Utente:Giorgio Eusebio Petetti/Sandbox

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La terrazza del Pincio[modifica | modifica wikitesto]

Panorama con collegamenti ai monumenti
Panorama con collegamenti ai monumenti
Panorama

cara a viaggiatori e scrittori, come D’Annunzio e Goethe e celebrata da Anna Magnani nella famosa canzone della “fioraia del Pincio”, omaggio emozionato ed emozionante alla bellezza di Roma. Anna Magnani in Siamo donne fioraria canta Com'è bello far l'amore quando è sera in teatro, con la scenografia della terrazza del Pincio

André Gide

Da I nutrimenti terrestri, 1897

…Quella terrazza del Pincio sembra un palco eretto dalla mano dell’uomo riconoscente, per ammirare lo spettacolo più grandioso che un Dio d’amore possa offrire alle sue creature. Sì, riconoscente, o mio Dio, che a distoglierci dalla frivola malignità e a infonderci un sacro disprezzo delle miserie, fra le quali passa insulsamente inutile la nostra vita, ci donasti questo sterminato oceano di luce, quest’aria pregna dell’olezzo dei fiori, quell’infinita ricchezza di colori e di forme in cui la nostra anima si scuote e si adora!…

Dalla guida del Touring del 1977 Uno dei panorami più famosi di Roma, particolarmente bello al tramonto.

In basso, oltre le rampe del Pincio, i due emicicli di piazza del Popolo, con l'obelisco in mezzo, la chiesa di Santa Maria del Popolo a destra, e a sinistra le cupole delle due chiese gemelle che fiancheggiano l'ingresso del Corso. Proseguendo con lo sguardo per la linea del Corso, si vedono i due campanili di San Giacomo, quindi l'alta cupoola di San Carlo al Corso. Di fronte, al di là della piazza del Popolo, il lungo rettifilo della via Cola di Rienzo, terminante al Vaticano. Si vedono, di questo, i palazzi e i giardini; a sinistra, la parte superiore della facciata di San Pietro su cui signoreggia la cupola. Nello sfondo, i colli, da Monte Mario (a d.) al Gianicolo, con la statua equestre di Garibaldi e le tre arcate della Fontana Paola. A sinistra del Vaticano, il complesso di Castel Sant'Angelo, con la statua dell'angelo in cima e la grande mole del Palazzo di Giustizia; poi, una serie di cupole, da San Giovanni dei Fiorentini a S. Andrea della Valle, fino alla calotta schiacciata del Pantheon. Quindi, oltre la torretta di Montecitorio, la cupola bassa del Gesù, la statua di San Paolo sulla Colonna di Marco Aurelio, la bianca mole dell'Altare della Patria e la Colonna Traiana. All'estrema sinistra, il lungo fabbricato rossiccio del Quirinale.

Ciriaco[modifica | modifica wikitesto]

Inserire notizie sull'elefante malatestiano

Ombre della sera[modifica | modifica wikitesto]

Reperti simili[modifica | modifica wikitesto]

nome d'annunzio [1] La più celebre è senz'altro l'Ombra della sera conservata al museo di Volterra, ma ne esistono altre, sempre ritrovate in contesti votivi, come ad esempio quelle della necropoli di Monte Tamburino, quella di San Gimignano e queste picene[2]

Sono una ventina gli esemplari noti di statuette allungate in bronzo dello stesso tipo dell'ombara della sera di Volterra, rinvenute anche nel Lazio (Nemi), nelle Marche (Ancona) e nell’Etruria centro-settentrionale (Orvieto, Chiusi, Perugia, Vetulonia, Volterra e rispettivi territori). Le statuette della serie sono accomunate da una struttura corporea longilinea e sproporzionata, talvolta schematica e dalla testa lavorata a tutto tondo. Si tratta di oggetti piuttosto eterogenei: l’altezza è compresa tra i 20 e gli 80 cm e le figure rappresentano variamente divinità, offerenti, portatori d’acqua, aruspici ed infanti[3]

Ombra di San Gimignano dopo la scoperta denominata "Hinthial" che significa ‘anima’ rinvenuta a Torraccia di Chiusi 64 cm prima metà del III sec. a.C indossa una lunga toga che lascia scoperta la spalla, il braccio destro e gran parte del torace arrivando fino ai polpacci. La mano destra sorregge una patera ombelicata, mentre la sinistra, aderente al corpo, fuoriesce dal manto con il palmo rivolto all’esterno in posa devozionale;I piedi sono coperti da calzari (calcei) La statua risultava sepolta vicino a un monolite squadrato in pietra che doveva fungere da altare e sul quale si compivano riti con offerte alla divinità del luogo. Al pari della statuetta allungata di Volterra, anche l’Ombra di San Gimignano appartiene a una produzione seriale. Unico caso difigura allungata in bronzo , cosiddetto tipo dell’Ombra della sera, di cui abbiamo notizia certa del luogo di rinvenimentIl blocco litico presentava tracce evidenti di esposizione al fuoco. L’area sacra, inoltre, sorgeva in prossimità di una sorgente[4]

Marte con membra filiformi da Cagli - museo di Ancona orante da Arcevia ca 499 a.C - ca 300 a.C

Bronzetto di orante etrusco, Louvre

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Calzoni, U., 1947, La stipe votiva di Colle Arsiccio nei pressi di Magione, in «Bollettino della deputazione di storia patria per l’Umbria», XLIV (1947), pp. 45-47
  • Cateni, G. (a cura di), 1999. Ombre della sera, catalogo della mostra, Volterra, Museo Guarnacci, 24 luglio-30 settembre, Pisa, n 47
  • Conestabile, G. 1869, Ripostiglio di bronzi, ex voto, forse consacrati alle divinità della salute, in «Bullettino dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica», pp. 187-190;
  • Cristofani, M., 1985, I Bronzi degli Etruschi, n. 67, p. 273-274.
  • D’Ercole, V. – Martellone, A. 2006, Il santuario di Monte Giove a Penna S. Andrea, in Museo archeologico “F. Savini”, pp. 99-102, 265-266.
  • Dumézil, G., 1974. La religion romaine archaïque. Bibliothèque historique Payot. appendice sur la religion des Etrusques.
  • Les Étrusques et l’Europe, préfacé par Massimo Pallottino, à la suite de l’exposition éponyme du Grand-palais, Paris, entre le 15 septembre et le 14 décembre 1992, et à Berlin en 1993
  • Jannot, Jean-René, 2005, Religion in Ancient Etruria. University of Wisconsin Press.
  • Maggiani, A., 2002, I culti di Perugia e del suo territorio, in Perugia Etrusca, Atti del Convegno (Orvieto 2002), a cura di G. M Della Fina, “Annali del Museo Faina di Orvieto”, IX, Roma, pp. 267-299;
  • Muscianese Claudiani, D., 2013, Depositi votivi e luoghi di culto dell’Abruzzo italico e romano: quattro casi di studio. Università Cattolica del Sacro Cuore, XXIV ciclo, a.a. 2011/12, Milano
  • Riganelli, G., 2001. Religione e strutture religiose in area magionese dall’antichità ai primi secoli dell’età moderna, in Magione. Venti secoli di storia, cultura, ritratti e spiritualità, Magione, pp. 7-177.
  • Strazzulla, M. J, 2012, “Forme di devozione nei luoghi di culto dell’Abruzzo antico” in Sacrum facere : Atti del I Seminario di Archeologia del Sacro : Trieste, 17-18 febbraio 2012, EUT Edizioni Università di Trieste, 2013, pp. 41-94.
  • Terrosi Zanco, O.,1961, “Ex-voto allungati dell’Italia centrale”, in Studi Etruschi, XXIX, Firenze, p. 425-428.
  • Thomson de Grummond, N. – Simon, E., 2006, The Religion of the Etruscans.
  • Trombetta, A., 2002, “Santuario di Caligiana”, in Antiquitates. Testimonianze di età classica dal territorio di Corciano (Catalogo mostra Corciano 2002), a cura di P. Bruschetti e A. Trombetta, Città di Castello 2002, pp. 68-70.

71°07′59.41″N 27°39′13.95″E / 71.133169°N 27.653875°E71.133169; 27.653875

Museo archeologico nazionale delle Marche[modifica | modifica wikitesto]

Giorgio Eusebio Petetti/Sandbox
Palazzo Ferretti, sede del museo
Ubicazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
IndirizzoVia Ferretti 6
Coordinate43°37′23″N 13°30′40″E / 43.623056°N 13.511111°E43.623056; 13.511111
Caratteristiche
TipoArcheologia
Apertura1863
GestioneMinistero della cultura - Direzione regionale Musei - Marche
DirettoreDiego Voltolini
Visitatori17 300 (2023)[5]

Il Museo archeologico nazionale delle Marche si trova ad Ancona, all'interno del cinquecentesco palazzo Ferretti. Documenta in modo pressoché completo la Preistoria e la Protostoria del territorio marchigiano; la collezione di reperti della civiltà picena (IX - IV sec. a.C.) è la più completa esistente.

Ricche anche le collezioni relative alle civiltà che interessarono le Marche a partire dal IV sec. a.C.: quella greca di Ankón, quella dei Galli Sènoni e quella romana. Per la ricchezza delle sue collezioni, quello di Ancona è uno dei più importanti musei archeologici d'Italia[6]. Peculiarità del museo, rispetto ad altri musei archeologici nazionali, è quella di non aver ereditato le sue collezioni da precedenti raccolte nobiliari, ma da oltre centocinquant'anni di intense ricerche archeologiche sul territorio.

Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite la Direzione regionale musei - Marche.

Storia del museo[modifica | modifica wikitesto]

1) Danzatrice riprodotta in un cratere attico ritrovato in una tomba picena di Numana (sala 15)

Istituzione e ampliamenti successivi[modifica | modifica wikitesto]

Il museo, con il nome di "Gabinetto paleoetnografico ed archeologico delle Marche", fu istituito nel 1863 dalla Regia Commissione Conservatrice delle Marche, che diede in tal modo seguito al regio decreto di Lorenzo Valerio, emanato il 3 settembre 1860, che disponeva la sua fondazione[7][8].

L'stituzione del museo era stata sostenuta dal conte Carlo Rinaldini e da Carisio Ciavarini, entrambi convinti patrioti, sostenitori del Risorgimento italiano e membri di una classe dirigente illuminata, estremamente ricettiva all'approccio positivista e profondamente consapevole della necessità di staccarsi dal vecchio regime. Il museo nacque per accogliere "tutti i monumenti dalla Preistoria in poi rinvenuti nel territorio", come scrisse Ciavarini, ma anche dal desiderio di salvare i tesori archeologici marchigiani dall'assalto del rapace mercato antiquario dell'epoca[9].

Successivamente, le collezioni archeologiche furono ampliate da Carisio Ciavarini, dal maggio 1876 ispettore degli scavi e dei monumenti del Regio Commissariato per i Musei e Scavi di Antichità per l'Emilia e le Marche, e sistemate nel fabbricato delle Regie Scuole Tecniche in via San Martino[10], dove Ciavarini insegnava[11] e dove il museo fu ospitato dal 1868 al 1877. A seguito dell'aumento esponenziale delle collezioni[9], frutto di intense campagne di scavo, il museo fu trasferito in sedi più capienti, prima in alcuni locali del Palazzo degli Anziani e da qui, nel 1884, nell'ex convento di San Domenico. Divenuta anche questa sede insufficiente, fu di nuovo trasferito nel 1898 nelle più ampie sale dell'ex convento degli Scalzi, in via Duomo n.12, dove rimase fino al 1923.

Museo Nazionale[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1906, grazie alla ricchezza e alla rappresentatività delle sue collezioni, l'istituzione ottenne il riconoscimento statale[11] e assunse la denominazione di Museo Archeologico Nazionale delle Marche. Il riconoscimento dell'interesse nazionale non va sottovalutato poiché all'epoca i musei archeologici nazionali italiani erano solo dieci: i tre di Roma (Museo nazionale romano, Museo nazionale preistorico, Museo nazionale etrusco) e quelli di Napoli, Firenze, Cagliari, Taranto, Parma, Portogruaro ed Este. Dopo l'apertura del museo di Ancona e di quello di Matera (1911), il numero dei musei archeologici nazionali rimase stabile sino agli anni settanta del Novecento[12].

Il direttore e soprintendente Innocenzo Dall'Osso fu autore di un notevole arricchimento delle collezioni, grazie a nuove ed intense campagne di scavo in tutta la regione[13]; inoltre nel 1915 curò la stampa della prima guida dettagliata del museo (già Ciavarini aveva curato la stampa di una guida, ma molto sintetica)[14].

Nel convento di San Francesco alle Scale[modifica | modifica wikitesto]

2a) Un carro da guerra piceno, nell'esposizione della sede del convento di San Francesco alle Scale.
2b) Il trapezoforo del I sec. d.C. proveniente da Ancona che ispirò gli arredi della sede del convento di San Francesco alle Scale (sala 25).

Il museo rimase al convento degli Scalzi fino al 1923, quando fu trasferito negli spaziosi locali del convento di San Francesco alle Scale ed inaugurato il 9 ottobre 1927 alla presenza del re Vittorio Emanuele III di Savoia[11], che tagliò il nastro inaugurale con un pugnale dell'Età del bronzo[15].

Artefice di questa nuova, grandiosa sistemazione, fu il direttore Giuseppe Moretti[16], che aveva individuato la sede, ordinato le collezioni e curato un restauro attento e rispettoso dell'edificio settecentesco. Secondo i criteri dell'epoca, i chiostri furono trasformati in fiorenti giardini, gli arredi vennero realizzati da esperti ebanisti[17], i sostegni delle vetrine furono ispirati ad un trapezoforo ritrovato nel corso di scavi nell'area del porto romano di Ancona (foto 2); tutto ciò rendeva l'ambiente del museo all'altezza delle collezioni ospitate. Le sezioni erano inizialmente due: picena e gallica, mentre specifici settori erano dedicati alla collezione numismatica e alle ricche raccolte provenienti dalla necropoli picena di Numana e da quella ellenistica di Ancona[11]. La pinacoteca civica di Ancona venne aggregata al museo e riacquistò l'autonomia solo nel secondo dopoguerra. Nel 1932 venne inaugurata la sezione preistorica[15].

Durante la Seconda Guerra Mondiale, si pose il problema di proteggere i reperti dalle possiili distruzioni belliche. Improvvidamente, il direttore dellì'epoca, temendo trafugamenti, si rifiutò di inviare le collezioni nei depositi appositamente allestiti dal soprintendente Pasquale Rotondi nella rocca di Sassocorvaro, da allora detta "arca dell'arte"[18]. La decisione fu invece quella di riporre in casse i reperti di minori dimensioni e di lasciare nelle sale quelli più ingombranti; le casse vennero poi collocate nei locali situati alla base dell'attiguo campanile della chiesa di San Francesco. Durante i bombardamenti di Ancona del 1943, la sede del museo fu pesantemente danneggiata dal crollo del campanile. Ciò provocò ingenti danni alle collezioni e alla fine della guerra non fu dunque possibile riaprire subito al pubblico le raccolte museali, sia per la ncessità di trovare una nuova sede, sia per i necessari restauri dei reperti danneggiati dal crollo.

A Palazzo Ferretti[modifica | modifica wikitesto]

3) La sala 15, con la collezione di vasi greci da necropoli picene, nell'allestimento di Franco Minissi

Alla fine della guerra, iniziarono lunghi e complessi lavori di recupero e restauro dei reperti danneggiati dai bombardamenti, condotti dal nuovo direttore e soprintendente, Giovanni Annibaldi[19]. Per la riapertura del Museo Archeologico Nazionale delle Marche si dovette quindi attendere il 1958, quando fu allestito nell'attuale prestigiosa sede di Palazzo Ferretti, appositamente acquistata dallo Stato. All'inaugurazione era già allestita e visitabile solo la sezione picena, oltre alla sala dei Bronzi Dorati di Cartoceto. Solo nel 1969 fu possibile riaprire anche la sezione romana e quella altomedievale.

Il soprintendente Giovanni Annibaldi promosse una serie di scavi che, alla pari di quelli precedenti di Innocenzo Dall'Osso, diedero risultati di un'importanza fondamentale per le collezioni del museo e per la storia antica delle Marche. Per quanto riguarda la sezione preistorica, venne scoperto e scavato il giacimento paleolitico inferiore di monte Cònero, ove si rinvennero i reperti più antichi delle Marche ora esposti nella sala 2, e i reperti neolitici della sala 4. Per la sezione dell'Età dei metalli, furono rinvenuti i reperti protovillanoviani della sala 8. Per la sezione protostorica, gli scavi portarono al rinvenimento dei reperti villanoviani di Fermo della sala 4, della necropoli picena di Numana[20], che ha restituito i vasi greci della sala 15, e della tomba del principe sènone, i cui reperti sono esposti in sala 19. Inoltre, sotto la direzione di Annibaldi, tornarono alla luce i resti del santuario romano di Monte Rinaldo e del Tempio di Afrodite di Ancona[21].

Il forte terremoto che colpì Ancona nel 1972 costrinse ad una nuova chiusura, protrattasi fino al 1988, quando la direttrice e soprintendente Delia Lollini riaprì al pubblico la sezione protostorica, incentrata sulle civiltà picena e gallica. A partire da allora, il museo ha gradualmente riaperto altre sue sezioni: tra il 1990 e il 1997 quella preistorica, dell'Età del rame e dell'Età del bronzo, tra il 2010 e il 2015 quella dedicata ad Ancona ellenistica e romana e infine, nel 2023, quella dedicata alla civiltà romana nel resto delle Marche[13].

Sia l'allestimento del 1958, sia quello del 1988 furono affidati all'architetto Franco Minissi (foto 3).

Nel 2023 sono ancora chiuse la sezione altomedievale e la ricchissima collezione numismatica (circa 90.000 monete[22]), ma nelle due sale della sezione romana sono esposte 65 monete, scelte tra le migliaia della collezione del Museo. Il patrimonio archeologico del museo è molto consistente: le sue collezioni comprendono circa 190.000 pezzi, di cui 10.000 attualmente visibili nel percorso di visita, che si estende per 3.500 m².

Progetto di restauro architettonico e di riallestimento[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2023 sono iniziati importanti lavori che riguardano il museo, che devono concludersi entro il 2026. Il progetto approvato, seguito dal direttore Diego Voltolini, interessa sia la sede, Palazzo Ferretti, sia l'allestimento delle collezioni.

Il primo intervento è stato il restauro dello scalone monumentale disegnato da Luigi Vanvitelli nel XVIII secolo; attraverso indagini stratigrafiche sugli intonaci, sono stati riscoperti i luminosi colori originari delle pareti e il bianco avorio degli stucchi e delle statue di Gioacchino Varlè. È prevista inoltre la revisione dell'allestimento di Franco Minissi, allo scopo di migliorare la godibilità delle collezioni. Il progetto prevede di rendere fruibili al pubblico anche i ricchi depositi museali, a cui i visitatori potranno accedere per osservare e studiare i vari reperti, con la stessa modalità con cui si consulta un libro antico in una biblioteca. Verranno allestite inoltre sei sale per mostre temporanee, dove saranno esposti a turno reperti provenienti dai depositi del museo o derivanti da prestiti. Durante i lavori, il museo non verrà chiuso e i visitatori potranno vedere procedere l'attuazione del progetto.

Verrà infine riaperta la terrazza sommitale, da cui i visitatori potranno ammirare le copie dei Bronzi Dorati di Cartoceto, la veduta sul golfo di Ancona, sul porto e sui rioni storici che vi si affacciano[23]; l'ultima volta che è stato possibile accedere alla terrazza è stato nel 2013, in occasione delle celebrazioni dei 2400 anni dalla fondazione di Ancona da parte dei greci siracusani.

Il ruolo del Museo nella protezione del patrimonio archeologico regionale[modifica | modifica wikitesto]

4) La lekythos ritrovata ad Ancona (Metropolitan Museum).
5) L'ambra etrusca con Afrodite ed Adone ritrovata a Falconara (Metropolitan Museum).
6) Il cratere con Amazzonomachia da Numana (Metropolitan Museum).

Il Museo Nazionale ha sempre svolto un attivo ruolo nel contrastare il fenomeno della vendita illegale all'estero di reperti che, come in tutta Italia, è presente anche nelle Marche. Esemplare in questo senso fu il recupero dei Bronzi dorati da Cartoceto di Pergola: nel 1946, nonostante i disagi derivati dai bombardamenti che avevano semidistrutto la sede del Museo, l'unico dipendente ancora in servizio, Nereo Alfieri, si recò sul luogo del ritrovamento e apprese che il proprietario del terreno si era recato urgentemente a Roma. Sospettando che il viaggio improvviso fosse dovuto all'intenzione di contattare il mercato antiquario clandestino, il dipendente sequestrò i reperti nel nome dello Stato e fece in modo di farsi consegnare altri frammenti precedentemente occultati. Fu così che, dopo un lungo restauro ad opera di Bruno Bearzi[24], fu possibile, dal 1959, esporre al pubblico il celebre gruppo statuario[25][26].

In negativo, il ruolo del Museo è deducibile dal fatto che, prima della sua istituzione, preziosi reperti trovati nelle Marche finirono all'estero; valgano i seguenti esempi:

- il cratere a calice con Amazzonomachia attribuito al pittore dell'hydria di Berlino (foto 6);
- il cratere a campana con satiri e menadi, attribuito al pittore di Methyse;
- il cratere a volute con centauri e lapiti, attribuito al pittore dei satiri villosi;

Mappe del museo e itinerari di visita[modifica | modifica wikitesto]

Le mappe sottostanti sono ordinate in base all'itinerario di visita effettuato in ordine cronologico, ossia dalla sezione preistorica (secondo piano) alla sezione romana (piano terra e seminterrato).

La numerazione delle sale segue quella presente nelle targhette affisse, che corrisponde a quella del catalogo generale dei beni culturali[33], seguita anche nella guida alla sezione protostorica del museo[34], e non quella presente in alcuni pieghevoli illustrativi.

Sezione preistorica[modifica | modifica wikitesto]

La sezione preistorica è allestita nel secondo piano del palazzo, corrispondente al mezzanino. Comprende tre settori:

  • Paleolitico (sale 1, 2, 3)
  • Neolitico (sale 4, 5, 6)
  • Età del rame ed Età del bronzo (sale 7, 8)
7) Ciottolo con incisione paleolitica: la donna-lupo (sala 3)
8) La "Venere di Frasassi" (sala 1)

Paleolitico[modifica | modifica wikitesto]

Sala 1

Prima dell'inizio del percorso cronologico, si trova la sala della Venere di Frasassi (foto 8); venne ritrovata nel 2007[35] all'interno della Grotta della Beata Vergine di Frasassi, poco distante dalla Grotta Grande del Vento; è stata realizzata utilizzando una stalattite. Si tratta di una figura femminile dalle forme generose, con gli avambracci piegati in avanti e con le mani congiunte, in un gesto di preghiera e di offerta; il ventre mostra che la donna è incinta. Il reperto è una venere paleolitica; in Italia esistono solo altri dieci esemplari simili[36]. Risale a circa 20.000 anni fa, ossia al Paleolitico superiore, periodo Gravettiano o Epigravettiano antico.

Sala 2

Inizia in questa sala il percorso cronologico. Sono qui esposti i reperti più antichi mai rinvenuti nelle Marche: quelli della zona sommitale di Monte Conero, la cui presenza è stata segnalata nel 1963 da un soldato di leva della vicina base militare[37], durante i lavori di costruzione di un'antenna della RAI[38]. Il giacimento paleolitico risale a circa 300.000 anni fa (Paleolitico inferiore[39]). Si tratta di chopper, chopping tool, bifacciali e di manufatti su scheggia di cultura acheuleana. Più recenti sono i reperti realizzati con la tecnica Levallois.

Sala 3

Sono esposti oggetti realizzati con tecnica microlitica, piccoli manufatti di forma geometrica (triangolo, trapezio, mezzaluna...) che venivano poi montati su un supporto grazie all'utilizzo di resine e leganti, realizzando in tal modo un risparmio di selce, non dovunque reperibile con facilità.

Reperto specificatamente artistico è il ciottolo graffito con la figura femminile avente testa di lupo (foto 7), datata in un arco cronologico tra il 10.000 e l’8.000 a.C. (Paleolitico superiore). Fu rinvenuto nel 1884 a Tolentino dal conte Aristide Gentiloni Silverj, archeologo autodidatta, che lo inviò all'archeologo di spicco dell'epoca, Luigi Pigorini. Il Pigorini non credette all'autenticità del reperto, perché riteneva l'espressione artistica impossibile per l'uomo del Paleolitico e perché credeva che in Italia non ci potessero essere testimonianze paleolitiche. Solo il direttore del Museo di Ancona Dall'Osso, sfidando l'autorità di Pigorini, si interessò al reperto e perciò il Gentiloni glielo inviò. A causa dell'opinione di Pigorini, il reperto è stato quindi ignorato per più di un secolo, fino al 1997, quando è stato riscoperto e considerato, per la fusione di caratteristiche umane e animali, una importante testimonianza artistica con un significato rituale-religioso legato allo sciamanesimo[40].

9) Macina e macinello (sala 4)

Neolitico[modifica | modifica wikitesto]

Sinistra - 10) Età del rame: ascia martello (sala 8).
Destra - 11) Età del bronzo: pugnale in bronzo, da ripostiglio (sala 8).
Sale 4, 5, 6

È illustrata esaurientemente la Rivoluzione neolitica, che nelle Marche si attuò nel VI millennio a.C.[41] Espone infatti le prime testimonianze dell'agricoltura (macine e macinelli - foto 9), dell'addomesticazione e dell'allevamento (ossa di animali domestici), del commercio (oggetti realizzati con ossidiana e steatite, provenienti rispettivamente dalle Eolie e dalla Scandinavia), della divisione del lavoro (vasi fittili, rocchetti e fuserole per la tessitura), della costruzione di villaggi (resti di intonaco e di focolari domestici). Presenti anche i primi manufatti in pietra levigata.

Età dei metalli[modifica | modifica wikitesto]

13) Mappa dei luoghi legati al mito di Diomede e ritrovamenti micenei[42].
Sale 7 e 8

Le prime vetrine sono dedicate all'Età del rame e presentano i primi esempi di manipolazione dei metalli, praticata mentre tutti gli oggetti d'uso venivano ancora realizzati con pietra levigata o con gli altri materiali tipici del Neolitico. In particolare, sono esposte diverse asce-martello (foto 10) in cui, come è tipico di questa categoria di oggetti, la levigazione della pietra raggiunge la perfezione, proprio nel momento in cui sta per essere abbandonata a favore della metallurgia.

Al Museo, l'Età del rame è indicata nei pannelli esplicativi con il nome di "Prima Età dei Metalli", in quanto il rame usato in questo periodo era sempre impuro e in lega con altri elementi. I reperti metallici testimoniano come le comunità diventino sempre più dipendenti dall'approvvigionamento dei metalli, disponibili solo in alcune zone geografiche.

Risalgono all'Età del bronzo antica i reperti provenienti dal più antico villaggio sorto nella zona di Ancona, i cui resti sono stati rinvenuti nel corso di scavi al Campo della Mostra.

Interessanti sono gli insiemi di pugnali di bronzo ritrovati in ripostigli (foto 11), di produzione locale dell'inizio del II millennio a.C.[41]. L'occultamento in ripostigli poteva avere due possibili scopi: una forma di tesaurizzazione (ad esempio delle scorte di un artigiano metallurgo itinerante, o la riserva collettiva di un intero villaggio) oppure una deposizione rituale, cioè un'offerta alle divinità di beni di alto valore economico, che non prevedeva il recupero successivo degli oggetti[43].

12) Frammento di vaso miceneo, trovato ad Ancona (al Montagnolo). Su di esso compare l'antico simbolo della spirale (sala 9)

Le ricche testimonianze della ceramica dell'Età del bronzo di produzione locale appartengono alla civiltà appenninica, che era diffusa in tutta l'Italia peninsulare. I reperti in ceramica esposti mostrano le caratteristiche decorazioni ad incisione e intaglio ed anse a figurazione plastica.

I reperti ceramici della civiltà appenninica contrastano nettamente, per fattura e decorazione, con i frammenti di ceramica micenea esposti nella stessa sala, che rispetto ad essi presentano una decorazione non incisa, ma dipinta, a volte con motivi simbolici, uno spessore più sottile, un'argilla più fine, depurata e con scarsi inclusi[44].

Quelli esposti risalgono alla fase neo-palaziale e provengono da Ancona (Montagnolo - foto 12), Tolentino (Cisterna) e Monsampolo del Tronto (Treazzano). L'importanza di questi frammenti micenei è dovuta al fatto che essi testimoniano i primi contatti che i navigatori provenienti dalla Grecia stabilirono con la costa delle attuali Marche, in particolare con la zona in cui sarebbe sorta nel 387 a.C. la colonia greca di Ankón (Ancona).

È singolare la coincidenza tra alcuni luoghi di ritrovamenti micenei e quelli legati alla fase adriatica del mito di Diomede, l'eroe greco che partecipò alla guerra di Troia e poi diffuse la civiltà greca lungo le coste adriatiche (mappa 13). Ciò ha portato a pensare che la navigazione micenea in Adriatico abbia diffuso questo mito nella costa marchigiana. Con il ritrovamento dei frammenti micenei acquista nuova luce l'informazione proveniente dalle fonti classiche[45], che afferma che Ancona considerava Diomede come "proprio benefattore"[46].

Sezione protostorica[modifica | modifica wikitesto]

La sezione protostorica illustra le culture che interessarono le Marche nell'Età del ferro. Testimonia due diverse civiltà: la picena e la gallica[47].

La civiltà picena caratterizzò tutto il territorio regionale dal IX al III secolo a.C. Le sue testimonianze sono esposte al terzo piano (sale dalla 1 alla 11) e al primo piano (sale dalla 12 alla 18 e sala 23). L'esposizione cronologica è interrotta da tre sale tematiche; la 4, la 20 e la 21; le ultime due sono localizzate all'interno della suggestiva torre medievale del palazzo.

I Galli Sènoni invasero il territorio piceno settentrionale nel corso del IV secolo a.C. e poi si fusero con la popolazione picena preesistente. Le loro testimonianze sono esposte al primo piano (sale dalla 19 alla 22).

Civiltà picena[modifica | modifica wikitesto]

La collezione di reperti piceni[48] del Museo costituisce la più completa testimonianza della vita e dell'arte del popolo che diede unità etnica alle Marche nell'Età del ferro e il cui totem (il picchio verde) è raffigurato nello stemma della regione[49]. La collezione picena comprende anche una ricca raccolta di ceramica greca e alcuni pregevoli oggetti etruschi, testimonianze di scambi commerciali.

Sale 1, 2, 3

Si segnalano i reperti del villaggio protovillanoviano e poi piceno di Ancona, che testimoniano le attività della pesca (ami, arpone, fiocina, gusci di Glycymeris) della caccia (oggetti in corno di cervo), dell'allevamento (ossa di animali domestici), della tessitura (rocchetti e fusaiole) e dell'agricoltura (vanghette in corno di cervo). I corredi funebri maschili comprendono una singolare ricchezza di armi (foto 14). I pettorali in bronzo raffigurano il mito della barca solare ornitomorfa, ossia con protomi di anatra selvatica a prua e a poppa (foto 15, 16 e 17). Caratteristiche sono le fibule ad occhiali (foto 18).

19) Elmo villanoviano a cresta, da Fermo (sala 4)
24) Pettorale degli amuleti, da Numana, (sala 5)
Sala 4

Sono esposti i reperti dell'enclave culturale villanoviana di Fermo, che caratterizzò questo centro nel IX e nell'VIII sec a.C. e che si dissolse nel corso del VII, assorbita dalla circostante civiltà picena. Non sono chiari i motivi di questa specificità fermana; si è ipotizzato che piccole comunità etrusche provenienti dall'Etruria meridionale si fossero stabilite qui. Si segnalano i tipici elmi a cresta decorata sui due lati, nella zona mediana, da tre file di borchiette limitate da linee di puntini; tre elementi cilindrici sporgono dai due lati (foto 19).

Sale 5, 6, 7
  • fase Piceno III (VII sec. a.C. e inizio del VI - 700-580 a.C.)

Questa fase costituisce il periodo orientalizzante della civiltà picena, in cui è forte l'influenza dell'arte del Mediterraneo orientale e del Vicino Oriente antico; essa continua comunque a produrre oggetti altamente originali. Anche in questa fase, i corredi di armi picene esposti si distinguono per aggiornamento e completezza.

Tra i reperti più interessanti si segnala[50] il pettorale bronzeo da Numana, con elementi simbolici (foto 23 e 24): cinque figure umane che si tengono per mano, di altezze degradanti dalla centrale a quelle laterali, sette figure umane con mani sui fianchi e collegate tra loro da anelli e infine tre pendagli, di cui due a forma di mano e un terzo al centro, a forma anulare con sei nodi, di significato ignoto[51]. Il pettorale pende da una fibula.

Tra gli oggetti più caratteristici dell'arte picena, sono qui esposti alcuni dischi per stola traforati (foto 20), e i dischi-corazza (foto 21 e 22) con animali fantastici e figure umane, nel tipico stile sintetico piceno, alcuni dei quali forse rappresentanti il Signore degli animali[52].

25) Coperchio bronzeo con statuine di guerrieri intorno ad un totem (sala 7).

Uno dei reperti più noti e caratteristici dell'arte picena è il coperchio bronzeo di una situla (foto 25) con due coppie alternate di statuine di guerrieri nudi e muniti di elmi dai lunghi cimieri, in danza rituale attorno ad un palo di totem con teste di lupo. Una coppia è costituita da opliti con grande scudo rotondo e due lance, di cui una brandita con la destra in posizione di lancio e l'altra tenuta verticale dietro allo scudo. L'altra coppia è formata invece da arcieri, colti nell'atto di scoccare una freccia. Il reperto fornisce preziose informazioni sul culto e sul totemismo piceni, richiamati anche dall'etnogenesi tradizionale. Risale al 620-600 a.C.[53]

In queste sale e in quella successiva sono esposti vari esempi di ceramiche picene, caratterizzate dall'originalissima foggia (foto 26, 27, 28 e 33). Tra i reperti orientalizzanti si segnala una rara e preziosa oinochoe (foto 29) il cui corpo è realizzato con un uovo di struzzo graffito a cornici vegetali e figure zoomorfe, tra cui alcuni grifoni. La bocca trilobata è configurata a testa femminile (foto 30), con le mani che stringono le trecce ai lati del volto; è realizzata in avorio intagliato e presenta inserzioni d'oro. L'oggetto è di fattura orientale e risale al periodo compreso tra il 620 e il 580 a.C; il piede e il collo non si sono conservati perché in materiale organico deperibile[54].

Frutto di scambi commerciali con l'Egitto è la statuetta del dio Bes (foto 31), con le sue tipiche smorfie, la sua posizione a gambe arcuate, le penne di struzzo sulla testa e la sua coda.

31b) Testa in calcare di guerriero piceno
Sala 8

La sala 8, all'epoca in cui il palazzo era ancora una dimora nobiliare, era il salone delle feste; nell'allestimento del 1988 ospitava le vetrine in cui erano raccolti i reperti più significativi della fase orientalizzante della civiltà picena (fase "Piceno III"). Nel 2018, i reperti sono stati spostati in altre sale, gli affreschi cinquecenteschi sul soffitto sono stati restaurati e l'ambiente è stato destinato ad esposizioni temporanee, concerti e manifestazioni particolari[55].

Nel panoramico corridoio adiacente alla sala 8, è stato spostato un raro esempio di scultura italica preromana di grandi dimensioni: la testa di guerriero in calcare da Numana, risalente alla metà del VII sec. a.C, ossia alla fase Piceno III (foto 31b). La scultura apparteneva ad una statua monumentale, più grande del naturale[56]; stilisticamente fa parte di un ristrettissimo gruppo al quale appartiene anche il Guerriero di Capestrano.

Sale 9 e 10
  • fase Piceno IVa (pieno VI sec. a.C. - 580-520 a.C.)

Questa fase segna l'inizio dell'apogeo di questa civiltà, che culminò tra la fine del VI e l'inizio del V sec. a.C.

32) Ansa figurata rappresentante il Signore degli Animali (sala 10)

Si notano due anse di idrìa che rappresentano un'entità sovrannaturale: il Signore degli animali, qui attorniato da due leoni, due cavalli, due rapaci e due serpenti (foto 32). Questo modo di rappresentare il Signore degli animali è tipico quasi esclusivamente del territorio piceno[57]. Il Signore degli animali è una figura sovrannaturale la cui origine si può far risalire sino alle società paleolitiche di cacciatori; era l'essere da cui si riteneva dipendesse l'esito della caccia e quindi la sopravvivenza del gruppo.

Sono notevoli alcune ambre scolpite, tra cui quella che rappresenta un leone che sovrasta una leonessa (foto 34)[58], di produzione picena e originariamente collocato sull'arco di una fibula. In Italia si sono rinvenute trentatré ambre figurate rappresentanti felini, in genere accovacciati, provenienti per la maggior parte dall'Etruria padana o dal Piceno. Il reperto qui esposto si distingue, rispetto agli altri, per la riconoscibilità del leone, per presenza della leonessa e per il miglior stato di conservazione[59]. L'associazione tra l'ambra e il leone, che per le loro caratteristiche ricordano il Sole, rinforza i significati simbolici di entrambi. A proposito degli oggetti in ambra, si ricorda che il popolo piceno era stato soprannominato "popolo dell'ambra" per l'amore che mostrava nei confronti di questo materiale, che ricorda il Sole per il colore, per la traslucida luminosità e per la misteriosa energia che rivela quando, per strofinio, si elettrizza. Il Piceno era un terminale della "via dell'ambra" che partiva dal Mar Baltico ed arrivava al Mediterraneo.

Si segnala anche la statuetta in avorio che raffigura la dea Cupra (foto 35), una delle più importanti del pantheon piceno, in qualche modo assimilabile ad una Magna Mater o alla Bona Dea; la faccia era in ambra, ma si è persa a causa dei bombardamenti che, durante la Seconda guerra mondiale, colpirono il museo.

Sono qui esposti anche alcuni enigmatici anelloni a sei nodi (foto 36), oggetti assurti nei primi anni del Novecento a emblema dell'intera civiltà picena. Detto anche "ruota di Cupra", l'anellone a sei nodi ha un significato che sfugge: forse è un simbolo solare o di femminilità e fertilità, usato in riti collegati alla dea Cupra[60]. Il numero dei nodi, in alcuni reperti, non è sei, ma varia da quattro a otto.

I due dischi-corazza da Rapagnano, posti a confronto con quelli esposti nelle sale precedenti, fanno notare come l'arte picena abbia subito l'influsso di quella greca, andando verso rappresentazioni più realistiche. Risalgono alla metà del VI sec. a.C. Uno dei due dischi è una riproduzione galvanoplastica ottenuta nel 1914 dall'originale, conservato in proprietà privata e poi perduto; esso raffigura una scena di guerra con cavalieri, di cui uno è caduto a terra e si protegge con lo scudo. L'altro disco (foto 37) rappresenta invece un drammatico duello tra due soldati inginocchiati, uno dei quali tenta di sottrarre l'arma all'avversario[61].

Sala 11

Vi è esposta una collezione di epigrafi picene, scritte nel caratteristico alfabeto usato nella regione durante l'Età del ferro, testimonianze fondamentali della lingua picena (foto 38, 39, 40 e 41). È inoltre presente un'epigrafe in cui è usato l'alfabeto e la lingua di Novilara (foto 42).

Il piceno è una lingua italica attestata da iscrizioni ritrovate in tutte le province delle attuali Marche, oltre che nell'Abruzzo settentrionale[62]. La datazione delle ventisette iscrizioni picene sino ad ora ritrovate ne ha individuato la diffusione in un arco di circa 300 anni, compreso fra la fine del VII secolo a.C. e l'inizio del III secolo a.C..

L'alfabeto piceno è stato decifrato completamente solo negli anni ottanta del Novecento, a causa di una caratteristica rimasta per decenni incompresa: quella di usare dei punti al posto dei segni che in altri alfabeti sono tratti o circoli, come nella O, costituita da un punto al centro, e nella F, realizzata con due punti. Queste lettere venivano quindi scambiate per segni di interpunzione[63]. La lingua picena rivela un'accuratezza nella trascrizione del sistema vocalico maggiore di quella delle altre lingue italiche, comprendendo l'uso di sette vocali: A, È (E aperta), É (E chiusa), Ò (O aperta), Ó (O chiusa), U, trascritte rispettivamente a, e, í, i, o, ú, u. Le consonanti sono sedici[63][64]. L'elenco completo di tutte le lettere e il valore fonetico di ciascuna di esse è presente nella tabella "alfabeto piceno".

alfabeto fonetico internazionale [a] [e] [ɛ] [i] [ɔ] [o] [u]
vocali italiane A È É I Ò Ó U
vocali picene
Sala 12

Presenta testimonianze dei luoghi di culto e in particolare delle stipi votive; tra i reperti qui conservati si segnalano i caratteristici "Marti in assalto" e "Marti stanti" (foto 43 e 44), opere che esprimono tutta l'originalità e la forza della metallurgia locale. Si segnalano anche i minuscoli vasi miniaturistici (foto 45), tipici dei contesti votivi e cultuali di quest'età. Sono notevoli inoltre due opere di fattura etrusca: una testa bronzea di Marte (foto 46) e un piccolo kouros bronzeo. È di produzione locale una piccola statua bronzea di Ercole.

Sono qui esposte anche le allungatissime figure in lamina di bronzo (foto 47), della tipologia delle "ombre della sera", che comprende un ristretto gruppo di una ventina di esemplari rinvenuti di Toscana, Etruria padana, Umbria e Marche, sempre in contesti votivi[65]. Il loro nome, coniato modernamente, deriva dall'aspetto simile alle ombre che al tramonto si allungano a dismisura, dato che il sole si trova quasi sull'orizzonte.

Sale 13, 14, 15, 16
  • fase Piceno IVb (fine del VI e l'inizio V sec. a.C. - 520-470 a.C.)
48) Cratere a calice con le nozze tra Bacco e Arianna e, sull'altro lato, Edipo e la sfinge (sala 15).
53) Cratere a volute con tre fasce di immagini, rappresentanti (dall'alto) scene di simposio, corse di carri, amazzonomachia (sala 15)

Questa fase è considerata l'apogeo di questa civiltà. Tra gli altri reperti spiccano numerosi vasi attici, molti dei quali di alta qualità (foto 1 e 44-54), che i Piceni acquistavano da mercanti-navigatori greci. Gli esemplari più monumentali sono esposti nella vasta sala 15, che quando il palazzo era ancora una dimora nobiliare era il salone dei ricevimenti. Tra i vasi greci ci sono sia vasi a figure nere, sia vasi a figure rosse. Tra questi ultimi si segnalano soprattutto i seguenti, risalenti all'epoca aurea dell'arte greca: il V sec. a.C. corrispondente in gran parte con l'età di Pericle[66][67].

- Cratere a calice che raffigura sul lato A le nozze tra Bacco e Arianna e sul lato B Edipo e la sfinge[68]

Sul lato A (foto 1, 48 e 49), Bacco e Arianna[69] siedono a fianco, vicino a Pothos. Tutta la scena è animata da satiri e menadi. Un satiro versa del vino da un'idrìa in un dinos e una menade porta un canestro di grappoli d'uva, mentre una danzatrice con kalathiskos, una veste con corpetto aderente che lascia i seni scoperti e un solo saldalo è intenta ad eseguire una danza pirrica, per la quale Eros le offre uno scudo e una lancia.
Sul lato B (foto 50) sono raffigurati Edipo e la sfinge attorniati da tebani, di profilo, che attendono l'esito della vicenda; la Sfinge è assisa su un pilastro roccioso. Edipo domina la scena, essendo l'unico personaggio raffigurato di tre quarti, con atteggiamento sicuro e sereno che contrasta con il nervosismo di coloro che assistono alla scena; ha l'aspetto del viandante: indossa il petaso e la clamide e porta lance leggere. Risale alla fine del V sec. a.C.

- Anfora di tipo panatenaico (foto 51)[70]

Raffigura su un lato Zeus ed Era, rappresentati giovanissimi; posta tra i due coniugi, l'alata Iris reca in un'idrìa la temibile acqua del fiume Stige, che aveva il potere di smascherare coloro che affermavano il falso durante la siglatura di un patto. Sull'altro lato si trovano invece Apollo con la cetra ed Artemide in procinto di avviarsi su di un carro. Risale all'inizio del V sec. a.C.

- Cratere a volute a tre fasce (foto 53)[71]

La fascia più bassa rappresenta un'amazzonomachia, quella centrale una corsa di cavalli e quella più alta un simposio su un lato e sull'altro un komos, ossia una processione festosa. Risale alla fine del V sec. a.C.

- Piattello ad alto piede (foto 54)[72]

58) Dinos di Prometeo (sala 15)
59) particolare dell'idrìa con protome di sfinge (sala 15).
Il piattello ad alto piede è una tipologia ceramica che i ceramisti ateniesi producevano appositamente per il Piceno e per Spina; forse aveva la funzione di servire olive, come suggerisce la cornice di rami d'ulivo. Nell'esemplare esposto è rappresentato Eracle giovane ricoperto dalla pelle del leone nemeo. Risale alla fine del V sec. a.C.

- Cratere a campana con satiri e menadi (foto 55 e 56)[73]

Raffigura su un lato sei satiri e menadi in corsa e sull'altro lato l'incoronazione di un atleta che tiene uno strigile in mano e una clamide avvolta sul braccio. Risale alla fine del V sec. a.C.

- Dinos con Prometeo che consegna il fuoco ai satiri (foto 57 e 58)[74][75]

Prometeo è seduto, benevolo e in nobile atteggiamento. Il fuoco, contenuto nel fusto cavo di una ferula, è consegnato ad un satiro, mentre un suo compagno, vista la scena, già prepara la legna da ardere. Intorno a loro satiri di ogni età accolgono il prezioso dono danzando e bevendo; un vecchio satiro con barba e coda bianca offre un rhyton ad un satiro giovane, che vi si avventa. Risale alla fine del V sec. a.C.

Sono esposti anche vasi bronzei, sempre di fattura greca.

- Dinos bronzeo poggiato su un tripode a zampe leonine e palmette rovesciate (foto 60, 61 e 62)

Presenta un orlo decorato da statuine di leone e di toro (quest'ultimo è un calco dell'originale perduto), in posizione di combattimento. Risale all'inizio del V sec. a.C.[76]. Nel 1890, dopo il recupero fortuito, era finito indebitamente nelle mani di un antiquario che, scoperto, cedette il reperto al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia; si pensa però che due statuette di leone e di cinghiale finite a Boston, siano da attribuire a questo stesso reperto.Il dinos bronzeo passò poi al Museo nazionale romano e tornò finalmente nelle Marche nel 1901, al museo archeologico di Ancona, che stava per ottenere la nazionalizzazione. Ridotto in frammenti a causa dei bombardamenti del 1943, fu pazientemente ricostruito.

- Due idrìe bronzee greche

Un'idrìa ha una protome di gorgone (foto 63) ed è datata alla fine del V sec. a.C.[77]. L'altra ha invece una protome di sfinge (foto 59 e 64) e risale alla metà del V sec. a.C.[78]. Le due protomi sono, in entrambe i casi, poste alla base dell'ansa.
65) Rhyton (sala 17).
Sale 17 e 18
  • fase Piceno V (pieno V e l'inizio IV sec. a.C. - 470-385 a.C.)

Durante questa fase continua l'importazione di ceramica greca. Si segnalano:

- Rhyton con scene dionisiache (foto 65)[79].

Il rhyton è modellato a testa di cane, forse un levriero, con orecchie aggettanti e occhi vividi e brillanti. L'imboccatura è ad angolo retto rispetto al muso dell'animale. Risale alla metà del V sec. a.C.

- Pisside a fondo bianco con la nascita di Afrodite alla presenza di Eros[80].

È notevole per per la rarità del tema raffigurato e per la tecnica di realizzazione su un fondo color latte. Le divinità sono indicate con il nome, scritto a vernice nera: Afrodite, Peithṓ?, Eros, Zeus, Era. Risale alla metà del V sec. a.C.
66) Vaso alto-adriatico (sala 23).
Sala 23
  • fase Piceno VI (pieno IV e prima metà del III sec. a.C. - 385-268 a.C.)

L'esposizione dei reperti piceni si interrompe con la sala 18 e riprende con la sala 23, perché nelle sale dalla 19 alla 22 sono esposti i reperti che testimoniano l'arrivo nel territorio piceno dei Galli Sènoni, descritti nella sezione Civiltà gallica.

La fase VI è l'ultima della civiltà picena, che va gradatamente fondendosi con altre, portate dagli stanziamenti gallici e dalla fondazione della colonia greca di Ankón (Ancona), dissolvendosi in una koiné celto-greco-italica[81]. L'inizio della romanizzazione della regione iniziò con la battaglia del Sentino, data convenzionale di fine della civiltà picena. Si possono qui ammirare i vasi dello stile detto "alto-adriatico", prodotto dell'estremo periodo piceno, ispirato alla ceramica greca, ma in cui le figure, con la stilizzazione spinta dei profili e delle acconciature, tendono quasi all'arte astratta (foto 66).

Civiltà gallica[modifica | modifica wikitesto]

67) Corona rinvenuta in una tomba celtica, realizzata in lamina d'oro e smalti (sala 22)
73) Bracciale gallico-etrusco in oro con protome di serpente (sala 22)
Sale 19, 20, 21, 22.

La collezione gallica è costituita dai reperti relativi allo stanziamento nel territorio piceno settentrionale dei Galli Senoni, provenienti dalla regione francese della Champagne. A parte l'armamento, di produzione celtica, queste testimonianze sono prodotte da officine etrusche e greche e spesso sono in oro. Da segnalare soprattutto le tre corone, di raffinatissima fattura, composte da fiori e foglie in lamina d'oro (foto 67); esse rappresentano dei pezzi unici in Italia di una rara tecnica orafa che era invece diffusa nei contesti regali della Grecia[82]. Sempre in oro, si segnalano gli orecchini (foto 68), i collari (foto 69), le caratteristiche torqui (foto 70) e i bracciali (foto 73).

Tra i numerosi oggetti che i Galli acquistarono dagli Etruschi, si segnala una teglia con le due anse raffiguranti coppie di guerrieri in lotta (foto 71), vestiti con corazza e corta tunica, inclinati l'uno verso l'altro sino a toccarsi con le teste; inoltre, ognuno dei due pone la mano sulla testa dell'altro (IV sec. a.C.)[83].

L'originaria cultura celtica dei Sènoni, a contatto con i Piceni e con i Greci di Ancona, subisce un'evoluzione, dissolvendosi in una koiné celto-greco-italica, dove l'elemento celtico rimase tipico solo per ciò che riguarda l'armamento[81], ben rappresentato nella sezione; si segnalano gli elmi celtici con paragnatidi (protezioni delle guance e delle orecchie) e cimiero in ferro (foto 72) e le spade celtiche, che presentano il caratteristico stile di Waldalgesheim, nato in area celto-italica a sud del Po e dovuto alla fusione di arte celtica, greca ed etrusca.

Posto fuori dalla sezione gallica, il fregio fittile del Tempio di Civitalba (foto 99, 100 e 101), di arte romana, è estremamente interessante per capire la percezione che i Romani avevano dei guerrieri gallici, presentati come barbari sacrileghi[84][85][86].

Sezione "Ancona greco-ellenistica e romana"[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Scavi archeologici di Ankón e Ankón.
74) La moneta greca di Ancona, che reca sul dritto la testa di Afrodite vista di profilo e incoronata di mirto, accompagnata dalla sigla Σ ("S", per "Siracusa"), mentre sul verso è presente un braccio piegato, le due stelle dei Dioscuri e la scritta ΑΓΚΩΝ (ANKŌN), che significa sia "gomito", sia "Ancona", dato che la città prende nome dalla conformazione ad angolo del promontorio su cui sorge, simile ad un braccio piegato (sala 24)[87].
79) Le sfingi poste all'ingresso della sala 24
80) Urceolus (brocchetta) in argento con ansa figurata ad attore comico, che testimonia il culto del dio Dioniso e che reca, sul fondo, un augurio in lingua greca (sala 24)[88]

I reperti greco-ellenistici e romani provenienti da Ancona sono esposti nelle sale 24 e 25.

Sala 24

La sala 24[89] è dedicata all'archeologo Nereo Alfieri, a cui spetta il recupero dei Bronzi Dorati di Cartoceto. Nella sala sono esposti i ricchi materiali provenienti dalla necropoli ellenistica di Ankón (Ἀγκών), nome di Ancona durante la sua fase di colonia greca, che si distinse per aver mantenuto il suo carattere greco anche dopo la romanizzazione della regione e persino dopo essere entrata a far parte dello stato romano.

All'ingresso della sala sono esposte due statue di sfingi (foto 79) del II-I sec. a.C., una delle quali stringe tra le zampe una testa decapitata; originariamente poste a guardia di aree funebri, hanno confronti solo in Veneto e nell'oriente mediterraneo. Le due sculture sono di produzione locale e recepiscono prototipi orientali, a testimonianza di rapporti di Ankón con il vicino Oriente.

Spiccano le stele funerarie con bassorilievi e iscrizioni in greco (alcuni esempi nelle foto 75-78), databili dalla fine del II agli inizi del I sec. a.C. Tra tutte le altre testimonianze funerarie coeve ritrovate in Italia, sono uniche per l'assoluta aderenza all'arte ellenistica, non trovando confronto neanche nelle città della Magna Grecia e della Sicilia: i loro modelli sono nelle isole Cicladi[90]. Le immagini delle stele, i testi delle loro iscrizioni ed altri dettagli sono presenti nella voce "Scavi archeologici di Ankón", al capitolo "Le stele figurate e iscritte".

È esposta una delle sei monete greche di Ancona conservate al Museo (foto 74). Gli oggetti di prestigio della necropoli, che comprendono vasi e scodelle in vetro colorato, gioielli in oro e servizi domestici in argento (un esempio nella foto 80) sono testimonianze uniche nell'Adriatico e in generale a nord della Magna Grecia, e mostrano lo stretto legame esistente in epoca ellenistica tra Ancona e il mondo greco e in particolare Alessandria d'Egitto, centro principale dell'ellenismo mediterraneo[91].

La civiltà greca è testimoniata, oltre che dai reperti provenienti dalla necropoli ellenistica di Ancona, anche dai notevoli esemplari di ceramica attica ritrovati nelle necropoli picene (foto 1, 48-58 e 63) e che sono dunque esposti nella sezione protostorica. Se ne sono date informazioni nel capitolo "Civiltà picena" (sale da 13 a 18).(sala 24)

81) Ritratto di Augusto capite velato, da Ancona (sala 24), trovata nel 1863 al di sotto dell'attuale sede del Museo, ove in epoca romana era localizzato il foro.
82) Situla funeraria in marmo, ansa con testa di Dioniso (sala 24)
88) Bassorilevo con suonatrice di khitara (cetra) danzante (sala 25).

La sala accoglie anche alcuni reperti romani. Tra essi si segnala soprattutto il ritratto marmoreo di Augusto capite velato (foto 81), cioè con il capo velato come voleva la sua funzione di pontifex maximus, nell'atto rituale dell'offerta religiosa. In pressoché perfetto stato di conservazione e di ottima fattura, fu trovata nel 1863 al di sotto dell'attuale sede del Museo, ossia nell'area ove in epoca romana era localizzato il foro. L'imperatore è stato ritratto in un'età non più giovanile da una bottega scultorea di buon livello e situata in città, come mostra lo studio attento della fisionomia, che si discosta in qualche particolare dai ritratti di Augusto appartenenti alla stessa tipologia, ossia quella dell'Augusto di via Labicana[92][93]. Per la sua importanza iconografica, dall'opera è stato ricavato un calco per esporlo nella sala di Augusto del Museo della civiltà romana di Roma.

Sempre di epoca romana, sono presenti delle pareti affrescate con motivi illusionistici: entro archi dipinti rappresentano delle scene nilotiche con piante, animali acquatici e pigmei in barca. Gli affreschi provengono da una domus ritrovata in via Fanti e sono del "secondo stile": risalgono quindi alla metà del I sec. a.C.[94].

Si trova nella sala anche una situla cineraria marmorea romana con volto dionisiaco (foto 82), rinvenuta in una sepoltura ancora visibile lungo corso Matteotti.

Si segnala infine un modellino ricostruttivo della fase romana del Tempio di Venere di Ancona[95], i cui resti si trovano nell'area archeologica sottostante il Duomo.

Sala 25

La sala 25 è intitolata all'archeologo Giuliano De Marinis, che diresse la soprintendenza ai beni archeologici dal 1995 al 2012. La sala conserva reperti risalenti alla fase romana di Ancona[96]. Il pavimento della sala accoglie uno splendido mosaico proveniente da Helvia Recina, recante inserzioni di marmi colorati.

Tra i reperti qui esposti si segnalano i seguenti.

- Il Bassorilevo con suonatrice di cetra danzante (foto 88).

Risale alla tarda fase ellenistica di Ankòn. Per rendere l'idea del volteggio, la chioma, raccolta in una vaporosa coda, è vista di prospetto, mentre il corpo è di profilo e il viso di tre quarti. La khitara è portata di traverso, stretta sotto il braccio, e la suonatrice usa un plettro a forma di pesce. Secondo alcuni, potrebbe rappresentare una musa.

- Le decorazioni in avorio e in bronzo di tre letti funebri.

I letti erano stati sepolti insieme ai defunti; le decorazioni sono esposte su letti in legno ricostruiti modernamente[97].

- Due mosaici policromi appartenenti alle domus della valle degli Orti.

La Valle degli orti è percorsa oggi dai tre corsi principali della città e all'epoca imperiale romana accoglieva l'espansione extramuraria della città; un mosaico proviene dall'area della Galleria Dorica ed è decorato con motivi acquatici (foto 83); l'altro proviene invece da corso Garibaldi (negozio Zamboni) e raffigura la testa del dio Oceano (foto 84).

- Il trapezoforo con busti femminili alati ed ornamenti vegetali ad acanti e foglie di palma (foto 2).

Questo reperto ispirò gli arredi della precedente sede del museo, il convento di San Francesco delle Scale.

- Il Sarcofago del Vinaio (foto 85).

Sul fronte è presente un bassorilievo raffigurante tre scene, separate da due colonne e coperte da tre arcate; la scena centrale mostra una compravendita di vino, con il venditore che tiene in una mano una spilla per botti e tini e nell'altra una patera; la scena di destra presenta il dio Mercurio con caduceo tra gallo e pecora, mentre in quella di sinistra si vede il dio Bacco con tirso e affiancato da una pantera. Il sarcofago risale al III sec. d.C. e proviene dalla chiesa di Santa Maria della Piazza. Per il suo interesse ne è stata tratta una copia, esposta al Museo della Civiltà Romana; infatti il reperto mostra che anche in epoca romana si usavano delle botti in legno come contenitori per il vino, mentre solitamente, nell'iconografia romana, questo liquido è contenuto in dolii e orci in terracotta.

- Tre piccole statue acefale di Venere.

Furono ritrovate nell'ultimo dopoguerra in un pozzo di Piazza del Comune (piazza B. Stracca); sono un'ulteriore testimonianza del culto che Ancona dedicava a questa divinità, attestato soprattutto dalla presenza nell'acropoli cittadina del tempio di Afrodite.

Si affiancano ai reperti i seguenti due modelli didattici.

- Il calco delle scene 58 e 59 della Colonna Traiana (foto 86) rappresenta l'imperatore e il suo esercito si imbarcano per la Dacia dal porto di Ancona. Si tratta del più antico panorama di Ancona; sono rappresentati il Tempio di Venere sull'acropoli, il colle Guasco percorso da una strada a tornanti, il sottostante Tempio di Diomede colpito dalle onde, l'Arco di Traiano, con le statue di Mercurio, Nettuno e Portuno, il molo fatto costruire da Traiano, il colonnato del foro, i magazzini portuali, il porto gremito di navi da guerra in procinto di partire, la folla che saluta i soldati, una scena di sacrificio di un toro.

- Il modellino ricostruttivo dell'Arco di Traiano di Ancona (foto 87) raffigura il monumento all'epoca della sua costruzione, ossia con quattordici rostri e, sull'attico, le statue di Traiano, sua moglie Plotina, sua sorella Marciana, di Mercurio, Nettuno e Portuno. Le statue poste sull'arco nella scena della Colonna Traiana sono solo quelle delle tre divinità, perché erano rivolte verso il mare e quindi erano le sole visibili dall'ingresso del porto; quelle della famiglia imperiale erano invece rivolte verso terra, sopra alle iscrizioni che si riferiscono ai personaggi rappresentati.

Nella sala sono esposti anche i reperti provenienti dagli scavi del porto traianeo di Ancona, tra cui alcuni frammenti di statue in bronzo dorato, che tradizionalmente si attribuiscono alle statue poste nell'attico dell'Arco di Traiano prima del saccheggio saraceno dell'839[98][99].

Sezione romana[modifica | modifica wikitesto]

89) Orologio solare sferico (sala 26)
90) Oscillum con capricorno e falce di luna (sala 26)
91) Sarcofago con scene del mito di Medea, conservato al Museo Nazionale Romano e con le stesse scene raffigurate nel sarcofago esposto ad Ancona (sala 26)
97) Busto di imperatore con lorica musculata decorata con grifoni e gorgoneion (sala 27)
103) Statuetta di roditore in ambra, esposta nella sezione romana, riaperta nel 2023
104) Copia ricostruttiva dei Bronzi Dorati di Cartoceto, sulla terrazza sommitale (particolare)
110) Copia ricostruttiva dei Bronzi Dorati di Cartoceto, sulla terrazza sommitale (particolare)

La sezione romana è stata riaperta il 6 dicembre 2023, a 51 anni dalla sua chiusura a seguito del terremoto del 1972; si articola in due sale: la 26 e la 27, che accolgono una scelta dei reperti romani del Museo, ad eccezione di quelli ritrovati ad Ancona, esposti nelle sale 24 e 25. I reperti non sono esposti in ordine cronologico, ma sono riuniti seguendo un criterio tematico: sculture, vetri, anfore, mosaici, iscrizioni e così via[100].

Sala 26

Accolgono il visitatore, all'ingresso della sala, numerosi ritratti scultorei (foto 92 e 93) dall'età repubblicana a quella tardo-imperiale, tra cui una testa dell'imperatore Claudio e una del tipo Agrippina minore, sua moglie; si segnalano inoltre un trapezoforo in marmo, con testa di lince, del I secolo d.C. (foto 94), un oscillum a bassorilievo rappresentante un capricorno e una falce di luna (foto 90) e un emblema in mosaico in opus vermiculatum, rappresentante una scena di caccia al cinghiale, del II-I sec. a.C. (foto 98).

È esposto anche un rarissimo orologio solare sferico in pietra: il globo di Matelica (foto 89); si conosce solo un altro reperto simile (il globo di Prosymna)[101][102]. Era utilizzato come strumento di osservazione del cielo, per calcoli astronomici, astrologici e cronologici, per stabilire le ore del giorno dal sorgere del sole, le date dei solstizi e degli equinozi, l’entrata del Sole nelle diverse costellazioni dello Zodiaco, la durata del giorno e della notte nelle varie epoche dell'anno.

Sono esposti due magnifici esempi di sarcofagi romani, descritti di seguito.

- Sarcofago con scene del mito di Medea, risalente al 150 - 160 d.C. (foto 91, 95 e 96).

Dopo la scoperta, avvenuta nel XV secolo a Roma[103], era stato posto in Vaticano, nel Cortile del Belvedere, dove era stato ammirato, durante un suo soggiorno a Roma, da Pieter Paul Rubens, che ne trasse un accurato disegno. Era poi stato acquisito dal Museo Nazionale Romano e giunse ad Ancona solo nel 1927, in seguito a un'acquisizione voluta dal soprintendente Giuseppe Moretti. È l'unico reperto del museo a non provenire dalle Marche e rappresenta il mito di Medea secondo l'omonima tragedia di Euripide, con uno stile ricco di pathos e di movimento. Nella scena frontale si vede a sinistra Medea, alla presenza di Giasone, con i figli che recano una ghirlanda e un peplo come doni nuziali a Creusa, seduta sul trono tra due ancelle; sullo sfondo un parapetasma. Al centro si vede Creusa che, avendo indossato il peplo stregato donato da Medea, si contorce avvolta dalle fiamme; suo padre Creonte tenta di salvarla, mentre Giasone osserva la scena. Procedendo verso destra, c'è Medea che, pugnale in mano, uccide i figli alla presenza della nutrice. Nell'ultima scena la donna fugge sul carro del Sole, sceso a prenderla per portarla in salvo, trainato da serpenti alati; porta con sé i cadaveri dei figli: uno in spalla, l'altro sul carro. Sui lati sono presenti due grifoni, la cui presenza è motivata dal fatto che queste creature fantastiche erano ritenute sacre al Sole[104].

- Sarcofago con tritoni e nereidi, del II sec. d.C. (foto 99).

Raffigura un corteo marino, con le creature che, secondo il mito, facevano parte del corteggio di Nettuno, dio del mare, delle sorgenti e dei terremoti[105]. Al centro della scena è raffigurato Nettuno su un ippocampo, che impugna il tridente.

In questa sala è inoltre presente un sarcofago che reca sul lato superiore una fistula in piombo attraverso la quale venivano fatte le offerte al defunto (III sec. a.C.)

Sala 27

Sono esposti nella sala ritratti scultorei e statue acefale di età imperiale (un esempio nella foto 100). Si segnalano, in particolare, un pregevole torso di imperatore con lorica musculata (foto 97), decorata con due grifoni simmetrici e gorgoneion centrale, del I sec. d.C. e un torso in marmo grigio di Ercole (foto 102). Una vetrina contiene un'interessante collezione di oggetti in vetro soffiato, che i romani producevano in serie (foto 101). Si segnala, come curiosità, anche una minuscola statua di roditore in ambra (foto 103).

Reperti romani esposti in altre sale

Nella galleria vetrata del piano terra è presente un interessante esempio di cippo funerario figurato con iscrizione: la Stele del seviro Sesto Tizio Primo da Suasa (foto 105)[106].

Sono esposte[107], nel panoramico corridoio che conduce alla sala 24, le pregevoli sculture fittili del fregio e del frontone del Tempio di Civitalba (foto 106, 107 e 108), opera di arte romana della seconda metà del II secolo a.C. Il fregio raffigura la scena del mancato saccheggio del tempio di Apollo di Delfi, da parte di soldati celtici (279 a.C.), riconoscibili per i capelli sollevati a cresta, i baffi spioventi, le tuniche di pelliccia e gli scudi rettangolari. La rappresentazione del fregio segue il mito, che presto ammantò il fatto storico, secondo cui Apollo e le "vergini bianche"[108], identificate in Atena pronaia e Artemide, intervennero per cacciare i Celti, costretti ad una fuga precipitosa e ad abbandonare il bottino: sono visibili patere e brocche in metallo prezioso che cadono a terra. Nella fuga concitata, un soldato celtico travolge con il carro un suo stesso compagno. Partecipò alla difesa del tempio di Delfi anche il figlio di Achille, Neottolemo, sepolto a Delfi e risorto miracolosamente per cacciare i sacrileghi; forse si tratta del personaggio all'estrema destra del fregio, che si distingue per indossare un berretto frigio[109][110].

Il tema rappresentato non è casuale: Civitalba sovrasta la pianura in cui si svolse la Battaglia del Sentino (295 a.C.), che vide affrontarsi i Romani, alleati dei Piceni, contro una coalizione composta da Etruschi, Sanniti, Galli Senoni ed Umbri. Il tempio fu costruito, circa un secolo più tardi, per celebrare la sconfitta della coalizione e in particolare dei Senoni, popolo celtico, equiparandola a quella mitica avvenuta in terra greca contro nemici della stessa stirpe.

Nel frontone, invece, la rappresentazione è dedicata a Dioniso quale divinità che a Delfi era affiancata ad Apollo. Ad altissimo rilievo sono raffigurati satiri e ninfe dormienti in contesto campestre, celebranti forse l'incontro tra Dioniso ed Arianna a Nasso; il gruppo centrale, molto frammentario, rappresenta forse il risveglio di Dionysos Lyknites[111] sul monte Parnaso oppure la ierogamia tra Bacco ed Arianna[112].

Copie ricostruttive dei Bronzi dorati da Cartoceto

Le copie ricostruttive dei Bronzi Dorati da Cartoceto (foto 104, 109 e 110), l'unico gruppo scultoreo in bronzo dorato di provenienza archeologica rimastoci dell'epoca romana[113], sono state realizzate in bronzo dorato, come gli originali. Svettano dalla terrazza sommitale di Palazzo Ferretti come simbolo dell'archeologia marchigiana . Gli originali dei Bronzi Dorati sono stati esposti nel museo dal 1959 al 1972, come pezzi singoli (foto 113), e nel 1988, questa volta come gruppo unico, grazie ad un restauro che permise di integrre tutti i frammenti ritrovati. Per la controversia relativa al luogo in cui esporre queste eccezionali testimonianze di scultura antica, si veda la voce specifica.

Sezione altomedievale[modifica | modifica wikitesto]

La sezione altomedievale non è ancora aperta (2023). Comprende soprattutto le testimonianze lasciate nelle Marche dagli Ostrogoti (fine V secolo - inizi del VI secolo) e dai Longobardi (fine VI secolo - tutto il VII secolo).

111) Dritto e rovescio della moneta siracusana emessa all'epoca di Dionisio I e ritrovata ad Ancona (non ancora esposta)

I reperti comprendono armi, accessori di abbigliamento e oggetti di oreficeria. La collezione altomedievale è importante in quanto non sono molto comuni in Italia i ritrovamenti di questo periodo.

Collezione numismatica[modifica | modifica wikitesto]

La collezione numismatica non è ancora aperta (2023), ma nelle due sale della sezione romana sono esposte 65 monete scelte tra le migliaia della ricca collezione del Museo. Non è esposta, ad esempio, una moneta siracusana emessa all'epoca di Dionisio I (foto 104), ritrovata ad Ancona e risalente all'epoca della sua fondazione da parte dei greci siracusani.

Reperti paleontologici[modifica | modifica wikitesto]

112) Scheletro di Ursus arctos (orso bruno) rinvenuto in una cavità carsica della Gola di Frasassi.

Il Museo nazionale, pur avendo carattere archeologico, espone due reperti paleontologici.

  • Scheletro di un giovane orso bruno (foto 105), che nell'ultimo periodo della glaciazione Würm (più di 10.000 anni fa), recatosi per il letargo in una cavità carsica nei pressi delle Grotte di Frasassi, è morto durante il sonno, come a volte capita a questi animali se prima dell'inverno non si sono nutriti a sufficienza[114]. Durante la stessa glaciazione, mentre l'orso bruno riuscì a sopravvivere, grazie alla sua dieta onnivora, la specie affine Ursus spelaeus si è estinta, forse a causa della sua alimentazione più vegetariana, resa difficoltosa dal raffreddamento del clima[115]. Lo scheletro è esposto al secondo piano.
  • Calco dell'Ittiosauro di Genga, della specie Gengasaurus nicosiai (nella sala dei convegni, a piano terra). Lo scheletro è stato rinvenuto a Camponocecchio, nei pressi di San Vittore di Genga, durante la costruzione di una galleria della Strada statale vallesina. Si tratta di un rettile marino lungo circa tre metri, vissuto nel Giurassico superiore, circa 150 milioni di anni fa. Un ricercatore locale, durante i lavori di costruzione della galleria, si rese conto della presenza del fossile e lo segnalò, salvandolo dalla distruzione. L'originale si trova nel Museo speleo paleontologico e archeologico di Genga[116].

Riapertura delle collezioni dopo le distruzioni della Seconda guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]

113) Un particolare dei Bronzi Dorati di Cartoceto, nell'allestimento del 1959
114) Incisioni su bronzo
  • 1959
  • 1969
    • Riapertura della sezione romana e quella altomedievale.
  • 1988
  • 1995
  • 1997
  • 2010
    • Riapertura al pubblico della sezione dedicata ad Ancona greco-ellenistica e romana[118]. Nel contempo si tolgono dalla fruizione pubblica i reperti del Tempio di Civitalba.
  • 2012
    • Parziale chiusura della sezione greco-ellenistica (le stele della necropoli ellenistica di Ancona sono state spostate in una sala non aperta al pubblico).
  • 2013
    • Le stele greche provenienti dalla necropoli ellenistica di Ancona sono nuovamente visibili; apertura della seconda sala della sezione dedicata ad Ancona greco-ellenistica e romana.
  • 2015
    • Le sculture del Tempio di Civitalba sono nuovamente visibili, con un nuovo allestimento.
  • 2021
    • Vengono chiuse al pubblico le collezioni dell'Età dei metalli (Età del rame ed Età del bronzo).
  • 2023
    • Viene riaperta al pubblico la sezione romana, a 51 anni dalla chiusura.

Nel 2024 devono essere ancora allestite la collezione altomedievale e la collezione numismatica; la sezione dell'Età dei metalli è temporaneamente chiusa.

Palazzo Ferretti[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Palazzo Ferretti.
Palazzo Ferretti
Veduta frontale di Palazzo Ferretti

La sede del Museo è dal 1958 Palazzo Ferretti (foto 84 e 85), residenza nobiliare tra le più importanti della città[119]; già da solo l'edificio merita una visita, anche per la fama degli artisti che vi hanno lasciato la loro opera.

Il palazzo fu edificato tra il 1540 e il 1543, poco dopo la cacciata del famigerato cardinale Benedetto Accolti il Giovane, il legato pontificio che tanto aveva fatto penare la città dopo il colpo di Stato con il quale papa Clemente VII, nel 1532, aveva posto fine alla libertà della Repubblica di Ancona. La costruzione di Palazzo Ferretti avvenne quindi nel periodo in cui la città stava rimarginando le ferite dovute alla perdita della libertà e fu dunque segno della ritrovata pace cittadina, pur nell'ambito dello Stato Pontificio[120]. Il progetto è stato attribuito ad Antonio da Sangallo il Giovane[121] o anche a Pellegrino Tibaldi[122].

A partire dal 1560, i conti Ferretti commissionarono ad importanti artisti la decorazione ad affresco del palazzo: i dipinti del primo piano e alcuni di quelli del terzo piano sono opera di Pellegrino Tibaldi e della sua bottega, mentre gli altri affreschi del terzo piano sono attribuiti a Federico e Taddeo Zuccari.

Gli affreschi del Tibaldi realizzati nel piano nobile (salone dei ricevimenti, sala degli emblemi, sala dei miti, camera di San Carlo[123]) rappresentano: la Battaglia dei tre Orazi, Andromeda, Apollo e Dafne, Caduta del carro di Fetonte, Ratto di Proserpina. Al terzo piano il Tibaldi dipinse invece la sala con ciclo astrologico celebrante il Trionfo di Apollo. I dipinti degli Zuccari raffigurano invece grottesche con mostri, figure mitologiche e mascheroni nello stile romano tardo-cinquecentesco, tra cui si aprono quadri con paesaggi fantastici e vedute di monumenti romani[122][123].

Nel 1759 i Ferretti commissionarono a Luigi Vanvitelli l'ampliamento dell'edificio; verso sud giunse ad inglobare una torre medievale, mentre verso ovest giunse al confine con la chiesa degli Scalzi; l'architetto italo-olandese progettò il balcone sulla facciata, lo scalone d'onore ed il terrazzo pensile[123][124]. Furono aggiunte anche statue di Gioacchino Varlè e della sua scuola. Diversi restauri furono eseguiti nel Novecento, il primo (1928-1931) commissionato dalla stessa famiglia Ferretti, i successivi a causa dei danni derivati dalla Seconda guerra mondiale e dal terremoto del 1972.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Ombre della sera. Bronzetti allungati di età ellenistica. Catalogo della mostra - 9788877812841 di Cateni G. (cur.) edito da Pacini Editore, 1999]
  2. ^
  3. ^ [1]
  4. ^ A CURA DI GIULIA PRUNETI - ARCHEOLOGIA VIVA Hinthial: l’Ombra di San Gimignano
  5. ^ Corriere Adriatico, 31 dic 2023, articolo Volano i musei delle Marche
  6. ^
    • Massimo Pallottino, La civiltà picena - un'impostazione storica, in La civiltà picena nelle Marche, G. Maroni, Ripatransone, 1992, da cui si cita: ...il museo tra le più significative collezioni di antichità d'Italia e d'Europa.
    • Autori vari, Musei e gallerie d'Italia, Volumi 4-6, De Luca Editore, 1959 (pagina 3), da cui si cita: ...in breve tempo insperatamente arricchendo di prezioso e copiosissimo materiale, sino a divenire uno dei più importanti d'Italia.
    • Il Giornale, 27 Luglio 2011, articolo Terra picena dove godersi la vita, da cui si cita: uno tra i più importanti musei archeologici d'Italia.
  7. ^ La denominazione completa di questa istituzione, che corrisponde alle attuali soprintendenze ai monumenti ed archeologiche, è: "Regia Commissione Conservatrice dei monumenti storici e letterari, oggetti di antichità e belle arti delle Marche", come risulta da: G. Baldelli e M. Landolfi, Il Museo Archeologico Nazionale delle Marche, in Ancona anni Venti e Trenta, Canonici editore, Ancona 1998
  8. ^ Per la storia del museo: sito inventari.san.beniculturali.it, pagina Soprintendenza dei Musei e degli Scavi archeologici delle Marche, Ancona, 1907
  9. ^ a b Sito www.musei.marche.beniculturali.it, pagina Museo archeologico nazionale delle Marche
  10. ^ Non si deve confondere la via San Martino di allora con quella di oggi, che ricorda la battaglia di San Martino. Oggi la via ove sorgeva il museo è intitolata a Francesco Podesti; il museo aveva sede nell'ex convento di San Martino, che dava nome alla strada e che oggi ospita la residenza per anziani "Benincasa".
  11. ^ a b c d G. Baldelli e M. Landolfi, Il Museo Archeologico Nazionale delle Marche, in Ancona anni Venti e Trenta, Canonici editore, Ancona 1998
  12. ^ Le notizie sui musei archeologici nazionali esistenti nel 1906 (e negli anni successivi) sono tratte consultando tutti i siti ufficiali dei Musei Archeologici Nazionali attuali (2012) e cercando la data in cui essi sono stati dichiarati nazionali. Da queste ricerche risulta che l'esplosione di aperture, che ha portato all'alto numero di musei archeologici nazionali esistenti oggi in Italia, è iniziata dagli anni settanta del Novecento in poi, specie nell'Italia meridionale.
  13. ^ a b Sito [2], pagina Museo archeologico nazionale delle Marche
  14. ^ Innocenzo Dall'Osso, Guida illustrata del Museo nazionale: con estesi ragguagli sugli scavi dell'ultimo decennio (edizione del 1915 in ristampa anastatica, con allegato il volume Istruzioni per l'uso, di Milena Mancini e Marco Betti)
  15. ^ a b Serena Brunelli, Il Museo Nazionale delle Marche di Ancona: dalla sua fondazione al ventennio fascista, in Il capitale culturale, VI (2013), pp. 211-225. ISSN 2039-2362
  16. ^ Giuseppe Moretti (1876-1945) è noto per aver curato l'ampliamento delle collezioni del Museo Nazionale Romano, per l'isolamento e la ristrutturazione della sua sede nel complesso delle Terme di Diocleziano, il recupero e la musealizzazione delle navi di Nemi e lo scavo e il restauro dell'Ara Pacis. Si veda: Dizionario Biografico Treccani, voce Giuseppe Moretti.
  17. ^ Precisamente dalla scuola di ebanisteria di Fano.
  18. ^ Dal diario di Pasquale Rotondi, in: Salvatore Giannella e Pier Damiano Mandelli, L'Arca dell'Arte, Editoriale Delfi, Cassina de' Pecchi, Milano, 1999 e 2009. Dopo il bombardamento che distrusse l'edificio del museo le parole di Rotondi furono: E pensare che proprio pochi giorni prima io avevo detto al mio collega: "Dammi tutto, porto tutto a Sassocorvaro", ma lui non ne volle sapere".
  19. ^ Sito [3], pagina Museo archeologico nazionale delle Marche.
  20. ^ Tale necropoli si estende anche nel confinante comune di Sirolo.
  21. ^ La civiltà picena nelle Marche, Ripatransone, G. Maroni, 1992 (p. 18)
  22. ^ cultura.gov.it, Museo archeologico nazionale delle Marche.
  23. ^ www.classicult.it, articolo Museo Archeologico Nazionale delle Marche: restauro e riallestimento (31 agosto 2023).
  24. ^ Bruno Bearzi era il restauratore ufficiale della Soprintendenza archeologica di Fierenze. Si veda: Dizionario Biografico Treccani, voce Bruno Bearzi.
  25. ^ Il dipendente era il salatariato giornaliero Nereo Alfieri. Notizie tratte dalla sua relazione sullo scoprimento dei Bronzi Dorati, pubblicata a pagina 302 su La Civiltà Picena, Editrice Maroni, Ripatransone 1992
  26. ^ Sandro Stucchi Il gruppo bronzeo tiberiano da Cartoceto (pag. 10); L'Erma di Bretschneider, 1988
  27. ^ Enrico Paribeni, Ceramica attica nelle Marche, in La Civiltà Picena, Editrice Maroni, Ripatransone 1992
  28. ^
  29. ^ Richard De Puma e Christopher Lightfoot, Etruscan Art in The Metropolitan Museum, MetPublications, New York, 2013 (pagine 269–271).
  30. ^ L'esemplare proviene dalla zona di Falconara. Si veda: Benedetta Rossignoli, L'Adriatico greco: culti e miti minori, L'Erma di Bretschneider, 2004. (pagina 28). ISBN 9788882652777. Consultabile su Google Libri a questa pagina
  31. ^ Scheda ed immagine del reperto, dal sito del museo: si veda questa pagina
  32. ^ Scheda ed immagine del reperto, dal sito del museo: si veda questa pagina
  33. ^ catalogo.beniculturali.it
  34. ^ Delia G. Lollini, Museo Archeologico Nazionale delle Marche - sezione protostorica.
  35. ^ Il ritrovamento è opera di da Sandro Polzonetti. Vedi sito del Rotary club e Sandro Polzinetti.
  36. ^ Vedi, su archeomarche.beniculturali.it. URL consultato il 26 aprile 2019 (archiviato dall'url originale il 12 luglio 2017).
  37. ^ Gilberto Stacchiotti, www.parcodelconero.org, Conero segreto
  38. ^
  39. ^ Dalla guida del Museo distribuita nel 2012
  40. ^
    • Agnese Massi, Mauro Coltorti, Francesco d'Errico, Margherita Mussi, Daniela Zampetti, La Venere di Tolentino e i pionieri della ricerca archeologica, in Origini - Preistoria e Protostoria delle civiltà antiche, n. 11, 1997.
    • www.preistoriainitalia.it, ‘’Ciottolo di Tolentino’’ (con collegamento all’articolo di Massi Coltorti d’Errico…
  41. ^ a b Vedi la pagina, su archeomarche.it (archiviato dall'url originale il 17 ottobre 2011).
  42. ^
    • Mario Luni, I porti di Ankon e Numana, in Lorenzo Braccesi e Mario Luni (a cura di), I Greci in Adriatico, 2 (Hesperìa. Studi sulla grecità d'Occidente, 18), Roma, L'Erma di Bretschneider, 2004, pp. 11-56, ISBN 88-8265-266-1. (pp. 15 e 39-40).
    • Per un elenco complessivo dei ritrovamenti micenei in Puglia, Veneto e Marche, vedi Anna Margherita Jasink, Le testimonianze archeologiche, in Fileni-Jasink-Santucci 2011, pp. 204-211.
  43. ^ Andrea Cardarelli et al., Sulla sponda del Panaro 4000 anni fa. Guida della Mostra (Savignano sul Panaro, 22 ottobre 2016 – 8 gennaio 2017), Comune di Savignano sul Panaro, 2016.
  44. ^ I frammenti sono stati ritrovati dalla direttrice del museo Mara Silvestrini. Si veda: Mara Silvestrini, L'insediamento dell'Età del Bronzo del Montagnolo di Ancona, in Hesperia - studi sulla grecità di occidente, volume 12 (Appendice), Roma, L'Erma di Bretschneider, 2000, pp. 171-172; 182-185.
  45. ^ Pseudoscilace, 'Periplo, capitolo 16 (Μετὰ δὲ Σαυνίτας ἔθνος ἐστὶν Ὀμβρικοὶ, καὶ πόλις ἐν αὐτῷ Ἀγκών ἐστι. Τοῦτο δὲ τὸ ἔθνος τιμᾷ Διομήδην, εὐεργετηθὲν ὑπ' αὐτοῦ καὶ ἱερόν ἐστιv αὐτοῦ) ossia "Dopo i Sanniti c'è il popolo degli Umbri, presso i quali si trova la città di Ancona. Questo popolo venera Diomede come proprio benefattore, e c'è un tempio in suo onore".
  46. ^
    • Mara Silvestrini, L'insediamento dell'Età del Bronzo del Montagnolo di Ancona, in Hesperia - studi sulla grecità di occidente, volume 12 (Appendice), Roma, L'Erma di Bretschneider, 2000, pp. 171-172; 182-185.
    • Maurizio Landolfi, Dalle origini alla città del tardo impero, in Ankon, volume l. Una civiltà fra Oriente ed Europa, Ancona, Adriatica Editrice, 1992.
    • Mario Luni, I porti di Ankon e Numana, in Lorenzo Braccesi e Mario Luni (a cura di), I Greci in Adriatico, 2 (Hesperìa. Studi sulla grecità d'Occidente, 18), Roma, L'Erma di Bretschneider, 2004, pp. 11-56, ISBN 88-8265-266-1
  47. ^ Per le descrizioni dei reperti piceni e gallici esposti nelle varie sale: Delia G. Lollini, Museo Archeologico Nazionale delle Marche - sezione protostorica, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.
  48. ^ Le fasi della civiltà picena, con le date d'inizio e di fine, sono identificate da Delia G. Lollini in La civiltà picena, in Popoli e civiltà dell'Italia antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1976, vol. V.
  49. ^ La scelta del picchio come stemma regionale, dal sito della Regione Marche
  50. ^ TCI, Guida d'Italia, volume Marche, edizioni 1979 e 2005
  51. ^ A Numana sono stati rinvenuti esemplari simili, come quello della tomba femminile 357 dell'area Davanzali, oggi esposto all'Antiquarium statale di Numana. Si veda:
  52. ^
    • Tommaso Ismaelli, Hippodamoi piceni - alcune osservazioni sulle anse bronzee con "despotes ton Hippon" dal Piceno, in: Gianluca Tagliamonte (a cura di), Ricerche di archeologia medio-adriatica I - le necropoli - contesti e materiali, atti dell'incontro di studio Cavallino-Lecce, 27-28 maggio 2005, edito dall'Università del Salento.
    • Edvige Percossi Serenelli, La tomba di Sant’Egidio di Tolentino nella problematica dell'orientalizzante piceno, in D.G. Lollini (a cura di), La civiltà picena nelle Marche - Studi in onore di G. Annibaldi, Atti del Convegno, Ancona 10/13 luglio 1988, Ripatransone, Maroni, 1992 (pp. 140‑177).
    • Sito www.antiqui.it, pagina Religione
  53. ^ Catalogo dei beni culturali italiani, pagina coperchio - Ancona - 620-600 a.C.
  54. ^ Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda dell'oggetto
  55. ^ Sito www.centropagina.it, articolo Riaperto al pubblico il salone delle feste di Palazzo Ferretti: riemersi i colori del ‘500 (24 dicembre 2018).
  56. ^ Catalogo generale dei Beni Culturali dello stato - scheda del reperto
  57. ^ Fa eccezione un esemplare ritrovato a Vulci. Per le informazioni su questo reperto, si veda: Tommaso Ismaelli, Hippodamoi piceni - alcune osservazioni sulle anse bronzee con "despotes ton Hippon" dal Piceno, in: Gianluca Tagliamonte (a cura di), Ricerche di archeologia medio-adriatica I - le necropoli - contesti e materiali, atti dell'incontro di studio Cavallino-Lecce, 27-28 maggio 2005, edito dall'Università del Salento.
  58. ^ catalogo generale del beni culturali dello Stato, Scheda del rperto.
  59. ^ Nuccia NegroniCatacchio e Veronica Gallo, Le raffigurazioni di felini in a,branella penisola italiana, in: “LANX” 30 (2022), Studi di amici e colleghi per Maria Teresa Grassi, pp. 44-61. DOI: 10.54103/2035-4797/18049-
  60. ^
  61. ^ Catalogo dei beni culturali dello stato - scheda del disco-corazza da Rapagnano - originale; Catalogo dei beni culturali dello stato - scheda del disco-corazza da Rapagnano - copia galvanoplastica
  62. ^ Più dettagliatamente, il limite settentrionale è Mondolfo (PU), quello meridionale è Sulmona (AQ), quello occidentale è Fara Sabina (RI) e quello orientale la costa adriatica. Si veda: Valentina Belfiore, Quaderni del polo museale d'Abruzzo, Museo di Villa Frigeri.
  63. ^ a b Anna Marinetti, Le iscrizioni sudpicene. I: Testi, collana Lingue e iscrizioni dell'Italia antica, vol. 5, Casa Editrice Leo S. Olschki, 1985, ISBN 9788822233318
  64. ^ Piceni popolo d'Europa, p. 136.
  65. ^
  66. ^ Enciclopedia dell'Arte Antica Treccani, voce Greca, arte.
  67. ^ Per le descrizioni dei vasi:
    • Enrico Paribeni, in: La civiltà picena nelle Marche - Studi in onore di Giovanni Annibaldi, atti del convegno "La civiltà picena nelle Marche". Ancona 10-13 luglio 1988, Ripatransone, G. Maroni, 1992.
    • Gabriele Baldelli, Maurizio Landolfi, Delia G. Lollini (a cura di), La ceramica attica figurata nelle Marche, Soprintendenza archeologica delle MArche, 1991.
    • Catalogo dei beni culturali dello Stato
  68. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato. Attribuito al Pittore di Kadmos
  69. ^ Secondo Enrico Paribeni, invece, in base al confronto con un analogo cratere dello stesso pittore, ritrovato a Ruvo, non si tratta di Arianna, ma della madre di Bacco, Dione.
  70. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato. Attribuita al Pittore Di Syleus - si veda [4]
  71. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato. Attribuita al Pittore dei Niobidi
  72. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato
  73. ^ Attribuito alla cerchia del Pittore di Amykos, si veda Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato
  74. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato. Attribuito al Pittore del Dinos.
  75. ^ mythologiae.unibo.it Scheda del reperto dal sito mythologiae.unibo.it
  76. ^ Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda del reperto; Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda del tripode
  77. ^ Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda del reperto
  78. ^ Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda del reperto
  79. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato Attribuito al Pittore di Sotades.
  80. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato. Attribuita al Pittore Dello Splanchnoptes.
  81. ^ a b Venceslas Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, Roma, De Luca, 1999, (pagina 175). ISBN 9788880164326.
  82. ^ La regina di Montefortino: I segreti delle corone d'oro della tomba n. 8 - Senigallia Notizie – 60019.it: quotidiano on-line di Senigallia e del territorio
  83. ^ Teglia con anse plastiche, ca 375 a.C - ca 350 a.C, su catalogo.beniculturali.it. URL consultato il 5-1-2024-.
  84. ^ Scheda e immagini del fregio del tempio con guerrieri gallici in fuga, dal catalogo dei beni culturali della regione Marche
  85. ^ Descrizione e immagini, su archeomarche.it (archiviato dall'url originale il 24 giugno 2007).
  86. ^ Lorenzo Braccesi, Terra Di Confine: Archeologia e Storia Tra Marche, Romagna e San Marino, edito da L'ERMA di BRETSCHNEIDER, 31/dic/2007(pagina 40)
  87. ^ Marco Dubbini e Giancarlo Mancinelli, La monetazione del III secolo a.C., in Storia delle monete di Ancona, Ancona, Il lavoro editoriale, 2009, pp. 13-24, ISBN 978-88-7663-451-2.
  88. ^ Da corso Tripoli, oggi Amendola.
  89. ^ Riaperta nel 2010. Si veda: Articolo sulla riapertura della sezione, con immagini, su archeologia.beniculturali.it. URL consultato il 13 giugno 2020 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2017).
  90. ^
    • Mara Silvestrini, Nicoletta Frapiccini (a cura di), L'Amore oltre la morte: esposizione delle stele funerarie ellenistiche di Ancona, Macerata, Scrocco, 2010.
    • Maurizio Landolfi, Ancona greca e romana, in Scultura nelle Marche, a cura di Pietro Zampetti, Nardini editore, 1993.
    • Lidiano Bacchielli, Le origini greche di Ancona: fonti e documentazione archeologica, in C. Centanni, L. Pieragostini, La cattedrale di San Ciriaco ad Ancona. Rilievo metrico a grande scala, interpretazione strutturale e cronologia della fabbrica, Ancona, 1996 (pagina 50)
    • Fabio Colivicchi, schede 15, 16 e 17 (stele di Simmaco, di Arbenta e di Antifilo) in Arte romana nei musei delle Marche, a cura di Giuliano De Marinis, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2005 (In quest'ultimo testo l'informazione sulla mancanza di confronti in Magna Grecia e in Sicilia, per il carattere puramente ellenistico). ISBN 9788824012065.
  91. ^
    • Fabio Colivicchi, La necropoli di Ancona (4.-1. sec. a.C.): una comunità italica fra ellenismo e romanizzazione, Loffredo, 2002 (Volume 7 di Quaderni di Ostrakà);
    • Nicoletta Frapiccini, Ankon dorica. Simboli di prestigio tra oriente e occidente dell'Ancona ellenistica, in Autori vari Ancona greca e romana e il suo porto, a cura di Flavia Emanuelli e Gianfranco Iacobone, dell'Accademia Marchigiana di Scienze, lettere ed arti; edizioni Italic, 2015;
    • Margherita Tirelli, schede 18 e 19 (statue di sfinge del II-I sec. a.C.) e Gabriele Baldelli, schede 20, 21, 22, 23 e 24 (coppe di vetro, brocchetta con ansa ad attore comico, vaso a forma di pantera) in Arte romana nei musei delle Marche, a cura di Giuliano De Marinis, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2005. ISBN 9788824012065.
    • Maria Elisa Micheli, Sepolti nel marmo: il caso di Ancona, in Dalla Valdelsa al Conero. Ricerche di archeologia e topografia storica..., Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. Supplemento 2 al n. 11/2015, a cura di Giacomo Baldini, Pierlugi Giroldini (pagina 315 e segg. - per le stele in generale, per le sfingi e il bassorilievo della musa danzante.). ISBN 9788878147638.
  92. ^ La disposizione delle ciocche frontali richiama anche il "tipo Forbes", avente come modello la statua del Museum of Fine Arts (Boston).
  93. ^ Sito ancientrome.ru, pagina Ritratto di Augusto capite velato.
  94. ^ Giulia Sinopoli, Domus romane di via Fanti - scavi e contesto urbanisitico, in Picus, volume XXXIX - 2019 (pp. 225-285). ISBN 978-88-99846-12-1. ISSN 0394-3968. Da aquesto testo risulta che l'allestimento attuale manca di alcuni importanti elementi presenti nell'allestimento precedente al 1972: pavimento a mosaico e tronchi di colonne, che erano stati trovati insieme alle pareti affrescate e che probabilmente si trovano nei magazzini del museo. Dato testo citato si apprende anche che al domus da cui provengono gli affreschi è stata rinvenuta nel corso della costruzione della scuola media Niccolò Tommaseo, tra il 1958 al 1957 per il corpo principale e nel 1959 per la palestra.
  95. ^ Un modellino della fase greca del tempio è esposto al Museo Omero: www.museoomero.it, Immagine del modellino del tempio di Venere (Afrodite) euplea.
  96. ^ La sala 25 è stata aperta il 19 dicembre 2013. Si veda: Dal sito del Ministero dei Beni culturali, su beniculturali.it. URL consultato il 22 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2015).
  97. ^ Nicoletta Frapiccini, Letti funerari in osso dalle Marche,da bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it, anno V, 2014/3-4.
  98. ^ Scheda sull'area archeologica del porto romano di Ancona, su museodiffusoancona.it (archiviato dall'url originale il 26 novembre 2013).
  99. ^ Monica Salvini, Lo scavo del Lungomare Vanvitelli: il porto romano di Ancona, edito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza Archeologica per le Marche nel 2001
  100. ^
  101. ^ Fu rinvenuto in Grecia, nel santuario di Hera a Prosymna, presso Argo.
  102. ^ Sito http://www.ilsoleeiltempo.it/, Il Globo di Prosymna: una nuova interpretazione.
  103. ^ In una località urbana non nota.
  104. ^
  105. ^ (EN) Sarcophagus with scenes of marine thiasos, su ancientrome.ru.
  106. ^ Scheda e immagine della stele, su culturaitalia.it.
  107. ^ Dal 15 maggio 2015. Si veda Notizia dell'inaugurazione dell'allestimento
  108. ^ Fu lo storico romano Marco Giuniano Giustino a scrivere che il santuario di Delfi fu difeso da "vergini bianche", in genere identificate nelle dee sorelle Atena e Artemide, in quanto entrambe avevano scelto la verginità. Si veda: Giustino, Epitome da Pompeo Trogo 24,8.
  109. ^ Sito arte.it, pagina Civitalba, un tempio per la vittoria.
  110. ^ Il racconto di Pausania (X, 23) costituisce la principale fonte sull'episodio.
  111. ^ L'epiteto significa "colui dal ventilabro" e si riferisce a Dioniso dio della fertilità, legato alle religioni misteriche
  112. ^
  113. ^ Mario Luni, Fermo Giovanni Motta, I bronzi dorati di Pergola: un enigma?, edizione QuattroVenti, 2000, in cui si legge: Il complesso archeologico ormai noto nella letteratura scientifica come "Bronzi dorati da Cartoceto", che costituisce l'unico gruppo statuario del genere, di provenienza archeologica (pagina 69)
  114. ^ Altri resti di scheletri di orso sono stati ritrovati dal Gruppo Speleologico di Genga-San Vittore negli anni settanta del Novecento, all'interno della Grotta dell'orso, che fa probabilmente parte dello stesso reticolo sotterraneo della Grotta del fiume e della Grotta del vento. Si veda: M. Coltorti, B. Sala, Resti fossili nella Gola di Frasassi, in Natura e montagna, anno XXV, fascicolo 1, pp. 31-37 (riportato da Gaia Pignocchi, Grotte e archeologia)
  115. ^ Delia Lollini (a cura di), Museo Archeologico Nazionale delle Marche - sezione preistorica, Ministero per i beni culturali e ambientali, Falconara, Errebi, 1990 (pag. 24-25).
  116. ^ Giuliano De Marinis e Umberto Nicosia, L'ittiosauro di Genga, editore: Cassa di risparmio di Fabriano e Cupramontana.
  117. ^ a b c d e f Vedi sito, su archeomarche.it (archiviato dall'url originale il 9 maggio 2006).
  118. ^ Vedi la pagina, su beniculturali.it.
  119. ^ Storia della famiglia dei conti Ferretti e del loro palazzo, con immagini, su musan.it (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).; Francesco Maria Ferretti L'ambito privilegio degli ordini cavallereschi nel fausto mondo de la nobiltà dei natali, stampato nel mese di giugno 2000 c/o l'industria grafica Tecnostampa - Recanati (sono presenti foto degli interni del palazzo quando ancora esso era residenza dei conti Ferretti
  120. ^ Sito che riporta alcune pagine del libro di Francesco Maria Ferretti L'AMBITO PRIVILEGIO DEGLI ORDINI CAVALLERESCHI NEL FAUSTO MONDO DE LA NOBILTÀ DEI NATALI
  121. ^ Scheda dal sito del Museo Diffuso Urbano di Ancona, su museodiffusoancona.it (archiviato dall'url originale il 27 novembre 2013).
  122. ^ a b Sito musei.beniculturali.it, pagina Museo archeologico nazionale delle Marche.
  123. ^ a b c Scheda sul sito dell'Archeomarche, su archeomarche.it (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2007).
  124. ^ L'interesse del Vanvitelli per Palazzo Ferretti è testimoniato anche dal disegno già nella collezione T.A. Heinrich – Toronto -, poi nella collezione privata del duca Roberto Ferretti, come riportato in Minelli M., La famiglia Ferretti di Ancona, Pievetorina, 1987 (pagina 44).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Innocenzo Dall'Osso, Guida illustrata del Museo nazionale: con estesi ragguagli sugli scavi dell'ultimo decennio (edizione del 1915 in ristampa anastatica, con allegato il volume Istruzioni per l'uso, di Milena Mancini e Marco Betti)
  • Giovanni Annibaldi, Il Museo Nazionale delle Marche in Ancona, Trifogli, 1969
  • AA. VV. La Ceramica attica figurata nelle Marche, Museo archeologico nazionale delle Marche, 1991
  • AA. VV. La civiltà picena nelle Marche - Studi in onore di Giovanni Annibaldi, atti del convegno "La civiltà picena nelle Marche". Ancona 10-13 luglio 1988, Ripatransone, G. Maroni, 1992.
  • Delia Lollini, Museo Archeologico nazionale delle Marche, sezione protostorica, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1993
  • Gabriele Baldelli e Maurizio Landolfi, Il Museo Archeologico Nazionale delle Marche, in Ancona anni venti e trenta - immagini di una città edizioni Canonici, 1998.
  • Delia Lollini (a cura di), Museo Archeologico nazionale delle Marche, sezione preistorica (Paleolitico - Neolitico), Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, 2002

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]


Ciao[modifica | modifica wikitesto]

D'accordo nel reputare la questione di minore importanza rispetto ad altre, ma a volte, in mancanza dei tempi lunghi e della condizione d'animo necessaria per affrontare questioni più impegnative, ci si dedica con piacere ad alcuni problemi minori, ma non del tutto trascurabili. Dal tuo intervento precedente non riesco a capire alcune cose, che ti elenco di seguito.
  1. Sei favorevole a togliere "[Venere]" nel modo che ho indicato sopra? Dico questo indipendentemente dalle traduzioni che non lo riportano, ma per fornire una traduzione più piacevole a leggersi (mettendo in nota il significato di "divina creatura del ceruleo mare" = Venere).
  2. Tu dici che il disallineamento tra il testo latino e il testo italiano di Catullo è modesto. Nel mio schermo di computer è di 9,5 cm. Nello stesso tempo giudichi più grave il diverso incolonnamento dei testi italiani di Giovenale e di Catullo. Nel mio computer è di 8 mm. Di conseguenza penso che abbiamo, per qualche motivo, visualizzazioni molto diverse del testo della voce.
  3. Per quale motivo, visto che i testi tradotti non sono tratti da testi pubblicati, non si potrebbe fornire una traduzione lineare anche di Catullo, visto che mi sembra si possa fare senza problemi, semplicemente mettendo la traduzione del verbo colis al quarto verso, come in latino? In questo modo si avrebbero due testi in versi latini tradotti con due testi in versi italiani, con maggiore corrispondenza di scelte.--Giorgio Eusebio Petetti (msg) 15:17, 2 ago 2020 (CEST)
(LA)

«Nunc, o caeruleo creata ponto,
quae sanctum Idalium Uriosque apertos
quaeque Ancona Gnidumque harundinosam
colis quaeque Amathunta quaeque Golgos
quaeque Durachium Hadriae tabernam,
[...]»

(IT)

«Ora, o divina creatura del ceruleo mare,
che la sacra Idalio e l'esposta Urio,
e che Ancona e Cnido, ricca di canneti,
abiti e Amatunte e Golgi
e Durazzo, taverna dell'Adriatico, [...]»

Plinio il Vecchio, parlando di Ancona[1], la dice "fondata dai Siculi", al pari di Numana. Quest'informazione, estrapolata dal suo contesto, è stata spesso ritenuta una conferma del passo di Strabone che sostiene l'origine greco-siracusana della città. Quest'interpretazione è stata confutata, nei testi successivi agli anni sessanta del Novecento, semplicemente facendo notare che Plinio afferma che tutta la costa da Ancona a Rimini ebbe come più antichi abitanti Siculi e Liburni. È chiaro quindi che l'etnico "Siculi" usato da Plinio non possa riferirsi ai Siracusani, ma con ogni probabilità alle genti che si stanziarono nelle coste del medio Adriatico intorno al II millennio a.C.


['zɪkmʊnt 'fʀɔ͡ʏt] pronuncia

Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Sasa.

Saša (in cirillico: Саша, traslitterato anche come Sasha o Sascha) è un nome proprio di persona russo, croato, serbo e sloveno maschile e femminile[2][3].

Traslitterazione[modifica | modifica wikitesto]

Le varie traslitterazioni del nome dipendono dal diverso modo di traslitterare la lettera cirillica ш, chiamata "ša". Si fornisce di seguito una panoramica, secondo i vari criteri.

  • Secondo la traslitterazione scientifica del cirillico, adottata in Italia[4] ed internazionalmente, il nome è scritto "Saša" (lettera ш traslitterata "š"). La traslitterazione scientifica è usata anche dalle autorità russe, dalle Nazioni Unite e nelle lingue slave che adottano l'alfabeto latino[5].
  • Secondo la traslitterazione anglosassone, il nome è scritto "Sasha" (lettera ш traslitterata "sh").
  • Secondo la traslitterazione tradizionale italiana, il nome è scritto "Sascia" ((lettera ш traslitterata "sci")) [6].
  • Secondo la traslitterazione tradizionale tedesca, il nome è scritto Sascha (lettera ш traslitterata "sch")[7].
  • Secondo la traslitterazione tradizionale francese, , il nome è scritto Sacha (lettera ш traslitterata "ch"). Nel periodo sovietico, la traslitterazione francese era adottata anche nei passaporti dell'URSS[8].

Varianti in altre lingue[modifica | modifica wikitesto]

Trascrizione tradizionale italiana Sascia:

  • Thomas Mann, La montagna incantata, edizione Mondadori, 1965 (da pagina 349)
  • Aleksandr Solgenicyn, Arcipelago Gulag, Arnoldo Mondadori Editore 1974
  • Mario Barenghi Oltre il Novecento, edizione Marcos y Marcos, 1999 (da pagina 126)
  • Giorgio Bertone, Italo Calvino: la letteratura, la scienza, la città ed. Marietti, 1988 (pagina 172)
  • Cheti Traini, Narrare la Russia: gli scrittori viaggiatori italianiin Russia nel periodo sovietico, ed. Università degli Studi di Urbino, 2017. Vedi testo integrale

[6]

  • Bulgaro: Sashka, Sasho
  • Macedone: Sashka, Sasho
  • Svedese: Sassa
  • (Francese: Sacha)
  • (Croato: Saša)
  • (Serbo: Saša)
  • (Sloveno: Saša, Sašo)
  • (Tedesco: Sascha)

Sette vette[modifica | modifica wikitesto]

Varie liste delle sette vette[modifica | modifica wikitesto]

Vette scalate dai precursori (solo cinque) Lista "Elbrus - Kosciuszko" Lista "M. Bianco - Puncak Jaya" Lista "Elbrus - Puncak Jaya"
Europa Monte Bianco Elbrus Monte Bianco Elbrus
Africa Kilimangiaro Kilimangiaro Kilimangiaro Kilimangiaro
Asia Everest (lista di Naomi Uemura) Everest Everest Everest
America del Nord Denali Denali Denali Denali
America del Sud Aconcagua Aconcagua Aconcagua Aconcagua
Oceania Kosciuszko (lista di William D. Hackett) Kosciuszko Puncak Jaya Puncak Jaya
Antartide - Vinson Vinson Vinson
Primo alpinista ad aver scalato tutta la serie - Richard Daniel Bass Reinhold Messner Patrick Morrow
Secondo alpinista ad aver scalato tutta la serie - Gerald Roach Gerhard Schmatz Reinhold Messner

Testimonianze archeologiche dalla necropoli e da altri siti[modifica | modifica wikitesto]

La lekythos con Amimone insidiata da Poseidon (440 a.C.).
L'ambra etrusca con Afrodite ed Adone (500 a.C.).

La necropoli di Ankón del IV - I secolo a.C. si estendeva sulle pendici meridionali del Colle dei Cappuccini e di Monte Cardeto, come provano i numerosi ritrovamenti che, dall'Ottocento in poi, sono avvenuti in zona[9].

Nei capitoli seguenti si descrivono i più significativi ritrovamenti greci avvenuti ad Ancona, distinguendo tra quelli della tarda Età Classica (sino al 323 a.C.) e del Primo Ellenismo (323 - 230 a.C.) e quelli del Medio Ellenismo (230 - 170 a.C.) e del Tardo Ellenismo (170 - 30 a.C.)[10].

Tarda Età Classica - prima Età Ellenistica[modifica | modifica wikitesto]

Le testimonianze archeologiche del IV e del III secolo a.C. provenienti dalla necropoli sono più scarse rispetto a quelle dei secoli successivi.

Si segnalano i seguenti reperti, perché particolarmente significativi come testimonianza dello sfarzo e dell'eleganza della società anconitana dell'epoca. Alcuni di essi sono purtroppo finiti in musei esteri.

Si segnalano inoltre una lekythos a figure nere del 490 a.C. circa[18] ed una kylix a figure rosse del 500-490 a.C. circa (da ritrovamento sporadico)[18]

Media e tarda Età Ellenistica[modifica | modifica wikitesto]

Un trapezoforo[20] del I sec. d.C. proveniente dalla necropoli di età ellenistica.
La stele di Arbenta, con l'iscrizione "ΑΡΒΕΝΤΑ ΣΟΠΑΤΡΟΥ ΧΑΙΡΕ" (Arbenta Sopatru, chaire), ossia "O Arbenta, figlio di Sopatros, addio!".

Lungo l'asse stradale di via Matteotti - corso Amendola, fin dall'inizio del Novecento, sono state ritrovate occasionalmente numerose tombe del II e I secolo a.C., contenenti reperti ellenistici. Inoltre, tra il 1991 e il 1998, nel corso dei lavori di ristrutturazione della Caserma Villarey, furono portate alla luce di più di quattrocento tombe della necropoli greca e romana, contenenti ricchi corredi testimonianti le intense relazioni di Ancona con la Magna Grecia e il Mediterraneo orientale. Si può dunque dire che, durante il II e il I secolo a.C., i frequenti contatti con la Grecia rinverdivano continuamente l'origine dorica della città e contribuivano conservarne la grecità, nonostante la romanizzazione che procedeva velocemente in tutta la regione circostante, facendo di Ancona quasi un'enclave culturale, punto di contatto tra cultura greca, picena e gallica[21].

La maggior parte delle tombe è costituita da lastre in arenaria disposte a formare un rettangolo di mura ed un tetto a capanna. A volte le mura perimetrali sono invece in laterizio. È documentata anche l'uso della cremazione, con le ceneri poste in urne cilindriche di piombo; gli oggetti posti accanto ad esse sono analoghi a quelli ritrovati nelle tombe costitutite da lastre di arenaria.

Una parte della necropoli (sette tombe in tutto) è visitabile presso la Caserma Villarey, dove, al di sotto del parcheggio multipiano, è stata allestita un'area archeologica.

Le stele figurate e iscritte[modifica | modifica wikitesto]

Provengono da questa necropoli quattordici stele funerarie, con scene figurate a rilievo ed iscrizione greca, non ritrovate direttamente in associazione con le rispettive tombe, perché reimpiegate in epoche successive com materiale da costruzione. Le stele, la cui datazione varia dal II al I secolo a.C., sono preziose testimonianze del persistente uso della lingua greca durante la fase di passaggio verso la romanizzazione. Le stele anconitane spiccano, tra tutte le altre testimonianze funerarie ritrovate in Italia, per l'assoluta aderenza all'arte ellenistica e su questo punto non trovano confronto neanche nelle città della Magna Grecia e della Sicilia[22]. Sono esposte al Museo nazionale delle Marche, nella sezione greco-ellenistica, tranne una, conservata al Museo della città.

La struttura delle stele è quella di un naiskos (tempietto), coronato da un piccolo frontone e da un acroterio, con due varianti tipologiche, descritte di seguito:

  • stele ad edicola, con due colonnine a capitello corinzio ed architrave a metope lisce e triglifi (ad esempio la stele "di Symmachos" e quella "di Damo").
  • stele a lastra rastremata verso l'alto (ad esempio la stele "di Arbenta" e quella "di Apollonio").

Le sculture delle stele rappresentano scene di banchetto, colloquio o commiato funebre, spesso con persone che si scambiano il gesto della dexiosis, ossia dello stringersi la mano destra, gesto che simboleggiava la fiducia reciproca, l'alleanza, il siglare un patto, ma anche l'unione che supera la morte.

Le iscrizioni ricordano il nome del defunto, o della defunta, (al vocativo), il suo patronimico (al genitivo), e infine l'estremo saluto: chrēste chaire (ΧΡΗΣΤΕ ΧΑΙΡΕ), ossia "O valoroso (buono, amorevole, prode, virtuoso, valoroso), addio!".

Le stele greche anconitane trovano confronti stringenti con quelle delle Isole Cicladi e dell'Isola di Delo, da cui alcuni esemplari provengono, mentre altri sono opera di botteghe di scultori locali, come prova l'uso di calcare proveniente da cave della zona anconitana[23]. Secondo altri archeologi, le stele greche di Ancona rimandano anche a quelle di Corfù, l'antica colonia di Korkyra[24]. Alcune stele, inoltre, rimandano ad esempi della città di Bisanzio[25].

Per la loro importanza, nella tabella sottostante si elencano tutte le stele greche esposte nei musei della città e i loro testi. Si trovano nella Sezione greco-ellenistica del Museo archeologico nazionale, tranne la stele di Arbenta, che si trova al Museo della città. Il termine "valoroso" può essere tradotto anche "buono", "amorevole", "prode", "virtuoso". Le vesti si segnalano solo se non sono greche; similmente si segnalano i nomi propri non greci. Le stele non elencate non sono esposte o, pur conservandosi le descrizioni, sono andate perdute nel corso dei secoli.

denominazione convenzionale testo greco trascrizione traduzione note
Stele dell'addio al padre iscrizione non conservata - - marmo; tipo a colonnine, ma senza frontone
Stele dell'addio alla moglie [---]ΕΝΑ ΓΑΙΟΥ [---] ΧΑΙΡΕ [---]ena, Gaiou [---], chaire [---]ena, figlia di Gaio [---], addio! calcare; tipo a colonnine, prodotta in Ancona; il nome "Gaio" è romano
Stele dei coniugi [Α]ΝΤΙΦΙΛΟΙ[...] [A]ntifiloi[...] testo incompleto marmo; tipo a lastra senza frontone; prodotta in Ancona; modelli: figure da Bisanzio, architettura da Delo
Stele di Anferistos ΑΝΦΗΡΙΣΤΕ ΑΝΦΗΡΙΣΤΟΥ ΧΡΗΣΤΕ ΧΑΙΡΕ Anfēriste Anfēristou chrēste chaire O Anferistos, figlio di Anferistos, o valoroso, addio! marmo; tipo a lastra
Stele di Apollonios ΑΠΟΛΛΩΝΙΕ ΠΑΣΙΩΝΟΥ ΧΡΗΣΤΕ ΧΑΙΡΕ Apollōnie Pasiōnou chrēste chaire O Apollonios, figlio di Pasionos, o valoroso, addio! marmo; tipo a lastra; prodotta in Ancona
Stele di Arbenta ΑΡΒΕΝΤΑ ΣΟΠΑΤΡΟΥ ΧΑΙΡΕ Arbenta Sopatrou chaire O Arbenta, figlio di Sopatros, addio! marmo; tipo a lastra; forse prodotta in Ancona; il nome "Arbenta" è italico
Stele di Aspasia ΑΣΠΑΣΙΑ ΠΡΩΤΟΥ ΧΡΗΣΤΕ ΧΑΙΡΕ Aspasìa Prōtou chrēste chaire O Aspasia, figlia di Proton, o valorosa, addio! marmo; tipo a lastra; prodotta in Ancona; la figura maschile ha la toga
Stele di Damo ΔΑΜΩ ΧΡΗΣΤΗΙ ΧΑΙΡΕ Damō chrēstēi chaire O Damo, o valorosa, addio! marmo; tipo a lastra; prodotta in Ancona
Stele di Gaulion ΓΑΥΛΙΩΝ ΔΙΟΠΟΜΠΟ[Υ] ΧΑΙΡΕ Gaylion Diopompou chaire O Gaulion, figlio di Diopompos, addio! marmo; tipo a lastra; prodotta in Ancona
Stele di Simmaco ΣΥΜΜΑΧΕ ΣΟΠΑΤΡΟΥ ΧΡΗΣΤΕ ΧΑΙΡΕ Symmache Sopatrou chrēste chaire O Simmachos, figlio di Sopatros, o valoroso, addio! marmo; tipo a colonnine; la figura maschile ha la toga

Bassorilievo con suonatrice di khitara danzante[modifica | modifica wikitesto]

Bassorilevo con suonatrice di khitara danzante.

Nel 1904 fu riportata alla luce una lastra di calcare, convessa e decorata a bassorilievo, alta 1,74 metri. L'autore dello scavo interpretò il reperto come parte di una tomba monumentale rotonda con basamento circolare in travertino, superiormente divisa in dodici facce scolpite, tra cui quella ritrovata. Il bassorilievo rappresenta una suonatrice di kithara, strumento a corde diffusissimo nell'antica Grecia, di cui si trovano spesso testimonianze nella mitologia. La suonatrice si muove con passo di danza e indossa un peplo con apoptygma ed himation, elegantemente fluttuanti per l'incedere della danza. Particolare è la chioma, raccolta in una vaporosa coda vista di prospetto, mentre il corpo è di profilo e il viso di tre quarti. La khitara è portata di traverso, stretta sotto il braccio, e la suonatrice usa un plettro a forma di pesce. Secondo alcuni studi, l'iconografia della figura può far supporre che rappresenti una musa[26].

La figura della danzatrice è incorniciata alla sommità da un fregio con motivi vegetali e, sui due lati, da mezze lesene con capitello ionico; le restanti metà delle lesene sarebbero state scolpite sulle lastre adiacenti, che tutte insieme avrebbero dato una pianta dodecagonale[27].

È esposta al Museo nazionale delle Marche, nella Sezione greco-ellenistica.

Gli archeologi contemporanei ravvisano nella scultura un'influenza del Neoatticismo e della Scuola di Pergamo, correnti artistiche del tardo ellenismo; in base a ciò, l'opera, originariamente riferita al III - II secolo a.C., è oggi ritenuta invece del II - I secolo a.C. L'appartenenza ad un monumento funerario è ancor oggi accettata, anche se si ritiene che si possa ipotizzare, in forma subordinata, anche una probabile localizzazione su un heroon o su una fontana circolare[28].

Il bassorilievo anconitano trova un confronto con la coeva "base delle danzatrici" trovata in via Prenestina (Roma)[29], costituita da sette lastre convesse scolpite (manca l'ottava), originariamente poste in cerchio a ricoprire il nucleo di un monumento[26]. Altro confronto coevo è con il basamento circolare con Nikai, ritrovato a Butrinto

Epigrafi[modifica | modifica wikitesto]

Non ci citano in questo capitolo le iscrizioni presenti nelle stele funerarie ancor oggi conservate, né quelle che si trovano negli oggetti ritrovati nelle tombe, perché descritte nei capitoli "Le stele figurate e iscritte" e "Gli oggetti di prestigio".

Nel porto di Ancona è stata ritrovata nel 1540 una colonna con una lunga epigrafe greca, dedicata dagli ἀλειφομένοι[30], ossia dai lottatori, al ginnasiarca Βάτον (Báton) in segno di gratitudine per aver ottenuto varie vittorie nei agoni ginnici tenuti in onore di Ermes e di Heracles. Il ginnasiarca si occupava di allenare, retribuire ed incoraggiare i concorrenti che erano selezionati tra gli efebi del ginnasio[31]. Alcuni autori sostengono però che l'epigrafe sia stata ritrovata ad Ancona solo perché ve la portò nel 1427 Ciriaco d'Ancona dopo averla vista e trascritta a Santorino[32]. L'epigrafe, considerata perduta sino a tempi recenti, è oggi conservata al Musée des monnaies, médailles et antiques a Parigi[33].

Un'altra epigrafe greca è stata trovata nei pressi delle mura dell'Acropoli; il testo, chiaramente pertinente ad una stele funeraria, è ΣΜΙΝΘΙΟΣ ΤΙΤΕΛΟΥ ΧΑΙΡΕ (Sminthios Titelou chaire), ossia: Sminthios figlio di Titelos, addio[34].

Infine, una stele con bassorilievo rappresentante un cavaliere ed un'iscrizione riportata dagli antichi autori ha questo testo: ΡΟΔΩΝ ΑΡΙΣΤΩΝΟΣ ΑΙΞΟΝΕΥΣ (Rodon Aristonos Aixoneys), ossia: "Rodon figlio di Aristone da Aissone"[35][34]. Autori moderni sostengono però che la stele provenga da Atene e sia stata trasportata ad Ancona in età umanistica[36].

Le sfingi[modifica | modifica wikitesto]

Agli inizi del Novecento sono state rinvenute due statue di sfingi, mostruosi esseri alati, metà donne e metà fiere, che originariamente erano collocate agli angoli dei recinti funerari, a guardia delle tombe[37]. Oggi sono poste quasi come guardiane all'ingresso della sezione ellenistica del Museo Archeologico Nazionale. Una delle due statue stringe tra le zampe una testa decapitata.

In tutta la costa adriatica italiana esistono esemplari simili solo in Veneto. Sono risalenti al II - I secolo a.C. e sono scolpite in calcare del Cònero, cosa che mostra la loro origine locale. Sia gli esemplari anconitani, sia quelli veneti derivano da prototipi orientali e sono dunque testimonianza delle relazioni intense con l'Oriente mediterraneo.

Gli oggetti di prestigio[modifica | modifica wikitesto]

Area della necropoli del IV - I secolo a.C. - la linea arancione indica il percorso stradale verso il Cònero. L'attuale corso Amendola corrisponde agli antichi toponimi "via Santa Margherita" (sino al 1914 circa) e "corso Tripoli" (dal 1914 al 1945 circa).

Alcuni reperti ritrovati nella necropoli, significativi come testimonianza delle intense relazioni con il mondo greco e del benessere raggiunto da Ankón nel II e nel I secolo a.C., sono elencati di seguito. Di alcuni si ipotizza la realizzazione in botteghe locali[38]. Non si citano gli esemplari, provenienti dalla stessa necropoli, ma della seconda metà del I secolo a.C., in quanto risalgono all'età in cui Ancona è ormai una città romana.

  • Resti di una preziosa veste sacerdotale, provenienti dalla "tomba dell'augure", del II secolo a.C.; era tinta di porpora e trapuntata d'oro (sono rimasti i fili aurei); nella stessa tomba è stata ritrovata una corona in bronzo dorato e bacche di terracotta e un lituo, il bastone augurale dei sacerdoti.
  • Resti di una veste allacciata con bottoni d'oro, provenienti da una tomba femminile del II secolo a.C.[39]. L'uso di allacciare le vesti con i bottoni era rara nelle città italiche (dove si usavano invece fibule) e tipica invece della Grecia; la presenza di bottoni nella tomba anconitana mostra quindi l'adesione della città ai modi greci.
  • Orecchini di elaborata fattura e complessa forma, gioielli preferiti dalle donne dell'antica Ancona. Sono decorati con paste vitree e a volte sono identici agli elementi usati come bottoni, mostrando versatilità nell'uso. Tra gli orecchini più singolari si citano quelli con gallo[39], quelli con cigno[40], a pavoncella[41], a testa di cavallo[42] o di bue[43].
  • Anelli di fattura raffinata, come quello con ametista incisa raffigurante Achille e Pentesilea[44][45] e quello in argento ed oro con l'incisione in Greco "ΠΙCΤΕΙC" (pisteis), ossia "pegno di fedeltà"[46], da intendersi come un pegno d'amore. Quest'ultimo anello mostra l'uso della lingua greca come lingua quotidiana ancora nel II - I secolo a.C.
  • Oggetti d'argento, che si affiancano a quelli d'oro, precedentemente quasi esclusivi nei monili preziosi, seguendo una tendenza che parte dalla Magna Grecia e si diffonde anche a Roma. Gli argenti della necropoli di Ancona appartengono soprattutto a due categorie: oggetti per la toletta (in gergo archeologico argentum balneare) e per bere (argentum potorium); gli argenti da tavola (argentum escarium) sono invece poco rappresentati. Si ricordano gli oggetti più pregiati: spatule per mescolare cosmetici, tra quella con incisione raffigurante Afrodite anadiomene[47]; un acus crinalis del tipo "spillone-pettine" con incisione raffigurante una vittoria alata[48]; una pisside con coperchio istoriata con motivi vegetali; un urceolus (brocchetta) con ansa figurata ad attore comico, che testimonia il culto del dio Dionisio e che reca, sul fondo, un augurio in lingua greca[49]. Una tazza d'argento riporta sotto al piede un'iscrizione greca abbreviata, sciolta come segue: Ηφαιστίων Βίωνος ὸ Δίβωνος ὸ μοχενής σόος πίε (ad Efaistíon da Díbonos, tuo fratello di latte, in buona salute, bevi!)[50].
  • Letti funebri (klinai) con decorazioni in osso, le cui gambe erano allocate in appositi pozzetti angolari all'interno delle tombe.
  • Coppe di vetro di raffinata fattura, tra cui una a reticello[51], una a mosaico[52] e due policrome con foglia d'oro[53] di cui esistono esemplari simili in Adriatico solo in Daunia e ad Adria. Risalgono al tardo II secolo a.C.
  • Vaso a forma di pantera (o ghepardo, o lince)[54], che trova confronti solo nella colonia greca di Metapontion e risale al 100 a.C. circa. La pantera è animale sacro a Dioniso, in quanto ritenuta assetata di vino, e nella stessa tomba sono stati ritrovati altri oggetti che testimoniano il culto di questo dio: un obolo di Caronte, una patera per l'"acqua della memoria", un "chiodo del destino" e un "uovo della rinascita", tutti oggetti che richiamano anche il culto orfico. Si ritiene che il particolarissimo vaso sia stato destinato a contenere vino o olio profumato.

Statue di Afrodite[modifica | modifica wikitesto]

Nell'immediato dopoguerra furono ritrovate, in un pozzo di Piazza del Comune (piazza B. Stracca), tre statue alte circa 50 cm. e rappresentanti Afrodite, risalenti alla fine del II secolo a.C. o all'inizio del secolo successivo. Sono di marmo bianco, mancano della testa e una delle tre è del tipo "Tiepolo". Sono un'ulteriore testimonianza del culto di Afrodite in città[55].


Monumenti di Ankon[modifica | modifica wikitesto]

Tempio di Afrodite[modifica | modifica wikitesto]

Le ipotesi ricostruttive[modifica | modifica wikitesto]

Ricostruzione del tempio di Asclepio ad Epidauro, modello del tempio di Ancona secondo Lidiano Bacchielli.
1)Tempio dorico esastilo periptero del IV secolo a.C.

In base ad alcune caratteristiche rilevabili dalle fondazioni rimaste, alcuni studiosi pensano che quello di Ancona sia stato un tempio dorico del IV secolo a.C., ossia dell'epoca della fondazione greca della città. Sarebbe stato un tempio periptero senza opistodomo, con dieci colonne sui lati lunghi, sei sui lati minori (esastilo) e due colonne in antis, ossia davanti alla cella. Come normale nei templi dorici, anche il tempio anconitano avrebbe avuto una gradinata (crepidine) tutto intorno al perimetro. Tali caratteristiche permettono di inserire l'edificio anconitano nel gruppo dei templi che presero come modello quello di Asclepio ad Epidauro, costruito nel 380 a.C. circa, ossia negli stessi anni dell'arrivo dei Siracusani ad Ancona. L'ingresso era verso sud-est, ossia verso la via d'accesso all'acropoli.

L'ipotesi è basata sulla misurazione delle distanze tra le colonne del tempio, deducibile dall'esame delle fondazioni: la distanza tra le colonne angolari e quelle accanto era inferiore rispetto alle distanze tra le altre colonne; questa caratteristica rimanda inequivocabilmente all'ordine dorico, come soluzione classica del conflitto angolare. A sostegno dell'ipotesi che il tempio anconitano sia stato un tempio dorico, inoltre, si ricorda l'esistenza di altri templi greci dorici esastili del IV secolo a.C. simili a quello di Ancona, ossia senza opisotodomo e con numero ridotto di colonne sul lato lungo (dieci al posto delle dodici previste dagli standard più comuni). Il tempio anconitano troverebbe così confronti coevi[56].

2) Tempio corinzio esastilo periptero del II secolo a.C.
Resti e ricostruzione del tempio di Afrodite, secondo Mario Luni: di ordine corinzio e su podio.

Secondo altri, invece, il tempio sarebbe stato sempre un periptero esastilo e con dieci colonne sui lati lunghi, ma di ordine corinzio e su podio con scalinata frontale, tipologia tipica dell'architettura romana e non greca; risalirebbe al II secolo a.C., e dunque ad un'epoca in cui la città già sentiva l'influsso romano.

L'ipotesi è basata sul ritrovamento di marchi di cava con due lettere latine ("F" e "V") e sulla presenza al Museo Diocesano di un capitello corinzio (e non dorico) che sarebbe appartenuto al tempio, in quanto scolpito nella stessa pietra delle fondazioni rimaste. Inoltre, l'autore di questa ipotesi critica quella esposta nel paragrafo precedente, ossia quella del tempio dorico. Tale ricostruzione è ritenuta errata, in quanto prevede necessariamente una crepidine tutto intorno al tempio, ritenuta invece impossibile per la presenza nelle immediate vicinanze del perimetro del tempio di un tratto di lastricato e di un blocco di roccia madre sporgente di cinque centimetri rispetto al piano di calpestio. Non si dà giustificazione, però, dell'accorciamento della distanza tra le colonne d'angolo, rilevabile nelle fondazioni, che nell'ipotesi esposta sopra era stato un elemento fondamentale per identificare l'ordine dorico del tempio. Altra critica all'ipotesi "tempio dorico" precedentemente esposta è che i confronti presentati dagli studiosi che la sostengono sono tutti relativi a templi greci del Mediterraneo orientale, ma non della Sicilia, dove templi simili coevi sono assenti, pur essendo il luogo da cui provenivano i fondatori di Ancona[57].

3) Due fasi costruttive

Volendo esaminare insieme le due ipotesi, è necessario comunque considerare che il tempio, nel corso dei secoli, potrebbe essere stato anche ricostruito o profondamente ristrutturato, come testimonierebbe un'epigrafe riutilizzata nella basilica paleocristiana che fu costruita sui resti del tempio pagano. In tale documento, di età augustea, si cita un rifacimento totale di un edificio, non specificato a causa della frammentarietà dell'iscrizione riportata. È però conservato il titolo di colui a cui si deve l'intervento: si tratta di un "prefectus Egypti". Sarebbe stato poi il tempio restaurato o ricostruito quello ad essere raffigurato nella Colonna Traiana e quello testimoniato dai marchi di cava di cui al paragrafo precedente[58].

Identificazione con il tempio della scena 58 della Colonna Traiana[modifica | modifica wikitesto]

La scena della Colonna Traiana in cui è raffigurata Ancona e i suoi templi di Afrodite (sulla collina) e di Diomede (sulla riva del mare).

Come detto sopra, tutti gli studiosi odierni identificano il tempio anconitano con quello presente sulla collina della scena 58 della Colonna Traiana; nel bassorilievo traianeo, però, esso è rappresentato tetrastilo (cioè con quattro colonne sul fronte) e di stile ionico; ciò contrasta con tutte le ipotesi ricostruttive. Gli studiosi, però, concordemente pensano che i particolari raffigurati non siano da prendere alla lettera, in quanto nei rilievi della Colonna gli edifici sono sempre fortemente schematizzati, sia per esigenze di spazio, sia perché l'arte romana punta più alla chiarezza del messaggio che alle proporzioni e alla rappresentazione realisticamente fedele, che viene piegata alle esigenze comunicative. Per l'osservatore della scena, in questo caso, era importante riconoscere la città attraverso i suoi simboli, e la presenza di un tempio sulla cima di una collina, di uno alla sua base (il tempio di Diomede), di un arco di proporzioni singolarmente slanciate su di un molo (l'Arco di Traiano) ed infine di strutture portuali, era sufficiente per il riconoscimento della città di Ancona[59].

La scoperta[modifica | modifica wikitesto]

Il tratto sud-est delle fondazioni del tempio.
Il tratto nord-ovest delle fondazioni del tempio.

Nel 1932, alcuni saggi eseguiti nei pressi dell'abside sinistra del duomo permisero di scoprire i resti di una muratura costituita da grandi blocchi di arenaria in filari pseudoisodomi; subito alcuni studiosi ipotizzarono che tale struttura appartenesse ad un edificio templare, forse quello dedicato a Venere citato da Catullo e Giovenale. Che l'edificio cristiano fosse stato costruito sopra al tempio di Venere/Afrodite era già stato ipotizzato dalla storiografia, pur in mancanza di testimonianze archeologiche[60]..

Nel 1948, in occasione dei lavori di restauro del duomo, danneggiato dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, superando numerose difficoltà fu eseguito uno scavo completo di tutto il sottosuolo, ed in effetti furono rinvenuti resti di un tempio pagano, coincidente con il transetto della chiesa (vedi immagine a fianco).

Il tempio fu subito identificato con quello citato da Catullo e Giovenale e rappresentato nella scena 58 della Colonna Traiana[61].

Alla scoperta seguì presto il primo studio dettagliato volto a comprendere la tipologia dell'edificio sacro. Tale studio ipotizzava per l'antico edificio la struttura di un tempio italico sine postico (cioè senza colonnato posteriore) del III - II secolo a.C. e con un ingresso rivolto a nord-ovest, ossia verso il mare aperto[62]. Tale ipotesi è oggi considerata superata da tutti gli studiosi, a causa di notevoli incongruenze con le fondazioni. Per comprendere il motivo della formulazione dell'ipotesi del "peripetro sine postico", è necessario rievocare il clima culturale dell'archeologia italiana della fine degli anni quaranta del Novecento. Si era in un'epoca in cui gli archeologi italiani finalmente riconoscevano all'arte romana una dignità precedentemente oscurata dal mito di quella greca. La tipologia del tempio "periptero sine postico" era in quegli anni assurta a simbolo della romanità e ciò influenzava un'interpretazione a senso unico delle strutture templari di aspetto originario dubbio. Così era accaduto anche per il tempio anconitano[63].

Nel piazzale del Duomo, sconvolto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, furono notate colonne di arenaria scanalate, allora interpretate come colonne del tempio greco[64].

Quella di Ancona era la zecca greca più settentrionale dell'Adriatico. La datazione della prima emissione e il periodo di circolazione proposte dai vari autori variano all'interno del III secolo a.C. (dal 290 a.C. al 215 a.C.); tutti concordano nel pensare che l'emissione della moneta greca di Ancona cessò con la romanizzazione della città e l'introduzione massiccia delle monete romane. Le monete di Ankón sono caratterizzate da una notevole variazione di peso, che è stata interpretata come prova di un lungo periodo di emissione[65].

Acceso è tuttora il dibattito sull'appartenenza della moneta greca di Ancona al sistema monetario romano o a quello greco. Esiste anche una ipotesi di sintesi: quando la città iniziò a coniare moneta, avrebbe scelto le caratteristiche ponderali che potessero adattarsi sia al sistema siracusano, sia al sistema romano e centro-italico, il che spiegherebbe le incertezze moderne sull'attribuzione all'uno o all'altro sistema. La moneta anconitana sarebbe stata così una semiuncia rispettante il peso della vecchia litra di Siracusa[66].

Altrettanto vivo è il dibattito sull'interpretazione della sigla "Σ"; coloro che propendono per la datazione più antica intrerpretano la sigla presente nel recto come iniziale di "semi-obolo" o di "emilitron"; secondo questi studiosi la moneta farebbe parte del sistema monetario greco. Gli studiosi che propendono per la datazione più recente interpretano invece il sigma come iniziale di "semiuncia", come è normale nelle monete che seguono il sistema monetario romano, come sarebbe in questo caso. Ci sono altri studi che leggono mi e non sigma e ritengono che tale iniziale, comune anche in monete della madrepatria Siracusa, non sia relativa al valore della moneta. Infine, altri studiosi ipotizzano che il sigma sia l'iniziale della città di Siracusa[67].

Recto e verso della moneta siracusana emessa all'epoca di Dionisio I, ritrovata ad Ancona.

La moneta di Ankón ha caratteristiche prettamente greche, non solo, naturalmente, per la legenda, ma anche per lo stile, la profondità e il rilievo del conio, nonché per la simbologia. Le somiglianze con le coeve monete siracusane sono notevolissime. Inoltre è significativo il fatto che tale moneta è coniata, e la tecnica del conio rappresenta un'eccezione nella monetazione del Picenum e delle zone limitrofe, in cui domina la moneta fusa (aes grave)[68].

A partire dal III e sino al I secolo a.C., la moneta greca di Ancona convive con quella romana, come provano i ritrovamenti anconitani del 2008, in via Barilari e via Podesti[69]. Tra le monete ritrovate in questi siti, comunque, compaiono anche esemplari da Neapolis, Taras (Taranto), Sikyōn (Sicione), Thespiaí (Tespie), Korkyra (Corfù), Kórinthos (Corinto), Epidamnos (Durazzo), che testimoniano i contatti con i più importanti centri della grecità[70].

La moneta greca di Ankón è servita di modello per lo stemma della provincia di Ancona, nel quale il mirto e le due stelle sono sostituiti da un ramo di corbezzolo con due frutti, rappresentante il monte Conero.

La costellazione dei Gemelli

Interessante come testimonianza dei rapporti tra la metropoli Syrakousai e la sua colonia Ankón è la dracma siracusana presente nella collezione numismatica del Museo archeologico nazionale delle Marche, di provenienza anconitana. Fu emessa circa nel 380 a.C., epoca della fondazione di Ancona; essa nel recto reca la scritta ΣΥΡΑ e la testa di Atena con elmo corinzio decorato da corona; nel verso una stella marina (o Sole a otto raggi) tra due delfini. Oltre alla moneta appena descritta, emessa nel periodo di Dionisio I, altra interessante moneta siracusana ritrovata ad Ancona è l'emilitra con testa di Artemide sul recto e sul verso un fulmine e la scritta Ἀγαθοκλῆς (Agathoklēs), emessa nel periodo del tiranno di Siracusa Agatocle, che rivitalizzò la politica adriatica siracusana di Dionisio I. Anche questa moneta si trova al Museo archeologico nazionale delle Marche[70].

  1. ^ Naturalis historia, III, 13, 111
  2. ^ (EN) Sasha, su Behind the Name. URL consultato il 29 marzo 2012.
  3. ^ (EN) Saša, su Behind the Name. URL consultato il 29 marzo 2012.
  4. ^ G Mazzitelli, Ancora sul problema della traslitterazione dei caratteri cirillici, in Bollettino AIB - rivista italiana di biblioteconomia, da cui si cita: Per quel che concerne l’Italia la trascrizione scientifica si è affermata in ambito accademico per impulso di Giovanni Maver, uno dei padri degli studi slavistici italiani, che l’aveva suggerita per la traslitterazione da utilizzare nelle voci dell’Enciclopedia Italiana. Nella Prefazione di quest’opera si legge: «Nella trascrizione di lingue che non adoperano l’alfabeto latino, l’Enciclopedia si attiene all'uso dominante nelle pubblicazioni di carattere scientifico...".
  5. ^ Cristina Dalla Libera, [7], edizioni ca Foscari.
  6. ^ Sergio Lepri, Manuale di linguaggio e di stile, capitolo Nomi propri e di luogo
  7. ^ Hanna-Chris Gast, Kyrillische Schrift für den Computer
  8. ^ Ordine del Ministero degli Affari Interni della Federazione Russa del 26 maggio 1997 N. 310 "Approvazione delle Istruzioni sulla procedura per il rilascio e il rilascio di passaporti ai cittadini della Federazione Russa per aver lasciato la Federazione Russa ed entrare nella Federazione Russa". Vedi Приказ МВД РФ от 26 мая 1997 г. N 310 «Об утверждении Инструкции о порядке оформления и выдачи паспортов гражданам Российской Федерации для выезда из Российской Федерации и въезда в Российскую Федерацию» testo in russo
  9. ^ Antonio Leoni, autore di Istoria d'Ancona, scritta nel 1810, dice che da bambino aveva assistito al ritrovamento di lastre di arenaria appartenenti a tombe greche ("allorquando ero in tenera età"). I primi ritrovamenti coscienti di tombe della necropoli risalgono quindi agli ultimi decenni del 1700.
    Carlo Rinaldini descrive il ritrovamento di una tomba ellenistica avvenuto nel 1862 nel "fondo Tarsetti", nei pressi del Palazzo di Giustizia, che poi ha restituito altre tombe e la "stele di Anferisto".
    Nel 1902, fuori Porta Cavour, nel "fondo Fiori", altri importanti ritrovamenti.
    I primi ritrovamenti di tombe nell'area della Caserma Villarey risalgono all'epoca della sua costruzione; nel 1892 fu scavato nella zona un vaso di pasta vitrea di tipo alessandrino, che all'epoca fece scalpore per la sua raffinatezza e tecnica esecutiva.
    Le notizie di questa nota sono tratte da: Mario Natalucci, Ancon dorica, in Ancona attraverso i secoli volume I Dalle origini alla fine del Quattrocento, Unione arti grafiche, 1960.
  10. ^ Per la suddivisione dell'Ellenismo in periodi, la fonte è: Giuseppe Nifosì, Arte in opera. vol. 1 Dalla preistoria all'arte romana, Gius.Laterza & Figli Spa, 2015. Consultabile su Google Libri a questa pagina.
  11. ^ Dalla tomba 406 Villarey.
  12. ^ Maurizio Landolfi, Ancona greca e romana, in Scultura nelle Marche, a cura di Pietro Zampetti, Nardini editore, 1993.
  13. ^ Il sito del Museo riporta l'immagine e la scheda descrittiva a questa pagina.
  14. ^ Dal nome del mecenate statunitense Pierpont Mòrgan, che nel 1917 la donò al Metropolitan Museum di New York.
  15. ^ L'esemplare proviene dalla zona di Falconara. Si veda: Benedetta Rossignoli, L'Adriatico greco: culti e miti minori, L'Erma di Bretschneider, 2004. (pagina 28). ISBN 9788882652777. Consultabile su Google Libri a questa poagina
  16. ^ Scheda ed immagine del reperto, dal sito del museo: si veda questa pagina
  17. ^ Conferenza sull'ambra Morgan tenuta nel 2012 da Maurizio Landolfi: Una coppia speciale di amanti su un'ambra figurata dal Piceno a New York.
  18. ^ a b c Lorenzo Braccesi, Mario Luni, I Greci in Adriatico 2, L'ERMA di BRETSCHNEIDER, 2004 (pagina 33)
  19. ^ Scheda ed immagine del reperto, dal sito del museo: si veda questa pagina
  20. ^ I trapezofori (dal greco τραπεζόϕορος) sono sostegni di piani orizzontali, come ad esempio una tavola. Per sostenere il piano di una tavola rotonda se ne impiegavano uno solo centrale, oppure un gruppo di tre mensole, radiali. Per le tavole rettangolari i trapezofori erano quattro, semplici, o due, doppi. I trapezofori si caratterizzavano per la raffinatezza artistica. Vedi enciclopedia Treccani, alla voce Trapezoforo.
  21. ^ Lidiano Bacchielli, Le origini greche di Ancona: fonti e documentazione archeologica, in C. Centanni, L. Pieragostini, La cattedrale di San Ciriaco ad Ancona. Rilievo metrico a grande scala, interpretazione strutturale e cronologia della fabbrica, Ancona, 1996 (pagina 50).
  22. ^ Tutti gli autori che si sono accupati della grecità di Ancona descrivono le stele greche. Tra gli altri si cita:
    • Maurizio Landolfi, Ancona greca e romana, in Scultura nelle Marche, a cura di Pietro Zampetti, Nardini editore, 1993.
    • Lidiano Bacchielli, Le origini greche di Ancona: fonti e documentazione archeologica, in C. Centanni, L. Pieragostini, La cattedrale di San Ciriaco ad Ancona. Rilievo metrico a grande scala, interpretazione strutturale e cronologia della fabbrica, Ancona, 1996 (pagina 50)
    • Fabio Colivicchi, schede 15, 16 e 17 (stele di Simmaco, di Arbenta e di Antifilo) in Arte romana nei musei delle Marche, a cura di Giuliano De Marinis, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2005. In quest'ultimo testo l'informazione sulla mancanza di confronti in Magna Grecia e in Sicilia, per il carattere puramente ellenistico.
    ISBN 9788824012065.
  23. ^ Per tutto questo capitolo la fonte è: Maurizio Landolfi, Ancona greca e romana, in Scultura nelle Marche, a cura di Pietro Zampetti, Nardini editore, 1993.
  24. ^ Per la somiglianza delle stele anconitane con quelle di Kòrkyra, si veda: Lidiano Bacchielli, Le origini greche di Ancona: fonti e documentazione archeologica, in C. Centanni, L. Pieragostini, La cattedrale di San Ciriaco ad Ancona. Rilievo metrico a grande scala, interpretazione strutturale e cronologia della fabbrica, Ancona, 1996 (pagina 50).
  25. ^ Fabio Colivicchi, scheda 17 (stele di Antifilo) in Arte romana nei musei delle Marche, a cura di Giuliano De Marinis, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2005. ISBN 9788824012065.
  26. ^ a b Giacomo Baldini, Pierlugi Giroldini, Dalla Valdelsa al Conero. Ricerche di archeologia..., All’Insegna del Giglio, 2016 (pagine 317-319). ISBN 9788878147638,
  27. ^ Un'immagine tridimensionale virtuale dell'opera è visibile nel sito Virtualmuseum.
  28. ^
    • Mario Natalucci, Ancon dorica, in Ancona attraverso i secoli volume I Dalle origini alla fine del Quattrocento, Unione arti grafiche, 1960 (datazione al III-II secolo a.C.;
    • Maurizio Landolfi, Lastra marmorea di monumento circolare, in Arte romana nei musei delle Marche, a cura di Giuliano De Marinis, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2005 (datazione al I secolo a.C.).
    • scheda del catalogo dei beni culturali della regione Marche (II - I secolo a.C.). Scheda consultabile a questa pagina.
  29. ^ Il reperto è esposto al Museo nazionale romano.
  30. ^ Dal greco antico ἀλέιφω (alèifo), ossia "ungere", per l'usanza che avevano i lottarori di ungersi il corpo.
  31. ^ L'iscrizione è oggi nota con la sigla IG XII, 3, 331. È riportata da Janus Gruterus, Inscriptiones antiquae totius orbis Romani : in absolutissimum corpus, volume I, pagina 327. La notizia è riportata da Mario Natalucci, Ancon dorica, in Ancona attraverso i secoli volume I Dalle origini alla fine del Quattrocento, Unione arti grafiche, 1960 (pagina 57), che a sua volta la riprende da Dissertazioni anconitane del canonico Peruzzi, volume primo (pagina 149).
  32. ^ Questi studiosi sono:
    • Maurizio Landolfi, Giuliano De Marinis, Kouroi Milani: ritorno ad Osimo, De Luca, 2000 (pagina 81);
    • Fabio Colivicchi, La necropoli di Ancona (IV-I sec. a.C.): una comunità italica fra ellenismo e romanizzazione, volume 7 di Quaderni di ostraka, Loffredo, 2002 (pagina 467).
  33. ^ Manuela Kahn-Rossi, Alberto III e Rodolfo Pio da Carpi collezionisti e mecenati..., Comune di Carpi, Museo Civico, 2004.
  34. ^ a b Si veda:
    • Lodovico Antonio Muratori, Novus thesaurus veterum inscriptionum: in praecipuis earumdem ..., Volume 2, ex Aedibus Palatinis, 1739 (pagina MXX);
    • Stefania Sebastiani, Ancona: forma e urbanistica, L'ERMA di BRETSCHNEIDER, 1996. L'autrice riporta la bibliografia precedente: Saracini, 1675 (pagina 44); Leoni, 1810 - I volume (pagina 98); Peruzzi (pagine 45 e 64); Dall'Osso, 1915 (pagina 330); Alfieri, 1938 (pagine 53 e 76).
  35. ^ Aissone è un demo dell'Attica o una città della Magnesia. La stele è oggi dispersa
  36. ^ Per la provenienza da Atene e per la sua dispersione si veda: Gianfranco Paci, Sergio Sconocchia, Ciriaco d'Ancona e la cultura antiquaria dell'umanesimo, Diabasis, 1998. ISBN 9788881030316.
  37. ^ Sito "Archeoveneto" articolo sul Museo Archeologico Nazionale di Altino di Quarto d'Altino. Non essendo mai rinvenute nel contesto originario, esistono altre ipotesi sulla collocazione delle sfingi: acroteri di stele a pseudoedicola, coperture di urne-ossuari, coronamenti di mausolei. Queste ipotesi sono elencate nelle schede di Margherita Tirelli, (18 e 19) in Arte romana nei musei delle Marche, a cura di Giuliano De Marinis, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2005. Nella scheda 19 è presente un errore di stampa: "d.C." al posto di "a.C.".
  38. ^ Per tutti i reperti elencati di seguito le fonti sono:
    • Fabio Colivicchi, La necropoli di Ancona (4.-1. sec. a.C.): una comunità italica fra ellenismo e romanizzazione, Loffredo, 2002 (Volume 7 di Quaderni di Ostrakà);
    • Nicoletta Frapiccini, Ankon dorica. Simboli di prestigio tra oriente e occidente dell'Ancona ellenistica, in Autori vari Ancona greca e romana e il suo porto, a cura di Flavia Emanuelli e Gianfranco Iacobone, dell'Accademia Marchigiana di Scienze, lettere ed arti; edizioni Italic, 2015;
    • Margherita Tirelli, schede 18 e 19 (statue di sfinge del II-I sec. a.C.) e Gabriele Baldelli, schede 20, 21, 22, 23 e 24 (coppe di vetro, brocchetta con ansa ad attore comico, vaso a forma di pantera) in Arte romana nei musei delle Marche, a cura di Giuliano De Marinis, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2005.
    ISBN 9788824012065.
  39. ^ a b Tomba 384 Villarey.
  40. ^ Tomba 7 Villarey.
  41. ^ Tomba 32 Villarey
  42. ^ Tomba 227 Villarey.
  43. ^ Tomba 388 Villarey.
  44. ^ Tomba 45. L'anello trova il suo confronto più diretto nei ritrovamenti della Casa dei Sigilli di Delo, una casa appartenuta a più generazioni di negozianti che si dedicavano al commercio del vino con l’Italia.
  45. ^ Una descrizione dell'ametista e una immagine dettagliata della gemma è consultabile al seguente collegamento: Bollettino di archeologia - pagina 33.
  46. ^ Tomba 409 Villarey. La forma del sigma usata nell'iscrizione incisa nell'anello (C) è il "sigma lunato", utilizzato al posto di "Σ" nelle colonie greche; a parte la forma, esso non ha niente a che vedere con la lettera "C".
  47. ^ tomba 227 Villarey.
  48. ^ tomba 8 Villarey.
  49. ^ Tomba XXXV di corso Tripoli.
  50. ^ L'iscrizione è riportata da Mario Natalucci, Ancon dorica, in Ancona attraverso i secoli volume I Dalle origini alla fine del Quattrocento, Unione arti grafiche, 1960 (pagina 57).
  51. ^ Tomba tra corso Amendola e via Battisti.
  52. ^ Tomba XLII di via Santa Margherita.
  53. ^ Tombe XXXI e XXXII di via Santa Margherita.
  54. ^ Tomba 7 Villarey
  55. ^ Dalle tabelle descrittive del Museo archeologico nazionale delle Marche.
  56. ^ Lo studioso che per primo ha formulato l'ipotesi del tempio dorico è stato l'archeologo Lidiano Bacchielli, nell'articolo Domus Veneris quam dorica sustinet Ancona, in Archeologia Classica volume XXXVII, 1985 (pagine 106-137) - l'estratto dell'articolo è stato nel pubblicato dall'Erma di Bretschneider nel 1985; lo stesso Lidiano Bacchielli ha poi ripreso l'argomento, con nuove considerazioni, in Le origini greche di Ancona: fonti e documentazione archeologica, in C. Centanni, L. Pieragostini, La cattedrale di San Ciriaco ad Ancona. Rilievo metrico a grande scala, interpretazione strutturale e cronologia della fabbrica, Ancona, 1996 (pagine 49–55).
  57. ^ Lo studioso che ha proposto per primo l'ipotesi del tempio corinzio è Mario Luni, in San Ciriaco: la cattedrale di Ancona : genesi e sviluppo, Volume 1°, a cura di Maria Luisa Polichetti, F. Motta Editore, 2003 (pagine 49-93).
  58. ^
    • Lidiano Bacchielli, Le origini greche di Ancona: fonti e documentazione archeologica, in C. Centanni, L. Pieragostini, La cattedrale di San Ciriaco ad Ancona. Rilievo metrico a grande scala, interpretazione strutturale e cronologia della fabbrica, Ancona, 1996 (pagine 49–55).
    • Stefania Sebastiani, Ancona, forma ed urbanistica, della collana Città antiche d'Italia, L'Erma di Bretschneider, 1996, pagina 33.
  59. ^ Per le considerazioni sulla rappresentazione del tempio anconitano di stile dorico nella Colonna Traiana, si veda:
    • Mario Luni, in San Ciriaco: la cattedrale di Ancona : genesi e sviluppo, Volume 1°, a cura di Maria Luisa Polichetti, F. Motta Editore, 2003 (pagine 82-83)
    • Lidiano Bacchielli, nell'articolo Domus Veneris quam dorica sustinet Ancona, in Archeologia Classica volume XXXVII, 1985 (pagine 136)
  60. ^ Mario Natalucci, Ancon dorica, in Ancona attraverso i secoli volume I Dalle origini alla fine del Quattrocento, Unione arti grafiche, 1960 (pagina 42, nota 1). Secondo Natalucci, gli autori antichi che sostenevano che il Duomo fosse stato edificato sopra al tempio pagano erano il Saracini e il Peruzzi.
  61. ^ Sono diversi i criteri di numerazione adottati per descrivere le scene della Colonna Traiana. La numerazione qui usata è quella di . La stessa scena, secondo altri criteri, è la n° 79 (C. Cichorius, Die Reliefs der Trajanssäule, Berlino 1896-1900) oppure la n° 139 (S. Settis, A. La Regina, G. Agosti, V. Farinella, La Colonna Traiana, Torino 1988).
  62. ^ Lo studioso che per primo ha esposto l'ipotesi del tempio periptero sine postico è Giovanni Annibaldi, che diresse i lavori di scavo del tempio e che fu il principale artefice della rinascita della soprintendenza archeologica marchigiana e del Museo Archeologico Nazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il testo in cui espone la sua tesi è: Il tempio dell'acropoli di Ancona, in: Manlio Marinelli, L'architettura romanica di Ancona, a cura della reale Deputazione di Storia Patria per le Marche, 1921 (pagina 150). Il testo è stato ristampato nel 1961 a cura Cassa di Risparmio Anconitana.
  63. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore afrodite
  64. ^ Mario Natalucci, Ancon dorica, in Ancona attraverso i secoli volume I Dalle origini alla fine del Quattrocento, Unione arti grafiche, 1960 (pagina 42, nota 1). L'autore dice espressamente che la scoperta di quelle colonne fu "cosa da pochi notata".
  65. ^ Tra gli studi più antichi, si veda: G. Castellani, Numismatica marchigiana, in Atti e memorie R. Deputazione di Storia Patria delle Marche 1906, (pagina 240e seguenti). Per gli studi recenti che propendono per il lungo periodo di emissione, si veda: Marco Dubbinelli, Giancarlo Mancinelli, Storia delle monete di Ancona, edito dal Lavoro editoriale nel 2009, ISBN 978-88-7663-451-2
  66. ^ Michele Asolati, Per la storia di Ancona greca: elementi di datazione della monetazione, in Hesperia 9, L'Erma di Bretscheneider, 1998 (pagina 149). ISBN: 9788882650087. Consultabile su Google Libri a questa pagina.
  67. ^
    • Marco Dubbinelli, Giancarlo Mancinelli, Storia delle monete di Ancona, edito dal Lavoro editoriale nel 2009, ISBN 978-88-7663-451-2, che riporta accuratamente tutte le tesi formulate nel tempo. A pagina 16, in particolare, si espongono le varie ipotesi sulla lettera presente nel recto.
    • Stefania Sebastiani, Ancona, forma ed urbanistica, L'ERMA di BRETSCHNEIDER, 1996 (pagina 24). Testo consultabile alla seguente pagina
  68. ^ Giorgio Casagrande, La monetazione di Ancona all'epoca della colonizzazione greco-siracusana (IV - III secolo a.C.), Ancona, 1985.
  69. ^ Gaia Pignocchi, L'abitato preromano ed ellenistico-romano di Ancona..., in Autori vari, Ancona greca e romana e il suo porto, a cura di Flavia Emanuelli e Gianfranco Iacobone, dell'Accademia Marchigiana di Scienze, lettere ed arti; edizioni Italic, 2015 (pagina 169). ISBN 9788869740039.
  70. ^ a b Giovanni Gorini, La moneta greca in area alto e medioadriatica, in Atti e memorie della Deputazione di Storia Patria delle Marche, volume 102 (1997), edito nel 2001.