Zyrtare në Republikën e Shqipërisë (PDF), su infocip.org. URL consultato il 21 gennaio 2024.

Jacques Chirac[modifica | modifica wikitesto]

È divenuto noto anche per la sua posizione contro l'invasione americana dell'Iraq e per il riconoscimento del collaborazionismo del governo francese nella deportazione degli ebrei.

Nel 2011, il tribunale di Parigi ha dichiarato Chirac colpevole di distrazione di fondi pubblici e abuso della fiducia pubblica, condannandolo a due anni di reclusione con sospensione della pena.


Fondation Chirac[modifica | modifica wikitesto]

Fondation Chirac
TipoFondazione
Fondazione7 marzo 2008
FondatoreJacques Chirac
Scioglimento30 ottobre 2020
Sede centraleBandiera della Francia Parigi
PresidenteClaude Chirac
Jacques Chirac, fondatore dell'ente.

La Fondation Chirac è stata una fondazione lanciata dall'ex presidente francese Jacques Chirac, dopo aver ricoperto due mandati tra il 1995 e il 2007. Dal 2008 al 2020, l'ente si è battuto per la pace attraverso cinque programmi di advocacy:

  • prevenzione dei conflitti
  • accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari
  • accesso a farmaci e assistenza sanitaria di qualità
  • accesso alle risorse del territorio
  • e preservazione della diversità culturale

Supportava progetti sul campo che coinvolgevano la popolazione locale attraverso soluzioni innovative. Dal 2009, la Fondation Chirac ha assegnato ogni anno anche il Premio per la prevenzione dei conflitti.

Le sue priorità dichiarate erano la lotta ai medicinali falsificati, alla deforestazione e alla desertificazione e un contributo a preservare le lingue e le culture a rischio di estinzione.[1] Il "programma Sorosoro" ha preso il nome da una parola Araki che significa "respiro, parola, linguaggio". La lingua araki, in via di estinzione, a Vanuatu era parlata allora solo da otto persone, e l'obiettivo dichiarato del programma era quello di "partecipare attivamente alla lotta per la conservazione e la rivitalizzazione di queste lingue a rischio di estinzione".

La fondazione è stata diretta dalla sua istituzione fino al 2013 da Catherine Joubert. Di fronte alle difficoltà, ha dovuto lasciare nel 2012 la sua sede in rue d'Anjou e ringraziare tutto il personale, tranne Marc-Antoine Jasson, l'unico dipendente rimasto.[2] Nello stesso tempo, Claude Chirac e Alain Juppé entrarono a far parte del consiglio di amministrazione.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La Fondazione è stata lanciata ufficialmente il 9 giugno 2008, presso il Musée du quai Branly di Parigi,[3] con la presenza della maggior parte dei membri del suo Comitato d'Onore, come:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ [(FR) Chirac: «Je veux réveiller les consciences»", in Le Figaro, 6 giugno 2008. URL consultato il 7 gennaio 2024.
  2. ^ (FR) Invité du jour - Catherine Joubert : "Jacques Chirac voulait continuer à agir", su france24.com, 27 settembre 2019. URL consultato il 7 gennaio 2024.
  3. ^ (FR) Jacques Chirac lance sa Fondation consacrée «au développement durable et au dialogue des cultures», in 20 minutes, 9 giugno 2008. URL consultato il 7 gennaio 2024.

Fabienne Keller[modifica | modifica wikitesto]

Fabienne Keller
Fabienne Keller nel 2014

Questore del Parlamento europeo
In carica
Inizio mandato20 gennaio 2022
ContitolareAnne Sander
Christophe Hansen
Monika Beňova
Marcel Kolaja

Sindaco di Strasburgo
Durata mandato19 marzo 2001 –
22 marzo 2008
PredecessoreCatherine Trautmann
SuccessoreRoland Ries

Europarlamentare
In carica
Inizio mandato2 luglio 2019

Durata mandato17 giugno 2002 –
2 luglio 2002
PredecessoreNicole Fontaine
LegislaturaV, IX
Gruppo
parlamentare
V: PPE
IX: Renew Europe
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoRE (dal 2022)
In precedenza:
UDF-CDS (1991-1995)
UDF-FD (1995-1998)
UDF (1998-2002)
UMP (2002-2015)
LR (2015-2018)
Agir (2017-2022)
UniversitàÉcole Polytechnique
Scuola nazionale di ingegneria rurale, risorse idriche e forestali

Fabienne Keller (Sélestat, 20 ottobre 1959) è una politica francese, ex sindaco di Strasburgo ed europarlamentare della IX legislatura.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Laureata all'École polytechnique (1979) e alla Scuola nazionale di ingegneria rurale, risorse idriche e forestali, ha poi studiato negli Stati Uniti all'Università della California a Berkeley.

Ha lavorato come funzionario presso il Ministero dell'agricoltura e il Ministero delle finanze, successivamente ha lavorato per l'istituto di credito alsaziano CIAL. All'inizio degli anni '90 ha militato nell'Unione per la Democrazia Francese, entrando successivamente a far parte dell'Unione per un Movimento Popolare.

Nel 1992-2002 è stata consigliera del dipartimento del Basso Reno e dal 1998 anche vicepresidente del consiglio regionale dell'Alsazia. Dal giugno al luglio 2002 ha formalmente ricoperto per due settimane il mandato di deputato europeo nella V legislatura.

Nel 2001 ha vinto le elezioni e viene eletta sindaco di Strasburgo. Nel 2008 a cercato di correre per un secondo mandato, perdendo contro un candidato socialista. Dal settembre al novembre 2004 è stata membro del Senato. È stata riconfermata come tale nel febbraio 2005 e nel settembre 2014.[1] Nel 2017 è entrata a far parte del partito di centrodestra Agir.[2]

Nel 2019 è stata eletta deputata al Parlamento europeo nella IX legislatura per la lista organizzata intorno al gruppo LaREM.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (FR) Fabienne Keller sul sito web del Senato, su senat.fr.
  2. ^ (FR) Des élus Constructifs lancent «Agir, la droite constructive», in Le Figaro, 28 novembre 2017. URL consultato il 23 luglio 2023.

Hannah Neumann[modifica | modifica wikitesto]

Hannah Neumann
Hanna Neumann nel 2020

Vicepresidente della Sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo
In carica
Inizio mandato10 luglio 2019
ContitolareIrina von Wiese
Karoline Edtstadler
Raphaël Glucksmann

Europarlamentare
In carica
Inizio mandato2 luglio 2019
PredecessoreCristian Preda
LegislaturaIX
Gruppo
parlamentare
Verdi/ALE
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoAlleanza 90/I Verdi
UniversitàUniversità libera di Berlino
ProfessionePolitologa

Hannah Neumann (Spira, 3 aprile 1984) è una politica e politologa tedesca, europarlamentare della IX legislatura.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Laureata in studi sui media presso l'Università tecnica di Ilmenau e in scienze politiche presso l'Università libera di Berlino. Presso la seconda di queste università ha conseguito il dottorato, partecipando nel frattempo a progetti di ricerca, ad es. presso l'Università della Liberia. Ha lavorato presso un istituto di ricerca all'interno della DGAP, un'organizzazione non governativa tedesca che si occupa di relazioni internazionali. Ha anche avviato la propria attività di consulenza. Ha gestito progetti nel campo del peacekeeping e del peacebuilding, finanziati, tra gli altri, dalla Friedrich-Ebert-Stiftung.

Dal 2013 è un esponente del partito verde tedesco Alleanza 90/I Verdi. Nel 2013-2016 ha diretto l'ufficio di due parlamentari di questo gruppo. Ha assunto la presidenza dei Verdi nel distretto berlinese di Lichtenberg.

Alle elezioni del 2019 è stata eletta eurodeputata della IX legislatura dalla lista del suo partito.

So-yeon Schröder-Kim[modifica | modifica wikitesto]

Schröder-Kim So-yeon e Gerhard Schröder (2018)

So-yeon Schröder-Kim (Seul, 3 giugno 1970) è una traduttrice e interprete sudcoreana. Da maggio 2018 è la quinta moglie dell'ex cancelliere Gerhard Schröder.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

So-yeon Kim si trasferì da Seul a Marburgo nel 1995 per studiare. Contemporaneamente frequenta corsi di studi giapponesi all'università. Ha poi lavorato come traduttrice freelance e ha fondato la società di interpretariato "Mirae Translation & Communications" a Seul. Ha tradotto una raccolta di saggi sul politico sudcoreano e vincitore del Premio Nobel per la pace Kim Dae-jung, che Hartmut Koschyk ha pubblicato nel 2002 con il titolo Begegnungen mit Kim Dae-jung presso Olzog Verlag. Quando Edmund Stoiber visitò la Corea del Sud nel 2003, fece da interprete a Seul e tradusse in coreano un discorso dell'allora primo ministro bavarese.[1]

Nel luglio 2011 è stata assunta come rappresentante dell'agenzia per lo sviluppo economico NRW.Invest GmbH presso l'Ufficio degli esteri a Seul.[2] Negli anni successivi, in qualità di manager di oltre 80 imprenditori sudcoreani, fece sì che potessero aprire filiali nel Nord Reno-Westfalia. Kim è membro del Forum tedesco-coreano e da anni è impegnata ad ampliare le relazioni tedesco-coreane, l’ultima volta nel 2016 nell’ambito dei progetti Industria 4.0 e Smart Factory.

Come interprete, ha incontrato Gerhard Schröder durante una riunione di manager in Corea del Sud nel 2015 e nel 2016/17 ha tradotto in coreano la sua autobiografia di 540 pagine dal titolo Entscheidungen. L'allora presidente della Corea del Sud Moon Jae-in era presente alla presentazione del libro il 12 settembre 2017 a Seul.[3]

Il primo matrimonio di So-yeon Kim è stato con un chirurgo plastico di Seul, dal quale ha una figlia. Il divorzio è avvenuto nel novembre 2017. Il matrimonio con Gerhard Schröder ha avuto luogo il 2 maggio 2018 a Seul. La successiva certificazione ufficiale del matrimonio è stata effettuata il 22 agosto presso l'ufficio dello stato civile di Hannover nel Municipio della Città Vecchia. La coppia porta il cognome "Schröder"[4] e vive alternativamente ad Hannover e Seul. La celebrazione del matrimonio con circa 150 ospiti e familiari si è svolta il 5 ottobre 2018 presso l'Hotel Adlon-Kempinski di Berlino.[5]

Nel maggio 2023, Kim è stata licenziata senza preavviso dal suo datore di lavoro NRW.Global Business., dove lavorava in qualità di rappresentante della Corea del Sud, dopo essere andata alla manifestazione della Giornata della Vittoria il 9 maggio insieme a Gerhard Schröder, Egon Krenz, Tino Chrupalla e Alexander Gauland, presso l'ambasciata russa a Berlino.

Pubblicazioni[modifica | modifica wikitesto]

Traduzione dal coreano

  • Hartmut Koschyk (Hrsg.), Begegnungen mit Kim Dae-jung. Korea auf dem Weg zu Frieden, Versöhnung und Einheit. Raccolta di saggi. Olzog, München 2002, ISBN 978-3-7892-8094-8.
  • Gerhard Schröder, Entscheidungen. Mein Leben in der Politik. Hoffmann und Campe, Hamburg 2006, ISBN 978-3-455-50014-1.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (DE) Reinhold Beckmann trifft…, su presseportal.de, 7 luglio 2019. URL consultato il 5 gennaio 2024.
  2. ^ (DE) Antwort der Landesregierung NRW (PDF), su gruene-fraktion-nrw.de, 6 novembre 2017. URL consultato il 5 gennaio 2024 (archiviato dall'url originale il 6 ottobre 2018).
  3. ^ (DE) Wer ist die Neue von Gerhard Schröder?, in Frankfurter Allgemeine, 21 settembre 2017. URL consultato il 5 gennaio 2024.
  4. ^ (DE) Conrad von Meding, Schröders Frau heißt jetzt Schröder-Kim, in Hannoversche Allgemeine Zeitung, 1° agosto 2018. URL consultato il 5 gennaio 2024.
  5. ^ (DE) Kai-Uwe Wärner, Promis und Politiker stoßen auf Gerhard Schröders fünfte Ehe an, su stern.de, 6 ottobre 2018. URL consultato il 5 gennaio 2024.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Eduard Selami[modifica | modifica wikitesto]

Eduard Selami
Bujar Nishani nel 2017

Presidente del Partito Democratico d'Albania
Durata mandato1992 –
1995
PredecessoreSali Berisha
SuccessoreTritan Shehu
(ad interim)

Membro dell'Assemblea dell'Albania
Durata mandato1992 –
1996

Durata mandato2013 –
2017
CircoscrizioneDistretto di Coriza
(1992-1996; 2013-2017)

Dati generali
Partito politicoPDSH

Eduard Selami (...) è un politico albanese, presidente del Partito Democratico d'Albania dal 1992 al 1995 e deputato dell'Assemblea dell'Albania dal 1992 al 1996 e dal 2013 al 2017.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Pat Finucane[modifica | modifica wikitesto]

Murale in onore di Finucane

Patrick "Pat" Finucane (Belfast, 21 marzo 1949[1]Belfast, 12 febbraio 1989) è stato un avvocato irlandese per i diritti umani ucciso da paramilitari lealisti che agivano di concerto con il servizio di intelligence britannico MI5.

È venuto alla ribalta grazie alle sue azioni di successo contro il governo britannico in diversi importanti casi di diritti umani negli anni '80.[2] È stato ucciso dai lealisti nella sua casa. Due killer gli hanno sparato davanti alla moglie e ai tre figli, mentre tutta la famiglia era seduta a tavola. Finucane è stato colpito 14 volte e anche sua moglie è rimasta ferita nell'attacco.[3] L'omicidio di Finucane divenne uno degli eventi più risonanti del conflitto nordirlandese.[4] Nel 2004, l'ex leader dell'Ulster Defence Association Ken Barrett si è dichiarato colpevole di questo crimine.[5]

A seguito di due inchieste pubbliche sull'omicidio si è concluso che vi erano coinvolti i servizi segreti britannici. Nel dicembre 2012, il primo ministro britannico David Cameron ha pubblicato un rapporto in cui ammetteva la cospirazione dei servizi segreti britannici con i terroristi dell'Ulster Defense Association, sfociata nell'omicidio dell'avvocato.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Hansard, 5 May 1999, su publications.parliament.uk. URL consultato il 10 gennaio 2024 (archiviato dall'url originale il 31 ottobre 2018).
  2. ^ (EN) Interview with Geraldine Finucane: Breaking the glass ceiling, su politico.ie. URL consultato il 10 gennaio 2023 (archiviato dall'url originale il 15 marzo 2012).
  3. ^ (EN) Pat Finucane: A controversial killing Archiviato il 20140516085129 su news.bbc.co.uk URL di servizio di archiviazione sconosciuto.. BBC, 13 settembre 2004. URL consultato il 10 gennaio 2024.
  4. ^ (EN) Pat Finucane: A controversial killing Archiviato il 20140516085129 su news.bbc.co.uk URL di servizio di archiviazione sconosciuto.». BBC, 13 settembre 2004. URL consultato il 10 gennaio 2024.
  5. ^ (EN) Loyalist informer admits Finucane murder, in The Guardian, 13 settembre 2004. URL consultato il 10 gennaio 2024.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Presidenza di François Mitterand[modifica | modifica wikitesto]

Presidenza di François Mitterand
François Mitterrand nel 1991
StatoBandiera della Francia Francia
Primo ministroFrançois Mitterrand
(Partito Socialista)
LegislaturaVII, VIII, IX, X
Giuramento21 maggio 1981
Governo successivoChirac
17 maggio 1995
Giscard d'Estaing Chirac

La presidenza di François Mitterand si estende su un periodo di quattordici anni e due settennati:

  • il primo mandato, dal 21 maggio 1981 al 20 maggio 1988;
  • il secondo mandato, dal 21 maggio 1988 al 17 maggio 1995.

Governi[modifica | modifica wikitesto]

Sotto la presidenza Mitterrand si sono succeduti dieci governi, posti sotto l'autorità dei primi ministri Pierre Mauroy, Laurent Fabius, Jacques Chirac, Michel Rocard, Édith Cresson, Pierre Bérégovoy e Édouard Balladur:



Presidenza di Jacques Chirac[modifica | modifica wikitesto]

Presidenza di Jacques Chirac
Jacques Chirac nel 1997
StatoBandiera della Francia Francia
Primo ministroJacques Chirac
(Raggruppamento per la Repubblica,
Unione per un Movimento Popolare)
LegislaturaX, XI, XII
Giuramento17 maggio 1995
Governo successivoSarkozy
16 maggio 2007
Mitterand Sarkozy

La presidenza di Jacques Chirac è iniziata il 17 maggio 1995 e terminata il 16 maggio 2007. Lunga 12 anni, si estende su un periodo di sette anni e un mandato di cinque anni:

  • il primo mandato, dal 17 maggio 1995 al 16 maggio 2002;
  • il secondo mandato, dal 17 maggio 2002 al 16 maggio 2007.

Jacques Chirac è stato eletto Presidente della Repubblica francese nel 1995 per un mandato di sette anni, viene poi rieletto nel 2002 per cinque anni.

Primo mandato[modifica | modifica wikitesto]

Secondo mandato[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]


Espionage Act of 1917[modifica | modifica wikitesto]

L'Espionage Act of 1917 (Legge sullo spionaggio del 1917) è una legge federale statunitense entrata in vigore il 15 giugno 1917, poco dopo l'entrata degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale. La legge proibiva ogni interferenza e influenza nelle operazioni militari e il sostegno ai nemici degli Stati Uniti in tempo di guerra, l'opposizione al comando delle forze militari e agli ordini militari e l'interferenza verso il reclutamento.

Eugene V. Debs del Partito Socialista d'America è stato condannato a dieci anni di carcere per la sua opposizione all'entrata dell'America nella prima guerra mondiale.

Il segretario del Partito Socialista Charles Schenck, che ha fatto campagna contro la legge sulla libertà di parola, ha intentato una causa contro gli Stati Uniti in quanto riteneva che l'Espionage Act violasse il primo emendamento alla Costituzione. Nel 1919, tuttavia, la Corte suprema degli Stati Uniti stabilì all'unanimità in Schenck contro Stati Uniti che l'Espionage Act non violava la libertà di parola di coloro che venivano puniti ai sensi della legge promulgata.[1]

Daniel Ellsberg, il leaker dei cosiddetti Pentagon Papers, è stato accusato in base a questa legge.

Le critiche alla legge sono state scatenate dall'amministrazione del presidente Barack Obama e dall'uso senza precedenti della legge da parte del procuratore generale Eric Holder per perseguire gli informatori.[2][3][4]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) "Schenck v. United States." Encyclopædia Britannica. Encyclopædia Britannica Suite di riferimento definitiva. Chicago: Encyclopædia Britannica, 2015.
  2. ^ (EN) John Kiriakou, Obama's abuse of the Espionage Act is modern-day McCarthyism, in The Guardian, 6 agosto 2013. URL consultato il 21 giugno 2023.
  3. ^ (EN) Jon Greenberg, CNN's Tapper: Obama has used Espionage Act more than all previous administrations, su politifact.com, 10 gennaio 2014. URL consultato il 21 giugno 2023.
  4. ^ (EN) James Risen, If Donald Trump Targets Journalists, Thank Obama, in The New York Times, 30 dicembre 2016. URL consultato il 21 giugno 2023.


Lega di San Giorgio[modifica | modifica wikitesto]

Lega di San Giorgio
League of Saint George
StatoBandiera del Regno Unito Regno Unito
Fondazione1974
Derivato daPartito d'Azione
IdeologiaFascismo britannico
Europe a Nation
CollocazioneEstrema destra
TestataThe League Review
The League Sentinel

La Lega di San Giorgio (in inglese League of Saint George) è un'organizzazione antisemita e neofascista britannica.[1]

La Lega di San Giorgio mantiene relazioni mondiali con altre organizzazioni che sostengono la medesima ideologia e difende la politica della Germania nazista. Secondo l'organizzazione, la Germania non ha tenuto "un comportamento peggiore di qualsiasi altra nazione in guerra" durante la seconda guerra mondiale, ricordando il bombardamento britannico dei quartieri della classe operaia delle città tedesche. La Lega di San Giorgio si descrive come un club politico al di fuori dei partiti, la cui filosofia si basa sul patriottismo e sul principio di una società organizzata nel contesto della civiltà europea. L'organizzazione afferma di riconoscere "la minaccia che il marxismo rappresenta per le tradizioni e la morale nelle sue molteplici forme" e cerca di "cooperare con movimenti europei e di altro profilo che hanno un ideologia affine alla propria".[1]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La Lega di San Giorgio è nata nel 1974 quando Keith Thompson e Mike Griffin si sono staccati dal Partito d'Azione fondato da Oswald Mosley. Lo scopo della nuova organizzazione era quello di continuare il proprio percorso sulle idee di Mosley in una forma più pura. Negli anni '70, divenne la dimora spirituale del neonazismo intellettuale e andò a unire in particolare quegli attivisti che volevano un'Europa unita con una popolazione di discendenza europea, promuovendo la continuazione della politica "Europe a Nation" (Europa una nazione) di Mosley. Sposò anche il repubblicanesimo irlandese, distinguendosi dal resto dell'estrema destra britannica, che sosteneva il lealismo dell'Ulster.[2]

All'inizio degli anni '90 la Lega di San Giorgio era un gruppo elitario con solo circa 50 membri. I suoi membri sono principalmente personalità benestanti. Il rapporto del Parlamento europeo del 1991 sul razzismo e la xenofobia considerava l'organizzazione "il gruppo nazionalsocialista più puro e rispettato dell'Europa occidentale".[3] È possibile diventare membro di essa solo su invito.[4]

Copertura mediatica[modifica | modifica wikitesto]

Il rapporto di estrema destra di "Hope Not Hate" stimava nel 2017 che la Lega di San Giorgio fosse una piccola ma longeva organizzazione nazista che continuava a pubblicare il trimestrale razzista di piccola tiratura The League Sentinel. Secondo il rapporto, la casa editrice Steven Books legata alla Lega di San Giorgio era un importante produttore e distributore di libri e opuscoli razzisti, nazionalisti, negazionisti dell'Olocausto e fascisti a livello britannico.[5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b (EN) International links fostered by the British League of St. George, 12:1, Patterns of Prejudice, 28 maggio 2010, p. 21. URL consultato il 21 giugno 2023.
  2. ^ (EN) Ray Hill e Andrew Bell, The Other Face of Terror – Inside Europe's Neo-Nazi Network, London, Grafton, 1988, p. 184–185.
  3. ^ (EN) Glyn Ford, European Parliament Committee of Inquiry on Racism and Xenophobia - Report on the Findings of the Inquiry (PDF), Luxembourg, Office for Official Publications of the European Communit, 1991, p. 40, ISBN 92-823-0280-6. URL consultato il 22 giugno 2023.
  4. ^ (EN) Peter Barberirs, John McHugh e Mike Tyldesley, Encyclopedia of British and Irish Political Organizations: Parties, Groups and Movements of the 20th Century, Continuum International Publishing Group, 2000, p. 185.
  5. ^ (EN) Nick Lowles, The State of Hate 2018 (PDF), su hopenothate.org.uk, Hope Not Hate, 2018. URL consultato il 21 giugno 2023.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Ray Hill & A. Bell, The Other Face of Terror- Inside Europe’s Neo-Nazi Network, London: Collins, 1988

Partito delle Forze Nuove (Francia)[modifica | modifica wikitesto]

Partito delle Forze Nuove
(FR) Parti des forces nouvelles
StatoBandiera della Francia Francia
Fondazionenovembre 1974
Derivato da
Dissoluzione1986
IdeologiaNeofascismo
Nazionalismo francese
Anticomunismo
CollocazioneEstrema destra

Il Partito delle Forze Nuove (in francese Parti des forces nouvelles, PFN) è stato un partito politico francese di estrema destra di ispirazione neofascista formato nel novembre 1974 dal "Comité faire front" e da un gruppo di dissidenti anti-Jean-Marie Le Pen che si erano separati dal Front National (FN).

Sviluppo[modifica | modifica wikitesto]

Il PFN comprendeva tra i suoi primi membri, i militanti dell'Ordre Nouveau, il quale si era sciolto non molto tempo prima della fondazione di questi. I militanti dell'Ordre Nouveau formarono il gruppo "Comité faire front", che si fuse nel Front National nel settembre 1973, la fusione portò all'isolamento di Jean-Marie Le Pen consentendo al "Comité faire front" di ottenere due terzi dei seggi nell'esecutivo nazionale dell'FN. Nel caso giudiziario che seguì, Le Pen riuscì a prendere il sopravvento e costrinse il gruppo a separarsi dal suo partito, fatto che portò alla nascita del PFN come formazione alternativa nel 1974.

Collocato all'estrema destra, il PFN cercò collegamenti anche con la destra più tradizionale e si unì ad alcuni ex membri dell'Organisation armée secrète in vista della campagna presidenziale di Valéry Giscard d'Estaing nel 1974. Il partito lanciò un proprio giornale, L'Initiative nationale e si rese rese responsabile delle proteste contro la visita a Parigi di Leonid Breznev nel 1977. Nel 1979 lancerà a livello europeo, l'alleanza dei partiti di destra denominata Eurodestra insieme al Movimento Sociale Italiano, Fuerza Nueva e al PFN belga. Il partito si candidò alle elezioni europee del 1979 con il nome di Unione Francese per l'Eurodestra (sotto la guida di Jean-Louis Tixier-Vignancour), ottenendo l'1,3% dei voti. Avrà rappresentanti nei consigli comunali nel 1983 all'interno della lista Raggruppamento per la Repubblica - Unione per la Democrazia Francese (RPR-UDF). Dopo le elezioni europee del 1979, Roland Gaucher, che era stato responsabile de L'Initiative nationale, lasciò il PFN insieme a François Brigneau per unirsi nuovamente al Front National.

Nel 1981 il partito non riuscì ad ottenere le 500 firme necessarie per candidare Pascal Gauchon alla presidenza. In seguito a questa battuta d'arresto la leadership passò nelle mani dei giovani membri Roland Hélie, Didier Lecerf, Jack Marchal e Olivier Cazal, mentre ex leader come Hervé Novelli e Alain Robert aderirono al Centro Nazionale degli Indipendenti e dei Contadini. Il partito fu coinvolto in seguito in attività [[|Anticomunismo|anticomuniste]], occupando i ministeri del Partito Comunista Francese e unendosi ai sostenitori dell'RPR nell'interrompere una manifestazione di ex militari comunisti in una mossa che provocò scandalo per l'RPR.

Il partito si scisse nel 1986 con il Partito delle Forze Nazionaliste. Questo evento segnò di fatto la fine del PFN come forza politica.

Comités Jeanne[modifica | modifica wikitesto]

Comités Jeanne
Comitati Giovanna
PresidenteJean-Marie Le Pen
SegretarioLorrain de Saint Affrique
StatoBandiera della Francia Francia
Sede8, parc de Montretout
92210 Saint-Cloud
AbbreviazioneCJ
Fondazione22 marzo 2016
Derivato daFront National
IdeologiaNazionalismo
Conservatorismo sociale
Euroscetticismo
Sovranismo
Anti-globalizzazione
Conservatorismo nazionale
CollocazioneEstrema destra[1]
Partito europeoAlleanza per la Pace e la Libertà
Colori               Blu, Bianco e Rosso
SloganJeanne, au secours!
Sito webcomitejeanne54.wordpress.com/

Comités Jeanne (Comitati Giovanna, CJ) è un partito politico francese di estrema destra fondato da Jean-Marie Le Pen dopo la sua esclusione dal Front National nel 2015.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Jean-Marie Le Pen fondatore e presidente dei Comités Jeanne

Jean-Marie Le Pen, fondatore e leader del Front National (FN) in Francia, è stato inizialmente sospeso dal partito nel maggio 2015 dopo aver affermato che l'Olocausto era "un dettaglio della storia". Dopo che Le Pen ha contestato con successo la sua sospensione in tribunale, nell'agosto 2015 si è tenuto un congresso straordinario del partito dove è stato espulso dallo stesso.[2]

Dopo aver considerato la creazione di un "raggruppamento blu-bianco-rosso" per "agire nella stessa direzione del Front National" senza necessariamente appartenere ad esso, ha annunciato, nel marzo 2016, la creazione dei Comités Jeanne, che portano il nome di Giovanna d'Arco,[3] il cui motto è "Jeanne, au secours!" ("Giovanna, aiuto!" in italiano). Il partito si posiziona sulla stessa linea politica dell'FN,[4], Le Pen ha presentato candidati con questo partito alle elezioni legislative del 2017, sfidando nel contempo i candidati dell'FN.[5]

Ha invitato i sostenitori a votare per l'FN nelle elezioni regionali del 2015 e ha indicato che la sua associazione di raccolta fondi "Cotelec" aveva prestato sei milioni di euro all'FN per la campagna presidenziale del 2017.[6]

Il 17 novembre 2016, un tribunale francese ha confermato l'esclusione di Jean-Marie Le Pen dal Front National senza mettere in discussione il suo status di presidente onorario, preservando così il suo diritto a essere convocato a tutte le riunioni del partito.[7]

Il presidente del partito è Jean-Marie Le Pen.[3] Lorrain de Saint Affrique è segretario generale della formazione dal 2016.[8]

Per le elezioni presidenziali francesi del 2017, Jean-Marie Le Pen ha dichiarato ufficialmente di sostenere la candidatura presidenziale di sua figlia Marine Le Pen. Per le elezioni legislative francesi del 2017, i Comités Jeanne hanno stretto un'alleanza con il Partito della Francia, Civitas, Lega del Sud e SIeL.

Nel 2018, il fondatore e leader del partito, Jean-Marie Le Pen, è entrato a far parte dell'associazione politica europea di estrema destra Alleanza per la Pace e la Libertà come "presidente onorario". Successivamente, i Comités Jeanne aderiscono ad esso come membri associati. Le Pen è rimasto eurodeputato fino alle elezioni europee del 2019, nelle quali ha sostenuto il Rassemblement National.[9]

Durante le elezioni municipali del 2020, i Comités Jeanne ottengono alcuni consiglieri, in particolare a Ronchamp ea Taverny.[10]

Ideologia[modifica | modifica wikitesto]

I commentatori politici francesi hanno collocato i Comités Jeanne nell'estrema destra.[11] Il partito sostiene una retorica nazionalista fermamente anti-globalista, antisionista e anti-immigrazione. Il partito è anche euroscettico e si oppone a un'ulteriore integrazione europea, cercando di mantenere e preservare la sovranità della Francia.[12]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (FR) Laurent de Boissieu, Comités Jeanne (CJ), in France Politique, 2 ottobre 2017.
  2. ^ (EN) French National Front expels founder Jean-Marie Le Pen, su bbc.com, 20 agosto 2015.
  3. ^ a b (FR) Jean-Marie Le Pen lance des comités "Jeanne d'Arc, au secours!", su www.europe1.fr, 20 marzo 2016. URL consultato il 22 giugno 2023.
  4. ^ (FR) Jean-Marie Le Pen crée les comités "Jeanne, au secours!" pour peser sur le FN, su valeursactuelles.com, 21 marzo 2016. URL consultato il 22 giugno 2023.
  5. ^ (FR) Jean-Marie Le Pen, ostracisé par sa propre famille politique, in Le Monde, 29 settembre 2016. URL consultato il 22 giugno 2023.
  6. ^ (FR) Béatrice Houchard, Le Front national fait la manche pour la présidentielle, 3 ottobre 2016.
  7. ^ (EN) Henry Samuel, Jean-Marie Le Pen must remain Front National's 'honorary president', French court rules, in blow for daughter Marine, in The Telegraph, 17 novembre 2016. URL consultato il 22 giugno 2023.
  8. ^ (FR) Communiqué de presse des Comités Jeanne, su comitejeanne54.wordpress.com, 26 aprile 2017. URL consultato il 22 giugno 2023.
  9. ^ (FR) Élections européennes, en direct : Jean-Marie Le Pen soutient la liste de sa fille, su cnews.fr, 13 aprile 2019. URL consultato il 22 giugno 2023.
  10. ^ (FR) Laurent de Boissieu, Les cartes des résultats, parti par parti, des élections municipales 2020, su la-croix.com, 27 marzo 2020. URL consultato il 22 giugno 2023.
  11. ^ (FR) https://www.france-politique.fr/wiki/Comit%C3%A9s_Jeanne_(CJ)
  12. ^ (FR) Comités Jeanne : La Charte des Valeurs, su jeanmarielepen.com.


I Patrioti[modifica | modifica wikitesto]

I Patrioti
(FR) Les Patriotes
PresidenteFlorian Philippot
StatoBandiera della Francia Francia
Sede122, rue des Rosiers
93400 Saint-Ouen
AbbreviazioneLP
Fondazione16 maggio 2017
(associazione)
29 settembre 2017
(partito)
Derivato daFront National
IdeologiaSovranismo[1]
Gaullismo[1]
Euroscetticismo[2]
Repubblicanesimo nazionale[1]
Populismo
Cospirazionismo[3]
Antivaccinismo[3]
CollocazioneDestra[4]/Estrema destra[1][5][6]
Partito europeoEuropa della Libertà e della Democrazia Diretta
Seggi Assemblea nazionale
0 / 577
Seggi Senato
0 / 348
Seggi Europarlamento
0 / 74
Colori     Arancione
SloganLe meilleur pour la France
Sito webles-patriotes.fr/
Florian Philippot, ex FN, fondatore e presidente de I Patrioti dal 2017
Sophie Montel, vicepresidente de I Patrioti dal 2017 al 2018

I Patrioti (in francese: Les PatriotesLP) è un partito politico francese di estrema destra le cui posizioni vertono sul nazionalismo e l'euroscetticismo. Il partito è nato dalla scissione con il Front National. È guidato da Florian Philippot, ex vicepresidente dell'FN sotto Marine Le Pen.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il partito è stato fondato nell'autunno 2017 dall'ex vicepresidente del Front National, Florian Philippot. In precedenza esisteva come piattaforma all'interno dell'FN dalla primavera del 2017. I Patrioti sono favorevoli all'uscita della Francia dall'Unione europea e in particolare dalla zona euro.[7] Nell'ottobre 2017, Philippot, insieme a Mireille d'Ornano e Sophie Montel, ha lasciato il gruppo ENF dominato dall'FN al Parlamento europeo e si è unito al gruppo Europa della Libertà e della Democrazia Diretta, che comprende membri dell'UKIP e del gruppo Alternativa per la Germania (AfD). A novembre, José Evrard (FN), membro dell'Assemblea nazionale, si è unito a LP. Montel si è dimessa dal partito all'inizio del luglio 2018, accusando Philippot di aver falsificato delle firme. Il partito puntava inizialmente a un risultato elettorale di oltre il 5% alle elezioni europee del maggio 2019, dove alla fine ha ottenuto solo lo 0,65% e non è riuscito a raggiungere la soglia del 5% in Francia. Nel 2020, José Evrard ha lasciato il partito ed è entrato a far parte di Debout la France.[8] Florian Philippot si è candidato alle elezioni locali del 2020 a Forbach. La sua lista ha ottenuto il 9,7% dei voti al primo scrutinio. Nel giugno 2021, durante le elezioni regionali nella regione del Grand Est, ha guidato la lista «Liberté» (Libertà) contro le misure del Coronavirus. Oltre ai membri de I Patrioti, si sono uniti alla lista anche il piccolo partito cristiano-conservatore VIA, la voie du peuple.[9] Al primo scrutinio, il partito ha ottenuto solamente il 6,95% dei voti. I Patrioti hanno perso tutti i loro seggi nei consigli regionali.[10]

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

Dirigenti attuali[modifica | modifica wikitesto]

Vecchi dirigenti[modifica | modifica wikitesto]

Risultati elettorali[modifica | modifica wikitesto]

Assemblea nazionale[modifica | modifica wikitesto]

Supplettive[modifica | modifica wikitesto]

Anno Circoscrizione Candidato Voti % Risultato
2018 1ª del Territorio di Belfort[11] Sophie Montel 268 1,99
1ª della Val-d’Oise[12] Denise Cornet 193 1,19 11°

Legislative[modifica | modifica wikitesto]

Anno Voti % Risultato Seggi
2022 116.124 0,51 22°
0 / 577

Parlamento europeo[modifica | modifica wikitesto]

Anno Capolista Voti % Risultato Seggi
2019 Florian Philippot 147.140 0,65 15°
0 / 79

Regioni[modifica | modifica wikitesto]

Anno Regione Capolista Primo turno Seggi
Voti % Risultato
2021[13] Grand Est Florian Philippot 74.980 6,95
0 / 169

Dipartimenti[modifica | modifica wikitesto]

Anno Primo turno Seggi
Voti % Risultato
2021 5.742 0,04 Non divulgato
0 / 4 058

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d (FR) Laurent de Boissieu, Les Patriotes (LP), su france-politique.fr. URL consultato il 23 giugno 2023.
  2. ^ (FR) Florian Philippot a présenté la charte de son parti, Les Patriotes, in Le Monde, 7 novembre 2017. URL consultato il 23 giugno 2023..
  3. ^ a b (FR) Maxime Macé e Pierre Plottu, Législatives: complotistes et anti-pass auront leurs candidats, in Libération, 7 maggio 2022. URL consultato il 23 giugno 2023.
  4. ^ (EN) Explained: how France’s newest party is copying Farage in a bid for Frexit, su euronews.com, 20 febbraio 2018.
  5. ^ (EN) Les Patriotes: How Le Pen’s ex-protégé hopes to win over French far right - France 24, su france24.com, 18 dicembre 2017. URL consultato il 23 giugno 2023.
  6. ^ (FR) Vincent Michelon, Florian Philippot crée son parti Les Patriotes : y a-t-il un avenir hors du FN ?, su lci.fr, 29 settembre 2017.
  7. ^ Valeria Fraquelli, Francia, nasce il partito dei patrioti, su reportdifesa.it, 19 febbraio 2018. URL consultato il 22 giugno 2023.
  8. ^ (FR) Pourquoi j’ai adhéré à Debout La France, su debout-la-france.fr, 1° dicembre 2020. URL consultato il 23 giugno 2023.
  9. ^ (FR) Tom Hollmann, Régionales dans le Grand-Est : Comment Florian Philippot tente de capitaliser sur l'opposition aux mesures sanitaires, su france3-regions.francetvinfo.fr, 15 giugno 2021. URL consultato il 23 giugno 2023.
  10. ^ (FR) Régionales 2021 dans le Grand Est : quel avenir politique pour Florian Philippot, su france3-regions.francetvinfo.fr, 21 giugno 2021. URL consultato il 23 giugno 2023.
  11. ^ (FR) Résultats définitifs élection législative partielle tour 1 (PDF), su territoire-de-belfort.gouv.fr, 29 gennaio 2018. URL consultato il 23 giugno 2023. .
  12. ^ (FR) Résultats du premier tour de l'élection législative partielle - 1re circonscription du Val-d'Oise (PDF), su val-doise.gouv.fr, 29 gennaio 2018. URL consultato il 23 giugno 2023..
  13. ^ (FR) Elections régionales et des assemblées de Corse, Guyane et Martinique 2021, su elections.interieur.gouv.fr. URL consultato il 23 giugno 2023..

Partito Cristiano Sociale (Belgio 1945)[modifica | modifica wikitesto]

Partito Sociale Cristiano - Partito Popolare Cristiano
(FR) Parti Social Chrétien
(NL) Christelijke Volkspartij
StatoBandiera del Belgio Belgio
SedeRue des Deux Eglises, Bruxelles
AbbreviazionePSC/CVP
Fondazione18 agosto 1945
Derivato daBlocco Cattolico
Dissoluzione1968
Confluito in
IdeologiaConservatorismo
Cristianesimo democratico
CollocazioneCentro
Partito europeoGruppo Democristiano
Affiliazione internazionaleInternazionale Democristiana
Colori     Arancione      Nero

Belgische Unie - Union Belge[modifica | modifica wikitesto]

Belgische Unie - Union Belge
Unione Belga
PresidenteHans Van de Cauter
StatoBandiera del Belgio Belgio
SedeRue du Merlo 8B
B-1180 Bruxelles
AbbreviazioneBUB
Fondazione2002
IdeologiaUnitarismo
Realismo
Liberalismo
Belgicanesimo
Europeismo
CollocazioneCentro-destra/destra
Affiliazione internazionaleConferenza Monarchica Internazionale
Seggi Camera
0 / 150
Seggi Senato
0 / 60
Seggi Europarlamento
0 / 21
Colori     Blu
Sito webwww.belgischeunie.be/

Belgische Unie - Union Belge (Unione BelgaBUB), è un partito politico extraparlamentare belga. Si descrive come "Il partito centrista per un Belgio unito". Essendo uno dei pochi partiti politici organizzati in tutto il paese, desidera abolire il sistema federale in Belgio e ristabilire uno stato unitario basato sulle nove province originarie. Il partito si oppone esplicitamente al separatismo e alla partizione del Belgio.

Ideologia[modifica | modifica wikitesto]

Il partito promuove la riconciliazione tra i gruppi linguistici del Belgio (le comunità di lingua olandese e francese), sostiene il multilinguismo e la centralizzazione in un solo governo e parlamento. Propone l'abolizione delle tre regioni belghe e il trasferimento dei suoi poteri allo stato federale belga e alle province. È l'unico partito con questa prospettiva, insieme al Partito del Lavoro del Belgio (PVDA/PTB), al Partito Socialista di Sinistra e al partito liberale minore Vivant, è tra i partiti non suddivisi su base linguistica.

Rappresentanza[modifica | modifica wikitesto]

La BUB non ha seggi in nessun dei parlamenti del Belgio e opera solo ai margini della politica belga. Il partito ha ottenuto 10.000 voti nelle elezioni federali del 2003 e 13.000 voti nelle elezioni regionali del 2004. I voti si sono concentrati nelle province settentrionali, nelle circoscrizioni centrali del Brabante e di Bruxelles e nel 2003 anche nella provincia meridionale di Namur. Sebbene il partito non abbia ottenuto seggi alle elezioni comunali del 2006, la BUB ha ottenuto un buon risultato alle urne con il 2% dei voti in alcune città. Nelle elezioni federali del 10 giugno 2007, ha fatto progressi anche in questa tornata elettorale, ma ancora una volta non ha ottenuto seggi.

Alle elezioni federali del 2010, il partito ha formato un cartello filo-belga con i Cristiani Democratici Federali (CDF) sotto il nome di BELG-UNIE e ha ottenuto un risultato record di 20.000 voti in 5 circoscrizioni.[1][2] Dal 22 giugno 2011 il cartello è composto da un terzo partito filo-belga, l'Alleanza Belga (BAB).[3]

Il partito è guidato da un presidente nazionale (Hans Van de Cauter) ed è diviso in 9 sezioni provinciali, corrispondenti alle 9 province che esistevano prima della scissione della provincia centrale del Brabante nel 1995.

Il partito è membro della Conferenza Monarchica Internazionale.[4]

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Periodo
Hans Van de Cauter 2002 – in carica

Risultati elettorali[modifica | modifica wikitesto]

Camera dei rappresentanti[modifica | modifica wikitesto]

Anno % Seggi Governo
2003 0,08
0 / 150
Opposizione extraparlamentare
2007 0,13
0 / 150
Opposizione extraparlamentare
2010 0,32
0 / 150
Opposizione extraparlamentare
2014 0,18
0 / 150
Opposizione extraparlamentare
2019 0,10
0 / 150
Opposizione extraparlamentare

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (FR) DH.be – CDF et BUB se présentent sous le cartel BELG.UNIE, su dhnet.be. URL consultato il 23 giugno 2023.
  2. ^ (FR) Elections 2010 – Chambre – Résultats des listes Royaume, su Elections2010.belgium.be. URL consultato il 23 giugno 2023.
  3. ^ (NL) Belg-Unie | Declaration Commune – Gemeenschappelijke Verklaring Van B.U.B. & Cdf & Bab, su belg-unie.be. URL consultato il 23 giugno 2023 (archiviato dall'url originale il 15 giugno 2012).
  4. ^ (EN) Monarchist Conference – Members, su internationale.monarchiste.com, 13 settembre 2011. URL consultato il 23 giugno 2023.

Cristiani Democratici Federali[modifica | modifica wikitesto]

Cristiani Democratici Federali
(NL) Christen Democraten Federaal
(FR) Chrétiens démocrates Fédéraux
PresidentePierre-Alexandre de Maere d'Aertrycke
StatoBandiera del Belgio Belgio
SedeRue Fernand Mélard 11
1200 Bruxelles
AbbreviazioneCDF
Fondazione2002
Derivato daCentro Democratico Umanista
Dissoluzione2013
IdeologiaCristianesimo democratico
Conservatorismo cristiano
Belgicanesimo
CollocazioneCentro-destra
CoalizioneBELG-UNIE
Partito europeoMovimento Politico Cristiano Europeo
Organizzazione giovanileJeunes CDF
Colori          Blu e Arancione
SloganLa démocratie autrement

I Cristiani Democratici Federali (in olandese: Christen Democraten Federaal, in francese: Chrétiens démocrates fédérauxCDF), fino al 2007 Cristiani Democratici Francofoni, è stato un partito politico belga fondato nel 2002 e sciolto nel 2013. Fu creato dai dissidenti del Nuovo PSC rifiutando che quest'ultimo abbandonasse l'ideologia cristiana diventando il Centro Democratico Umanista.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

I fondatori dei Cristiani Democratici Federali, ritenendo che il cdH non basasse più sufficientemente la sua visione politica sui principi cristiani, pur non essendo un partito confessionale e rispettando il principio della separazione tra Chiesa e Stato, ha supposto che questi non era più legato all'azione politica incentrata sui valori del cristianesimo e dei principi della dottrina sociale cristiana. Il partito era un membro del Movimento Politico Cristiano Europeo. I Cristiano Democratici Federali si è candidata per la prima volta alle elezioni legislative del 2003.

Nel 2007 il partito diventa attivo a livello nazionale e bilingue: cambia nome (Cristiani Democratici Federali invece di Cristiani Democratici Francofoni) e crea una sezione CDF nelle Fiandre, presieduta da Agnès Jonckheere. Durante i sei mesi di crisi politica del 2007, il partito ha partecipato a tutte le iniziative popolari a favore dell'unità del Belgio.

Durante le elezioni di 13 giugno 2010, il partito si presentò in coalizione con l'Unione Belga sotto la denominazione BELG-UNIE, volendo avanzare un auspicio di riunificazione del Belgio o sotto il ritorno del governo delle nove province, ricreando la vecchia provincia del Brabante, o creando una nuova regione-provincia di Bruxelles-Brabante.

Il 10 marzo 2013, il partito è sciolto.[1].

Rappresentanza politica[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2006-2012, il partito ha avuto alcuni eletti nei municipi della regione di Bruxelles, a Woluwe-Saint-Lambert ea Molenbeek, così come in Vallonia, a Chaumont-Gistoux. In precedenza, i suoi eletti erano consiglieri comunali inizialmente eletti nel 2000 nelle liste del PSC. Altri erano inclini al MR. Nel 2012, i candidati CDF sono apparsi nelle liste del sindaco di Woluwe-Saint-Lambert (guidata da Olivier Maingain, FDF) e Koekelberg (guidata da Philippe Pivin, MR), nelle liste MR a Molenbeek e CDH a Verviers.[2]

Presidenti[modifica | modifica wikitesto]

  • Benoît Veldekens (2002 – dicembre 2006)
  • Pierre-Alexandre de Maere d'Aertrycke (dicembre 2006 – marzo 2013)

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (FR) Le CDF annonce sa dissolution, in L'Avenir, 10 marzo 2013. URL consultato il 24 giugno 2023..
  2. ^ (FR) Philippe Carlot, Le MR, défenseur de la laïcité, a compté des candidats chrétiens très affirmés], su rtbf.be, 5 novembre 2012.

Fuerza Nueva[modifica | modifica wikitesto]

Fuerza Nueva
Forza Nuova
PresidenteBlas Piñar
StatoBandiera della Spagna Spagna
SedeCalle de Mejía Lequerica, 8
28004 Madrid
AbbreviazioneFN
Fondazione19 ottobre 1976
Dissoluzione20 novembre 1982
IdeologiaUltranazionalismo
Cattolicesimo nazionale
Franchismo
Anticomunismo
CollocazioneEstrema destra
CoalizioneUnione Nazionale
Partito europeoEurodestra
Organizzazione giovanileFuerza Joven
Fronte della Gioventù
Colori               Ocra, Bianco e Blu

Fuerza Nueva (Forza NuovaFN) è stato un partito politico spagnolo di estrema destra fondato dal notaio e politico franchista Blas Piñar López, direttore generale dell'Istituto di cultura ispanica e procuratore delle Corti franchiste negli anni '60.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Fuerza Nueva è stata fondata e guidata da Blas Piñar dalla sua nascita fino alla sua dissoluzione

Fuerza Nueva è stata creata da Blas Piñar López nel 1966 attorno a Fuerza Nueva Editorial SA, iniziando a pubblicare la rivista omonima nel 1967. Nel 1976 si costituì in partito politico con l'obiettivo di mantenere vivi gli ideali religiosi e politici della rivolta nazionalista del 17 e 18 luglio 1936 e della Spagna franchista. Per fare questo, il nuovo partito ha cercato di riunire tutte le forze politiche dello stesso carattere cattolico, patriottico e sociale che Fuerza Nueva rivendicava. Il suo slogan era "Dio, patria e giustizia".

La sua ideologia era basata sulla supremazia dei valori spirituali, nazionali, morali e cristiani; la difesa dell'unità spagnola e dello Stato organico; la promozione e lo sviluppo della tradizione; la difesa della giustizia sociale fondata sul nazionalunionismo; e la continuità dello Stato a partire dal 18 luglio 1936.

L'Eurodestra[modifica | modifica wikitesto]

Il 19-21 aprile 1978 a Roma, alla vigilia delle prime elezioni europee, diversi partiti europei di destra stanno organizzando il congresso di fondazione dell'Eurodestra. Vi partecipa Fuerza Nueva, insieme al Movimento Sociale Italiano e al Partito delle Nuove Forze (Francia). L'alleanza vuole essere una risposta all'eurocomunismo da parte dei partiti comunisti degli stessi paesi (Francia, Italia, Spagna). Il 21 aprile, l'Eurodestra ha manifestato in massa a Napoli. Davanti alla folla prendono la parola Giorgio Almirante (MSI), Blas Pinar (Fuerza Nueva) e Jean-Louis Tixier-Vignancour (PFN).[1]

La lista francese ottiene a giugno 1979 solo l'1,33% dei voti. Fuerza Nueva non partecipa alle elezioni, poiché la Spagna non è ancora uno stato membro. L'MSI ha invece ottenuto 4 seggi al Parlamento europeo (Almirante, Pino Romualdi, Francesco Petronio e Antonino Buttafuoco).[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b (FR) Massimo Magliaro, Le Mouvement Social Italien, n. 11, Pari, Synthèse nationale, 2017, p. 149-150, 157, ISSN 2493-6715 (WC · ACNP)..

Partito Nazionale - Greci[modifica | modifica wikitesto]

Partito Nazionale - Greci
(EL) Εθνικό Kόμμα - Έλληνες
(Ethnikó Kómma - Éllines)
PresidenteIlias Kasidiaris
StatoBandiera della Grecia Grecia
SedeKlisthenous 17,
Atene
Fondazione4 giugno 2020
Derivato daAlba Dorata
IdeologiaNazionalismo greco
Anti-immigrazione
Islamofobia
Nativismo
Neofascismo
CollocazioneEstrema destra
Seggi Parlamento
0 / 300
Seggi Europarlamento
0 / 21
Seggi Governo regionale
0 / 13
Seggi Consiglio regionale
17 / 703
Colori     Blu
Sito webellhnes.net/
Il Partito Nazionale - Greci è stato fondato e guidato da Ilias Kasidiaris, come primo presidente

Il Partito Nazionale - Greci (in greco: Εθνικό Kόμμα - Έλληνες, Ethnikó Kómma - Éllines) è un partito politico nazionalista greco, fondato nel 2020 da Ilias Kasidiaris. Il presidente del partito è Dimitris Chatziliadis.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Dopo le elezioni del 7 luglio 2019 e il mancato rientro in parlamento di Alba Dorata,[1] molti membri del partito hanno chiesto cambiamenti nella struttura del partito e un cambio di leadership. Il segretario generale del partito, Nikos Michaloliakos, è stato accusato da molti parlamentari ed ex parlamentari del mancato raggiungimento della soglia del 3%.[2][3] Di conseguenza, molti membri di spicco del partito iniziarono ad abbandonare Alba Dorata, poiché Michaloliakos insisteva per rimanere al timone del partito.

In particolare, Ioannis Lagos (membro del Parlamento europeo per la Grecia alle elezioni europee del 2019), ha annunciato il suo abbandono da Alba Dorata, insieme a Giorgos Germenis, Nikos Kouzilos e Panagiotis Iliopoulos, per fondare un nuovo partito nazionalista chiamato Coscienza Popolare Nazionale.[4][5]

Secondo un documento ottenuto dal quotidiano di sinistra Efimerida ton Syntakton nel maggio 2020, Ilias Kasidiaris ha inviato una lettera a Nikos Michaloliakos chiedendogli di tenere una conferenza, l'elezione di un segretario generale per la base del partito, la ridenominazione del nome ufficiale di esso (da Associazione Popolare - Alba Dorata in Alleanza Greca Alba Dorata), oltre che a nome del partito, di condannare pubblicamente il fascismo, il nazismo e qualsiasi ideologia non greca.[6]

Fondazione[modifica | modifica wikitesto]

Dopo che Michaloliakos ha respinto questa proposta, il 21 maggio 2020, Kasidiaris ha annunciato tramite un video su YouTube il suo ritiro dal partito Alba Dorata[7][8] e la formazione di un nuovo partito, che in seguito ha ribattezzato Greci per la Patria.[9]

Kasidiaris ha spiegato che il nuovo partito era ideologicamente vicino ad altri movimenti nazionalisti europei dominanti, come la Lega Nord in Italia o Fidesz in Ungheria, e ha chiarito che lo statuto del partito rifiuta completamente il nazismo, il fascismo e ogni tipo di ideologia straniera.[10]

Il 21 giugno 2020 ha presentato i funzionari del partito come l'ex deputato Lambros Foudoulis, l'ex deputato dell'Etolia-Acarnania Kostas Barbarousis, l'ex giocatore di basket Steve Giatzoglou e altri.[11]

Presidenti[modifica | modifica wikitesto]

# Presidente Periodo
1 Ilias Kasidiaris 4 giugno 2020 – maggio 2022
2 Comitato direttivo 2022 – 4 aprile 2023
3 Anastasio Kanellopoulos 4 aprile 2023 – 26 aprile 2023
4 Dimitris Chatziliadis 26 aprile 2023 – in carica

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EL) Διαλύεται η Χρυσή Αυγή: Ανεξαρτητοποίηση Λαγού – Τον καλούν να παραδώσει την έδρα, 13 luglio 20019. URL consultato il 25 giugno 2023.
  2. ^ (EL) Χρυσή Αυγή: Βγήκαν τα μαχαίρια ανάμεσα σε Μιχαλολιάκο - Γερμενή (pics), 20 agosto 2019. URL consultato il 25 giugno 2023.
  3. ^ (EL) Δημήτρης Ψαρράς: «Δεν νοείται Χρυσή Αυγή χωρίς τον Αρχηγό της». URL consultato il 25 giugno 2023.
  4. ^ (EL) Ο Λαγός έριξε τη Χρυσή Αυγή στον... Καιάδα, in Efimerida ton Syntakton. URL consultato il 25 giuugno 2023.
  5. ^ (EL) Υπό διάλυση η Χρυσή Αυγή – Ανεξαρτητοποιήθηκε ο Λαγός, su sofokleousin.gr. URL consultato il 25 giugno 2023.
  6. ^ (EL) Γι’ αυτό έφυγε ο Κασιδιάρης, in Efimerida ton Syntakton. URL consultato il 25 giugno 2023.
  7. ^ (EL) Χρυσή Αυγή: Η αποχώρηση Κασιδιάρη είναι το κερασάκι στην «τούρτα» της αποσύνθεσης, in Ethnos, 21 maggio 2020. URL consultato il 26 giugno 2023.
  8. ^ (EL) Ο Κασιδιάρης γυρνά την πλάτη στο Μιχολολιάκο και ιδρύει με βίντεο νέο κόμμα, su skai.gr. URL consultato il 26 giugno 2023.
  9. ^ (EL) Νέο κόμμα ανακοίνωσε ο Ηλίας Κασιδιάρης, in Proto Thema, 21 maggio 2020. URL consultato il 26 giugno 2023.
  10. ^ (EL) Newsroom, Νέο εθνικιστικό κόμμα ιδρύει ο Ηλίας Κασιδιάρης, su cnn.gr, 21 maggio 202. URL consultato il 23 giugno 2023.
  11. ^ (EL) Η.Κασιδιάρης: Πρώτη παρουσίαση των στελεχών του κόμματος ‘ΕΛΛΗΝΕΣ για την Πατρίδα’, su pronews.gr. URL consultato il 25 giugno 2023.

Die Rechte[modifica | modifica wikitesto]

Die Rechte
(DE) La Destra
PresidenteChristian Worch
StatoBandiera della Germania Germania
SedeThusneldastr. 3
44149 Dortmund
Fondazione27 maggio 2012
IdeologiaNeonazismo
Ultranazionalismo
Pangermanismo
Anti-immigrazione
CollocazioneEstrema destra
Seggi Bundestag
0 / 709
Seggi Europarlamento
0 / 96
Sito webdie-rechte.net/
Bandiera del partito
Die Rechte è stata fondata ed è guidata da Christian Worch

Die Rechte (lett. "La Destra"), ufficialmente e tradotto La Destra - Partito per il Referendum, la Sovranità e la Protezione della Patria (in tedesco: Die Rechte - Partei für Volksabstimmung, Souveränität und Heimatschutz) è un partito politico tedesco di estrema destra. È stato fondato da Christian Worch nel 2012 per competere con il Partito Nazionaldemocratico di Germania (NPD), il partito di estrema destra più popolare in Germania. Il partito attira principalmente membri e voti dall'Unione Popolare Tedesca (DVU), che si è fusa nell'NPD nel 2011,[1][2][3] e desidera diventare un'alternativa credibile nel panorama politico tedesco. Alla fine del 2013 contava 494 membri.[4]

Programma e ideologia[modifica | modifica wikitesto]

Christian Worch, suo fondatore e presidente dal 2012 al 2017, proviene da una famiglia nazista. Suo padre era un membro delle Waffen-SS e sua nonna avrebbe aiutato Klaus Barbie a fuggire.

Il programma del partito si basa principalmente sul programma del defunto partito dell'Unione Popolare Tedesca, ma è stato aggiornato e modernizzato. Tra le idee principali ci sono “la conservazione dell'identità tedesca”, "l'abolizione della tolleranza verso gli stranieri" e "la protezione delle persone contro gli attacchi" che mettono in discussione il funzionamento dell'Unione europea.

I suoi funzionari eletti a Dortmund hanno chiesto un elenco di quartieri con una popolazione ebraica e hanno cercato di scoprire il numero di persone sieropositive nella loro città. Alcuni dei suoi membri organizzano le cosiddette pattuglie di “autodifesa” in presunti luoghi di frequentazione di omosessuali, nonché intorno alle abitazioni dei richiedenti o sui mezzi pubblici.

Die Rechte è considerata dai servizi segreti tedeschi un'organizzazione la cui ideologia e attività rientrano nel movimento neonazista.

Ambizioni del partito[modifica | modifica wikitesto]

Il partito cerca di diventare un'alternativa sostenibile al Partito Nazionaldemocratico di Germania. Non ha avuto ambizioni per le elezioni federali del 2013 dove ogni partito ha dovuto ottenere almeno il cinque per cento per entrare al governo, ma piuttosto per le elezioni europee del 2014 durante le quali questo ostacolo era stato recentemente abolito dalla Corte costituzionale federale.

Nome del partito[modifica | modifica wikitesto]

Il nome del partito è fortemente ispirato al partito tedesco Die Linke, letteralmente La Sinistra. Christian Worch sottolinea che ci deve essere un partito di destra con questo nome, se esiste già un partito di sinistra.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (DE) Die Ziele der "Sonstigen", su tagesschau.de.
  2. ^ (DE) Nicht nur Sachsen: Alte und neue Rechtsextreme in Deutschland, su dw.com, 5 settembre 2018.
  3. ^ (DE) DIE RECHTE – Wer sie ist, was sie will, su endstation-rechts.de, 14 giugno 2014.
  4. ^ (DE) Rechtsaußen auf verlorenem Posten, in Die Tageszeitung, 10 febbraio 2014. URL consultato il 28 giugno 2023.

Repubblicanesimo nazionale[modifica | modifica wikitesto]

Il nazional-repubblicanesimo o repubblicanesimo nazionale è una tendenza politica francese, che afferma che lo stato-nazione è il quadro insuperabile della repubblica e della democrazia. Di conseguenza, si oppone alla costruzione europea sovranazionale ea un forte decentramento dello Stato. Questa corrente politica può essere definita repubblicana, giacobina e sovranista.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

In Francia, il nazional-repubblicanesimo è apparso con la caduta dei regimi comunisti in Europa, “che ha portato alla caduta delle logiche binarie di appartenenza politica che hanno strutturato il mondo alla fine del dopoguerra”. Senza fare riferimento alla Repubblica, L'Idiot international partecipa all'emergere dell'ideologia nazional-repubblicana secondo la quale "il confronto, o il compromesso, tra capitalismo e comunismo, è superato in una nuova alleanza che restituisce la sua centralità al quadro nazionale". Un primo confronto con il nazional-repubblicanesimo è rintracciabile in particolare nella personalità di Max Gallo e nella prima vicenda del velo a scuola, a Creil nel 1989.

Nel 2001, Étienne Balibar osservava la progressione e l'“ufficializzazione” del nazional-repubblicanesimo attraverso “la gestione autoritaria del 'problema immigrazione'”, a destra come a sinistra e in particolare sotto il governo di Lionel Jospin.[1]

Nazional-repubblicani francesi[modifica | modifica wikitesto]

I nazional-repubblicani francesi sono rappresentati da Nicolas Dupont-Aignan e dal suo partito gollista Debout la France, il Rassemblement National (ex Front National) presieduto da Marine Le Pen, I Patrioti di Florian Philippot, il Movimento Repubblicano e Cittadino e in misura minore La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (FR) Étienne Balibar, Nous, citoyens d'Europe ?, La Découverte, 2001, p. 324, ISBN 978-2-7071-3460-8.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]


Unitarismo (politica)[modifica | modifica wikitesto]

L'unitarismo designa varie teorie, concetti o politiche che sostengono o impongono un sistema di governo completamente unificato e centralizzato, con l'obiettivo finale di creare uno stato unitario. In pratica, l'unitarismo si manifesta spesso come dottrina o movimento politico all'interno di entità politiche complesse (confederazioni, federazioni e altre unioni politiche), sostenendo il più alto grado di integrazione e unificazione politica, al di là della mera centralizzazione amministrativa.

Uno degli obiettivi principali degli unitaristi politici (fautori dell'unitarismo) è quello di abolire o sopprimere sostanzialmente tutte le forme di autogoverno e autonomia regionale, trasferendo i poteri degli stati confederati, delle unità federali, delle regioni autonome o dei cantoni direttamente al governo centrale . L'unitarismo e la regionalizzazione sono spesso confuse rispettivamente con la centralizzazione e il decentramento.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Storicamente, complessi processi di unità politica sono stati spesso accompagnati da lotte politiche tra i fautori dell'unitarismo e della centralizzazione radicale, ei loro oppositori, che sostenevano il decentramento e il regionalismo. Nella storia politica, questo tipo di lotta politica era molto frequente, fin dai tempi antichi. Uno degli esempi più famosi di resistenza locale all'unitarismo politico in epoca classica fu il conflitto interno tra l'antica Atene e altre città-stato federate all'interno della Lega di Delo.

Nella storia moderna, uno degli esempi più notevoli di unitarismo politico fu la creazione del Regno di Gran Bretagna attraverso gli Atti di Unione nel 1701, e successivamente la creazione del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda con gli Atti di Unione nel 1800.

Uno degli obiettivi pratici dell'unitarismo politico è quello di creare una legislatura unica, con poteri legislativi esclusivi sull'intero territorio di uno stato. Attraverso il processo di unitarismo politico, le regioni locali all'interno di uno stato unitario emergente sono private di qualsiasi forma di contratto con il governo centralizzato. Pertanto, i restanti poteri regionali, se ce ne sono vengono messi da parte, non sono protetti essendo radicati nella costituzione dello stato unitario; possono essere ulteriormente ridotti, o completamente aboliti, dagli atti del governo.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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Nazionalismo belga[modifica | modifica wikitesto]

Simbolo nazionalista belga

Il nazionalismo belga, chiamato anche belgicanesimo, è un'ideologia nazionalista. Nella sua forma moderna favorisce il rovesciamento del federalismo e la creazione di uno Stato unitario in Belgio. Lo storico Henri Pirenne è noto per aver abbondantemente alimentato questa corrente ideologica attraverso le sue opere.

Le persone che vi aderiscono sono spesso chiamate belgicani.

Correnti[modifica | modifica wikitesto]

Grande Belgio[modifica | modifica wikitesto]

Questa corrente molto influente alla fine della prima guerra mondiale, difendeva il ritorno ai confini precedenti al trattato dei XXIV articoli del 1839, o addirittura l'annessione delle regioni confinanti francesi e tedesche.[1]

Pierre Nothomb, la figura principale del Comité de politique nationale, è il principale animatore del movimento nazionalista.[2]

Unitarismo[modifica | modifica wikitesto]

Il movimento unitarista sostiene l'abolizione delle regioni e delle comunità create durante le successive riforme dello Stato. Gli unitaristi vogliono tornare allo Stato unitario che è progressivamente scomparso a partire dal 1970.[3]

Il principale partito politico unitario belga è la Belgische Unie - Union Belge.

Federalismo unitario[modifica | modifica wikitesto]

Questa corrente legata all'unità del paese sostiene lo status quo istituzionale. Rifiuta qualsiasi cambiamento istituzionale che possa portare al confederalismo o alla separazione del Belgio e si impegna anche a mantenere la monarchia.

Organizzazioni nazionaliste[modifica | modifica wikitesto]

Partiti politici[modifica | modifica wikitesto]

Associazioni[modifica | modifica wikitesto]

  • Comité de politique nationale
  • Pro Belgica
  • B Plus

Giornali[modifica | modifica wikitesto]

Critiche[modifica | modifica wikitesto]

I critici accusano queste correnti di negare le identità regionali e le specificità delle comunità che compongono il paese, riconoscendo solo un'identità belga agli abitanti del Belgio.

I partiti politici apertamente belgi non hanno vinto nessuna elezione; Il nazionalismo belga rimane molto più debole del nazionalismo fiammingo.[4]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (FR) Les rêves d’une Grande Belgique (1916-1921) | Connaître la Wallonie, su connaitrelawallonie.wallonie.be. URL consultato il 21 luglio 2023.
  2. ^ (FR) Comité de Politique nationale (CPN) - NEVB Online, su nevb.be. URL consultato il 21 luglio 2023.
  3. ^ (FR) Fin de la Belgique unitaire | Connaître la Wallonie, su connaitrelawallonie.wallonie.be. URL consultato il 21 luglio 2023.
  4. ^ (FR) LES PARTIS PRO-BELGES ATTEIGNENT UN SCORE HISTORIQUEMENT ELEVE – BELGISCHGEZINDE PARTIJEN BEHALEN HISTORISCH HOGE SCORE, su unionbelge.be.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

  • Nazionalismo fiammingo - ideologia che chiede una maggiore autonomia o indipendenza per le Fiandre
  • Nazionalismo vallone - ideologia che chiede una maggiore autonomia o indipendenza per la Vallonia
  • Rattachismo - ideologia che chiede la separazione della Vallonia e la sua incorporazione nella Francia
  • Grandi Paesi Bassi - ipotetico sistema politico che incorpora Fiandre e Paesi Bassi.
  • Flamingante - termine originariamente peggiorativo per gli aderenti al movimento fiammingo

Willy-Brandt-Haus[modifica | modifica wikitesto]

Willy-Brandt-Haus
Willy-Brandt-Haus, sede della SPD
Localizzazione
StatoBandiera della Germania Germania
LocalitàBerlino
Informazioni generali
CondizioniIn uso
Costruzione1993-1995
Inaugurazione1996
Realizzazione
ArchitettoHelge Bofinger
ProprietarioPartito Socialdemocratico di Germania

Willy-Brandt-Haus è la sede del Partito Socialdemocratico di Germania situata nel quartiere berlinese di Kreuzberg all'incrocio tra Wilhelmstraße 140 e Stresemannstraße 28.

L'edificio prende il nome da Willy Brandt, presidente della SPD dal 1964 al 1987 e cancelliere della Germania dal 1969 al 1974.

Dopo la riunificazione tedesca, il Bundestag e il governo federale trasferirono la loro sede a Berlino. Di conseguenza, l'SPD decise di trasferire il prima possibile la propria sede dall'Erich-Ollenhauer-Haus di Bonn a una nuova sede nella capitale della Germania unita.[1]

Nel 1992 la direzione del partito acquistò un terreno di 3.225 m² in Wilhelmstraße, vicino alla sua sede berlinese prebellica in Lindenstraße 3, che perse nel 1933 dopo la presa del potere da parte dei nazisti. Nel 1993 è stata posta la prima pietra per la costruzione della sede progettata da Helge Bofinger, diventata attiva tre anni dopo. Infine, nel 1999, l'SPD trasferì la sua sede a Berlino.[1]

Nel cortile del palazzo si trova una scultura in bronzo di Rainer Fetting raffigurante Brandt. Una copia più piccola della stessa scultura fu collocata nel parco a lui intitolato a Stoccolma.[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b (DE) Parteizentrale im Spiegel der Geschichte, su willy-brandt-haus.de (archiviato dall'url originale il 16 aprile 2013).
  2. ^ (DE) Organisation, su spd.de (archiviato dall'url originale il 13 maggio 2013).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]


Nazionalismo britannico[modifica | modifica wikitesto]

La Union Jack, oltre ad essere la bandiera del Regno Unito, funge anche da simbolo comune utilizzato dai nazionalisti britannici

Il nazionalismo britannico è un'ideologia nazionalista che afferma che i britannici costituiscono una nazione e promuove l'unità culturale di essi, in una definizione di britannicità che può includere persone di origine inglese, scozzese, gallese e nordirlandese. Il nazionalismo britannico è strettamente associato all'unionismo britannico, il quale sostiene l'unione politica del Regno Unito o il rafforzamento dei legami tra le sue nazioni.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'identità unificante del nazionalismo britannico deriva dagli antichi britannici che vivevano sull'isola di Gran Bretagna. Il nazionalismo britannico crebbe fino a includere persone al di fuori della Gran Bretagna come in Irlanda, a causa del Crown of Ireland Act 1542, che affermava che la corona d'Irlanda doveva essere detenuta dal monarca regnante inglese, così come gli appelli anglo-irlandesi per l'unità con la vicina isola.

Modernità[modifica | modifica wikitesto]

Il nazionalismo britannico si caratterizza come una "forza potente ma ambivalente nella politica britannica". Nella sua forma moderata, il nazionalismo britannico è stato caratterizzato dal nazionalismo liberale, il quale sottolineava sia la coesione che la diversità del popolo del Regno Unito, delle sue dipendenze e delle sue ex colonie. Tuttavia, in seguito si è affermato un nazionalismo nativista come risposta alla paura che la Gran Bretagna sarebbe stata sopraffatta dagli immigrati; questo nazionalismo nativista anti-immigrati si è manifestato politicamente nel Partito Nazionale Britannico (BNP) e in altri movimenti nazionalisti nativisti. Politici, come l'ex primo ministro britannico David Cameron, hanno cercato di promuovere il nazionalismo britannico come causa progressista.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Anglo-Scottish Relations from 1900 to Devolution and Beyond, in Proceedings of the British Academy, vol. 128, Oxford University Press, 2005, ISBN 978-0-19-726331-0.
  • Alexander J. Motyl, Encyclopedia of Nationalism, Volume II, Academic Press, 2001, ISBN 0-12-227230-7.
  • Michael Smith, Steve Smith e Brian White, British foreign policy: tradition, change, and transformation, Routledge, 1988, ISBN 978-0-04-327081-3.

Voci collegate[modifica | modifica wikitesto]

Unionismo nel Regno Unito[modifica | modifica wikitesto]

Il Regno Unito è composto da quattro nazioni costitutive: Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord
La Union Jack, oltre ad essere la bandiera del Regno Unito, funge anche da simbolo dell'unionismo britannico

L'unionismo nel Regno Unito, noto anche come unionismo britannico, è una posizione politica volta a promuovere l'unione delle varie nazioni costitutive (Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del Nord) di questo regno in un unico stato.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Nascita del Regno Unito[modifica | modifica wikitesto]

Il Regno Unito come lo si conosce oggi è stato creato dalla fusione dei tre ex regni storici delle isole britanniche: il Regno d'Inghilterra, il Regno di Scozia e il Regno d'Irlanda.

In primo luogo, la fusione tra il Regno di Scozia e il Regno d'Inghilterra nel 1707 creò il Regno di Gran Bretagna. Poi, nel 1801, il Regno d'Irlanda si unì al Regno di Gran Bretagna per formare il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda.

Nel 1922 l'Irlanda si separò dal Regno Unito, il sud dell'isola divenne indipendente, il nord rimase sotto la sovranità britannica.

Unità del Regno Unito nel XXI secolo[modifica | modifica wikitesto]

All'inizio del XXI secolo, il Regno Unito è ancora composto dalle sue quattro nazioni costituenti: Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord.

Nel 2007 il Partito Nazionale Scozzese è salito al potere in Scozia. Questo partito è apertamente indipendentista e vuole la divisione della Scozia dal Regno Unito. Lo status della Scozia e molti altri argomenti sono fonti di tensione tra lo Partito Nazionale Scozzese e il governo britannico.

Pochi anni dopo, nel 2014, il Partito Nazionale Scozzese ha ottenuto la consultazione di un referendum sull'indipendenza della Scozia da Londra. Il referendum sull'indipendenza viene votato sfavorevolmente dal 55% della popolazione scozzese e la Scozia rimane, a questa data, parte integrante del Regno Unito.

Nel 2016, a due anni dal referendum scozzese, arriva la Brexit. La Brexit viene respinta dalla maggioranza di scozzesi e nordirlandesi, ma approvata dalla maggioranza di inglesi e gallesi. Un totale del 51,9% dei britannici ha votato per lasciare l'Unione europea.

Di conseguenza, il popolo del Regno Unito non è mai stato così combattuto su questioni così importanti. Inoltre, la metà dei cittadini britannici oggi crede che il Regno Unito potrebbe scomparire entro 4 anni con l'eventuale indipendenza della Scozia e l'Irlanda del Nord che si unirà all'Irlanda del Sud, per formare un unico paese all'interno di quest'isola, anche se la maggioranza dei nordirandesi desidera effettivamente rimanere nel Regno Unito.

Dopo la Brexit, lo spettro dell'indipendenza scozzese è riemerso. Il Partito Nazionale Scozzese vuole una Scozia indipendente nell'Unione europea.

Durante la crisi del COVID, il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ha continuato a chiedere un nuovo referendum a Londra. Il governo britannico ha rifiutato categoricamente, assicurando che il Regno Unito deve concentrarsi sul rilancio della sua economia dopo due anni di crisi sanitaria e che un tale voto può essere fatto solo "una volta ogni generazione".

Nel maggio 2022, il partito Sinn Féin ha vinto in Irlanda del Nord, questo partito sostiene in particolare la riunificazione con l'Irlanda del Sud. Ciò metterebbe ulteriormente a rischio l'unionismo e l'unità del Regno Unito.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Realista[modifica | modifica wikitesto]

Un realista è colui che sostiene un particolare monarca come capo di stato, un particolare regno o un particolare pretendente dinastico. In astratto, questa posizione è propriamente detta realismo. È distinto dal monarchismo, il quale sostiene un sistema di governo monarchico, ma non necessariamente un particolare monarca. Molto spesso, il termine monarchico viene associato a un sostenitore di un regime al governo o di uno che è stato recentemente rovesciato per formare una repubblica.

Nel Regno Unito, il termine è oggi quasi indistinguibile da "monarchico" poichè non ci sono significativi pretendenti al trono rivali. Al contrario, nella Francia del XIX secolo, un monarchico poteva essere un legittimista, un bonapartista o un orléanista, essendo tutti monarchici.

Regno Unito[modifica | modifica wikitesto]

Russia[modifica | modifica wikitesto]

Durante la guerra civile russa , i realisti costituivano una parte dell'Armata Bianca. Jugoslavia Durante e soprattutto verso la fine della seconda guerra mondiale in Jugoslavia , i realisti cetnici sostenevano il re esiliato di Jugoslavia.

Jugoslavia[modifica | modifica wikitesto]

Durante e soprattutto verso la fine della seconda guerra mondiale in Jugoslavia, i realisti cetnici sostenevano l'esiliato re di Jugoslavia.

Francia[modifica | modifica wikitesto]

Giappone[modifica | modifica wikitesto]

  • Nanboku-cho Seijunron (南北朝正閏論) – Il dibattito sulla legittimità nel periodo Nanboku-cho. Le dinastie del sud e del nord sono in conflitto; l'attuale imperatore fa parte della dinastia del nord.
  • Tenno Kikan Setsu (天皇機関説) – Basato sulla teoria della personalità giuridica dello Stato rappresentata dallo studioso tedesco di diritto pubblico Georg Jelinek, lo studioso costituzionale Minobe Tatsukichi e altri hanno sostenuto questa teoria.
  • Tenno Shuken Setsu (天皇主権説, Teoria della sovranità imperiale) – Hozumi Yatsuka, Uesugi Shinkichi e altri si opposero al Tenno Kikan Setsu e sostennero che la sovranità era dell'imperatore.
  • Tennosei (天皇制) o kokutai (国体) – Nel Giappone moderno, tutti i partiti politici, ad eccezione del Partito Comunista Giapponese (JCP), riconoscono il Sistema imperiale. Negli ultimi anni, anche il JCP ha lasciato da parte la sua opposizione al sistema imperiale, allineandosi alle idee della maggioranza della popolazione che lo riconosce.
  • Antimonarchismo (Tennōsei haishiron (天皇制廃止論) ) - Alcuni estremisti di sinistra chiedono l'abolizione del sistema imperiale, ma la maggior parte del popolo giapponese riconosce l'imperatore e il sostegno a questo è infinitesimale.

Paesi Bassi[modifica | modifica wikitesto]

Portogallo[modifica | modifica wikitesto]

Miguelista, un sostenitore del re Michele

Amicizia franco-tedesca[modifica | modifica wikitesto]

L'amicizia franco-tedesca si riferisce alle relazioni diplomatiche tra Francia e Germania sorte dopo la seconda guerra mondiale. La seconda guerra mondiale è stata il terzo conflitto tra i paesi in meno di 100 anni, e per evitare un'altra guerra e porre fine al revanscismo, entrambi i paesi hanno compiuto grandi passi per riconciliarsi.

L'amicizia si è sviluppata in parallelo con l'Unione europea, e Francia e Germania sono sempre state un motore nella costruzione dell'Unione europea (quello che a volte viene chiamato l'asse franco-tedesco). Il Trattato dell'Eliseo ha formalizzato il processo di riconciliazione.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Monumento commemorativo di Charles de Gaulle e Konrad Adenauer

Nel 1963, il presidente francese Charles de Gaulle e il cancelliere della Germania Ovest Konrad Adenauer firmarono il trattato dell'Eliseo, trasformando in realtà la cooperazione franco-tedesca. Di conseguenza, diverse città, scuole, regioni e università hanno stabilito amicizie tra loro e l'Office franco-allemand pour la jeunesse (OFAJ; "Ufficio franco-tedesco per la gioventù") ha consentito a milioni di giovani di partecipare agli scambi.[1] Dal 1999, e secondo il Trattato di Weimar firmato nel 1997, l'Université franco-allemande (UFA; Università franco-tedesca) sostiene l'educazione tra istituti di istruzione superiore tedeschi e francesi. Il trattato consente inoltre agli studenti francesi e tedeschi di svolgere parte dei loro studi in entrambi i paesi, nonché ai ricercatori di condividere le proprie conoscenze.[2]

L'amicizia franco-tedesca è sempre stata un motore nella costruzione della cooperazione europea dopo la seconda guerra mondiale.

Le “coppie” franco-tedesche[modifica | modifica wikitesto]

L'esistenza di un "motore franco-tedesco" o di una "coppia franco-tedesca" è stata spesso rafforzata dalle buone relazioni mantenute dal cancelliere federale tedesco e dal presidente della Repubblica francese:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (FR) Qu’est-ce que l’OFAJ ?, su ofaj.org. URL consultato il 26 maggio 2023.
  2. ^ (DE) Gemeinsame Erklärung der Staats- und Regierungschefs, su dff-ffa.org, 18-19 settembre 1997. URL consultato il 26 maggio 2023 (archiviato dall'url originale il 21 marzo 2017).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Lucien Calvié,
    • Aux origines du couple franco-allemand. Critique du nationalisme et révolution démocratique avant 1848. Arnold Ruge, Toulouse, Presses Universitaires du Mirail (PUM), 2004.
    • La question allemande. Histoire et actualité, Paris, Éditions du Cygne, coll. « Frontières », 2016, ISBN 9782849244432.
  • Philippe Bedouret, L'influence du monde germanique sur Charles de Gaulle, Sarrebruck, Editions Universitaires Européennes, 2011 ISBN 978-613-1-59983-5
  • Hans Manfred Bock, Corine Defrance, Gilbert Krebs et Ulrich Pfeil (éd.), Les jeunes dans les relations transnationales. L’Office franco-allemand pour la jeunesse 1963–2008, Paris, PSN, 2008.
  • Corine Defrance, Ulrich Pfeil, Histoire franco-allemande, vol. 10: Entre guerre froide et intégration européenne. Reconstruction et rapprochement 1945–1963, Villeneuve d’Ascq, Septentrion, 2012.
  • Corine Defrance, Ulrich Pfeil (éd.),
    • Le Traité de l’Élysée et les relations franco-allemandes 1945 – 1963 – 2003, Paris, CNRS Éditions, 2005.
    • La construction d'un espace scientifique commun ? La France, la RFA et l'Europe après le « choc du Spoutnik », Brüssel, Peter Lang, 2012.
    • La France, l’Allemagne et le traité de l’Élysée, 1963–2013, Paris, CNRS Éditions, 2012.
  • Jacques Demorgon,
    • L'histoire interculturelle des sociétés. L'horizon de la sociologie, Economica, 2005
    • Complexité des cultures et de l'interculturel. Contre les pensées uniques, Economica.
  • Hélène Miard-Delacroix, Histoire franco-allemande, vol. 11: Le défi européen. De 1963 à nos jours, Villeneuve d’Ascq, Septentrion, 2011.
  • Ulrich Pfeil, Die »anderen« deutsch-französischen Beziehungen. Die DDR und Frankreich 1949–1990 (Zeithistorische Studien des Zentrums für Zeithistorische Forschung Potsdam, Bd. 26), Cologne, Böhlau, 2004.
  • Michel Vidal, L'avion perdu de Brunan, Editions Guilhem, 2014 ISBN 979-109-3-81702-6
  • Nicolas Barotte, François et Angela, Grasset, 2015, 272 pages.
  • Marion van Renterghem, Elle et nous. Merkel : un ovni politique, Les Arènes, 2017.
  • Édouard Husson, Paris-Berlin. La survie de l'Europe, Gallimard, 2019.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]


Vertice franco-tedesco[modifica | modifica wikitesto]

Helmut Schmidt, cancelliere tedesco (a sinistra) e Valéry Giscard d'Estaing, presidente francese (a destra), attraversano la guardia d'onore per arrivare alla Cancelleria federale a Bonn, durante il 30° vertice franco-tedesco, il 16 giugno 1977.
Valéry Giscard d'Estaing, presidente francese (a sinistra) discute con Karl Carstens, presidente federale tedesco (a destra) a villa Hammerschmidt durante il 34° vertice, il 1° ottobre 1979.

I vertici franco-tedeschi (in francese sommets franco-allemands, in tedesco Deutsch-französischen Gipfeltreffen o consultazioni franco-tedesche (in francese consultations franco-allemandes, in tedesco Deutsch-französische Konsultationen) sono stati vertici che hanno riunito due volte l'anno il presidente francese e il cancelliere tedesco dal 1963 al 2003.

Sono stati creati nel 1963 attraverso il Trattato dell'Eliseo e sono stati sostituiti nel 2003, in occasione del 40° anniversario di questo trattato, dal Consiglio dei ministri franco-tedesco.

Gli 80 vertici che si sono svolti in 40 anni sono un elemento importante delle relazioni franco-tedesche.

Quadro[modifica | modifica wikitesto]

Il quadro istituzionale dei vertici franco-tedeschi, stabilito dall'articolo 1 del Trattato dell'Eliseo, è abbastanza flessibile:

«I Capi di Stato e di Governo daranno le necessarie direttive ove necessario e monitoreranno regolarmente l’attuazione del programma di seguito riportato. A tal fine si riuniranno ogniqualvolta necessario e, in linea di principio, almeno due volte l'anno.»

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Il Presidente della Repubblica francese e il Cancelliere federale tedesco si incontrano faccia a faccia, accompagnati solo dai loro interpreti, che sono poi responsabili della stesura del rapporto degli scambi.

Elenco[modifica | modifica wikitesto]

Luogo Paese Data Presidente
francese
Cancelliere
tedesco
Note
1 Bonn Bandiera della Germania Germania 4 – 5 luglio 1963 Charles de Gaulle Konrad Adenauer
2 Parigi Bandiera della Francia Francia 21 – 22 novembre 1963 Ludwig Erhard
3 Parigi Bandiera della Francia Francia 14 – 15 febbraio 1964
4 Bonn Bandiera della Germania Germania 3 – 4 luglio 1964
5 Rambouillet Bandiera della Francia Francia 19 – 20 gennaio 1965
6 Bonn Bandiera della Germania Germania 11 – 12 giugno 1965
7 Parigi Bandiera della Francia Francia 7 – 8 febbraio 1966
8 Bonn Bandiera della Germania Germania 21 luglio 1966
9 Parigi Bandiera della Francia Francia 13 – 14 gennaio 1967 Kurt Georg Kiesinger
10 Bonn Bandiera della Germania Germania 12 – 13 luglio 1967
11 Parigi Bandiera della Francia Francia 15 – 16 febbraio 1968
12 Bonn Bandiera della Germania Germania 27 – 28 settembre 1968
13 Parigi Bandiera della Francia Francia 13 – 14 marzo 1969
14 Bonn Bandiera della Germania Germania 8 – 9 settembre 1969 Georges Pompidou
15 Parigi Bandiera della Francia Francia 30 – 31 gennaio 1970 Willy Brandt
16 Bonn Bandiera della Germania Germania 3 – 4 luglio 1970
17 Parigi Bandiera della Francia Francia 25 – 26 gennaio 1971
18 Bonn Bandiera della Germania Germania 5 – 6 luglio 1971
19 Parigi Bandiera della Francia Francia 10 – 11 febbraio 1972
20 Bonn Bandiera della Germania Germania 3 – 4 luglio 1972
21 Parigi Bandiera della Francia Francia 21 – 22 gennaio 1973 10° anniversario del Trattato dell'Eliseo.
22 Bonn Bandiera della Germania Germania 21 – 22 giugno 1973
23 Parigi Bandiera della Francia Francia 26 – 27 novembre 1973
24 Bonn Bandiera della Germania Germania 8 – 9 luglio 1974 Valéry Giscard d'Estaing Helmut Schmidt
25 Parigi Bandiera della Francia Francia 3 – 4 febbraio 1975
26 Bonn Bandiera della Germania Germania 25 – 26 luglio 1975
27 Nizza Bandiera della Francia Francia 12 – 13 febbraio 1976
28 Amburgo Bandiera della Germania Germania 5 – 6 luglio 1976
29 Parigi Bandiera della Francia Francia 3 – 4 febbraio 1977
30 Bonn Bandiera della Germania Germania 16 – 17 giugno 1977
31 Parigi Bandiera della Francia Francia 6 – 7 febbraio 1978
32 Aix-la-Chapelle Bandiera della Francia Francia 14 – 15 settembre 1978
33 Parigi Bandiera della Francia Francia 22 – 23 febbraio 1979
34 Bonn Bandiera della Germania Germania 1° – 2 ottobre 1979
35 Parigi Bandiera della Francia Francia 3 – 5 febbraio 1980
36 Bonn Bandiera della Germania Germania 10 – 11 luglio 1980
37 Parigi Bandiera della Francia Francia 5 – 6 febbraio 1981
38 Bonn Bandiera della Germania Germania 12 – 13 luglio 1981 François Mitterrand
39 Parigi Bandiera della Francia Francia 24 – 25 febbraio 1982
40 Bonn Bandiera della Germania Germania 21 – 22 ottobre 1982 Helmut Kohl
41 Parigi Bandiera della Francia Francia 16 – 17 maggio 1983
42 Bonn Bandiera della Germania Germania 24 – 25 novembre 1983
43 Rambouillet Bandiera della Francia Francia 28 – 29 maggio 1984
44 Bad Kreuznach Bandiera della Germania Germania 29 – 30 ottobre 1984
45 Parigi Bandiera della Francia Francia 28 febbraio 1985
46 Bonn Bandiera della Germania Germania 7 – 8 novembre 1985
47 Parigi Bandiera della Francia Francia 27 – 28 febbraio 1986
48 Francoforte sul Meno Bandiera della Germania Germania 27 – 28 ottobre 1986
49 Parigi Bandiera della Francia Francia 21 – 22 maggio 1987
50 Karlsruhe Bandiera della Germania Germania 12 – 13 novembre 1987
51 Parigi Bandiera della Francia Francia 22 gennaio 1988 25° anniversario del Trattato dell'Eliseo.
52 Bonn Bandiera della Germania Germania 3 – 4 novembre 1988
53 Parigi Bandiera della Francia Francia 19 – 20 aprile 1989
54 Bonn Bandiera della Germania Germania 2 – 3 novembre 1989
55 Parigi Bandiera della Francia Francia 25 – 26 aprile 1990
56 Monaco Bandiera della Germania Germania 17 – 18 settembre 1990
57 Lilla Bandiera della Francia Francia 29 – 30 maggio 1991
58 Bonn Bandiera della Germania Germania 14 – 15 novembre 1991
59 La Rochelle Bandiera della Francia Francia 21 – 22 maggio 1992 Vertice di La Rochelle.
60 Bonn Bandiera della Germania Germania 3 – 4 dicembre 1992
61 Beaune Bandiera della Francia Francia 1° – 2 giugno 1993
62 Bonn Bandiera della Germania Germania 30 – 1° dicembre 1993
63 Mulhouse Bandiera della Francia Francia 30 – 31 maggio 1994
64 Bonn Bandiera della Germania Germania 29 – 30 novembre 1994
65 Strasburgo Bandiera della Francia Francia 11 luglio 1995 Jacques Chirac
66 Baden-Baden Bandiera della Germania Germania 7 dicembre 1995
67 Digione-Parigi Bandiera della Francia Francia 5 – 6 giugno 1996
68 Norimberga Bandiera della Germania Germania 9 dicembre 1996
69 Poitiers Bandiera della Francia Francia 13 giugno 1997
70 Weimar Bandiera della Germania Germania 18 – 19 settembre 1997
71 Avignon Bandiera della Francia Francia 6 – 7 maggio 1998
72 Potsdam Bandiera della Germania Germania 30 novembre – 1° dicembre 1998 Gerhard Schröder
73 Tolosa Bandiera della Francia Francia 28 – 29 maggio 1999
74 Parigi Bandiera della Francia Francia 30 novembre 1999
75 Mayence Bandiera della Germania Germania 9 giugno 2000
76 Vittel Bandiera della Francia Francia 10 novembre 2000
77 Friburgo in Brisgovia Bandiera della Germania Germania 12 giugno 2001
78 Nantes Bandiera della Francia Francia 22 – 23 novembre 2001
79 Schwerin Bandiera della Germania Germania 30 luglio 2002
80 Parigi
Berlino
Bandiera della Francia Francia
Bandiera della Germania Germania
22 – 23 gennaio 2003 40° anniversario del Trattato dell'Eliseo.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]


Vertice franco-italiano[modifica | modifica wikitesto]

I vertici franco-italiani (in francese sommets franco-italiens) o consultazioni franco-italiane (in francese consultations franco-italiennes) sono vertici regolari che riuniscono il presidente francese e il presidente del Consiglio italiano dal 1982.

Elenco[modifica | modifica wikitesto]

Città Paese Data Presidente
francese
Presidente del
Consiglio
italiano
1 Roma Bandiera dell'Italia Italia 26 – 27 febbraio 1982 François Mitterrand Giovanni Spadolini
2 Parigi Bandiera della Francia Francia 14 – 15 febbraio 1983 Amintore Fanfani
Venezia Bandiera dell'Italia Italia 17 – 18 novembre 1983 Bettino Craxi
Parigi Bandiera della Francia Francia 9 novembre 1984
6 Firenze Bandiera dell'Italia Italia 13 – 14 giugno 1985
7 Parigi Bandiera della Francia Francia 28 novembre 1986
8 Napoli Bandiera dell'Italia Italia 26 novembre 1987 Giovanni Goria
9 Arles Bandiera della Francia Francia 27 ottobre 1988 Ciriaco De Mita
10 Venezia Bandiera dell'Italia Italia 5 ottobre 1989 Giulio Andreotti
11 Parigi Bandiera della Francia Francia 8 ottobre 1990
12 Viterbo Bandiera dell'Italia Italia 17 – 18 ottobre 1991
13 Parigi Bandiera della Francia Francia 10 novembre 1992 Giuliano Amato
14 Roma Bandiera dell'Italia Italia 26 novembre 1993 Carlo Azeglio Ciampi
15 Aix-en-Provence Bandiera della Francia Francia 16 dicembre 1994 Silvio Berlusconi
16 Napoli Bandiera dell'Italia Italia 3 – 4 ottobre 1996 Jacques Chirac Oscar Luigi Scalfaro
17 Chambéry Bandiera della Francia Francia 2 – 3 ottobre 1997 Romano Prodi
18 Firenze Bandiera dell'Italia Italia 5 – 6 ottobre 1998
19 Nimes Bandiera della Francia Francia 23 – 24 settembre 1999 Massimo D'Alema
20 Torino Bandiera dell'Italia Italia 29 gennaio 2001 Giuliano Amato
21 Périgueux Bandiera della Francia Francia 27 novembre 2001 Silvio Berlusconi
22 Roma Bandiera dell'Italia Italia 7 novembre 2002 Carlo Azeglio Ciampi
23 Parigi Bandiera della Francia Francia 2 luglio 2004 Silvio Berlusconi
24 Parigi Bandiera della Francia Francia 4 ottobre 2005
25 Lucca Bandiera dell'Italia Italia 24 novembre 2006 Romano Prodi
26 Nizza Bandiera della Francia Francia 30 novembre 2007 Nicolas Sarkozy
27 Roma Bandiera dell'Italia Italia 24 febbraio 2009 Silvio Berlusconi
28 Parigi Bandiera della Francia Francia 9 aprile 2010
29 Roma Bandiera dell'Italia Italia 26 aprile 2011
30 Lione Bandiera della Francia Francia 3 dicembre 2012 François Hollande Mario Monti
31 Roma Bandiera dell'Italia Italia 20 novembre 2013 Enrico Letta
32 Parigi Bandiera della Francia Francia 24 febbraio 2015 Matteo Renzi
33 Venezia Bandiera dell'Italia Italia 8 marzo 2016
34 Lione Bandiera della Francia Francia 27 settembre 2017 Emmanuel Macron Paolo Gentiloni
35 Napoli Bandiera dell'Italia Italia 27 febbraio 2020 Giuseppe Conte

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Ufficio franco-tedesco per la gioventù[modifica | modifica wikitesto]

Ufficio franco-tedesco per la gioventù
(FR) Office franco-allemand pour la Jeunesse
(DE) Deutsch-Französisches Jugendwerk
Ufficio OFAJ a Berlino in occasione dell'annuale Festa della musica a Berlino
AbbreviazioneOFAJ / DFJW
TipoOrganizzazione internazionale autonoma
Fondazione1963
Sede centraleBandiera della Francia Parigi
Altre sediBandiera della Germania Berlino, Saarbrücken
DirettoreSegretari generali
- Anne Tallineau
- Tobias Butow

L'Ufficio franco-tedesco per la gioventù (in francese: Office franco-allemand pour la JeunesseOFAJ, in tedesco: Deutsch-Französisches JugendwerkDFJW) è un'organizzazione che sovvenziona programmi per bambini, adolescenti e giovani adulti. Il suo obiettivo principale è intensificare le relazioni franco-tedesche attraverso lo scambio culturale di studenti.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'Ufficio per la gioventù è stato una delle prime istituzioni create sulla base del Trattato dell'Eliseo firmato nel 1963 a Parigi.

L'ufficio aveva originariamente sede a Rhöndorf vicino a Bonn, allora capitale della Germania Ovest. Nel dicembre 2000 gli ultimi dipendenti si sono trasferiti da lì.[1] Oggi ha sede a Parigi, ha una sede principale in Germania a Berlino e una filiale, aperta nel 2014, a Saarbrücken.[2]

Dal 1963 l'organizzazione ha finanziato progetti per 9,5 milioni di giovani tedeschi e francesi attraverso la partecipazione a 382.000 programmi di scambio. Nel 2021 ha organizzato 3310 eventi con circa 68.000 partecipanti.

Il finanziamento è stato aumentato insieme alle decisioni prese sull'annuale Consiglio ministeriale franco-tedesco. È considerato una pietra angolare per porre fine ai secoli di ostilità franco-tedesca.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (DE) Heike Hamann, "Der Blick auf den Drachenfels wird uns fehlen", in General-Anzeiger, 17 dicembre 2000. URL consultato l'8 agosto 2023.
  2. ^ (DE) Gerd Heger, Deutsch-französisches Jugendwerk öffnet Saarbrücker Büro, in Saarländischer Rundfunk, 14 gennaio 2014. URL consultato l'8 agosto 2023 (archiviato dall'url originale l'8 aprile 2014).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Donal J. Trump Presidential Library[modifica | modifica wikitesto]

Donald J. Trump Presidential Library
Ubicazione
StatoBandiera degli Stati Uniti Stati Uniti
Caratteristiche
TipoBiblioteca presidenziale

La Donald J. Trump Presidential Library è la biblioteca presidenziale statunitense che sarà dedicata al 45° presidente Donald Trump.

Il 20 gennaio 2021, l'ultimo giorno di Trump come Presidente degli Stati Uniti, è stato annunciato che sarebbe stata costruita una biblioteca presidenziale a suo nome, simile ai suoi predecessori in carica.[1] A partire da settembre 2021, i piani ufficiali per l'istituzione della biblioteca non sono ancora stati annunciati.

I piani di costruzione[modifica | modifica wikitesto]

Come per altre biblioteche presidenziali, è necessario finanziare e trovare una struttura per la biblioteca ancor prima che gli archivi nazionali degli Stati Uniti prendano la biblioteca sotto i propri auspici.[2]

Secondo il Washington Post, nell'ultima settimana del suo mandato, Trump i suoi sostenitori hanno pianificato di istituire una biblioteca e un museo in Florida che saranno gestiti dall'ex vice capo di gabinetto della Casa Bianca, Dan Scavino.[3]

Secondo il piano, la biblioteca sarà costruita con l'aiuto di un finanziamento di circa 2 miliardi di dollari da parte dei sostenitori dell'ex presidente.

Recensione[modifica | modifica wikitesto]

Un altro riferimento del giornale alla biblioteca intitolata a Trump riguarda il critico di architettura e arte dello stesso giornale, Philip Kennicott,il quale ha affermato che non è consigliabile costruire la biblioteca poichè si teme che Trump la utilizzi per sbiancare e glorificare la sua immagine.[4]. L'affermazione di Kennicott è stata criticata e respinta da uno dei più importanti sostenitori di Trump, Rosh Limbaugh.[5]

Alla biblioteca è legata un sito parodia. Sul sito parodia ancor prima di quello ufficiale della biblioteca, viene descritto che la biblioteca sarà inaugurata insieme a una mostra in memoria degli americani morti nell'epidemia di Coronavirus e includerà una mostra permanente di armi, oltre alla quale sarà allestita una galleria nel luogo in cui i tweet dall'account Twitter dell'ex presidente sono stati visualizzati.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Home | Donald J. Trump Presidential Library, su www.trumplibrary.gov. URL consultato il 27 giugno 2023.
  2. ^ (EN) Zachary B. Wolf, The President might want Trump World, but he needs a real library, su cnn.com, 19 gennaio 2021. URL consultato il 27 giugno 2023.
  3. ^ (EN) Philip Rucker, Trump to flee Washington and seek rehabilitation in a MAGA oasis: Florida, in The Washington Post, 16 gennaio 2021. URL consultato il 27 giugno 2023.
  4. ^ (EN) Philip Kennicott, Trump wants a library. He must never have one, in The Washington Post, 28 gennaio 2021. URL consultato il 27 giugno 2023.
  5. ^ (EN) Mayank Aggarwal, Trump supporters furious over column saying ex-president shouldn't have presidential library, in The Independent, 5 febbraio 2021. URL consultato il 27 giugno 2023.

Wolfgang Schnur[modifica | modifica wikitesto]

Wolfgang Schnur
Wolfgang Schnur al congresso del neofondato partito Risveglio Democratico il 16 dicembre 1989 a Lipsia

Presidente di Risveglio Democratico
Durata mandato16 dicembre 1989 –
14 marzo 1990
Predecessorefondazione partito
SuccessoreRainer Eppelmann

Dati generali
Partito politicoRisveglio Democratico
Titolo di studioLaurea in giurisprudenza
UniversitàUniversità Humboldt di Berlino
ProfessioneAvvocato, agente della Stasi

Wolfgang Schnur (Stettino, 8 giugno 1944Vienna, 16 gennaio 2016) è stato un avvocato e politico tedesco orientale. Schnur fu uno dei fondatori e il primo leader del partito Risveglio Democratico (DA), fondato nel 1989 durante il periodo denominato Die Wende (lo sconvolgimento politico pacifico nella DDR, che portò alla caduta del Muro).[1][2]

Nella Repubblica Democratica Tedesca[modifica | modifica wikitesto]

Come avvocato rappresentò diversi partiti d'opposizione contro la DDR. Successivamente emerse che dal 1965 al 1989 era stato un Inoffizieller Mitarbeiter (IM) (impiegato non ufficiale) della Stasi.[1][3]

Wolfgang Schnur nominò Angela Merkel addetto stampa di Risveglio Democratico.

Nella Germania riunificata[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1993 Schnur perse la licenza di avvocato. Nel 1996 fu condannato a un anno di reclusione con sospensione della pena per le sue attività nella DDR.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b (DE) Wolfgang Schnur: Der Mann, der Angela Merkel entdeckte, ist tot - SPIEGEL ONLINE - Politik, su Spiegel Online. URL consultato il 31 dicembre 2023.
  2. ^ (DE) Ingrid Brekke, Stasis mann, in Angela Merkel. Et europeisk drama, Oslo, Kagge forlag, 2016, ISBN 9788248918424.
  3. ^ (DE) Bundesgerichtshof bestätigt Entscheidung: Schnur verliert Zulassung, in Berliner Zeitung. URL consultato il 31 dicembre 2023 (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2016).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Presidente di Risveglio Democratico Successore
fondazione partito 16 dicembre 1989 – 14 marzo 1990 Rainer Eppelmann

Roland Duchâtelet[modifica | modifica wikitesto]

Roland Duchâtelet

Presidente di Vivant
Durata mandato1997 –
2007
Predecessorefondazione partito
Successoreabolizione partito[1]

Senatore belga
Senatore eletto direttamente
Durata mandato2007 –
2010
PredecessoreGuy Verhofstadt
Legislatura2007-2010
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoOpen Vld
Titolo di studioLaurea in ingegneria
UniversitàKatholieke Universiteit Leuven
ProfessioneImprenditore

Roland Duchâtelet (Merksem, 14 novembre 1946) è un imprenditore e politico belga. È proprietario delle squadre di calcio Carl Zeiss Jena e Újpest.[2] e fondatore del partito politico social-liberale Vivant in Belgio.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Figlio di padre liegese e madre limburghese, Duchâtelet ha conseguito una laurea in ingegneria civile e una in economia applicata presso la Katholieke Universiteit Leuven. Ha lavorato in diverse aziende nazionali ed estere, nei settori finanziario, manifatturiero e dello sviluppo.

Attività imprenditoriale[modifica | modifica wikitesto]

Microelettronica e Internet[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1990 sviluppa, senza capitale iniziale, insieme a Rudi De Winter e Françoise Chombar una serie di società, tra le quali Melexis, la più nota[3] e l'impresa X-Fab.[4]

Verso la fine del secolo ha investito in Internet, nei predecessori di You Tube: TVLokaal.com, Stoorzender.be, AdValvas, Sport.be, Place.to.be e Femistyle.be.

Calcio[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1999 incomincia a fare impresa nel calcio come sponsor della squadra di calcio di prima divisione Koninklijke Sint-Truidense Voetbalvereniging, che ha in seguito rilevato nel 2004. È rimasto presidente di questa squadra di calcio fino al 2011.

Il 23 giugno 2011 ha acquistato la squadra di calcio Standard Liège, di cui è rimasto presidente fino al 2015.

Nel dicembre 2013 ha acquistato la squadra tedesca FC Carl Zeiss Jena e nel gennaio 2014 quella inglese del Charlton Athletic FC e la spagnola AD Alcorcón .

Suo figlio Roderick è presidente della squadra ungherese Újpest FC.

Carriera politica[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1993, sensibilizzato da un appello riguardo la questione dell'organizzazione della società e mentre la disoccupazione aumentava e il finanziamento della previdenza sociale era minacciato, decide di intraprendere la carriera politica. In quell'anno ha scritto un libro che è uscito all'inizio del 1994 ed è stato tra i primi dieci libri di saggistica per dieci settimane "NV Belgio, relazione agli azionisti". In questo libro ha auspicato un Belgio economicamente e politicamente trasparente, in cui lo sviluppo sostenibile abbia la priorità all'interno di un'economia mondiale globalizzata.

Nel 1995 Louis Standaert, il fondatore del nuovo partito politico BANAAN, gli chiese di poter sfruttare il suo libro come fonte di ispirazione per il proprio programma politico, cosa che Duchâtelet acconsentì. Questo partito ha propagato i suoi ideali come un reddito di base per ogni adulto, un economia di vicinato e un passaggio dalla tassazione sul lavoro alla tassazione sul consumo, a vantaggio dell'occupazione, dei produttori e dell'ambiente.

Nelle elezioni federali del 1995, questo partito ha ottenuto solo l'uno per cento dei voti.

Nel 1997 Duchâtelet ha fondato Vivant, un partito, che lui stesso ha definito come "un movimento", il quale ha partecipato alle elezioni in tutte le regioni e comunità linguistiche.

Nel 2003 ha portato in tribunale Johan Vande Lanotte per aver diffuso quest'ultimo informazioni false in riferimento alle sue dichiarazioni sul Fondo di invecchiamento.

Nel 2004, Vivant è entrato in una "cartello" con l'Open VLD e Duchâtelet ha pubblicato il suo secondo libro, De weg naar meer netto binnenlands geluk.

Tra il 2007 e il 2010 Duchâtelet è stato membro del Senato belga per l'Open Vld,[5] partito con cui Vivant si è poi fusa.

All'inizio del 2008, il politico-imprenditore ha fatto notizia lanciando l'idea di ampliare la Regione di Bruxelles-Capitale con il Brabante Vallone e il Brabante Fiammingo. Senza dire nulla sulla lingua, ha sostenuto di farne un'unica grande regione urbana in modo che Bruxelles potesse diventare la vera capitale d'Europa.

Nelle elezioni municipali del 2012, Duchâtelet è stato eletto a Sint-Truiden, ma ha deciso di lasciare la politica. Nella legislatura 2007-2012 è divenuto il primo assessore a Sint-Truiden con delega alle finanze, alla mobilità, al rinnovamento urbano, al personale, al parco industriale di Brustem e all'edilizia abitativa.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Vivant confluisce nei Liberali e Democratici Fiamminghi Aperti
  2. ^ (ES) Official statement AD Alcorcon Jan. 1, 2014, su adalcorcon.com (archiviato dall'url originale il 10 gennaio 2014).
  3. ^ (EN) Melexis: Semiconductor Sensor Solutions, su melexis.com.
  4. ^ (EN) X-Fab.com, su xfab.com (archiviato dall'url originale il 10 febbraio 2007).
  5. ^ (NL) Belgische Senaat, su senate.be.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • R. Duchâtelet, NV België, verslag aan de aandeelhouders, 1994
  • R. Duchâtelet, De weg naar meer netto binnenlands geluk, 2004

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Presidente di Vivant Successore
fondazione partito 1997 – 2007 dissoluzione partito[1]

Predecessore Presidente del Royal Standard de Liège Successore
Reto Stiffler 2011 – 2015 Bruno Venanzi

Sihame El Kaouakibi[modifica | modifica wikitesto]

Sihame El Kaouakibi

Membro del Parlamento fiammingo
In carica
Inizio mandato26 maggio 2019
Legislatura2019-2024
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoIndipendente
(dal 2021)
In precedenza:
Open Vld
(2019-2021)
Titolo di studio
  • Master in scienze della comunicazione
  • Laurea in formazione degli insegnanti
Università
ProfessioneImprenditrice sociale

Sihame El Kaouakibi (Boom, 9 luglio 1986) è una politica, imprenditrice e attivista belga di origine marocchina. Imprenditrice sociale e attivista per i diritti dei giovani, nel 2009 è stata fondatrice e fino al 2021 direttrice dell'ex progetto per la città e la danza Let's Go Urban (LGU). Nel 2019 è stata eletta deputata per l'Open Vld nel Parlamento fiammingo. L'8 aprile 2021, El Kaouakibi ha lasciato l'Open Vld dopo essere stata accusata di coinvolgimento in uno scandalo di truffa. Da allora è diventata una politica indipendente all'interno del parlamento.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Gioventù e formazione[modifica | modifica wikitesto]

El Kaouakibi è cresciuta a Boom come penultima di una famiglia di sette figli di origine marocchina. Tra il 2005 e il 2008 si è formata come insegnante presso l'Artesis Hogeschool Anntwerp. Successivamente, tra il 2008 e il 2013, ha conseguito un master in scienze dell'educazione presso la Vrije Universiteit Brussel.

Imprenditrice sociale[modifica | modifica wikitesto]

El Kaouakibi ha lavorato come imprenditrice sociale, sviluppando concetti per organizzazioni, istituzioni governative e aziende nell'ambito dei temi delle culture giovanili (ad esempio cultura urbana e di strada), sviluppo e occupazione giovanile, innovazione sociale e urbanizzazione. Nel 2009 ha fondato Let's Go Urban, nel 2013 Youth and Urban Projects e nel 2014 A Woman's View. Nel 2013, secondo il settimanale Knack, è stata una delle trenta donne più forti che hanno cambiato il mondo.

Sihame El Kaouakibi è stata, su raccomandazione del deputato della N-VA Luk Lemmens e su suggerimento del deputato Eric Antonis, membro e presidente del comitato dei progetti culturali (sovra-locali) della provincia di Anversa dal 2013 al 2018. Il comitato ha fornito pareri e deliberato sull'assegnazione di sussidi culturali per i progetti di Let's Go Urban e di altre organizzazioni concorrenti.

Alla fine del 2014, El Kaouakibi è stata nominata dall'Open Vld membro del consiglio di amministrazione della Vlaamse Radio- en Televisieomroeporganisatie (VRT).

Dal 2014, Sihame El Kaouakibi è stato spessa scelta come ambasciatrice della città di Anversa. Nell'estate del 2014, nel contesto del centenario della prima guerra mondiale, è stata la madrina del programma commemorativo Antwerp '14-'18, in cui un ponte di barche temporaneo sulla Schelda è divenuto uno dei simboli salienti del programma. In questa veste, ha ricevuto - insieme all'attore Herbert Flack che era il padrino - la coppia reale durante la loro visita ad Anversa.

All'inizio del 2017, El Kaoukibi è diventata uno degli undici nuovi ambasciatori di Climate Case, un'organizzazione senza scopo di lucro che cerca di far rispettare legalmente gli impegni sul trattato dei governi belgi in materia di politica climatica in tribunale. Dal 2018, El Kaouakibi è anche membro della giuria dello Stadsmarketingfonds, un fondo che fornisce sostegno finanziario ai progetti degli stakeholder, i quali aggiungono valore alla città di Anversa su scala "internazionale".

Carriera politica[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2019, Sihame El Kaouakibi si è unita al partito Open Vld ed era al secondo posto nella lista del partito per le elezioni del Parlamento fiammingo del 2019 nella circoscrizione elettorale di Anversa.[1] È stata eletta con più di 10.000 voti di preferenza.[2]

Il suo partito partecipa alla coalizione di governo con i nazionalisti fiamminghi della N-VA e i democristiani del CD&V.

Nel parlamento regionale, Sihame El Kaouakibi si è impegnata a svolgere le sue funzioni secondo quello che lei chiama libertà e cultura individuale, inclusività nell'istruzione e lotta contro la discriminazione, il sessismo e il razzismo.[3]

Si è distinta nel Parlamento fiammingo andando ripetutamente contro la linea della maggioranza di governo alla quale apparteneva il suo partito. Fin dal suo primo discorso in parlamento, ha dichiarato "…ovviamente ho molte difficoltà su alcuni punti dell'accordo di coalizione" e nel giugno 2020 è stata l’unica nella maggioranza a votare a favore della mozione dei partiti SP.a, Verdi e PvdA sull'introduzione di prove pratiche per individuare eventuali discriminazioni.

Nel 2020, ha denunciato sui social network gli attacchi razzisti e sessisti di cui è stata vittima e ha invitato le donne che si trovano nella stessa situazione a utilizzare l'hashtag #WeesLuider, appello ampiamente diffuso.[4] · [5]

All'inizio del 2021 ha preparato la sua candidatura per le elezioni municipali del 2024, ad Anversa, contro il sindaco uscente Bart De Wever.[6]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (NL) Redactie MLS, Open Vld heeft met Sihame El Kaouakibi wit konijn beet in Antwerpen, in De Morgen, 20 febbraio 2019. URL consultato il 20 gennaio 2024.
  2. ^ (NL) tp/fvd, ‘Er staat ons nog iets te wachten vóór we in die harmonieuze samenleving wonen’: racisme in Vlaanderen, in De Morgen, 19 giugno 2019. URL consultato il 20 gennaio 2024.
  3. ^ (NL) Filip Rogiers e Matthias Verbergt, foto di Fred Debrock, Sihame El Kaouakibi, luis in de pels van de meerderheid. 'Ik zal nooit hard worden in de politiek', in De Standaard. URL consultato il 20 gennaio 2024.
  4. ^ (FR) Joyce Azar, Pourquoi l’affaire El Kaouakibi passionne le nord du pays, su daardaar.be, 24 febbraio 2021. URL consultato il 21 gennaio 2024.
  5. ^ (FR) Michaël Bouche, Lassée d’être la victime de réactions racistes et sexistes, cette élue de l’Open VLD brise le silence, su 7sur7.be, 5 marzo 2020.
  6. ^ (NL) Ann De Boeck e Bruno Struys, De politieke krachten achter Sihame-gate, in De Morgen, 1° marzo 2021. URL consultato il 21 gennaio 2024.

Christian Worch[modifica | modifica wikitesto]

Christian Worch
Christian Worch nel 2013

Presidente di Die Rechte
Durata mandato2012 –
2017

Dati generali
Partito politicoDie Rechte

Christian Worch (Amburgo, 14 marzo 1956) è un politico tedesco tra le figure più importanti della scena neonazista nazionale.[1].

Attivista condannato in più occasioni, è funzionario di vari gruppi di estrema destra, organizzatore e relatore in diverse manifestazioni nazionaliste. Dal 2012 al 2017 è stato presidente del partito di estrema destra Die Rechte.[2][3]

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1974 Worch divenne membro dell'organizzazione Hansabande ad Amburgo, insieme a Michael Kühnen. Il gruppo deturpava i cimiteri ebraici, attaccava persone di sinistra e stranieri,[4] e negava l'Olocausto. Il gruppo tramutò gradualmente nell'Actionsfront Nationaler Sozialisten/Nationale Aktivisten (ANS) nel 1977. Worch e Kühnen mantennero stretti legami con la Wiking-Jugend.

Kühnen fu arrestato nel 1979 e Worch assunse la guida dell'ANS. Nel 1980 è stato perseguito per il suo attivismo politico, ricevendo una condanna a tre anni di reclusione, nonostante fosse stato difeso dall'avvocato neonazista Jürgen Rieger durante il processo. Nel 1983 l'organizzazione fu bandita, Worch entrò quindi a far parte del Partito dei Lavoratori Tedeschi Liberi (FAP) e ne divenne il suo vicepresidente. È entrato anche a far parte della Nationale Liste (Lista Nazionale), sin dalla sua fondazione nel 1989 e diventato membro attivo del suo comitato esecutivo. Ha diretto la rivista, Index, fino al settembre 1991.

Dopo la morte di Kühnen nel 1991, Worch, insieme a Winfried Arnulf Priem e Gottfried Küssel, rilevò l'attività del Gesinnungsgemeinschaft der Neuen Front (GDNF); ciò gli causò una condanna a due anni di libertà vigilata nel 1994. Ha dovuto trascorrere questo periodo in prigione a partire dal febbraio 1996 poichè l'ANS/NA ha continuato le sue attività nonostante fosse stato bandito, ma è stato rilasciato all'inizio del 1997.

Per un breve periodo negli anni '90, Worch ha avuto stretti rapporti con il Partito Nazionaldemocratico di Germania (NPD). In un'intervista, ha difeso la sua collaborazione con il partito, affermando che "l'NPD, come partito, ovviamente, è solo un mezzo per diffondere la nostra visione del mondo". Tuttavia, da allora ha preso le distanze da quest'ultimo.

Nel 2012 ha fondato ed è diventato presidente del partito di estrema destra Die Rechte, rimanendo tale fino al 2017. Nel 2021 è diventato nuovamente presidente del partito.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (DE) NPD-Vize Rieger tot, su tagesschau.de, 29 ottobre 2009. URL consultato il 1° luglio 2023.
  2. ^ (DE) “Die Rechte” verliert Vorsitzenden - Störungsmelder, su zeit.de, 2 novembre 2017. URL consultato il 1° luglio 2023.
  3. ^ (DE) Worch : Seit Jahrzehnten in der Szene aktiv / NDR.de - Regional - Doss…, su archive.fo, 12 aprile 2013. URL consultato il 1° luglio 2023..
  4. ^ (DE) "Netzwerk, Gegen Rechtsextremismus, für Toleranz und Menschenwürde": Drahtzieher im braunen Netz: Christian Worch e "Kulturinitiative Detmold e.V": Redebeitrag am 20.01.2007 auf der Mahnwache in Obernkirchen anlässlich der erneuten Schändung des Jüdischen Friedhofs in der Silvesternacht, URL consultato il 1° luglio 2023.

Jürgen Rieger[modifica | modifica wikitesto]

Jürgen Rieger

Jürgen Rieger (Blexen, 11 maggio 1946Berlino, 29 ottobre 2009) è stato un avvocato e politico tedesco neonazista, vicepresidente del Partito Nazionaldemocratico di Germania dall'ottobre 2009[1] fino alla morte e negazionista dell'Olocausto[2][3].

Rieger è stato condannato per pestaggio, incitamento all'odio e utilizzo di simboli proibiti.[4]

È entrato a far parte dell'NPD nel 2006 ed è diventato presidente della sezione di Amburgo nel 2007. Per molti anni ha lavorato presso l'Artgemeinschaft - Comunità di fede germanica di uno stile di vita adatto alla natura.[2]

È stato una figura importante all'interno dell'NPD, grazie alle sue cospicue donazioni al partito, per un totale di 500.000 euro. Rieger è stato al centro di una serie di importanti azioni, in particolare delle processioni commemorative regolari in memoria di Rudolf Hess.

Il 29 ottobre 2009, Rieger è morto a Berlino per un ictus.[4][5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (DE) Sven Röbel, NPD-Mann Rieger im Krankenhaus, in Spiegel online, 27 ottobre 2009. URL consultato il 1° luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 30 ottobre 2009).
  2. ^ a b (DE) Ein Verehrer Hitlers, in Die Tageszeitung, 19 aprile 2009. URL consultato il 1° luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 3 novembre 2009).
  3. ^ (EN) German neo-Nazi 'youth camp' shut down. URL consultato il 1° luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 2 giugno 2010).
  4. ^ a b (DE) NPD-Politiker Jürgen Rieger ist tot, Norddeutscher Rundfunk, 29 ottobre 2009. URL consultato il 1° luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 3 ottobre 2010).
  5. ^ (DE) NPD-Vizechef Rieger ist tot. URL consultato il 1° luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 6 maggio 2012).

John Tyndall (politico)[modifica | modifica wikitesto]

John Tyndall

Presidente del Partito Nazionale Britannico
Durata mandato7 aprile 1982 –
27 settembre 1999
ViceRichard Edmonds
Predecessorefondazione partito
SuccessoreNick Griffin

Presidente del Fronte Nazionale
Durata mandato1972 –
1974
PredecessoreJohn O'Brien
SuccessoreJohn Kingsley Read

Durata mandato1976 –
1980
PredecessoreJohn Kingsley Read
SuccessoreAndrew Bons

Leader del Movimento della Gran Bretagna
Durata mandato1964 –
1967
Predecessorecarica creata
Successorecarica abolita[1]

Dati generali
Partito politicoPartito Nazionale Britannico (1982-2005)
In precedenza:
Lealisti della Lega dell'Impero (1954-1957)
Partito Laburista Nazionale (1957-1960)
Partito Nazionale Britannico (1960-1962)
Movimento Nazionalsocialista (1962-1964)
Movimento della Gran Bretagna (1964-1967)
Fronte Nazionale (1967-1980)
Nuovo Fronte Nazionale (1980-1982)

John Hutchyns Tyndall (Exeter, 14 luglio 1934Hove, 19 luglio 2005) è stato un politico e attivista britannico di estrema destra noto per aver guidato sia il Fronte Nazionale che il Partito Nazionale Britannico.[2].

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

John Tyndall è nato a Exeter, Devon, il 14 luglio 1934. Figlio del custode della St George's House, un hotel YMCA a Southwark, è cresciuto a Londra. È imparentato con il famoso traduttore biblico William Tyndale ed è pronipote di John Tyndall, il fisico irlandese i cui antenati erano emigrati nella contea di Waterford in Irlanda nel XVI secolo.

Carriera politica[modifica | modifica wikitesto]

Tyndall iniziò la sua carriera politica con i Lealisti della Lega dell'Impero alla fine degli anni '50, dove incontrò per la prima volta AK Chesterton che in seguito avrebbe formato il Fronte Nazionale. Tuttavia, i Lealisti della Lega dell'Impero erano troppo liberali per le posizioni del giovane Tyndall, che presto lasciò il gruppo e formò la prima incarnazione del Partito Nazionale Britannico. Questo partito non si sviluppò nella direzione che Tyndall aveva sperato, per questo insieme a Colin Jordan formò il Movimento Nazionalsocialista nel 1962. Nell'NSM divenne responsabile del gruppo chiamato Spearhead, un nome che Tyndall in seguito ha utilizzato per vari progetti di giornali in cui è stato coinvolto.

Dopo un paio d'anni da convinto nazista, si avvicinò al neonato Fronte Nazionale, il quale mostrava un grande potenziale nell'attrarre un gruppo più ampio di persone. Ha ripulito la sua immagine e il suo passato assumendo la guida di questo partito. Ha mantenuto la presidenza del Fronte Nazionale per quasi tutti gli anni '70 ma è stato sconfitto dopo lo scarso risultato elettorale del 1979.

Dopo essere stato costretto a lasciare il partito, ha aderito nuovamente al Partito Nazionale Britannico che ha guidato fino al 1999, quando è subentrato Nick Griffin. Successivamente ha pubblicato articoli sulla sua rivista Spearhead dove ha spesso attaccato Griffin. È morto nella sua casa nel Sussex il 19 luglio 2005, pochi giorni prima di essere processato per istigazione della folla.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Assorbito nel Fronte Nazionale.
  2. ^ (EN) BNP founder dead, in The Guardian, 19 luglio 2005. URL consultato il 2 luglio 2023.
The Boss Bomber2/Sandbox - POLITICA

Deputato francese
Durata mandato23 giugno 1988 –
1º aprile 1993
Predecessorecircoscrizione elettorale creata
SuccessoreRaimond Max Aubert

Durata mandato12 giugno 1997 –
14 maggio 2012
PredecessoreLucien Renaudie
SuccessoreSophie Dessus
LegislaturaIX, XI, XII, XIII (Quinta Repubblica)
Gruppo
parlamentare
IX: SOC
XI, XII, XIII: SOC poi SRC
Circoscrizione1ª Corrèze
Sito istituzionale

Europarlamentare
Durata mandato20 luglio 1999 –
17 dicembre 1999
SuccessoreAnna Ferreira
LegislaturaV
Gruppo
parlamentare
PSE
CircoscrizioneFrancia
Sito istituzionale


Georges Marchais[modifica | modifica wikitesto]

Georges Marchais
Georges Marchais nel 1981

Segretario generale del Partito Comunista Francese
Durata mandato17 dicembre 1972 –
29 gennaio 1994
PredecessoreWaldeck Rochet
SuccessoreRobert Hue
(segretario nazionale)

Deputato francese
Durata mandato2 aprile 1973 –
21 aprile 1997
PredecessoreMarie-Claude Vaillant-Couturier
SuccessoreClaude Billard
LegislaturaV, VI, VII, VIII, IX, X (Quinta Repubblica)
Gruppo
parlamentare
COM
CircoscrizioneV, VI, VII, VIII: 1ª della Valle della Marna
VIII, IX: Valle della Marna
IX, X: 11ª della Valle della Marna
Sito istituzionale

Europarlamentare
Durata mandato17 luglio 1979 –
24 luglio 1989
LegislaturaI, II
Gruppo
parlamentare
COM
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoPartito Comunista Francese
(1947-1997)
ProfessioneMetalmeccanico, sindacalista
FirmaFirma di Georges Marchais

Actionsfront Nationaler Sozialisten/Nationale Aktivisten[modifica | modifica wikitesto]

Bandiera dell'ANS/NA

L'Aktionsfront Nationaler Sozialisten/Nationale Aktivisten (Fronte d'Azione dei Nazionalsocialisti/Attivisti NazionaliANS/NA) fu un'organizzazione neonazista tedesca occidentale.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'organizzazione fu fondata nel novembre 1977 ad Amburgo-Wandsbek con il nome ANS da Michael Kühnen, recentemente licenziato dalla Bundeswehr a causa della sua attività politica. Questa organizzazione fu il successore della SA-Sturm Hamburg 8[1] di Amburgo e della Mai Freizeitvereins Hansa, nota anche come "banda Hansa", con la quale Kuhnen fu in contatto più volte negli ultimi mesi a causa delle attività neonaziste. Il principale punto d'incontro dell'ANS era ad Amburgo. Il 20 maggio 1978, l'ANS ha guadagnato notorietà a livello nazionale quando diversi membri sono apparsi pubblicamente con maschere da asino con cui negavano l'Olocausto.

Nel 1978-79 quasi tutti i dirigenti dell'ANS furono incarcerati. Il 15 gennaio 1983, l'ANS è stata fusa con il gruppo Nationale Aktivisten di Thomas Brehl nell'ANS/NA sotto la guida di Michael Kühnen. L'organizzazione si considerava una continuazione del NSDAP e della SA e ne aveva ereditato l'ideologia, compreso il sostegno alle leggi antisemite del Terzo Reich.

Il 24 novembre 1983, il ministro federale dell'interno ha vietato l'ANS/NA compresi i suoi sottogruppi Aktion Ausländerrückführung e Freundeskreis Deutsche Politik portando al suo scioglimento il 7 dicembre.[2] A quel tempo contava oltre 300 membri per lo più giovani.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Wiking-Jugend[modifica | modifica wikitesto]

L'Oþalan sulla bandiera della Wiking-Jugend

La Wiking-Jugend (Gioventù VichingaWJ) fu un'organizzazione neonazista tedesca occidentale modellata sulla Hitlerjugend.

Nel 1952 il Partito Socialista del Reich (SRP) fu messo fuori legge insieme alla sua organizzazione giovanile, la Reichsjugend. I neonazisti in risposta entrarono a far parte di altre numerose organizzazioni collegate e frammentate, e l'ex Reichsjugend, la Vaterländischer Jungenbund e la Deutsche Unitarier-Jugend si fusero nella "Wiking-Jugend". Il gruppo era attivo nel Nuovo Ordine Europeo nazionalista paneuropeo, anche se lasciò questi nel 1955 per la questione dell'Alto Adige.

L'organizzazione fu fondata da Walter Matthaei, e da allora in poi assunse una tendenza dinastica, essendo guidata a sua volta da Raoul Nahrath, poi suo figlio Wolfgang, e poi suo figlio Wolfram.[1][2]

Fino al 1991, la sede della Wiking-Jugend era a Stolberg nella Renania. Dal 1991 al 1994 la sua sede è stata Berlino.

La Wiking-Jugend è stata dichiarata incostituzionale il 10 novembre 1994 dal Ministero degli interni della Renania Settentrionale-Vestfalia.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (DE) Thomas Grumke e Bernd Wagner, Handbuch Rechtsradikalismus : Personen, Organisationen, Netzwerke : vom Neonazismus bis in die Mitte der Gesellschaft, Opladen, Leske + Budrich, 2002, ISBN 3-8100-3399-5, OCLC 50921274.
  2. ^ (DE) Stephan Braun, Alexander Geisler e Martin Gerster, Strategien der extremen Rechten: Hintergründe - Analysen - Antworten, Springer-Verlag, 17 novembre 2010, p. 384, ISBN 978-3-531-91708-5.
  3. ^ (DE) Verbot des Vereins Wiking-Jugend e.V., su recht.nrw.de, North Rhine-Westphalian Ministry of the Interior, 2 dicembre 1994. URL consultato il 2 luglio 2023.


Gesinnungsgemeinschaft der Neuen Front[modifica | modifica wikitesto]

Gesinnungsgemeinschaft der Neuen Front (Comunità affini del Nuovo FronteGDNF) è un'organizzazione neonazista tedesca, attiva principalmente durante gli anni 90.

La GdNF è stata formata nel 1985 da Michael Kühnen, Thomas Brehl e Christian Worch dopo la messa al bando dell'Aktionsfront Nationaler Sozialisten/Nationale Aktivisten. La GdNF fu presto formalizzata come organizzazione. Era contraria all'influenza degli Stati Uniti, alla distruzione dell'ambiente e all'indebolimento della purezza razziale tedesca. L'organizzazione iniziò ad essere attiva anche in Austria.

Quando Kühnen si dichiarò gay nel 1986, una sezione del GdNF gli rimase fedele nella scissione risultante, sebbene un'altra fazione si unì al Partito dei Lavoratori Tedeschi Liberi. Tuttavia, il gruppo ha continuato a migliorare la sua base organizzativa nonostante questa battuta d'arresto, organizzando manifestazioni, addestramento paramilitare e la creazione di cellule nella Repubblica Democratica Tedesca. Ha anche cercato di costruire una rete di contatti internazionali con i quali ha collaborato su questioni militari, la diffusione della propaganda e la dispersione delle armi.

Dopo la morte di Kühnen nel 1991, la leadership della GdNF, che contava circa 400 membri attivi, passò a Worch, Winfried Arnulf Priem e al leader neonazista austriaco Gottfried Küssel. Tuttavia, senza Kühnen il gruppo andò in declino e si perse in una marea di gruppi simili che si formarono negli anni '90 a causa della crescente attenzione del governo per le attività neonaziste. Con Worch imprigionato nel 1996 e altre figure importanti come Thomas Brehl che hanno fondato i propri gruppi, la GdNF è gradualmente svanita nel nulla, sebbene non sia mai stata ufficialmente sciolta fino ad oggi.

Accordo di Lancaster House[modifica | modifica wikitesto]

L'accordo di Lancaster House rappresenta una serie di accordi firmati il ​​21 dicembre 1979 a Lancaster House che pongono la base giuridica internazionale per l'indipendenza dello Zimbabwe dalla Gran Bretagna. Questo accordo ha posto anche fine al governo della minoranza bianca sotto Ian Smith, che aveva istituito lo stato indipendente non riconosciuto a livello internazionale della Rhodesia nel 1965. La Rhodesia non era riconosciuta ai sensi del diritto internazionale dalla maggior parte degli stati ed era soggetta a sanzioni tramite le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L'accordo, firmato nel dicembre 1979, includeva una Costituzione post-indipendenza, procedure transitorie e un cessate il fuoco. All'incontro dei rappresentanti riuniti vi erano le seguenti parti: governo del Regno Unito, Unione Nazionale Africana di Zimbabwe - Fronte Patriottico guidato da Robert Mugabe e Joshua Nkomo , ZAPU (Unione Popolare Africana di Zimbawe) e ZANU (Unione Popolare Africana di Zimbabwe) e il governo dello Stato provvisorio dello Zimbabwe-Rhodesia, rappresentato dal vescovo Abel Muzorewa e Ian Smith.[1]

L'accordo è stato firmato dopo una conferenza di tre mesi a Lancaster House nel quartiere londinese di St. James's.

Trattative[modifica | modifica wikitesto]

La Conferenza, presieduta da Lord Carrington, Segretario di Stato per gli affari esteri e del Commonwealth, aprì le discussioni il 10 settembre 1979 fino al 15 dicembre 1979 dopo 47 sessioni plenarie. In questi negoziati, la conferenza raggiunse un accordo sui seguenti punti:

  • uno schema della Costituzione post-indipendenza
  • disposizioni per il periodo pre-indipendenza
  • un accordo di cessate il fuoco tra le parti in conflitto
  • un'amnistia per tutti i crimini commessi durante la guerra

Inoltre, è stato raggiunto un accordo sui seguenti punti:

  • accettazione dell'autorità del Governatore;
  • rispetto della Costituzione post-indipendenza;
  • rispetto degli accordi pre-indipendenza;
  • rispetto dell'accordo di cessate il fuoco;
  • conduzione di una campagna pacifica e senza intimidazioni;
  • rinuncia all'uso della forza per fini politici;
  • accettazione dell'esito delle elezioni.

La Costituzione post-indipendenza assegnerà ai bianchi il 20% dei seggi in Parlamento.

I negoziati di tre mesi condotti non sono riusciti a raggiungere un accordo sulla questione della riforma agraria. Mugabe rimase sotto pressione per il successo ottenuto e la questione della terra finì per diventare il "fallimento della conferenza". I governi britannico e statunitense si offrirono di acquistare terreni dai bianchi e fu istituito un fondo per risolvere la questione della terra dal 1980 al 1990. Inoltre, sono stati promessi aiuti per 630 milioni di sterline.

Il politico britannico Lord Christopher Soames è stato incaricato dell'implementazione dei risultati.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Preston, Matthew. Ending Civil War: Rhodesia and Lebanon in Perspective. p. 25

Ministero del turismo e dell'ambiente[modifica | modifica wikitesto]

Ministero del turismo e dell'ambiente
Nome originale(SQ) Ministria e Turizmit dhe Mjedisit
StatoBandiera dell'Albania Albania
TipoMinistero
Agenzie
MinistroMirela Kumbaro (PSSH)
SedeTirana

Istituzioni subordinate[modifica | modifica wikitesto]

Riorganizzazione[modifica | modifica wikitesto]

  • Ministero del commercio interno e del turismo (1991–1992)
  • Ministero del turismo (1992–1994)
  • ministero dell'edilizia e del turismo (1994–1996)
  • Ministero dei lavori pubblici, della regolamentazione territoriale e del turismo (1996–1997)
  • Ministero del commercio e del turismo (1997–1998)
  • Ministero dei lavori pubblici e del turismo (2001–2002)
  • Ministero della regolamentazione territoriale e del turismo (2002–2005)
  • Ministero del turismo, della cultura, della gioventù e dello sport (2005–2013)
  • Ministero dello sviluppo economico, del turismo, del commercio e delle imprese (2013–2017)
  • Ministero del turismo e dell'ambiente (2017–presente)

Elenco dei ministri (1991–presente)[modifica | modifica wikitesto]

Ministro
Mandato
1 Gavrosh Pogaçe 11 maggio 1991 4 giugno 1991
2 Agim Mero 11 giugno 1991 6 dicembre 1991
3 Robert Gjini 18 dicembre 1991 13 aprile 1992
4 Osman Shehu 13 aprile 1992 6 aprile 1993
5 Edmond Spaho 6 aprile 1993 3 dicembre 1994
6 Dashamir Shehi 4 dicembre 1994 10 luglio 1996
7 Albert Brojka 11 luglio 1996 1 marzo 1997
8 Vasillaq Spaho 11 marzo 1997 24 luglio 1997
9 Shaqir Vukaj 25 luglio 1997 23 aprile 1998
10 Bashkim Fino 6 settembre 2001 29 gennaio 2002
11 Fatmir Xhafaj 22 febbraio 2002 25 luglio 2002
12 Besnik Dervishi 29 luglio 2002 29 dicembre 2003
Bashkim Fino 29 dicembre 2003 10 settembre 2005
13 Bujar Leskaj 10 settembre 2005 19 marzo 2007
14 Ylli Pango 20 marzo 2007 3 marzo 2009
15 Ardian Turku 17 marzo 2009 17 settembre 2009
16 Ferdinand Xhaferaj 17 settembre 2009 21 luglio 2011
17 Aldo Bumçi 25 luglio 2011 3 aprile 2013
18 Visar Zhiti 4 aprile 2013 15 settembre 2013
19 Arben Ahmetaj 15 settembre 2013 17 febbraio 2016
20 Milva Ekonomi 26 febbraio 2016 13 settembre 2017
21 Blendi Klosi 13 settembre 2017 18 settembre 2021
22 Mirela Kumbaro 18 settembre 2021 in carica


Ministero dell'agricoltura e dello sviluppo rurale (Albania)[modifica | modifica wikitesto]

Ministero dell'agricoltura e dello sviluppo rurale
Nome originale(SQ) Ministria e Bujqësisë, Zhvillimit Rural dhe Administrimit të Ujërave
StatoBandiera dell'Albania Albania
TipoMinistero
Istituito4 dicembre 1912
MinistroFrida Krifca (PSSH)
SedeTirana
IndirizzoPiazza Scanderbeg 4
Sito webbujqesia.gov.al

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Dalla costituzione dell'ente, il Ministero dell'agricoltura è stato riorganizzato aggregando altri dipartimenti o accorpandosi con altri ministeri, cambiando più volte denominazione.

  • Ministero dell'agricoltura (1912– 1914)
  • Ministero dei lavori pubblici e dell'agricoltura (1921– 1925), (1927)
  • Ministero dell'agricoltura (1927-1928)
  • Ministero dell'agricoltura e delle foreste (1928– 1930)
  • Ministro Segretario di Stato per l'agricoltura e la silvicoltura (1943)
  • Ministero dell'agricoltura (1945– 1953)
  • Ministero dell'agricoltura e delle collezioni (1953– 1954)
  • Ministero dell'agricoltura (1954–1992)
  • Ministero dell'agricoltura e dell'alimentazione (1992– 1998)
  • Ministero dell'agricoltura (1998-2001)
  • Ministero dell'agricoltura e dell'alimentazione (2001– 2005)
  • Ministero dell'agricoltura, dell'alimentazione e della tutela dei consumatori (2005– 2013)
  • Ministero dell'agricoltura, dello sviluppo rurale e dell'amministrazione delle risorse idriche (2013– 2017)
  • Ministero dell'agricoltura e dello sviluppo rurale (2017–presente)

Istituzioni subordinate[modifica | modifica wikitesto]

  • Direzioni Agricoltura (13)
  • Direzione delle politiche delle produzioni agricole e del commercio
  • Direzioni di irrigazione e drenaggio (4)
  • Centri di trasferimento di tecnologie agricole (QTTB)
  • Autorità alimentare nazionale (AKU)
  • Agenzia per lo sviluppo agricolo rurale (AZHBR)
  • Istituto di veterinaria e sicurezza alimentare (ISUV)
  • Direzione del servizio della pesca e dell'acquacoltura
  • Agenzia nazionale del tabacco
  • Entità statale dei semi e alberelli
  • Istituto di ricerca tecnologica
  • Ispettorato statale delle acque
  • Agenzia per lo sviluppo delle regioni montane
  • Agenzie Ambientali Regionali
  • Agenzie di bacino idrico (6)

Elenco dei ministri (1912–presente)[modifica | modifica wikitesto]

Ministro
Mandato
1 Pandeli Cale 4 dicembre 1912 15 settembre 1913
2 Hasan Prishtina 15 settembre 1913 10 ottobre 1913
3 Qemal Karaosmani novembre 1913 22 gennaio 1914
4 Aziz Vrioni 14 marzo 1914 20 maggio 1914
5 Abdi Toptani 28 maggio 1914 3 settembre 1914
* Sami Vrioni[1] 25 dicembre 1918 29 gennaio 1920
6 Spiro Jorgo Koleka 24 dicembre 1921 30 maggio 1923
7 Sejfi Vllamasi 30 maggio 1924 25 febbraio 1924
8 Kostaq Kotta 3 marzo 1924 27 maggio 1924
9 Qazim Koculi 16 giugno 1924 24 dicembre 1924
Kostaq Kotta 1° febbraio 1925 23 settembre 1925
10 Musa Juka 12 febbraio 1927 20 ottobre 1927
11 Ferid Vokopola 24 ottobre 1927 20 giugno 1928
Musa Juka 20 giugno 1928 5 marzo 1930
12 Jakov Milaj 12 febbraio 1943 28 aprile1943
* Nexhip Basha[2][3] 11 maggio 1943 10 settembre 1943
13 Gaqo Tashko 4 luglio 1945 4 luglio 1950
14 Iliaz Reka 5 luglio 1950 5 settembre 1951
15 Hysni Kapo 6 settembre 1951 5 giugno 1955
16 Maqo Çomo 6 giugno 1955 1° dicembre 1960
17 Peti Shamblli 1° dicembre 1960 28 dicembre 1965
18 Pirro Dodbiba 28 dicembre 1965 25 aprile 1976
19 Themie Thomai 25 aprile 1976 1° febbraio 1989
20 Pali Miska 2 febbraio 1989 21 febbraio 1991
21 Ahmet Osja 22 febbraio 1991 10 maggio 1991
22 Nexhmedin Numani 11 maggio 1991 6 dicembre 1991
23 Zyhdi Pepa 18 dicembre 1991 13 aprile 1992
24 Rexhep Uka 13 aprile 1992 5 aprile 1993
25 Petrit Kalakulla 7 agosto 1993 23 agosto 1993
26 Hasan Halili 23 agosto 1993 10 luglio 1996
27 Bamir Topi 11 luglio 1996 1° marzo 1997
28 Haxhi Aliko 11 marzo 1997 24 luglio 1997
29 Lufter Xhuveli 25 luglio 1997 6 settembre 2001
30 Agron Duka 6 settembre 2001 10 settembre 2005
31 Jemin Gjana 10 settembre 2005 17 settembre 2009
32 Genc Ruli 17 settembre 2009 15 settembre 2013
33 Edmond Panariti 15 settembre 2013 13 settembre 2017
34 Niko Peleshi 13 settembre 2017 17 gennaio 2019
35 Bledar Çuçi 17 gennaio 2019 17 dicembre 2020
36 Milva Ekonomi 18 dicembre 2020 18 settembre 2021
37 Frida Krifca 18 settembre 2021 in carica

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sami Vrioni ricoprì la carica di ministro delegato ai lavori pubblici, all'agricoltura e al commercio.
  2. ^ Ad interim.
  3. ^ Nexhip Basha è stato viceministro.


Ministro di Stato per la gioventù e l'infanzia[modifica | modifica wikitesto]

Ministro di Stato per la gioventù e l'infanzia
Nome originale(SQ) Ministër i Shtetit për Rininë dhe Fëmijët
StatoBandiera dell'Albania Albania
OrganizzazioneConsiglio dei ministri
Istituito18 settembre 2021
MinistroBora Muzhaqi (PSSH)
SedeTirana

Il ministro di Stato per la gioventù e l'infanzia (in albanese: Ministër i Shtetit për Rininë dhe Fëmijët) è un ministro, membro del governo albanese responsabile delle questioni relative ai giovani e ai bambini. Il ministro sviluppa e monitora le politiche che tutelano i diritti dei giovani, cooperando con le organizzazioni che lavorano nel settore e con i programmi internazionali di scambio giovanile. L'attuale ministro è Bora Muzhaqi.[1][2][3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (SQ) Çfarë detyrash do të ketë Ministri i Shtetit për Rininë dhe Fëmijët, su scan-tv.com. URL consultato il 2 luglio 2023.
  2. ^ (SQ) Arlinda Gjonaj, Qeveria Rama 3 betohet në Presidencë, su Agjencia Telegrafike Shqiptare, 18 settembre 2021.
  3. ^ Ani Ruci, Tiranë: Kryeministri Rama shpalli qeverinë e re, in Deutsche Welle.


Ministro di Stato per gli standard ei servizi[modifica | modifica wikitesto]

Ministro di Stato per gli standard ei servizi
Nome originale(SQ) Ministër i Shtetit për Standartet dhe Shërbimet
StatoBandiera dell'Albania Albania
OrganizzazioneConsiglio dei ministri
Istituito18 settembre 2021
MinistroMilva Ekonomi (PSSH)
SedeTirana

Il ministro di Stato per gli standard ei servizi (in albanese: Ministër i Shtetit për Standartet dhe Shërbimet) è un ministro membro del governo albanese che in collaborazione con altre istituzioni responsabili, redige, coordina e attua politiche statali volte a favorire elevati standard nei servizi pubblici, responsabili del miglioramento della vita dei cittadini albanesi. Queste politiche facilitano l'erogazione dei servizi pubblici garantendone la qualità, l'accessibilità e aumentando l'efficacia, garantendo l'accesso a tutti i cittadini che usufruiscono dei servizi pubblici. L'attuale ministro è Milva Ekonomi.[1][2][3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (SQ) Vendime të miratuara në mbledhjen e Këshillit të Ministrave, in Fletorja Zyrtare, 22 settembre 2021.
  2. ^ Arlinda Gjonaj, Qeveria Rama 3 betohet në Presidencë, in Agjencia Telegrafike Shqiptare, 18 settembre 2021.
  3. ^ (SQ) Ani Ruci, Tiranë: Kryeministri Rama shpalli qeverinë e re, in Deutsche Welle.


Ministro di Stato per i rapporti con il Parlamento[modifica | modifica wikitesto]

Ministro di Stato per i rapporti con il Parlamento
Nome originale(SQ) Ministër i Shtetit për Marrëdhëniet me Parlamentin
StatoBandiera dell'Albania Albania
OrganizzazioneConsiglio dei ministri
Istituito13 settembre 2013
MinistroElisa Spiropali (PSSH)
SedeTirana

Il ministro di Stato per i rapporti con il Parlamento (in albanese: Ministër i Shtetit për Marrëdhëniet me Parlamentin) è un ministro membro del governo albanese responsabile dei rapporti con il Parlamento. L'attuale ministro è Elisa Spiropali.[1]

Elenco dei ministri (2013–)[modifica | modifica wikitesto]

Ministro
Mandato
1 Ilirjan Celibashi 15 settembre 2013 14 agosto 2014
2 Ermonela Felaj 27 agosto 2014 13 settembre 2017
3 Elisa Spiropali 17 gennaio 2019 in carica

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Elisa Spiropali, su kryeministria.al.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]


Ministro di Stato per la tutela delle imprese
Nome originale(SQ) Ministër i Shtetit për Mbrojtjen e Sipërmarrjes
StatoBandiera dell'Albania Albania
OrganizzazioneConsiglio dei ministri
Istituito13 settembre 2017
MinistroEdona Bilali (PSSH)
SedeTirana
Sito websipermarrja.gov.al/

Il ministro di Stato per la tutela delle imprese (in albanese: Ministër i Shtetit për Mbrojtjen e Sipërmarrjes) è un ministro membro del governo albanese responsabile dei rapporti con gli imprenditori e la comunità imprenditoriale. L'attuale ministro è Edona Bilali.[1][2]

Elenco dei ministri (2017–)[modifica | modifica wikitesto]

Ministro
Mandato
1 Sonila Qato 13 settembre 2017 17 gennaio 2019
2 Eduard Shalsi 17 gennaio 2019 18 settembre 2021
3 Edona Bilali 18 settembre 2021 in carica

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (SQ) Arlinda Gjonaj, Qeveria Rama 3 betohet në Presidencë, in Agjencia Telegrafike Shqiptare, 18 settembre 2021.
  2. ^ (SQ) Ani Ruc, Tiranë: Kryeministri Rama shpalli qeverinë e re, in Deutsche Welle, 2 settembre 2021.

Vice primo ministro della Romania[modifica | modifica wikitesto]

Il vice primo ministro della Romania (in rumeno: Vice prim ministru României), ufficialmente vice primo ministro del governo della Romania (Vice prim ministru Guvernului României), è un ministro del governo della Romania responsabile della supplenza del Primo ministro nei vari casi previsti. È considerato un ministro senza portafoglio.

Elenco dei presidenti del Parlamento[modifica | modifica wikitesto]

Dopo il 3 settembre (1844-1863)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Mandato inizio Mandato fine
Nikitas Stamatelopoulos 7 settembre 1844 20 dicembre 1844
Kanellos Deligiannis 20 dicembre 1844 31 ottobre 1845
Rigas Palamidis 19 dicembre 1845 14 aprile 1847
Dimitrios Callifronas 2 settembre 1847 10 settembre 1848
Dimitrios Hatziskos 3 novembre 1848 5 ottobre 1849
Antonios Georgantas 21 dicembre 1849 27 luglio 1850
Lazaros Yourdis 20 dicembre 1850 30 ottobre 1850
Efstratios Parisis 6 novembre 1850 27 ottobre 1853
Panagiotis Varvoglis 30 dicembre 1853 20 aprile 1854
Thrasyvoulos Zaimis 2 febbraio 1855 25 ottobre 1855
Alexandros Koumoundouros 9 novembre 1855 27 giugno 1856
Ioannis Zarkos 28 giugno 1856 ottobre 1856
Alexandros Kontostavlos 7 dicembre 1856 6 giugno 1857
Dimitris Voudouris 30 ottobre 1857 1858
Andrea Avgerinos 23 novembre 1858 24 maggio 1859
Andreas Londos 17 dicembre 1859 18 maggio 1860
Thrasyvoulos Zaimis 30 ottobre 1860 16 novembre 1860
Anargyros Hatzianargyrou 22 marzo 1861 11 agosto 1861
Philon Philonos 4 ottobre 1861 maggio 1862
Leonidas Petimezas 10 maggio 1862 11 settembre 1862


Tra le due guerre (1924-1936)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Mandato inizio Mandato fine Partito
Konstantinos Raktivan 21 gennaio 1924 30 settembre 1925 Partito Liberale
Themistocles Sofoulis 6 dicembre 1926 9 luglio 1928 Partito Liberale
Ioannis Tsirimokos 19 ottobre 1928 3 luglio 1930 Partito Liberale
Themistocles Sofoulis 17 novembre 1930 20 agosto 1932 Partito Liberale
2 novembre 1932 24 gennaio 1933
Charalambos Vozikis 30 marzo 1933 1 aprile 1935 Partito Popolare
1° luglio 1935 10 ottobre 1935
Themistocles Sofoulis 6 marzo 1936 4 agosto 1936 Partito Liberale

Dopoguerra (1946–1967)[modifica | modifica wikitesto]

Presidente Mandato inizio Mandato fine Partito
Ioannis Theotokis 4 aprile 1946 30 novembre 1949 Partito Popolare
Praxitelis Moutzouridis 1° dicembre 1949 8 gennaio 1950 Partito Popolare
Dimitrios Gondikas 4 aprile 1950 10 ottobre 1952 Partito Liberale
Giovanni Markopoulos 15 dicembre 1952 16 novembre 1953 Raggruppamento Ellenico
Konstantinos Rodopoulos 16 novembre 1953 26 settembre 1963 Raggruppamento Ellenico
Unione Radicale Nazionale
Ilias Tsirimokos 17 dicembre 1963 8 gennaio 1964 Unione di Centro
Georgios Athanasiadis-Novas 19 marzo 1964 15 luglio 1965 Unione di Centro
Emmanuel Baklatzis 30 aprile 1965 25 settembre 1965 Unione di Centro
Dimitrios Papaspyrou 15 novembre 1965 14 aprile 1967 Unione Radicale Nazionale

Post-Metapolitefsi (1974–)[modifica | modifica wikitesto]

La tabella seguente elenca tutti i Presidenti e Primi Vicepresidenti del Parlamento dalla "Metapolitefsi" e da lì, il periodo di tempo in cui hanno ricoperto la carica, nonché il numero di voti con cui sono stati eletti.

Elezioni Presidente Mandato Primo vicepresidente
Immagine Nome e cognome
1 1974 χωρίς-πλαίσιο Νuova Democrazia Konstantinos Papakonstantinou 9 dicembre 1974 – 12 dicembre 1977 Νuova Democrazia Giorgio Stamatis
2 1977 Νuova Democrazia Dimitrios Papaspyrou 12 dicembre 1977 – 17 novembre 1981 Νuova Democrazia Leonida Bournia
3 1981 χωρίς-πλαίσιο PASOK Ioannis Alevras 17 novembre 1981 – 18 giugno 1985 PASOK Michalis Stefanidis
4 1985 18 giugno 1985 – 4 luglio 1989
5 G. 1989 Νuova Democrazia Atanasio Tsaldaris 04 luglio 1989 – 21 novembre 1989 Sinistra Unita Maria Damanaki
6 Ν. 1989 21 novembre 1989 – 22 aprile 1990 Panagiotis Kritikos
7 1990 22 aprile 1990 – 22 ottobre 1993 Nuova Democrazia Nikos Katsaros
7 1993 PASOK Apostolos Kaklamanis 22 ottobre 1993 – 8 ottobre 1996 PASOK Panagiotis Kritikos
8 1996 8 ottobre 1996 – 21 aprile 2000
9 2000 21 aprile 2000 – 19 marzo 2004 PASOK Kostas Geitonas
10 2004 Νuova Democrazia Anna Benaki-Psarouda 19 marzo 2004 – 27 settembre 2007 Νuova Democrazia Sotiris Hatzigakis
11 2007 χωρίς-πλαίσιο Νuova Democrazia Dimitris Sioufas 27 settembre 2007 – 15 ottobre 2009 Νuova Democrazia Georgios Sourlas
12 2009 PASOK Philipp Petsalnikos 15 ottobre 2009 – 18 maggio 2012 PASOK Grigoris Niotis
13 Μ. 2012 χωρίς-πλαίσιο Νuova Democrazia Byron Polidora 18 maggio 2012 – 29 giugno 2012 Νuova Democrazia Yannis Tragakis
14 G. 2012 χωρίς-πλαίσιο Νuova Democrazia Vangelis Meimarakis 29 giugno 2012 – 6 febbraio 2015 Νuova Democrazia Yannis Tragakis
15 G. 2015 SYRIZA Zoe Konstantopoulou 6 febbraio 2015 – 04 ottobre 2015 SYRIZA Alexis Mitropoulos
16 S. 2015 SYRIZA Nikos Voutsis 4 ottobre 2015 – 18 luglio 2019 SYRIZA Taso Kourakis
17 2019 Νuova Democrazia Kostas Tassoulas 18 luglio 2019 – 29 maggio 2023 Νuova Democrazia Nikitas Kaklamanis
18 M. 2023 29 maggio 2023
19 G. 2023 3 luglio 2023 – in carica Νuova Democrazia Yannis Plakiotakis

Elenco dei presidenti dell'Athing[modifica | modifica wikitesto]

# Presidente Immagine Mandato
Inizio Fine
1 Bjarni Thorsteinsson 1° luglio 1845 5 aprile 1845
2 Þórður Sveinbjörnsson 1° luglio 1847 7 agosto 1847
3 Jón Sigurðsson 2 luglio 1849 8 agosto 1849
4 Páll Melsteð[1] 1851
(3) Jón Sigurðsson 1° luglio 1853 10 agosto 1853
5 Hannes Stephensen 2 luglio 1855 9 agosto 1855
(3) Jón Sigurðsson 1° luglio 1857 17 agosto 1857
6 Jón Guðmundsson 1° luglio 1859 18 agosto 1859
1° luglio 1861 19 agosto 1861
7 Halldór Jónsson 1° luglio 1863 18 agosto 1863
(3) Jón Sigurðsson 1° luglio 1865 26 agosto 1865
1° luglio 1867 11 settembre 1867
27 luglio 1869 13 settembre 1869
1° luglio 1871 22 agosto 1871
1° luglio 1873 2 agosto 1873
  1. ^ przewodniczący Zgromadzenia Narodowego