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Luigi Ferrari[modifica | modifica wikitesto]

Luigi Ferrari (L'Aquila, 10 marzo 1888Roma, 1955) è stato un magistrato e poliziotto italiano. Fu capo della Polizia italiana dal 1944 al 1948.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Luigi Ferrari nacque a l'Aquila il 10 marzo 1888. Entrò in magistratura il 6 agosto 1912 dove prestò servizio alcuni anni come pretore in varie sedi. Nel 1921 venne nominato sostituto procuratore per Bergamo, Brescia e Milano e nel 1934 venne promosso sostituto procuratore generale della Corte d'appello di Milano, quindi due anni dopo fu trasferito a Roma con le stesse mansioni. Nel 1940 vinse il concorso e divenne sostituto procuratore generale alla Corte di Cassazione. Nel 1942 divenne consigliere di Cassazione e presidente della prima Corte di Assise di Roma. Combattè nella Prima guerra mondiale e fu iscritto al Partito Nazionale Fascista che lasciò nel 1934 senza aver ricoperto alcun incarico.[1]

Dopo la caduta del fascismo (25 luglio 1943) la situazione dell'ordine pubblico in Italia era diventata molto precaria con metà del paese invasa dagli Alleati e l'altra metà sotto il controllo della Repubblica Sociale. Dopo l'arresto di Mussolini, il nuovo capo del governo Badoglio aveva rinominato capo della Polizia il prefetto Carmine Senise (26 luglio) precedentemente defenestrato dallo stesso Mussolini. Dopo la proclamazione dell'armistizio (8 settembre 1943) e la fuga a Brindisi del re Vittorio Emanuele III e del maresciallo Badoglio, il 23 settembre, mentre si trovava nel suo ufficio al Viminale, Senise fu arrestato da militari delle SS e paracadutisti tedeschi, al comando del capitano Erich Priebke e deportato in Germania. Successivamente allo spostamento a Salerno della sede provvisoria del governo (11 febbraio 1944) venne riattivata la figura del Capo della Polizia la cui reggenza venne affidata il 15 aprile del 1944 al prefetto Giuseppe Solimena. Dopo la Liberazione di Roma (5 giugno 1944) e l'istituzione del governo di unità nazionale presieduto da Ivanoe Bonomi (18 giugno 1944), il 1 agosto 1944, su indicazione del re, e gradimento della Commissione alleata di controllo Luigi Ferrari venne nominato da Bonomi Capo della Polizia.[1]

Il 2 novembre 1944 venne emanato il decreto legislativo luogotenenziale n. 365, (emesso dal luogotenente generale del regno Umberto II di Savoia), con il quale venne nuovamente istituito il "'Corpo delle guardie di pubblica sicurezza", (PS) con status di corpo militare.[2] Sulla base di tale decreto Ferrari iniziò la riorganizzazione dei servizi di Polizia, prima nella capitale e poi nel resto d'Italia portando in pochi anni l'organico da circa diecimila a quasi cinquantamila unità. Sulla base di successivi decreti luogotenenziali vennero incorporati nella polizia i corpi della Polizia dell'Africa Italiana, milizia stradale, polizia di frontiera e ferroviaria. Venne trasferito alla Polizia anche il Servizio Speciale Riservato costituito da esperti interpreti, stenografi e tecnici, precedentemente alle dipendenze della Presidenza del Consiglio. Anche sul fronte dei mezzi Ferrari provvide ad aumentare la dotazione del corpo utilizzando gran parte del materiale lasciato dagli Alleati, quali camion e jeep.[3]

Sul piano puramente organizzativo Ferrari provvide alla riorganizzazione della direzione generale della Polizia e dei quadri direttivi delle questure impiegando personale di carriera proveniente dalla resistenza, dall'esercito o da organismi disciolti della vecchia polizia scegliendo persone che si erano schierati con i movimenti di liberazione. Fra le persone di valore di cui si avvalse Ferrari si possono ricordare: Luigi Pianese (Capo del Personale della PS e futuro prefetto di Genova), Francesco Bilancia (direttore della Polizia Giudiziaria e futuro prefetto di Bologna e Napoli), Giuseppe Migliore (direttore dell'ordine pubblico, poi prefetto di Venezia e di Torino), Italo de Vito (direttore delle forze armate di polizia, poi prefetto di Firenze).[3]

Nel 1946, in vista del referendum istituzionale del 2 giugno, Ferrari, con l'appoggio del ministro degli Interni Giuseppe Romita, costituì la prima compagnia Celere, composta da 100 uomini.[4] Lo scopo di questo gruppo, che sarà sviluppato successivamente inglobando anche i reparti mobili, era quello di disporre di uno strumento estremamente flessibile, con cui lo Stato poteva raggiungere rapidamente ogni punto della penisola in caso di tumulti, manifestazioni di piazza e attività che mettessero a repentaglio l’ordine pubblico.[5]

Luigi Ferrari rimase in carica anche dopo la nascita della Repubblica Italiana (10 giugno 1946) diventando quindi il primo Capo della Polizia dell'era repubblicana e anello di congiunzione e transizione con la precedente organizzazione.

Durante la sua dirigenza, il l 14 luglio 1948 ci fu l'attentato al segretario del Partito Comunista, Palmiro Togliatti. Nelle ore e nei giorni successivi all'attentato vi furono manifestazioni e scontri in varie città. Gli scontri più accesi furono a Genova, città natale di Togliatti. Il 15 luglio gli scontri sfociarono in una rivolta per sedare la quale la polizia fece uso uso di armi da fuoco provocando tre morti e alcune decine di feriti. Scontri con morti e feriti sia da parte dei manifestanti che della Polizia ci furono anche a Roma, Napoli, Taranto, Livorno, Bologna, Porto Marghera e Gravina di Puglia, provocando complessivamente 14 morti e oltre 200 feriti.[6] Per la gestione generale di questi eventi, ed in particolare dei ritardi di cui la Polizia intervenne a Genova per ripristinare l'ordine pubblico, richiedendo anche l'intervento di un reggimento di Alpini, Ferraris fu criticato dall'opinione pubblica e dai politici, forse anche alla ricerca di un capro espiatorio. Per queste ragioni ed anche per subentrati problemi di salute, Ferrari venne rimosso dall'incarico cessando il proprio mandato il 12 settembre 1948.[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Giovanna TosattiOp. citata, pag.130
  2. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia N. 093 del 12 Dicembre 1944, su gazzettaufficiale.it, p. 631.
  3. ^ a b Aldo BuoncristianoOp. citata, pag. 462-463
  4. ^ Giustino ParisseOp. citata
  5. ^ Raffeaele Camposano, C'erano una volta le guardie (PDF), in Atti del congresso L'Italia 1945 1955, la Ricostruzione del Paese e le Forze Armate, 2012, pp. 292.
  6. ^ 14 luglio 1948, su osservatoriorepressione.info. URL consultato il 19 febbraio2021.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni 2[modifica | modifica wikitesto]

Maria Mandl[modifica | modifica wikitesto]

Maria Mandl

Maria Mandl, anche conosciuta come Maria Mandel, detta "La bestia di Auschwitz", (Münzkirchen, 10 gennaio 1912Cracovia, 24 gennaio 1948) è stata una sS austriaca, guardia donna in numerosi campi di concentramento nazisti.. Nel 1945 fu catturata dall'esercito americano e estradata in Polonia dove venne processata e Cracovia nel Primo processo di Auschwitz, riconosciuta colpevole fu condannata a morte per impiccagione.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Maria Mandl è nata a Münzkirchen, un paesino dell'Alta Austria presso il confine con la Germania, da genitori di nazionalità tedesca, ma cittadinanza austriaca, Franz Mandl e Anna Strobl. Era la quarte figlia della coppia. Il padre era calzolaio. Dopo la scuola elementare a Münzkirchen la giovane si trasferì nella non distante Baviera per diplomarsi. Dopo il diploma, non trovando lavoro fece ritorno a casa. Qui per motivi non precisati, forse legati alla malattia della madre, ebbe pesanti contrasti con questa e nel 1929 lasciò di nuovo la casa per andare in Svizzera dove trovò lavoro come cuoca presso presso una famiglia benestante di Brig-Glis, nel cantone Vallese. Dopo circa un anno fu costretta a rientrare a casa per aiutare il padre in quanto la idropisia di cui soffriva la madre si era aggravata. Nel 1934, essendo migliorata la situazione della madre andò ad Innsbruck a lavorare come domestica. Nel 1937 tornò nuovamente al paese nativo in quanto assunta come impiegata al locale ufficio postale, ma l'anno successivo, dopo l'annessione dell'Austria da parte della Germania, fu licenziata.

Nel 1938 si trasferì da uno zio a Monaco dove entrò come volontaria nella Lega delle ragazze tedesche. Quindi passò nei reparti femminili delle SS (SS-Gefolge) dove fu addestrata e inviata come Aufseherin al campo di concentramento di Lichtenburg nella Provincia di Sassonia.

Nel maggio del 1939 la Mandl fu trasferita nell'appena aperto campo di concentramento di Ravensbrück situato a nord di Berlino. Qui, come evidenziato dalle testimonianze rese da vari sopravvissuti del campo durante il processo di Cracovia, si distinse subito per la sua brutalità nei confronti dei prionieri, tanto che fu elevata al grado di Oberaufseherin nell'aprile del 1942.

Il 7 ottobre del 1942 la Mandl fu assegnata al campo di Auschwitz II (Birkenau), andando a sostituire Johanna Langefeld sotto il comando dell'Obersturmbannführer Rudolf Hoss, diventando quindi la donna con il più alto grado di Auschwitz. Anche qui la Mandl si contraddistinse per la sua crudeltà come documentato nel proesso suddetto nelle deposizioni dei testimoni sopravvisuti.[1]

La Mandl era appassionata di musica classica ed organizzò una banda musicale composta da sole donne prigioniere ad Auschwitz. L'orchestra aveva il compito di suonare in una serie di cicrostanze, nuovi arrivi al campo, durante la selezione delle persone che venivano inviate alle camera e gas, quando i prionieri venivano inviati alle camere a gas, durante la Hanno anche dovuto giocare durante la selezione quando il meno sani e malati erano separati da quelli sani che erano ancora in grado di lavorare, durante le esecuzioni dei prionieri, ed infine per soddisfare il piaceri degli uomini e donne delle SS, quando ne avevano voglia.[2]

Nel 1944 la Mandel ricevette la medaglia Kriegsverdienstkreuz di II Classe per i servizi resi al regime nazista.[3] Nel novembre dello stesso anno venne trasferita a Mühldorf, un sottocampo di Dachau. Nell'aprile del 1945, con la caduta della Germania oramai imminente e l'avvicinarsi delle truppe alleate, Maria Mandl fuggì da Dachau attraversando il sud della Baviera e dirigendosi verso il suo paese natale.

Il 10 maggio 1945 la Mandl fu arrestata dall'esercito deglòi Stati Uniti nel suo paese di Münzkirchen. Dopo circa un anno di detenzione, nell'ottobre del 1946, fu estradata in Polonia dove fu processata, insiema ad altri criminali nazisti, nel Primo processo di Auschwitz, tenutosi a Cracovia nel novembre 1947. Giudicata colpevole fu condannata a morte per impiccagione. La condanna venne eseguita il 24 gennaio 1948 nel carcere di Montelupich a Cracovia.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Gibson, Op. citata, Cap. 8
  2. ^ The Holocaust - Lest we Forget - Orchestras, su holocaust-lestweforget.com, 7 ottobre 2016.
  3. ^ Mandl Maria, su tenhumbergreinhard.de, Familie Tenhumberg. URL consultato l'8 ottobre 2016.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni 1[modifica | modifica wikitesto]

Processo di Francoforte[modifica | modifica wikitesto]

Il Processo di Francoforte, noto anche come Secondo processo di Auschwitz, è un processo tenutosi in Germania a Francoforte sul Meno fra il 1963 ed il 1965 nei confronti di 22 imputati accusati dei crimini commessi nel Campo di concentramento di Auschwitz fra il 1940 ed il 1945. Il processo fu il primo che si tenne di fronte ad una corte tedesca per i crimimi dell'Olocausto. Un ruolo fondamentale per la realizzazione di questo processo fu giocato dal giudice Fritz Bauer, al tempo procuratore distrettuale dell'Assia. In precedenza, nel 1947, si era tenuto a Cracovia, in Polonia un altro processo, noto come "Primo processo di Auschwitz", contro altri 40 responsabili e sorveglianti del campo di Auschwitz, fra cui Arthur Liebehenschel, Maria Mandl.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Processo di Auschwitz[modifica | modifica wikitesto]

Il Processo di Auschwitz, noto anche come Primo processo di Auschwitz, è un processo tenutosi a Cracovia in Polonia nel 1947 nei confronti di 40 nazisti responsabili a vario livello della gestione del Campo di concentramento di Auschwitz fra il 1940 ed il 1945. Nel processo furono comminate 21 condanne a morte, 8 condanne all'ergastolo e 10 condanne a pene dai 3 ai 15 anni di prigione. Un solo imputato fu assolto. Fra gli imputati condannati a morte vi furono: Arthur Liebehenschel, comandante del campo di Auschwitz dal 1943 al 1944, Maria Mendel, responsabile del personale femminile e delle detenute ad Auschwitz ed Erich Mußfeldt, responsabile dei forni crematori a Majdanek e Auschwitz.

Sentenza[modifica | modifica wikitesto]

N. Imputato Grado Funzione Sentenza
1 Arthur Liebehenschel SS-Obersturmbannführer Comandante del campo di Auschwitz uccisione per impiccagione
2 Hans Aumeier SS-Sturmbannführer Comandante del campo di Auschwitz I uccisione per impiccagione
3 Maximilian Grabner SS-Untersturmführer Capo della Gestapo ad Auschwitz uccisione per impiccagione
4 Karl Möckel SS-Obersturmbannführer Direttore dell'amministrazione di Auschwitz uccisione per impiccagione
5 Maria Mandel SS-Oberaufseherin Responsabile del personale femminile di Birkenau (Auschwitz II)) uccisione per impiccagione
6 Franz Xaver Kraus SS-Sturmbannführer Responsabile dell'informazione uccisione per impiccagione
7 Ludwig Plagge SS-Oberscharführer Aiutante del comandante uccisione per impiccagione
8 Fritz Buntrock SS-Unterscharführer Aiutante del comandante uccisione per impiccagione
9 Wilhelm Gerhard Gehring SS-Hauptscharführer Comandante di sottocampo uccisione per impiccagione
10 Otto Lätsch SS-Unterscharführer Vice-comandante di sottocampo uccisione per impiccagione
11 Heinrich Josten SS-Obersturmführer Comandante delle guardie uccisione per impiccagione
12 Josef Kollmer SS-Obersturmführer Comandante delle guardie uccisione per impiccagione
13 Eric Muhsfeldt SS-Oberscharführer Responsabile dei forni crematori uccisione per impiccagione
14 Hermann Kirschner SS-Unterscharführer Capo amministrazione di campo uccisione per impiccagione
15 Hans Schumacher SS-Unterscharführer Direttore degli approvvigionamenti alimentari uccisione per impiccagione
16 August Bogusch SS-Scharführer Capo Blocco uccisione per impiccagione
17 Therese Brandl SS-Aufseherin Guardia femminile uccisione per impiccagione
18 Paul Szczurek SS-Unterscharführer Capo Blocco uccisione per impiccagione
19 Paul Götze SS-Rottenführer Capo Blocco uccisione per impiccagione
20 Herbert Paul Ludwig SS-Oberscharführer Capo Blocco uccisione per impiccagione
21 Kurt Hugo Müller SS-Unterscharführer Capo Blocco uccisione per impiccagione
22 Johann Kremer SS-Obersturmführer Medico del campo uccisione per impiccagione (commutata in ergastolo)
23 Arthur Breitwieser SS-Unterscharführer Capo amministrazione di campo uccisione per impiccagione (commutata in ergastolo)
24 Detlef Nebbe SS-Sturmscharführer Sergente delle guardie Ergastolo
25 Karl Seufert SS-Hauptscharführer Capo blocco prigione Ergastolo
26 Hans Koch SS-Unterscharführer Disinfestazione Ergastolo
27 Luise Danz SS-Aufseherin Guardia femminile Ergastolo
28 Adolf Medefind SS-Unterscharführer Guardia Ergastolo
29 Anton Lechner SS-Rottenführer Guardia Ergastolo
30 Franz Romeikat SS-Unterscharführer Amministrazione 15 anni di prigione
31 Hans Hoffmann SS-Rottenführer Guardia della Gestapo 15 anni di prigione
32 Hildegard Lächert SS-Aufseherin Guardia femminile 15 anni di prigione
33 Alice Orlowski SS-Aufseherin Guardia femminile 15 anni di prigione
34 Johannes Weber SS-Sturmmann Responsabile delle cucine del campo 15 anni di prigione
35 Alexander Bülow SS-Sturmmann Guardia 15 anni di prigione
36 Eduard Lorenz SS-Unterscharführer Guardia 15 anni di prigione
37 Richard Schröder SS-Unterscharführer Responsabile contabilità 10 anni di prigione
38 Erich Dinges SS-Sturmmann Autista del campo 5 anni di prigione
39 Karl Jeschke SS-Oberscharführer Guardia 3 anni di prigione
40 Hans Münch SS-Untersturmführer Medico dell'Istituto di Igiene [Assoluzione

Note[modifica | modifica wikitesto]


Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Hermann Langbein, Der Auschwitz-Prozess: eine Dokumentation, 1964.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  • The Auschwitz Trials, su jewishvirtuallibrary.org, Jewish Virtual Library. URL consultato il 10 ottobre 2016.

Assedio di Jadotville[modifica | modifica wikitesto]

L'Assedio di Jadotville, conosciuto anche come la Battaglia di Jadotville, fu un conflitto armato avvenuto presso la città congolese di Jadotville, (attuale Likasi), nel settembre del 1961, fra un reparto irlandese operante sotto il controllo ONU e reparti secessionisti katanghesi supportati da mercenari europei francesi e belgi. Lo scontro ebbe inizio il 13 settembre e, dopo cinque giorni di combattimenti, le truppe irlandesi, rimaste senza munizioni ed a corto di viveri ed acqua, si arresero agli assalitori la sera del 17 settembre. Gli irlandesi rimasero circa un mese prigionieri dell'esercito katangese e vennero rilasciati il 25 ottobre.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Antefatto[modifica | modifica wikitesto]

Il 30 giugno del 1960 la colonia del Congo Belga ottenne l'indipendenza dal Belgio diventando la Repubblica Democratica del Congo. Negli anni successivi l'area fu teatro di una serie di disordini alimentati dalle spinte indipendentiste di varie fazioni politiche ed etniche, noti come crisi del Congo, il cui apice fu rappresentato dalla secessione del Katanga proclamata nel luglio 1960 dal leader katangese Moise Ciombe. Questa secessione era vista di buon occhio da alcune potenze europee che temevano che le miniere del Katanga di uranio e rame potessero cadere sotto il controllo dell'Unione sovietica che era intervenuta a favore del leader del Movimento Nazionale Congolese (MNC) Patrice Lumumba. Un ruolo nella vicenda lo ebbe anche la multinazionale Union Minière du Haut Katanga, che temeva di perdere i suoi diritti di estrazione mineraria nella regione. Pertanto a partire dall'inizio del 1961 il Katanza venne equipaggiato con uomini, rifornimenti e aerei da Francia, Belgio, Sud Africa e Rhodesia del Sud.[1] Inoltre Ciombe, grazie ai finanziamenti ottenuti direttamente dalla Union Minière, (1,25 miliardi di Franchi belgi)[2] potè garantarsi l'assunzione di alcune centinaia di mercenari europei.[1]

Il 21 febbraio del 1961, dopo l'indignazione suscitata in tutto il mondo all'uccisione di Lumumba da parte dei katanghesi, le Nazioni Unite approvarono la Risoluzione 161 con la quale si chiedeva alle forze ONU di agire con tutte le misure necessarie, compreso l'uso della forza, per arrestare il dilagare della guerra civile congolese e per espellere dal paese tutto il personale militare, paramilitare e mercenario straniero.[3] La risoluzione non modificò la situazione e l'azione di Ciombe proseguì. Fra marzo ed aprile del 1961 le truppe dell'esercito katanghese, supportate da mercenari europei, si scontrarono in varie occasioni nell'area del Nord-Katanga (Manono, Kabalo) con i soldati dell'ONUC .[4] Questi eventi cpnvinsero i responsabili ONUC che il loro contingente era insufficiente per gestire efficacemente la situazione, ed esso venne quindi rinforzato, raggiungendo a luglio 1961 oltre 19.800 uomini.[5]

Nel giugno del 1961 giunge in Congo il nuovo rappresentante delle Nazioni Unite, il diplomatico irlandese Conor Cruise O'Brien. Il 29 agosto, in risposta ad una esplicitta richiesta del presidente Kasavubu, l'ONUC lanciò l'Operazione Rum Punch. Le truppe delle Nazioni Unite, al tempo al comando del generale irlandese Sean MacEoin, occuparono senza spargimento di sangue, le aree chiave del Katanga, arrestando circa 500 ufficiali fra belgi e altri mercenari operanti nelle forze armate katanghesi.[6] Qualche giorno dopo gli ufficiali vennero rilasciati a patto che lasciassero il territorio del Congo. Questi accettarono, ma un certo numero di essi rientrarono in Katanga passando per la Rhodesia.[7]

Nei giorni successivi all' operazione Rum Punch vi fu una intesa attività diplomatica portata avanti principalmente da Conor Cruise allo scopo di convincere Ciombe a consegnare tutti i mercenari operanti nella gendarmeria katanghese e andare a Leopoldville a negoziare con il governo centrale. Al rifiuto di Ciombe ad un ultimatim imposto, ed avendo notizie che le truppe katanghesi stavano preparndo degli attacchi alle posizioni e al personale dello ONUC, il 12 settembre venne deciso il lancio dell'Operazione Morthor per il successivo giorno 13.[8]

Mentre si svolgevano i fatti sopra descritti, un contingente di soldati irlandesi, la Compagnia A, facente parte del 35° Battaglione Irlandese, venne dislocato presso la città mineraria di Jadotville, a circa 120 km a nord-ovest di Elisabethville. Il 35° Battaglione si trovava in Congo solo dal 25 giugno 1961, ed era stato dislocato a Elisabethville. La compagnia A era formata da volontari provenienti dalle guarnigioni di Athlone, Mullingar, Galway e Finner Camp nel Donegal,[9] ed era comandata dal Comandante[10] Pat Quinlan.

Le ragioni dell'invio della Compagnia A a Jadotville non sono del tutto chiare, e non esiste un ordine scritto per questo trasferimento.[11] Sembra che all'origine vi sia stata una pressante richiesta del governo belga, apparentemente per proteggere la popolazione bianca della città da possibili insurrezioni dei katanghesi.[8] In realtà, come emergerà chiaramente in seguito, i belgi che risiedevano nella regione non volevano le truppe delle Nazioni Unite, e non temevano per la propria vita, inoltre essi avevano osteggiato l'intero operato delle Nazioni Unite opponendosi all'applicazione dei suoi ideali.[12] E' molto probabile quindi che la richiesta di protezione sia stato uno stratagemma per attirare l'unità in una posizione esposta.[8] Inoltre la decisione del comando ONUC di dislocare a Jadotville la Compagnia A, ha un altro punto interrogativo. Infatti, poco prima della arrivo della Compagnia A a Jadotville, eranto stati richiamate dallo stesso posto due reparti, la compagnia B del 35° Battaglione irlanderse, ed una compagnia di svedesi, entrambe meglio equipaggiate e con armamento più pesante della Compagnia A.[13]

Battaglia 1[modifica | modifica wikitesto]

La Compagnia A arrivò a Jadotville il 3 settembre e prese posizione nell'avamposto ONU situato alla periferia della città lungo la strada che conduce a Elisabethville. Il comandante Quinlan si rese subito conto che la posizione era troppo aperta e quindi difficile da difendere. Pertanto egli ordinò ai suoi uomini di scavare delle trincee tutto intorno all'avamposto. Come qualcuno osserverà successivamente questa fu una decisione molto saggia a cui e' probabilmente legata la sopravvivenza di molti dei suoi uomini.[14]

Nei giorni successivi Quinlan ebbe modo di verificare l'ostilità della popolazione bianca di Jadotville e di raccogliere una serie di segnali che facevano presagire un attacco imminente da parte dei katanghesi e dei numerosi mercenari loro alleati presenti nell'area. Il 9 settenbre egli decide di inviare il Capitano William Donnelly al quartier generale di Elisabethville per esporre la situazione e richiedere rinforzi. Purtroppo la cosa non diede i sisultati sperati e Donnely, dopo essere stato costretto ad aspettare alcune ore che Conor Cruise O'Brien finisse la cena, viene rassicurato che tutta la situazione e' sotto controllo, e rinviato a Jadotville con un plotone di scorta. Sulla strada del ritorno Donnelly scoprì che le milizie katanghesi avevano istituito un posto di blocco sul fiume Lufira. A lui fu consentito di passare, ma il plotonone dovette tornare indietro. La compagnia A era quindi completamente circondata ed isolata.[15]

1° giorno - 13 settembre

Mercoledi 13 settembre, alle ore 7:30 circa, poche ore dopo il lancio dell'Operazione Morthor, mentre la maggioranza dei soldati irlandesi assisteva alla Messa, una trentina fra soldati della gendarmeria katanghese e miliziani europei a bordo di alcune jeeps e a piedi si lanciarono contro la postazione irlandese aprendo il fuoco. Questi risposero al fuoco e dopo una decina di minuti di combattimenti, i gendarmi, forse anche sorpresi dalle truppe nascoste in trincea e dalla resistenza opposta del nemico, si ritirarono lasciando sul campo pesanti perdite. Per qualche ora non vi furono combattimenti e gli irlandesi ne approfittarono per consolidare le loro posizioni. Quinlan, immaginando che la loro situazione potesse protrarsi per parecchio tempo, diede ordine di fare scorta di acqua utilizzando ogni contenitore disponibile. Anche questa ri rivelerà una decisione importante in quanto nel corso della giornata gli assedianti chiusero le condutture di acqua che alimentavano l'avamposto. Alle 11:30 i katanghesi, ricevuti rinforzi, ripresero l'attacco preceduto da un intenso bombardamento con i mortai. Gli irlandesi risposero al fuoco distruggendo le postazioni dei mortai e respingendo diversi attacchi. A metà giornata gli attaccanti presero possesso di una casa posta a circa 300 metri dalle postazioni avanzate irlandesi e da qui presero a bombardare con i mortai, ma gli irlandesi riusciro a distruggere anche questa postazione recando pesanti perdite al nemico. In serata fu stabilito un "cessate il fuoco" per consentire ai katangjesi di intervenire con autoambulanze per recuperare i propri morti e feriti, ma questi appena recuperati i corpi, ripresero proditoriamente a sparare contro gli irlandesi. Quando la battaglia si era calmata, il comandante irlandese chiamò al telefono il Burgomaster, cioè la massima autorità della comunità che erano stati chiamati a difendere, chiedendogli di adoperarsu per porre fine ai combattimenti in quanto loro non avevano intenzioni ostili. Il borgomastro rispose, ad uno stupefatto Quinlan, che si dovevano arrendere e in caso contrario sarebbero statai attaccati e uccisi. Questa per Quinlan fu la conferma, se mai ce ne fosse staato bisogno, che erano stati attirati in una trappola.[16]

2° giorno - 14 settembre

Il 14 alle ore 13:00 gli irlandesi furono attaccati da un aereo Fouga Magister dell'aviazione katanghese, che si ripresentò alle 15:00 ed alle 17:00 distruggendo tutti i veicoli da trasporto a disposizione della Compagnia A e ferendo due soldati. Dopo il primo attacco gli irlandesi presero di mira il jet con le mitragliatrici in dotazione alle auto costringendolo ad attaccare da posizione più elevata e quindi con minore precisione. Nel pomeriggio gli irlandesi catturarono due mercenari bianchi. Questi, interrogati, dichiararono che venivano dalla residenza di Ciombe dove avevano sentito che una compagnia irlandese era appena stata catturata e tenuta in ostaggio dai katanghesi. Anche questo episodio dà credito alla teoria che le truppe delle Nazioni Unite erano statae attirate in una trappola con un piano pre programmato. Durante il giorno vi furono anche attacchi da terra che comportarono il ferimento di altri due soldati irlandesi, ma tutti gli attacchi vennero respinti.[17]

3° giorno - 15 settembre

Il comandante viene informato via radio che il ponte sul fiume Lufira e' stato conquistato dai katangesi ed erano statai notati numerosi convogli transitare sul ponte. Non vi furono attacchi da terra, ma la situazione igienico-sanitaria cominciò a farsi pesante. Gli uomini nelle trincee poterno mangiare qualcosa solo in tarda serata e durante il giorno poteron0o solo bera acqua, che peraltro cominciava ad imputridirsi con gravi pericoli per la salute.[18]

4° giorno - 16 settembre

Il sabato mattina arrivò un elicottero ONU con rifornimenti di acqua bastevoli per circa 20 persone. Purtroppo, dopo averla scaricata si accorsero che i recipienti utilizzati per trasportarla erano stati in precedenza impiegati per contenere gasolio, e l'acqua risultò quindi inutilizzabile. Quando l'elicottero stava per ripartire arrivò il Fouga per intercettarlo. Grazie al fuoco dei soldati irlandesi l'elicottero non fu colpito ma, approfittando della situazione, i nemici a terra si avvicinarono notevolmente alle posizioni irlandesi. Quando il jet se ne andò gli irlandesi tornarono a fronteggiare i nemici a terra con un intenso fuoco di sbarramento che provocò molti morti e feriti negli attaccanti. La battaglia si protrasse per circa 4 ore. Al 14:00 il Borgomastro chiamò Quinlan per chiedere un cessate il fuoco per poter inviare delle ambulanze, ma Quinlan rifiutò perche temeva che la richiesta potesse nascondere una imboscata. Un'ora dopo la richiesta venne riformulata in termini diversi e pertanto concordarono per le 16:00 un incontro nella terra di nessuno per discuterne in dettaglio. L'obiettivo di Quinlan era quello di cercare diguadagnare tempo, nella speranza che la colonna dei rinforzi li potesse raggiungere. Non sapevano che colonna era stata fermata e i soccorsi non sarebbero mai arrivati. I termini furono quindi formalizzati e Quinlan informò i suoi superiori della cosa. Quella notte pertanto trascorse in modo relativamente tranquillo.[19]

5° giorno - 17 settembre

La mattina di domenica 17 settembre gli irlandesi notarono un notevole rafforzamento delle truppe nemiche che li circondavano. Tuttavia il giorno precedente avevano concordato che i katanghesi si sarebbero ritirati ed avrebbero ripristinato la fornitura di acqua. Durante la mattinata i katanghesi inviarono un loro ufficiale da Quinlan che lo informò che se voleva che fosse ripristinata l'acqua dovevano depositare tutte le loro armi in un edificio e loro spostarsi in un edificio diverso. Quinlan rifiutò di aderire alla richesta ma continuò a negoziare, sempre nella speranza dell'arrivo dei rinforzi. Quinlan informò quindi il suo comando della situazione e gli fu suggerito di provare ad intimidire i katanghesi dicendo che l'ONU avrebbe fatto intervenire gli aerei contro di loro. In realtà al comando sapevano perfettamente di non avere alcun aereo da combattimento a disposizione. Con il passare delle ore la situazione si andava facendo sempre più pesante: erano a corto di cibo e la poca acqua rimasta era diventata imbevibile. Quinlan contatttò quindi il comando di battaglione per avere aggiornamenti sull'arrivo dei rinforzi, ma seppe che questi erano stati costretti a tornare alla base. Egli convocò quindi un incontro con i suoi uomini più anziani. Essi si resero conto che non potevano contare sui rinforzi per almeno altri due-tre giorni, ma che senza acqua non avrebbero potuto resistere anche senza combattere. D'altra parte se fossero stati attaccati, visto oramai il gran numero di nemici, questo si sarebbe trasformato in un massacro. Decisero quindi che continuare il combattimento in quelle condizioni non sarebbe stato utile a nulla e che se veniva loro chiesta la resa, ed avessero ottenuto suffienti garanzie di rispetto degli accordi presi avrebbero accettato, altrimenti avrebbero combattuto fino alla fine. Alle 17:00 Quinlan ed i suoi ufficiali parteciparono ad un incontro con le loro controparti katanghesi. Questi resero omaggio agli irlandesi per aver fatto il loro dovere di soldati e poi ha chiesero loro la resa. Quinlan inizialmente rifiutò ma i katanghesi dissero che non c'era alternativa, che la loro sicurezza sarebbe stata garantita e che i soldati irlandesi potevano mantenere le armi, ma depositarle in albergo. Il comandante irlandese decise che in questa fase non avevano altra scelta che accettare le condizioni offerte e che ogni ulteriore azione avrebbe comportato la distruzione completa deilla sua compagnia.[20]

Epilogo e considerazioni storiche[modifica | modifica wikitesto]

Caserma di Athlone. Cerimonia di commemorazione della battaglia di Jadotville

Dopo la resa gli irlandesi vennero trasferiti per circa tre settimane nell'Hotel d'Eli Europe a Jadotville sotto il controllo dei paracadutisti. In questa fase assistettero al recupero da parte dei katanghesi dei loro morti, stimati in circa 2-300, e vennero da questi minacciti di terribili atrocità e di essere mangiati, ma sostanzialmente vennero trattati bene. Il 23 settembre giunsero altri prigionieri catturati ad Elizabethville che rimasero sorpresi nel trovarli vivi, in quanto si erano diffuse voci che la gran parte di loro fossero statai uccisi. L'11 ottobre vennero portati a Kolwezi dove vennero presi in carico dalla gendarmeria. In questa occasione vi furono anche percosse e minacce di morte. Il 16 ottobre venne detto loro cha sarebbero stati rilasciati a Elizabethville in uno scambio di prigionieri. Il giorno stesso furono caricati su un camion e portati a Jadotville, quindi il giorno successivo ad Elizabethville dove furono invitati da Mahmoud Khiary, Responsabile delle Operazioni Civili delle Nazioni Unite in Congo e da alcuni giornalisti irlandesi, ma quel giorno lo scambio non avvenne e furono riportati a Kolwezi. Finalmente il 25 ottobre, dopo quasi cinque settimane di prigionia, tutti i prigionieri vennero nuovamente spostati a Elizabethville e rilasciati. Nel mese di dicembre 1961 il 35° Battaglione fu sostituito dal 36° Battaglione giunto dall'Irlanda e pertanto essi fecero ritorno in patria.[21]

Per più di quarant'anni, gli uomini coinvolti nella battaglia di Jadotville sono stati criticato per le loro azioni e sono stati etichettati come codardi. Comandante Quinlan fu accusato di aver tradito i suoi uomini. La loro storia è stato dimenticato, mentre altre azioni di soldati irlandesi avvenute prima successivamente sono state ricordate. In realtà, fino a poco tempo fa, molti membri delle stesse forze armate irlandesi sapevano nulla degli eventi accaduti a Jadotville. Sembrerebbe che agli alti livelli si sia deciso di dimenticare tutta la vicenda, in quanto gli eventi furono sbrigativamente classificati come vigliaccheria, anche se nessuna commissione d'inchiesta fu stata mai convocata per accertare con esattezza gli eventi. Anche il comandante Quinlan venne trattato piuttosto male non ottenendo nessun riconoscimento. Finì la sua carriera come Tenente colonnello e morì nel 1997 senza aver avuto la soddisfazione di veder riconoscere i propri meriti, primo fra tutti quello di aver riportato a casa tutti i suoi uomini senza nessuna perdita e con soli 5 feriti.[22]

Fortunatamente, nei primi anni del 2000, grazie alle azioni promosse da alcuni veterani, ed agli articoli di alcuni giornalisti e scrittori, quali Declan Power e Michael Whelan, il Ministero della Difesa irlandese riesaminò completamente gli eventi di Jadotville, riabilitando il Comandante Quinlan e la sua compagnia. Nel novembre 2005 l'allora ministro della difesa Willie O'Dea rese onore ai combattenti di Jadotville con una cerimonia tenutasi nella caserma di Athlone in cui venne inaugurato un monumento commemorativo recante due placce indicanti gli eventi accaduti e i nomi di tutti i soldati che combatterono a Jadotville.[23]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b David Renton, David Seddon, Leo Zeilig, The Congo: Plunder and Resistance, Zed Books, 2007, p. 103, ISBN 1842774859.
  2. ^ Renton, Seddon, Zeilig, Op. citata. Pag. 78
  3. ^ UN Resolution 161, su un.org, United Nations. URL consultato il 16 ottobre 2016.
  4. ^ E. O'Ballance, The Congo-Zaire Experience, 1960-98, Springer, 1999, p. 47-49, ISBN 0230286488.
  5. ^ ONUC - Facts and Figures, su un.org. URL consultato il 31 marzo 2013.
  6. ^ O'Ballance, Op. citata, pag. 52-53
  7. ^ Christopher Othen, Capitolo 14 - Rumpunch, in Katanga 1960-63: Mercenaries, Spies and the African Nation that Waged War on the World, The History Press, 2015, ISBN 0750965800.
  8. ^ a b c Thomas R. Mockaitis, Peace Operations and Intrastate Conflict: The Sword Or the Olive Branch?, Greenwood Publishing Group, 1999, p. 28-29, ISBN 0275961737.
  9. ^ Power, Op. citata, Capitolo 5 - Deployment
  10. ^ Il grado di Comandante (Commandant) nell'esercito irlandese corrisponde al grado di Maggiore in Italia, ovvero al grado NATO OF-3.
  11. ^ Declan Power, Capitolo 7 - Road to Jadotville, in Siege at Jadotville: The Irish Army's Forgotten Battle, Maverick House, 2015.
  12. ^ Sad tale of a sensible surrender, su irishtimes.com, The Irish Times. URL consultato il 17 ottobre 2016.
  13. ^ The True Story of the Heroic Battle That Inspired the New Netflix Film The Siege of Jadotville, su time.com, Time. URL consultato il 17 ottobre 2016.
  14. ^ Power, Op. citata, Capitolo 1 - Siege at Jadotville
  15. ^ Power, Op. citata, Capitolo 4 - The mercenary equation
  16. ^ Whelan, Op. citata, pag. 37-41
  17. ^ Whelan, Op. citata, pag. 41-42
  18. ^ Whelan, Op. citata, pag. 43
  19. ^ Whelan, Op. citata, pag. 43-45
  20. ^ Whelan, Op. citata, pag. 46-50
  21. ^ Whelan, Op. citata, pag. 55-56
  22. ^ Whelan, Op. citata, pag. 57-72
  23. ^ Speech By The Minister For Defence, Willie O’Dea T.D. At The Unveiling Of A Memorial to Commemorate the Events that Happened In Jadotville in 1961 (Novembre 2005), su defence.ie, Irish Department of Defence. URL consultato il 20 ottobre 2016.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Riserva naturale di Khor Kalba[modifica | modifica wikitesto]

----tutto da fare ----
Riserva naturale di Khor Kalba
Mangrove and Alhafeya Protected Area in Khor Kalba
محمية أشجار القرم والحفية بخور آلباء
Mangrovie in Khor Kalba
Tipo di areaRiserva naturale
Codice WDPA555637324
Class. internaz.non indicata
StatoBandiera degli Emirati Arabi Uniti Emirati Arabi Uniti
EmiratoEmirato di Sharjah
ProvinceKalba
Superficie a terra23.38 km²
Provvedimenti istitutiviDecreto Amiri n. 27 del 2012
GestoreEnvironment and Protected Areas Authority (EPAA),
Government of Sharjah
Mappa di localizzazione
Mappa di localizzazione: Emirati Arabi Uniti
Riserva naturale di Khor Kalba
Riserva naturale di Khor Kalba
Sito istituzionale
Coordinate: 25°00′N 56°22′E / 25°N 56.366667°E25; 56.366667

La Riserva naturale di Khor Kalba, (in inglese Mangrove and Alhafeya Protected Area in Khor Kalba, in arabo محمية أشجار القرم والحفية بخور آلباء?), è un'area naturale protetta degli Emirati Arabi, istituita nel 2012, che si trova nella Regione orientale dell'Emirato di Sharjah sul Golfo di Oman, al confine con l'omonimo stato.

Storia dell'area[modifica | modifica wikitesto]

Khor Kalba è stata dichiarata Area Nazionale Protetta del decreto Amiri N. 27 del 2012 emesso dallo sceicco Sultan bin Mohammed Al Qasimi sovrano dell'Emirato di Sharjah.[1]

Questa decisione fa parte di un disegno più ampio annunciato dalla Sharjah Investment and Development Authority (Shurooq), in collaborazione con l'Environment and Protected Areas Authority (EPAA) di Sharjah, finalizzato alla realizzazione di progetto di ecoturismo di Kalba City. Il progetto prevede tre fasi da completarsi entro sei anni. La prima fase prevede appunto lo sviluppo delle riserve naturali di Al Hafiya e Al Qurm (unificate nella citata area naturale protetta), il rilascio di animali e uccelli rari e la creazione di un centro all'interno della riserva per i visitatori, nonché il restauro di numerosi siti archeologici presenti nell'area delle suddette riserve. Le altre due fasi prevedono sviluppi finalizzati al turismo che tuttavia non interesseranno l'area protetta in quanto saranno sviluppati fuori dai confini della riserva.[2]

Nel 2013 il sito è stato designato ed accettato come zona umida ai sensi della Convenzione di Ramsar.[3]

Nel 2016 è stato aperto il Al Hefaiyah Mountain Conservation Centre per la conservazione della fauna delle montagne Al Hajar.[4]

Nel 2017 l'area in questione è stata anche riconosciuta come Important Bird Area (IBA) da BirdLife International.[5]

Territorio 2[modifica | modifica wikitesto]

La riserva si trova sulla costa occidentale del Golfo di Oman a circa 150 km a sud dello stretto di Hormuz. Occupa un'area di 23,38 km². L'area è delimitata a nord dalla citta emiratina di Kalba, a est dal'Oceano Indiano, a ovest dai Monti Hajar e a sud dal confine con l'Oman. L'area marina fino a 2 miglia al largo e inclusa nel confine dell'area protetta. L'altitudine della zona terrestre varia fra 0 e 448 m. slm, mentre la zona marina va da 0 a -23 m.[6]

Il sito si caratterizza sia a livello nazionale che regionale per la presenza del più significativo insediamento di mangrovie Avicennia marina (sviluppato nel corso dei secoli) dell'Arabia orientale. Nel complesso si tratta di un ecosistema di zone umide di marea riparate e biologicamente diverse con apporto di acqua dolce dalle montagne adiacenti (Monti Hajar). Kalba rappresenta pertanto uno degli habitat di mangrovie più settentrionali dell'Oceano Indiano occidentale. Da un punto di vista biogeografico si trova in una posizione particolarmente interessante, nella zona di transizione tra la regione del Golfo Persico e il Golfo di Oman/Mar Arabico.

La riserva è formata da tre aree: l'area marina a largo della costa, l'area litoranea della riserva di Al Qurm, fra la costa e la strada statale E 99, l'area interna fra la E99 e le pendici dei monti Hajar che forma la riserva di Al Hafiya.[7]

Khor Kalba è composto da diversi habitat tra cui subtidale costiera, intertidale (spiaggia sabbiosa, mangrovie, fango e canali di marea), sabbia sopratidale, palude salata e piane saline. Esso costituisce uno dei principali ecosistemi delle zone umide e siti di fauna selvatica del paese in termini di biodiversità, valori naturali, rarità, fragilità, e fascino intrinseco.[8]

L'area è attraversata dal Wadi Rumh che costituisce il principale corso d'acqua che fluisce nel khor, anche se in modo discontinuo. Il Wadi ha un bacino idrografico che copre un'area di 100 km², in gran parte di carattere montuoso che è parte della catena dei Monti Hajar. Una stretta pianura alluvionale dominata da boschi di acacie si trova tra le aride montagne pietrose e la zona litoranea. Le zone vegetali comprendono arbusti di Euphorbia larica sulle montagne, con boschi di acacie sulle colline pedemontane e pianura adiacente, un complesso di barene intertidali di Arthrocnemum e Halocnemum e la specie monospecifica Avicennia marina.[8]

Dal punto di vista amministrativo la riserva si trova nel territorio di competenza della comunità di Kalba.[9]

Questa area ricade all'interno dell'ecoregione terrestre del Deserto e semideserto del golfo di Oman.[10]

Biodiversità[modifica | modifica wikitesto]

La riserva di Khor Kalba è caratterizzata da una grande biodifersità per la quale nel 2002 l'UNESCO ha raccomandato di proporre l'area per la designazione di Riserva della biosfera.[11]

La flora nell'area è relativamente ricca di numero di specie rispetto ad altre aree di pari dimensioni nelle aree limitrofe degli Emirati Arabi. Si possono individuare sei principali habitat: Euphorbia larica sulle colline, Acacia tortilis ai piedi delle colline e in pianura, paludi salmastre di Halocnemum e Arthrocnemum nella zona intercotidale superiore, mangrovie di Avicennia marina ai margini del lato del khor, fanerogame marine anche lì e in mare aperto e piante di Pennisetum divisum (Poaceae) che dominano la vegetazione della spiaggia.[12]

Le mangrovie di Khor Kalba sono le uniche che si trovano nellEmirato di Sharjah sono quelle. Questi ecosistemi altamente produttivi sono vitali per il loro ruolo nel fornire zone di riproduzione, vivaio e alimentazione per diverse specie di pesci, invertebrati e piante, oltre a proteggere la costa dai danni delle tempeste e dall'erosione mentre intrappolano i sedimenti portati via dal terreno. Gli alberi di mangrovia di Kalba sono i più alti e costituiscono il bosco maturo più esteso che si trovi in quella regione biogeografica.[8]

In aggiunta alle specie già citata, sono state censite le seguenti specie vegetali: Aeluropus sp., Aizoon canariense, Anabasis setifera, Arthrocnemum macrostachyum, Atriplex leucoclada, Calotropis procera, Cornulaca sp., Cymbopogon sp., Cyperus conglomeratus, Halocnemum strobilaceum, Heliotropium sp., Indigofera sp., Launaea sp., Limonium axillare, Lotus sp., Monsonia nivea, Panicum turgidum, Phoenix dactylifera, Poaceae spp., Prosopis cineraria, Prosopis juliflora, Pulicaria sp., Salsola imbricata, Suaeda vermiculata, Tamarix sp., Ziziphus spina-christi, Zygophyllum boulosii, Zygophyllum simplex.[12]

Oltre alle mangrovie, l'area è di grande interesse ornitologico in quanto un'ampia varietà di specie di uccelli si riproduce, sverna e sosta qui durante la migrazione.

Le mangrovie e le distese fangose di Khor Kalba sono fondamentali per la sopravvivenza dell'endemico martin pescatore dal collare (Halcyon chloris). La sottospecie presente, chiamata kalbaensis dal nome dell'area, non si riproduce in nessun'altra parte del mondo. La popolazione di questo uccello in Khor Kalba è stimata in 44 coppie. Questo martin pescatore nidifica nei buchi delle mangrovie più antiche e si nutre principalmente di granchi raccolti dalle distese fangose e tra i pneumatofori delle mangrovie in acque basse.[13]

La spiaggia di Khor Kalba è frequentata da un gran numero di gabbiani (Larus spp.) e sterne (Sterna spp.), sia nel periodo della migrazione che durante i mesi invernali. La concentrazione di gabbiani di Hemprich (Larus hemprichii) presente è di importanza internazionale, con fino al 5% della popolazione mondiale stimata presente a volte, così come le popolazioni di alcune specie di sterna. Un'ampia varietà di uccelli costieri e aironi frequenta la spiaggia e le distese fangose del khor, sebbene il numero di nessuna di queste specie presenti sia considerato significativo a livello nazionale o regionale.[13]

Un altro uccello caratteristico di questa area è il canapino di Sykes (Hippolais rama), un passeriforme che si riproduce solo qui negli Emirati Arabi e solo in un altro sito in Arabia (Khor Liwa, Oman), sebbene non sia considerato una specie a rischio in termini mondiali. Qui la nidificazione e l'alimentazione avvengono nelle mangrovie, in particolare dove i cammelli hanno brucato i rami più bassi per provocare un boschetto di fogliame a livello del suolo.[13]

Un certo numero di specie nidificanti tipicamente mediorientali è presente nell'area della savana di Acacia sulla pianura alluvionale a ovest della E 99 che collega Kalba con l'Oman. Questi includono il passero dalla gola gialla (Petronia xanthocollis), il gruccione della Persia (Merops persicus), il garrulo d'Arabia (Turdoides squamiceps) e l'assiolo di Bruce (Otus brucei). Tutti presenti qui in densità più elevate rispetto a quasi tutte le altre località degli Emirati Arabi (né nessun altro singolo sito supporta a livello nazionale tutte e quattro queste specie contemporaneamente). Le grandi popolazioni di ciascuna specie sono almeno in parte dovute alla qualità della savana dell'acacia.[13]

Punti di interesse[modifica | modifica wikitesto]

Khor Kalba è un'area di notevole importanza archeologica e culturale, non solo per il periodo preistorico ma anche per la storia locale della regione. L'archeologia dell'entroterra costiero comprende una serie di significativi siti storici e preistorici, alcuni dei quali risalenti al III millennio a.C.. Sono presenti numerose strutture, come forti, tumuli e camere funerarie, in diversi stati di conservazione, così come un notevole insieme di opere d'arte rupestri o pittoglifi. La maggior parte dei siti archeologici all'interno dell'area di indagine preliminare si trovava nella pianura costiera o in prossimità del bordo dei monti Hajar.[14]

I siti preistorici e storici dell'area di Kalba sono significativi in termini di storia e gestione dell'ambiente circostante. La presenza di insediamenti databili dal III millennio a.C. all'età del ferro sono un riflesso della capacità dell'area di sostenere una consistente popolazione preistorica per un lungo periodo di tempo. I riferimenti scritti portoghesi, arabi e britannici alla regione riflettono anche l'importanza strategica e ambientale di questo tratto di costa nel passato storico più recente.[14]

Un tell risalente al terzo millennio a.C. si trova all'interno dei giardini di palme da dattero tra le montagne e la città di Kalba. Questo tell è costituito da una grande torre difensiva del periodo Umm an-Nar (2500-2000 a.C.), un'ampia piattaforma di mattoni di fango del periodo Wadi Suq (2000-1300 a.C.) e resti dell'età del ferro (1300-300 a.C.). Il sito è significativo in quanto gli insediamenti preistorici sono relativamente rari nell'Arabia sud-orientale. Il sito è paragonabile a quello di Tell Abraq al confine tra gli emirati di Sharjah e Umm al-Qawain.[15]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Ramsar Sites Information ServiceOp. citata, pag. 9
  2. ^ Hotelier Middle East Staff, Sharjah launches Kalba eco-tourism project, in Hotelier Middle East, 2 maggio 2012. URL consultato il 16 luglio 2023.
  3. ^ Mangrove and Alhafeya Protected Area in Khor Kalba, su rsis.ramsar.org. URL consultato il 31 marzo 2023.
  4. ^ Thaer Zriqat, Safe haven for mountain animals opens, in The National, 6 marzo 2016. URL consultato il 4 dicembre 2018.
  5. ^ Alqurm Wa Lehfeiyah (Khor Kalba), su datazone.birdlife.org. URL consultato il 7 luglio 2023.
  6. ^ Ramsar Sites Information ServiceOp. citata, pag. 2
  7. ^ Khor Kalba Site map (PDF), su rsis.ramsar.org. URL consultato il 18 luglio 2023.
  8. ^ a b c Ramsar Sites Information ServiceOp. citata, pag. 3
  9. ^ Mappa interattiva di Kalba
  10. ^ DOPALink citato.
  11. ^ Simon Aspinall et al.Op. citata pag. 26.
  12. ^ a b Simon Aspinall et al.Op. citata pag. 10-12.
  13. ^ a b c d Simon Aspinall et al.Op. citata pag. 15-16.
  14. ^ a b Simon Aspinall et al.Op. citata, pag. 5-6
  15. ^ Simon Aspinall et al.Op. citata, pag. 16-19

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]


Categoria:Aree naturali protette degli Emirati Arabi

Saccheggio di Amburgo (845)[modifica | modifica wikitesto]

Saccheggio di Amburgo
parte dell'espansione vichinga
Data845
LuogoAmburgo
EsitoSaccheggio vichingo di Amburgo
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
sconosciuti600 navi
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Il Saccheggio di Amburgo dell'845 fu ad opera dei Vichinghi danesi, guidati dal re Horik I, che occuparono la città per due giorni, bruciando la cattedrale, il monastero e la biblioteca.

Antefatto[modifica | modifica wikitesto]

Nella seconda meta dell'VIII secolo alcuni gruppi di norreni, che abitavavano la scandinavia meridionale e lo Jutland, attraversarono il mare del Nord ed iniziarono delle scorrerie, dapprima sulle coste dell'inghilterra orientale e della Frisia, poi nella Francia settentrionale spingendosi poi nella Spagna ed anche nel Mediterraneo. Questi guerrieri, che attraversavano il mare con le loro snelle imbarcazioni dette drakkar, presero il nome di Vichinghi.

La prima incursione sulle coste inglesi, che trova riferimenti in testi scritti, e' del 793 a spese del monastero di Lindisfarne di fronte alla costa settentrionale del Regno di Northumbria. Negli anni successivi i vichinghi si spinsero più ad ovest. Il primo attacco al Regno franco avvenne nel 799 nei confronti del monastero di San Filiberto sull'isola di Noirmoutier, presso l'estuario della Loira.[1]

L'area dell'Elba, abitata dai Sassoni fin dal III secolo, venne sottomessa da Carlo Magno nel corso delle guerre sassoni, all'inizio del IX secolo. La città di Amburgo si sviluppò intono ad Hammaburg, una fortezza fatta costruire da Carlo Magno nell'808, sopra una piccola altura, alla confluenza dell'Alster con l'Elba, come roccaforte di difesa contro gli Slavi. Nell'811 Carlo Magno fondò qui una chiesa, forse sul sito di un luogo di sacrificio sassone, da utilizzare come centro per la conversione al cristianesimo degli Slavi e dei popoli pagani del nord (Danimarca, Svezia e Norvegia).[2]

Nell'826 l'imperatore Ludovico il Pio, che era succeduto a Carlo Magno, inviò un monaco benedettino di nome Oscar di Brema (conosciuto anche come Anskar), nello Jutland alla corte del re Harald di Danimarca, che si era convertito al Cristianesimo[3] come forma di ringraziamento verso Ludovico il Pio che lo aveva aiutato a rientrare in possesso del suo regno dal quale era stato esiliato nell'814.[4]

Nell'827 Harald fu deposto da Horik, figlio del defunto re Godfred.[5] La ragione di questa deposizione non è menzionata, ma la sua conversione al cristianesimo potrebbe averlo reso impopolare fra i suoi sudditi e i nobili del regno. Un tentativo di reinsediare Harald fallì nell'828, e questo acuì l'ostilità di Horik nei confronti dei Franchi e di conseguenza del cristianesimo, che considerava la religione dei suoi nemici. Egli pertantanto rifiutò di convertirsi al cristianesimo, ed ostacolò i tentativi di Anskar di fare proselitismo fra i danesi.[6]

Nell'831 ad Hammaburg venne fondata una diocesi, che nell'834 venne elevata da Papa Gregorio IV ad arcidiocesi con giusprudenza non solo sui territori circostanti, ma anche su Islanda, Groenlandia e tutta la Scandinavia. Come arcivescovo venne nominato Oscar di Brema che fu chiamato l'apostolo del nord.[2]

Nel frattempo la posizione dell'imperatore Ludovico il Pio si era indebolita a causa delle guerre civili scatenate nell'830 dai suoi figli, per la suddivisione dell'impero, dopo la nascita del suo quarto figlio Carlo il Calvo. Approfittando di questa situazione di oggettiva debolezza dei franchi, i pirati danesi iniziarono a razziare nella Frisia.

La Frisia era in effetti il tallone d'Achille dell'impero carolingio. Allungata sulla costa del Mare del Nord a sud dello Jutland, in quella che è l'attuale Olanda, era impossibile da difendere senza una flotta, cosa che i Franchi non avevano. Questa vulnerabilità della Frisia era già stata evidenzia dal re danese Godfred che nell'810 attaccò la Frisia con 200 navi vichinghe. I suoi eredi, 20 anni dopo, volevano dimostrare di non essere da meno. Nell'834 assalirono la città di Dorestad, uno dei più importanti centri commerciali della Frisia posto sul ramo nord del Reno, distruggendo la città, massacrando persone, portando via prigionieri e incendiando i dintorni. Gli attacchi a Dorestad si ripeterono negli anni successivi 835 e 836 con gravi danni per la città che da questo momento inizierà a decadere come centro commerciale della regione.[7] Negli anni successivi si susseguirono numerosi altri saccheggi: nell'836 fu attaccata Anversa (Antwerp),[8] e nell'837 fu la volta di Walcheren.[8] Ma Horik non si limitò alle razzie e nell'838 chiese a Ludovico il governo della Frisia, richiesta che l'imperatore declinò sdegnosamente.[9]

Nell'840, alla morte di Ludovico il Pio, si scatenò una furiosa guerra civile fra i suoi figli (Lotario, Ludovico e Carlo - l'altro figlio Pipino era morto nel 838) per la spartizione dell'impero che terminò solo nell'843 con il Trattato di Verdun. Tale trattato assegnò la parte orientale dell'impero carolingio (in pratica tutta la parte ad est del Reno e a nord e ad est dell'Italia), che sarà chiamata Regno dei Franchi Orientali, a Ludovico. Durante questo periodo di instabilità, nella regione dell'Elba e dintorni, i nemici dei Franchi diedero luogo a varie azioni volte ad acquisire potere ai danni di detta potenza dominante. Tali azioni non cessarono con il riconoscimento di Ludovico a re del Regno Franco orientale, e Ludovico stesso dovette intervenire in più occasioni per riportare l'ordine nei suoi territori. Il primo di questi movimenti insurrezionali fu quello degli Stellinga sassoni. Durante la guerra interna all'Impero carolingio (840–843) gli Stellinga ottennero l'appoggio politico e militare di Lotario che li aveva fomentati contro il fratello Ludovico. Questi, nella tarda estate del 843, appena firmato l'armistizio con Lotario, marciò attraverso la Sassonia e stroncò la ribellione, sconfiggendo gli Stellinga ed uccidendo tutti i loro capi e quelli che gli si opponevano.[10] L'altra ribellione che Ludovico dovette sedare fu quella degli Obodriti, un popolo slavo che abitava l'area dell'odierno Meclemburgo. Questi si erano sollevati durante il periodo della guerra civile fra i figli di Ludovico sotto il comando di Goztomuizli, che aveva assunto il titolo di Samtherrscher costituendo una coalizione fra le principali tribù obodrite. Nell'estate dell'844, Ludovico, preoccupate che gli Obodriti potessero allearsi con i Danesi, attraversò l'Elba alla testa di una armata franca e marciò risolutamente nei territori degli Obodriti e li sconfisse in batttaglia sottomettendoli. Il loro capo Goztomuizli presumibilmente morì in battaglia ma le cronache del tempo non forniscono dettagli a tal proposito.[11]

Battaglia[modifica | modifica wikitesto]

All'inizio dell'845, Horik cercò di sfruttare la situazione di incertezza ancora in corso nella regione mandando una grande flotta sull'Elba. Secondo gli Annales Bertiniani si trattava di una flotta di 600 navi, numero che sembra incredibilmente alto. Tuttavia il fatto che la flotta fosse stata organizzata direttamente dal re Horik suggerisce che potesse essere insolitamente grande.[12] I nobili sassoni organizzarono una dura resistenza e costrinsero i danesi a fuggire sulle loro navi, ma non poterono impedire che i pirati danesi saccheggiassero la fortezza di Hammaburg. I danesi depredarono la città, che al tempo era un piccolo insediamento con circa 500 abitanti, e bruciarono la cattedrale, il monastero e la biblioteca contenenente preziosi manoscritti.[12] L'arcivescovo Oscar fu costretto a fuggire riuscendo a recuperare solo poche reliquie.[13]

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Mentre nel caso della rivolta degli Stellinga e degli Obodriti la risposta di Ludovico era stata affidata alla forza delle armi, nel caso del saccheggio di Amburgo egli si avvalse della diplomazia. Egli inviò pertanto una missione diplomatica, guidata dal conte Cobbo alla corte di Horik, chiedendo che il re danese si sottomettesse alla signoria dei Franchi e pagasse un indennizzo per i danni provocati dal saccheggio di Amburgo. Alla fine Horik accettò i termini e chiese un trattato di pace con Ludovico, promettendo anche di restituire il tesoro ei prigionieri catturati durante l'attacco ad Amburgo. Molto probabilmente Horik aveva delle sue motivazioni per accettare le richieste di Ludovico. Egli voleva infatti proteggere il confine con il regno franco mentre si preparava ad un conflitto con il re Olof di Svezia e affrontava i suoi nemici interni. Con il trattato, Louis chiese l'obbedienza di Horik, la sospensione al supporto ai razziatori vichinghi e l'invio regolare di ambasciate e regali per riaffermare l'alleanza.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sawyer, Op. citata, pag. 3
  2. ^ a b Britannica, Op. citata, History
  3. ^ Rimbert, Op. citata, Introduction to Life of Anksar
  4. ^ Annales regni Francorum, [812] DCCCXII, [814] DCCCXIIII.
  5. ^ Annales regni Francorum, [*827] DCCCXXVII.
  6. ^ Sawyer, Op. citata, pag. 23
  7. ^ Sawyer, Op. citata, pag. 23-24
  8. ^ a b Kohn, Op. citata, pag. 588
  9. ^ Sawyer, Op. citata, pag. 24
  10. ^ Goldberg, Op. citata, pag. 112
  11. ^ Goldberg, Op. citata, pag. 132-136
  12. ^ a b Goldberg, Op. citata, pag. 134
  13. ^ Jones, Op. citata, pag. 107

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Hammaburg[modifica | modifica wikitesto]

Hammaburg
Posizione di Hammaburg sulla mappa attuale di Amburgo
Ubicazione
Stato Impero Carolingio
Stato attualeBandiera della Germania Germania
CittàAmburgo
Coordinate53°32′59.5″N 9°59′51.8″E / 53.549861°N 9.997722°E53.549861; 9.997722
Mappa di localizzazione: Germania
Mario1952/Sandbox8
Informazioni generali
CostruzioneVIII secolo (Hammaburg I)-
IX secolo (Hammaburg II)
CostruttoreCarlo Magno (Hammaburg II)
Informazioni militari
UtilizzatoreImpero Carolingio
Regno dei Franchi Orientali
Funzione strategicaroccaforte di difesa contro gli Slavi
EventiSaccheggio di Amburgo (845)
vedi Bibliografia
voci di architetture militari presenti su Wikipedia

Hammaburg era una fortezza costruita fra l'VIII e il IX secolo, sopra una piccola altura, alla confluenza dell'Alster con l'Elba. Scavi archologici, effettuati in più fasi fra il 1947 e il 2006, hanno confermato che Hammaburg è il sito su cui sorge l'attuale città di Amburgo in Germania.[1]

Etimologia[modifica | modifica wikitesto]

Il nome Hammaburg deriva dall'unione di due parole: burg che ha il significato di castello e hamma la cui origine rimane incerta. Nell'alto tedesco antico esistono sia la parola hamma = "angolo", che la parola hamme = "pascolo". Angolo potrebbe in questo caso riferirsi a una striscia di terra, o a una curva del fiume. Un'altra ipotesi deriva dalla considerazione che nella zona al tempo in questuione (inizio IX secolo) la lingua parlata era l'antico sassone che iniziò appunto a svilupparsi nel IX secolo. In questa lingua esiste sia la la parola hamm che significa qualcosa tipo "terra in una curva del fiume", che la paroLa ham che significa "riva di un fiume". Hammaburg sarebbe quindi "castello (o fortificazione) in una curva del fiume".

Posizione e descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Posizione di Hammaburg a inizio IX secolo

La fortezza venne costruita su una cresta del terreno (detta geest in tedesco) tipica delle pianure alluvionali della Germania settentrionale, posta alla confuenza dei fiumi Bille e Alster con l'Elba. Il luogo costituiva una roccaforte naturale il quanto si ergeva dalla pianura circostante ed era protetta su tre lati dal fiume (l'Alster a nord e ad est, ed il Bille a sud), mentre a ovest si trovava una vasta area paludosa e quasi invalicabile formata dall'Elba (detta Elbmarschen).

Hammaburg I

Anche se il territorio era abitato già in epoca precedente, la fortificazione più antica venne realizzata nell'VIII secolo. Si trattava di un fossato ovale di circa 50 x 57 metri che probabilmente circoscriveva una palizzata, anche se di essa non vi sono tracce. Una ipotesi è che il fossato potrebbe aver circondato un tempo il cortile di una famiglia alto rango sassone. Probabilmente c'erano edifici commerciali e residenziali accanto a questo cortile. Il fossato venne demolito nell'800 per espandere l'insediamento.[2] Questo insediamento viene chiamato dagli archeologi Hammaburg I e si trova nell'area attuale che sta a sud della chiesa di San Pietro (Speersort e parco Domplatz).[3]

Hammaburg II

La nuova trincea anulare aveva un diametro di circa 71 metri e può essere datata solo in modo impreciso a circa l'800. Anche in questo caso non si hanno prove archeologiche dell'esistenza di una palizzata, ne della struttura interna o della sua pianta.[4] Questo insediamento viene chiamato Hammaburg II ed è con ogni probabilità quello citato nei testi dell'epoca. Anche questo fossato venne riempito nella metà del IX secolo.[5]

Hammaburg III

La terza e più poderosa fortificazione sulla piazza della cattedrale, chiamata Hammaburg III, è stata costruita intorno al 900. L'enorme muro ad anello di circa 130 metri di diametro, con una larghezza della parete di fino a 22 m, era già stato scoperto durante gli scavi fatti dal 1949 al 1956. A quel tempo si credeva di aver localizzato l'Hammaburg citato nei documenti storici del tempo. In realtà gli scavi fatti nel 2005-2006 sono stati in grado di dimostrare che quella è una pianta molto più giovane, realizzata tra la fine del IX e l'inizio dell'XI secolo.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'area del basso corso dell'Elba è stata abitata fin dal paleolitico superiore da diverse comunità di cacciatori-raccoglitori. Fra queste la cultura di Amburgo, così chiamata in quanto uno dei suoi siti più significativi, risalente al 12.700 a.C., è stato ritrovato appunto nella zona di Meiendorf nella periferia nord-orientale della città (quartiere Rahlstedt).[6] e la Cultura di Ahrensburg, successiva alla precedente, dal nome della cittadina di Ahrensburg a circa 25 km a nord-est di Amburgo.

In epoca antica il geografo Tolomeo, vissuto nel II secolo, cita nelle sue opere un posto sulle rive dell'Elba chiamato Treva che corrisponde alla moderna Amburgo. Non vi sono notizie di una presenza romana stabile nella zona. Vi furono tuttavia delle campagne militari romane ad opera del generale Decimo Claudio Druso che fra il 13 a.C. ed il 10 a.C. si spinse fino all'Ems, al Weser e all'Elba, costruendo una grandiosa rete di fortificazioni difensive. In epoca successiva gli abitanti della zona conservarono comunque contatti e scambi commerciali con i romani, come dimostrato da alcuni ritrovamenti di antiche monete d'oro romane avvenuti a Eppendorf e Lokstedt.[7]

In epoca successiva l'area dell'Elba, fu abitata dai Sassoni a partire dal III secolo e venne sottomessa da Carlo Magno nel corso delle guerre sassoni, all'inizio del IX secolo. L'insediamento di Hammburg venne costruito in più fasi (vedi sopra) fra l'VIII ed il IX secolo. Hammaburg probabilmente era originariamente un centro commerciale, come suggerisce la ceramica locale sassone del periodo tra il 700 e l'800, che è stata ritrovata durante gli scavi.[8] Dopo l'annessione definitiva all'impero carolingio, Hammaburg divenne un avamposto contro gli Slavi ed un centro per la diffusione della religione cristiana presso i pagani Norreni di Danimarca, Svezia e Norvegia. A questo scopo nel 831 l'imperatore carolingio Ludovico il Pio vi fondò una diocesi, che nell'834 venne elevata da Papa Gregorio IV ad arcidiocesi con giurisprudenza non solo sui territori circostanti, ma anche su Islanda, Groenlandia e tutta la Scandinavia. Come arcivescovo venne nominato Oscar di Brema,[9] un benedettino proveniente dall'Abbazia di Corvey.

Nell'845 Hammaburg venne saccheggiata da un attacco Vichingo in cui venne bruciata gran parte della città, la cattedrale, il monastero e la biblioteca.[10] Il vescovo Oscar riuscì a fuggire al saccheggio e riparò a Brema. Il clero e alcuni sopravvissuti all'attacco vichingo si stabilirono temporaneamente nel villaggio di Schmeessen nella foresta dei monti Solling, come determinato dai frammenti di ceramica.[11]

Scavi[modifica | modifica wikitesto]

Scavi nella Domplatz nel 2006

Amburgo è alla ricerca delle sue radici da secoli. Il sito di Domplatz è stato tre volte al centro di vaste campagne di scavo archeologico: negli anni 1949-56, 1980-87 e più recentemente nel 2005-06.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (DE) Hammaburg - L'inizio di Amburgo, su hamburg.de, Sito ufficiale di Amburgo. URL consultato il 21 novembre 2017.
  2. ^ Steinke, Op. citata, pag. 8
  3. ^ (DE) Tabea Tschöpe, L'Hammaburg: la cellula germinale di Amburgo nella piazza della cattedrale, su ndr.de. URL consultato il 24 novembre 2017.
  4. ^ Steinke, Op. citata, pag. 9
  5. ^ (DE) Hammaburg und die Anfänge Hamburgs - THE HAMMABURG II, su amh.de, Archäologische Museum Hamburg. URL consultato il 24 novembre 2017.
  6. ^ Thomas Terberger, From the First Humans to the Mesolithic Hunters in the Northern German Lowlands – Current Results and Trends (PDF), Across the western Baltic : proceeding from an archaeological conference in Vordingborg : [March 27th - 29th 2003], Sydsjællands Museums Publikationer Vol. 1, ISBN 87-983097-5-7 (archiviato dall'url originale l'11 settembre 2008).
  7. ^ (DE) Michelle Kossel, Als Geld die Welt zu regieren begann, su abendblatt.de. URL consultato il 25 novembre 2017.
  8. ^ Weiss, Op. citata, pag. 74
  9. ^ Charles H. Robinson, Anskar, The Apostle of the North, 801-865, translated from the Vita Anskarii by Bishop Rimbert his fellow missionary and sucessor, London: SPCK, 1921.
  10. ^ Eric Joseph Goldberg, Struggle for Empire: Kingship and Conflict Under Louis the German, 817-876, Cornell University Press, 2006, pp. 134, ISBN 080143890X.
  11. ^ (DE) Ausgrabungen in Schmeessen lösen das Rätsel der ersten Hamburger, su tah.de, Täglicher Anzeiger. URL consultato il 24 novembre 2017 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Annales Mettenses priores[modifica | modifica wikitesto]

Gli Annales Mettenses priores, o Annali di Metz, sono un'opera anonima scritta in latino e risalente all'inzio del IX secolo che descrive eventi del regno Franco e del successivo Impero carolingio nel periodo 678 - 830.

Gli annali furono pubblicati per la prima volta in latino nel 1626 da André Duchesne con il nome Annales Francorum Mettenses. Dato che questi annali contenevano grandi lodi all'operato di Arnolfo di Metz, e poiché il loro unico manoscritto sopravvissuto al tempo proveniva dal monastero di Sant'Arnolfo a Metz, Duchesne pensò che fossero stati scritti lì.[1] Studi più recenti hanno portato tuttavia ad ipotizzare che gli annali potrebbero essere statai scritti altrove, anche se fra gli studiosi non c'e' accordo su questo. Le altre due ipotesi più accrditate sono che il documento sia stato scritto nell'Abbazia di Saint-Denis o nel monastero femminile di Chelles. Entrambe queste sedi erano al tempo in uno stretto rapporto di affiliazione con la corte carolingia e questo e' in linea con il fatto che gli annali descrivono gli eventi in un modo che rende evidente che siano stati prodotti da qualcuno che, o faceva parte della corte carlongia, o era molto vicino ad essa. A favore di Chelles c'e' anche qualche elemento in più, il fatto che Chelles venga nominata due volte nel testo, il fatto che Gisella, la sorella di Carlo Magno, diventò badessa di Chelles nell'806, quando gra parte del testo era stato proodotto. Ulteriore elemento, anche se non decisivo, è dato dallo stile in cui e' scritto il documento ed il fatto che alcune donne che ebbero un ruolo importante nella storia della dinastia calolingia quali Begga di Andenne, Anseflède (moglie di Warattone di Neustria), Gertrude di Nivelles, e Plectrude, sono descritte lungamente e ponendole in grande e positivo risalto.[2] Questo porta a supporre che gli annali sino stati scritti da una mano femminile sotto la supervisione di Gisella o direttamente da lei stessa.[3]

Gli annali sono composti da tre sezioni: la prima copre gli anni dal 678 al 805 ed e' opera di un singolo autore, scritta nel'806 o dintorni; la seconda sezione copre gli anni dall'806 all'829 ed e' una copia fedele degli Annales Regni Francorum ed è stata aggiunta in un secondo tempo, probabilmente intorno all'830 o subito dopo, quando la terza parte, che descrive dettagliatamente gli eventi dell'anno 830, fu composta.[4]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ FouracreOp. citata, pag. 331-333
  2. ^ HenOp. citata, pag. 176-177
  3. ^ Tiziana Lazzari, Donne che scrivono di storia nel Medioevo. Intrecci, passioni e avventure tra VIII e X secolo, su storicamente.org. URL consultato il 16 dicembre 2017.
  4. ^ HenOp. citata, pag. 176

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Battaglia di Bornhöved (798)[modifica | modifica wikitesto]

Battaglia di Bornhöved
parte guerre sassoni
Data798
LuogoCampo di Sventanafeld, l'attuale Bornhöved (presso Neumünster)
Esitovittoria dei Franchi e Obodriti
Schieramenti
Comandanti
Drasco, EburisSconosciuto
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La Battaglia di Bornhöved, chiamata anche Battaglia dello Sventanafeld, fu una battaglia combattuta presso le sorgenti dell'antico Schwentine vicino al villaggio di Bornhöved, nei pressi di Neumünster, nel 798 d.C. fra le truppe di Carlomagno e dei suoi alleati slavi Obodriti contro i Sassoni della Nordalbingia. La battaglia, che vide la vittoria dei Franchi e degli Obodriti, fu l'ultima battaglia importante delle guerre sassoni, che sancì la definitiva sottomissione dei Sassoni iniziata da Carlomagno circa 30 anni prima.

Le principali fonti storiche sulla battaglia sono costituite dagli da Annales Regni Francorum e dagli Annales laureshamenses. E' probabile che alla base di queste cronache ci sia un rapporto presentato a Carlomagno dal suo legato Eburis.[1]

Antefatto[modifica | modifica wikitesto]

A partire dal 772 Carlomagno iniziò la conquista della Sassonia con l'obiettivo di sottomettere e cristianizzare i Sassoni fino ad allora dediti al paganesimo germanico. Negli anni successivi Carlomagno con una serie di campagne, anche sanguinose, sottomise via via una parte crescente della Sassonia, anche se i sassoni resistettero fieramente e non appena Carlo era richiamato da altre emergenze ne approfittavano per insorgere.

Un punto di svolta importante nel conflitto si ebbe nel 785 quando il capo carismatico dei sassoni Widukind venne sconfitto a Bardengau e si arrese accettando di farsi battezzare giurando fedeltà a Carlomagno. A questo evento seguì un periodo di pace di sette anni, nei quali vi furono solo sporadiche ribellioni localizzate.

La Sassonia del nord tuttavia non aveva accettato la pace e la conseguente cristianizzazione più o meno forzata. Nel 792 ci fu una insurrezione in Vestfalia, conseguenza del reclutamento forzato imposto per la guerra contro gli Avari, a cui si unirono nel 793 i sassoni della Ostfalia e della Nordalbingia. Questa insurrezione non ebbe successo e fu completamente sedata nel 794. Nel 795 i sassoni uccisero in un agguato il re Obodrita Witzan alleato di Carlomagno. Ancora nel 796 vi fu una rivolta dei sassoni dell'Angria che fu domata da Carlomagno stesso con l'aiuto degli alleati Obodriti.

Nel 797 Carlomagno, per far rispettare i termini della resa, inviò i suoi missi nei territori della Nordalbingia di Stormarn, Dithmarschen e Holstein. I missi furono cattuati da sassoni nella Psqua del 797, alcuni furono uccisi a degli altri ne fu chiesto il riscatto.[2] In risposta a questi eventi Carlomagno allestì un esercito che inviò a nord non appena le condizioni del terreno furono adatte alla sua cavalleria.[3]

Battaglia Sventanafeld[modifica | modifica wikitesto]

Carlomagno precedette verso nord con il suo esercito saccheggiando la Sassonia tra l'Elba e il Weser, nella cosidetta terra di Wihmode (o Wigmodi)[4] ma non passò l'Elba, lasciando agli Obodriti il compito di attaccare i sassoni da est. Gli Obodriti, guidati dal loro Samtherrscher Drasco, incontrarono i sassoni sulla Sventanafeld, una piana ghiaiosa allora disabitata nella zona dell'attuale Bornhöved, a circa 15 chilometri a est di Neumunster.[5]

Gli Obodriti, affiancati probabilmente da ausiliari franchi al comando del legato Eburis, che guidava l'ala destra dello schieramento, attaccarono i sassoni e li sconfissero infliggendo loro pesanti perdite. Secondo gli Annales Regni Francorum ci furono quattromila morti fra i sassoni.

(LA)

«[...] Nordliudi contra Thrasuconem ducem Abodritorum et Eburisum legatum nostrum conmisso proelio acie victi sunt. Caesa sunt ex eis in loco proelii quattuor milia, ceteri, qui fugerunt et evaserunt, quanquam multi et ex illis cecidissent, de pacis conditione tractaverunt.»

(IT)

«[...]I Nordalbingi impegnati in battaglia contro il re (ducem) degli Obodriti e il nostro legato Eburis, furono sconfitti. Sul campo di battaglia quattromile di loro furono uccisi e gli altri fuggirono e sebbene molti di loro erano caduti, trattarono le condizioni di pace.»

Secondo altre conache del tempo i morti sassoni furono circa 2800,[6] o 2901,[7] che sono comunque un numero notevole.

Conseguenze Sventanafeld[modifica | modifica wikitesto]

La sconfitta subita a Sventanafeld pose fine alla resistenza dei sassoni, anche se le ostilità non cessarono del tutto e nel 804 vi fu una ulteriore ribellione.

I sassoni della Nordalbingia sconfitti furono deportati nei territori franchi della Neustria e dell’Aquitania e i distretti abbandonati di Dithmarschen, Holstein e Stormarn, furono affidati da Carlo Magno agli Obodriti, che raggiunsero cosi in quel tempo la loro massima espansione territoriale.[8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ 798, Mimda, su regesta-imperii.de, Regesta Imperii, p. Karl der Grosse - RI I n. 346b.
  2. ^ Annales regni Francorum, (798) DCCXCVIII, Sed in ipso paschae tempore Nordliudi trans Albim...
  3. ^ Louis Halphen, Études critiques sur l'histoire de Charlemagne, Paris, 1921, p. 204.
  4. ^ Halphen, Op. citata, pag. 166-170
  5. ^ Halphen, Op. citata, pag. 203
  6. ^ Chronicon Moissiacense, su dmgh.de, Monumenta Germaniae Historica, p. 303.
  7. ^ Annales Laureshamenses, su dmgh.de, Monumenta Germaniae Historica, p. 37.
  8. ^ Volker Helten, Zwischen Kooperation und Konfrontation: Dänemark und das Frankenreich im 9. Jahrhundert, Kölner Wissenschaftsverlag, 2011, pp. 40-42, ISBN 3942720108.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Contea di Schwerin[modifica | modifica wikitesto]

Contea di Schwerin
Contea di Schwerin - Stemma
Dati amministrativi
Nome ufficialeGrafschaft Schwerin
Politica
Nascita1161
Fine1358
Territorio e popolazione
Mappa della Contea di Schwerin al 1250 circa

La Contea di Schwerin era uno stato del Sacro Romano Impero esistito fra il 1161 ed il 1358, situato nella parte sud-occidentale dell'attuale lander tedesco del Meclemburgo-Pomerania Anteriore.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La Contea di Schwerin fu istituita nel 1161 da Enrico il Leone a seguito dalla sua campagna vittoriosa contro gli slavi capeggiati dal principe obodrita Niklot, a seguito dela quale egli conquistò il castello di Schwerin. La contea fu assegnata a Gunzelino di Hagen, un nobile sassone che aveva supportato Enrico il Leone nella sudetta campagna.

Dopo che Enrico il Leone cadde in disgrazia, i re danesi cercarono di sfruttare questa situazione per estendere i loro possedimenti nel Meclemburgo. Nel 1208 il re danese Valdemaro II, approfittando di una disputa fra i conti di Schwerin Gunzelino II e Enrico I, detto Enrico il Nero, ed un loro vassallo, intervenne e si impadronì della contea. Nel 1214 i conti poterono tornare dopo aver giurato fedeltà a Valdemaro come vassalli. La loro sorella Oda fu inoltre costretta a sposare Niels di Halland, figlio illeggittimo di Valdemaro, a cui dovettero dare in dote la metà della contea di Schwerin.[1]

Nel 1221, mentre Enrico il Nero si trovava alla quinta crociata, Gunzelino II morì e Valdemaro affidò la reggenza della contea a suo nipote Alberto II di Orlamünde. L'anno successivo, quando Enrico I tornò, trovo quindi la sua casa occupati dai danesi. Egli tentò rientrare in possesso delle sue proprietà negoziando la cosa con il re con Valdemaro, ma visto che questo non produceva alcun effetto, mise in atto un audace piano, che ebbe poi delle conseguenze importanti nella storia dell'Europa del nord.[1]

Nella notte tra il 6 e il 7 maggio 1223 Enrico rapì Valdemaro e suo figlio, che stavano trascorrendo la notte nell'isola danese di Lyø per una battuta di caccia. Egli con una barca riportò a terra in Germania i due prigionieri che furono quindi custoditi dapprima a Lenzen, nella Marca di Brandeburgo, e più tardi nella torre del castello di Dannenberg, nell'omonima contea, ove poteva contare sull'appoggio del conte Enrico II di Dannenberg.[1]

Le trattative per il rilascio di Valdemaro andarono avanti per un certo tempo, ma nonstante le minacce dell'imperatore e del Papa Onorio III, non si arrivò ad una soluzione per l'intransigenza di entrambe le parti. L'inevitabile conclusione fu che si giunse ad una guerra. Nel gennaio 1225 gli eserciti contrapposti si scontrarono a Mölln nella contea di Holstein. L'esercito danese era comandato da Alberto di Orlamünde, che nel frattempo era stato nominato reggente del trono di Danimarca, e dal suo nipote Ottone di Lüneburg. L'esercito contrapposto era guidato da Enrico I con i suoi alleati Adolfo IV di Schaumburg, Gerardo di Lippe (arcivescovo di Brema) e Enrico II di Meclemburgo. Al termine di una battaglia molto dura i danesi furono sconfitti e lo stesso Alberto di Orlamünde fu fatto prigioniero. Il trattato di pace, firmato il 17 novembre 1225 fu molto duro per i danesi: oltre al pagamento di un pesente riscatto, essi dovettero cedere le contee di Holstein e di Schwerin, che tornarono ai precedenti proprietari (Adolfo IV e Enrico I), inoltre dovettero rinunciare a tutte le conquiste tedesche ad eccezione del Principato di Rügen e infine dovettero garantire la completa libertà di commercio per le città della Germania settentrionale.[1]

Nel 1282, i figli di Gunzelino III, Helmold III e Nicola I, separarono la linea dinastica principale, dando luogo alla linea Schwerin-Wittenburg da cui nel 1323, alla morte di Nicola I, si divise una linea di Boizenburg.

La linea dinastica principale della casa di Schwerin si interruppe il 1344 con la morte di Enrico III (figlio di Helmold III) senza figli. La dinastia Schwerin proseguì con la linea Wittenburg che si estinse anch'essa nel 1357 con la morte di Ottone I (figlio di Gunzelino VI) senza eredi maschi. Anche la linea di Boizenburg si era estinta nel 1349 con la morte senza eredi di Nicola II (figlio di Nicola I).

Il fratello di Ottone I, Nicola I di Tecklenburg, che avrebbe ereditato i diritti della casa di Schwerin, trovandosi anche in una precaria situazione economica, vendette nel 1358 tali diritti ad Alberto II di Meclemburgo.

La contea di Schwerin cessò pertanto di esistere nel 1358 diventanto da allora parte integrante del Ducato di Meclemburgo, che prenderà poi il nome di Ducato di Meclemburgo-Schwerin.

Territorio 2[modifica | modifica wikitesto]

Genealogia della casata di Schwerin[modifica | modifica wikitesto]

 Contea di Schwerin
1161-1358

Gunzelino di Hagen
1161-1185
 
     
 Helmold I
Conte di Schwerin
1185-1194
Hermann
Vescovo di Schwerin
(†1228/1230)
Gunzelino II
Conte di Schwerin
1195-1220
Enrico I
Conte di Schwerin
1200-1228
Oda
(†1283 circa)
 
  
 Gunzelino III
Conte di Schwerin
1228-1274
Helmold II
Conte di Boizenburg
1228-1274
 
      
 Helmold III
Conte di Schwerin
1262-1295
Gunzelino IV
Canonico di Schwerin
(† 1283)
Enrico II
(† 1267)
Giovanni
Arcivescovo di Riga
(† 1267)
Wittenburg
Nicola I
Conte di Wittenburg
(† 1323)
Mechtild
  
    
Gunzelino V
Conte di Schwerin
1296–1307
Enrico III
Conte di Schwerin
1307–1344
 Gunzelino VI
Conte di Wittenburg
1323–1327
 Boizenburg
Nicola II
Conte di Boizenburg
1323–1349
   
    
 unificata da
Ottone I
 Ottone I
Conte di Wittenburg e di Schwerin
1328-1357
Nicola III
Conte di Tecklenburg
unificata da
Ottone I
  
  
 Ducato di Meclemburgo
Alberto II
Casa di
Tecklenburg-Schwerin
 Signoria di Werle
~1229-1346


Nicola I di Werle
1227-1277
 
   
  Werle-Güstrow
Enrico I di Werle
1277–1291
 Werle-Parchim
Giovanni I di Werle
1277–1283
Bernardo I di Werle
Lord di Prisannewitz
(†1286)
  
    
Enrico II di Werle
1291-1294
Nicola di Werle-Güstrow
1291-1294
Nicola II di Werle
1283-1316
 Giovanni II di Werle
1316–1337
    
     
unificata da
Nicola II di Werle
unificata da
Nicola II di Werle
Werle-Goldberg
Giovanni III di Werle
1316–1350
 Nicola III di Werle
1337–1360
 Werle-Waren
Bernardo II di Werle
1339-1382
   
    
 Nicola IV di Werle
1350–1354
 Lorenzo di Werle
1360–1393
Giovanni V di Werle
1360–1377
 Giovanni VI di Werle
1382–1385/95
   
      
 Giovanni IV di Werle
1354–1374
Baldassarre di Werle
1393–1421
Giovanni VII di Werle
1393–1414
Guglielmo di Werle
1393–1436
Nicola V di Werle
1385/95–1408
Cristoforo di Werle
1385/95–1425
   
   
 unificata da
Bernardo II di Werle
 Ducato di Meclemburgo
Enrico IV
 unificata da Guglielmo di Werle

Prove x Sovrani di Meclemburgo[modifica | modifica wikitesto]

Pribislavo
*1178
Enrico Borwin I
*1227
Enrico Borwin II
*c.11701226
Giovanni I
*c.12111264
Nicola I
*c.12101277
Signoria di Werle
Enrico Borwin III
*c.12201278
Signoria di Rostock
Pribislao I
*c.12241275
Signoria di Parchim-Richenberg
Enrico I
*c.12301302
Alberto I
*p.12301265
Giovanni II
*c.12501299
Enrico II
*p.12661329
Giovanni III
*p.12661299
Alberto II
*13181379
Giovanni IV/I
*13261392
Enrico III
*13371383
ALBERTO III
*c.13381412
Magnus I
*13451384
Giovanni II
*13701416
Alberto I
*a.13771397
Ulrico I
*13821417
Alberto IV
*13631388
Eric I
*1397
Alberto V
*13971423
Giovanni IV
*13701422
Giovanni III
*13891438
Alberto II
*1423
Enrico
*1436
Enrico IV
*14171477
Giovanni V
*14181442
Ulrico II
*14281471
Alberto VI
*14381483
Giovanni VI
*14391474
Magnus II
*14411503
Baldassarre
*14511507
Enrico V
*14791552
Eric II
*14831508
Alberto VII
*14861547
Magnus III
*15091550
Filippo
*15141557
Giovanni Alberto I
*15251576
Ulrico III
*15271603
Giovanni VII
*15581592
Adolfo Federico I
*15881658
Giovanni Alberto II
*15901636
Cristiano Ludovico I
*16231692
Federico I
*16381688
Adolfo Federico II
*16581708
Gustavo Adolfo
*16331695
Federico Guglielmo
*16751713
Carlo Leopoldo
*16781747
Cristiano Ludovico II
*16831756
Adolfo Federico III
*16861752
Carlo I
*17081756
Federico II
*17171785
Luigi
*17251778
Adolfo Federico IV
*17381794
Carlo II[2]
*17411816
Federico Francesco I[2]
*17591837
Giorgio
*17791860
Federico Ludovico
*17781819
Federico Guglielmo
*18191904
Giorgio
*18241876
Paolo Federico
*18001842
Adolfo Federico V
*18481914
Casa granducale di
Meclemburgo-Strelitz
Federico Francesco II
*18231883
Adolfo Federico VI
*18821918
Federico Francesco III
*18511897
Enrico
*18761934
GUGLIELMINA
Federico Francesco IV
*18821945
Casa granducale di
Meclemburgo-Schwerin

est. 2001

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Heinrich I. (Graf von Schwerin), in Allgemeine deutsche Biographie, Wikisource.
  2. ^ a b Dal 1815 granduca.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Cristoforo di Werle[modifica | modifica wikitesto]

Cristoforo di Werle
Signore di Werle-Waren
Stemma
Stemma
In carica1401-1425
PredecessoreNicola V di Werle
SuccessoreGuglielmo di Werle
Morte1425
Casa realeCasato di Meclemburgo
PadreGiovanni VI di Werle
Religionecristiana

Cristoforo di Werle (... – 25 agosto 1425) è stato un principe di Meclemburgo signore di Werle-Waren.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Cristoforo era il secondo figlio di Giovanni VI di Werle. Alla morte del padre, fra il 1385 e 1395, la signoria di Werle-Waren venne ereditata dal fratello maggiore Nicola V di Werle, che poi lo associò al governo nel 1401. Dal 1408, dopo la morte del fratello regnò da solo fino alla sua morte.[1]

Nicola morì il 25 agosto del 1425 presso Pritzwalk in uno scontro con delle truppe del Brandembrgo.[2]

Non ci sono notizie storiche che Critoforo fosse sposato. Alla sua morte, non essendoci eredi, il ramo Werle-Waren della signoria passo a Guglielmo di Werle.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Wigger, Op. citata, pag. 255-256
  2. ^ Wigger, Op. citata, pag. 256-257
  3. ^ Wigger, Op. citata, pag. 257-259

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Kessini[modifica | modifica wikitesto]

Area di stanziamento dei Kessini intorno all'anno 1000
Area di stanziamento dei Kessini

I Kessini o Chizzini, erano una tribù appartenente al gruppo degli slavi occidentali Lutici che nel VII secolo si insediò nel territorio fra il Warnow e il Recknitz, nel Meclemburgo centro-orientale nell'attuale Germania nord-orientale.

I Kessini sono citati da varie fonti storiche: Adamo di Brema nella Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum che li chiama Chizzini [1], e Helmold di Bosau nella Chronica Slavorum che li chiama Kicini[2].

L'area di insediamento dei Kessini si estendeva su entrambi i lati dei fiume Warnown per circa 40 km, dalla costa del mar Baltico presso Rostock, fino all'area di Bützow. Da li proseguiva in direzione sud-est seguendo il corso del Nebel fino a Güstrow. Mentre sul lato occidentale del Warnow l'nsediamento si estendeva solo per pochi chilometri, sul lato orientale l'insedimento arrivava fino al fiume Recknitz oltre Tessin e Laage.[3]

Ricerche archeologiche hanno individuato dei siti nell'area nord a Fresendorf, presso Roggentin e Dierkow e nell'area sud, a Langensee e Groß Upahl (distretti del comune Gülzow-Prüzen), a a Kirch Rosin (distretto di Mühl Rosin).[4]

I Kessini, insiene ai Circipani, ai Redari, ed ai Tollensani, costituivano la federazione dei Liutici.[5] Secondo alcuni studiosi i Kessini furono costituiti, intorno all'anno 1000, da una scissione della tribù dei Circipani.[6] Questo evento potrebbe avere avuto origine nello sbandamento generale successivo alla pesante sconfitta patita nel 955 dai Circipani e Tollensani (Battaglia del Raxa) ad opera dalle truppe germaniche comandate da Ottone I di Sassonia.

Nel 1056/1057 i Kessini furono alleati dei Circipani nella guerra intestina contro i Tollensani e i Redari per la supremazia all'interno della federazione dei Liutici.[7] La guerra fu risolta dagli Obodriti, che intervennero a fianco dei Tollensani e Redari. Nel 1057 il sovrano obodrita Godescalco, con il supporto del re danese Sweyn II e del duca di Sassonia Bernardo II invase la Circipania sottomettendo Kessini e Circipani e annettendo le loro terre al suo regno.[8][9]

Dopo la morte di Godescalco avvenuta nel 1066, i Kessini formarono una propria monarchia feudale. Questa evoluzione è pittosto strana in quanto non si hanno notizie di una simile tradizione fra le popolazioni dei Lutici. Secondo alcuni studiosi i Kessini potrebbero aver sviluppato questa tradizione sotto l'influenza, o addirittura l'incoraggiamento, degli Obodriti.[10] Si hanno notizie di due principi Kessini: Dumar e suo figlio Sventipolk che nel 1114 e 1121 furono il bersaglio di due campagne organizzate dall'allora duca di Sassonia Lotario di Supplimburgo, in cui furono sconfitti e nuovamente sottomessi.[11]

Nel 1150 i Kessini tentarono ancora di ribellarsi non pagando le tasse. Il re degli Obodriti Niklot chiese quindi aiuto alla duchessa Clemenzia di Zähringen, moglie di Enrico il Leone, che gli fornì 2000 uomini con i quali egli invase il territorio dei Kessini costringendoli a pagare quanto dovuto.[12]

Successivamente a tale data i Kessini non furono più menzionati come popolazione a se stante e vennero progressivamente assimilati dalle popolazioni germaniche nel Meclemburgo nel XII secolo.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum, Liber II, Capitulum 21, Monumenta Germaniae Historica, p. 77.
  2. ^ Helmold di Bosau, Chronica Slavorum, su dmgh.de, Monumenta Germaniae Historica, p. 25, 26 e 27.
  3. ^ Fred Ruchhöft, Das Stammesgebiet der Kessiner vom 8. bis zum 13. Jahrhundert: Eine Studie aufgrund archäologischer, siedlungsgeschichtlicher und historischer Quellen, in Bodendenkmalpflege in Mecklenburg-Vorpommern vol. 54, Jahrbuch 2006, pp. 135-136.
  4. ^ (DE) Fred Ruchhöft, Vom slawischen Stammesgebiet zur deutschen Vogtei. Die Entwicklung der Territorien in Ostholstein, Lauenburg, Mecklenburg und Vorpommern im Mittelalter, in Archäologie und Geschichte im Ostseeraum. Bd. 4, VML, Verlag Marie Leidorf, 2008, p. 88, ISBN 3896464647.
  5. ^ Herrmann, Op. citata, pag. 261
  6. ^ (DE) Gerard Labuda, Zur Gliederung der slawischen Stämme in der Mark Brandenburg (10.–12. Jahrhundert) (PDF), in Jahrbuch für die Geschichte Mittel- und Ostdeutschlands. Bd. 42, 1994, p. 130.
  7. ^ Fritze, Op. citata, pag. 30
  8. ^ Herrmann, Op. citata, pag. 365
  9. ^ Chronica Slavorum, su dmgh.de, LIB I, Cap. 21, Monumenta Germaniae Historica, p. 27.
  10. ^ Fritze 1960, Op. citata, pag. 173
  11. ^ Herrmann, Op. citata, pag. 380
  12. ^ Helmold di Bosau, I, 71, su Chronica Slavorum, dmgh.de, Monumenta Germaniae Historica, p. 66.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Bardengau[modifica | modifica wikitesto]

Posizione del Bardengau
Sassonia intorno all'anno 1000

Il Bardengau era una regione storica della Bassa Sassonia nella Germania settentrionale che si estendeva sugli attuali Kreis di Lüneburg e Uelzen, comprendo anche parti di Harburg, Lüchow-Dannenberg e Heide.

Il territorio si trova sulla riva sinistra del basso corso dell'Elba, fra l'Este e il Jeetzel e coincide all'incirca con un'area geografica nota anche oggi come la brughiera di Luneburgo (tedesco: Lüneburger Heide).

Indagini archeologiche hanno dimostrato che fra il I ed V secolo d.C. l'area del Lüneburger Heide fu sede di insediamenti stabili di tribù longobarde, in particolare della tribù dei Barden o Bardi.[1] Numerose necropoli longobarde sono state ritrovate nella regione a Darzau, Rebenstorf, Rieste, Nienbüttel, Bahrendorf, Harsefeld, Putensen, Hamburg-Langenbeck, Hamburg-Harmstorf.[2]

In epoca carolingia il Bardengau divenne un gau dell'antica Sassonia. Negli annali franchi il Bardengau viene nominato la prima volta nell'anno 780, ove si dice che in un luogo chiamato Orhaim, l'attuale Ohrum, alla presenza di Carlomagno, furono battezzati omnes Bardongavenses et multi de Nordleudi .[3] La stessa indicazione viene riportata negli Annales Mettenses priores, ove si parla di un pagum quod dicitur Bordingavich.[4]

La citazione successiva negli annali franchi è dell'anno 785 quando Carlomagno, dopo aver sconfitto i Sassoni, si recò in Bardengau (chiamata Bardengawi nel testo suddetto), per ricevere la resa del capo dei sassoni Widukind che accettò anche di farsi battezzare giurando fedeltà a Carlomagno.[5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Reallexikon der germanischen Altertumskunde, pag. 50-56
  2. ^ Marcello Rotili, I Longobardi: migrazioni, etnogenesi, insediamento (PDF), in I Longobardi del Sud, Giorgio Bretschneider, Roma, 2010, p. 4-5.
  3. ^ Annales Regni Francorum, [780] DCCLXXX. Tunc domnus Carolus rex....
  4. ^ Annales Mettenses priores, Anno dominicae incarnationis DCCLXXX ....
  5. ^ Annales Regni Francorum, [785] DCCLXXXV Tunc domnus rex Carolus supradictum....

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Obodriti - Nome e tribù[modifica | modifica wikitesto]

Gli Obodriti si incontrano nelle fonti storiche per la prima volta negli Annales Regni Francorum dell'anno 789, in cui vengono chiamati Abotriti.[1] In seguito negli stessi annali i riferimenti sono fatti ad Abodriti. Anche Eginardo nella Vita et gesta Caroli Magni fa riferimento al popolo degli Abodtiti.[2] Il nome Obodtriti (Obodritos) compare nelle opere di Adamo di Brema, Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum,[3] mentre Helmold di Bosau nella Chronica Slavorum li chiama Obotriti.[4]

Nella Descriptio civitatum et regionum ad septentrionalem plagam Danubii del Geografo bavarese vengono chiamati Nortabtrezi, indicando anche che essi dispongono di 53 città ciascuna comandata da un suo duces[5]

Infine Adamo di Brema, nella sua Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum li chiama anche Reregi[6] per indicare la provenienza dalla loro principale città Reric.

Le principali tribù che componevano gli Obodrtiti erano quattro:[7]

Altre tribù associate agli Obodriti erano:[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Annales Regni Francorum, [789] DCCLXXXVIIII ...nec non et Abotriti, quorum princeps fuit Witzan. ....
  2. ^ (LA) Vita et gesta Caroli Magni, su thelatinlibrary.com, The Latin Library, Cap. 15.
  3. ^ (LA) Gesta Hammaburgensis Pontificum Liber I, su la.wikisource.org, Wikisource, Capitulum 5.
  4. ^ Chronica Slavorum, su dmgh.de, Monumenta Germaniae Historica, pag. 651 ... Obotriti, gens Slavorum....
  5. ^ Geografo bavarese, Descriptio civitatum et regionum ad septentrionalem plagam Danubii, Wikisource, (1) Isti sunt qui propinquiores resident finibus Danaorum, quos vocant Nortabtrezi....
  6. ^ Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum, Liber II, Capitulum 18
  7. ^ a b (DE) Joachim Herrmann, Die Slawen in Deutschland: Geschichte und Kultur der slawischen Stämme westlich von Oder und Neisse vom 6. bis 12. Jahrhundert, Akademie-Verlag, 1985, p. 7-8.

Hub & Spoke in medicina[modifica | modifica wikitesto]

L'utilizzo del modello Hub & Spoke in medicina parte dalla assunzione di base che per determinate patologie e/o situazioni molto complesse, sia necessario disporre di competenze specialistiche rare e/o apparecchiature molto costose, che non possono essere assicurate in modo diffuso su tutto il territorio. Il modello prevede quindi che l'assistenza per tali situazioni venga fornita da centri di eccellenza regionali o di macro area, detti appunto "hub", a cui afferiscono dai centri periferici, detti "spoke", i pazienti per i quali il livello di complessità degli interventi attesi superi quello che può essere fornito dai centri periferici.

Il Decreto Ministeriale 2 aprile 2015 n. 70 che definisce egli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, prevede per la medicina d'urgenza un modello basato su 4 livelli:[1]

  • Ospedale sede di Pronto Soccorso;
  • Ospedale sede di D.E.A. di I Livello (spoke);
  • Ospedale D.E.A. di II Livello (hub);
  • Presidio ospedaliero in zona particolarmente disagiata.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Pronto soccorso, su salute.gov.it, Ministero della Salute. URL consultato il 02-08-2019.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Centro di chirurgia pediatrica di Entebbe[modifica | modifica wikitesto]

Coordinate: 0°05′01.8″N 32°27′25.6″E / 0.083833°N 32.457112°E0.083833; 32.457112
Centro di chirurgia pediatrica di Entebbe
Entebbe Children's Surgical Hospital
StatoBandiera dell'Uganda Uganda
LocalitàEntebbe
IndirizzoPlot 120-122 Bishop Dunstan Nsumbuga Road, Entebbe, Uganda
Fondazione2021
Posti letto72 (di cui 6 di terapia intensiva e 16 di terapia sub-intensiva)
Sito webCHILDREN’S SURGICAL HOSPITAL IN ENTEBBE

Il Centro di chirurgia pediatrica di Entebbe, è un ospedale pediatrico, centro di eccellenza per la chirurgia pediatrica, costruito da Emergency a Entebbe, l'antica capitale dell'Uganda.

Posizione[modifica | modifica wikitesto]

L'ospedale si trova nel villaggio di Banga, nella zona nord-occidentale di Entebbe, nel distretto di Wakiso , nella regione centrale dell'Uganda. Si affaccia sulla riva orientale della Nakiwogo Bay del lago Vittoria e dista circa 40 km in direzione sud-ovest dalla capitale Kampala e circa 9 km verso nord dall'Aeroporto Internazionale di Entebbe.

Storia e costruzione[modifica | modifica wikitesto]

Logo Emergency
Il fondatore di Emergency Gino Strada (foto del 2010)
Il progettista dell'ospedale pediatrico di Entebbe Renzo Piano (foto del 2015)

La costruzione dell'ospedale, finanziata completamente dalla Ong italiana Emergency, è iniziata nel febbraio del 2017[1] e il centro è diventato operativo nell'aprile del 2021.[2] Il terreno su cui si trova il centro è stato donato dal governo ugandese.[1]

Il centro nasce da una idea di Gino Strada, il fondatore di Emergency, di voler realizzare un ospedale "scandalosammente bello", ma al tempo stesso moderno ed efficente ed ispirato da criteri di sostenibilità. La "bellezza" in contrapposizione alla logica molto in voga negli ambienti umanitari del "meglio cher niente" e la "sostenibilità" in rispetto all'abiente socio-economico in cui il centro si andava a porre.[3]

L'intero complesso è stato progettato, pro bono, dall'architetto di fama mondiale Renzo Piano e dal suo Studio RPBW (Renzo Piano Building Workshop), in collaborazione con lo Studio TAMassociati di Venezia e la Building Division di EMERGENCY. L'obiettivo della progettazione è stato quello di coniugare i due aspetti solitamente antitetici di bellezza ed efficenza con un terzo aspetto rappresentato dalla sostenibilità ambientale della costruzione.[2]

Nel rispetto di quanto sopra i muri portanti dell'edificio sono stati realizzati utilizzando la terra cruda che si trovava in abbondanza nel cantiere impiegando una tecnica antica chiamata pisè opportunamente modificata allo scopo. La tecnica originale prevede di compattare la terra o argilla, con eventuale aggiunta di paglia, all'interno di casseformi in cui viene lascita a seccare ed indurire. Questa tecnica è stata modificata sulla base di sperimentazioni e test condotti sul luogo preparando campioni e mockup coinvolgendo ingegneri e chimici. I risultati sono interessanti perché rispetto ai valori riportati in letteratura della terra battuta, si è ottenuto un risultato moltiplicato per dieci della resistenza meccanica del materiale che lo rende perfettamente adatto alla funzione di muro portante resistente alla compressione. In sostanza sono stati aggiunti alla terra cruda una percentuale di inerti secondo una determinata curva granulometrica: sabbia, ghiaia e poi fibre per contenere gli effetti del ritiro, una piccola quantità di cemento Portland e altri additivi industriali Mapei già in produzione. Inoltre in superficie è stato effettuato un trattamento con silossani, per ridurre l'assorbimento di acqua pur permettendo la traspirazione.[4]

L'altro elemento fondamentale della progettazione sosternibile è la copertura. Il tetto è costituito da una struttura sospesa a baldacchino che sostiene 2.500 pannelli. Questo sistema garantirà all'ospedale un'alimentazione elettrica autonoma durante il giorno, inoltre il fotovoltaico, “galleggiante”, posto a una certa altezza sopra l'edificio, consente il passaggio dell'aria e garantisce ombra per la costruzione e per i percorsi scoperti di collegamento fra i vari blocchi dell'edificio.[4]

Ultimo elemento, non meno importante, della progettazione è il giardino di 30 x 30 metri posto al centro del complesso e visto come un elemento di aiuto per il recupero e la guarigione dei piccoli pazienti. Nel giardino sono stati piantati 350 alberi. A questo scopo, siccome in Uganda è difficile trovare alberi completamente cresciuti, e non esistono vivai, è stato necessario creare un vivaio in casa nel cantiere stesso dei lavori. Utilizzando la tecnica dell'air-pot, le piante sono state coltivate in grandi vasi realizzati con rete metallica e iuta, che nel giro di due anni sono raddoppiate in dimensioni. Terminato il cantiere, gli alberi sono stati piantati nel giardino, che coprirà un'area a forma di "C" su cui si affacciano le due ali principali, la prima contenente le attività diagnostiche, gli ambulatori e le corsie sul lato opposto, e poi il blocco operatorio fra le due a formare la "C". Gli alberi sono specie del genere Jacaranda.[4]

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

Il centro offre cure gratuite di eccellenza in chirurgia pediatrica. L’obiettivo più a lungo termine è quello di diventare un punto di riferimento non solo per i banbini ugandesi, ma per tutti i bambini con necessità chirurgiche dell'intera Africa.[2]

Il Centro di chirurgia pediatrica di Entebbe è il secondo ospedale[5] dell'African Network of Medical Excellence (ANME), un'iniziativa di Emergency nata nel 2009 insieme a 11 paesi africani, con l'obiettivo di sviluppare una rete di strutture di alta qualità che rispondano a specifici bisogni sanitari su base regionale.[6]

L'ospedale è dotato delle seguenti strutture:[7]

  • 3 sale operatorie,
  • 1 sala sterilizzazione,
  • reparto terapia intensiva,
  • reparto terapia subintensiva,
  • aree ricovero con 72 posti letto,
  • reparto pronto soccorso,
  • 6 ambulatori,
  • radiologia,
  • laboratorio e banca del sangue,
  • TAC,
  • farmacia,
  • amministrazione,
  • servizi ausiliari,
  • foresteria,
  • accoglienza e guardia medica,
  • area didattica,
  • area giochi all'aperto.

Dall'inizio della sua attivita (aprile 2021) ad oggi (luglio 2023) il centro ha visitato 14.470 bambini di età media inferiore ai 6 anni effettuando 2.125 interventi chirurgici.[7]

Formazione[modifica | modifica wikitesto]

Uno degli obiettivi a lungo termine del centro è quello di aiutare la formazione di giovani medici e infermieri ugandesi qualificati, che possano contribuire a migliorare l'assistenza sanitaria del paese. Al momento (luglio 2023) nel centro operano circa 350 persone ugandesi nel personale locale, di cui quasi 200 sono medici, infermieri e altri operatori sanitari. Gli ugandesi costituiscono l'80% del personale medico e il 95% del personale non medico.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Gino Strada e Renzo Piano posano la prima pietra del nuovo centro di eccellenza in chirurgia pediatrica in Uganda, su emergency.it, 10 febbraio 2017. URL consultato il 30 luglio 2023.
  2. ^ a b c Uganda: il Centro di chirurgia pediatrica di Entebbe, su emergency.it, aprile 2021. URL consultato il 30 luglio 2023.
  3. ^ “Scandalosamente Bello” - A Venezia una mostra dedicata al nuovo Centro di chirurgia pediatrica di Emergency in Uganda, su emergency.it, 2 Novembre 2021. URL consultato il 30 luglio 2023.
  4. ^ a b c Mariagrazia BarlettaOp. citata, pag. 3-5
  5. ^ Il primo ospedale realizzato è il Centro “Salam” di cardiochirurgia di Khartoum attivato nel 2007 (Centro Salam di cardiochirurgia).
  6. ^ African Network of Medical Excellence, su en.emergency.it. URL consultato il 30 luglio 2023.
  7. ^ a b Children’s Surgical Hospital in EntebbeLink citato

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Azienda ospedaliera di Padova[modifica | modifica wikitesto]

Azienda Ospedaliera di Padova
StatoBandiera dell'Italia Italia
LocalitàPadova
IndirizzoVia Giustiniani, 2
Posti letto(dati 2019)[1]
  • 1.632 Acuti
  • 50 riabilitazione
  • 1.682 totali
Num. ricoveri annui(dati anno 2006)
  • Ordinari 54.938
  • Day hospital 13.922
Num. impiegati4.784
Dir. generaleLuciano Flor
Dir. sanitarioDaniele Donato
Dir. amministrativoRoberto Toniolo
Sito webwww.aopd.veneto.it/

L'Azienda ospedaliera di Padova, detta anche Azienda Ospedale - Università di Padova (AOP), è una un'azienda sanitaria pubblica della Regione Veneto, situata nella città di Padova. L'ospedale è riconosciuto come Ospedale di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione con Decreto ministeriale dell’8 gennaio 1999 ed individuato dal Piano Socio-Sanitario delle regione Veneto 2012-2016, quale centro hub per la Provincia di Padova e Centro di Riferimento Regionale per le funzioni individuate dalla programmazione medica regionale.[2]

L'AOP costituisce inoltre il punto di riferimento per l'Università degli Studi di Padova per quanto riguarda le attività didattiche e di ricerca della Scuola di Medicina e Chirurgia.[2] In tale ambito, in particolare, l'AOP rende disponibili le risorse umane e tecnologiche per la realizzazione delle scuole di specializzazione di area sanitaria, secondo quanto previsto dal Decreto Interministeriale n. 68 del 4 febbraio 2015.[3]

Storia osp[modifica | modifica wikitesto]

La storia dell'Ospedale affonda le sue radici nella fine del settecento con la costruzione dell'Ospedale Giustinianeo iniziata nel 1778 per sostituire l'oramai insufficiente Ospedale di San Francesco Grande.

Ospedale Giustinianeo

L'Ospedale Giustinianeo venne così chiamato in onore del vescovo di Padova, Nicolò Giustiniani, che ne fu il suo principale promotore. La superficie ove edificare il nuovo ospedale, al tempo chiamato Nuovo Ospitale degli Infermi di Padova, venne individuata nell'area in cui sorgeva l'antico collegio dei Gesuiti, abbandonato da tempo in quanto l'ordine era stato esiliato oltre cento anni prima dalla Repubblica Veneta. Il sito, posto nella zona sud della città, presso la cinta muraria in una zona poco densamente edificata, era particolarmente confacente, non solo per gli ampi spazi, ma anche perche disponeva di acqua corrente, sorgendo a fianco del Canale Alicorno che prelevava l'acqua direttamente dal Bacchiglione. La realizzazione dell'ospedale venne affidata all'architetto e professore universitario Domenico Cerato.[4]

Il 4 marzo 1778 venne iniziata la demolizione di una parte del collegio dei Gesuiti dove doveva sorgere il nuovo ospedale e il 20 dicembre 1778, alla presenza del vescovo di Padova Nicolò Giustiniani e del Podestà Domenico Michiel, venne celebrata la cerimonia della posa in opera della prima pietra dell'edificio. La costruzione durò venti anni durante i quali il vescovo Giustiniani continuò l'opera di finanziamento dell'ospedale attraverso elemosine e lasciti anche personali, nonchè l'istituzione di una lotteria finalizzata esclusivamente al finanziamento dell'ospedale. Purtroppo il Giustiniani morì nel 1796 senza aver potuto vedere il compimento della sua opera.[4]

Il nuovo ospedale venne inaugurato il 29 marzo 1798 e a metà Ottocento la struttura è in grado di ospitare cinquecento malati contemporaneamente. L'opedale collabora attivamente con l'Università degli Studi di Padova e nella prima metà dell'ottocento vengono attivate le cliniche medica e chirurgica.[5]

Verso la fine dell'ottocento, nel decennio tra il 1873 e il 1883, vengono attuati importanti miglioramenti riguardanti l’edificio e la gestione igienica degli ambienti. A tale proposito vengono riorganizzati i reparti, assegnando ai malati contagiosi spazi separati, inoltre viene migliorato ed esteso il sistema di riscaldamento nonche l’incanalamento delle acque piovane.[5]

Ospedale Civile di Padova

Purtroppo, ad inizio novecento, nonostante i miglioramenti attuati, l'Ospedale Giustinianeo diventa insufficente ed è necessario procedere alla costruzione di nuovi edifici in cui alloggiare ulteriori padiglioni. Fra il 1906 e il 1911 vengono realizzati ulteriori ampliamenti e la ristrutturazione del Giustinianeo, vengono inoltre implementate nuove costruzioni, anche sulla base di beneficenze private, che portano alla realizzazione del padiglione di pediatria e quello per le cure dermosifilopatiche.[6] I lavori di ampliamento dell'ospedale vennero interrotti per le due guerre mondiali, ma ripresero negli anni '50 con la realizzazione di soluzioni monoblocco o poliblocco verticale. Fra gli anni '50 e '60 vengono realizzati: la clinica pediatrica (1952-56), la clinica ostetrico-ginecologica (1953-56), il policlinico universitario (1957-61) e il monoblocco ospedaliero (1960-68). Al centro tra i due complessi di policlinico e monoblocco, fu collocato un blocco con gli ingressi e il pronto soccorso che venne completato nel 1967 con la realizzazione di un lungo corridoio con al termine una cappella. L'insieme di questi edifici portarono alla realizzazione di quello che venne allora chiamato Ospedale Civile di Padova, di cui l'antico Ospedale Giustinianeo costituiva l'ala nord.[6][7]

Il 14 novembre 1985 all'ospedale civile di Padova venne effettuato il primo trapianto di cuore in Italia da parte del professor Vincenzo Maria Gallucci, cardiochirurgo e professore universitario, e della sua equipe. Nel 2015 il reparto di Cardiochirurgia dell'Ospedale ha preso il nome di "Centro Gallucci", in memoria del professore deceduto nel 1991.[8]

Azienda ospedaliera di Padova
Cuore artificiale "CardioWest 70cc" usato per il primo impianto in Italia (2007)

Il nome di Ospedale Civile venne cambiato in Azienda ospedaliera a seguito della entrata in vigore della legge legge n. 502 del 30 dicembre 1992 che istituiva le Aziende sanitarie locali (ASL) in sostituzione delle Unità sanitaria locale (USL).

Il 6 dicembre 2007, al Centro Gallucci dell'ospedale di Padova, il professor Gino Gerosa, attuale primario di Cardiochirugia, ha effettuato il primo intervento in Italia di impianto di un cuore artificiale su una persona di 55 anni affetto da una grave insufficienza cardiaca biventricolare.[9]

Nel 2015 è stato eseguito a Padova, sempre dal professor Gerosa e dalla sua equipe, il primo intervento al mondo alla valvola mitrale con cuore battente su una paziente di 70 anni.[10]

Organizzazione[modifica | modifica wikitesto]

A partire dal 1 ottobre 2019 l'Azienda ospedaliera di Padova ha recepito quanto previsto dal DGR 1306 del 16 agosto 2018 in materia di organizzazione. Sulla base di esso l'azienda si è strutturata in Dipartimenti. Ci sono attualmente (2020) 10 dipertimenti per l'area ospedaliera e un dipartimento per l'area non ospedaliera. Ciascun dipartimento è costituito, salvo casi eccezionali, dall'aggregazione di almeno tre Unità Operative Complesse (UOC) omogenee sotto il profilo dell'attività o delle risorse umane e tecnologiche utilizzate.

Dipartimenti area ospedaliera[modifica | modifica wikitesto]

  • Dipartimento Funzionale Interaziendale Medicina Trasfusionale (DIMT)
  • Dipartimento Strutturale Aziendale Cardio-Toraco-Vascolare
  • Dipartimento Strutturale Aziendale Chirurgia
  • Dipartimento Strutturale Aziendale di Medicina di Laboratorio
  • Dipartimento Strutturale Aziendale Diagnostica per Immagini e di Radiologia Interventistica
  • Dipartimento Strutturale Aziendale Emergenza-Urgenza
  • Dipartimento Strutturale Aziendale Medicina
  • Dipartimento Strutturale Aziendale Medicina Legale e del Lavoro, Tossicologia e Sanità Pubblica
  • Dipartimento Strutturale Aziendale Neuroscienze e Organi di Senso
  • Dipartimento Strutturale Aziendale Salute della Donna e del Bambino

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Nuove schede di dotazione ospedaliera e delle strutture intermedie (PDF), su uilfplvenezia.it. URL consultato il 24 febbraio 20220.
  2. ^ a b Presentazione dell'Azienda, su aopd.veneto.it. URL consultato il 25 febbraio 2020.
  3. ^ Decreto Interministeriale 4 febbraio 2015 n. 68 Riordino scuole di specializzazione di area sanitaria, su attiministeriali.miur.it. URL consultato il 26 febbraio 2020.
  4. ^ a b Maurizio Rippa Bonati, La Gran Fabbrica del Nuovo Ospitale degli Infermi di Padova, in Per una storia della medicina, Libraria Padovana Editrice, Padova, 2012, p. 93-134, ISBN 9788889775318.
  5. ^ a b La scienza nascosta nei luoghi di Padova: il Giustinianeo, l’ospedale della città, su ilbolive.unipd.it. URL consultato il 25 febbraio 2020.
  6. ^ a b Gli spazi dell'ospedale, dal medioevo a oggi, su ilbolive.unipd.it. URL consultato il 25 febbraio 2020.
  7. ^ Il Novecento, su aopd.veneto.it. URL consultato il 25 febbraio 2020.
  8. ^ Daniele Mont D'Arpizio, 30 anni fa il primo trapianto di cuore in Italia, su ilbolive.unipd.it. URL consultato il 2 marzo 2020.
  9. ^ "I miei primi 1000 giorni con un cuore meccanico nel petto", su aido.it. URL consultato il 2 marzo 2020.
  10. ^ Medicina, primo intervento al mondo alla valvola mitrale con cuore battente, su ilbolive.unipd.it. URL consultato il 2 marzo 2020.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Nazwah[modifica | modifica wikitesto]

--- da pubblicare ---

Nazwah
نزوه
Nazwah – Veduta
Nazwah – Veduta
Deserto di Nazwa
Localizzazione
StatoBandiera degli Emirati Arabi Uniti Emirati Arabi Uniti
EmiratoDubai
CittàDubai
Amministrazione
CapoluogoDubai
Territorio
Coordinate
del capoluogo
25°01′26.63″N 55°38′47.58″E / 25.024064°N 55.646551°E25.024064; 55.646551 (Nazwah)
Superficie13,1[2] km²
Abitanti575[3] (2021)
Densità43,89 ab./km²
Divisioni confinantiLehbab, Al Meryal, Margham, Al Maha
Altre informazioni
Fuso orarioUTC+4
Codice statistico736
Cartografia
Mappa di localizzazione: Emirati Arabi Uniti
Dubai
Dubai

Nazwah (in arabo نزوه?) è una comunità dell'Emirato di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Amministrativamente fa parte del Settore 7 e si trova nella zona orientale di Dubai al confine con l'Emirato di Sharjah.

Territorio 1[modifica | modifica wikitesto]

Il territorio della comunità occupa una superficie di 13,1  km²[1] che si sviluppa in un'area non urbana nella zona centro-orientale di Dubai, al confine con l'Emirato di Sharjah.

L'area è delimitata a sud-ovest dalla Dubai-Hatta Road (E 44), a est dalla Nazwa Road (S 149) che la separa dalla municipalità di Al Madam di ​Sharjah, a nord dalle comunità di Lehbab e Al Meryal.[4]

Il territorio è quasi completamente desertico e ricade integralmente nell'ecoregione del Deserto arabico e macchia xerofila saharo-arabica.[5]

La regione è poco abitata e non vi sono insediamenti residenziali significativi. L'unico agglomerato abitativo si trova presso il vertice meridionale del territorio alla intersezione fra la Dubai-Hatta Road e la Mahafiz Nazwa Street subito a ridosso del confine con la municipalità di Al Madam di ​Sharjah. In questa zona si trova anche la Moschea di Nazwa.[6]

Nella comunità sono presenti delle fattorie per la produzione ortofrutticola e per la produzione di uova e allevamento di pollame.

Subito a sud della comunità si trova la Riserva di conservazione di Jabal Nazwa, una delle 8 aree protette presenti nell'Emirato di Dubai.[7]

L'area non è attualmente servita dalla Metropolitana di Dubai, tuttavia la linea di superficie E 16, che collega Al Sabkha con Hatta, percorre la Dubai-Hatta Road ed effettua delle fermate in Nazwa. [8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Dubai Statistics Center, Distribution of Estimated Population & Population Density (person/km2) by Sector and Community - Emirate of Dubai (2021) (PDF), su dsc.gov.ae. URL consultato il 15 settembre 2022.
  2. ^ [1]
  3. ^ [1]
  4. ^ Mappa interattiva di Nazwah
  5. ^ Arabian Desert and East Sahero-Arabian xeric shrublands, su dopa-explorer.jrc.ec.europa.eu.
  6. ^ Moschea di Nazwa
  7. ^ Dubai Municipality, Jabal Nazwa Conservation Reserve, su dm.gov.ae. URL consultato il 28 marzo 2023.
  8. ^ RTA Journey Planner, su rta.ae. URL consultato il 14 febbraio 2023.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]



Categoria:Quartieri di Dubai

Ra's al-Khayma[modifica | modifica wikitesto]

------ tutto da scrivere ---
Raʾs al-Khayma
città
رَأْس ٱلْخَيْمَة
Raʾs al-Khayma – Veduta
Raʾs al-Khayma – Veduta
Localizzazione
StatoBandiera degli Emirati Arabi Uniti Emirati Arabi Uniti
EmiratoRa's al-Khayma
Territorio
Superficie373[1] km²
Abitanti191 753[2] (2022)
Densità514,08 ab./km²
Altre informazioni
Fuso orarioUTC+4

Raʾs al-Khayma (in arabo رَأْس ٱلْخَيْمَة?), scritto anche come Ras Al Khayma, Ras al-Khaymah o RAK, è la capitale dell'Emirato di Ra's al-Khayma, negli Emirati Arabi Uniti. La città era conosciuta anticamente con il nome di Julfar. Si trova nella zona nord-occidentale del paese lungo la costa del Golfo Persico.

Storia 1[modifica | modifica wikitesto]

Scavi archeologici effettuati nell'area di Ras Al Khaimah hanno rilevato che in questa regione esistevano insediamenti umani risalenti al 5000 a.C. Questo rende Ras Al Khaimah uno dei pochi posti al mondo che ha avuto ininterrottamente coloni per oltre 7.000 anni.

Storia antica[modifica | modifica wikitesto]

Il sito più antico rinvenuto nella regione si trova a circa 23 chilometri a sud-ovest della moderna città di Ras Al Khaimah, vicino alla città di pescatori abbandonata di Jazirat al-Hamra. Il sito, risalente al neolitico, fu identificato per la prima volta dall'archeologi tedesco Burkhard Vogt durante degli scavi condotti alla fine degli anni '80, quando furono rinvenuti frammenti di ceramica mesopotamica risalenti al periodo Ubaid la cui presenza indicava che il tumulo era di origine neolitica e poteva essere datato al IV o V millennio a.C.[3]

Si sa poco delle popolazioni che abitavano l'area 7.000 anni fa. Lungo la costa occupavano insediamenti stagionali, vivendo in gran parte come pescatori e cacciatori. La scoperta di grandi quantità di ossa di pesci, dugonghi, tartarughe e delfini suggerisce che questi fossero la loro principale fonte di cibo, sebbene la presenza di altre ossa indichi che praticassero anche l'allevamento di animali. Anche i frammenti di ceramica Ubaid rivelano l'esistenza del commercio marittimo, sebbene la reale portata di tale commercio rimane sconosciuta.[3]

Una importante testimonianza di insediamenti nella regione, riferiti alla successiva età del bronzo, è costituita dal giardino di palme di Shimal, che costituisce il nucleo della successiva città di Julfar. Shimal, situato a circa otto chilometri a nord-est della moderna città di Ras Al Khaimah, è un tesoro di tombe preistoriche che costituisce il più grande sito preislamico dell'emirato. Qui sono state rinvenute tombe appartenenti alla alla cultura di Umm an Nar ed anche a tutte le epoche successive prima dell'arrivo dell'Islam. La presenza di giardini di palme, la posizione privilegiata ai piedi dei monti Hajar, nonché il facile accesso a un porto sicuro e un fertile entroterra ponevano Shimal in una importante posizione geografica.[4]

Nel 1977 l'archeologa britannica Beatrice de Cardi scopri il sito di Kush, situato nell'area nord occidentale della pianura di Shimal. Il sito è circondato a est, ovest e sud dalla fertile e relativamente ben irrigata pianura di Shimal, un deposito alluvionale densamente coltivato a palmeti e ricoperto da piccoli insediamenti rurali. Verso est si trovano le montagne della penisola di Musandam, la cui vicinanza conferisce alla pianura un'elevata falda freatica. Il sito ora si trova a circa due chilometri e mezzo a sud-est della costa moderna ma originariamente era vicino al bordo di una laguna che ora si è interrata fino a diventare una piana di sebkha. La posizione un tempo dava accesso sia alle risorse agricole che marine, nonché alle rotte commerciali, una combinazione unica che ha reso l'area di Shimal un punto focale di insediamento almeno dal terzo millennio a.C.[5]

Il sito di Kush è stato scavato tra il 1994 e il 2001 ed è costituito da un tell che misura 120 m da nord a sud per 100 m da est a ovest. La data del primo insediamento sul sito risale al V secolo d.C. durante l'era dell'Impero Sasanide, e il sito si sviluppò successivamente durante il periodo islamico per diventare il centro commerciale, nonchè, data l'allora conformazione della costa, porto di Julphar. Le rovine comprendono strutture del periodo sasanide, una grande torre del primo periodo islamico e resti di edifici risalenti al XIII secolo d.C.[6]

Periodo islamico[modifica | modifica wikitesto]

Dall'inizio dell'era islamica in poi l'area venne conosciuta come Julfar e possiamo suppore che Kush ne fosse una parte importante. Durante l'VIII secolo fu eretta una grande torre, circondata da un fossato, che avrebbe potuto sorvegliare il porto come parte di un sistema di difesa di Julfar. Sebbene Kush fosse certamente il centro amministrativo, portuale e commerciale di Julfar, l'insediamento era più grande e comprendeva la parte della distesa di giardini di palme, dove viveva la maggior parte delle persone. Dopo il X secolo, la popolazione iniziò a crescere, gli insediamenti coprirono sempre più spazio disponibile come dimostrato da un aumento del materiale archeologico disponibile già a partire dall'XI secolo. In passato, questo insediamento oasi è stato descritto come l'entroterra di Julfar, ma ora sappiamo che sarebbe più appropriato descriverlo come il vero Julfar. A protezione dell'insediamento fu costruita un cinta muraria localmente nota come, Wadi Sur, che corre in linea retta parallelamente alla costa per circa 7 km, a partire dai piedi di una collina con i resti di un palazzo medievale, localmente chiamato Palazzo della Regina Saba, fino alla laguna di Ras al Khaimah. Questa cinta muraria aveva lo scopo di proteggere dalla erosione del deserto sia l'insediamento dell'oasi con i suoi palmeti, che il centro amministrativo, sul lato est, laddove il mare, la laguna e le montagne a nord lo proteggevano naturalmente sugli altri lati. Non è noto quando venne costruita la fortificazione, anche se da alcuni reperti trovati in uno scavo vicino all'estremità settentrionale di Wadi Sur si è ipotizzato che le mura siano state edificate prima del XII secolo.[7]

Fra la fine del XIII secolo e all'inizio del XIV secolo, Kush fu abbandonato e l'ex centro amministrativo dell'insediamento dell'oasi cadde in disuso. Contemporaneamente sorse un nuovo insediamento sui banchi di sabbia, che proteggevano la laguna nord-orientale, in un'area attualmente denominata al-Mataf. La ragione di questo spostamento va ricercata nello sviluppo della laguna stessa. Probabilmente i sedimenti espulsi durante le piogge da Wadi al-Bih e Wadi Haqil potrebbero aver già iniziato a insabbiare la laguna quando Kush era ancora abitata, lasciando solo un piccolo canale che collegava il mare con il porto di Kush. Possiamo supporre che questo canale abbia cessato di esistere nel corso del XIII secolo, tagliando definitivamente fuori l'oasi delle palme e il centro amministrativo di Kush dall'essenziale collegamento con il mare.[8]

Gli abitanti di Kush si spostarono quindi verso la costa in due siti conosciuti come al-Mataf e al-Nudud posti a cavallo di uno stretto torrente che si apriva su un'ampia laguna. Il nuovo centro commerciale fu costruito durante un periodo di prosperità economica senza precedenti, favorito dall'appartenenza della regione al Regno di Hormuz, uno stato vassallo del Sultanato Selgiuchide di Karman. Gli scavi ad al-Mataf hanno rivelato fitti alloggi con grandi case a cortile, un grande forte e una moschea centrale nelle vicinanze. Per la prima volta in diverse migliaia di anni, le persone abbandonarono i loro giardini di palme, e si trasferirono lontano dall’accesso diretto al cibo e all’acqua, dando inizio ad una concentrazione di alloggi senza precedenti. È stato stimato che l’insediamento-oasi di Julfar si estendesse per oltre 15 km2 e avrebbe potuto comprendere almeno 10.000-15.000 abitanti. Nonostante questi cambiamenti l'oasi rimase una parte importante della città. Nel corso del XIV e XV secolo lo sfruttamento del territorio raggiunse il suo limite massimo.[9]

Julfar divenne in breve tempo il porto più importante del Golfo Persico, con una economia molto sviluppata basata oltre che sul mercato locale anchre su spedizioni marittime, perle, artigianato, pellegrinaggi e commercio di cavalli. La principale fonte di ricchezza era senza dubbio la raccolta delle perle. Nel 1580, il gioielliere e mercante veneziano Gasparo Balbi scriveva che le migliori perle del mondo si trovavano a Julfar, mentre l'esploratore portoghese Pedro Teixeira parlava di una flotta di cinquanta barche che salpavano ogni anno verso i banchi delle perle. L'esploratore portoghese Antonio Tenreiro fece riferimento anche ad aljofre, una varietà più piccola di perle derivata dal nome Julfar.[10]

Durante il XVI secolo la situazione geografica della zona iniziò a cambiare per la terza e ultima volta con l’insabbiamento della laguna dietro Mataf e Nudud che rendeva impossibile l'utilizzo del porto naturale. Gli scavi testimoniano un notevole declino di al-Mataf durante il XVI secolo e alla fine di quel secolo non sembrano esistere edifici di grandi dimensioni. Dopo 250 anni di crescita, al-Mataf aveva cessato di esistere come centro dell'oasi e come città. In seguito all'abbandono del porto naturale, il centro commerciale e amministrativo di Julfar si spostò nuovamente, lontano dal torrente nord-orientale che nei tre millenni precedenti fungeva da porto naturale per l'insediamento dell'oasi. Il nuovo insediamento si sviluppo nella laguna sud-occidentale che oggi è il moderno torrente di Ra's alKhaimah. Poiché era situata lontano dal centro dell'insediamento dell'oasi, quest'area non aveva mai fatto parte di alcun insediamento più grande nel corso dei tre millenni precedenti. La penisola, che protegge naturalmente questo torrente, era stata abitata fin dal XV secolo, molto probabilmente con una modesta presenza di capanne arish che formavano l'estremità sud-occidentale dell'insediamento su entrambi i lati di al-Mataf. Durante il XVI secolo, l'insediamento di Ra's al-Khaimah (traducibile come "penisola delle 'case aride" ) assunse lentamente le funzioni che erano state di al-Mataf.[11]

Menzionata per la prima volta all'inizio del XVI secolo, Ra's al-Khaimah si sviluppò rapidamente entro la fine di tale secolo. Attraverso questo inevitabile trasferimento, il centro amministrativo e commerciale di Julfar fu spostato molto lontano dal nucleo originario dell'insediamento, l'oasi delle palme di Shimal. Questa distanza geografica accelerò lo sviluppo di due entità distinte. Questo processo di separazione viene confermato in diversi documenti storici. In particolare in alcuni documenti e mappe italiani della fine del XVI secolo, parlando di porti lungo la costa, le fonti menzionano per la prima volta Ra's al-Khaimah e non si riferiscono più a Julfar.[11]

Periodo europeo[modifica | modifica wikitesto]

Nel settembre del 1507 l'ammiraglio portoghese Alfonso de Albuquerque giunse ad Hormuz con una flotta di 6 navi e in breve ottenne la resa della città, dando origine ad un periodo di controlllo della regione che si protrasse con alterne vicende fino al XIX secolo.

Nel 1508 i portoghesi, a causa di dissidi interni dovettero abbandonare Hormuz, che tuttavia riconquistarono definitivamente nel 1515. Intorno a quel periodo i portoghesi conquistarono altre città lungo la penisola di Musanda e su tutta la costa del Golfo di Oman, stabilendo una serie di fortezze a protezione dei territori conquistati, inclusa una a Julfar, nel 1563.[12]

Durante tutto il periodo della dominazione portoghese Ras Al Khaimah continuò a prosperare grazie all'industria delle perle e ai ricchi commerci con l'India e lungo le rotte del Golfo Persico. I portoghesi intervenivano raramente negli affari del Golfo, lasciando ai governanti di Hormuz la gestione quotidiana e la supervisione dei porti dell'Arabia sudorientale. Nel 1521 scoppiò un'aperta ribellione ed i portoghesi furono costretti ad intervenire direttamente. La rivolta iniziò in Bahrein, prima di estendersi a Sohar nel 1523 e a Muscat e Qalhat nel 1526 e successivamente a anche a Ras Al Khaimah, dove furono uccisi un gran numero di commercianti portoghesi.[13]

Nel 1622 una forza anglo-persiana composta da una flotta della Compagnia britannica delle Indie orientali e un contingente di soldati dell'Impero Safavide assediò e conquistò la citta di Hormuz costringendo i portoghesi della guarnigione a fuggire.[14] Dopo la caduta di Hormuz i portoghesi si ritirarono sulla costa araba, dove con il supporto della loro flotta al comando dell'ammiraglio Ruy Freire da Andrada, attaccarono e occuparono una serie di porti lungo la costa dell'Oman e della penisola di Musandam, fra cui Ras al Khaimah dove era scoppiata una rivolta.[15]

La presenza portoghese a Ras Al Khaimah durò poco più di undici anni. Infatti nel 1633 gli omaniti, guidati dal loro imam Nasir bin Murshid attaccaroono e conquistarono Ras Al Khaimah e Rams, quindi nel 1643 conquistarono Sohar e nel 1650 Mascate, ponendo di fatto fine al potere portoghese nella regione.[16]

L'uscita di scena dei portoghesi diede spazio ad una accesa disputa per il controllo del territorio, fra gli inglesi della Compagnia delle Indie Orientali e gli olandesi dalla Compagnia olandese delle Indie Orientali (detta anche VOC dal nome olandese Vereenigde Oostindische Compagnie), che vide l'iniziale prevalere di quest'ultima.

Sebbene l'interesse degli olandesi per il Golfo Persico fosse antecedente, si può dire che la loro presenza significativa nell'area iniziò solo nel 1623. Infatti nel 1620 gli olandesi e gli inglesi, nonostante fossero concorrenti altrove, decisero di sviluppare congiuntamente il commercio della seta con l'Iran, alleandosi contro i portoghesi la cui presenza allora era ancora dominante. A tal fine, nel settembre del 1621, un'armata di nove navi al comando dell'ammiraglio Jacob Dedel salpò da Batavia (l'attuale Giakarta in Indonesia) per cooperare con una flotta inglese contro i portoghesi. Essi arrivarono troppo tardi per unire le forze con quella inglese che, in un'operazione congiunta con le forze di terra iraniane, avevano conquistato la fortezza e la città di Hormuz nel maggio 1622. Tuttavia essi approfittarono della situazione per stabilire una postazione commerciale della VOC a Bandar Abbas nel 1623. Da allora per 136 anni, dal 1623 al 1759, la VOC è stata la più importante società commerciale estera per i commerci con la Persia.[17]

L'interesse olandese verso Ras Al Khaimah era di tipo prettamente commerciale. In particolare essi erano attratti dall'industria delle perle. Nel 1665 Hendrick Van Wijck, direttore della Compagnia olandese delle Indie Orientali in Iran, scrisse in una lettera al governatore generale che intendeva inviare una nave a Sohär e Julfar per acqustare perle da rivendere a Bandar Abbäs.[18] Negli anni successivi la compagnia olandese perse via via importanza a favore della omologa compagnia inglese ed anche della Compagnia francese delle Indie orientali che si era affacciata nel golfo Persico nel 1667. Le ragioni di questo declino sono da addebitarsi in primo luogo alle guerre anglo-olandesi, combattute fra il 1652 ed il 1784, che anche se combattute principalmente sui teatri europei si estesero inevitalmente anche al golfo, provocando diversi scontri tra navi britanniche e olandesi. Entro il 1750 avevano perso la maggior parte delle loro proprietà nell'Oceano Indiano e le loro fabbriche nella regione furono infine chiuse a causa della crescente concorrenza da parte degli inglesi. ​​Gli olandesi continuarono ad operare dall'isola di Kharg, dove avevano aperto una stazione commerciale nel 1752. Tuttavia nel 1766 l'esercito persiano guidato da Mir Muhanna, assaltò l'isola costringendo gli olandesi ad abbandonare la fortezza che vi avevano costruito e le merci immagazzinate, chiudendo di fatto le attivita della VOC nella regione.[19]

Il declino degli olandesi favorì l'ascesa dei commercianti inglesi della Compagnia britannica delle Indie Orientali. I britannici furono inizialmente interessati solo alla costa persiana del Golfo, allo stesso modo dei portoghesi e degli olandesi prima di loro. Infatti il loro primo insediamento nella regione fu quello di una fabbrica nella città portuale di Jask, situata sul Golfo di Oman, nella provincia persiana dell'Hormozgan, avvenuto nel 1616. A questa operazione fece seguito la firma di un accordo con i persiani che stabiliva una serie di vantaggi economici per i commercianti inglesi.[20] Nel 1621/22 l'esercito persiano richiese l'aiuto della forza navale della Compagnia delle Indie Orientali per espellere i portoghesi da Hormuz cosa che avvenne nell'anno seguente. Nel 1697 la Compagnia Britannica delle Indie Orientali ottenne dallo Scià di Persia un decreto che confermava le precedenti concessioni e ne aggiungeva delle altre molto favorevoli per gli inglesi. Tuttavia fu solo dopo il declino della Compagnia Olandese che i commerci britannici nella regione decollarono notevolmente, ponendoli tuttavia in contrasto con una dinastia emergente nella regione, quella dei Qasimi.

I Qawasim[modifica | modifica wikitesto]

Qawasim
القواسم
FondatoreRahma bin Matar Al Qasimi
Attuale capoEmirato di Sharja: Sultan III bin Muhammad al-Qasimi

Emirato di Ras al-Khaimah: Sa'ud bin Saqr al-Qasimi

Data di fondazione1722
Etniasunnita

Origini[modifica | modifica wikitesto]

Le origini esatte dei Qawasim non sono note. Secondo quanto scritto dal funzionario britannico Francis Warden, allora membro del Council di Bombay, in un suo schizzo storico della tribù araba Joasmee (il nome con cui i britannici si riferivano al tempo ai Qawasim), questi venivano definiti una razza di arabi discendenti dagli abitanti di Nujd, in Arabia Saudita, e chiamati Beni Nasir, poiché si trovano sul lato sinistro della Caaba; erano chiamati anche Beni Gafree (Bani Ghafiri).[21] Un'altra teoria, sostenuta da scrittori come Miles, Niebuhr e ibn Ruzayq, prevede che i Qawasim discendano dalla tribù araba Al-Howlah, che emigrò dalla città portuale di Siraf sulla sponda persiana del Golfo e alla fine si stabilì a Ra's Al-Khaimah.[22]

Il primo leader Qasimi conosciuto fu Rahma bin Matar Al Qasimi, che è menzionato in documenti olandesi come emiro di Julfar poco dopo il 1718, quando partecipò all'assedio dell'isola di Hormuz, ed è anche menzionato nel 1728 come uno dei commercianti arabi più ricchi e influenti.[23] Secondo altri documenti olandesi, Nadir Shah, il potente sovrano della Persia dal 1736 al 1747, riconobbe Al Qasimi come sovrano ereditario di Julfar nel 1740.[24]

Ascesa della dinastia[modifica | modifica wikitesto]

Lo scenario politico dell'inizio del XVIII secolo nel golfo Persico vedeva il declino del potere portoghese nell'area, l'indipendenza dell'Oman dalle compagnie commerciali europee e l'assassinio nel 1747 di Nadir Shah per mano dei suoi stessi ufficiali. Tutti questi fattori diedero stimolo alle tribù arabe che abitavano la costa occidentale del Golfo; fra queste i Qawasim emersero prepotentemente per svolgere un ruolo chiave negli affari politici del Golfo nel XVIII secolo.[25]

Ra's Al-Khaimah costituiva la base del potere di Qawasim insieme al porto di Al-Sharjah situato a poche miglia lungo la costa. Altri porti con un'importanza strategica sotto il controllo di Qawasim includevano Umm Al Quwain, l'isola di Al-Hamra, Al-Rams, 'Ajman, Shanas, Khor Fakkan e Khor Kalba. La sfera di influenza della tribù sul lato persiano del Golfo si estendeva da Karrack a Bander Abbas, comprendendo Lingah, Luft, Kunk (Kong) e Ra's Al-Heti.[25]

Inizialmente i Qawasim erano dediti alla pesca e alla raccolta delle perle. Quest'ultima attività durava quattro mesi all'anno e costituiva l'occupazione principale per la maggior parte degli abitanti della zona. Le perle venivano vendute a commercianti indiani, principalmente di Bombay, per un prezzo redditizio, assicurando ai Qawasim che governavano questo commercio, entrate significative. Nei mesi invernali la gente del posto commerciava con gli sceicchi del Golfo, con l'India e con la costa africana su base di reciprocità. Le navi Qawasim trasportavano datteri da Bassora ai principali porti del Golfo, tornando con spezie, legno, stoffa e altre merci. Grazie alla loro bravura i Qawasim ampliarono il raggio d'azione dei loro commerci includendo oltre ai principali pot del Golfo, anche le coste indiane e africane, arrivando a stabilire un vero e proprio monopolio dei commerci marittimi nel Golfo Persico.[26]

Nel 1747, in seguito all'assassinio di Nadir Shah, lo sceicco Rashid bin Matar Al Qasimi, che era succeduto a Rahma bin Matar, formò un'alleanza con Mulla Ali Shah, ammiraglio della flotta persiana. Questa alleanza, sugellata dal matrimonio dello sceicco Qasimi con una delle figlie di All Shah, portò grandi vantaggi ai Qasimi, rendendo la loro flotta la più potente del golfo Persico.[27]

Le capacità marinare dei Qasimi non erano casuali, ma affondavano le loro radici nelle tradizioni marinare degli antichi abitanti della costa del golfo Persico, dai commercianti della Cultura di Umm Al Nar dell'età del bronzo, ai costruttori e navigatori Magan, ai marinai della medioevale Julfar il cui più noto rappresentante era Ahmad ibn Majid, detto "il leone del mare".[28]

Negli anni successivi all'accordo con i persiani i Qawasim espansero i loro commerci e occuparono le città di Kishm, Luft, Lingah e Shinas sulle due sponde del golfo.[27]

I principali rivali commerciali dei Qawasim erano gli omaniti che avevano consolidato la loro posizione nella regione nel XVII secolo con l'ascesa della dinastia Yaarubi. La rivalità si trasformò in ostilità all'inizio del secolo successivo, quando i conflitti interni per la successione all'Imamato indebolirono notevolmente il sultanato dell'Oman. I Qawasim sfruttarono per un certo periodo il dissenso interno dell'Oman e stabilendo di volta in volta un'alleanza con l'una o l'altra delle fazioni dell'Oman sia attraverso l'interconnessione-matrimonio sia con la promessa di sostegno militare o un intervento vero e proprio in alcuni casi.

Con la morte dell'Imam Sultan bin Sayf II nel 1718, si delineò una netta divisione tra i tradizionali rivali, i Ghafiri, arabi sunniti del nord che sostenavano Sayf bin Sultan II, e gli Hinawi, arabi yemeniti ibaditi. I Qawasim furono coinvolti in questo conflitto in virtù della loro parentela con i Bani Ghafiri ed inzialmente riuscirono a imporre un'autorità congiunta Ghafiri-Qawasim sul territorio dell'Oman. La situazione cambiò con l'ascesa di Ahmad Bin Sa'id Al-Busaid all'Imamato nel 1741 in quanto questi, a differenza del suo predecessore, scelse di sostenere gli Hinawi, tradizionali nemici dei Ghafiri e, quindi per estensione, dei Qawasim. La situazione andò quindi avanti con alterne vicende e situazioni di scontri e periodi di tregua fino al 1792 quando in Oman divenne sultano Sultan bin Ahmad ed il capo dei Qasimi era Saqr I bin Rashid al-Qasimi. Questo equilibrio nei rapporti tra le due parti rimase fino alla comparsa della minaccia wahabita.[29]

Il movimento wahabita si diffuse nella penisola araba a partire dalla metà del XVIII secolo interessando in breve tempo anche le regioni limitrofe di religione musulmana. Dopo la conversione al movimento dei territori interni del Nejd i wahabiti si rivolsero all'esterno della penisola araba. Non cè accordo fra gli studiosi sull'anno esatto in cui i wahabiti si diressero verso la costa araba del Golfo. Miles afferma che i wahabiti raggiunsero l'Oman e la costa del Golfo nel 1797, mentre Wilson, Kelly e Lorimer pensano che ciò avvenne nel 1800. Dopo diversi scontri militari i wahabiti sconfissero i Qawasim e li costrinsero ad adottare il wahhabismo in una data compresa fra il 1797 e il 1803.[30]

Occorre notare che sebbene inizialmente il movimento wahabita fu fortemente osteggiato dai Qawasim, successivamente alla loro conversione, essi si dimostrarono leali e giocarono un ruolo importante nell'espansione del wahabismo in tutta l'area del Golfo. La loro lealtà era attribuibile a diversi fattori; in primo luogo ai governanti locali veniva comunque lasciata autonomia di manovra; poi essi potevano sfruttare il conflitto tra Wahabiti e omaniti per fornire ai Wahabiti navi per la loro lotta contro gli Omaniti, e quindi vendicarsi degli omaniti per la loro concorrenza nel commercio del Golfo, dabdo loro l'opportunità di stabilire un monopolio nella ricerca delle perle; infine, i Qawasim poterono usare il wahabismo per legittimare l’interferenza con le navi britanniche nel Golfo, considerando ciò non come pirateria ma come una guerra santa che i wahhabiti avevano dichiarato contro i “nemici della fede”, cioè gli inglesi.[30]

Campagna britannica nel Golfo Persico del 1809[modifica | modifica wikitesto]

Dato che il governo di Bombay non era disposto a iniziare una guerra con lo stato wahabita saudita, gli attacchi dei Qawasim alle navi britanniche aumentarono di numero con la tacita approvazione dei Wahabiti di Daraiea.[31] Fra il 1803 e il 1805 le navi Qawasim attaccarono diverse navi della Compagnia dell Indie Orientali e della Royal Navy ed anche alcuni brigantini europei che transitavano nel Golfo Persico. Inoltre, secondo alcuni funzionari della Compagnia, questi attacchi non erano occasionali, ma erano stati ordinati espressamente dall'emiro wahhabita di Daraeia Mohammad Ibn Saud.[32]

Nel 1804, dopo la morte ad opera dei Qawasim del sovrano di Mascate, Sultan bin Ahmad, che aveva tenuto sotto controllo la potenza marittima di Qawasim mirata contro gli interessi omaniti nel Golfo, l’amministrazione della Compagnia sentiva che i suoi interessi nel Golfo erano minacciati, soprattutto se Mascate avesse accettato il wahabismo. Pertanto essi fecero dei tentativi di trovare una accordo coi Qawasim facendogli firmare un accordo nel 1806, che tuttavia questi disattesero l'anno successivo attaccando e catturando diverrse navi addirittura nel mare Arabico nei pressi di Bombay. I Qawasim continuarono le loro attività nell'area del Golfo Arabico anche nel 1808, attaccando e catturando numerose navi della Compagnia delle Indie Orientali[32].

L’atteggiamento del governo di Bombay nei confronti dei Qawasim rifletteva motivazioni sia politiche che militari. Politicamente, l’amministrazione di Bombay non voleva combattere i wahabiti nella penisola arabica perché il motivo della presenza britannica nell’area era quello di contrastare gli obiettivi dei francesi che avevano incrementato le loro attività in Oman e Persia, e quindi non volevano avviare una guerra contro l’emiro wahabita. Da un punto di vista militare, Bombay era a corto di equipaggiamento e navi disponibili per dichiarare guerra ai Qawasim. Infatti nel 1808 essi disponevano nell'area di solo 12 navi, alcune delle quali impiegate anche per altri scopi.[33]

Da parte loro invece i Qawasim erano potentemente equipaggiati. Nel 1807, David Seton, allora rappresentante britannico a Mascate e Oman, affermò che i Qawasim possedevano una formidabile flotta di 500 navi e che con l'aiuto dei loro alleati nell'interno, avrebbero potuto radunare un esercito di 20.000 uomini.[34]

D'alta parte le operazioni di pirateria dei Qawasim continuavano incessantemente e stavano avendo un effetto drammatico sul commercio in India, e gli eventi precedenti avevano dimostrato che con i trattati il problema non si risolveva, pertanto dopo qualche esitazione le autorità britanniche stanziate a Bombay decisero di inviare delle truppe nel Golfo e Pianificaron una grande offensiva contro i Qawasim per espellerli dai porti di Ras Al Khaimah, Khor Fakkan, Shinas e altri ove presenti.[35]

Nel maggio 1809, il capitano John Wainwright della Royal Navy, fu incaricato di guidare la spedizione. Gli obiettivi erano: conquistare Ra's Al-Khaimah come porto principale dei Qawasim, distruggere tutta la flotta da guerra dei Qawasim e qualsiasi altra nave trovata lì, inoltre, se possibile, occupare altri porti vicini, da Rams a Ras Al-Had, estendendo l'operazione anche a Lingah e ad altri porti Qawasim sulla costa persiana, nonché a Luft, roccaforte Qawasim sulla costa persiana. Wainwright aveva anche ricevuto istruzioni di rassicurare i persiani che la Gran Bretagna non era interessata ad occupare alcuna parte del loro territorio e, soprattutto, di non interferire con l'emiro wahabita di Daraiea.[35]

Il 14 settembre la spedizione salpò da Bombay. La forza di intervanro era composta dalle fregate Chiffonne e Caroline (35 e 36 cannoni), da cinque incrociatori ciascuno da 10 a 20 cannoni, la cannoniera Fury, la nave da bombardamento Stromboli e tre navi da trasporto con a bordo circa 800 soldati britannici e 500 sepoy. [35]

Dopo una sosta a Mascate per imbarcare uomini e rifornimenti la flotta giunse di fronte al porto di Ras Al Khaimah l'11 novembre. Il giorno successivo iniziarono i bombardamenti sulla città ed il 13 venne effettuato lo sbarco delle truppe di terra. Alla fine della mattinata i Qawasim furono sconfitti e costretti a lasciare la città che in parte bruciava. Stessa sorte toccò alla loro flotta nel porto: più di 50 dhow furono distrutti, 30 dei quali di dimensioni molto grandi (bhagala). Il 14 novembre l'operazione era conclusa con perdite britanniche minime (4 morti e 19 feriti).[36]

Il 15 novembre la flotta britannica salpò verso Lingah sulla costa persiana che raggiunse il 17 novembre. La città fu abbandonata all'avvicinarsi della formazione e 20 navi Qawasim, nove delle quali molto grandi, furono distrutte senza perdite di vite umane. La flotta salpò quindi verso l'isola di Qeshm con l'obiettivi di attaccare Luft, che era una delle principali roccaforti dei Qasimi, ove giunsero il 26 novembre. Lo sceicco Mullah Hussein, che comandava la città, rifiutò di arrendersi, pertanto il giorno successivo, Wainwright ordinò alle truppe di attaccare la città. I locali abbandonarono la città e si ritirarono in un grande forte arroccato sulla cima di una ripida scogliera. Le 11 navi presenti nel porto furono bruciate e i britannici bombardarono la città e il forte. Il giorno successivo lo sceicco si arrese cedendo ai britannici tutte le sue proprietà. Le vittime della battaglia furono 80-90 fra morti e feriti dalla parte degli arabi, e 2 uomini uccisi e 31 feriti tra le truppe attaccanti.[36]

Ai primi di dicembre la flotta ritornò a Mascate da dove riparti ai primi di gennaio per attaccare la città di Shinas. Il 1 gennaio Wainwright inviò i difensori alla resa che fu respinta, quindi diede inizio al canneneggiamentoi della città e del forte che la proteggeva. Il forte era però troppo distante dalle navi per essere danneggiato con questi mezzi, quindi Wainwright fece sbascare le truppe con mortai e obici. La mattina del 3, però, fu aperta una breccia nella cortina muraria e subito dopo crollò una delle torri del forte consentendone la conquista il giorno stesso. Le vittime dri Qawasim furono oltre 400, mentre le forze attaccanti contarono due morti e 11 feriti. Un successivo attacco a Khor Fakkan venne accantonato, temendo una resistenza ostinata simile a quella fatta a Shinas, e anche perchà non erano stare segnalate esistevano navi pirata in quel porto.[36]

La flotta britannica ritornò quindi a Mascate dove rimase il mese di Gennaio 1810 e fece ritorno a Bombay nel febbraio considerando conclusa con successo l'operazione.[36]

In realtà ci sono opinioni diverse sul successo o meno della spedizione britannica del 1809-1810. A questo proposito occorre fare una distinzione fra risultati militari e politici. Dal punto di vista militare, l’operazione era abbastanza riuscita in quanto aveva distrutto un gran numero di navi Qawasim nell’area del Golfo Arabico, sia sulla costa araba che su quella persiana, anche se parte della flotta Qawasim era fuggita. Inoltre gli incrociatori Prince of Wales e Benares erano stati lasciati di stanza nel Golfo Persico per garantire che non vi fosse ulteriore pirateria nell'area. Dal punto di vista politico però la missione era fallita. Infatti i britannici non avevano raggiunto alcun accordo con i Qawasim, che per il futuro erano liberi di muoversi a loro piacimento. Inoltre l'operazione non riuscì a restituire alla Compagnia dell Indie nessuna delle loro navi che i Qawasim avevano catturato, né ad ottenere un risarcimento per i beni che i Qawasim avevano sequestrato o distrutto. Da parte loro i Qawasim avevano motivo di rallegrarsi dell'appoggio wahabita che fu rinnovato nel maggio 1814, quando Abdulla Ibn Saud successe come emiro wahabita, e le navi Qawasim apparvero di nuovo in forze al largo della costa settentrionale dell'India e del Golfo Arabico.[37]

Nel dicembre 1816, 11 navi Qawasim apparvero al largo della costa di Bombay e ne saccheggiarono una dozzina. Nello stesso anno, tre navi salpate da Surat e battenti bandiera britannica, furono catturate nel Golfo Persico e molti membri dell'equipaggio furono uccisi. Successivamente i Qawasim ingaggiarono e sconfissero il sovrano di Mascate e attaccarono la fregata britannica Caroline (32 cannoni). Una nave di Bombay, che navigava sotto bandiera britannica, fu catturata al largo di Muscat e la maggior parte del suo equipaggio fu messa a morte e fu richiesto un riscatto per il rilascio del resto. I Qawasim non limitarono le loro attività alle navi britanniche; iniziarono anche ad attaccare navi europee e di altro tipo nel Golfo. Nel 1818 la nave americana Persia fu inseguita e colpita, mentre una goletta francese proveniente dalle Mauritius fu abbordata e saccheggiata. Sempre nel 1818, le navi Qawasim sbarcarono a Busheab e bruciarono e saccheggiarono il villaggio. Alla fine dell'anno entrarono nel porto di Aseeloo dove catturarono alcune navi. Da qui fecero rotta verso Daire, dove sbarcarono e saccheggiarono il mercato locale.[36]

Campagna britannica nel Golfo Persico del 1819[modifica | modifica wikitesto]

Campagna britannica nel Golfo Persico del 1819
Data3 dicembre 1819 - 22 dicembre 1819
LuogoRas Al Khaimah e costa dei Pirati
CausaPirateria nel Golfo Persico
EsitoVittoria britannica
Schieramenti
Comandanti
Bandiera del Regno Unito William Keir Grant,
Sa'id bin Sultan
Hassan Ibn Rahama
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Nell'estate del 1818 il governo di Bombay decise di porre fine definitivamente alla pirateria nel Golfo Persico, sia al largo delle coste arabe che persiane. Di conseguenza il governatore di Bombay, Evan Nepean, diede ordine di pianificare l'attacco, raccoglendo tutte le informazioni necessarie relative ai porti Qawasim, ai loro alleati, alla loro potenza navale e militare e soprattutto alle loro controversie politiche. Sulla base delle informazioni acquisite essi poterono stimare che che le tribù marinare arabe della costa potevano disporre di una flotta di 89 grandi navi e 161 piccole, oltre a una forza combattente di circa 10.000 uomini. Nel settembre 1818 Nepean presentò un rapporto al Governatore Generale dell'India, il marchese di Hastings. accompagnato da una dettagliata proposta per una spedizione militare punitiva contro i Qawasim.[38]

Il 7 novembre 1818, il governatore generale inviò a Nepean la risposta in cui approvava l'operazione ed esprimeva al contempo alcune indicazioni, fra cui quella di rimandare l'operazione di un anno, per poter approntare una forza piu consistente. Ulteriore suggerimento di Hastings era quello di coinvolgere nell'operazione gli ottomani del vicerè d'Egitto Muhammad ʿAli Pascià, il cui figlio, Ibrāhīm Pascià era stato inviato a combattere i wahhabiti dell'Emirato di Daraeia.[39]

Allo scopo di coinvolgere gli ottomani, venne incaricato il capitano George Forster Sadlier del 47° Reggimento che doveva fungere da inviato speciale del Governatore Generale, e trovare quindi un accordo con Ibrahim Pascia. Sadlier parti da Bombay il 14 aprile 1919 verso Mascate dove ottenne la collaborazione del sultano Sa'id bin Sultan, quindi ripartì verso Al Hassa dove contava di incontrare Ibrāhīm Pascià.[39]

Purtroppo, per una serie di ragioni, la principale delle quali era che Ibrahim Pasha aveva ricevuto istruzioni da suo padre Muhammad ʿAli, in cui questi diceva a suo figlio di non prendere Sadlier troppo sul serio e non impegnarsi con lui, egli non raggiuse lo scopo prefissato, e dopo un viaggio che lo aveva portato ad attraversare completamente l'Arabia (fu il primo europeo ad attraversare l'Arabia da est a ovest), tornò a Bombay il 5 maggio 1920. Nel frattempo l'operazione militare britannica era già in atto da tempo.[40]

Nell'autunne del 1819 i britannici allestirono la formazione che doveva portare l'attacco alle basi Qawasim. Era composta da tre grandi navi da guerra: HMS Liverpool (50 cannoni), HMS Eden (24 cannoni), HMS Curlew (18 cannoni); nove incrociatori: Teignmouth (16 cannoni), Ternate (16 cannoni), Benares (16 cannoni), Aurora (14 cannoni), Nautilus (14 cannoni), Mercurio (14 cannoni), Vestal (10 cannoni), Ariel (10 cannoni), Psiche (10 cannoni). C'erano inoltre 20 navi da trasporto per truppe e rifornimenti. Le truppe di terra consistevano di circa 3.000 uomini.[41]

Al comando della spedizione fu posto il maggiore generale Sir William Keir Grant, che faceva parte dello stato maggiore di Bombay. Il 13 novembre 1819 Grant salpò da Bombay a bordo della Liverpool accompagnato dalle Curlew e Aurora diretto verso il Golfo Persico. Il resto delle navi della spedizione lo seguì pochi giorni dopo. Arrivati al largo dell'isola di Kishm attesero l'arrivo degli omaniti, che giunsero il 1 dicembe con tre grandi navi e 600 soldati.[41]

Il 3 dicembre la flotta giuse al largo di Ra's Al-Khaimah e il giorno stesso iniziò lo sbarco di truppe e artiglieria. Il giorno successivo un distaccamento del 65° Battaglione avanzò e dispose un bastione avanzato con una batteria di quattro cannoni a 300 metri di distanza dalla torre meridionale della cittadella fortificata. Il 5 dicembre iniziarono i bombardamenti sia da terra che dal mare che proseguirono anche il giorno successivo.[42]

La risposta dei Qawasim a questo bombardamento fu debole a causa della mancanza di munizioni. Ciò nonoistante essi resistettero agli attacchi e anzi, durante la notte, un gruppo di Qawasim comandato da Ibrahim Ibn Rahama, fratello del sovrano della città, attaccò e prese la posizione britannica, che tuttavia fu ripresa dal maggiore Warren non senza un accanito combattimento. Nello scontro perirono almeno 90 Qawasim, incluso Ibrahim Ibn Rahama. Un successivo attacco dei Qawasim fu respinto.[42]

L'8 dicembre il generale Grant si rese conto che i bombardamenti, pur incessanti, dei giorni precedenti non avevano provocato danni significativi nelle difese dei Qawasim e decise di cambiare tattica. Fece pertanto portare a terra diversi cannoni dal ponte principale della Liverpool: due cannonida 24 libbre furono posti nella batteria centrale e due da 18 libbre furono collocati nella batteria di sinistra. Ciò ebbe un effetto notevole e le torri della cittadella iniziarono a essere danneggiate seriamente al punto che entro sera le mura furono completamente abbattute.[42]

Nella notte dell’8 dicembre ci furono colloqui tra il generale e un inviato dello sceicco Hassan Ibn Rahama sulla possibile resa della città, ma non fu raggiunto alcun accordo. Il 9 dicembre ripresero i bombardamenti e i britannici fecero irruzione nelle torri e issarono la loro bandiera. Non ci fu alcuna resistenza in quanto i Qawasim si erano ritirati sulle colline durante la notte. Ra's Al-Khaimah fu occupata e furono catturate ottanta grandi navi e sessantadue cannoni.[43]

Constata la perdita della fortezza, delle navi e dell'artiglieria, allo sceicco Hassan Ibn Rahama non restò altro che arrendersi e pertanto si consegnò il 10 dicembre ai britannici, che lo imprigionarono. Nel frattempo questi distrussero la cittadella e le rimanenti fortificazioni, mentre la residenza del sovrano e gli edifici adiacenti furono mantenuti come alloggi per i soldati. Le navi catturate non vennero distrutte, ma furono equipaggiate con marinai britannici e requisite. Le forze di terra dell'Oman arrivarono due giorni dopo la caduta di Ra's Al-Khaimah e, su richiesta del generale Keir, furono rimandate nel loro Paese a causa della scarsità di vettovaglie. Le vittime dei Qawasim durante l'assedio ammontarono a circa 400 fra morti e feriti mentre le vittime britanniche furono quattro soldati uccisi e uno ferito.[43]

La caduta di Ra's Al-Khaimah non segnò la fine della spedizione britannica in quanto il suo scopo era distruggere il potere Qawasim ovunque si trovasse. Il generale Keir decise quindi di muovere contro alcune piccole città della costa araba dove era probabile che si trovassero alleati dei Qawasim. La prima città a venire attaccata fu Rams, che si trovava a diverse miglia a nord di Ra's Al-Khaimah, dove furono trovate alcune navi Qawasim. Le navi britanniche Curlew, Nautilus, Aurora e due navi da trasporto bloccarono il porto fino all'arrivo del resto delle flotta. La città tuttavia era stata abbandonata: lo sceicco Hussein Ibn Aly e i suoi seguaci si erano ritirati in una fortezza posta su un'altura nel villaggio di Al-Dayah. Il numero dei combattenti in questa roccaforte fu valutato in quasi 400 uomini ed era situato su una ripida collina che dominava la zona. Data la sua posizione gli arabi pensavano che fosse troppo in alto per l'elevazione dei cannoni britannici.[44]

Il 18 dicembre, le forze britanniche marciarono su Al-Dayah. Il 19 dicembre venne iniziato il bombardamento. Quando lo sceicco Hassan Ibn Aly fu chiamato ad arrendersi non rispose. Sebbene i mortai avessero bombardato ininterrottamente la cittadella questa non subi danni apprezzabili. Di conseguenza, i comandanti britannici furono costretti a portare rinforzi dal 47° reggimento e dal 15° battaglione e 3° fanteria nativa. Inoltre due cannoni da 24 libbre furono sbarcati dal Liverpool e con grande difficoltà furono trasportati da Rams ad Al-Dayah. In serata, i cannoni da 24 libbre erano puntati sul forte a nord-est mentre e i cannoni da 12 libbre erano diretti verso la casa dello sceicco a ovest. Il bombardamento iniziò il giorno successivo e il 22 dicembre a mezzogiorno le mura della cittadella furono sfondate e la cittadella si arrese. Gli assediati consistevano in 398 uomini e 400 donne e bambini. Lo sceicco Hussein Ibn Aly e gli uomini a lui strettamente legati, furono imprigionati, mentre gli altri furono rilasciati. Le vittime britanniche ammontarono a quattro morti, incluso un ufficiale e 16 feriti. Dopo aver distrutto la cittadella, la casa dello sceicco e le altre fortificazioni, la spedizione tornò a Ra's Al-Khaimah il 26 dicembre. [44]

Al suo rientro il generale Keir si rese conto che fra la popolazione araba c'erano stati gravi disordini, quindi decise di liberare Hassan Ibn Rahama per calmare gli animi e favorire lo stabilirsi di buoni rapporti con gli abitanti. D'altra parte la caduta di Al-Dayah, considerata inespugnabile dagli arabi, fu un fattore importante nella decisione di un gruppo di sovrani arabi di scegliere la pace piuttosto che continuare a combattere le forze britanniche. Sheikh Qadib Ibn Ahmed, il sovrano di Jazerat Al-Hamra, andò a Ra's Al-Khaimah per offrire la sua resa, seguito dallo sceicco Sultan Bin Saqar, di Sharjah il 5 gennaio 1820 e da Mohamed Ibn Hassah, il sovrano di Dubai. Il resto degli sceiccati si arresero in successione, vale a dire lo sceicco Shakhbut Ibn Dhiyab, sovrano di Abu Dhabi, e gli sceicchi di Ajman e Umm Al-Qawain.[44]

Per completare l'operazione militare il 17 gennaio 1820 una guarnigione di 800 sepoy e un po' di artiglieria furono lasciati a Ra's Al-Khaimah e la flotta si rivolse agli altri porti di Qawasim. Jazirat Al-Hamra fu trovata deserta, A Dubai furono distrutte le fortificazioni e le navi più grandi trovate nel porto furono distrutte. Una decina di navi pirata si erano rifugiate in Bahrein e una forza navale venne inviata per distruggerle. L'operazione non fu tuttavia del tutto priva di incidenti, poiché nel corso della discesa nel Bahrein, tre navi furono osservate ad Aseeloo, sulla costa persiana; due provenivano da Kharrack e una da Dubai. Le navi vennero catturate e bruciate. Successivamente altre due navi di Lingah in Kong furono prese e bruciate.[44]

Trattato generale marittimo del 1820[modifica | modifica wikitesto]

Trattato generale marittimo del 1820
Tipotrattato multilaterale
ContestoPax Britannica
Firmagennaio - marzo 1820
LuogoRas Al Khaimah, Rams, Sharjah, Falayah
PartiBandiera del Regno Unito Regno Unito,
Sceiccati della Costa dei Pirati
Firmatari originaliBandiera del Regno Unito William Keir Grant,

Hassan bin Rahma Al-Qassim,
Rajib bin Ahmed Al-Zaabi,
Shakhbut Ibn Dhiyab,
Hussein Ibn Aly,
Zayed Ibn Seif,
Sultan Bin Saqar,
Rashid bin Humaid,
Abdullah bin Rashid.

Lingueinglese, arabo
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Parallelamente all'azione militare il generale Keir portò avanti l'azione politica. Dopo la capitolazione dei Qasimi e consapevole che le truppe non potevano essere mantenute a lungo nel Golfo, Keir si affrettò a stipulare trattati bilaterali preliminari con tutti quei governanti che si erano arresi, trattando con ciascuno separatamente. Il primo tra gli sceicchi che firmarono un trattato fu Sultan Bin Saqar, sovrano di Sharjah, il 6 gennaio 1820, seguito da Hassan Ibn Rahama, sovrano di Ra's Al-Khaimah l'8 gennaio, poi successivamente firmò il tutore legale di Mohamed Ibn Hassah, (lo sceicco di Dubai ancora minorenne) il 9 gennaio, lo sceicco Shakhbut Ibn Dhiyab l'11 gennaio e il 15 gennaio lo sceicco di Rams, Hussein Ibn Aly, che era stato liberato in quanto malato.[45]

Questi trattati preliminari erano simili fra loro e comportavano una serie di cessioni e concessioni a favore del regno britannico. Il trattato concluso con Hassan Ibn Rahama, sebbene simile agli altri, conteneva in aggiunta il suo riconoscimento dell'occupazione britannica di Ra's Al-Khaimah, e quindi la sua rinuncia a sceicco di tale città, e delle roccaforti nelle piantagioni di palme ad essa vicine.[45]

Successivamente Keir ottenne la firma di un trattato generale di pace che integrava i trattati preliminari e doveva essere sottoscritto da tutti gli sceicchi e dalla Gran Bretagna. Tale trattato, successivamente noto come Trattato marittimo generale del 1820 era composto da 11 articoli, e iniziava con le parole:[46]

(EN)

«In the name of God, the Merciful, the Compassionate.
Praise be to God, who hath ordained peace to be a blessing to his creatures. There is established a lasting peace between the British Government and the Arab tribes, who are parties to this contract on the following conditions:»

(IT)

«Nel nome di Dio, il Misericordioso, il Compassionevole.
Lode sia a Dio, che ha stabilito che la pace sia una benedizione alle sue creature. Viene stabilita una pace duratura tra il governo britannico e le tribù arabe, che lo sono parti del presente contratto alle seguenti condizioni:»

L'articolo I del trattato proibiva gli atti di pirateria. L'articolo II distingueva tra rapina, pirateria e guerra legittima. L'articolo III obbligava gli arabi a issare una bandiera distintiva sulle loro navi formata da un drappo quadrato rosso circondata da un bordo bianco, mentre l'articolo IV esponeva il ruolo politico britannico nel Golfo. L'articolo V indicava le misure da adottare sulle navi arabe, per diffondere la disciplina e la pace sui mari. Nelle restanti clausole, il trattato trattava la questione della pace nella regione attraverso l'impegno delle tribù arabe sulla la costa del Golfo ad adottare i principi di condotta umana e di cooperazione con il governo britannico. L'articolo VI vietava il commercio degli schiavi. Il trattato si concludeva affermando la libertà degli sceicchi firmatari di visitare i porti europei in India con la garanzia di protezione contro qualsiasi aggressione, e affermando la necessità di firmare nuovamente il trattato di tanto in tanto.[46]

Il trattato fu emesso in triplice copia, redatto sia in inglese che in arabo, e firmato dal rappresentante del Regno Unito e dagli sceicchi di otto trbù locali che furono il nucleo iniziale di quelli che successivamente sarebbero passati alla storia come i Trucial States, ovvero in italiano gli Stati della Tregua. La firma del trattato avvene in piu date/luoghi:[46]

  • a Ras Al Khaimah:
    • i primi firmatari funrono Hassan bin Rahma Al-Qassimi, sceicco di "Hatt e Falna" (moderne località di Khatt e Al Fahlain) ed ex sceicco di Ras Al Khaimah, insieme al Maggiore Generale Keir Grant in qualità di rappresentante britannico e Rajib bin Ahmed Al-Zaabi, sceicco di "Jourat al Kamra" (Al Jazirah Al Hamra), l'8 gennaio 1820;
    • l'11 gennaio firmò lo sceicco Shakhbut Ibn Dhiyab di Abu Dhabi.
  • a Rams:
    • il 15 gennaio firmò Hussein Ibn Aly sceicco di Rams e Al Dhaya (nominato nel trattato come 'Sceicco di 'Zyah');
  • a Sharjah
    • Zayed Ibn Seif ha firmato a nome di suo nipote Mohamed Ibn Hassah, lo sceicco minorenne di Dubai il 28 gennaio;
    • Sultan Bin Saqar sultano di Sharjah e Ras Al Khaimah firmò il 4 febbraio;
  • a Falayah (presso il forte di Al Falayah):

Il 28 febbraio 1920, quando il trattato era già stato firmato da una gran parte degli sceicchi interessati, nonchè dal rappresentante del governo britannico, giunsero a Keir le istruzioni da parte del nuovo governatore di Bombay, Mountstuart Elphinstone, che era succeduto a Nepean nella carica. Keir giudicò queste istruzioni non in contrasto con quanto stabilito nel trattato che aveva concluso con gli sceicchi e di conseguenza inviò una copia di esso a Elphinstone. La risposta di Elphinstone arrivò nel marzo del 1920, quando la spedizione britannica era sulla via del ritorno a Bombay, e sebbene essa contenesse varie critiche su quanto stabilito nel trattato, in particolare sul trattamento giudiucato eccessivamente clemente da parte del generale Keir nei confronti dei Qawasim in generale e degli sceicchi Hassan Ibn Rahama e Hussein Ibn Aly in particolare, non era oramai possibile modificare il trattato, in quanto ogni variazione sarebbe stata sicuramente interpretata dagli sceicchi come una sua violazione, e pertanto venne ratificato.[47]

La spedizione britannica salpò definitivamente da Ras Al Khaimah il 16 marzo 1920 diretta a Bombay. Keir lasciò a Ra's Al-Khaimah una guarnigione composta da 1160 uomini con 40 cannonieri e una batteria di artiglieria, 60 marinai e 160 fanti europei, a capo della quale pose il capitano Thompson del 17th Reggimento dei Light Dragoons. Successivamente a Thompson fu dato ordine di trasferire la guarnigione nell'isola di Kishm, cosa che avvenne il 18 luglio 1820.[48]

Le forze britanniche non riuscirono tuttavia a restare sull'isola di Kishm a causa del clima insalubre e dei problemi sollevati dal governo persiano riguardo all'occupazione. Questi fattori portarono il governo di Bombay a prendere in considerazione un piano alternativo che prevedeva una presenza navale nel Golfo composta da sei navi armate, tre delle quali avrebbero preso come base l’isola di Qais e avrebbero pattugliato regolarmente i porti arabi da Rams a Dubai e due navi per trasportare messaggi e inviati tra Mascate e Bassora. La sesta nave sarebbe stata dedicata alle comunicazioni con Bombay. Alla fine del 1821, il governo britannico accettò il piano e stabilì che Qais dovesse essere la base da cui operavano le navi pattuglia, data la sua vicinanza alla costa araba.[49]

Qawasim dopo il 1820[modifica | modifica wikitesto]

A partire dal 1820, con la resa di Hassan Ibn Rahama, lo sceiccato di Ras Al Khayma fu retto da Sultan Bin Saqar sultano di Sharjah che pose come wali di Ras Al Khayma prima suo fratello Mohammed e poi suo figlio Ibrahim. Alla morte si Sultan nel 1866, il figlio Khalid divenne il regnante su Sharjah e Ras Al Khayma fino alla sua morte in combattimento nel 1868. Dopo Kalid divenne regnante (di Sharjah e Ras Al Khayma) suo fratello Salim bin Sultan mentre suo nipote Humaid (figlio di suo fratello Abd Allah) divenne wali di Ras Al Khayma dopo Ibrahim. Nel 1869 Humaid proclamò l'indipendenza di Ras Al Khayma da Sharjah nel 1869 e, nonostante i tentativi dei governanti di Sharjah, Humaid mantenne il controllo assoluto della città di Ras al Khaimah così come parte dell'entroterra fino alla sua morte nel 1900. Questa separazione non venne riconosciuta dal governo inglese fino al 1921.[50]

Nel 1883 Shaikh Sagqr bin Khalid prese con la forza il controllo di Sharjah approfittando di una momentanea assenza di suo zio Salim e nel 1900, alla morte di Humaid, ottenne anche il controllo di Ras al Khaimah e pose lì suo figlio Khalid come wali. Dopo la morte di quest'ultimo, nel 1908, fu nominato wali un altro figlio del defunto Sultan bin Saqr, Nasir, ma nel 1910 Salim bin Sultan riuscì a diventare wali di Ras al Khaimah. Sebbene Sagqr bin Khalid rimase nominalmente il sovrano dell'emirato, Salim consolidò la sua presa sul potere e fu in tutto e per tutto un sovrano indipendente.[50]

A Sharjah nel 1914, alla morte di Shaikh Sagqr bin Khalid, gli successe il cugino Khalid bin Ahmad che quindi era anche sultano di Ras al Khaimah. Nel 1924 Sultan bin Saqr, che era minorenne al momento della morte di suo padre, approfittò del malcontento della comunità di perle di Sharjah e prese il governo da suo zio Khalid.[50] Sultan bin Saqr morì nel 1951, tuttavia a causa di una sua grave malattia, dal 1949 il regno fu retto dal fratello Muhammad che alla morte del fratello si proclamò emiro. Egli fu tuttavia sconfessato da un consiglio di famiglia e dal governo britannico che riconobbero come emiro Saqr III bin Sultan al-Qasimi, figlio dell'emiro precedente. Saqr III tuttavia si rivelò un personaggio scomodo per i britannici: era un nazionalista fervente e costituiva un problema per gli interessi britannici in seno agli Stati della Tregua. Pertanto nel giugno del 1965 i britannici chiesero e ottennero la sua deposizione. Al suo posto fu messo suo cugino Khalid III bin Muhammad al-Qasimi, figlio di Muhammad bin Saqr al-Qasim. Saqr III fu esiliato al Cairo da dove rientrò nel 1972 per tentare un colpo di stato. Il tentativo fu represso, ma lo sceicco Khalid rimase ucciso. Al suo posto fu insediato il fratello minore Sultan III bin Muhammad al-Qasimi attuale emiro di Sharja.[51]

Ras al Ras al Khaimah rimase formalmente sotto l'emiro di Sharjah fino al 1921. Qui Sultan bin Salim Al Qasimi, il figlio minore di Salim bin Sultan, che era diventato wali di Ras al Khaimah nel 1919 alla morte del padre, fu formalmente riconosciuto dal governo britannico come sceicco di Ras Al Kaimah il 7 giugno del 1921, facendo quindi di Ras al-Khaima il sesto Stato della Tregua e stabilendo la sua indipendenza sia da Sharja che dal suo sovrano, lo sceicco del tempo Khalid II bin Ahmad. Il regno di Sultan bin Salim fu piuttosto turbolento e caratterizzato da scontri tribali e familiari e infine venne interrotto da un colpo di stato incruento. Il 17 luglio 1948, suo nipote Saqr bin Muhammad lo depose e divenne sovrano di Ras al Khaimah.[52] Saqr bin Muhammad rimase in carica fino alla sua morte nel 27 ottobre 2010. Nel giugno del 2003 Saqr bin Muhammad aveva sostituito il suo figlio maggiore, Khalid bin Saqr Al Qasimi nel ruolo di principe ereditario, a favore del figlio minore Sa'ud bin Saqr al-Qasimi.[53] Pertanto il 27 ottobre 2010 Saud bin Saqr divenne il nuovo emiro di Ras al Khaimah e la sua nomina venne ratificata dal governo degli Emirati Arabi Uniti.[54]

Protettorato britannico e Stati della Tregua[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la firma del trattato del 1820 la pirateria costiera contro le navi straniere cessò quasi completamente, anche se ci furono degli sporadici episodi di violazione che vennero prontamente sanzionati dai britannici. Nel 1823 i britannici stabilirono un loro referente politico a Sharija.

Scontri fra gli sceiccati del Golfo Persico

Il trattato tuttavia non impediva agli sceiccati di farsi la guerra fra loro. Nel 1829 scoppiò un conflitto fra lo sceiccato di Abu Dhabi e i suoi confinanti settentrionali di Sharjah e Ras Al Khaimah. Dopo una breve tregua, per consentire la pesca delle perle, il conflitto riprese e si protrasse fino al 1833 coinvolgendo anche la neonata comunità di Dubai che si era staccata da Abu Dhabi. Nel novembre del 1833 lo sceicco di Sharija alleato con quelli di Ajman, Lingah e con il supporto dei Qawasim, assediò la città di Abu Dhabi. Alla fine del 1834 fu concordata una pace che fu tuttavia turbata da veri scontri e relative rappresaglie fra i contendenti.[55]

Lo scontro suddetto fu il più aspro fra quelli combattuti fra gli sceiccati arabi e portò non pochi danni a tutti i partecipanti in particolare quando si svolgeva nei mesi estivi impedendo la raccolta delle perle che erano la principale risorsa di tutte le tribù arabe della costa. Questa situzione indusse il colonnello Samuel Hennell, allora assistente del residente britannico per il Golfo Persico di Bushire a proporre un trattato per una tregua che doveva essere osservata dai principali sceicchi della Costa dei Pirati e dai loro sudditi, dal 21 maggio al 21 novembre del 1835.[56]

Trattati e Stati della Tregua

La proposta venne accolta con grande entusiamo dagli sceicchi e rinnovata anche per gli anni 1836 e 1837. Nel 1838, su richiesta dello sceicco Sultan Bin Saqar di Sharjah la durara venne portata ad una anno e cosi venne rinnovato tutti gli anni fino al 1842. Nel 1843 la durata della tregua fu estesa a 10 anni a partire dal 1° giugno 1843. Questi accordi segnarono un punto di svolta nei rapporti fra gli sceiccati della Costa dei Pirati che da allora cominciarono ad essere chiamati gli Stati della Tregua.[57]

Nel 1853 alla scadenza del trattato decennale venne stipulata la "Tregua marittima perpetua". Fu siglata il 4 maggio 1853 da Abdulla bin Rashid Al Mualla di Umm Al Quwain, Humaid bin Rashid Al Nuaimi di Ajman, Saeed bin Butti di Dubai, Saeed bin Tahnun Al Nahyan come "Capo dei Beniyas" e Sultan bin Saqr Al Qasimi come "Capo dei Joasmees". Questo accordo stabiliva la formale rinuncia dei governanti arabi al diritto di fare la guerra per mare in cambio della protezione britannica contro le minacce esterne verso le famiglie regnanti. Inoltre, in caso di controversia o atto di aggressione subito, concordavano di rimettersi al giudizio del residente britannico che risiedeva a Sharjah o del "Commodoro a Bassidore".[58]

Nel marzo del 1892 gli Sceiccati della Tregua, cioè i firmatari della Tregua marittima perpetua, firmarono una accordo con la il Regno Unito chiamato "Accordo esclusivo" (Exclusive Agreement). Con questo accordo gli sceicchi suddetti vincolavano se stessi e i loro successori a: non stipulare per nessun motivo alcun accordo o corrispondenza con qualsiasi poterediverso dal governo britannico; non acconsentire alla residenza nei loro territori dell'agente di qualsiasi altro Governo senza l'assenso del Governo britannico; in nessun caso cedere, vendere, ipotecare o altrimenti dare in occupazione qualsiasi parte del loro territorio se non al governo britannico. Questi impegni furono ratificati dal Viceré dell'India il 12 maggio successivo, e furono successivamente approvati dal Governo britannico.[59]

L'Accordo esclusivo nacque per impedire l'ingresso nell'area del Golfo da parte di potenze straniere, quali Francia, Russia e l'alleanza Turco-Germanica che avevano manifestato interesse commerciale verso gli Stati della Tregua. Poco prima della firma dell'accordo, nel 1887-88, vi fu un tentativo della Persia di instaurare strette relazioni tra gli sceiccati e il governo persiano con l'obiettivo di escludere l'influenza britannica dalla regione. Il tentativo non andò a buon fine e la firma del trattato escusivo pose fine definitivamente alla questione.[59]

Con questo accordo gli Stati della Tregua rinunciarono ad avere una loro polica estera e i britannici accettarono di farsi carico della loro difesa facendone di fatto, anche se non formalmente, un loro protettorato.

Fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo si verificarono numerosi cambiamenti allo status di vari emirati che componevano gli Stati della tregua:

  • Poco dopo il 1820 lo sceicco di Rams perse il sostegno della maggior parte del suo popolo, e lui e lo sceicco di Jazirah al Hamra' furono successivamente deposti dalle autorità britanniche, e Sultan bin Saqr fu riconosciuto come sovrano su tutti i porti Qawasim, esclusi 'Ajman e Umm al Qaiwain;[60]
  • Kalba, riconosciuto dai britannici come stato di tregua nel 1936 come risarcimento per la concessione dei diritti di atterraggio su una pista di emergenza per la Imperial Airways, andò incontro a una serie di conflitti per la successione alla morte dello sceicco Sa'id bin Hamad, il cui figlio, Hamad bin Sa'id era al tempo dodicenne. Questi conflitti alla fine portarono alla reggenza drllo sceiccato da parte di Khalid II bin Ahmad al-Qasimi, ex sceicco di Sharja, deposto nel 1924. Hamad bin Sa'id divenne sceicco di Kalba nel 1950, ma fu ucciso nel 1951, senza lasciare eredi. A quel punto, essendo morto l'ultimo dei discendenti nella linea maschile dei sovrani di Kalba, sembrò la soluzione più conveniente lasciare che Kalba tornasse all'amministrazione diretta di Sharjah, di cui da allora è stata una dipendenza.[61]
  • Nel 1901 lo sceicco Hamad bin Abdullah, capo della tribù Sharqiyin di Fujairah, dichiarò la sua indipendenza da Sharjah. Questa azione fu riconosciuta come un fatto irreversibile da tutti gli sceicchi del golfo, ma non dal governo britannico.[62] Per 50 anni il governo britannico negò a Fujairah lo status di Stato della tregua. La situazione cambio quando la Petroleum Concessions Limited (PCL) fece pressioni sul governo britannico poiché voleva avere mano libera per l'esplorazione petrolifera su tutta la costa orientale. Così nel 1952 Fujairah divenne il settimo Stato della Tregua.[63]
Consiglio degli Stati della Tregua
Bandiera del Trucial States Council

Nel 1952 i britannici, per favorire una maggiore cooperazione tra gli Stati della Tregua, formarono il Consiglio degli Stati della Tregua (Trucial States Council). Il consiglio si riuniva due volte l'anno (in primavera e in autunno) sotto la presidenza dell'agente politico britannico, e vedeva la partecipazione dei rappresentanti dei sette sceiccati di Abu Dhabi, Dubai, Ajman, Fujairah, Ras al-Khaimah, Sharjah e Umm al-Qaiwain. Il consiglio era puramente consultivo e non aveva una costituzione scritta né poteri decisionali. Forniva tuttavia un forum utile per la discussione di questioni di reciproco interesse e coordinamento.[64]

Il consiglio rimase sotto la presidenza dell'agente britannico fino al 1965, quando passo ai regnati degli stati membri su base rotativa. Il primo presidente arabo fu lo sceicco di Ras Al Khaimah, Saqr bin Muhammad al-Qasimi. Nel corso degli anni il Consiglio aumentò lentamente il suo mandato e ampliò l'influenza dei governanti nei processi decisionali. Nel 1958 furono costituiti dei sottocomitati per indirizzare argomenti specifici e nel 1964 fu creato un Comitato Deliberativo, composto da due membri per ogni emirato, per esaminare a preparare proposte da sottoporre poi al Consiglio.[64]

Riunione del Trucial States Council (1969)

A partire dal 1965 fu istituito un fondo (Trucial States Development Fund) per pianificare e supportare lo sviluppo di aree di comune intertesse quali ad esempio scuole, sanità, agricoltura. Il fondo fu inizialmente finanziato dal Governo Britannico a cui si aggiunsero successivamente contributi da Abu Dhabi, Quatar e Bahrain. In particolare, dopo la scoperta del petrolio nel territorio degli stati, fu proposto da Abu Dhabi che il 4% dei ricavi provenienti dal petrolio fossero destinati al fondo.[64] Il contributo di Abu Dhabi al fondo aumentarono sensibilmente nel 1966, quando lo sceicco Zayed bin Sultan Al Nahyan divenne emiro di Abu Dhabi al posto del fratello Shakhbut.[65]

Fine del protettorato e nascita degli Emirati Arabi Uniti[modifica | modifica wikitesto]

Annuncio del ritiro britannico dal Golfo Persico

Nel Regno Unito, fra la fine degli anno '60 e l'inizio degli anni '70, il governo laburista di Harold Wilson si trovò a fronteggiare una pesante crisi economica e dovette attuare una significativa riduzione dei costi. In questo ambito, nel febbraio del 1967, venne annunciato sarebbero state dismesse quasi tutte le basi militari britanniche a est di Suez.[66] Nel luglio 1967 il segretario alla Difesa Denis Healey annunciò che la Gran Bretagna avrebbe abbandonato le sue basi sulla terraferma nel Golfo Persico entro il 1977 Tuttavia la crisi indotta dalla svalutazione della Sterlina dell'autunno del 1967 costrinse il governo a rivedere questa tempistica. Infatti in un discorso alla Camera dei Comuni il 16 gennaio 1968 il Primo Ministro Wilson annunciò ulteriori drastici tagli alle spese e l’intenzione di ritirarsi completamente dalla Golfo Persico entro la fine del 1971.[67] La decisione britannica verrà poi confermata nel 1 marzo 1971 anche dal nuovo primo ministro britannico Edward Heath.[68]

incontri per la costituzione di una Federazione con nove stati

Preso atto dell'irreversibilità della decisione britannica, i sovrani del Golfo Persico iniziarono una serie di trattative, per colmare il vuoto politico che il ritiro britannico avrebbe lasciato. Fra i sovrani più attivi vi furono lo sceicco Zayed Al Nahyan di Abu Dhabi e lo sceicco Rashid Al Maktum di Dubai, che si incontrarono il 18 febbraio 1968 nella località deserta di Argoub El Sedirah, al confine tra i loro due stati, e concordarono formalmente di unire i due sceiccati in un'unione, gestendo congiuntamente affari esteri, difesa, sicurezza, sanità e servizi sociali, e adottando un modello politica comune di immigrazione.[69]

Prima riunione della Federazione degli Emirati. Abu Dhabi, febbraio 1968.

Pochi giorni dopo, il 25 febbraio, gli sceicchi Zayed e Rashid convocarono una riunione a Dubai allargata agli altri stati della tregua (Ras Al Khaimah, Sharjah, Umm Al Quwain, Ajman, Fujairah) più Bahrein e Qatar, allo scopo di formare una unione di tutti questi nove stati. Probabilmente l’idea di includere il Qatar fu di Rashid che allora era governato da suo genero, Ahmad bin Ali al-Thani, che aveva generosamente contribuito con prestiti e sovvenzioni per progetti di sviluppo a Dubai; d’altronde Abu Dhabi aveva sempre avuto stretti rapporti con il Bahrein, la cui moneta, il Dinaro del Bahrein, aveva utilizzato dal 1966 al 1972; anche il governo del Bahrein aveva generosamente fornito insegnanti e funzionari pubblici per l’espansione dell’amministrazione di Abu Dhabi.[69]

Questo accordo è diventato possibile dopo che una controversia riguardante il confine offshore tra i due sceiccati è stata risolta. Dubai rinunciò alle sue pretese su un ulteriore tratto di costa ma ottenne la piena sovranità sull'intero giacimento petrolifero offshore di Fath.[69]

Alla riunione il governo del Qatar presentò il progetto di un accordo per la creazione di una federazione che costituì la base delle discussioni tra le nove delegazioni. La bozza presentata dal Qatar prevedeva che i cinque piccoli sceiccati settentrionali (Sharjah, 'Ajman, Umm al Qaiwain, Fujairah e Ra's al Khaimah) formassero tra loro un'unione, conosciuta come Emirati Arabi Costieri, in cui ciascuno dei cinque sceiccati avrebbe dovuto essere una provincia, retta da un governatore, cioè il suo Sovrano, e la presidenza di questo nuovo Emirato avrebbe ruotato fra i cinque governatori. Questa costruzione avrebbe ridotto da nove a cinque il numero degli Stati membri della prevista federazione, che sarebbero stati più o meno uguali in termini di popolazione e di risorse economiche. Tuttavia, l’idea risultò inaccettabile per i cinque sovrani interessati e venne respinta anche dagli altri come impraticabile.[70]

L’incontro durò dal 25 al 27 febbraio 1968 e porto alla fine alla firma di un documento congiunto, chiamato Dubai Agreement, che doveva costituire una base su cui costruire uno Stato federale. Come proposto venne deciso che l'accordo sarebbe entrato in vigore il 30 aprile 1968 e sarebbe restato in vigore finché non fosse stato sostituito da uno statuto permanente. La firma dell'accordo del 27 febbraio 1968 da parte di tutti i nove sovrani venne immediatamente accolta con favore dal Kuwait e da molti altri governi, fra cui l'Arabia Saudita, che fece anche un'offerta di aiuto economico.[70]

Nei tre anni successivi vi furono una serie di incontri di quello che era chiamato il Consiglio Supremo, cioè l'organo composto dai nove sceicchi dei paesi firmatari l'accordo, che era il massimo organo decisionale della nascente federazione. Fra maggio 1968 e ottobre 1969 vi furono sei incontri. In questi incontri emersero notevoli divergenze fra i vari partecipanti, molte di queste vennero risolte negli incontri formali e in quelli informali fra le delegazioni che precedettero/seguirono tali incontri, ma molti rimasero insoluti. Fra le questioni aperte vi era la posizione del Bahrein che insisteva affinché i membri del proposto parlamento (Assemblea federale) fossero selezionati sulla base della rappresentanza proporzionale. A questa richiesta tutti gli altri emirati si opposero perché questo sistema avrebbe dato al Bahrein, con la sua popolazione numerosa e ben istruita, un vantaggio notevole. D'altra parte il anche il Qatar aveva delle sue posizioni piuttosto rigide sulla decisione della Capitale, che voleva fosse definita prima della Costituzione e su una serie di aspetti formali sul funzionamento dell'unione. Inoltre divenne chiaro che il Qatar prevedeva una confederazione piuttosto che un’Unione progressivamente più integrata. In aggiunta a questo, il Qatar e il Bahrein avevano delle questioni non risolte fra loro sulle acque territoriali e sulle isole che di certo non facilitavano i colloqui.[71]

Nel frattempo sia il Bahrein che il Qatar continuavano autonomamente a portare avanti al loro interno delle azioni politiche preparandosi al momento dell'uscita britannica. Il 16 dicembre 1969, il sovrano del Bahrein, nel tentativo di prevenire la crescente pressione da parte dei bahreiniti istruiti, promise di riorganizzare il governo, che fu annunciato il 19 gennaio, in cui dei dodici membri solo cinque erano membri della famiglia regnante. Il 2 marzo 1970, il Qatar, forse influenzato dai progressi del Bahrein, promulgò una costituzione provvisoria.[72]

Conferma dell'uscita britannica dal Golfo

Probabilmente una parte delle ragioni di questa situazione vanno ricercate nel fatto che nel frattempo in Gran Bretagna vi erano state le elezioni e il nuovo governo conservatore di Edward Heath, installatosi nel giugno del 1970, non aveva chiarito se intendeva o meno dare seguito all'uscita della Gran Gretagna dal Golfo persico, come annunciato dal suo predecessore. Heath per il momento si era limitato ad inviare un suo emissario, Sir William Luce, in una missione conoscitiva negli stati arabi, una prima volta nell'agosto del 1970 e poi successivamente nell'ottobre 1970 e una terza volta tra il 26 gennaio e il 14 febbraio 1971. Finalmente il 1° marzo 1971 Heath ruppe gli indugi e venne resa ufficiale la dichiarazione formale delle intenzioni del governo conservatore. Sir Alec Douglas-Home, Segretario di Stato per gli affari esteri disse alla Camera dei Comuni che le forze britanniche si sarebbero ritirate entro la fine di dicembre 1971 e che la Gran Bretagna aveva offerto agli Emirati un trattato di amicizia.[73]

Abbandono della Federazione da parte di Bahrein e Qatar

Nel giugno del 1971 il Bahrein firmò un accordo con l'Iran che delimitava i confini della piattaforma continentale fra i due stati e quindi realizzò che la sua permanenza nell'unione dei paesi arabi non era più cosi importante e informò quindi gli altri stati del Golfo che "avrebbe fatto da solo". Fu presto chiaro che anche il Qatar avrebbe seguito questa strada.[74]

Annuncio e formazione degli Emirati Arabi Uniti
Sceicco Zayed bin Sultan Al Nahyan bin Sultan firma l'accordo della nascita degli Emirati Arabi Uniti (2 dicembre 1971)

Il 10 luglio 1971 a Dubai si riunì l'ultimo Consiglio degli Stati della Tregua, cui parteciparono i sette governanti degli sceiccati che ne facevano parte (quindi senza Barhein e Qatar). Durante le consultazioni informali dei Governanti e dei loro aiutanti si raggiunse finalmente un accordo sul vero tema dell'incontro, ovvero la Federazione degli stati del Golfo. Il 18 luglio 1971 fu emesso un comunicato che annunciava la formazione dello Stato degli Emirati Arabi Uniti, comprendente sei Stati della Tregua escluso Ra’s al Khaimah. I governanti approvarono quindi una versione rivista della costituzione destinata all'ormai defunta Unione degli Emirati Arabi Uniti, che venne ora definita “provvisoria”, per entrare in vigore in una data ancora da determinare e destinata ad essere poi sostituita da una costituzione permanente.[75]

La proclamazione ufficiale degli Emirati Arabi Uniti venne fatta in una riunione tenutasi il 2 dicembre 1971 ad Abu Dhabi da parte dei Sovrani di Abu Dhabi, Dubai, Sharjah, 'Ajman, Umm al Qaiwain e Fujairah, che avevano firmato la costituzione provvisoria nel luglio 1971. Dopo questa riunione i governanti si sono incontrati in qualità di membri del Consiglio Supremo degli Emirati Arabi Uniti ed hanno eletto Shaikh Zayed bin Sultan come primo presidente, per un mandato di cinque anni. Rashid Al Maktum di Dubai è stato eletto vicepresidente e suo figlio Shaikh Maktum bin Rashid Al Maktum è stato nominato primo ministro.[76]

Adesione di Ras al Khaimah

Le ragioni per cui Ras al Khaimah non aveva firmato l’accordo del luglio 1971 tra gli altri Stati della Tregua erano principalmente tre:[77]

  • In primo luogo, Ras al Khaimah si era risentito per il fatto che durante i negoziati tra i nove stati non si fosse classificato alla pari dei quattro grandi in questioni come il numero di delegati e i diritti di voto, e che né i funzionari britannici né i mediatori arabi si fossero consultati così frequentemente con Ra's al Khaimah come negli Stati più grandi. A Ra's al Khaimah ciò sembrava non essere in linea con il ruolo storico che lo sceiccato aveva svolto in passato. Quando la federazione fu ridotta a sette membri, Ra's al Khaimah vide ancora più giustificazioni per far sentire la propria presenza e insistere sulle proprie condizioni di adesione.
  • La richiesta di contare di più fu rafforzata dal fatto che la compagnia americana Union Oil of California, che deteneva la concessione per gli scavi offshore di Ras al Khaimah, aveva compiuto un promettente sondaggio petrolifero e quindi vi era la possibilità che Ra's al Khaimah si unisse alla federazione come uno sceiccato ricco di petrolio, potendosi quindi affiancare in tal senso ai due maggiori sceiccati di Abu Dhabi e Dubai.
  • La terza ragione aveva a che fare con il problema della rivendicazione dell'Iran sulle due isole Tunb. Il 30 novembre 1971 le forze iraniane occuparono le due isole Tunb. Ra’s al Khaimah non voleva suscitare uno scontro militare tra l’Iran e i paesi arabi, alcuni dei quali avrebbero potuto essere disposti a fornire truppe, ma ha invece fatto appello ai capi di stato arabi per ottenere sostegno morale. Ra's al Khaimah inviò una delegazione, guidata da Shaikh 'Abdul 'Aziz bin Muhammad AI Qasimi, alla sessione di emergenza della Lega Araba il 6 dicembre 1971. Disse che il suo Emirato avrebbe voluto che il problema fosse risolto pacificamente e indicò la possibilità di ricorso alla Corte internazionale di giustizia. L'emirato quindi voleva che gli altri Emirati “adottassero la questione dell’occupazione iraniana delle isole Tunb”, come punto comune della loro politica estera.
Bandiera degli Emirati Arabi uniti adottata il 2 dicembre 1971

Nel dicembre 1971 Ras al Khaimah ha riaperto i negoziati per l’adesione agli Emirati Arabi Uniti. La sua richiesta sull'adozione da parte degli Emirati Uniti della questione dell’occupazione iraniana delle isole Tunb fu accettato. Inoltre a Ras al Khaimah furono assegnati sei seggi nell'assemblea federale, non riuscendo così ad essere classificato con Abu Dhabi e Dubai, che hanno otto seggi ciascuno, ma meglio degli altre piccoli sceiccati che ne hanno 4 ciascuno.[78]

Sulla base di quanto sopra Ras al Khaimah si unì formalmente agli Emirati Arabi Uniti il 10 febbraio 1972. Saif Saeed Ghobash, membro di una delle principali famiglie di Ras al Khaimah, venne nominato viceministro degli Esteri il 6 febbraio.[78]

Pirateria nel Golfo Persico[modifica | modifica wikitesto]

La pirateria nel Golfo Persico risale ad epoche molto antiche. Già nell’VIII secolo a.C. nel Golfo c’erano i pirati. Le navi che a quei tempi navigavano nel Golfo erano solite costeggiare la costa, ancorando al calare della notte e proseguendo il viaggio all'alba. Il pericolo rappresentato dai pirati era così grave che intorno al 690 a.C. il re assiro Sennacherib inviò una spedizione contro di loro e li costrinse a stabilirsi nella regione di Gerrha ad Hasa, sulla costa araba di fronte al Bahrein.[79]

Altri scrittori greci e romani parlano spesso dei pirati che infestavano i mari, e Plinio descrive gli arcieri che erano tenuti sulle navi per difenderle dagli attacchi dei pirati. Nellìantico manuale di navigazione Periplo del Mar Rosso risalente al I secolo sono menzionati i pirati. Nel 116 d.C., l'imperatore romano Traiano, emulando le gesta di Alessandro, dopo aver sconfitto i Parti, guidò una spedizione navale nel Golfo e devastò la costa dell'Arabia, da dove proveniva la maggior parte dei pirati. Durante il periodo sasanide il re Shapur II (310 - 319) inviò una forza navale contro gli arabi di Hajar, l'attuale Hasa, come rappresaglia per la loro attività piratesca.[79]

Anche Marco Polo, il famoso viaggiatore veneziano, che visitò Hormuz nel 1271 fece delle osservazioni sui pirati affermando che nel VII secolo le isole del Bahrein erano controllate dalla tribù piratesca di Abd-ul-Kais e nel IX secolo i mari erano così pericolosi che le navi cinesi che navigavano nel Golfo Persico trasportavano dai 400 ai 500 uomini armati e rifornimenti per sconfiggere i pirati.[80]

Agli inizi del XVI secolo i portoghesi conquistarono la regione. Nel 1507 conquistarono Mascate, nel 1515 presero Hormuz e nel 1521 conquistarono il Bahrain. Dopo l’instaurazione del dominio portoghese nel Golfo, per qualche tempo la pirateria sembrava essere quasi cessata. Essa tuttavia riprese verrso la fine del secolo dopo che il potere del Portogallo in Oriente cominciò a scemare.[79]

Lo scenario politico dell'inizio del XVIII secolo nel golfo Persico vedeva il declino del potere portoghese nell'area, l'indipendenza dell'Oman dalle compagnie commerciali europee e l'assassinio nel 1747 di Nadir Shah per mano dei suoi stessi ufficiali. Tutti questi fattori diedero stimolo alle tribù arabe che abitavano la costa occidentale del Golfo; fra queste i Qawasim emersero prepotentemente per svolgere un ruolo chiave negli affari politici del Golfo nel XVIII secolo.[25]

Sulla base delle loro innate capacità marinare e approfittando del favorevole momento politico, i Qawasim formarono la flotta più potente del golfo Persico e stabilirono un vero e proprio monopolio dei commerci marittimi nel Golfo. Questa situazione pose i Qawasim in forte competizione con la Compagnia britannica delle Indie orientali e quindi con il governo britannico.[26]

Accusati dai britannici di praticare estensivamente la pirateria i Qawasim furono colpiti duramente con della campagne militari prima nel 1809 e successivamente nel 1819. Questa seconda azione ebbe un esito disastroso per i Qawasim e i loro alleati che dovettero arrendersi e firmare nel 1820 un trattato di pace che di fatto pose fine alla loro autonomia e spianò la strada per una dominazione britannica nella regione.[81]

Occorre dire che, in tempi recenti, sulle accuse di pirateria mosse dai britannici ai Qawasim, si è acceso un dibattito. L’opinione comune di scrittori inglesi come Lorimer[82] e più tardi Kelly[83] era che gli inglesi fossero motivati dal desiderio di mantenere aperta un'importante via commerciale e postale (lungo il Golfo Persico) e che invece i Qawasim, erano principalmente motivati da considerazioni di saccheggio piratesco. L'attuale emiro di Sharja, Sultan bin Muhammad Al-Qasimi, nel suo libro The myth of Arab piracy in the Gulf, pubblicato per la prima volta nel 1986, ha contestato l'accusa di pirateria. Secondo lui i Qawasim erano dei proto-nazionalisti arabi preoccupati di creare una nazione nel Golfo, interessati solo marginalmente ai proventi della pirateria e molto più influenzati dal desiderio di mantenere il loro commercio dalla spietata concorrenza della Compagnia delle Indie Orientali. Probabilmente entrambe le motivazioni addotte sono incomplete e le parti in causa avevano motivazioni più sottili legate ad un ambito politico più ampio.[84]

Gli inglesi da un lato erano impegnati in un'aspra rivalità con la Francia durante tutto il periodo in esame e avevano perso le colonie americane nella guerra d'Indipendenza. Essi erano pertanto determinati a consolidare la loro posizione nell'emisfero orientale e le rotte commerciali per l'India avevano nel Golfo Persico un tratto di estrema importanza. Inoltre la campagna d'Egitto di Napoleone aveva pesantemente messo in pericolo la rotta terrestri verso l'India e anche dopo la sconfitta di Napoleone, i britannici, desiderosi di rendere sicura questa rotta, colsero l'opportunità della lotta ai "pirati" Qawasim per consolidare la loro posizione nella regione.[84]

I Qawasim, d'altra parte, se anche erano mossi dall'obiettivo politico di unificare la parte araba del Golfo, volevano anche espandere la loro quota del commercio nel Golfo e l'Oceano Indiano nord-occidentale, ed entrambi questi obiettivi furono il risultato dell’adesione al Wahabismo, in un momento in cui il crollo del potere persiano diede loro la possibilità di affermarsi come potenza navale predominante nel Golfo, e quando la rivalità tribale sulla terra si unì allo zelo per l’espansione, il Wahabismo offrì ai Qawasim l’opportunità di affermarsi come gruppo predominante sulla terraferma, legittimando al tempo stesso il loro attacco alle navi facendo appello alla jihad contro i miscredenti inglesi.[84]

Magan[modifica | modifica wikitesto]

Fra il 1985 ed il 1994 un team misto di archeologi italo-francesi condusse una campagna di scavi nell'Oman. Nel sito di Ras al Jinz, nel sud-est dell'Oman, vennero rinvenuti alcune centinaia frammenti formati da bitume e materiale vegetale risalenti al terzo millennio a.C. La forma e la composizione dei reperti che evidenziavano da un lato impronte di canne e corde intrecciate e dall'altro segni lasciati da piccoli crostacei, ed il fatto che il sito si trovava sul luogo ove sorgeva un antico villaggio di pescatori, hanno portato ad atttribuire tali reperti come appartenenti ad antiche imbarcazioni. Si è ipotizzato che questi frammenti, ritrovati in magazzini adiacenti alle abitazioni, fossero parti di fiancate di imbarcazioni danneggiate, utilizzati per recuperarne il bitume. Questi frammenti sono il primo ritrovamento di resti delle barche utilizzate dagli abitanti di Magan per commerciare nel Golfo Persico e nell'Oceano Indiano. Queste imbarcazioni sono conosciute come le "navi nere di Magam", dove il termine "nere" sta ad indicare che le vavi erano ricoperte, dentre fuori, di bitume che fungeva da impermeabilizzante.[85]

Territorio[modifica | modifica wikitesto]

Ras Al Khayma si sviluppa lungo la costa del Golfo Persico nella zona sud-occidentale della Penisola di Musandam. Lo sviluppo costiero è di circa 35 km, da l Al Jazeera Al Hamra a sud-ovest, fino al limite della città di Al Rams a nord-est, per una superficie totale di circa 373  km²,.[86]

L'area è attraversata dalla autostrada E 11 che qui prende il nome di Sheikh Muhammed bin Salem Road, che la collega a tutte le principali città costiere degli Emirati fino ad Abu Dhabi e giunge fino al valico di frontiera fra Oman ed Emirati Arabi di Al Darah .[87]

I trasporti pubblici sono gestiti dalla Ras Al Khaimah Transport Authority (RAKTA), che regola tutti i servizi di trasporto nell'emirato sia all'interno della città sia da e verso altri distretti abitativi e altri emirati.[88] Per quanto riguarda il serzio urbano il servizio copre quattro rotte principali:[89]

  • Linea rossa: da Al Nakheel ad Al Jazeera Al Hamra;[90]
  • Linea blu: da Al Nakheel ad Al Jeer;[91]
  • Linea verde: dal Manar Mall all'aeroporto di Ras Al Khaimah;[92]
  • Linea viola: dal Manar Mall all'American University.[93]

La moderna città si sè sviluppata sulle rive di un canale, chiamato RAK Khor, che dal mare si inoltra nella terraferma per circa 2 km, portando auna ampia laguna. La zona a occidente del canale/laguna è la parte città vecchia dove si trovano il Museo Nazionale di Ras Al Khaimah e gli uffici governativi; la parte orientale, chiamata Al-Nakheel, ospita il palazzo dell'emiro, alcuni ministeri e aree commerciali e residenziali. Le due zone sono collegate da un ponte, il Ras Al Khaimah Bridge, sul quale transita la Sheikh Muhammed bin Salem Road. Nella zona est della città, considerata zona di espansione, oltre a Nakheel si sono sviluppati altri quartieri quali Oraibi, Al Hudayba, Al Maereed, Al Maa’moura, Golan e Shaa’biat Rashid.[94]

I principali punti di riferimento della città sono:

National Museum di Ras Al Khaimah
  • Forte Dhayah.[95]
  • Museo Nazionale di Ras Al Khaimah. L'edificio, nato come struttura di difesa, divenne la residenza della famiglia regnante Quwasim fino al 1964, quando il sovrano Sheikh Saqr Bin Mohammed al-Qasimi, si trasferì in un edificio moderno a Mamoura. Successivamente divenne un quartier generale della polizia e una prigione, prima di essere definitivamente convertito nel Museo Nazionale nel 1987.[96]
  • Jazirat Al Hamra. Antico villaggio di pescatori di perle. Fu fondato alla fine del XVI secolo dalla tribù Za'ab. In origine si trovava su un'iola detta Isola Rossa. Con il declino dell'industria delle perle a partire dagli anni '20 e con la scoperta del petrolio nella regione, perse importanza e fu via via spopolata per essere definitivamente abbandonata all'inizio degli anni '70.[97]
  • Shimal. Sito archeologico situato a circa otto chilometri a nord-est del centro di Ras Al Khaimah. Contiene oltre 200 tombe sia del periodo Umm Al Nar che del successivo periodo Wadi Suq.[98]
  • Isola di Al Marjan. Complesso di quattro isole artificiali situate lungo la costa del Golfo Persico a circa 23 km a sud-ovest del centro della città. Ospita diversi resort di lusso ed aree residenziali. Lo sviluppo delle isole è iniziato nel 2007.[99]
  • Moschea Sheikh Zayed.[100]
  • Manar Mall.[101]
  • Al Qawasim Corniche.[102]
  • Manar Mall.[103]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Ras Al Khaimah, su en.db-city.com.
  2. ^ Population of Ras Al Khaimah 2022-2023, su all-populations.com. URL consultato il 1º novembre 2023.
  3. ^ a b Beech, Mark; Kallweit, Heiko, A Note on the Archaeological and Environmental Remains from Site JH57, a 5th-4th Millennium BC shell midden in Jazirat al-Hamra, Ras al-Khaimah (2001). (PDF), su adias-uae.com. URL consultato il 6 novembre 2023.
  4. ^ Ancient History in Ras Al Khaimah, su history.visitrasalkhaimah.com. URL consultato il 6 novembre 2023.
  5. ^ Derek Kennet, Kush: A Sasanian and Islamic-period Archaeological tell in Ras al-Khaimah, in Arabian Archaeology and Epigraphy, 1997, pp. 284-285, DOI:10.1111/j.1600-0471.1997.tb00159.x.
  6. ^ Derek KennetOp. citata, pag. 285-300
  7. ^ Christian VeldeOp. citata, pag. 216
  8. ^ Christian VeldeOp. citata, pag. 217-218
  9. ^ Christian VeldeOp. citata, pag. 218-219
  10. ^ The beginnings of Julfar, su history.visitrasalkhaimah.com. URL consultato il 6 novembre 2023.
  11. ^ a b Christian VeldeOp. citata, pag. 219-220
  12. ^ John Hansman, Julfār, an Arabian Port: Its Settlement and Far Eastern Ceramic Trade from the 14th to the 18th Centuries, Psychology Press, 1985, pp. 10, ISBN 0947593012.
  13. ^ The Portuguese Era, su history.visitrasalkhaimah.com. URL consultato il 6 novembre 2023.
  14. ^ Willem Floor, HORMUZ ii. ISLAMIC PERIOD, su iranicaonline.org. URL consultato il 5 ottobre 2023.
  15. ^ Ruy Freyre de Andrada, Commentaries of Ruy Freyre de Andrada, Psychology Press, 2005, pp. 50-52, ISBN 0415344697.
  16. ^ MilesOp. citata, pag. 194-196
  17. ^ Willem Floor, Dutch Relations with the Persian Gulf, in The Persian Gulf in History, Palgrave Macmillan, New York, 2009, pp. 235–259, DOI:doi.org/10.1057/9780230618459_13, ISBN 978-0-230-61845-9.
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  19. ^ Willem Floor, DUTCH-PERSIAN RELATIONS, su iranicaonline.org. URL consultato il 5 ottobre 2023.
  20. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 279
  21. ^ Francis WardenOp. citata, pag. 300
  22. ^ Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 24
  23. ^ History of the UAE, su map-for-tourist.com. URL consultato il 17 dicembre 2023.
  24. ^ The Qawasim in Ras Al Khaimah, su history.visitrasalkhaimah.com. URL consultato il 6 novembre 2023.
  25. ^ a b c Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 24-25
  26. ^ a b Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 26-27
  27. ^ a b Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 27-28
  28. ^ Anna Zacharias, 'Lion of the Sea' 500 years ago may be the new face of tourism, in The National, 24 novembre 2012. URL consultato il 27 dicembre 2023.
  29. ^ Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 31-37
  30. ^ a b Mohamed Shaaban Ayub, How Wahhabism Led the Fight Against the British in the Gulf, in New Lines Magazine, 10 luglio 2022. URL consultato il 2 gennaio 2024.
  31. ^ Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 53-55
  32. ^ a b Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 109-115
  33. ^ Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 115-117
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  35. ^ a b c Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 117-120
  36. ^ a b c d e Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 120-126
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  38. ^ Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 127-130
  39. ^ a b Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 130-132
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  41. ^ a b Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 141-145
  42. ^ a b c Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 146-148
  43. ^ a b Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 148-150
  44. ^ a b c d Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 150-156
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  46. ^ a b c (EN) General Treaty for the Cessation of Plunder and Piracy by Land and Sea., in A Collection of Treaties and Engagements relating to the Persian Gulf Shaikhdoms and the Sultanate of Muscat and Oman in force up to the End of 1953, 5 February 1820. URL consultato il 29 gennaio 2024.
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  48. ^ Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 161-162
  49. ^ Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 162-163
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  51. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 85
  52. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 86-87
  53. ^ Simon Henderson, Succession Politics in the Conservative Arab Gulf States: The Weekend's Events in Ras al-Khaimah, in The Washington Institute, 17 giugno 2003. URL consultato il 17 febbraio 2014.
  54. ^ Saud is Ras Al Khaimah Ruler as UAE mourns Shaikh Saqr, in Gulf News, 27 ottobre 2010. URL consultato il 17 febbraio 2024.
  55. ^ LorimerOp. citata, pag. 691-693
  56. ^ LorimerOp. citata, pag. 210-211
  57. ^ LorimerOp. citata, pag. 694-697
  58. ^ British Library: India Office Records and Private Papers, A Collection of Treaties and Engagements relating to the Persian Gulf Shaikhdoms and the Sultanate of Muscat and Oman in force up to the End of 1953, in Qatar Digital Library, agosto 2014, pp. 38. URL consultato il 2 febbraio 2024.
  59. ^ a b LorimerOp. citata, pag. 736-739
  60. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 286
  61. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 91-93
  62. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 93-94
  63. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 296-297
  64. ^ a b c Donald Hawley, The Trucial States, Allen & Unwin, 1970, pp. 176-178, ISBN 0049530054.
  65. ^ Donald HawleyOp. citata, pag. 229
  66. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 336
  67. ^ David French, The British Way in Warfare 1688 - 2000, Routledge, 2014, pp. 220, ISBN 1317598989.
  68. ^ F. Gregory Gause, British and American Policies in the Persian Gulf, 1968-1973, in Review of International Studies, Vol. 11, No. 4 (Oct., 1985), Cambridge University Press, pp. 255.
  69. ^ a b c Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 341-342
  70. ^ a b Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 343-345
  71. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 345-353
  72. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 353-355
  73. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 356-360
  74. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 361
  75. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 362-363
  76. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 367
  77. ^ Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 368-370
  78. ^ a b Frauke Heard-BeyOp. citata, pag. 370
  79. ^ a b c Charles Belgrave, The PIrate Coast, Librairie du Liban Beirut, 1960, pp. 1-12, ISBN 0906527538.
  80. ^ Gazetteer of the Bombay Presidency, Volume 13, Parte 2, Government Central Press, 1882, pp. 433-434.
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  92. ^ Bus Green Route
  93. ^ Bus Purple Route
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  95. ^ Dhayah Fort, su visitrasalkhaimah.com. URL consultato il 3 novembre 2023.
  96. ^ ​​​​​​​​​​​​​The National Museum of Ras Al Khaimah​​​, su rakheritage.rak.ae. URL consultato il 3 novembre 2023.
  97. ^ Al Jazeera Al Hamra, su ajah.ae. URL consultato il 3 novembre 2023.
  98. ^ Shimal Archaeological Site, su enhg.org. URL consultato il 3 novembre 2023.
  99. ^ Al Marjan Island, su almarjanisland.com. URL consultato il 3 novembre 2023.
  100. ^ Sheikh Zayed Mosque, su visitrasalkhaimah.com. URL consultato il 3 novembre 2023.
  101. ^ Manar Mall, su manarmall.com. URL consultato il 3 novembre 2023.
  102. ^ Al Qawasim Corniche, su visitrasalkhaimah.com. URL consultato il 3 novembre 2023.
  103. ^ A complete guide to Al Manar Mall Ras Al Khaimah, su bayut.com. URL consultato il 3 novembre 2023.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]


Categoria:Emirato di Ras al-Khaima

Lamborghini[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1959 Lamborghini fece un viaggio negli Stati Uniti durante il quale visitò alcune fabbriche che producevano bruciatori per caldaie e pensando alla realtà italiana in forte espansione e con un enorme incremento edilizio, intuì che i bruciatori quali elemento centrale dei sistemi di riìscaldamento, avrebbero in breve soppiantato le caldaie a carbone e decise pertanto di lanciarsi in questa nuova avventuta. Tornato in Italia assunse i tecnici migliori e nel giro di un anno venne costituita a Pieve di Cento la Lamborghini Bruciatori Condizionatori che iniziò a produrre nel 1961 bruciatori a nafta e condizionatori che conquistarono rapidamente il mercato in ragione delle loro alte qualità tecniche a fronte di un prezzo molto competitivo.[1] La strategia di Lamborghini per ottenere rapidi risultati consisteva nell'individuare le aziende e i prodotti leader per poi avviare una "campagna di reclutamento" dei tecnici più significativi, offrendo loro stipendi molto più sostanziosi di quelli percepiti nelle aziende di appartenenza. Nel 1970 la Lamborghini Bruciatori Condizionatori divenne Lamborghini Calor e si trasferì da Pieve di Cento a Dosso di Ferrara, in un più moderno stabilimento.[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ La Storia - Lamborghini Auto, su museolamborghini.com, Il Museo Ferruccio Lamborghini. URL consultato il 2 settembre 2022.
  2. ^ Mario1952/Sandbox8, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

Criteri per l'identificazione dei siti[modifica | modifica wikitesto]

Il testo della Convenzione di Ramsar (articolo 2.2) afferma che:

(EN)

«Wetlands should be selected for the List on account of their international significance in terms of ecology, botany, zoology, limnology or hydrology. In the first instance wetlands of international importance to waterfowl at any season should be included.»

(IT)

«Le zone umide dovrebbero essere selezionate per l'elenco a causa della loro importanza internazionale in termini di ecologia, botanica, zoologia, limnologia o idrologia. e In primo luogo, dovrebbero essere incluse le zone umide di importanza internazionale per gli uccelli acquatici in qualsiasi stagione.»

Una zona umida può essere considerata di importanza internazionale se si applica uno dei seguenti nove criteri:[1]

  1. Se il sito contiene una tipologia naturale o semi naturale di zona umida rappresentativa, rara o unica all‘interno di una specifica regione biogeografia;
  2. se il sito supporta specie o comunità ecologiche in uno stato critico di conservazione, minacciate o vulnerabili;
  3. se il sito supporta popolazioni di piante e/o specie animali importanti per il mantenimento della diversità biologica di una particolare regione biogeografia;
  4. se supporta popolazioni di piante e/o specie animali in uno stato critico del loro ciclo vitale o offre rifugio durante condizioni avverse;
  5. se il sito supporta regolarmente 20.000 o più uccelli acquatici;
  6. se il sito supporta regolarmente 1% degli individui di una popolazione, specie o sottospecie di uccelli acquatici;
  7. se il sito supporta una proporzione significativa di sottospecie, specie o famiglie autoctone, fasi del ciclo vitale, interazioni fra specie e/o popolazioni che sono rappresentative dei benefici e dei valori della zona umida e che contribuiscono al mantenimento della diversità biologica globale;
  8. il sito è un‘importante fonte di cibo, zona di riproduzionee e deposizione, vivaio per i pesci e/o un percorso di migrazione da cui dipendono gli stocks di pesci, sia se sono dentro la zona umida che altrove;
  9. se il sito supporta regolarmente l‘1% degli individui di una popolazione di una specie o sottospecie dipendenti dalle zone umide, esclusi gli uccelli.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ The Ramsar Convention Secretariat, The Criteria for Identifying Wetlands of International Importance (PDF), in Ramsar Information Paper no. 5. URL consultato il 4 ottobre 2022.

Dubai[modifica | modifica wikitesto]

Suddivisione amministrativa[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Suddivisioni dell'Emirato di Dubai.

L'Emirato di Dubai è suddiviso in 9 settori, a loro volta divisi in comunità per un totale di 226 comunità.[1]

Non esiste al momento una distinzione univoca fra quali settori/comunità appartengano all'area urbana di Dubai e quali no, anche se il Piano Urbanistico di Dubai del 2020 individua l'area urbana metropolitana di Dubai quella compresa fra l'Outer Bypass Road (strada E 611 detta anche Emirates Road) e la costa del Golfo persico.[2]

Tale area coincide, a meno di piccole differenze, con quella sottesa dai Settori da 1 a 6 e copre i quartieri di: Deira, Bur Dubai, Jumeirah, Jebel Ali, Ras Al Khor, Zabeel, Downtown Dubai, Dubai Financial Centre (Trade Centre 1 e 2), Business Bay, l'Aeroporto Al Maktum e altre comunità limitrofe all'interno della Emirates Road.

Suddivisioni dell'Emirato di Dubai[modifica | modifica wikitesto]

Governo di Dubai

La struttura amministrativa dell'Emirato di Dubai è organizzata su due livelli: il primo livello è costituito dai Settori, il secondo livello è formato dalle Comunità (talvolta indicate anche come Distretti).[1]

Questa suddivisione non è legata a motiviazioni storiche o etniche, ma ad esgenze amministrative di gestione e pianificazone. Infatti la raccolta di dati sulla distribuzione della popolazione per settori/comunità è significativa ai fini della pianificazione e fornisce informazioni che ritraggono il quadro della dimensione della popolazione in ciascuna regione che i pianificatori e responsabili delle decisioni possono utilizzare per generare corretti piani e programmi tenendo conto del contesto di ciascuna comunità e delle esigenze di strutture e servizi pubblici di ciascuna di esse.[1]

Tale suddivisione non individua in modo univoco la città di Dubai e non distingue dunque fra comunità appartenenti al nucleo metropolitano proprio e quelle appartenenti ai sobborghi o periferie. Un aiuto per operare tale distinzione giunge tuttavia dal Piano Urbanistico di Dubai del 2020. Tale piano suddivide il territorio dell'Emirato in quattro aree, che riflettono distintive qualità ambientali e paesaggistiche nonchè caratteristiche insediative urbane e funzioni di uso del suolo. Queste aree sono:[3]

  • Area 1: Area Urbana Sensibile Offshore (entro le 12 miglia nautiche dalla costa);
  • Area 2: Area Metropolitana Urbana (a ovest della Outer Bypass Road (E 611 o "Emirates Road"));
  • Area 3: Area non urbana (terreni desertici compresi gli usi del suolo per: sport equestri e corse di cammelli, aree di conservazione, insediamenti non urbani);
  • Area 4: Area non urbana (terreni desertici compresi gli usi del suolo per: zone acquifere, zone di estrazione del gas, insediamenti agricoli);

Sulla base di tale distinzione si può pertanto definire l'area metropolitana di Dubai come la porzione di territorio fra la E 311 e la costa. Questa area coincide, al netto di alcune piccole porzioni, con qualla sottesa dai Settori da 1 a 5, comprendendo anche la zona offshore delle isole artificiali, le cui comunità pertanto costituiscono il nucleo urbano della città di Dubai.

Settori[modifica | modifica wikitesto]

I Settori di Dubai, (in arabo القطاع, traslitterato Al-Qiṭā), sono 9.[1]

Di seguito i Settori con la loro superficie[4] e popolazione aggiornata al 2021[1], come indicato dai report referenziati del Dubai Statistic Center.

I 9 Settori di Dubai
Settore Nome arabo Comunità Area
(km²)
Popolazione
(2021)
Mappa
Settore 1 1 القطاع 23 124,90 493 555
Settore 2 2 القطاع 35 174,50 647 632
Settore 3 3 القطاع 57 326,60 1 253 422
Settore 4 4 القطاع 10 61,80 91 940
Settore 5 5 القطاع 18 1 046,50 503 472
Settore 6 6 القطاع 32 292,40 414 273
Settore 7 7 القطاع 7 228,80 15 145
Settore 8 8 القطاع 16 839,00 40 906
Settore 9 9 القطاع 28 1 663,90 17 955
Dubai دبيّ 226 4 758,50 3 478 300

Comunità[modifica | modifica wikitesto]

Le Comunità (in arabo: المنطقة ) sono il secondo livello della struttura amministrativa dell'Emirato di Dubai. Al 31 dicembre 2021 esistevano 226 Comunità suddivise in nove Settori.[5]

Di seguito le Comunità suddivise per Settore di appartenenza, con la loro superficie[4] e popolazione aggiornata al 2021[1], come indicato dagli indicati report del Dubai Statistic Center.

Settore 1[modifica | modifica wikitesto]

Questo Settore si sviluppa sulla zona costiera settentrionale di Dubai, sulla riva nord del Dubai Creek. Corrisponde al quartiere storico di Deira e della relativa isola artificiale.

Codice
Comunità
Nome
Comunità
Nome
arabo
Area
(km2)
Popolazione
(2021)
101 Nakhlat Deira نخلة ديرة 99,6 2
111 Al Corniche الكورنيش 0,6 2 593
112 Al Ras الراس 0,3 8 067
113 Al Dhagaya الضغاية 0,2 16 723
114 Al Buteen البطين 0,1 3 016
115 Al Sabkha السبخة 0,1 4 205
116 Ayal Nasir عيال ناصر 0,2 19 820
117 Al Murar المرر 0,4 40 105
118 Naif نايف 0,7 53 075
119 Al Rigga الرقة 0,7 11 097
121 Corniche Deira كورنيش ديرة 0,9 15
122 Al Baraha البراحة 1,0 25 839
123 Al Muteena المطينة 1,1 48 739
124 Al Muraqqabat المرقبات 1,5 73 087
125 Rigga Al Buteen رقة البطين 0,8 7 538
126 Abu Hail أبو هيل 1,3 18 043
127 Hor Al Anz هورالعنز 1,8 84 661
128 Al Khabisi الخبيصي 1,2 2 011
129 Port Saeed بور سعيد 2,7 14 241
131 Al Hamriya Port ميناء الحمرية 1,2 510
132 Al Waheda الوحيدة 124,90 21 608
133 Hor Al Anz East هور العنز شرق 1,4 22 026
134 Al Mamzar الممزر 5,8 16 534
23 Settore 1 1 القطاع 124,90 493 555

Settore 2[modifica | modifica wikitesto]

Questo Settore si sviluppa nella zona settentrionale di Dubai, al confine con l'Emirato di Sharjah. Nel suo territorio vi sono alcuni dei quartieri e comunità piu popolose di Dubai, fra cui Muhaisnah, Mirdif, Al Nahda e Al Qusais, e l'Aeroporto Internazionale di Dubai.

Codice
Comunità
Nome
Comunità
Nome
arabo
Area
(km2)
Popolazione
(2021)
213 Nad Shamma ند شما 1,1 3 305
214 Al Garhoud القرهود 4,0 19 726
215 Umm Ramool أم رمول 3,6 3 069
216 Al Rashidiya الراشدية 4,8 38 425
221 Dubai Airport مطار دبي الدولي 14,2 121
226 Al Twar First الطوار الأولى 2,6 12 114
227 Al Twar Second الطوار الثانية 1,1 5 068
228 Al Twar Third الطوار الثالثة 3,0 11 185
231 Al Nahda First النهدة الأولى 1,7 32 757
232 Al Qusais First القصيص الأولى 2,7 48 378
233 Al Qusais Second القصيص الثانية 1,8 12 851
234 Al Qusais Third القصيص الثالثة 2,3 7 513
241 Al Nahda Second النهدة الثانية 2,2 64 458
242 Al Qusais Industrial First القصيص الصناعية الأولى 1,4 10 813
243 Al Qusais Industrial Second القصيص الصناعية الثانية 1,7 9 410
244 Muhaisnah Third محيصنة الثالثة 1,8 6 865
245 Muhaisnah Fourth محيصنة الرابعة 2,3 35 861
246 Al Qusais Industrial Third القصيص الصناعية الثالثة 0,9 2 802
247 Al Qusais Industrial Fourth القصيص الصناعية الرابعة 0,7 2 865
248 Al Qusais Industrial Fifth القصيص الصناعية الخامسة 2,4 2 722
251 Mirdif مردف 9,4 66 736
252 Mushraif مشرف 10,5 70
261 Muhaisnah First محيصنة الأولى 5,0 8 616
262 Al Mizhar First المزهر الأولى 6,9 17 498
263 Al Mizhar Second المزهر الثانية 4,3 11 967
264 Muhaisnah Second محيصنة الثانية 5,6 148 832
265 Oud Al Muteen First عود المطينة الأولى 3,6 15 514
266 Oud Al Muteen Second عود المطينة الثانية 2,4 5 820
267 Muhaisnah Fifth محصينة الخامسة 5,6 148 832
268 Oud Al Muteen Third عود المطينة الثالثة 1,4 7 061
271 Wadi Alamardi وادي العمردي 24,2 3 565
281 Al Khawaneej One الخوانيج الأولى 16,4 13 634
282 Al Khawaneej Two الخوانيج الثانية 12,7 5 507
283 Al Ayas العياص 10,5 1 843
284 Al Ttay الطي 3,3 10 659

Settore 3[modifica | modifica wikitesto]

Questo Settore si sviluppa lungo la zona costiera centrale di Dubai, a sud del Dubai Creek e comprendende i quartieri di Bur Dubai, Jumeirah, e i territori del loro immediato retroterra. Al suo interno ricadono pertanto i quartieri di Zabeel e il Distretto Finanziario di Dubai composto dal Trade Centre 1 e Trade Centre 2. Lungo la costa comprende la zona portuale di Al MIna con Port Rashed a nord, e il nuovo quartiere residenziale di Dubai Marina a sud. E' il settore più popoloso di Dubai con una presenza di oltre 1.200.000 residenti (dati 2021).

Codice
Comunità
Nome
Comunità
Nome
arabo
Area
(km2)
Popolazione
(2021)
302 Jumeirah Bay شاطئ جميرا 1,0 41
303 World Islands جزر العالم 74,1 7
304 Jumeirah Island 2 جزيرة جميرا 2 0,1 3
311 Al Shindagha الشندغة 0,3 7
312 Al Souk Al Kabir السوق الكبير 0,9 52 439
313 Al Hamriya الحمرية 0,8 38 215
314 Umm Hurair First أم هرير الأولى 1,0 6 482
315 Umm Hurair Second أم هرير الأولى 3,4 5 633
316 Al Rifa الرفاعة 1,2 48 546
317 Al Mankhool المنخول 2,0 41 244
318 Al Karama الكرامة 2,1 76 591
319 Oud Metha عود ميثاء 1,5 15 568
321 Madinat Dubai Al Melaheyah مدينه دبي المالحيه 22,1 8 391
322 Al Hudaiba الحضيبة 0,9 14 504
323 Al Jafiliya الجافلية 1,7 25 033
324 Al Kifaf الكفاف 0,8 602
325 Zabeel First زعبيل الأولى 4,1 3 449
326 Al Jaddaf الجداف 7,2 6 947
332 Jumeirah First جميرا الأولى 10,0 21 496
333 Al Bada البدع 2,0 58 437
334 Al Satwa السطوة 2,7 40 997
335 Trade Centre 1 المركز التجاري الأولى 0,8 17 676
336 Trade Centre 2 المركز التجاري الثانية 1,4 13 515
337 Zabeel Second زعبيل الثانية 10,8 8 568
342 Jumeirah Second جميرا الثانية 3,3 10 660
343 Al Wasl الوصل 4,9 12 185
345 Burj Khalifa برج خليفة 2,7 21 862
346 Al Kalij Al Tejari (Business Bay) الخليج التجاري 6,6 23 943
347 Al Markada المركاض 10,4 1 817
352 Jumeirah Third جميرا الثالثة 3,4 14 188
353 Al Safa First الصفا الأولى 2,4 9 043
354 Al Quoz First القوز الاولى 3,6 21 322
355 Al Quoz Second القوز الثانية 5,3 5 543
356 Umm Suqeim First أم سقيم الأولى 2,8 12 468
357 Al Safa Second الصفا الثانية 1,9 7 062
358 Al Quoz Third القوز الثالثة 2,4 50 190
359 Al Quoz Fourth القوز الرابعة 2,2 21 691
362 Umm Suqeim Second أم سقيم الثانية 3,2 13 236
363 Al Manara المنارة 2,2 8 745
364 Al Quoz Industrial First القوز الصناعية الأولى 4,8 28 060
365 Al Quoz Industrial Second القوز الصناعية الثانية 5,1 128 867
366 Umm Suqeim Third أم سقيم الثالثة 2,6 7 777
367 Umm Al Sheif أم الشيف 1,8 4 618
368 Al Quoz Industrial Third القوز الصناعية الثالثة 4,4 17 306
369 Al Quoz Industrial Fourth القوز الصناعية الرابعة 4,7 38 761
372 Al Sufouh First الصفوح الأولى 5,9 4 686
373 Al Barsha First البرشاء الأولى 4,0 41 532
375 Al Barsha Third البرشاء الثالثة 4,9 15 401
376 Al Barsha Second البرشاء الثانية 6,4 16 417
381 Nakhlat Jumeira نخلة جميرا 26,7 25 050
382 Al Sufouh Second الصفوح الثانية 24,3 6 478
383 Al Thanyah First الثنيه الأولى (قرية ربيع الصحراء) 1,1 25 778
384 Al Thanyah Second الثنيه الثانية (مضمار جبل علي) 6,2 0
388 Al Thanyah Third الثنيه الثالثة (تلال الامارات الثانية) 3,8 22 394
392 Marsa Dubai مرسى دبي (الميناء السياحي) 8,9 62 570
393 Al Thanyah Fifth الثنيه الخامسة (تلال الامارات الاولى) 9,7 40 957
394 Al Thanyah Fourth الثنيه الرابعة (تلال الامارات الثالثة) 11,1 28 424

Settore 4[modifica | modifica wikitesto]

Questo Settore si sviluppa nella zona centro-settentrionale di Dubai. Comprendende l'area di Ras Al Khor con la sua riserva naturale protetta e i territori a est di tale area. Ricadono quindi in esso i nuovi quartieri di Dubai Festival City e Dubai Creek Harbour e le retrostanti zone di Nad Al Hammar, Al Warqaa e Wadi Alshabak. E' il piu piccolo dei settori di Dubai.

Codice
Comunità
Nome
Comunità
Nome
arabo
Area
(km2)
Popolazione
(2021)
412 Al Kheeran الخيران 6,3 5 270
413 Ras Al Khor رأس الخور 7,8 2
415 Al Khairan First الخيران الأولى 7,3 2 086
416 Nad Al Hammar ند الحمر 8,3 16 930
421 Al Warqaa First الورقاء الأولى 2,4 26 405
422 Al Warqaa Second الورقاء الثانية 3,6 11 323
423 Al Warqaa Third الورقاء الثالثة 6,2 15 613
424 Al Warqaa Fourth الورقاء الرابعة 5,1 14 308
425 Al Warqaa Fifth الورقاء الخامسة 4,3 0
431 Wadi Alshabak وادي الشبك 10,5 3

Settore 5[modifica | modifica wikitesto]

Isola di Jabal Ali vista dallo spazio (ottobre 2021).

Questo Settore si sviluppa lungo la zona costiera meridionale di Dubai, da Marsa Dubai a nord, fino al confine con l'Emirato di Abu Dhabi a sud. Comprende la vasta area di Jabal Ali con il suo porto e la relativa zona industriale, l'sola artificiale di Palm Jebel Ali e il costruendo Al Wajeha Al Bahriah (Dubai Waterfront), nonchè l'area residenziale di Dubai Investment Park e l'area di sviluppo di Madinat Al Mataar, chiamata anche Dubai Sud, che ha ospitato l'Expo 2020 e il nuovo Aeroporto internazionale Al Maktoum.

EXPO 2020 Al Wasl Plaza.
Porto di Jebel Ali.


Codice
Comunità
Nome
Comunità
Nome
arabo
Area
(km2)
Popolazione
(2021)
501 Nakhlat Jabal Ali نخلة جبل علي 58,1 5
502 Al Wajeha Al Bahriah الواجهة البحرية 124,7 4
511 Hessyan First حصيان الاولى 23,8 3,341
512 Hessyan Second حصيان الثانية 51,9 10 381
513 Saih Shuaib 1 سيح شعيب 1 41,6 16
516 Jabal Ali Industrial Third جبل علي الصناعية الثالثة 30,0 0
518 Jabal Ali Industrial Second جبل علي الصناعية الثانية 32,6 28 000
521 Madinat Al Mataar مدينة المطار 141,8 4 150
531 Saih Shuaib 2 سيح شعيب 2 22,3 12 629
532 Saih Shuaib 3 سيح شعيب 3 16,0 4 684
533 Saih Shuaib 4 سيح شعيب 4 16,0 4 684
591 Jabal Ali First جبل علي الأولى 21,3 77 363
592 Jabal Ali Second جبل علي الثانية 5,1 1 008
593 Jabal Ali Third جبل علي الثالثة 365,0 218
594 Mena Jabal Ali ميناء جبل علي 34,8 9 467
597 Dubai Investment Park Second مجمع دبي للاستثمار الثاني 18,8 80 118
598 Dubai Investment Park First مجمع دبي للاستثمار الأول 17,2 63 094
599 Jabal Ali Industrial First جبل علي الصناعية الأولى 22,1 198 228
23 Settore 1 1 القطاع 124,90 493 555

Settore 6[modifica | modifica wikitesto]

Il Settore 6 si trova nella zona centrale dell'Emirato di Dubai. E' delimitato, in grandi linee, dalla Emirates Road (E 611) a est, dalla Al Yalayis Street (D 57) a sud, dalla Sheikh Mohammed Bin Zayed Road (E 311) prima e Al Khail Road (E 44) poi a ovest e dalla Ras Al Khor Road (E 44) a nord. Comprende fra l'altro: la vasta area industriale di Ras Al Khor, le aree residenziali di Nad Al Sheba e Wadi Al Safa, l'area di Warsan con all'interno il complesso residenziale della Città Internazionale di Dubai. La comunità piu vasta del settore è quella di Hadaeq Sheikh Mohammed Bin Rashid (letteralmente "Giardini dello sceicco Mohammed bin Rashid") che è nota anche come Mohammed Bin Rashid City, che contiene prestigiosi complessi residenziali e ville di lusso.


Codice
Comunità
Nome
Comunità
Nome
arabo
Area
(km2)
Popolazione
(2021)
611 Bu Kadra بو كدرة 1,7 112
612 Ras Al Khor Industrial First رأس الخور الصناعية الأولى 2,6 2 160
613 Ras Al Khor Industrial Second رأس الخور الصناعية الثانية 4,2 1,833
614 Ras Al Khor Industrial Third رأس الخور الصناعية الثالثة 5,4 22 247
615 Nadd Al Shiba Second ند الشبا الثانية 7,5 2 569
616 Nadd Al Shiba Third ند الشبا الثالثة 6,3 1 137
617 Nadd Al Shiba Fourth ند الشبا الرابعة 6,2 3 898
618 Nadd Al Shiba First ند الشبا الأولى 21,7 6 589
621 Warsan First ورسان الاولى 8,4 108 176
622 Warsan Second ورسان الثانية 8,6 1 409
624 Warsan Fourth ورسان الرابعة 7,9 10 104
626 Nadd Hessa ند حصة 9,8 40 819
631 Hadaeq Sheikh Mohammed Bin Rashid حدائق الشيخ محمد بن راشد 38,7 3 356
643 Wadi Al Safa 2 وادي الصفا 2 10,5 10 890
645 Wadi Al Safa 3 وادي الصفا 3 30,2 10 270
646 Wadi Al Safa 4 وادي الصفا 4 6,9 167
648 Wadi Al Safa 5 وادي الصفا 5 16,3 20 479
664 Wadi Al Safa 6 وادي الصفا 6 7,8 18 856
665 Wadi Al Safa 7 وادي الصفا 7 8,4 8 957
671 Al Barsha South First البرشاء جنوب الاولى 5,9 14 500
672 Al Barsha South Second البرشاء جنوب الثانية 4,8 7 239
673 Al Barsha South Third البرشاء جنوب الثالثة 3,7 8 573
674 Al Hebiah First الحبيه الاول 4,2 11 155
675 Al Hebiah Second الحبيه الثانية 3,3 781
676 Al Hebiah Third الحبيه الثالثة 4,3 7 238
677 Al Hebiah Sixth الحبيه السادسة 3,3 2 455
681 Al Barsha South Fourth البرشاء جنوب الرابعة 6,8 29 087
682 Al Hebiah Fourth الحبيه الرابعة 9,1 21 609
683 Al Hebiah Fifth الحبيه الخامسة 8,1 10 302
684 Al Barsha South Fifth البرشاء جنوب الخامسة 3,0 7 809
685 Me'aisem First معيصم الأول 16,4 18 484
686 Me'aisem Second معيصم الثانية 10,4 13
  • Wadi Al Safa 6 = Arabian Ranches
  • Dubai Silicon Oasis è in Nadd Hessa

Settore 7[modifica | modifica wikitesto]

Questo Settore si trova nella zona nord-orientale dell'Emirato di Dubai e confina a nord e ad est con l'Emirato di Sharjah. Il confine esterno è segnato a nord dalla Maleha Road e ad est dalla Nazwa Road, mentre i confini interni con gli altri settori sono segnati a nord-ovest dalla Emirates Road, e a sud-ovest dalla Al Awir Road (E 44) che tuttavia in quel tratto prende il nome di Dubai-Hatta Road. Contiene aree poco densamente popolate, come Al Awir, Lahbab, Al Meryal e Nazwah e aree per lo piu desertiche e pressochè disabitate come Al Wohoosh e Enkhali.

Codice
Comunità
Nome
Comunità
Nome
arabo
Area
(km2)
Popolazione
(2021)
711 Al Awir First العوير الأولى 39,7 4 488
721 Al Awir Second العوير الثانية 52,4 5 874
724 Enkhali نخلي 49,0 2
727 Al Wohoosh الوحوش 25,4 48
731 Lehbab First لهباب الأولى 33,8 3 389
735 Al Meryal المريال 15,5 769
736 Nazwah نزوه 13,1 575

Settore 8[modifica | modifica wikitesto]

Questo Settore si trova nella zona centro-orientale dell'Emirato di Dubai e confina ad est con l'Emirato di Sharjah e a sud con Emirato di Abu Dhabi. Il confine esterno a est e a sud coincide con gli analoghi confini della Riserva di Conservazione del Deserto di Dubai, che occupa gran parte della supeficie meridionale del Settore. Il Settore comprende anche la comunità di Hatta che costituisce un exclave di Dubai posta sui Monti Ḥajar. Il territorio fa parte dell'Area non urbana di Dubai costituita da principalmente da terreni desertici, aree di conservazione e insediamenti non urbani. A parte Hatta e le comunità a nord del territorio di Warsan, ed in parte di Al Rowaiyah, le altre comunità sono scarsamente popolate se non del tutto prive di residenti.

Codice
Comunità
Nome
Comunità
Nome
arabo
Area
(km2)
Popolazione
(2021)
811 Warsan 3 ورسان الثالثة 10,4 12 613
812 Al Rowaiyah First الرويه الأولى 11,5 3 263
813 Al Rowaiyah Second الرويه الثانية 7,5 0
814 Al Rowaiyah Third الرويه الثالثة 60,0 4 897
821 Mereiyeel مرييل 30,7 424
824 Umm Al Daman أم الدمن 35,2 299
826 Le Hemaira الحميرا 36,4 56
831 Lehbab Second لهباب الثانية 63,2 1 601
835 Umm Al Mo'meneen أم المؤمنين 32,7 169
841 Margham مرغم 152,6 1 217
845 Al Maha المها 41,7 205
847 Umm Eselay أم السلي 35,2 216
851 Remah رماح 82,9 195
857 Margab مرقب 34,6 666
861 Yaraah يراح 76,5 100
891 Hatta حتا 128,8 14 985

Settore 9[modifica | modifica wikitesto]

Questo Settore si trova nella zona centrare e meridionale dell'Emirato di Dubai di cui occupa una buona parte. Confina a sud e ad ovest con Emirato di Abu Dhabi. Il territorio fa parte dell'Area non urbana di Dubai costituita da principalmente da terreni desertici, zone acquifere, zone di estrazione del gas, aree di conservazione e insediamenti agricoli. Al suo interno si trova la Riserva di conservazione del deserto di Al Marmoom, che è la piu grande riserva degli Emirati. Il Settore è il più vasto dei settori di Dubai con una superficie di circa 1.664 km², ma il meno densamente popolato, con meno di 18.000 residenti (densita di circa 10,8 ab./km²).

Codice
Comunità
Nome
Comunità
Nome
arabo
Area
(km2)
Popolazione
(2021)
911 Umm Nahad First أم نهد الأولى 14,1 8
912 Umm Nahad Second أم نهد الثانية 8,5 2
913 Umm Nahad Third أم نهد الثالثة 15,3 3 623
914 Umm Nahad Fourth أم نهد الرابعة 46,0 4
915 Al Yufrah 1 اليفره 1 17,5 403
916 Al Yufrah 2 اليفره 2 4,3 1 593
917 Al Marmoom المرموم 27,3 141
918 Al Yufrah 3 اليفره 3 11,1 1 539
919 Al Yufrah 4 اليفره 4 11,8 3
921 Al Yalayis 1 الياليس 1 17,8 1 679
922 Al Yalayis 2 الياليس 2 14,3 3 685
923 Al Yalayis 3 الياليس 3 12,3 4
924 Al Yalayis 4 الياليس 4 13,2 8
925 Al Yalayis 5 الياليس 5 25,2 88
931 Al Lesaily الليسيلي 112,7 2 950
941 Grayteesah قريطيسه 91,8 58
945 Al Fagaa الفقع 140,5 442
951 Saih Al Salam سيح السلم 88,7 615
956 Al Hathmah الحثمة 82,3 37
961 Al Selal الصلال 170,7 684
967 Ghadeer Barashy غدير براشي 70,9 33
971 Saih Al Dahal سيح الدحل 190,2 3
975 Al O'shoosh العشوش 58,9 3
978 Saih Shua'alah سيح شعيله 69,5 3
981 Mugatrah مقطره 139,9 347
987 Al Layan 1 الليان 1 28,3 0
988 Al Layan 2 الليان 2 37,0 0
991 Hefair حفير 143,6 0

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f Population Bulletin 2021, pag. 5-6
  2. ^ Dubai Municipality, Planning Department, Dubai 2020 Urban Masterplan‟ (PDF), su isocarp.org. URL consultato il 19 novembre 2022.
  3. ^ Dubai MasterplanOp. citata, pag. 5-15
  4. ^ a b Dubai Statistics Center, Distribution of Estimated Population & Population Density (person/km2) by Sector and Community - Emirate of Dubai (2021) (PDF), su dsc.gov.ae. URL consultato il 15 settembre 2022.
  5. ^ Population Bulletin 2021, pag. 7-13

Suddivisioni dell'Emirato di Ras Al Khaimah[modifica | modifica wikitesto]

Mappa di Ras al-Khaimah.

L'emirato è composto da due regioni, una a nord e una a sud, fisicamente separate fra loro.

L'emirato di Ras Al Khaimah è suddiviso in cinque aree amministrative che a loro volta sono suddivise in distretti.[1]

  • Prima Area: comprende la città vecchia di Ras Al Khaimah e alcune zone contigue sulla costa verso sud;
  • Seconda Area: comprende le aree a nord e ad est della Prima Area che formano la zona di espansione moderna della città;
  • Terza Area: comprende la zona settentrionale dell'emirato da Al Rams ad Al Jeer sulla costa e le corrispondenti zone dell'entroterra;
  • Quarta Area: comprende la zona centro meridionale dell'emirato;
  • Quinta Area: comprende l'exclave sud dell'emirato.

Aree e Distretti[modifica | modifica wikitesto]

Qasimi Palace - Al Dhaith North
La rotatoria della giustizia - Dafan Al Khor
Torre avvistamento - Al Rams
Forte Al Nasla - Wadi Al Qour
Area Nome arabo Distretti Distretti (arabo)
Prima Area القطاع رقم 1 Ras Al Khaimah City,
Kuzam,
Al Dhaith North,
Al Dhaith South,
Al Jazirah Al Hamra,
Al Riffa
رأس الخيمة
خزام
الظيت الشمالي
الظيت الجنوبي
الجزيرة الحمراء
الرفاعة
Seconda Area القطاع رقم 2 Al Maireed,
Al Mamourah,
Julfar,
Al Uraibi,
Al Ghubb,
Al Juwais,
Seih Al Baih,
Al Zahra,
Al Hudeeba,
Al Senaeyah,
Seih Al Dubbat,
Dafan Al Khor
المعيريض
المعمورة
جلفار
العريبي
الغب
الجويس
سيح البيح
الزهراء
الحديبة
الصناعية
سيح الضباط<
دفان الخيل
Terza Area القطاع رقم 3 Al Jeer,
Sha'am,
Wadi Sha'am,
Khor Khwair,
Al Hulaylah,
Ghalilah,
Ghilan,
Seih Kabdah,
Al Rams,
Dhayah,
Shamal (o Shimal)
الجير
شعم
وادي شعم
خور خوير
الحليلة
غليلة
غيلان
سيح كبدة
الرمس
ضاية
شمل
Quarta Area القطاع رقم 4 Al Qusaidat,
Al Salihia,
Khatt,
Tahya,
Al Muthneb,
Al Kharran,
Al Digdaga,
Suhailah,
Saih Al Hurf,
Wadi Nheel,
Seih Al Beer,
Al Hamraniah,
Umm Al Khayous,
Al Felyyah,
Al Ghafia,
Al Hamham,
Aswan,
Al Khreejah,
Al Mukawwrah,
Al Shaagi,
Al Saadi,
Seih Al Bana,
Rmailah,
Al Rahabah,
Muwailha
القُسَيدات
الصالحية
خت
تاحيا
المذنب
الخران
الدقداقة
سهيلة
سيح الحرف
وادي نحيل
سيح البير
الحمرانية
ام الخايوس
الفلية
الغافية
الهمهام
اسوان
الخرجة
المقورة
الشاغي
الساعدي
سيح البانة
رميلة
الرحبة
مويلحه
Quinta Area القطاع رقم 5 Masafi,
Aasmah,
Al Ghamarah,
Diftah,
Al Ghudf,
Wadi Al Aim,
Al Ghayl,
Adhan,
Wadi Kub,
Kabkoub,
Al 'ays,
Al Muniai,
Al Fashghaa',
Al Wa'ab,
Skhibar,
Al Huwailat,
Wadi Al Ejeili,
Wadi Mallah,
Wadi Al Qour,
Rafaq,
Al Nasala,
Al 'Athbah,
Shawka,
Kadrah,
Wadi Isfini,
Wadi Mamduah
مسافي
أعسمة
الغمرة
دفتا
الغدف
وادي العيم
الغيل
أذن
وادي كوب
كبكوب
العيص
المنيعي
الفشغاء
الوعب
صخيبر
الحويلات
وادي العجيلي
وادي ملحة
وادي القور
رافاق
النصلة
العذبة
شوكة
كدرا
وادي اصفني
وادي ممدوح
Emirato di Ras Al Khaimah إمارة رأس الخيمة 80

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (AR) القوى العاملة والإحصاءات الاجتماعية (PDF), su css.rak.ae, p. 127. URL consultato il 15 marzo 2014.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Categoria:Suddivisioni di Ras Al Khaimah

Altro[modifica | modifica wikitesto]

Aree protette degli Emirati Arabi[modifica | modifica wikitesto]

Abu Dhabi
Dubai
Fujairah
Sharjah
Ras Al Khaimah

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Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Per una definizione dell'Area metropolitana di Dubai

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Altri link utili

Categoria:Suddivisioni di Dubai

Altro (14 distretti)[modifica | modifica wikitesto]

AL WAJEHA AL BAHRIAH

  • Al Wajeha Al Bahriah, Nakhlat Jebel Ali, Hessyan 1-2, Saih Shuaib 1, Jebel Ali Industrial 3

AL AWEER

  • Al Ruwaiyah 3, Al Aweer 1-2, Umm Al Daman, Mereiyeel, Le Hemaira, Enkhali, Al Wohoosh, Umm Al Mo'meneen, Lehbab 1-2, Al Meryal, Nazwah, Margham, Umm Eselay, Al Maha, Margab, Remah, Yaraah

BUR DUBAI

  • Madinat Dubai Al Melaheyah, Al Shindagha, Al Hudaiba, Al Souq Al Kabeer, Al Raffa, Al Hamriya, Mankhool, Al Jafiliya, Umm Hurair 1-2, Al Karama, Oud Metha

JEBEL ALI

  • Mena Jebel Ali, Jebel Ali 1-3, Jebel Ali Industrial 1-2, Me'aisem 1-2, Dubai Investment Park 1-2

DEIRA

  • Al Corniche, Al Ras, Al Daghaya, Ayal Nasir, Al Buteen, Corniche Deira, Al Sabkha, Al Murar, Al Hamriya Port, Al Baraha, Naif, Abu Hail, Al Rigga, Al Wuheida, Al Muteena, Al Mamzar, Al Muraqqabat, Hor Al Anz, Riggat Al Buteen, Hor Al Anz East, Al Khabaisi, Al Nahda 1-2, Port Saeed, Al Twar 1-3, Al Qusais 1-3, Al Qusaid Industrial 1-5, Al Garhoud, Dubai airport, Muhaisnah 3-4, Umm Ramool, Nadd Shamma Al Rashidiya

RAS AL KHOR

  • Al Jadaf, Ras Al Khor, Al Kheeran, Al Kheeran 1, Bu Kadra, Ras Al Khor Industrial 1-3, Nad Al Hamar, Nad Al Sheba 2-4

MADINAT AL QUDRA

  • Saih Shuaib 2-4, Al Layan 1-2, Al Hathmah, Saih Al Dahal, Hefair, Al Fagaa', Al O'shoosh, Saih Sua'alah, Al Selal

JUMEIRAH

  • Jumeirah Island 1-2,
  • Jumeirah Bay,
  • Jumeirah 1-3,
  • Al Bada,
  • Umm Suqeim 1-3,
  • Al Satwa,
  • Al Sufouh 1-2,
  • Narsa Dubai,
  • Al Wasl,
  • Trade Centre 1,
  • Al Safa 1-2,
  • Al Manara,
  • Umm Al Shaif,
  • World Islands,
  • Nakhlat Jumeirah

MUSHRIF

  • Muhaisnah 1-2, Muhaisnah 5, Oud Al Muteena 1-3, Al Mizhar 1-2, Mirdif, Al Warqa'a 1-5, Mushrif, Warsan 1-4, Al Khawaneej 1-2, Nad Hessa, Wadi Alamardi, Al Ruwaiyah 1-2, Al Ttai, Wadi Al Shabak, Aleyas

MADINAT AL MAKTOUM

  • Madinat Al Mataar

HADAEQ MOHAMMAD BIN RASHID

  • Al Thaniya 1-5, Al Quoz 1-4, Al Barsha 1-3, Al Quoz Industrial 1-4, Al Merkadh, Al Barsha South 1-5, Hadaeq Shaikh Mohammad Bin Rashid, Nad Al Sheba 1, Wadi Al Safa 3

DUBAI LAND

  • Al Hebiah 1-5, Al Yufrah 1-2, Al Yalayis 1-5, Umm Nahad 1-4, Wadi Al Safa 2, Wadi Al Safa 4-7

ZABEEL

  • Trade Centre 2, Al Kifaf, Zabeel 1-2, Burj Khalifa, Business Bay

NAKHLAT DEIRA

  • The Palm Deira

Aree naturali protette di Dubai[modifica | modifica wikitesto]

Le aree naturali protette di Dubai sono dei territori dell'Emirato che per il loro valore culturale, scientifico, turistico o per la loro valenza estetica, o per la presenza vegetale e/o animale, sono state poste dal governo locale sotto dei vincoli di protezione e conservazione sulla base di una serie di leggi federali e locali.[1]

Legislazione pertinente[modifica | modifica wikitesto]

Le principali legge federali (UAE) rilevanti in materia sono:

  • Legge federale N. 9 del 1983 sul divieto di caccia, raccolta e distruzione di fauna selvatica;
  • Legge federale N. 23 del 1999 sullo sfruttamento, protezione e sviluppo delle risorse acquatiche viventi nelle acque degli Emirati Arabi Uniti;
  • Legge federale N. 24 del 1999 sulla tutela e valorizzazione dell'ambiente degli Emirati Arabi Uniti.

Le principali legge locali (Emirato di Dubai) rilevanti in materia sono:

  • Ordine locale n. 61 del 1991 sulla protezione ambientale nell'Emirato di Dubai;
  • Ordine locale n. 2 del 1998 sulla protezione dei santuari della fauna selvatica di Ras Al Khor e Jabal Ali;
  • Ordine locale n. 11 del 2003 sulla definizione di aree protette terrestri e costiere in quanto aree con in elevato valore culturale, scientifico, turistico o per la loro ricchezza estetica, vegetale, animale e ittica, o quelle con peculiari caratteristiche fisiche naturali;
  • Decreto n. 22 del 2014 che istituisce sei aree protette nell'Emirato di Dubai ai sensi delle direttive stabilite nell'ordine locale n. 11 del 2003.

Il mandato di regolamentare, controllare, valutare e rilasciare una licenza per qualsiasi attività come specificato nelle suddette leggi è assegnato al Dipartimento dell'Ambiente della Municipalità di Dubai, in qualità di autorità competente.[2]

Aree protette[modifica | modifica wikitesto]

Attualmente ci sono 8 aree protette. Tali aree coprono circa il 31% della superficie dell'Emirato di Dubai e rappresentano tutti i principali tipi di ecosistema presenti nell'Emirato: montano, desertico, costiero e marino. Sono gestite dalla Municipalità di Dubai, in proprio o in collaborazione con altri partner.

Il Santuario di Ras Al Khor e quello di Jabal Ali sono stati istituiti in base alla legge n. 2 del 1998, mentre le altre sei sono state istituite in base alla legge n. 22 del 2014.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Dubai Municipality, About Dubai Protected Areas, su dm.gov.ae. URL consultato il 6 aprile 2023.
  2. ^ Dubai MunicipalityOpera citata

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

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Template aree naturali protette di Dubai[modifica | modifica wikitesto]

Aree protette Dubai


Penisola di Musandam[modifica | modifica wikitesto]

Penisola di Musandam
(AR) شبه جزيرة مسندم
Penisola di Musandam
StatiBandiera degli Emirati Arabi Uniti Emirati Arabi Uniti
Bandiera dell'Oman Oman
Linguearabo
Fusi orariUTC+4
Nome abitantiarabi
Penisola di Musandam vista dallo spazio

La Penisola di Musandam (arabo: شبه جزيرة مسندم), detta anche Ru'us Al Jibal, è un penisola che costituisce la punta nord-occidentale della penisola arabica. Gran parte della penisola è occupata dal Governatorato di Musandam dell'Oman e sola una piccola parte nella regione sud-occidentale è occupata dall'Emirato di Ra's al-Khayma.

Storia x[modifica | modifica wikitesto]

Per diversi millenni prima dell'era volgare, la regione di Musandam era conosciuta come Makkan. Makkan era coinvolto nel commercio del rame in Mesopotamia e la penisola dell'Oman è citata nelle tavolette sumere con il nome Magan. Shulgi, il re di Ur, ricevette oro da un “re di Magan” senza nome nel 2069 a.C. Sulla base delle prove archeologiche, lo studioso Daniel T. Potts postula che gli immigrati provenienti dall'altra parte dello Stretto di Hormuz introdussero in Oman l'idea e le tecniche di produzione della ceramica intorno al 2500 a.C.[1]

La parola utilizzata per indicare l'Oman era Makaa in antico persiano, Macae o Magi o Mykoi in greco, Makkash in elamita e Makkan in accadico, mentre in aramaico, l’Oman era chiamato Qādām, parola che significa “mattina, est”. Nel 536 a.C. Ciro il Grande conquistò l'Oman e il suo territorio fu governato da satrapi della Persia achemenide durante le dinastie di Dario I (522-486 a.C.) e Serse I (486-465 a.C.). Nelle iscrizioni di Serse di Persepoli egli chiama il popolo Maka o Mačiya coloro “che abitano in riva al mare e oltre il mare”. Durante il periodo achemenide, entrambe le aree costiere meridionali del Golfo Persico, Musandam e Hormozgan, erano conosciute insieme come Maka.[1]

Nel 331 a.C. Alessandro Magno sconfisse Dario III nella battaglia di Gaugamela provocando la caduta dell'Impero achemenide e Maka cessò di essere una satrapia persiana. Nearco di Creta, ammiraglio navale di Alessandro Magno nel 325 a.C., registrò il passaggio di Musandam, che chiamò "Capo Maketa d'Arabia", e annotò una città mercato che probabilmente era Dibba.[1]

Dopo la morte di Alessandro magno e la disgreazione del suo impero, la regione di Musandsam cadde sotto il controllo dei Seleucidi. I Parti strapparono il controllo della costa dell'Oman ai Seleucidi nel 250 a.C., valutando lo sbocco del Golfo Persico come una rotta marittima. Le dinastie dei Parti governarono l'Oman settentrionale per i successivi cinque secoli.[1]

Nel 228 d.C. il re dei Parti Vologase VI fu sconfitto e il suo regno assorbito dall'Impero sasanide. Durante le epoche dei Parti e dei Sasanidi la provincia dell'Oman settentrionale divenne nota con il suo nome medio-persiano di Mazun. Secondo il diplomatico britannico Samuel Barrett Miles questo nome origina da Mazen, una "popolazione di grandi marinai discendente da Mazen bin Azd" della tribù Azdita dei Mazen.[1]

La guida di navigazione del I secolo, il Periplus Maris Erythraei, ricorda le “grandi montagne” di Musandam chiamate Asabon. La mappa dell'Arabia di Tolomeo del 150 d.C. circa etichetta la penisola di Musandam come "Asaborum". Capo Musandam si chiama Asabon Promentory e gli indigeni Asabi.[1]

Tavola VI dell'Asia di Tolomeo che mostra la cosidetta Arabia Felix e la Carmania

Il primo re sasanide, Ardashir I (r. 224-241), desiderava sviluppare il commercio con l'Oceano Indiano che trattava seta, spezie, perle e incenso e che al tempo si svolgeva lungo il Mar Rosso, spostandolo nel Golfo Persico. A questo scopo era necessario disporre di una base nel nord dell’Oman e pertanto a Dibba venne insediata una guarnigione sasanide insieme a Sohar, e i persiani fondarono colonie agricole in Oman organizzate attorno a un sistema di irrigazione chiamato qanat (o falaj), ancora oggi esistenti. Le prove archeologiche dell'occupazione sasanide vicino a Khasab e nei villaggi sulla costa occidentale di Musandam e sull'isola di Jazirat al-Ghanam (detta anche Isola della Capra) risalgono all'inizio del IV secolo.[1]ù

Nel tempo Dibba divenne un porto vitale che ha fornito per secoli un punto di accesso per il commercio del Mar Arabico alle città del Golfo Persico, evitando le acque pericolose dello Stretto di Hormuz. Le merci provenienti dall'india e dai mercati orientali venivano caricate su cammelli e asini e portate via terra a Dubai e sulle città della costa orientale in tre giorni evitando il lungo e pericloso passaggio via mare.[1]

Durante l'epoca preislamica, l'Oman rimase sotto il controllo sasanide e Dibba fungeva da punto della costa orientale di un triangolo di insediamenti, che comprendeva anche Ed-Dur sulla costa occidentale e Mleiha nell'interno, che presidiavano le rotte commerciali arabe da e per il mare arabico. Per mantenere il governo dei territori i sasanide nominavano dei loro rappresentanti che svolgevano funzioni amministrative e militari. Il rappresentante militare dei persiani a Dibba nel VII secolo era Laqit bin Malik che, come da consuetudine, essi nominarono Dhu al-Taj, ovvero ’“individuo incoronato”.[1]

Da notare che Laqit aveva una doppia veste: era un Malik, cioè un capo arabo azdita riconosciuto e come tale con profondi legami con le tribù arabe meridionali, ma era anche un Dhu al-Taj, cioè un rappresentante dell'impero sasanide e da loro incoronato che doveva quindi fedeltà alla Persia.[1]

Nel 630 Maometto inviò il suo rappresentante Amr al-'As a Rustaq nell'Oman a presentare una petizione ai persiani affinché abbracciassero l'Islam e rinunciassero alla sovranità sul paese. La petizione fu respinta, ma a seguito di ciò nel paese ci furono disordini a Sohar e in altre regioni a seguito dei quali i sasanidi furono espulsi dal paese. La morte di Maometto nel 632 stimolò ulteriori movimenti indipendentisti in tutta l'Arabia. In Oman, Laqit bin Malik fu proclamato profeta e insorse contro l'appena dichiarato califfo di Medina, Abu Bakr. In breve tempo Laqit “riuscì ad estendere il suo controllo su tutto l’Oman, costringendo i due fratelli Julanda, Jayfar e 'Abd, che governavano la regione per conto di Medina dopo la loro adesione all'islam, a rifugiarsi sulle montagne da dove chiesero aiuto ad Abu Bakr.[2]

La risposta del califfo a questi movimenti fu molto dura. Egli infatti formò prontamente un esercito e inviò le truppe per reprimere le rivolte locali in Oman, nello Yemen e nella regione di Yamāma, dando inizio a una serie di campagne militari che furono successivamente note come guerra della ridda. Inizialmente gli omaniti guidati da Laqit bin Malik prevalsero nelle battaglie del 632-633 e i Julanda si ritirarono a Sohar, mentre Laqit si insediava a Dibba.[2]

Il comandante dell'esercito di Medina, Hudhaifa bin Mihsan, resosi conto che non aveva forze sufficienti per battere Laqit, chiese rinforzi ad Abu Bakr che invio Ikrima ibn Abi Jahl in suo aiuto. Nel novembre del 633 la forza combinata marciò quindi su Dibba, allora descritta come "un grande mercato e una città". Laqit ottenne un primo successo nella battaglia che ne seguì, tuttavia, successivamente l'esercito medinese prevalse dopo l'arrivo dei rinforzi, costituiti dale tribù Beni Abdul Kais e Beni Najia che avevano abbandonato Laqit. La battaglia di Dibba fu una delle più grandi battaglie delle guerre arabe. Secondo lo storico arabo Mohammed ibn Tarir al-Tabari ci furono 10.000 morti e 4.000 prigionieri. Laqit fu ucciso, il mercato fu saccheggiato e la città fu quasi completamente distrutta. I prigionieri, un quinto del tesoro e il bestiame della città furono inviati come tributo ad Abu Bakr.[2][3]

Dal 633 La penisola di Musdandam entrò a far parte del Califfato Arabo: Califfato dei Rashidun (632-661), Califfato omayyade (661-750), Califfato abbaside (750-1258). Verso la fine dell'VIII secolo il califfato abbaside iniziò a perdere potere e vi furono una serie di movimenti indipendentisti che caratterizzarono varie regioni. Fra questi uno dei più importanti fu quello dei Carmati che fra il IX e il X secolo formò uno stato con capitale ad al-Hasa nel Bahrein da cui controllarono la costa orientale dell'Arabia compresa la penisola di Musandam.[4] Nell'XI secolo i Carmati furono sconfitti da una coalizione composta dagli Uyunidi sostenuti dagli Abbasidi e Selgiuchidi a seguito della quale nel 1077 venne fondato l'Emirato degli Uyunidi.[5]

Nel XII secolo la penisola di Musandam divenne parte del Regno di Hormuz, uno stato vassallo del Sultanato Selgiuchide di Karman che al tempo controllava entrambe le sponde dello stretto di Hormuz e vi rimase fino all'arrivo dei portoghesi nel XVI secolo.[6]

Nel settembre del 1506 l'ammisaglio portoghese Alfonso de Albuquerque giunse ad Hormuz con una flotta di 6 navi e in breve ottenne la resa della città e costrinse il re a firmare un accordo che prevedeva il pagamento di un tributo annuo di 15.000 ashrafi[7], la costruzione d un forte ed altre concessioni alla corona portoghese. Tuttavia, a causa di forti dissidi sorti all'interno delle sue truppe e all'ammuntinamento di alcuni suoi capitani, Albuquerque fu costretto ad abbandonare Hormuz a febbraio del 1508.[8] Tuttavia Albuquerque tornò ad Hormuz nella primavera del 1515 e la sottomise definitivamente. Hormuz e i suoi territori rimasero sotto il controllo portoghese fino alla loro sconfitta nella primavera del 1622 ad opera di una alleanza anglo-persiana formata dalla forza navale della Compagnia britannica delle Indie orientali e da truppe dei safavidi comandate dal generale Imam Quli Khan.[9]

Dopo la caduta di Hormuz i portoghesi si ritirarono nell'Oman e fecero di Mascate il loro centro regionale, rinforzandone le difese sia dagli attacchi dal mare che dalla terraferma, e da dove pensavano di poter continuare a portare avanti i loro commerci nella regione. Le ambizioni portoghesi vennero tuttavia infrante dalla nascente dinastia Yaarubi, che dopo la nomina di Nasir bin Murshid a imam dell'Oman nel 1624, diede luogo a una politica di unificazione ed espansione dell'Oman.[10] Nel 1633 gli omaniti conquistarono la città di Julfar (attuale Ras al-Khaimah) che era al tempo presidiata dai portoghesi e dai persiani safavidi. Nel 1643 Nasir assediò Sohar che dopo una breve resistenza si arrese il 7 novembre 1643. Nel gennaio del 1650 gli omaniti, guidati dal nuovo imam Sultan bin Sayf, succeduto a Nasir, espougnarono Mascate costringendo i 600 portoghesi che vi abitavano a rifugiarsi a Diu sulla costa indiana.[11] L'ultima roccaforte portoghese della regione, Khasab, chiamata Caçapo, nel nord della penisola di Musandam, venne abbandonata dai portoghesi nel 1656, ponendo di fatto fine alla loro presenza nella regione.

A seguito dell'uscita dei portoghesi, la penisola di Musandam divenne parte integrante dell'Impero omanita, che sotto la dinastia Yaarubi divenne in breve tempo una grande potenza marittima e commerciale. Verso la metà del XVIII secolo la dinastia Yaarubi fu dilaniata da una guerra interna per la successione che la portò alla dissoluzione. Di questa situazione ne approfittò la famiglia wahhabita degli Al Qasimi originaria della regione sud-orientale del Golfo Persico che riuscì a stabilire la propria autonomia nella città di Ras al-Khaimah entro la fine del 1710.[12] Entro la fine del XVIII secolo i Qasimi erano diventati la potenza marittima dominante del Golfo Persico meridionale. Essi controllavano un gran numero di porti lungo la costa, compreso il porto di Sharjah ed ottennero il dominio sulla maggior parte delle tribù della penisola di Musandam con l'eccezione degli Shihuh e dei loro alleati.[13]

Il dominio dei Qasimi sul Musandam fu più volte contestato dai Sultani di Mascate. Ma dopo l'accordo stpulato nel 1850 fra il sultano dell'Oman Sa'id bin Sultan e lo sceicco Qasimi Sultan I bin Saqr al-Qasimi, la sovranità dei Qawasim fu saldamente stabilita in tutta l'area costiera e montuosa a nord della linea tra la città di Sharjah e Khor Kalba con la sola eccezione dell'area montuosa e inaccessibile abitata dalle varie sezioni e alleati degli Shihuh a nord di Sha’am e Dibba.[14]

Nel 1856, alla molte del sultano Sa'id bin Sultan, sorse una disputa sulla successione al trono tra i suoi due figli, Majid ibn Said e Tuwayni ibn Said, sfociato in un conflitto armato che si concluse con l'intervento diretto britannico che portò alla divisione dell'Impero dell'Oman in due stati: uno di essi era il Sultanato di Zanzibar, guidato da Majid ibn Said, che comprendeva i possedimenti africani dell'impero, l'altro era il Sultanato di Mascate e Oman, guidato da Tuwaini ibn Said. Da allora l'influenza britannica nella regione, grazie anche al lavoro dell'agente politico Lewis Pelly e del suo successore Edward Ross, crebbe a tal punto che alla fine del XIX secolo l'Oman divenne de facto un protettorato britannico. In quel periodo i britannici posarono un cavo telegrafico che attraversava il Goilfo Persico e faceva parte del collegamento fra Karachi e Londra. Nel 1864 una stazione di ripeizione del segnale telegrafico venne costruita su una isoletta posta all'imboccatura dell'Elphinstone inlet nella zona settentrionale della penisola di Musandam. L'isola divenne quindi nota comne Isola del Telegrafo.[15]

Nel corso del diciannovesimo secolo gli inglesi firmarono una serie di trattati bilaterali con i governanti di singoli regni arabi che conferivano alla Gran Bretagna il controllo sulle loro relazioni estere e la rendevano responsabile della loro difesa. Dalla metà del diciannovesimo secolo in poi, la posizione dominante britannica sulla regione fu rafforzata da una presenza militare navale. La posizione fu mantenuta anche nel XX secolo fino alla fine degli anni '50 quando la presenza britannica nella regione fu soggetta a crescenti critiche man mano che le idee nazionaliste arabe si facevano strada.[16]

Nel 1970 mentre la Gran Bretagna si apprestava a ritirarsi dalla regione, il quartier generale delle forze britanniche del golfo (British Forces Gulf o BFG) eseguì quella che fu l'ultima operazione militare unilaterale del Regno Unito nel mondo arabo, che venne chiamata in codice Operazione Intradon. Il fulcro dell'operazione era la penisola di Musandam, che nominalmente faceva parte del Sultanato dell'Oman, ma che era stata lasciata a se stessa. La sua comunità locale, costituita principalmente della tribù Shihuh, aveva una forte connotazione indipendentista e non riconosceva l'autorità dell'Oman, inoltre il Musandam, per la sua posizione strategica di fronte allo stretto di Hormuz, era di grande interesse anche per tre degli sceicchi che governavano gli Stati della Tregua, quelli di Abu Dhabi, Sharjah e Ras al Khaimah. Nell'aprile 1970 fonti locali dell'intelligence britannica affermarono che una cellula ribelle si stava creando nel Musandam. Nel novembre 1970 il BFG segnalava la potenziale presenza di venti guerriglieri addestrati che avevano reclutato una forza di settanta simpatizzanti Shihuh e, secondo quanto riferito, stavano pianificando una serie di attacchi negli Stati della Tregua, incluso uno mirato nel rovesciare l'emiro Khalid III bin Muhammad al-Qasimi di Sharjah. Il 23 novembre 1970 il comandante del BFG, il maggiore generale Sir Roland Gibbs, presentò un piano al Ministro della Difesa e ai capi di stato maggiore del Regno Unito. Nelle discussioni che seguirono il piano inziale di Gibbs fu ridimensionato e fu concordata un'azione ridotta con l'obiettivo di interrompere, piuttosto che eliminare, le attività dei ribelli e preparare l'introduzione della gendarmeria dell'Oman per imporre l'autorità del Sultanato sulla regione. L'operazione ebbe luogo dal 17 dicembre 1970 al 30 aprile 1971 e venne portata avanti dal 22º Reggimento delle SAS e dal corpo dei Trucial Oman Scouts (TOS). Nella sostanza l'operazione Intradon fu inconcludente. Né la 22 SAS né i TOS hanno incontrato guerriglia o resistenza armata durante l'operazione anche se l'introduzione sia del wali (governatore) del Sultano che della gendarmeria si è rivelata più complicata del previsto. L'operazione inoltre fu sgradita dagli emirati arabi e le tensioni tra l'Oman e gli Emirati Arabi Uniti su Musandam persistettero a lungo anche successivamente e tra il 1977 e il 1979 si verificò una situazione critica tra i due stati che minacciò di finire in una guerra di confine. In termini strategici, sebbene fosse basata su informazioni di intelligence difettose, Intradon ebbe l'effetto indiretto di garantire il controllo dell'Oman sul Musandam e assicurò che almeno la costa meridionale dello Stretto di Hormuz fosse sotto il controllo di un sistema politico filo-occidentale.[17]

Geografia[modifica | modifica wikitesto]

La penisola di Musandam si trova nel vertice nord-occidentale della penisola arabica, fra il golfo Persico a ovest, il golfo di Oman a est e la costa meridionale dell'Iran a nord, formando quindi lo stretto di Hormuz. La penisola ha una lunghezza totale di circa 90 km ed una larghezza di circa 35 km nella parte centro meridionale, mentre nella parte settentrionale è molto piu stretta ed incisa profondamente da due tortuose insenature, il Khawr Al-Shamm[18]a ovest e il Ghubbat Al Ghazīrah[19] a est che arrivano quasi a congiungersi separando in due la penisola e lasciando un tratto di terra di poche centinaia di metri che unisce la parte settentrionale della penisola con quella centro-meridionale. Le scogliere che delimitano i due bracci di mari raggiungono altezze comprese tra 900 e 1.200 metri e digradano ripidamente verso il mare, formando una costa estremamente frastagliata e rocciosa che rendono queste acque pericolose per la navigazione.[20]

Dal punto di vista orografico la penisola costituisce la parte piu settentrionale della catena dei Monti Ḥajar e per questo motivo è anche chiamata Ru'us Al Jibal che in lingua locale significa "Testa (o Capo) dei monti".[20] La cima più alta della regione è il Jabal Jais che si trova sul confine fra Oman e Ra's al-Khayma e misura 1.911 m slm.

Il territorio della penisola presenta una morfologia per lo più montagnosa e le uniche aree pianeggianti si trovano nella zona sud-occidentale lungo la costa del golfo Persico. Altre due piccole aree pianeggianti sono nella zona di Dibba a sud-est e in quella di Khasab nella punta nord-ovest.

Dal punto di vista amministrativo, la maggior parte della penisola è occupata dal Governatorato di Musandam dell'Oman, la parte costiera sud-occidentale è occupata dall'Emirato di Ra's al-Khayma e una piccola parte sul golfo di Oman, nella zona sud-orientale, nota come Dibba, è suddivista fra Dibba Al-Fujairah, appartenente all'Emirato di Fujaira, Dibba Al-Hisn, appartenente all'Emirato di Sharjah e Dibba Al-Baya, appartenente al Governatorato di Musandam.

I centri abitati sono concentrati principalmente lungo la costa. Non vi sono strade nella parte interna e quindi molti villaggi costieri possono essere raggiunti solo via mare. Nel 2019 è stata costruita la strada O2, chiamata Khasab Coastal Road, che partendo dal posto di confine di Ras Al Dahrah sull'autostrada E 11 unisce Khasab a Ras al Khaimah.[21]

I principali centri abitati sono:

  • nell'Oman
    • Khasab, nel nord della penisola, è il principale centro della penisola e capitale del governatorato di Musandam;
    • Daba Al Bayah nella zona sud-orientale;
    • Kumzar sull'estremo nord affacciata sullo stretto di Hormuz;
    • Bukha, un villaggio di pescatori sulla costa occidentale;
  • negli Emirati
    • Ras Al Khaimah, sulla costa occidentale, capitale dell'omonimo emirato;
    • Al Jeer, porto turistico sulla costa occidentale, a confine con il governatorato di Musandam;
    • Khor Khwair, zona industriale sulla costa occidentale, a circa 25 km a nord di Ras Al Khaimah;
    • Sha'am, villaggio di pescatori sulla costa occidentale, a nord di Ras Al Khaimah;
    • Dibba Al-Fujairah, sulla costa orientale, appartenente all'Emirato di Fujaira;
    • Dibba Al-Hisn, sulla costa orientale, exclave appartenente all'Emirato di Sharjah.

Popolazione[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j Christina van der Wal Anonby, A grammar of Kumzari : a mixed Perso-Arabian language of Oman, Leiden University, 2015, p. 7-12. URL consultato il 1º settembre 2023.
  2. ^ a b c Christina van der Wal Anonby, A grammar of Kumzari : a mixed Perso-Arabian language of Oman, Leiden University, 2015, p. 14-16. URL consultato il 1º settembre 2023.
  3. ^ Ibrahim Abed, Peter Hellyer, United Arab Emirates: A New Perspective, Trident Press Ltd, 2001, pp. 80-83, ISBN 1900724472.
  4. ^ Qarmatians: The sacrilegious sect that desecrated Mecca, su historiaislamica.com. URL consultato il 1º ottobre 2023.
  5. ^ (EN) Curtis E. Larsen, Life and Land Use on the Bahrain Islands: The Geoarchaeology of an Ancient Society, University of Chicago Press, 1983, pp. 65-68, ISBN 978-0-226-46905-8.
  6. ^ Khodadad Rezakhani, The Kingdom of Hormuz, su iranologie.com. URL consultato il 3 ottobre 2023.
  7. ^ Moneta d'oro risalente al XV secolo che veniva utilizzata in alcune regioni islamiche del Medio Oriente, dell'Asia centrale e dell'Asia meridionale.
  8. ^ ALBUQUERQUE, ALFONSO DE, su iranicaonline.org. URL consultato il 5 ottobre 2023.
  9. ^ Willem Floor, HORMUZ ii. ISLAMIC PERIOD, su iranicaonline.org. URL consultato il 5 ottobre 2023.
  10. ^ John Peterson, Historical Muscat: An Illustrated Guide and Gazetteer, BRILL, 2007, pp. 8, 48, 69, 70, 118, ISBN 9004152660.
  11. ^ Samuel Barrett Miles, The countries and tribes of the Persian Gulf (PDF), Harrison and sons, London, 1919., p. 193-197.
  12. ^ (EN) Mario1952/Sandbox8, in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. URL consultato il 18 ottobre 2023.
  13. ^ Frauke Heard-Bey, From Trucial States to United Arab Emirates: a society in transition, Longman, Harlow, Essex, 1982, p. 82, ISBN 0582780322.
  14. ^ Frauke Heard-Bey, From Trucial States to United Arab Emirates: a society in transition, Longman, Harlow, Essex, 1982, p. 69, 82, ISBN 0582780322.
  15. ^ Telegraph Island The Indo-European Telegraph 1863-65, su atlantic-cable.com. URL consultato il 22 ottobre 2023.
  16. ^ Louis Allday, The British in the Gulf: An overview, su qdl.qa, 2014. URL consultato il 23 ottobre 2023.
  17. ^ Geraint Hughes, The Forgotten Intervention: Operation Intrados, the Musandam Peninsula, and the End of the British Empire in the Gulf, su defenceindepth.co, 2023. URL consultato il 23 ottobre 2023.
  18. ^ Elphinstone Inlet, su getamap.net.
  19. ^ Ghubbat al Ghazira, su getamap.net.
  20. ^ a b (EN) Mario1952/Sandbox8, in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. URL consultato il 27 agosto 2023.
  21. ^ How to travel the scenic Khasab Coastal Road, su dangerousroads.org. URL consultato il 28 agosto 2023.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  • The Musandam Association, su musandam.org.uk. URL consultato il 29 agosto 2023.
  • Bait Al-Qufl, su musandam.info. URL consultato il 29 agosto 2023 (archiviato dall'url originale il 26 marzo 2012).

Dubai Holding[modifica | modifica wikitesto]

Struttura del Gruppo[modifica | modifica wikitesto]

La Dubai Holding è strutturata in cinque compagnie:

  • Dubai Holding Assett Management, gestisce una serie di assett della compagnia relativi a distretti commerciali, outlet, business park e comunità residenziali. Fra questi:[1]
    • Dubai Internet City;[2]
    • Dubai Outsource City;[3]
    • Dubai Media City;[4]
    • Dubai International Academic City;[5]
    • Dubai Industrial City ;[6]
    • Bluewaters;[7]
    • Jumeirah Beach Residence;[8]
    • The Outlet Village;[9]
    • Layan;[10]
    • Rahaba Residences;[11]
  • Dubai Holding Real Estate, gestisce le attività di sviluppo immobiliare nell'Emirato. Offre una vasta gamma di comunità residenziali nonché un portafoglio di vendite di terreni. Fra le sue componenti si trovano:[12]
  • Dubai Holding Hospitality, gestisce servizi alberghieri e di ristorazione sia attraverso strutture proprie che mediuante partnership strategiche con i principali operatori alberghieri di tutto il mondo. Inoltre fornisce servizi di formazione professionale nel settore alberghiero tramite la propria struttura chiamata Emirates Academy of Hospitality Management.[16]
    • Jumeirah Hotels and Resorts è la principale azienda del gruppo e gestisce oltre 40 hotel a livello nazionale e internazionale nonchè attivita di ristorazione tramite marchi locali e internazionali.[17]
    • Emirates Academy of Hospitality Management (EAHM) ;[18]
  • Dubai Holding Entertainment, sviluppa e gestisce alcune fra le principali piattaforme di media e intrattenimento di Dubai. Possiede la più grande rete radiofonica della regione, l'Arabian Radio Network (ARN) e alcune fra le più importanti strutture di intrattenimento fra cui Ain Dubai, la ruota panoramica più alta del mondo. Fra le strutture gestite si trovano:[19]
  • Dubai Holding Investments; è il veicolo dedicato che sviluppa e implementa la strategia di investimento e diversificazione del Gruppo attraverso l'esecuzione di Joint venture, fusioni, acquisizioni e cessioni. Fra gli investimenti più significativi si hanno:[25]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Dubai Holding Assett Management, su dubaiholding.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  2. ^ The Region’s Thriving Tech Hub, su dic.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  3. ^ A strategic outsourcing and shared services hub, su dubaioutsourcecity.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  4. ^ Dubai Media City, su dmc.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  5. ^ MENA’s educational hub, su diacedu.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  6. ^ Serving the UAE’s growing industrial sector, su dubaiindustrialcity.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  7. ^ Bluewaters, su bluewatersdubai.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  8. ^ Jumeirah Beach Residence, su dubairetail.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  9. ^ The Outlet Village, su theoutletvillage.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  10. ^ Layan, su dubaiam.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  11. ^ Rahaba Residences, su dubaiam.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  12. ^ Dubai Holding Real Estate, su dubaiholding.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  13. ^ Dubai Properties, su dp.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  14. ^ Meraas, su meraas.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  15. ^ Ejadah, su ejadah.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  16. ^ Dubai Holding Hospitality, su dubaiholding.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  17. ^ Jumeirah Hotels and Resorts, su jumeirah.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  18. ^ Emirates Academy of Hospitality Management, su emiratesacademy.edu. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  19. ^ 'Dubai Holding Entertainment, su dubaiholding.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  20. ^ Ain Dubai, su aindubai.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  21. ^ Global Village, su globalvillage.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  22. ^ Dubai Parks and Resorts, su dubaiparksandresorts.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  23. ^ Arabian Radio Network, su arn.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  24. ^ Roxy Cinemas, su theroxycinemas.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  25. ^ Dubai Holding Investments, su dubaiholding.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  26. ^ Azaeda, su azadea.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  27. ^ Merex Investment, su merexinvestment.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  28. ^ Rove Hotels, su rovehotels.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  29. ^ Dubai Waste Management Centre, su dwmc.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  30. ^ du, su du.ae. URL consultato il 1º gennaio 2023.

Prove[modifica | modifica wikitesto]

Template:Nota disambigua2

4.2857142857143

4,29

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Palm Cove Canal[modifica | modifica wikitesto]

28 apr 2008

Dubai: Master-developer Nakheel on Monday began flooding the first of four waterways in Waterfront, Palm Cove Canal, which will have a capacity of 4.2 million cubic metres of water.

Matt Joyce, Nakheel managing director for Waterfront, described the flooding as a "major milestone" in Waterfront's development.

"When complete, Palm Cove Canal will boast five marinas, miles of boardwalks and an integrated transport system.

"The flooding of the canal marks the first step in bringing this waterfront community to life," he said. Running parallel to the coastline, Palm Cove Canal will take around two weeks to fill completely. The canal itself is 140 metres wide and eight kilometres long. Joyce said that all four waterways, including Palm Cove Canal, Waterfront City Harbour Canal, Southern Harbour Canal and a section of the Arabian Canal, will be connected by 2009. Palm Cove Canal will have eight vehicle bridges and two pedestrian bridges on completion at the end of 2008. In line with Nakheel's vision of producing sustainable communities, a full study is underway by marine specialists to ensure the breakwaters do not disturb the natural offshore reef. Waterfront is the world's largest waterfront development and will transform 1.4 billion square feet of desert and sea into a city which will house 1.5 million people. Waterfront currently makes up around 65 per cent of Nakheel's total landbank. Measuring 13 kilometres by 7.5 kilometres, it will be twice the size of Hong Kong island and bigger than Manhattan and Beirut. The development of Waterfront is well underway with 60 per cent of civil engineering, infrastructure and utilities complete in the 700 hectares of Madinat Al Arab. "There is enough real estate under construction to house 750,000 people," Joyce said. Waterfront: Major features

  • Total area: 14,000 hectares
  • Madinat Al Arab: 700 hectares
  • Canal district: 240 hectares
  • Boulevard Park: 100 hectares
  • Quay wall: Spanning 3,350 linear metres
  • Five marinas: Covering an area of 82 hectares
  • Badra residential area: 1,042 apartments and 146 townhouses
  • Veneto residential area: 1,400 villas and townhouses and 1,200 low-rise apartments


Traduzione Palm Cove Canal[modifica | modifica wikitesto]

28 apr 2008

Dubai: Lunedì il caposviluppatore Nakheel ha iniziato ad allagare il primo dei quattro corsi d'acqua di Waterfront, il Palm Cove Canal, che avrà una capacità di 4,2 milioni di metri cubi d'acqua.

Matt Joyce, amministratore delegato di Nakheel per Waterfront, ha descritto l'inondazione come una "pietra miliare importante" nello sviluppo di Waterfront.

"Una volta completato, Palm Cove Canal vanterà cinque porti turistici, chilometri di passerelle e un sistema di trasporto integrato.

"L'inondazione del canale segna il primo passo per dare vita a questa comunità sul lungomare", ha detto.

Correndo parallelamente alla costa, il Palm Cove Canal impiegherà circa due settimane per riempirsi completamente. Il canale stesso è largo 140 metri e lungo otto chilometri.

Joyce ha affermato che tutti e quattro i corsi d'acqua, tra cui Palm Cove Canal, Waterfront City Harbour Canal, Southern Harbour Canal e una sezione dell'Arabian Canal, saranno collegati entro il 2009.

Il Palm Cove Canal sarà completato alla fine del 2008 con otto ponti per veicoli e due ponti pedonali.

In linea con la visione di Nakheel di produrre comunità sostenibili, è in corso uno studio completo da parte di specialisti marini per garantire che i frangiflutti non disturbino la barriera corallina naturale al largo.

Waterfront è il più grande sviluppo di lungomare del mondo e trasformerà 1,4 miliardi di piedi quadrati di deserto e mare in una città che ospiterà 1,5 milioni di persone.

Waterfront attualmente costituisce circa il 65 per cento della terraferma totale di Nakheel.

Misurando 13 chilometri per 7,5 chilometri, sarà il doppio dell'isola di Hong Kong e più grande di Manhattan e Beirut.

Lo sviluppo di Waterfront è ben avviato con il 60% di ingegneria civile, infrastrutture e servizi pubblici completati nei 700 ettari di Madinat Al Arab.

"Ci sono abbastanza immobili in costruzione per ospitare 750.000 persone", ha detto Joyce.

Arabian Canal[modifica | modifica wikitesto]

Hundreds of machines bite the ground in the UAE’s most challenging project to date.

Think of the Panama Canal. Built over a whole decade it was one of the largest civil engineering projects known to man. Massive in length, the 33-metre wide trench came at a high cost in dollars, and due to a malaria outbreak, in lives too.

Around 268,000,000 cubic yards were scooped out during the original excavations.

Now, imagine a project closer to home that is set to scoop out an amazing four times the amount of debris. The Arabian Canal is set to run through more than 75 kilometers of desert and proclaims itself to be the biggest project of its type so far, anywhere.

The canal will be fully navigable, though there won’t be any commercial use for it. Instead it will bring ‘waterfront living’ to around one and a half million people as the emirate runs out of plots alongside the real coast and creek.

Obviously, a canal of this scale is not going to be cheap, nor is it going to happen overnight. The project is valued at about US $6 billion – a staggering amount by anybody’s reckoning.

Over the next fifteen years, the earthworks are planned over ten phases, though at no point will all ten be running concurrently. Back in September 2007, the contract for the first phase was awarded to Tristar Contracting, who began work in October.

Arriving on the site, you have to marvel at the vastness of the desert. Sand dunes with tufts of willowy grass stretch as far as the eye can see. In fact one of the first tasks the developer had to contend with was to move as much of the wildlife as possible to a nearby reserve.

We are not quite sure how you go about catching Oryx, for example, but apparently it all happened at night time. Still, a flock of camels are herded by a Bedouin man around the perimeter, reminding us of just where we are.

Machines

It doesn’t take a genius to realise that a fairly serious amount of earthmovers are to be needed to shift the volume of sand per day to keep on schedule.

Excavation work on the canal continues at a rate of 100,000 cubic metres per day, with more than 300 pieces of equipment on site. This first phase of work will involve digging 200 million cubic metres of earth: so far around 9 million cubic metres have been moved.

But how? Driving around the site with Ian Raine, project director, we comprehend just how hard the equipment (and operators) have to work to meet target.Bumping along the roughly graded track, we have to dodge fully loaded tipper trucks coming the other way at the rate of about five per minute.

Interestingly, the spoil is destined for landscaping the waterside city, with vast peaks and ridges all part of the masterplan, including valleys and hills up to 200 metres high.

These will stretch for 9 km, following the route of the waterway, though the sheer amount of loose material involved must surely create some logistical problems for the contractor.

Next, we travel though a tunnel beneath the new Dubai bypass, and as the road rises out of the other side, we are greeted with an awe-inspiring sight.

Dozens, perhaps hundreds of bulldozers crawl all over the bottom of an enormous pit. With them is a phalanx of wheel-loader as well as a supporting cast of heavy trucks, fuel tankers and various small equipment. Let’s take a look at the operation in closer detail;

Bulldozer

The ground is ripped with one of the many bulldozers. Official data shows that there are currently 91 such machines involved in this project, and all of them as far as we could tell, used a single-shank ripper. Most of them carry U-type blades with curved edges for moving spoil.

The vast majority were Cat D8 and D9s. The D8 is one of the region’s most popular ‘dozers, because the operating weight means that it can be transported without the need for dismantling.

Interestingly, the D8 line dates back as far as 1935, with the RD8 becoming the D8 in 1937 and thus starting Cat’s famous numbering system which still continues today. As far as we could tell, there were no machines here more than a year or two old – and the majority look brand new. Since 2004, the D8T has been produced with the ACERT engine, replacing the D8R which had been produced in two series since 1996.

Complementing the D8s were a score of D9s. These great machines have an operating weight of 47 tonnes and an blade with about 21.4 cubic yards, however, they were dwarfed by the largest newcomer to the site – the Komatsu D475a.

Heavy weight

Those with an interest in bulldozers will tell you that the D475a Super Dozer is the pretty much the largest on the market, with only it’s bigger brother, the D575a being heavier.

With an operating weight of 103 tonnes, the D475a is generally to be found in quarries or opencast mines, which in a way the canal is. At a certain level, the ground consists of limestone, and even the biggest ‘dozers struggle to rip through it. We watch as a Komatsu, with it’s shank right down, revs and jostles back and forward until the subsurface rock breaks.

At the edge of the site, a new d475a is being assembled. Clearly a machine weighing more than 100 tonnes doesn’t arrive fully assembled, and this one was waiting for the blade to be attached.

Large projects like this generally have a delivery schedule, with machines often ordered years in advance so they arrive when needed throughout the duration of the build. Loader

After the ground has been ripped and the spoil ‘dozed into piles, it is then cleaned up by one the many wheel loaders working on site. There are several types and sizes here, but we were struck by the speed and efficiency of one operator in a Komatsu W470-6.

Each truck being loaded needed seven passes, requiring the machine to load, reverse, pivot, turn, raise bucket and dump load. Although this was a tricky operation to do fast and well, the driver made the it look like one fluid motion.

Water

One thing you might not expect when digging in a desert is problems with water flooding the site. It is in way inevitable, but the sight of water gushing out of hot sand is very strange indeed. To this end, the contractors have brought in some de-watering plant.

A giant trencher, or continuous excavator hollows a narrow ditch that is designed to fill with the sub-surface water, which is then pumped dry by a string of diesel-powered dewatering pumps. Once the water is removed, the other machines can rip down to the level of the trench over the rest of the site area, so the process can begin again.

Ian Raine observed that some of the biggest challenges are the logistics involved in running such a number of machines on the same site.

This is hardly surprising, as the scores of different machines have to sychronise, like some kind of savage metal ballet in order to achieve the sort of efficiency required to stay on target.

To this end, the machines have their data and movements logged on computer, which also provides the site manager with periodic progress reports.

Heavy weight

One of the reasons why the canal has to be so deep is so that large cruisers can navigate the waterway. The Arabian Canal will have two sets of locks, one at either side of the canal, which will be different from traditional locks as they will act as tidal control gates, rather than raising or lowering the water levels. It is essential for the water to flow to stop it stagnating.

Equally importantly, the sides must be satisfactorily engineered to prevent collapses or seasonal flooding. Speaking in the year, Robert Hudson, regional director for Mouchel, a UK-based engineering consultancy group that is working on projects in the area, said the Arabian Canal was a remarkable feat of engineering.

“One of the main challenges will be to do with the ground conditions and depend on what they find when they dig. It’s going to have huge cliffs. There are not many 70m cuttings in this sort of material.” All the same, there will be machines on this site for a long time to come.

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Rashid bin Matar Al Qasimi[modifica | modifica wikitesto]

Rashid bin Matar Al Qasimi
Emiro di Ras al-Khaima
In carica1747 –
1777
PredecessoreRahma bin Matar Al Qasimi
SuccessoreSaqr I bin Rashid al-Qasimi
Mortedopo il 1777
DinastiaAl Qasimi
PadreRahma bin Matar al-Qasimi

Rashid bin Matar Al Qasimi (in arabo راشد بن مطر القاسمي?; ...), è stato emiro di Sharja e Ras al-Khaima dal 1747 al 1777 e capo della federazione marittima di al-Qasimi[1].

Biografia a[modifica | modifica wikitesto]

Rashid bin Matar Al Qasimi successe al fratello Rahma bin Matar Al Qasim nel 1747 in un periodo di grandi movimenti militari e politici nel Golfo Persico.

Nel 1747 a seguito dell'assassinio dello scià di Persia Nadir Shah ci fu un periodo di grande confusione e conflitti che riguardarono il territorio dell'impero Afsharide e del Golfo Persico. In questa situazione molti capi locali dichiararono la loro indipendenza dalla autirita centrale e crearono dei loro propri domini. Il comandante della flotta persiana, Mulla Ali Shah, nel tentativo di difendersi dalla crescente pressione interna esercitata contro di lui da Nasser Khan, governatore di Lar, strinse una alleanza con Rashid bin Matar.[2] Questa alleanza, sugellata dal matrimonio dello sceicco Qasimi con una delle figlie di All Shah, portò grandi vantaggi ai Qasimi, rendendo la loro flotta la più potente del golfo Persico.[3]

Nel 1755 Rashid insieme al Mulla Ali Shah attaccarono e presero Qishm e Luft.[4]

Nel 1758 e nel 1760 Rashid fu in guerra con Ahmed bin Sa'id Imam dell'Oman.[5]

Nel 1777, Rashid abdicò in favore di suo figlio, Saqr bin Rashid.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ LorimerOp. citata, pag. 755
  2. ^ D. T. Potts, BANDAR-E LENGA, in Encyclopaedia Iranica. URL consultato il 9 marzo 2024.
  3. ^ Mubarak Al-OtabiOp. citata, pag. 27-28
  4. ^ Sultan Muhammed Al-QasimiOp. citata, pag. 26
  5. ^ LorimerOp. citata, pag. 135

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]