Battaglia di San Martino

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Battaglia di San Martino
parte della Battaglia di Solferino e San Martino
Posizionamento delle truppe durante la Battaglia
Data24 giugno 1859
LuogoSan Martino della Battaglia
EsitoVittoria piemontese
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
22.000 con 48 cannoni[1]20.000 con 80 cannoni[1]
Perdite
5.572:
  • 869 morti
  • 3.982 feriti
  • 774 dispersi
2.536
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La battaglia di San Martino fu uno degli scontri che composero la battaglia del 24 giugno 1859, meglio conosciuta come "battaglia di Solferino e San Martino", con la quale si conclusero le attività belliche della seconda guerra di indipendenza.

La battaglia di San Martino avvenne contemporaneamente alla battaglia di Solferino, ma viene ricordata con il nome del centro di San Martino, nei dintorni del quale si svolse, in quanto quella parte del fronte era completamente affidata all'esercito del Regno di Sardegna, sotto il comando del re Vittorio Emanuele II.

Il contesto e la battaglia[modifica | modifica wikitesto]

Sebastiano De Albertis: L'artiglieria della III Divisione alla battaglia di San Martino

L'esercito franco-sardo, dopo la battaglia di Magenta, superò un breve scontro a Melegnano e continuò l'inseguimento dell'esercito austriaco. Lo scontro sulle alture moreniche a sud del lago di Garda fu quasi casuale, senza un piano ben determinato: non c'era soprattutto l'avvertenza di trovarsi di fronte al grosso dell'esercito austriaco. L'esercito francese si scontrò a Solferino (a metà strada fra Mantova e Brescia), mentre quello sardo incontrò il contingente austriaco presso San Martino. Due divisioni dell'esercito sardo, quella di Filiberto Mollard e quella di Domenico Cucchiari, vennero ad impattare con l'8° Corpo d'armata del generale austriaco Ludwig von Benedek, il quale respinse le avanguardie di Mollard schierandosi sul bordo esterno dell'altipiano di San Martino.

Le colline a nord di Pozzolengo non formano una cresta collinare, ma un vasto altipiano il cui punto dominante è costituito da un gruppetto di case denominate Casette Citera. Sul bordo esterno dell'altipiano edifici colonici quali la Cascina Contraccania, il Roccolo e la chiesetta di San Martino formavano eccellenti appigli tattici per le truppe austriache. Da notare che la perdita di uno di questi punti non comprometteva la tenuta dell'altipiano, in quanto solo la conquista di Casette Citera, circa cinquecento metri a sud, garantiva la tenuta delle nuove posizioni. Senza compiere ricognizioni e senza concertare manovre di più vasto respiro Mollard decise di prendere d'assalto le posizioni avversarie.

In breve i comandanti di divisione persero la visione d'insieme della battaglia e le brigate piemontesi furono lanciate in assalti frontali senza il necessario appoggio d'artiglieria. Mancò inoltre non solo una buona coordinazione fra le varie armi dell'esercito, ma anche i reparti di bersaglieri e di fanteria di linea non riuscirono a manovrare gli uni in appoggio degli altri. Infine, l'assenza di una catena di comando fece sì che i comandanti di divisione si ostacolassero tra loro, non accettando ordini da altri parigrado.

A Solferino, intanto, i combattimenti tra francesi e austriaci proseguivano, fino a quando un violento temporale interruppe la lotta (iniziata alle prime luci del giorno). Sui colli di San Martino, invece, la battaglia fra piemontresi e austriaci cessò soltanto a sera. Complessivamente, Lo scontro fu così feroce e cruento che l'esercito vincitore franco-piemontese non ebbe la forza di inseguire quello sconfitto in ritirata, il quale riparò oltre il fiume Mincio.

La tradizione sabauda esaltò la battaglia di San Martino perché combattuta con grande animo, anche dopo la fine dei combattimenti a Solferino. Celebre la frase attribuita a Vittorio Emanuele: «Fioeui, ò i pioma San Martin ò i'aoti an fan fé San Martin a noi!» (Figlioli, o prendiamo San Martino, o i nostri avversari ci obbligheranno a "fare San Martino").[2]

Considerazioni[modifica | modifica wikitesto]

Uno degli assalti piemontesi alla collina di San Martino. Sullo sfondo la Cascina di Controcania, ulteriore caposaldo austriaco.

Nonostante il contingente piemontese fosse numericamente superiore a quello austriaco (22.000 contro 20.000[1]), un divario in buona parte compensato, tuttavia, dalla forte posizione difensiva austriaca, le truppe dell'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe respinsero con fermezza gli attacchi dell'esercito di Vittorio Emanuele II, favorite da una migliore conoscenza del terreno di battaglia, del quale Benedek seppe ben avvalersi. L'attacco, per quanto audace - le fanterie sarde attaccarono per un'intera giornata con grande coraggio e spirito di sacrificio sotto un fuoco micidiale - fu condotto in modo rigidamente frontale e senza determinanti tentativi di aggiramento della fortissima posizione austriaca. Gli austriaci abbandonarono le posizioni di San Martino solamente dopo aver ricevuto l'ordine dell'imperatore di ripiegare, ritirandosi in relativo buon ordine oltre il Mincio e nella fortezza di Peschiera, lasciando l'esercito piemontese padrone del campo di battaglia.

Nella giornata che aveva visto contrapporsi ferocemente il contingente piemontese all'8° Corpo d'armata austriaco, quest'ultimo perse 2.536 uomini tra morti, feriti, dispersi o prigionieri, mentre i piemontesi accusarono la perdita di 5.572 uomini fra morti e feriti. Un bilancio solo apparentemente incongruente per quella che venne propagandata dalla retorica risorgimentale come una grande vittoria, ma chiaramente spiegabile in funzione della tipologia di attacco adottata, che trova numerosi confronti, in particolare in termini di perdite, con altre numerose azioni di questo tipo documentate in vari conflitti coevi, soprattutto nel corso della di poco posteriore guerra civile americana.

Il desiderio del presidente del Consiglio del Regno di Sardegna Camillo Benso, conte di Cavour di continuare da solo la lotta si scontrò con la dura realtà e il Piemonte fu costretto ad accettare l'Armistizio di Villafranca dell'8 luglio, deciso dall'imperatore francese Napoleone III in violazione del trattato dell'alleanza sardo-francese stipulato prima della guerra. I preliminari di pace furono stabiliti fra Napoleone III e Francesco Giuseppe l'11 luglio e, sulla base di questi, il Regno di Sardegna riceveva la Lombardia austriaca attraverso le mani francesi.

Dopo la battaglia di San Martino la filantropa e patriota Laura Solera Mantegazza lanciò il Proclama alle donne italiane:

Care amiche, gli uomini che abbiamo mandato a combattere contro gli austriaci (i nostri mariti, figli, fidanzati) hanno bisogno di armi. Se noi, perché siamo donne, non possiamo impugnarle e combattere al loro fianco, almeno compriamole per offrirle all’esercito. Facciamolo a costo di essere disapprovate dai familiari, di intaccare il patrimonio, di impoverire la nostra casa. Perché l’Italia è la casa di tutti e la sua unità è più importante dei nostri interessi... E facciamolo perché gli uomini la smettano di relegarci in cucina, casalinghe e modeste, e capiscano che possiamo essere loro compagne

Controversie sulla vittoria[modifica | modifica wikitesto]

La percezione che lo scontro di San Martino lasciò – e continua a lasciare - agli austriaci, e a molti altri tra cui i comandi degli eserciti inglese e prussiano, fu quella di una vittoria dell'8° Corpo d'Armata di Benedek, ottenuta contro le preponderanti forze sarde. A San Martino sia gli austriaci sia gli italiani rivendicarono gli allori della vittoria. L'esercito di Vittorio Emanuele II rimase padrone del campo di battaglia dopo un ultimo sanguinoso assalto, per cui almeno tecnicamente fu certamente il vincitore della giornata.

L'8° corpo d'armata di Benedek aveva ricevuto l'ordine di avanzare lungo l'ala destra di un vastissimo schieramento che puntava deciso verso ovest. Improvvisamente la mattina del 24 giugno si trovarono dinnanzi truppe nemiche che avrebbero dovuto incontrare solo qualche giorno dopo, ormai quasi alle spalle delle due armate messe in movimento. Qui il comandante austriaco decise la sua prima mossa: respingere quelle forze ostili. Entro le 8 del mattino sapeva che il fianco destro dell'esercito era per il momento al sicuro e che doveva continuare a presidiare l'area sino a nuovi ordini. Forse avrebbe potuto portare un colpo mortale alle truppe di Cucchiari e di Mollard, ma fedele al concetto austriaco di "Stellungskrieg" - guerra di posizione-, attese passivamente gli attacchi del nemico. Il suo compito non era particolarmente complesso. Dopo aver imbastito una linea di resistenza si limitava a chiudere i varchi che l'avversario riusciva a creare. Benedek giungeva in prima linea a motivare i reparti più stanchi, si faceva vedere, incitava, dirigeva e richiamava nuove riserve. Alle 14 fu informato che i francesi avevano compromesso il centro del fronte imperiale.

Alle 15.30 gli venne ordinato di ripiegare e di inviare rinforzi (due brigate) verso sud. A questo punto Benedek ritenne suo obiettivo fondamentale conservare il nodo stradale di Pozzolengo. Per fare questo doveva a tutti i costi mantenere sino a sera le posizioni di San Martino e cedere terreno molto lentamente. Alla fine, alle 19, venne dato l'ordine di abbandonare l'altipiano. Il dispositivo austriaco doveva però mantenere in suo possesso, per riuscire nella manovra di sganciamento, l'altura di Casette Citera. La difesa di questa posizione fu dunque l'obiettivo tattico di Benedek durante le fasi finali dello scontro. Quando l'esercito sardo iniziò il suo ultimo assalto alla collina, il primo con una certa coordinazione tra i reparti e con un buon supporto di fuoco, i battaglioni austriaci stavano già abbandonando il fronte. La prima grande unità a ritirarsi dal campo fu la Brigata del generale Lippert. Mentre l'artiglieria avversaria apriva il tiro il generale Lippert ordinava il ripiegamento della batteria della Brigata (8 pezzi da 6 libbre della Cavalerie-Batterie Nr. 11/VIII) schierata lungo il Viale dei Cipressi. I cannoni poco alla volta furono ritirati dal fronte.

Il loro silenzio fu logicamente interpretato dai piemontesi come un segnale dell'efficacia del tiro di distruzione dei loro cannoni: dopo qualche minuto questo di duello si cominciò a vederne gli effetti. Qualche cipresso del viale schiantato dai nostri colpi, cadeva: la batteria nemica non rispondeva più con tutti i suoi pezzi. Ciò era constatato dal fumo, che mentre da principio ad ogni scarica, avvolgeva con una densa nube l'intera batteria nemica, in seguito, lasciava risaltare delle lacune in questa nube, segno evidente che qualche pezzo era ridotto inservibile: questi vani nel fumo andavano di man in mano facendosi più spessi e più vasti. Mentre in alcuni settori, come è peraltro normale aspettarsi in scontri di questo tipo, la resistenza austriaca all'attacco portato dalle colonne piemontesi fu piuttosto decisa e anche di successo - come nel caso dell'attacco del 5º Reggimento della Brigata Aosta - in altri, i soldati che raggiunsero l'altipiano si trovarono improvvisamente davanti il vuoto. Credo quindi di poter affermare che quando noi occupammo la posizione di S. Martino, il nemico l'aveva appena abbandonata. Non so però se trattavasi di qualche riparto isolato di truppa o di considerevoli forze. Occupato il Roccolo, la chiesa e la Controcania, i battaglioni piemontesi cercarono di assalire anche Casette Citera. A questo punto sarebbe avvenuto il dibattuto, ma in verità poco credibile almeno nella consistenza e nei risultati, contrattacco finale condotto da Benedek in persona.

Le truppe piemontesi, spossate dopo una durissima intera giornata di assalti, dovettero rimandare ogni ulteriore azione al giorno seguente. Gli austriaci, per quanto tecnicamente battuti, avevano almeno raggiunto un obbiettivo tattico: mettere il nemico nelle condizioni di non poter avanzare immediatamente su Pozzolengo. Opportunamente utilizzato per mascherare una ritirata già decisa, fu di fatto l'unico, modesto, appiglio su cui formulare l'opinione di una vittoriosa difesa.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Vittorio Giglio, Il Risorgimento nelle sue fasi di guerra, I Vol, Milano, Vallardi, 1948, p. 324.
  2. ^ Il giorno di san Martino era quello in cui tradizionalmente, all'epoca, scadevano i contratti di mezzadria e i contadini dovevano traslocare di cascina
  3. ^ Nuovi spunti sulla Battaglia di San Martino e Solferino sono stati dati da due fondamentali lavori che hanno contribuito ad una rivisitazione storiografica della battaglia; la monumentale quadrilogia edita da Costantino Cipolla, Il crinale dei crinali. La battaglia di Solferino e San Martino; Sul crinale. La battaglia di Solferino e San Martino vissuta dagli italiani; Il crinale della vittoria. La battaglia di Solferino e San Martino vista dal versante francese; L'altro crinale. La battaglia di Solferino e San Martino letta dal versante austriaco, Milano 2009, e l'importante articolo di Giovanni Cerino Badone San Martino 1859. Analisi di una battaglia, in La Guerra del Cinquantanove, Atti del convegno nazionale CISM-SISM, Roma 2010, pp.179-222. [1][2] Archiviato il 7 marzo 2016 in Internet Archive.[3] Archiviato il 7 marzo 2016 in Internet Archive.

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