Utente:Dipralb/Sandbox/28

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La storia del Football Club Internazionale Milano, società calcistica italiana con sede nel capoluogo della Lombardia, ebbe inizio il 9 marzo 1908, giorno della sua fondazione compiuta ad opera di quarantaquattro soci dissidenti del sodalizio concittadino del Milan.

Nel corso dei suoi 110 anni di esistenza, l'Inter ha conseguito la vittoria di 39 titoli ufficiali, terzo club italiano per numero di successi dietro la Juventus e il Milan. Il club risulta essere la sola squadra del Bel paese che, fin dalla propria stagione di debutto (la 1908-1909), ha gareggiato ininterrottamente nella massima serie del campionato nazionale e ha vinto almeno una competizione ufficiale in pressoché tutti i decenni di storia (eccezion fatta per gli anni 1940). La compagine nerazzurra, inoltre, è l'unica italiana ad aver realizzato il treble, ovvero la vittoria di campionato, coppa nazionale e Champions League nell'arco di una singola stagione.

L'Inter occupa il sesto posto (terzo tra i club italiani) nella speciale classifica dei migliori club europei del XX secolo stilata dall'Istituto Internazionale di Storia e Statistica del Calcio (IFFHS),[1] e ventitré personalità affiliate al club sono membri della Hall of Fame del calcio italiano (primato a pari merito con la Juventus): Roberto Baggio, Fabio Cannavaro e Giuseppe Bergomi (categoria Giocatore italiano), Marcello Lippi, Giovanni Trapattoni, Roberto Mancini, Claudio Ranieri e Osvaldo Bagnoli (categoria Allenatore italiano), Sandro Mazzola e Marco Tardelli (categoria Veterano italiano), Massimo Moratti (categoria Dirigente italiano), Gabriel Batistuta e Ronaldo (categoria Giocatore straniero), Enzo Bearzot, Fulvio Bernardini, Giovanni Ferrari, Giovanni Mauro, Giuseppe Meazza, Carlo Carcano, Giacinto Facchetti, Helenio Herrera, Italo Allodi e Árpád Weisz (categoria Riconoscimenti alla memoria).[2]

File:Fondatori inter 10.03.1908.jpg
Alcuni soci fondatori del F. C. Internazionale, da sinistra: Hirzel, Muggiani, Carrer, Cappelli, Mauro, Guzzoni, Crivelli, Hulss e Ugo Rietman.

Le origini, il primo scudetto e i cambi al vertice (1908-1919)[modifica | modifica wikitesto]

«È il titolo di un nuovo Club sorto da pochi giorni a Milano. Il nuovo Club, nato da una deplorevole scissura che non pochi malintesi hanno creato in seno al Milan Club, è composto in maggioranza di attivi footballey e di parecchi appassionati. Il massimo buon volere ed i migliori propositi sono le basi della nuova società che per ora promette poche ma buone cose. Scopo precipuo del nuovo Club è di facilitare l'esercizio del calcio agli stranieri residenti a Milano e diffondere la passione fra la gioventù Milanese, alla quale vanno fatte speciali e assai lodevoli felicitazioni. I nostri auguri di vita lunga, prospera e, quel che più conta, concorde vadano al nuovo sodalizio, che troverà certo nei suoi fondatori quella buona volontà necessaria perché i buoni intendimenti manifestati abbiano il miglior successo.[3]»

Il Football Club Internazionale Milano nacque presso il ristorante milanese Orologio, in Piazza del Duomo 22,[4] alle ore 23:30 del 9 marzo 1908, con il nome di Foot-Ball Club Internazionale (solo nel 1967 verrà aggiunto Milano alla denominazione ufficiale, quando diventerà una S.p.A.[5]), per iniziativa di quarantaquattro dirigenti dissidenti del Milan. La motivazione che portò alla scissione fu il fatto che il club rossonero, il quale si trovava in una fase di crisi societaria sotto la guida del consigliere anziano Giannino Camperio, dopo aver iniziamente stabilito di non partecipare ai campionati 1907-1908 per protesta contro la politica nazionalistica della Federazione Italiana Giuoco Calcio, aveva poi deciso di scendere a patti con la FIGC imponendo il divieto di arruolare calciatori stranieri in aggiunta a quelli già presenti nella rosa.[6] Il nome scelto per la nuova squadra volle, quindi, simboleggiare la volontà cardine della società: dare la possibilità anche a giocatori non italiani di vestire questa maglia.[7] Dalla riunione uscì uno storico verbale che costituì l'atto ufficiale di nascita della società:

File:I 44 soci dissidenti del Milan.jpg
I quarantaquattro soci dissidenti del Milan che fondarono l'Internazionale il 9 marzo del 1908.

«9 marzo 1908. I signori fondatori si sono riuniti questa sera col fermo proposito di fondare il nuovo Club. Presenti i signori G.Muggiani - Bossard - Lana - Bertolini[8] - De Olma - Hintermann Enrico - Hintermann Arturo - Hintermann Carlo - Dell'Oro Pietro - Rietmann Ugo - Hans - Voelkel - Maner - Wipf - Ardussi Carlo. Dopo piccole discussioni d'occasione, il signor Muggiani propone si passi alla nomina di un consiglio provvisorio da confermarsi nella seduta di mercoledì 11 marzo. Nelle nomine vengono lasciate vacanti le cariche di Presidente e Vicepresidente. Furono nominati: a Segretario G.Muggiani; cassiere De Olma; economo Rietmann Hans; consiglieri 1° Dell'Oro Pietro 2° Paramithiotti. I presenti deliberano di non nominare una commissione di giuoco, ma bensì trovano necessaria la carica di economo. Muggiani propone di nominare quale socio onorario il Sig. Rag. Bosisio, segretario della Federazione Italiana del Foot-Ball. I presenti accettano tale proposta. Il nome del nuovo sodalizio è stato unanimemente accettato quale Foot-Ball Club Internazionale - Milano. La seduta viene tolta alle 11 1/2. Giorgio Muggiani[3]»

Virgilio Fossati, il secondo capitano dell'Inter, nonché primo allenatore e primo idolo della tifoseria.

Il pittore futurista Giorgio Muggiani, tra i dissidenti del Milan, scelse i colori che avrebbero rappresentato l'emblema della società: il nero e l'azzurro. Quest'ultimo colore fu scelto perché all'epoca si usavano le matite a due colori, rosse da una parte e blu dall'altra quindi simbolicamente il blu era opposto al rosso.[9] Il pittore disegnò anche lo stemma: ispirato a quello dei club inglesi, riportava le lettere F, C, I, M sovrapposte in bianco su uno sfondo costituito da un cerchio dorato, circondato da un cerchio nero, che a sua volta era circondato da un cerchio azzurro.

Nella denominazione della società, Milano avrebbe dovuto essere l'appellativo principale, tuttavia si scopre ben presto che la compresenza del Milano e del Milan potrebbe dar adito a confusione e si stabilisce che la squadra dovrà chiamarsi con il nome programmatico per il quale è sorta: Internazionale.[7]

Primo presidente fu nominato il socio e consigliere Giovanni Paramithiotti e il primo capitano fu lo svizzero Hernst Marktl; la prima figura ad assumere de facto le funzioni dell'allenatore fu, invece, il secondo capitano della squadra, Virgilio Fossati, il quale morirà nel 1916 durante la prima guerra mondiale e verrà ricordato come il primo idolo dei tifosi del club meneghino.[7]

Nel primo anno l'Internazionale disputa solo amichevoli, tra le quali quella persa con l'Ausonia per 5-1, che viene registrata come la prima partita giocata dall'Inter,[10], una partita contro il Racing Libertas Club vinta per 4-0[10] e la Coppa Chiasso, giocata nella città svizzera, dove l'Inter batté l'Ausonia per 1-0 e arrivò in finale per sorteggio contro il Milan nel primo derby milanese della storia, vinto dai rossoneri per 3-2, in una finale da venticinque minuti per tempo.[10]

Gli esordi e il 1º scudetto (1909-1910)[modifica | modifica wikitesto]

La formazione dell'Inter che vinse il primo scudetto nel 1910.

Al primo presidente Giovanni Paramithiotti successero nel 1909 Ettore Strauss e nel 1910 Carlo De Medici. La neonata società andava così a muovere i suoi primi passi nel campionato 1909, nell'ambito del girone lombardo dove si sarebbe dovuta scontrare con Milan e Milanese.[11] Il primo derby della storia contro il Milan, svoltosi il 10 gennaio 1909 all'Arena, coincise anche con la prima partita ufficiale dei nerazzurri e si chiuse con una vittoria rossonera per 3-2, dopo che la squadra capitanata da Marktl si era portata sull'1-1 grazie alla rete di Achille Gama.[11]

La formazione di quella prima stracittadina era: Cocchi; Kappler, Marktl; Niedermann, Fossati, Kummer; Gama, Du Chene, Hopf, Volke, Schuler.[11] Come si può notare, la stragrande maggioranza dei primi calciatori nerazzurri era di origine svizzera. Il girone in questione fu alla fine vinto dalla Milanese.[11]

In vista del torneo 1909-1910 che si sarebbe svolto con la formula del girone unico, ci fu un rinnovamento e della squadra dell'anno prima rimasero soltanto due titolari, Fossati e Schuler.[11] Tra i nuovi arrivi c'era il portiere Piero Campelli, che divenne uno dei maggiori punti di forza della squadra. L'Inter si issò in vetta alla classifica in coabitazione con la Pro Vercelli sino alla fine del campionato, costringendo la Federazione a indire uno spareggio a Vercelli per l'assegnazione del titolo.[11] Dopo che la sfida, fissata inizialmente il 17 aprile 1910, fu rimandata al 24 su richiesta dei vercellesi, a causa di un'amichevole che poi non venne disputata, la Federcalcio si oppose a una seconda e analoga domanda di rinvio da parte della Pro, subodorando il tentativo dei piemontesi di voler guadagnare tempo per recuperare gli atleti infortunati.[11] Per protesta, allora, i bianchi decisero di far scendere in campo la squadra ragazzi e il punteggio finale della partita fu 10-3 in favore dell'Inter.[12] Questi erano i nomi dei primi campioni nerazzurri: Campelli, Fronte, Zoller; Jenny, Fossati, Stebler; Capra, Payer, Peterlj, Aebi, Schuler.[11] Durante la stagione l'Inter, inoltre, vinse entrambi i derby in goleada: nella prima partita il mattatore fu Capra, autore di una tripletta, condita dai gol di Payer e Peterly, mentre nella seconda gara Engler e Peterly, con le loro doppiette e Capra, risposero alla segnatura iniziale di Mariani.[11]

Il periodo 1910-1919[modifica | modifica wikitesto]

File:Campo Inter Ripa Ticinese (1909).jpg
Il primo campo da gioco a Ripa Ticinese

Allo scudetto seguirono quattro stagioni durante le quali la presidenza cambiò diverse volte: entrarono in carica Emilio Hirzel (1912), Luigi Ansbacher (1914) e nello stesso anno Giuseppe Visconti Di Modrone.[11] Dopo la deludente annata 1910-1911, l'Inter chiuse al quarto posto nel girone eliminatorio il campionato successivo.[11] Nel tentativo di rafforzare la squadra, nel 1912 venne preso Luigi Cevenini (noto anche come Cevenini III), vero e proprio fuoriclasse dell'epoca, il quale dopo aver rotto col Milan, decise di trasferirsi in nerazzurro portando con sé i propri fratelli, Aldo e Mario.[11] Il gap con la vetta si ridusse leggermente ma ancora una volta l'Inter rimase esclusa dalle finali, a causa di un terzo posto nel girone ligure-lombardo.[11] Nel 1913 la squadra venne ulteriormente rafforzata, in particolare con l'attaccante Julio Bavastro, che dette ai due fratelli Cevenini la possibilità di godere di una valida spalla d'attacco in grado di finalizzare al meglio la mole di gioco da loro svolta.[11] L'Inter riuscì a vincere il girone eliminatorio davanti a Juventus e Milan, ma nella fase successiva dovette arrendersi a Casale e Genoa.[11] Lo stesso andamento ebbe la stagione 1914-1915, coi nerazzurri primi nel loro girone eliminatorio e in quello di semifinale.[11] Nel girone di finale, però, il cammino nerazzurro fu interrotto dalla guerra, quando mancava una sola partita (Cevenini III fu il capocannoniere con 35 reti).[11] Molti dei giocatori interisti raggiunsero le prime linee e la società nerazzurra, come del resto le altre, pagò un prezzo salatissimo alla guerra: Fossati, Bavastro e Caimi persero la vita. Nel 1919 con la fine della guerra il calcio riprese il suo svolgimento.[11]

Dal secondo scudetto agli anni venti (1919-1928)[modifica | modifica wikitesto]

Il 2º scudetto (1919-1920)[modifica | modifica wikitesto]

L'Inter vittoriosa appena conclusa la Grande Guerra. Da sinistra Aebi, Agradi, Fossati II, Beltrame, Milesi e Cevenini III; accosciati, Francesconi, Campelli, Asti, Cevenini II e Conti.

Divenne presidente Giorgio Hülss (rimarrà soltanto in questa stagione), il quale scelse alla guida della squadra la coppia formata da Nino Resegotti e Francesco Mauro.[13] La compagine che andava ad affrontare il primo torneo del dopoguerra vedeva la presenza dei "vecchi" Aebi, Agradi, Asti e Campelli, oltre a quattro dei cinque fratelli Cevenini.[13] Inoltre entrarono in prima squadra Giuseppe Fossati, fratello di Virgilio, deceduto in guerra, e Leopoldo Conti, a inizio carriera.[13] Il suo arrivo all'Inter assunse le sembianze di un vero e proprio intrigo: conteso da due club minori milanesi, Conti fu atteso sotto casa da alcuni amici di fede nerazzurra, tra i quali Leone Boccali, il futuro dirigente de Il Calcio Illustrato, e convinto a vestire la maglia dell'Inter.[13]

Dopo aver vinto il girone lombardo con Brescia, Juventus Italia, Trevigliese, Cremonese e Libertas, i nerazzurri furono inseriti nel gruppo C di semifinale, insieme a Novara, Bologna, Torino, Andrea Doria ed Enotria Goliardo;[13] totalizzando 16 punti, superarono di tre lunghezze Novara e Bologna qualificandosi, con Juventus e Genoa, al girone finale, che avrebbe sancito la sfidante della vincente del torneo centromeridionale nella finalissima nazionale. Dopo aver battuto i bianconeri per 1-0, all'Inter fu sufficiente un pareggio col Genoa il 6 giugno 1920 per risultare il club primatista del Nord Italia.[13]

La retrocessione sfiorata

La stagione 1921-1922 fu caratterizzata da due federazioni distinte, CCI e FIGC, che organizzarono due campionati indipendenti. L'Inter prese parte alla Prima Divisione della CCI, inserita nel Girone B della Lega Nord. Le partite del girone dell'Inter si conclusero il 26 marzo 1922, coi nerazzurri piazzatisi ultimi a quota 11 punti. A questo punto il regolamento CCI, il quale non prevedeva retrocessioni dirette nei gironi settentrionali, imponeva all'Inter di disputare uno spareggio interdivisionale contro la seconda classificata di Seconda Divisione (lo Sport Club Italia di Milano). In caso di vittoria, i nerazzurri avrebbero evitato la discesa nella serie inferiore e condannato lo Sport Club Italia alla permanenza in essa; un'eventuale sconfitta, invece, avrebbe condannato l'Inter alla relegazione e concesso all'altro club milanese l'ammissione in massima serie.[14][15]

Nel frattempo, tuttavia, la soluzione dei due campionati separati non aveva incontrato favori, e dopo aspre polemiche il 26 giugno 1922 i dirigenti della FIGC e della CCI si riunirono a Brusnengo per elaborare una nuova composizione unitaria dei gironi nella successiva stagione 1922-1923. Arbitro e mediatore fu Emilio Colombo, direttore della Gazzetta dello Sport. Si giunse a un accordo fra le società rivali (noto come Compromesso Colombo), e il reintegro della CCI all'interno della FIGC derogò i precedenti regolamenti, comportando la sostituzione delle Categorie con sei "Divisioni" sul modello inglese.[16][17] La Prima e la Seconda furono dirette a livello nazionale da una sinergia di Lega Nord e Lega Sud, mentre le altre vennero demandate ai Comitati Regionali, confinati a un ruolo di secondo piano. Per determinare la composizione delle prime due Divisioni furono organizzati degli spareggi incrociati di ammissione tra squadre federali e confederate.

Il Compromesso, dunque, complicò la situazione dei nerazzurri, i quali si ritrovarono a dover disputare non più una, ma due sfide-salvezza. Il 2 luglio 1922 l'Inter vinse a tavolino (2-0) lo spareggio preliminare CCI in gara unica contro lo Sport Club Italia, che diede forfait non riuscendo a schierare in campo 11 giocatori. Il club meneghino approdò così al decisivo spareggio interfederale stabilito contro la Libertas Firenze. Il 9 luglio i nerazzurri si imposero a Milano contro i fiorentini per 3-0 (con doppietta di Aliatis e gol di Aebi) nella gara d'andata; infine, l'1-1 nel ritorno del 16 luglio a Firenze permise all'Inter di evitare la relegazione. Grazie a questo risultato, i nerazzurri sono l'unica squadra italiana ad aver militato ininterrottamente nella massima serie del campionato italiano di calcio fin dalla propria stagione di debutto (1908-1909) senza mai retrocedere in una serie inferiore.

Il 20 giugno, infine, i nerazzurri vinsero il titolo tricolore, seppure con più fatica del previsto, battendo il Livorno 3-2 nella finalissima nazionale di Bologna.[13] Questi gli uomini che avevano composto l'undici titolare nel corso della stagione: Campelli, Francesconi, Beltrame, Milesi, Fossati, Scheidler, Conti, Aebi, Agradi, Cevenini III e Asti. Come già era successo dopo il primo scudetto di dieci anni prima, il successo segnò anche l'inizio di un periodo di stasi, che vide i nerazzurri piombare in una sorta di mediocrità.[13]

Il periodo 1920-1928[modifica | modifica wikitesto]

Francesco Mauro divenne il nuovo presidente nerazzurro e l'Inter, affidata a una commissione tecnica, andò ad affrontare il campionato successivo alla vittoria del secondo scudetto con una rosa pressoché immutata. Il girone preliminare lombardo venne vinto agevolmente contro Casteggio, Giovani Calciatori Legnanesi e Ausonia Pro Gorla.[13] Dopo questi primi impegni, cominciava il girone finale lombardo, nel quale l'Inter si trovò di fronte Legnano, U.S. Milanese, Milan, Saronno e Trevigliese.[13] L'avversaria più ostica si rivelò il Legnano, mentre il Milan riservò le proprie forze alle due stracittadine, pareggiate entrambe.[13] Passavano le prime quattro e per i nerazzurri non fu difficile superare anche questo turno.[13] Il girone di semifinale interregionale mise di fronte all'Inter la Pro Vercelli, la Torinese e il Bentegodi Verona.[13] I nerazzurri però fecero solamente tre punti a fronte dei dieci dei bianchi piemontesi e dei nove della Torinese, finendo al terzo posto nel girone.[13]

Nel campionato 1921-1922 l'Inter arrivò ultima e dovette affrontare due spareggi di qualificazione per garantirsi la permanenza nella massima serie del calcio italiano: il primo turno la squadra lo vinse a tavolino, per rinuncia dell'avversaria, lo Sport Club Italia di Milano.[13] Nel turno successivo la squadra sconfisse la P.G.F. Libertas di Firenze per 3-0 a Milano e pareggiò 1-1 in trasferta.[13] L'Inter rimase nel campionato di Prima Divisione (divenuto F.I.G.C.) e non retrocedette nella serie inferiore (vedere riquadro a lato).

I nerazzurri, guidati da Bob Spottiswood, il primo allenatore professionista della storia del club, migliorarono sensibilmente le loro prestazioni nel campionato 1922-1923 ma non in maniera tale da colmare il divario con le squadre di vertice.[13] Il nuovo presidente, Enrico Olivetti, aveva condiviso la politica dei giovani, ma i risultati continuarono a latitare e non si andò oltre il terzo posto nel 1923-1924.[13] Nel 1924-1925 i nerazzurri, allenati da Paolo Schiedler si piazzarono quarti nel girone A della Lega Nord mentre la stagione successiva arrivarono quinti.[13]

Nel 1926 si arrivò ad una svolta: il nuovo presidente divenne Senatore Borletti mentre in panchina sedette l'ex giocatore interista Árpád Weisz, ungherese di origine ebrea.[13] Nel campionato 1926-1927 l'Inter arrivò prima a pari merito con la Juventus nel girone A.[13] Ma nel turno finale la formazione milanese chiuse al quinto posto.[13] Il campionato vinto dal Torino venne però considerato nullo e lo scudetto revocato per illecito sportivo.[13] In questa stagione l'Inter fece il suo esordio in Coppa Italia venendo eliminata al terzo turno. Nel 1927-1928 si arrivò ancora una volta nel girone finale ma stavolta i nerazzurri finirono al settimo posto. Questa stagione vide l'esordio del diciassettenne Giuseppe Meazza, che segnò 12 reti.[13]

L'Ambrosiana-Inter (1928-1945)[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Associazione Sportiva Ambrosiana.

Estate 1928: nasce la Società Sportiva Ambrosiana[modifica | modifica wikitesto]

Con l'instaurazione e l'affermazione del regime fascista nel corso degli anni venti, l'Inter si vide costretta a cambiare ragione sociale: il Partito Fascista non apprezzava infatti il nome "Internazionale", che non rispettava la tradizionale italianità promossa dalla linea di governo e richiamava troppo esplicitamente l'Internazionale per antonomasia, vale a dire la Terza Internazionale comunista;[18][19] inoltre vi era la volontà da parte del regime di ridurre, ove era possibile, il numero di squadre ad una sola per città; infatti è in questo periodo che nascono squadre come il Napoli, la Fiorentina e la Roma tutte formazioni nate dalla fusione delle varie squadre cittadine (ad eccezione della Lazio che non rientrò nella fusione capitolina).[19] Pertanto, nell'estate del 1928, l'F.C. Internazionale si unì all'Unione Sportiva Milanese, ovvero la terza squadra di Milano, mutando nome e casacca: nacque così l'Associazione Sportiva Ambrosiana, con tenuta bianca rossocrociata (colori di Milano) e segnata dal fascio littorio.[18][19] Senatore Borletti venne tolto dall'incarico e venne nominato l'ex presidente della U.S. Milanese Ernesto Torrusio, che divenne così l'undicesimo massimo dirigente della storia interista.[18][19]

L'8 settembre 1928[20] arrivò la ratifica ufficiale della fusione fra Inter e U.S. Milanese: «A seguito della fusione tra le società F.C. Internazionale e U.S. Milanese deliberata dalle superiori gerarchie ed effettuata dall'Ente Sportivo Provinciale Fascista di Milano, il Segretario del Partito, udito il parere del Commissario, ha ratificato le modalità della fusione stessa, la quale evita la dispersione delle forze calcistiche milanesi e consente l'entrata della Fiumana in Divisione Nazionale. La nuova società assume il nome di Società Sportiva Ambrosiana. La maglia sociale sarà bianca.»[18]

Nel campionato 1928-29, con allenatore un altro ungherese, József Viola, venne raggiunto il sesto posto nel girone B.

Il 3º scudetto (1929-1930)[modifica | modifica wikitesto]

Una formazione vincitrice del 3º scudetto: da sinistra in piedi, Gianfardoni, Degani e Allemandi; accasciati, Rivolta, Viani e Castellazzi; seduti, Visentin, Serantoni, Meazza, Blasevich e Conti.
Árpád Weisz, ungherese di origine ebrea, vinse il primo campionato a girone unico nel 1930.[21] Morì ad Auschwitz nel 1944.[21]

Ernesto Torrusio nel 1929 lasciò la presidenza a Oreste Simonotti. La nuova divisa durò poco tempo e, di nuovo in nerazzurro (ma con il colletto a scacchi bianconeri, colori sociali dell'U.S. Milanese), la squadra allenata nuovamente da Árpád Weisz conquistò il terzo scudetto in occasione del primo campionato a girone unico senza suddivisioni geografiche, la Serie A del 1929-1930.[19] Dopo aver vinto a Livorno alla prima partita, i nerazzurri persero a Vercelli col minimo scarto.[19] Un pareggio a Roma con la Lazio e la vittoria contro la Cremonese, introdussero gli uomini di Weisz al primo derby stagionale, che fu vinto grazie alla rete di Meazza nel secondo tempo (anche nel ritorno i nerazzurri prevalsero sui rossoneri).[19] Il Balilla, con una tripletta, fu il protagonista della goleada col Padova, nella settima giornata; la domenica successiva l'Inter fu battuta a Testaccio dalla Roma dell'ex Fulvio Bernardini.[19] Il momento non felice fu confermato dalla sconfitta interna con la Triestina, che allontanò il vertice della classifica.[19] Alla quindicesima giornata Meazza e compagni andarono a vincere in casa della capolista Genoa per 4-1.[19] In seguito l'Inter riuscì a violare anche il campo della Juventus, nella giornata successiva, e a vincere titolo di campione d'inverno.[19] La stagione proseguì rifilando un 6-2 al Livorno e un 4-0 alla Pro Vercelli.[19] Alla ventiquattresima giornata i nerazzurri, vincendo a Padova, approfittarono della contemporanea sconfitta della Juventus a Modena.[19] Nella giornata successiva venne battuta la Roma per 6-0 con quaterna di Meazza: proprio l'attacco si dimostrò il reparto più efficiente della squadra, rifilando una goleada dietro l'altra alle rivali, tra le quali spiccò l'8-0 sulla Pro Patria alla ventottesima giornata.[19] L'ultimo sussulto avvenne alla terzultima giornata, quando a far visita all'Inter arrivò il Genoa secondo in classifica a quattro punti: i nerazzurri, in svantaggio di 3 reti nel primo tempo, riuscirono a pareggiare 3-3 nel secondo tempo grazie a Meazza che segnò la tripletta decisiva.[19] La matematica certezza arrivò solo la domenica successiva con la vittoria sulla Juventus, partita preceduta da un incidente automobilistico occorso a Luigi Allemandi, condito da una scazzottata, che costrinse il terzino ad arrivare allo stadio proprio poco prima che cominciasse la gara. L'Inter divenne la prima squadra a vincere la Serie A e Meazza si laureò capocannoniere con 31 reti in 33 gare disputate.[19][22]

In campo internazionale venne raggiunta la semifinale di Coppa Mitropa, coppa riservata ai club di Austria, Italia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania e Jugoslavia.[19]

Il periodo 1930-1937[modifica | modifica wikitesto]

Il quinto posto nel 1930-1931 portò un'aria di cambiamento alla società: il nuovo timoniere Ferdinando Pozzani cambiò allenatore ingaggiando István Tóth e ottenne dalla FIGC il permesso per assumere la denominazione di Ambrosiana-Inter dopo la ricostituzione dell'U.S. Milanese (rinata come polisportiva, calcisticamente solo nel 1945), sciogliendo così la fusione coatta con l'Ambrosiana.[23] Lo stravolgimento societario non portò risultati, che si limitarono al sesto posto in campionato.[24]

Giuseppe Meazza: con 408 presenze e 288 gol totali è il miglior marcatore nella storia dell'Inter. Vinse tre volte il titolo di capocannoniere della Serie A.

Il nuovo ritorno di Árpád Weisz, permise all'Ambrosiana nel 1932-1933 di arrivare seconda, otto punti dietro la Juventus.[24] Il 1933 fu anche l'anno dell'unica finale in Mitropa Cup. Dopo aver eliminato First Vienna e Sparta Praga, ai nerazzurri restava da battere l'Austria Vienna: dopo la vittoria per 2-1 a Milano, a Vienna i nerazzurri vennero sconfitti 3-1 dai padroni di casa.[24]

Nel girone d'andata del 1933-1934 l'Ambrosiana batté la Juventus 3-2 all'Arena Civica.[24] Con le sconfitte nel girone di ritorno con Fiorentina e Torino i nerazzurri ottennero un altro secondo posto, stavolta con lo scarto ridotto a quattro punti.[24]

Nell'anno successivo, segnato dalla scomparsa di "Tito" Frione, all'ultima giornata Inter e Juventus erano a pari punti: i bianconeri vinsero a Firenze, mentre i nerazzurri persero contro la Lazio, con rete dell'ex nerazzurro Felice Levratto e la stagione divenne per i ragazzi allenati da Gyula Feldmann l'anno del terzo secondo posto consecutivo.[24]

Passarono due anni dove in panchina si avvicendarono Albino Carraro (sostituto di Feldmann, esonerato) e Armando Castellazzi, ottenendo un quarto e un settimo posto in Serie A e una semifinale di Mitropa Cup.[24]

Il 4º scudetto e la 1ª Coppa Italia (1937-1939)[modifica | modifica wikitesto]

Una formazione dell'Ambrosiana-Inter vincitrice dello scudetto nel 1938.

Partita la stagione 1937-1938 con un pareggio per 3-3 a Lucca, l'Ambrosiana, guidata ancora da Castellazzi, raggiunse la vetta della classifica alla nona giornata, per effetto della vittoria sulla Juventus.[25] Al quindicesimo turno, ultimo del girone di andata, i nerazzurri vinsero il titolo di campione d'inverno con quattro lunghezze di vantaggio sul Bologna. Il girone di ritorno si aprì con la goleada ai danni della Lucchese; alla ventiduesima giornata la Juventus affiancò i nerazzurri, per poi staccarli di due lunghezze due domeniche dopo.[25] I punti di distanza divennero poi tre alla ventiseiesima giornata, quando l'Ambrosiana fu sconfitta sul campo del Liguria.[25] In seguito i bianconeri persero a Trieste e cedettero in casa contro il Liguria, ex Sampierdarenese, a 90 minuti dalla fine.[25] L'Ambrosiana-Inter balzò così in testa e attese l'ultima giornata con una classifica che vedeva in testa i nerazzurri con 39 punti, poi la Juventus con 38 e Bologna, Genoa e Milan terze a quota 37.[25]

La squadra vinse lo scudetto all'ultima giornata, per effetto della vittoria di Bari: l'annuncio venne dato dagli altoparlanti di San Siro mentre si giocava Milan-Juventus con 40.000 nerazzurri infiltrati.[25] In serata migliaia di tifosi nerazzurri aspettarono il ritorno dei giocatori alla stazione di Milano, per festeggiare il quarto scudetto. Ancora una volta decisivo Meazza, autore di 20 centri stagionali in 25 presenze: nella stessa estate il Balilla portò l'Italia al secondo trionfo mondiale.[25]

La società compensò il ritiro di mister Armando Castellazzi con Tony Cargnelli, teorico del sistema (modulo che sostituisce il classico metodo danubiano). La squadra così rinnovata arrivò terza in Serie A e vinse la sua prima Coppa Italia nel 1938-39 battendo in finale il Novara per 2-1 con gol di Ferraris II e Frossi.[25]

Il 5º scudetto (1939-1940)[modifica | modifica wikitesto]

L'undici che vinse il 5º scudetto nel 1939-40.

A tener banco nelle cronache dell'estate del 1939 fu un "caso" che riguardò Meazza che rimase escluso dalla rosa titolare dell'Ambrosiana per via di un embolo che colpì il suo piede sinistro, noto come "il piede gelato".[26] I nerazzurri guidarono il campionato 1939-1940 con Tony Cargnelli ancora in panchina, vincendo all'ultima giornata lo scontro diretto con il Bologna e festeggiando lo scudetto sul neutro di San Siro, campo del Milan, scelto perché il numero di spettatori era superiore alla capienza massima dell'Arena Civica. Dopo otto giorni Benito Mussolini annunciò l'entrata dell'Italia in guerra.[25]

Il periodo 1940-1942[modifica | modifica wikitesto]

Gli anni successivi, ceduto Meazza e con la seconda guerra mondiale in corso, non c'erano certezze sul futuro e non si facevano grossi investimenti.[27] La stagione 1940-1941 vide l'Inter, allenata dalla coppia Zamberletti-Peruchetti arrivare seconda, mentre nel torneo successivo la squadra ottenne un dodicesimo posto che ebbe il solo vantaggio di evitare la retrocessione.[27]

La presidenza Masseroni (1942-1955)[modifica | modifica wikitesto]

Il periodo 1942-1952[modifica | modifica wikitesto]

Il presidente Carlo Masseroni nel 1954.

Dati i risultati del biennio precedente, il presidente Ferdinando Pozzani si fece da parte in favore di Carlo Masseroni, un industriale della gomma che era anche un grande appassionato di ciclismo.[27] La sua prima mossa fu l'allontanamento del tecnico Ivo Fiorentini, avvicendato da Giovanni Ferrari, appena passato dal calcio giocato alla panchina.[27] Sotto la guida di quest'ultimo l'Inter ottenne il quarto posto nel torneo 1942-1943.[27] Ormai il conflitto mondiale era arrivato anche in Italia ed era arrivato il momento di fermare i campionati.[27] Dopo la caduta del regime fascista, il 27 ottobre 1945 Masseroni annunciò che «l'Ambrosiana torna, da oggi, a chiamarsi solo ed esclusivamente Internazionale».[27]

Il primo torneo del dopoguerra fu anche quello che vide il ritorno dei gironi territoriali, resi necessari dalle difficoltà di movimento causate dalla distruzione delle infrastrutture viarie.[27] La squadra, affidata a Carlo Carcano, non andò oltre un quarto posto finale.[27] A gennaio del 1947 Carcano venne sostituito da Nino Nutrizio insieme all'allenatore-giocatore Giuseppe Meazza, tornato all'Inter a trentasei anni.[27] La coppia ottenne la salvezza nell'ultima partita da giocatore del Pepin.[27]

Soltanto Meazza venne confermato in panchina, poi comunque esonerato con il ritorno di Carcano.[27] Alla fine del 1947-1948, la terza piazza conquistata al giro di boa si ridusse al dodicesimo posto.[27] Nelle restanti giornate la squadra venne guidata dal gallese David John Astley che divenne il nuovo tecnico anche per la successiva stagione.

Nell'estate del 1948 Masseroni investì pesante sulla campagna acquisti ma i nuovi giocatori non offrirono il gioco richiesto da mister Astley, che venne sostituito a metà stagione da Giulio Cappelli. Quest'ultimo cominciò la rincorsa sul Torino grazie anche ai gol di Nyers, capocannoniere con 26 reti.[27] I nerazzurri tornarono nel gruppo di testa e diventarono il principale avversario dei granata.[27] Solo con lo 0-0 di Milano del 30 aprile 1949 i torinisti riuscirono ad assicurarsi la sicurezza del quinto tricolore di fila.[27] Quella contro i nerazzurri fu l'ultima partita ufficiale del Grande Torino poiché l'intera squadra scomparve il 4 maggio nella tragedia di Superga.[27]

L'annata successiva l'Inter arrivò terza nel torneo vinto dalla Juventus.[27]

Il torneo 1950-1951 si trasformò in una lotta tra le due milanesi, risolto alla penultima giornata quando la sconfitta interna del Milan con la Lazio veniva neutralizzata dalla concomitante sconfitta interista a Torino, coi granata.[27] La squadra giunse infine al secondo posto.[27] Nel torneo successivo la squadra arrivò terza.[27]

La gestione Foni: i due scudetti consecutivi (1952-1955)[modifica | modifica wikitesto]

Il 6º scudetto (1952-1953)[modifica | modifica wikitesto]

Alfredo Foni, vincitore dello scudetto al suo debutto sulla panchina nerazzurra.

Il 1952-1953 vide la squadra allenata dal dottor Alfredo Foni, un precursore del catenaccio, che reinventò Ivano Blason libero, scartò Faas Wilkes in favore di Bruno Mazza e inventò per Gino Armano l'innovativo ruolo di ala tornante.[28] Gli uomini di Foni presero il comando alla nona giornata e non lo mollarono più sino al termine.[28] Alla quindicesima giornata l'Inter sconfisse la Juventus e si ritrovò con quattro lunghezze di vantaggio sul Milan.[28] Nelle quattro giornate successive il vantaggio aumentò a otto punti, che divennero nove al ventiduesimo turno.[28]

Da quel momento i nerazzurri poterono dedicarsi alla difesa di quel vantaggio, ottenendo la sicurezza della vittoria alla quartultima giornata, con la vittoria sul Palermo che consegnò loro il sesto scudetto della storia interista, ottenuto anche grazie alle prestazioni della difesa che subì soltanto 24 reti.[28] Questa la formazione titolare: Ghezzi, Blason, Giacomazzi, Neri, Giovannini, Nesti, Armano, Mazza, Lorenzi, Skoglund, Nyers.

Il 7º scudetto e l'addio di Masseroni (1953-1955)[modifica | modifica wikitesto]

L'Inter 1953-54, la prima che seppe bissare il titolo ottenuto l'annata precedente. Nell'immagine una formazione della stagione: da sinistra Lorenzi, Skoglund, Nesti, Mazza, il capitano Giovannini e Nyers; accosciati Padulazzi, Armano, Neri, Ghezzi e Giacomazzi.

L'Inter riuscì a bissare lo scudetto, stavolta dopo una lotta con la Juventus, che vide alla fine prevalere i nerazzurri di un punto: fu la prima Inter capace di riconfermarsi campione d'Italia per due anni di fila.[28]

La svolta del campionato si ebbe alla trentaduesima giornata, quando la Juventus, sino ad allora appaiata in testa alla classifica con i nerazzurri, fu sconfitta a Bergamo, mentre l'Inter pareggiava sul campo di Palermo.[28] Quel prezioso punto venne difeso nelle due giornate che mancavano, consegnando così agli uomini di Foni il settimo scudetto. Questa la formazione titolare: Ghezzi, Giacomazzi, Padulazzi, Neri, Giovannini, Nesti, Armano, Mazza, Lorenzi, Skoglund, Nyers.

Masseroni, dopo che nel 1954-1955 la squadra arrivò ottava, decise di passare la mano ad Angelo Moratti.[28]

La presidenza di Angelo Moratti (1955-1968)[modifica | modifica wikitesto]

Il periodo 1955-1960[modifica | modifica wikitesto]

Il 28 maggio 1955, un sabato, Angelo Moratti diventò il nuovo presidente e patron dell'Inter. Moratti allontanò Alfredo Foni e puntò su Aldo Campatelli.[29] Conclusa una dispendiosa campagna acquisti, in campionato dopo sei giornate l'Inter era in testa, e una sequenza di cinque sconfitte portò all'esonero dell'allenatore alla tredicesima giornata.[29] Fu chiamato quindi Giuseppe Meazza dalle giovanili, che recuperò posizioni chiudendo il 1955-1956 al terzo posto.[29]

Angelo Moratti, presidente dell'Inter dal 1955 al 1968.

Dopo la rivoluzione dell'estate precedente, stavolta Moratti si dedicò al consolidamento dell'impianto preesistente ingaggiando Annibale Frossi, come direttore tecnico e Luigi Ferrero allenatore in panchina.[29] La squadra, dopo una partenza travagliata, si ritrovò in vetta alla dodicesima giornata e in seguito si ritrovò terza a metà torneo.[29] L'Inter tenne il passo delle prime sino alla venticinquesima giornata, quando Ferrero decise di mollare la guida tecnica a Frossi.[29] Il suo arrivo sulla panchina però non diede i frutti sperati e venne richiamato ancora Meazza: una iniziale serie positiva portò l'Inter al secondo posto, poi cinque sconfitte consecutive la fecero scendere in classifica.[29] Con la vittoria nell'ultima giornata i nerazzurri agguantarono la quinta posizione.[29] L'arrivo del centravanti Antonio Angelillo e dell'allenatore John Carver permisero nel 1957-1958 di far conquistare alla squadra il nono posto in classifica.[29] Per il 1958-1959 la panchina venne affidata a Giuseppe Bigogno ma a tre mesi dalla fine del campionato, ritornò in panchina Campatelli, con il quale l'Inter chiuse terza e perse la finale di Coppa Italia con la Juventus.[29] Angelillo realizzò 33 gol in 33 partite, record ineguagliato nella Serie A a 18 squadre, seppur segnando 5 volte nelle ultime 16 giornate.[29]

Nel 1959-1960 in panchina si sedette la coppia Campatelli-Achilli.[29] Dopo un buon girone d'andata, il ritorno di campionato fu peggiore del primo e la squadra fu eliminata ai quarti in Coppa delle Fiere.[29] Dopo una sconfitta nel derby venne esonerato Campatelli; dopo un mese toccò anche ad Achilli e il ritorno di Giulio Cappelli permise di chiudere in quarta posizione.[29]

La Grande Inter di Herrera: dai successi internazionali alla Stella (1960-1968)[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Grande Inter.

1960-1962: terzo e secondo posto[modifica | modifica wikitesto]

Helenio Herrera allenatore dell'Inter dal 1960 al 1968 e dal 1973 al 1974: sarà lui l'artefice dei primi successi internazionali nella storia del club.

Sotto la guida del nuovo tecnico Helenio Herrera, il 29 gennaio l'Inter si laureò Campione d'inverno con 26 punti. Il girone di ritorno fu meno positivo, caratterizzato da quattro sconfitte consecutive e la sospensione di Juventus-Inter che determinò dapprima la sconfitta a tavolino (0-2) per i bianconeri, i quali, dopo ricorso, ottennero la modifica della sanzione in una multa e la possibilità di rigiocare la partita.[30] L'incontro fu disputato quando il campionato regolare era già terminato, con lo scudetto alla Juventus: in segno di protesta i nerazzurri schierarono molti giovani della formazione De Martino, perdendo per 9-1 questa gara di recupero;[30] per l'Inter andò a segno Sandro Mazzola, e la squadra chiuse il campionato al terzo posto con 44 punti, dietro anche al Milan.[30][31]

Anche per la stagione 1961-1962 l'Inter fu campione d'inverno, salvo poi cedere la testa della classifica con prestazioni meno positive nel girone di ritorno. Alla fine il tricolore se lo aggiudicò il Milan, con l'Inter che arrivò seconda a 48 punti.

1962-1963: l'8º scudetto[modifica | modifica wikitesto]

Nella stagione 1962-1963 le parti dell'Inter e degli avversari si invertirono: la Juventus, in questo caso, fu campione d'inverno, con un punto di vantaggio sull'Inter che agganciò i bianconeri al primo posto il 3 febbraio. Successivamente, dopo un mese di coabitazione al primo posto, i torinesi persero il derby e l'Inter balzò in testa: non lasciò più la prima posizione, aumentò il suo vantaggio e terminò il campionato a quattro punti di distanza dalla Juventus. Fu il primo scudetto dell'era Moratti e ottavo della storia interista.

1963-1964: trionfo in Coppa dei Campioni[modifica | modifica wikitesto]

File:Inter Coppa Campioni 1964 - Armando Picchi con la coppa.jpg
Il vicepresidente Peppino Prisco e il capitano Armando Picchi al ritorno a Milano con la Coppa dei Campioni vinta contro il Real Madrid, sconfitto per 3-1 a Vienna.

Con la conquista dello scudetto, l'Inter poté così partecipare per la prima volta alla massima competizione continentale per club, la Coppa dei Campioni. I nerazzurri giunsero fino alla finale di Vienna dove incontrarono gli spagnoli del Real Madrid, vincendo per 3-1 e diventando la prima squadra in Europa a vincere la coppa senza neanche subire una sconfitta (sette vittorie e due pareggi).

In campionato l'Inter si classificò al primo posto a pari merito col Bologna (54 punti), così il 7 giugno venne disputato il primo e unico spareggio-scudetto della storia del campionato italiano: allo Stadio Olimpico di Roma il Bologna vinse per 2-0, divenendo Campione d'Italia.

1964-1965: il 9º scudetto, il bis in Europa e l'Intercontinentale[modifica | modifica wikitesto]

Nella stagione 1964-1965 l'Inter vinse il suo nono scudetto, la seconda Coppa dei Campioni consecutiva e la prima Coppa Intercontinentale della sua storia, e con queste vittorie diventò il primo club europeo ad essere nel contempo campione nazionale, europeo e mondiale. In campionato, caratterizzato da una serie di otto vittorie consecutive, l'Inter si aggiudicò lo scudetto aritmeticamente all'ultima giornata. In Coppa Italia fu sconfitta in finale dalla Juventus.

Nella coppa europea la squadra superò il Benfica per 1-0 con gol di Jair in finale, mentre la Coppa Intercontinentale fu vinta al terzo incontro sugli argentini dell'Independiente: fu la prima squadra italiana a vincere tale coppa.

1965-1966: lo scudetto della "stella" e la seconda Intercontinentale[modifica | modifica wikitesto]

File:Inter 1965-66.jpg
L'undici del 1966 che avrebbe vinto la stella. Da sinistra in piedi: Sarti, Facchetti, Guarneri, Bedin, Burgnich e capitan Picchi. Accosciati da sinistra: Jair, Mazzola, Peiró, Suárez e Corso.

Nella stagione 1965-1966 l'Inter vinse il suo secondo campionato di fila, caratterizzato da sei vittorie consecutive, che fu il decimo della sua storia e quindi quello della stella sul petto, simbolo di dieci scudetti. In Coppa dei Campioni la squadra venne eliminata in semifinale dal Real Madrid; stesso risultato in Coppa Italia, dove i nerazzurri furono sconfitti dalla Fiorentina. Inoltre, vinse nuovamente la Coppa Intercontinentale contro l'Independiente.

1966-1968: la fine di un ciclo[modifica | modifica wikitesto]

Nella stagione 1966-1967 l'Inter fu campione d'inverno ma perse lo scudetto all'ultima giornata a seguito della sconfitta contro il Mantova per 1-0 e venne sorpassata dalla Juventus, che fu quindi campione d'Italia. Una settimana prima la squadra aveva perso la finale di Coppa dei Campioni contro il Celtic di Glasgow.

Nel 1967 cambiò definitivamente denominazione in Football Club Internazionale Milano.

Il campionato 1967-1968 dell'Inter si concluse al quinto posto, partecipando al girone finale della Coppa Italia. Il 18 maggio 1968 Angelo Moratti lasciò, dopo tredici anni, la guida della società a Ivanoe Fraizzoli e con lui se ne andarono anche Helenio Herrera e Italo Allodi.

La presidenza Fraizzoli (1968-1984)[modifica | modifica wikitesto]

Il presidente Ivanoe Fraizzoli, in carica dal 1968 al 1984.

Il biennio 1968-1970[modifica | modifica wikitesto]

Il nuovo presidente fu Ivanoe Fraizzoli e richiamò all'Inter Alfredo Foni che negli anni cinquanta aveva vinto due scudetti consecutivi con i nerazzurri, di cui il primo con la tattica del catenaccio. Foni trasformò il suo metodo in una tattica offensiva che andava a scapito della difesa. Alla fine del campionato arrivò un quarto posto.

L'anno successivo in panchina arrivò Heriberto Herrera, soprannominato HH2 e la squadra giunse seconda in campionato alle spalle del Cagliari che vinse il suo primo scudetto.

L'11º scudetto (1970-1971)[modifica | modifica wikitesto]

Una formazione dell'Inter campione d'Italia nel 1970-1971. Da sinistra, in piedi: Vieri, Boninsegna, Burgnich, Giubertoni, Facchetti e Corso; accosciati, da sinistra, il capitano Mazzola, Righetti, Pellizzaro, Frustalupi e Bedin.

In estate se ne andò un altro reduce della Grande Inter, Suárez, che fu ceduto alla Sampdoria. A gennaio se ne andò definitivamente anche Guarneri (alla Cremonese) dopo un paio di stagioni passate a Bologna e Napoli. In compenso arrivarono il regista blucerchiato Mario Frustalupi, lo stopper Mario Giubertoni e l'ala Sergio Pellizzaro dal Palermo; alla guida tecnica venne confermato Heriberto Herrera, che schiera Vieri in porta, Cella libero, Giubertoni stopper, Burgnich e Facchetti terzini; a centrocampo Fabbian, Frustalupi in regia, Mazzola interno di punta, Corso ala sinistra, Pellizzaro tornante destro e Boninsegna in attacco.

Già eliminata da Coppa Italia e Coppa delle Fiere, l'Inter raccolse quattro punti in altrettante giornate e perdette il derby;[32] il presidente Fraizzoli mise a disposizione il proprio incarico ad un eventuale gruppo economico che avesse voluto acquistare la società.[32] Specificò questo nel comunicato del 9 novembre, con cui veniva esonerato HH2 e si affidava «temporaneamente» la guida tecnica a Giovanni Invernizzi, allenatore delle giovanili.[32] Le reazioni dei giocatori furono immediate: Mario Corso («Il licenziamento si imponeva»), Sandro Mazzola («In fondo non è proprio che lo abbiamo cacciato noi...») e Jair («Sono più che contento, ci voleva!») fecero capire che la "vecchia guardia" ebbe ottenuto ciò che chiedeva e prese in mano la situazione.[32] Assieme a Invernizzi, i "senatori" stilarono un'ambiziosa tabella che puntò allo scudetto, contro ogni pronostico.[32]

La squadra venne ritoccata, con l'arretramento di Burgnich a libero, il giovane Mauro Bellugi terzino destro, il ritorno di Jair all'ala e Mario Bertini al posto di Frustalupi.[32] Cominciò così una rincorsa al Milan che permise all'Inter di recuperare i sei punti di ritardo che accusava dai rivali: il 7 marzo i nerazzurri si aggiudicarono il derby di ritorno e distanziarono poi il Napoli, terzo in classifica, battendolo in uno scontro diretto in cui ci furono polemiche sulla nebbia che avvolgeva il Meazza e per le contestate marcature di Boninsegna.[32][33] La caduta casalinga del Milan contro il Varese favorì l'Inter, che vinse a Catania e poté andare a vincere aritmeticamente il titolo con una giornata d'anticipo grazie al 5-0 casalingo sul Foggia.[32]

Festeggiamenti per lo scudetto 1970-1971.

Questa la formazione titolare: Vieri, Bellugi, Facchetti, Bedin, Giubertoni, Burgnich, Jair, Bertini, Boninsegna, Mazzola, Corso.

La finale di Coppa Campioni (1971-1972)[modifica | modifica wikitesto]

L'Inter tornò quindi in Coppa dei Campioni dopo cinque anni di assenza. Superato il primo turno contro l'AEK Atene (4-1 e 2-3), i nerazzurri incrociarono il Borussia Mönchengladbach negli ottavi. L'andata in Germania passò alla storia come la "Partita della lattina". Al 29', con il Borussia in vantaggio per 2-1, Roberto Boninsegna cadde al suolo colpito da una lattina di Coca-Cola.[34] I nerazzurri, a stento trattenuti dal tecnico Invernizzi, assediarono l'arbitro olandese Jef Dorpmans chiedendo la sospensione dell'incontro.[34] I tedeschi a loro volta aggredirono gli italiani e si formarono diversi capannelli al centro del campo.[34] Nel parapiglia generale il giocatore del Borussia Günter Netzer vide la lattina a terra e la lanciò verso un poliziotto che immediatamente la fece sparire sotto il cappotto.[34] Si accorse di tutto Sandro Mazzola, che tentò di farsela restituire dall'agente, trovando solo la ferma opposizione di quest'ultimo.[34] A questo punto il capitano interista notò due tifosi italiani oltre le recinzioni e che uno dei due stava bevendo proprio da una lattina di Coca-Cola.[34] Si precipitò verso di loro, si fece passare la lattina e la consegnò all'arbitro fingendo che fosse il corpo del reato.[34] Nel frattempo Boninsegna non sembrava essere in grado di riprendersi e il medico dell'Inter ne ordinò la sostituzione.[35] L'autore del misfatto venne subito arrestato: si trattava di Manfred Kristein, un autista di 29 anni piuttosto alticcio.[34] A fine partita, conclusasi 7-1 per i tedeschi, puntuale scattò il reclamo della società milanese, che chiede la responsabilità oggettiva del Borussia. Alla commissione disciplinare dell'UEFA l'avvocato Peppino Prisco disse in sintesi:

«La partita non s'è svolta regolarmente dopo l'uscita di Boninsegna, colpito alla testa da una lattina. Il danno poteva essere molto più grave di quanto è stato. L'Inter ne è rimasta così frastornata che ha finito per perdere 7-1. Ma in quel momento il punteggio era di 1-1. Ci sono quindi tutti gli estremi per cancellare quella gara.[34]»

In una intervista nel suo studio di via Podgora nell'autunno del 1979, confessò di aver utilizzato a favore la sconfitta per 7-1.[34] Sarebbe stato diverso, in altre parole, se i tedeschi avessero vinto "solo" per 3-1. Lui voleva il 2-0 a tavolino e si accontentò della ripetizione dell'incontro.[34]

Il ritorno a San Siro si giocò il 3 novembre 1971 e venne vinto per 4-2 dall'Inter.[36] La ripetizione dell'incontro di andata si disputò a Berlino il 1º dicembre 1971. L'Inter si chiuse in difesa e grazie alle prodezze del giovane portiere Ivano Bordon (che parò anche un rigore a Klaus-Dieter Sieloff) riuscì a difendere lo 0-0 e si qualificò per i quarti di finale[37] dove sconfisse lo Standard Liegi coi risultati di 1-0 a Milano e 2-1 in Belgio. In semifinale sconfisse il Celtic ai rigori mentre in finale incontrò l'Ajax di Johan Cruijff e dell'allenatore rumeno Ștefan Kovács. Proprio Cruijff realizzò la doppietta che regalò la coppa agli olandesi.

In campionato l'Inter arrivò quinta, a pari merito con la Fiorentina, trascinata dai gol di Boninsegna ancora capocannoniere con 22 gol.

Il periodo 1972-1977[modifica | modifica wikitesto]

Il lustro successivo alla finale di Coppa vide un ridimensionamento degli obiettivi, con la squadra che cambiò vari allenatori (per un breve periodo si verificò il ritorno di Helenio Herrera, poi costretto all'abbandono da una crisi cardiaca) senza per altro andare mai oltre un quarto posto: nella stagione 1975-76 i nerazzurri non parteciparono neppure alle coppe, causa il nono posto del campionato precedente. L'unico acuto si registrò nel 1976-77, quando Chiappella condusse la squadra alla finale di Coppa Italia: nell'ultima apparizione di Mazzola, l'Inter fu sconfitta per 2-0 dal Milan.

Il ciclo di Bersellini (1977-1982)[modifica | modifica wikitesto]

File:Eugenio Bersellini 1978.jpg
Eugenio Bersellini, allenatore dell'Inter dal 1977 al 1982.
File:Graziano Bini, Coppa Italia 1977-1978 - Inter.png
Graziano Bini mentre riceva la seconda Coppa Italia della storia interista.

1977-1978: la 2ª Coppa Italia[modifica | modifica wikitesto]

Per questa stagione venne ingaggiato il tecnico Eugenio Bersellini.[38] Dopo sette anni i nerazzurri tornarono a vincere un trofeo, la Coppa Italia, la seconda della storia interista, superando nella finale unica di Roma il Napoli per 2-1 in rimonta grazie alla reti di Bini e Altobelli. Fu questa l'ultima annata di Giacinto Facchetti.

1978-1979: quarto posto[modifica | modifica wikitesto]

In questa stagione la squadra ottenne il quarto posto in campionato.

1979-1980: il 12º scudetto[modifica | modifica wikitesto]

L'avvio del campionato fu positivo, spiazzando le altre pretendenti (il Perugia di Paolo Rossi, la Juventus e il Torino, oltre al Milan campione in carica), destinate a uscire presto dalla lotta per il titolo.[39] Ma l'Inter non vinse per mancanza di avversari.[39] La squadra esibì valori importanti, che partono da una difesa altamente competitiva, con l'azzurro Bordon in porta, gli esterni Canuti o Giuseppe Baresi e il terzino-mediano Oriali, lo stopper Mozzini e il libero Bini: a parte il marcatore centrale, sono tutti prodotti del vivaio nerazzurro, così come il rincalzo Pancheri.[39] Il centrocampo era disposto a rombo con Caso davanti alla difesa, Marini a sinistra, Pasinato a destra, che fungeva quasi da ala grazie alle sue continue falcate e Beccalossi alle spalle delle due punte, Spillo Altobelli, centravanti alto e sottile[39] e Muraro, detto Jair Bianco,[40] ala sinistra cresciuta nel vivaio, così come il giovane rincalzo Ambu.[39][41]

Dopo la prima giornata (7 pareggi e 6 gol in 8 gare) l'Inter si ritrovò già sola in testa;[39] tampinata nelle giornate successive dal neopromosso Cagliari, la squadra nerazzurra chiuse il girone d'andata, il 6 gennaio 1980, con tre punti di vantaggio sul Milan.[39] I rossoneri iniziarono male il girone di ritorno e l'Inter si lanciò verso il titolo: il 2 marzo si ritrovò in testa con otto punti sui rossoneri, sulla Juventus e sull'Avellino, che cedette alla distanza.[39] Il 23 marzo, ventiquattresima giornata, al termine di sette partite di Serie A e Serie B vennero arrestati quattordici tesserati implicati nel cosiddetto Totonero.[39]

Una formazione della stagione 1979-1980. Da sinistra, in piedi: Bordon, Mozzini, Pasinato, Bini, Canuti, e Altobelli; accosciati, Marini, Baresi, Muraro, Oriali e Beccalossi.

L'Inter vinse lo scudetto il 27 aprile, con due turni d'anticipo, rimanendo in testa solitaria per tutto il campionato sin dalla prima giornata: una cavalcata che passò dal titolo di campione d'inverno al doppio successo nel derby (2-0 e 0-1) e al trionfo sulla Juventus per 4-0.[39] Intanto le sentenze per il calcioscommesse declassarono Lazio e Milan: i rossoneri finirono per la prima volta in Serie B.[39] Questa la formazione titolare: Bordon, Baresi, Oriali, Pasinato, Mozzini, Bini, Caso, Marini, Altobelli, Beccalossi, Muraro.

1980-1981: semifinale di Coppa Campioni[modifica | modifica wikitesto]

A nove anni dalla finale del 1972 persa a Rotterdam contro l'Ajax, l'Inter tornò in Coppa dei Campioni. In Italia erano state riaperte le frontiere: perso il francese Michel Platini (col quale era stato raggiunto un accordo due anni prima)[42] e il brasiliano Falcão[43] il club nerazzurro ripiegò sul nazionale austriaco Herbert Prohaska. Il cammino nerazzurro, dopo aver eliminato i rumeni dell'Universitatea Craiova, i francesi del Nantes e i serbi della Stella Rossa vincendo il ritorno al Marakana di Belgrado, si fermò in semifinale ad opera del Real Madrid di Vujadin Boškov. Al Bernabéu segnarono Santillana e Juanito. A San Siro segnò invece Graziano Bini, ma non fu sufficiente a ribaltare la partita dell'andata.

1981-1982: la 3ª Coppa Italia[modifica | modifica wikitesto]

Alessandro Altobelli segna il gol del pareggio contro il Torino nella vittoriosa finale di Coppa Italia della stagione 1981-1982.

Nella stagione 1981-1982 i nerazzurri riuscirono ad alzare la loro terza Coppa Italia: dopo aver vinto il girone eliminatorio nei confronti di Verona, Milan, SPAL e Pescara, nell'andata dei quarti di finale perse per 4-1 contro la Roma ma a Milano l'Inter rovesciò la situazione vincendo per 3-0. In semifinale venne superato il Catanzaro (2-1 in rimonta a San Siro e 2-3 dopo i supplementari al Militare, con l'Inter ridotta in nove uomini) e la doppia finale contro il Torino fu decisa dall'1-0 di Serena al Meazza e dall'1-1 del Comunale, con reti di Cuttone e Altobelli. Tra i giovani c'è da segnalare l'esordio in Serie A di Riccardo Ferri, difensore cresciuto nel vivaio. In Coppa UEFA il cammino dell'Inter si fermò al secondo turno per opera dei rumeni della Dinamo Bucarest.

In campionato un derby deciso da Oriali costò caro al Milan che a fine anno retrocesse nuovamente in Serie B. Si affermò in nerazzurro il diciottenne Giuseppe Bergomi che fu convocato, insieme a Bordon, Altobelli, Marini e Oriali da Enzo Bearzot nella Nazionale azzurra per il vittorioso campionato del mondo in Spagna.

Da Marchesi a Radice (1982-1984)[modifica | modifica wikitesto]

In panchina venne ingaggiato Rino Marchesi. In campionato la squadra ottenne molti pareggi e poche vittorie e ci fu un nuovo sospetto di Totonero: il caso Genoa-Inter.[44] Inoltre, il 3-3 di Juventus-Inter del 1º maggio 1983 venne tramutato in 0-2 dal Giudice Sportivo, a causa di un sasso che aveva colpito, ferendolo, il nerazzurro Gianpiero Marini mentre si trovava nel pullman della squadra nei pressi del Comunale, così la Roma poté vincere matematicamente lo scudetto una settimana dopo, l'8 maggio.[45] La squadra arriverà terza alla fine. In questa stagione fece il suo esordio il portiere Walter Zenga. In Coppa delle Coppe (alla sua seconda e ultima partecipazione), dopo aver eliminato i cechi dello Slovan Bratislava (nonostante due rigori sbagliati nella stessa partita da Beccalossi) e gli olandesi dell'AZ Alkmaar, l'Inter venne eliminata ancora una volta dal Real Madrid, dopo il pareggio dell'andata per 1-1 a San Siro venne sconfitta 2-1 al Bernabéu e dovette dire addio alla competizione.

L'anno successivo sedette in panchina Luigi Radice e la stagione si concluse con un quarto posto.

La presidenza Pellegrini (1984-1995)[modifica | modifica wikitesto]

Da Castagner a Corso (1984-1986)[modifica | modifica wikitesto]

Ernesto Pellegrini, presidente dell'Inter dal 1984 al 1995.

Nel marzo 1984 l'allora vicepresidente Ernesto Pellegrini rilevò, per 7 miliardi di lire, la società da Fraizzoli: il primo acquisto per la stagione successiva fu quello di Karl-Heinz Rummenigge.[46][47][48]

Con Castagner in panchina, nel campionato 1984-85 l'Inter contese lo scudetto all'Hellas Verona ma finì al terzo posto: in Coppa UEFA raggiunse la semifinale, arrendendosi al Real Madrid.[49][50] I madrileni furono gli artefici dell'eliminazione anche l'anno seguente, nel medesimo turno[51] allenati da Corso (che prese il posto di Castagner nell'autunno 1985). I nerazzurri finirono il campionato 1985-86 in sesta posizione.[52]

La gestione Trapattoni (1986-1991)[modifica | modifica wikitesto]

Il periodo 1986-1988[modifica | modifica wikitesto]

File:Giovanni Trapattoni - 1987 - FC Inter.jpg
Giovanni Trapattoni, sulla panchina nerazzurra dal 1986 al 1991, riportò i milanesi allo scudetto dopo nove anni (1989) e a un trionfo europeo dopo ventisei (1991).

L'estate 1986 portò a Milano l'ex bianconero Giovanni Trapattoni, vincitore di 6 Scudetti nel capoluogo piemontese.[53] Nella sua prima stagione, la squadra patì l'infortunio di Rummenigge[54] ma ottenne un positivo terzo posto.[55] L'annata successiva fu più deludente, con un piazzamento in quinta posizione e l'addio del capitano Altobelli.[56]

1988-1989: lo Scudetto dei record, il 13º[modifica | modifica wikitesto]

Dalla Germania arrivarono il centrocampista Lothar Matthäus e il terzino sinistro Andreas Brehme.[57] In difesa avevano ormai trovato spazio il portiere Walter Zenga e i difensori Riccardo Ferri e Giuseppe Bergomi davanti ad Andrea Mandorlini (trasformato in libero). Gianfranco Matteoli da regista avanzato venne arretrato davanti alla difesa a creare gioco mentre al suo posto andò Matthäus.[57] Accanto a loro fu acquistato l'interno Nicola Berti, dalla Fiorentina, e il tornante di destra del Cesena, Alessandro Bianchi.[57] Il centravanti Aldo Serena fece coppia con l'argentino Ramón Díaz, arrivato a Milano all'ultimo minuto in prestito dalla Fiorentina dopo la bocciatura di Rabah Madjer. Momentaneamente acquistato da Pellegrini, con tanto di foto ufficiali e presentazione in sede alla stampa, l'algerino, dopo che le visite mediche rilevarono un infortunio muscolare alla coscia che poteva comprometterne l'integrità fisica, non firmò mai il contratto.[57][58]

Una formazione dell'Inter dei record, stagione 1988-1989. Da sinistra, in piedi: Zenga, Ferri, Berti, Bergomi, Serena e Matthäus; accosciati: Díaz, Brehme, Bianchi, Matteoli e Mandorlini.

I nerazzurri andarono già in testa solitari alla quinta giornata, distanziando il Milan di un punto e la Sampdoria e il Napoli di due. Nelle giornate successive il Milan accusò un rallentamento: l'11 dicembre, la sconfitta nel derby impedì ai rossoneri di bissare il titolo. Soltanto il Napoli riuscì a seguire l'Inter, a tre punti di distacco. La situazione non cambiò dopo lo scontro diretto del San Paolo, il 15 gennaio (0-0); il 5 febbraio l'Inter diventò campione d'inverno e la domenica successiva la rocambolesca sconfitta di Firenze per 4-3 permise al Napoli di ridurre il distacco a un punto.

L'Inter vinse tutte le prime otto gare del girone di ritorno e allungò ancora sui partenopei; il 9 aprile i punti di vantaggio tra prima e seconda classificata furono sette. Vincendo lo scontro diretto del 28 maggio grazie a una punizione di Lothar Matthäus, i milanesi conquistarono matematicamente il loro 13º scudetto. Fu lo scudetto dei record: mai nessuna squadra sarebbe riuscita a toccare quota 58 con i due punti a vittoria. Aldo Serena vinse la classifica dei marcatori con 22 gol. Questa la formazione titolare: Zenga, Bergomi, Brehme, Matteoli, Ferri, Mandorlini, Bianchi, Berti, Díaz, Matthäus, Serena.

1989-1990: la prima Supercoppa Italiana[modifica | modifica wikitesto]

Festeggiamenti per la vittoria della prima Supercoppa italiana ai danni della Sampdoria.

Nella stagione successiva fu ceduto Ramón Díaz e al suo posto venne preso il tedesco Jürgen Klinsmann dallo Stoccarda. La squadra venne subito eliminata in Coppa dei Campioni, dal Malmö allenato dall'inglese Roy Hodgson mentre in campionato arrivò terza. In questa stagione venne conquistata la prima Supercoppa italiana ai danni della Sampdoria sconfitta 2-0 a San Siro con le reti di Enrico Cucchi e Aldo Serena. La squadra con Brehme, Klinsmann e Matthäus venne rinominata dei "tre tedeschi", che poi andarono a conquistare con la propria nazionale il mondiale.[59][60][61]

1990-1991: la prima Coppa UEFA[modifica | modifica wikitesto]

Il mondiale del 1990 vide vittoriosa la Germania di Lothar Matthäus, il quale a dicembre vinse il Pallone d'oro e anche il FIFA World Player of the Year, primo giocatore della storia dell'Inter ad avvalersi di entrambi i prestigiosi riconoscimenti.

Nella stagione 1990-1991 la squadra lottò per lo scudetto insieme alla Sampdoria; alla dodicesima giornata, approfittando del rinvio delle gare di Sampdoria e Milan, impegnate a fronteggiarsi nella Supercoppa europea, i nerazzurri andarono soli in testa. L'Inter rimase in vetta per diverse giornate, talvolta anche in compagnia di Sampdoria e Juventus, e andò a vincere il titolo d'inverno il 20 gennaio, con un punto di vantaggio sul Milan e due sul terzetto formato da Sampdoria, Juventus e Parma. Nel girone di ritorno rimasero presto in lotta i blucerchiati e le milanesi. Furono gli scontri diretti a sancire lo scudetto dei genovesi che batterono anche l'Inter vincendo 2-0 al Meazza, in un incontro nel quale Pagliuca parò un rigore a Matthäus sull'1-0 per i doriani.[62]

File:Bergomi e Ferri Coppa UEFA 1990-1991 Roma-Inter.jpg
Giuseppe Bergomi e Riccardo Ferri con la Coppa UEFA conquistata al termine della doppia finale del 1990-1991 con la Roma.

In Coppa UEFA la squadra raggiunse la sua prima finale dove incontrò la Roma. All'andata a Milano i nerazzurri vinsero 2-0 con reti di Matthäus su rigore e di Nicola Berti. Nel ritorno, all'Olimpico, l'Inter perse per 1-0 con gol di Ruggiero Rizzitelli vincendo comunque il trofeo: erano ventisei anni che l'Inter non vinceva un trofeo internazionale. L'avventura di Trapattoni sulla panchina nerazzurra si chiuse il 22 maggio 1991 dopo esattamente cinque anni.

L'annata di Orrico (1991-1992)[modifica | modifica wikitesto]

Nell'estate del 1991 Trapattoni tornò alla Juventus e Pellegrini decise di sostituirlo con l'emergente Corrado Orrico, reduce da una promozione in Serie B con la Lucchese seguita da un campionato nella serie cadetta con promozione sfiorata. Sostenitore del modulo a zona, Orrico tentò di applicarlo anche all'Inter (facendo costruire la "gabbia") ma la squadra non riuscì ad assimilare il nuovo sistema di gioco. In Coppa UEFA ci fu l'eliminazione ad opera del Boavista nel primo turno. Il tecnico fu sostituito da Luis Suárez e l'Inter giungerà ottava rimanendo esclusa dalle coppe europee dopo sedici anni (record di partecipazioni consecutive alle coppe europee nella storia del club).[63][64]

Da Bagnoli a Marini: la seconda Coppa UEFA (1992-1994)[modifica | modifica wikitesto]

Nella stagione 1992-1993 la panchina passò nelle mani di Osvaldo Bagnoli, già campione d'Italia con il Verona nel 1985 e che aveva allenato il Genoa portandolo in Europa. Dopo un avvio con tre sconfitte nelle prime dodici giornate, l'Inter migliorò la sua classifica in primavera. L'acquisto dell'annata fu l'uruguaiano Rubén Sosa, che segnò 20 reti in 28 presenze, la maggior parte delle quali nel girone di ritorno. L'Inter quindi vinse sei partite di seguito finendo il campionato al secondo posto a quattro punti dal Milan campione.

Dennis Bergkamp posa con il trofeo della Coppa UEFA 1993-1994, conquistata nella doppia finale contro gli austriaci del Salisburgo; l'olandese risultò inoltre capocannoniere dell'edizione con 8 reti.

L'anno successivo vennero acquistati gli olandesi Wim Jonk e Dennis Bergkamp dell'Ajax ma i troppi infortuni peggiorarono una situazione già compromessa.[65] Nella sesta giornata di ritorno Bagnoli venne esonerato e subentrò Gianpiero Marini, allenatore della Primavera.[66] I successivi risultati però furono peggiori, con due sole vittorie, altrettanti pareggi e otto sconfitte, tanto che l'Inter si salvò alla penultima giornata per un punto.

Ma in Coppa UEFA il cammino fu radicalmente diverso. La squadra nerazzurra infatti raggiunse la finale per la seconda volta dove incontrò la squadra austriaca del Casino Salisburgo. L'Inter si impose in entrambi gli incontri per 1-0 sollevando così per la seconda volta il trofeo.[67][68]

L'era-Pellegrini era terminata: l'ultima decisione rilevante fu quella di assumere come tecnico Ottavio Bianchi e si entrò nella nuova era-Moratti.

La presidenza di Massimo Moratti (1995-2013)[modifica | modifica wikitesto]

Da Bianchi ad Hodgson (1994-1997)[modifica | modifica wikitesto]

La vittoria della Coppa UEFA, la seconda nella storia dei nerazzurri, influì poco sui destini sportivi dell'Inter: la presidenza Pellegrini era ormai alla fine e la conduzione tecnica fu affidata ad Ottavio Bianchi.

Il 18 febbraio 1995 Pellegrini cedette l'Inter, che tornò dopo 27 anni nelle mani della famiglia Moratti.[69] Fu Massimo, figlio di Angelo, a prenderne le redini.[69] Il giorno dopo il nuovo presidente esordì al Meazza con un successo: l'Inter batté il Brescia per 1-0.[70] Il nuovo presidente confermò il tecnico Bianchi, una scelta che non trovò pieno consenso nei tifosi.[71] La stagione si concluse in rimonta: la squadra risalì la china della classifica e alla fine non andò oltre la sesta posizione in campionato, conquistando la qualificazione per la Coppa UEFA all'ultima giornata.

File:Massimo Moratti (1995).jpg
Massimo Moratti, figlio di Angelo, ha assunto la carica di presidente il 18 febbraio 1995.

Per la stagione seguente, la prima ad iniziare con Moratti presidente, la dirigenza decise di rinnovare la fiducia ad Ottavio Bianchi ma venne esonerato dopo quattro turni di campionato e rimpiazzato dall'inglese Roy Hodgson, già CT della Nazionale svizzera. Proprio a causa dei numerosi impegni con essa, la prima squadra venne momentaneamente affidata Luis Suárez.[72] La squadra concluse il campionato 1995-1996 al settimo posto mentre in Coppa UEFA fu eliminata al primo turno dal Lugano.

La stagione 1996-1997 dei nerazzurri si concluse con il terzo posto, a 6 punti dalla Juventus campione d'Italia. In campo internazionale l'Inter fu artefice di un percorso positivo in Coppa UEFA, competizione in cui raggiunse la finale contro lo Schalke 04. A Gelsenkirchen la partita di andata finì 1-0 per i tedeschi, a Milano 1-0 per l'Inter. Si andò così ai supplementari e infine ai tiri di rigore. Zamorano e Winter fallirono dal dischetto, consegnando così ai tedeschi, che andarono a segno con tutti i loro quattro tiratori, la coppa.[73] La sconfitta europea provocò le dimissioni di Hodgson, sostituito nelle ultime due giornate di campionato da Luciano Castellini, in attesa di ingaggiare un nuovo tecnico per la stagione futura.[74]

Dalla terza Coppa UEFA con Simoni all'annata dei quattro allenatori (1997-1999)[modifica | modifica wikitesto]

Nell'estate 1997 Moratti ingaggiò l'allenatore Luigi Simoni e acquistò per 48 miliardi di lire dal Barcellona il brasiliano Ronaldo, eletto Pallone d'oro nel dicembre di quell'anno.[75] Con l'innesto del Fenomeno, nella stagione 1997-1998 la squadra tornò a battersi per lo scudetto insieme alla Juventus.

File:Ronaldo, FC Internazionale 1997.jpg
Il brasiliano Ronaldo, acquistato dal Barcellona nell'estate 1997, venne nominato Pallone d'oro nel dicembre dello stesso anno.

I nerazzurri condussero la classifica per le prime 16 giornate e nonostante la vittoria del primo scontro diretto il 4 gennaio,[76] vennero sorpassati a metà torneo dai bianconeri, campioni d'inverno, complice una sconfitta casalinga contro il Bari (0-1) e un pareggio ad Empoli (1-1).[77] A quattro giornate dalla fine, con la Juventus capolista a quota 66 punti e l'Inter seconda a 65, le due rivali si affrontarono a Torino dove gli ospiti persero 1-0, recriminando veemente per un contatto nell'area bianconera che l'arbitro Ceccarini ritenne di non sanzionare;[78] nel proseguimento dell'azione fu invece la Juventus a guadagnare un rigore (poi parato da Pagliuca): nel frattempo Simoni, infuriato per la condotta della giacchetta nera, era entrato in campo con la palla ancora in gioco, trattenuto a stento dagli addetti, dirigendosi verso il direttore di gara e gridandogli ripetutamente «Si vergogni!», per essere infine espulso.[79] Nei turni successivi la squadra meneghina perse ulteriore terreno dopo il pareggio in casa contro il Piacenza (0-0)[80] e la decisiva sconfitta a Bari per 2-1 contro i pugliesi, il 10 maggio. Con una giornata d'anticipo la Juventus vinse così il campionato.

In Coppa UEFA anche quest'anno il cammino fu positivo raggiungendo per la quarta volta in otto anni la finale. Al Parco dei Principi di Parigi, il 6 maggio, la squadra di Simoni incontrò la Lazio battendola 3-0 con reti di Zamorano, Zanetti e Ronaldo. L'Inter vinse la prima finale unica del torneo.[81]

La conquista del trofeo valse la conferma di Simoni, che dalla stagione seguente ebbe a disposizione Roberto Baggio.[82] L'ex bolognese avrebbe dovuto far coppia con Ronaldo, che tuttavia rientrò dal Mondiale di Francia in precarie condizioni fisiche.[83] Il secondo posto del campionato 1997-98, unito alla riforma delle coppe europee, permise ai nerazzurri di tornare in Champions League (chiamata Coppa dei Campioni in precedenza) dopo nove anni: eliminando i lettoni dello Skonto Riga nel preliminare[84], la squadra entrò nella fase a gironi.[85] Fu una doppietta del Divin Codino contro il Real Madrid, nella penultima giornata, a garantire la qualificazione per i quarti di finale[86]; Simoni venne tuttavia esonerato pochi giorni dopo, a causa della posizione in campionato.[87] Moratti affidò la conduzione al romeno Mircea Lucescu[88], che portò i nerazzurri a raggiungere le semifinali di Coppa Italia.[89] In Europa, l'Inter fu eliminata dal Manchester United con il risultato complessivo di 1-3.[90][91] Lucescu perse a sua volta il posto, a causa della pesante sconfitta (4-0) rimediata con la Sampdoria[92]: nei restanti due msi di campionato, l'Inter fu guidata da Hodgson prima e Castellini poi.[93] Il presidente rassegnò le dimissioni dall'incarico ancor prima dell'epilogo del torneo[94], che vide i nerazzurri piazzarsi all'ottavo posto.[95] A coronamento di un'annata deludente, fu perso anche lo spareggio con il Bologna per accedere alla Coppa UEFA.[96][97]

Da Lippi a Tardelli (1999-2001)[modifica | modifica wikitesto]

Nell'estate del 1999 la dirigenza ingaggiò Marcello Lippi che, dopo un quinquennio alla Juventus, si era dimesso a febbraio. Lippi chiese alla società di non rinnovare il contratto del capitano Giuseppe Bergomi, che attendeva il rinnovo dopo un'annata positiva, terminando così la sua carriera interamente giocata con la maglia dell'Inter dopo 20 anni.[98] Al termine della stagione l'Inter si piazzò quarta e vinse lo spareggio per l'ingresso in Champions League contro il Parma del 23 maggio per 3-1, grazie a due reti di Roberto Baggio, le ultime in maglia nerazzurra e al sigillo finale di Zamorano. Avendo la Lazio vinto scudetto e coppa nazionale, la squadra nerazzurra si qualificò per la finale di Supercoppa Italiana in quanto finalista di Coppa Italia.

Nella stagione successiva i meneghini furono eliminati dalla Champions League già ad agosto, nel terzo turno preliminare, dagli svedesi dell'Helsingborg. La squadra perse anche la finale di supercoppa italiana contro la Lazio per 4-3 e la partita d'esordio in campionato con la Reggina (1-2 a Reggio Calabria), provocando lo sfogo televisivo di Lippi, che si rivolse ai giocatori con toni rabbiosi.[99] A causa del clima creatosi nello spogliatoio la dirigenza optò per l'esonero dell'allenatore toscano: due giorni più tardi sulla panchina dell'Inter fu chiamato Marco Tardelli. Nonostante il cambio della guida tecnica l'Inter chiuse il campionato al quinto posto davanti al Milan, qualificandosi in Coppa UEFA. Tardelli non venne quindi confermato sulla panchina della squadra.

Al termine della stagione scoppiò lo scandalo dei passaporti falsi, riguardante la naturalizzazione illecita di alcuni calciatori extracomunitari: tra le società coinvolte figurò anche l'Inter per la vicenda della nazionalità di Álvaro Recoba. Il direttore sportivo Gabriele Oriali patteggiò 20.000 euro di ammenda e Recoba subì una squalifica totale di due anni, poi ridotta dalla FIGC a sei mesi di squalifica nelle competizioni nazionali e internazionali con diffida.

Il biennio di Cúper e la stagione con Zaccheroni (2001-2004)[modifica | modifica wikitesto]

Per la stagione 2001-02, Moratti puntò su Héctor Cúper: il tecnico argentino, reduce da due sconfitte consecutive in finale di Champions League, ricordò a molti Helenio Herrera.[100] In campionato la squadra andò in vetta per varie volte[101] ma, dopo l'addio allo storico vicepresidente Prisco, fallì la conquista del titolo di metà stagione.[102] A fine marzo, battendo la Roma, riguadagnò il comando per quello che suonò come lo sprint decisivo.[103] L'ambiente fu però destabilizzato dall'eliminazione in Coppa UEFA (torneo nel quale l'Inter era entrata tra le semifinaliste)[104], nonché dalla perdita di punti destinati a rivelarsi fondamentali per lo scudetto.[105] Tallonata da Juventus e Roma, la formazione finì per perdere il titolo all'ultima giornata: la sconfitta in casa della Lazio, per 4-2, fece finire i nerazzurri al terzo posto.[106] L'obiettivo fallito e la conseguente delusione portarono all'addio di Ronaldo, in particolare per la conferma dell'allenatore con cui il calciatore aveva rapporti difficili.[107]

Nella stagione seguente, senza più il brasiliano (che a fine 2002 avrebbe vinto il Pallone d'oro con la maglia del Real Madrid) ma con un Vieri al massimo della forma[108], l'Inter fu ancora insignita tra le favorite.[109] Si fece nuovamente sfuggire il titolo d'inverno[110], mentre in Champions entrò tra le prime 4.[111] Sul fronte dello scudetto, risultarono fatali i punti persi con le formazioni di alta classifica: battuta dalla Juventus e nei derby, ottenne solo pareggi con le romane.[112] La corsa europea si fermò contro i cugini del Milan, prevalsi in semifinale dopo 2 pari (per la regola dei gol in trasferta).[113] Unito al secondo posto in campionato[114], il buon risultato di coppa valse un'ulteriore conferma di Cúper.[115] Il presidente tornò tuttavia sulla decisione nell'autunno 2003, dopo l'ennesimo capitombolo nella stracittadina.[116] L'argentino venne sostituito da Alberto Zaccheroni il quale, nel pieno di una situazione provvisoria (segnata anche dalle dimissioni di Moratti, rimpiazzato da Facchetti[117]), centrò il quarto posto e l'ingresso nei preliminari di Champions.[118] L'allenatore, a stagione conclusa, fu comunque esonerato.[119]

Il ciclo vincente di Mancini (2004-2008)[modifica | modifica wikitesto]

Roberto Mancini, vincitore di 7 trofei (3 Campionati, 2 coppe Italia e 2 Supercoppe italiane) in meno di 3 anni (dal 15 giugno 2005 al 18 maggio 2008).

Nell'estate 2004 giunse, dalla Lazio, il tecnico Roberto Mancini.[120] Nella sua prima stagione riportò l'Inter al successo, conquistando la Coppa Italia: fu il primo trofeo dal 1998.[121][122] Un'altra vittoria aprì l'annata 2005-06, con il trionfo in Supercoppa italiana.[123] Nel 2006, la squadra si riconfermò nella coppa nazionale[124]: in estate, a seguito delle sentenze di Calciopoli che declassarono la Juventus e penalizzarono il Milan, le fu anche assegnato lo scudetto.[125]

La retrocessione, a tavolino, dei bianconeri rese l'Inter (che nel frattempo vinse un'altra Supercoppa[126]) l'unica squadra sempre presente in Campionato. Sulla scia del ritorno ai vertici, giunse anche lo Scudetto 2006-07 vinto con 97 punti in classifica (primato europeo) e 17 vittorie consecutive.[127][128] La formazione era quasi esclusivamente straniera, con l'eccezione di Materazzi (assoluto protagonista) e del secondo portiere Toldo (il cui posto di titolare venne preso dal brasiliano Júlio César).[129] La difesa era imperniata sul capitano Zanetti, su Maicon e Samuel[129]; a centrocampo agivano Vieira, Stanković, Cambiasso e Luís Figo[129] mentre in attacco Ibrahimović (prelevato, insieme a Vieira, dalla Juventus dopo la discesa in B) veniva affiancato da Crespo e Cruz.[129] In aggiunta all'undici titolare, anche le riserve (tra cui Córdoba e Adriano) seppero fornire il proprio contributo.[129] Il trionfo venne dedicato alla memoria di Facchetti, scomparso nel settembre 2006: Moratti aveva così ripreso l'incarico presidenziale, abbandonato 2 anni prima.[130]

L'Inter festeggia la vittoria della 5ª Coppa Italia, nel maggio 2006.

Malgrado il netto successo, non mancarono critiche per il gioco espresso in campo e il livello medio del campionato (dovuto all'assenza della Juventus e alle penalizzazioni di altre possibili rivali).[131] Anche in ragione di tali polemiche, un maggior peso assunse lo scudetto del 2008, vinto in coincidenza con il centenario.[132] Diversamente dal tricolore precedente (vinto, aritmeticamente, con 5 giornate di anticipo), l'Inter trionfò soltanto all'ultimo turno, ancora davanti alla Roma.[132][133] Insieme ad alcune positive novità, come l'esordio del giovane Balotelli[132], emersero anche vecchie carenze: tra queste l'ennesimo fallimento in campo europeo e l'esasperazione dell'ambiente.[132] La situazione culminò in maniera comunque inattesa, con l'esonero di Mancini a pochi giorni dal successo.[134]

I successi con Mourinho (2008-2010)[modifica | modifica wikitesto]

José Mourinho: nel biennio all'Inter, il portoghese ha vinto 5 trofei.

Mancini venne sostituito da José Mourinho, con cui la squadra incassò subito la conquista della Supercoppa italiana.[135] Il campionato 2008-09 vide un'ulteriore affermazione interista, con il 17º titolo italiano: ciò permise di eguagliare il Milan nell'albo d'oro.[136]

Nella stagione 2009-10, l'Inter vinse il 5º Campionato di fila (diciottesimo complessivo) al termine di una lotta a due con la Roma.[137] Incamerò anche la 6ª Coppa Italia, ma soprattutto tornò a vincere la massima competizione continentale dopo 45 anni: l'avventura in Champions League iniziò in salita, con i nerazzurri che superarono il girone da secondi classificati.[138]

Nella fase a eliminazione diretta eliminò il Chelsea, il CSKA Mosca e i campioni continentali del Barcellona, già affrontati nel gruppo. La finale, la prima in campo internazionale dopo 12 anni, vide i milanesi trionfare sul Bayern Monaco grazie alla doppietta di Diego Milito.[139] Subito dopo il Triplete (mai realizzato da nessun'altra squadra italiana), Mourinho passò al Real Madrid.[140]

Il post-triplete (2010-2013)[modifica | modifica wikitesto]

2010-2011: 5ª Supercoppa italiana, Mondiale per club, 7ª Coppa Italia[modifica | modifica wikitesto]

Rafael Benítez, vincitore con l'Inter della Supercoppa italiana e del Mondiale per club.

Il 10 giugno 2010 venne ufficializzato l'ingaggio del nuovo allenatore, lo spagnolo Rafael Benítez. Lo storico treble dell'annata precedente permise all'Inter di partecipare, oltre alla Supercoppa italiana, per la prima volta anche alla Supercoppa europea e al Mondiale per club. Il 21 agosto i nerazzurri affrontarono la Roma, finalista di Coppa Italia, nel trofeo italiano per la quarta volta nella ultime cinque edizioni, battendola per 3-1 grazie al gol di Pandev e alla doppietta di Eto'o che rimontarono l'iniziale vantaggio di Riise.[141] In Supercoppa UEFA, il 27 agosto, l'Inter perse il trofeo contro l'Atlético Madrid per 2-0 e insieme ad esso anche la possibilità di vincere sei trofei nell'arco di un anno solare come fece il Barcellona nella stagione precedente.[142] La partita di semifinale della Coppa del Mondo per club si giocò il 15 dicembre contro i sudcoreani del Seongnam battuti dalla formazione nerazzurra per 3-0 con reti di Stanković, Zanetti e Milito; l'Inter si aggiudicò quindi il diritto di giocare la finale della competizione che si disputò il 18 dicembre contro i campioni africani del Mazembe, prima squadra non europea e non sudamericana ad accedere alla finale della competizione.[143] La partita finì 3-0 per i nerazzurri con i gol di Pandev, Eto'o e Biabiany, che si consacrarono Campioni del Mondo per la terza volta nella loro storia.[144]

Il 23 dicembre Benítez e la dirigenza decisero di rescindere consensualmente il contratto anche a causa delle dichiarazioni rilasciate dal tecnico spagnolo subito dopo la vittoria di Abu Dhabi.[145] Il nuovo allenatore divenne il brasiliano Leonardo, ex giocatore e allenatore del Milan. In campionato i nerazzurri giunsero secondi dietro il Milan, qualificandosi comunque alla Champions League per la decima volta consecutiva (record italiano).[146] In Champions League la squadra arrivò seconda nella prima fase dietro il Tottenham e, dopo aver eliminato il Bayern Monaco negli ottavi di finale ribaltando lo 0-1 di San Siro con un 3-2 all'Allianz Arena,[147] venne eliminata dallo Schalke 04 nei quarti di finale, perdendo sia in casa (5-2) che in trasferta (2-1). In Coppa Italia, dopo aver eliminato il Genoa (3-2), il Napoli al San Paolo ai calci di rigore (dopo che i supplementari si erano conclusi sullo 0-0) e la Roma (1-0 all'Olimpico e 1-1 al Meazza), il 29 maggio 2011 vinse la finale contro il Palermo per 3-1 grazie alla doppietta di Eto'o e al sigillo nel finale di Milito. Si trattò della settima vittoria nella competizione nazionale. Ai nerazzurri venne assegnata contestualmente anche la Coppa del 150º anniversario dell'Unità d'Italia.[148]

Il biennio 2011-2013[modifica | modifica wikitesto]

Javier Zanetti, capitano dal 1999 al 2014 e vincitore di 16 trofei in nerazzurro.

In vista della stagione 2011-12, fu scelto Gian Piero Gasperini come nuovo allenatore.[149] La sua esperienza iniziò perdendo la Supercoppa italiana contro il Milan[150]; in seguito la squadra perse altre 3 volte in 4 partite, tra campionato e Champions League.[151][152] Gasperini venne così esonerato[153], con Claudio Ranieri chiamato a sostituirlo.[154] Tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012 i nerazzurri parvero risollevare le proprie sorti, avvicinandosi alle posizioni di vertice e rientrando in corsa per l'Europa.[155] Tuttavia, dopo l'eliminazione dalla Coppa Italia[156], cominciò un periodo negativo che vide la formazione franare sia in campionato (con 2 punti conquistati in 7 giornate[157][158]) che in coppa, dove fu eliminata dal Marsiglia.[159] A fine marzo si optò per un altro cambio alla guida, con il giovane Stramaccioni a rimpiazzare l'esonerato Ranieri.[160] Migliorandosi nel finale di stagione, la squadra raggiunse il sesto posto guadagnando - per la prima volta - il diritto a partecipare all'Europa League (torneo che nel 2009 sostituì la Coppa UEFA).[161] Stramaccioni prolungò il suo contratto per tre anni.[162] La sua seconda stagione iniziò con il piede giusto, tanto che la squadra ottenne ben 10 vittorie consecutive tra campionato e coppa arrivando - tra l'altro - a sconfiggere la Juventus nel suo nuovo impianto, dove i bianconeri avevano - fin lì - mantenuto l'imbattibilità (49 partite).[163] Malgrado un avvio promettente, i nerazzurri crollarono alla distanza anche a causa dei numerosi infortuni[164]; conquistando soltanto 19 punti nel girone di ritorno, precipitarono al nono posto mancando (per la prima volta dal 1999) la qualificazione alle coppe europee.[165]

Per l'anno seguente, Moratti scelse Walter Mazzarri in sostituzione di Stramaccioni.[166] L'ingaggio del livornese fu, di fatto, l'ultima mossa del patron che a novembre 2013 cedette la maggioranza del pacchetto azionario a Erick Thohir, imprenditore indonesiano e proprietario (indiretto) dela International Sports Capital.[167]

La gestione asiatica (dal 2013)[modifica | modifica wikitesto]

Il periodo 2013-2018[modifica | modifica wikitesto]

Mauro Icardi, capitano interista dal 2015

La stagione 2013-2014 vide l'Inter piazzarsi al quinto posto in campionato, centrando il ritorno in Europa.[168] Mazzarri fu l'ultimo allenatore interista a poter contare sui reduci del "triplete", che lasciarono Milano al termine dell'annata: il capitano Zanetti, Samuel, Cambiasso, Milito e Chivu.[169][170] Concluso il sodalizio con i protagonisti del recente passato, in casa nerazzurra si visse la situazione di un «anno zero».[171] La stagione 2014-15 iniziò con grandi aspettative[172], ben presto tradite dal campo.[173][174] Il rendimento mediocre della squadra, unito all'immagine del tecnico che era andata sempre più deteriorandosi[175], convinse Thohir - durante la sosta di novembre - a licenziare l'allenatore.[176] Fu così richiamato Mancini, già alla guida del club dal 2004 al 2008.[177] Complice la posizione di classifica in cui l'Inter si ritrovò al momento del cambio in panchina, nonché l'agguerita concorrenza delle rivali, il campionato risultò fallimentare.[178] L'ottavo posto significò, nuovamente, l'esclusione dalle manifestazioni continentali.[179]

Nel 2015-16, confermato Mancini, la squadra visse un girone d'andata in cima alla classifica grazie anche alle molte vittorie di misura[180]; nella seconda parte accusò tuttavia un calo e - subendo il ritorno della Juventus - non andò oltre il quarto posto.[181] A giugno si verificò una svolta a livello dirigenziale, con il presidente Thohir che cedette la maggioranza delle quote (il 68.55 %) al Suning Holdings Group (presieduto dal cinese Zhang Jindong).[182] Il magnate indonesiano mantenne il 31,05 % mentre la quota restante venne suddivisa tra la Pirelli e azionisti minori.[183] Nonostante la nuova disponibilità economica e i proclami di riscatto, Mancini entrò in rotta con le nuove figure dirigenziali e si dimise a pochi giorni dal campionato 2016-17.[184] L'Inter chiamò l'olandese Frank de Boer a prenderne il posto, ma la mossa - compiuta in tempi rapidi quanto stretti - non diede i frutti sperati[185]; attardati dalle prime posizioni già a settembre[186], i nerazzurri disputarono in Europa League il loro peggior girone nella storia delle coppe internazionali.[187] Nel mese di novembre, De Boer fu sollevato dall'incarico che passò nelle mani di Stefano Pioli.[188] L'ex tecnico della Lazio costruì una rimonta nei mesi invernali[189], portando i milanesi a competere per il terzo posto.[190] Come già accaduto in altre occasioni però, la squadra palesò un calo primaverile tale da vanificare il buon lavoro svolto fino a quel punto.[191][192] Arrivata a totalizzare un filotto di 8 partite senza vittorie[193], la squadra esonerò anche Pioli affidandosi - per le ultime 3 giornate - a Stefano Vecchi, responsabile della Primavera.[194] Il campionato finì con un settimo posto, mancando l'ingresso in Europa - per un punto - a favore del Milan.[195]

Già dopo la fine del torneo, viene annunciato l'arrivo di Luciano Spalletti dalla Roma per tentare l'ennesima rivoluzione degli anni 2010.[196] Nel campionato 2017-18 l'Inter disputa un positivo girone di andata[197], ritrovandosi in terza posizione al giro di boa.[198] All'ultima giornata, vincendo 3-2 lo scontro diretto con la Lazio all'Olimpico, la squadra conquista il quarto posto valido per la qualificazione ai gironi di Champions League dopo sei anni di assenza.

Note[modifica | modifica wikitesto]

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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]