Stella: differenze tra le versioni

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[[Immagine:Tausco.jpg|thumb|220px|left|Il campo magnetico superficiale di [[Tau Scorpii]] ricostruito tramite la tecnica dello ''[[Zeeman-Doppler imaging]]''.]]
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Il [[campo magnetico]] di una stella è generato all'interno della [[zona convettiva]], nella quale il plasma, messo in movimento dai [[convezione|moti convettivi]], si comporta come una [[dinamo]]. L'intensità del campo varia in relazione alla massa e alla composizione dell'astro, mentre l'attività magnetica dipende dalla velocità di [[rotazione stellare|rotazione]] della stella. Un risultato dell'attività magnetica sono le caratteristiche [[macchia solare|macchie]] fotosferiche, regioni a temperatura inferiore al testo della [[fotosfera]] in cui il campo magnetico si presenta particolarmente intenso. Altri fenomeni strettamente dipendenti dal campo magnetico sono gli [[anello coronale|anelli coronali]] ed i [[flare]].<ref name="JJames">{{cita web | cognome=Brainerd | nome=Jerome James | data=[[6 luglio]] [[2005]]| url=http://www.astrophysicsspectator.com/topics/observation/XRayCorona.html | titolo=X-rays from Stellar Coronas | editore=The Astrophysics Spectator | accesso= 2007-06-21 }}</ref>
Il [[campo magnetico]] di una stella è generato all'interno della sua [[zona convettiva]], nella quale il plasma, messo in movimento dai [[convezione|moti convettivi]], si comporta come una [[dinamo]]. L'intensità del campo varia in relazione alla massa e alla composizione della stella, mentre l'attività magnetica dipende dalla sua velocità di [[rotazione stellare|rotazione]]. Un risultato dell'attività magnetica sono le caratteristiche [[macchia solare|macchie]] fotosferiche, regioni a temperatura inferiore rispetto al testo della [[fotosfera]] in cui il campo magnetico si presenta particolarmente intenso. Altri fenomeni strettamente dipendenti dal campo magnetico sono gli [[anello coronale|anelli coronali]] ed i [[flare]].<ref name="JJames">{{cita web | cognome=Brainerd | nome=Jerome James | data=[[6 luglio]] [[2005]]| url=http://www.astrophysicsspectator.com/topics/observation/XRayCorona.html | titolo=X-rays from Stellar Coronas | editore=The Astrophysics Spectator | accesso= 2007-06-21 }}</ref>


Le giovani stelle, che tendono ad avere una velocità di rotazione molto alta, hanno un'attività magnetica molto intensa. I campi magnetici possono influire sui [[vento solare|venti stellari]] arrivando ad agire come dei "freni" che rallentano progressivamente la [[rotazione]] della stella man mano che essa compie il proprio percorso evolutivo. Per questo motivo le stelle non più giovani, come il Sole, compiono la propria rotazione in tempi più lunghi e presentano un'attività magnetica minore; i loro livelli di attività tendono a variare in maniera ciclica e possono cessare completamente per brevi periodi di tempo.<ref name="Berdyugina">{{cita web | cognome = Berdyugina | nome = Svetlana V. | anno=2005 | url =http://solarphysics.livingreviews.org/Articles/lrsp-2005-8/ | titolo =Starspots: A Key to the Stellar Dynamo | editore =Living Reviews | accesso = 2007-06-21}}</ref> Un esempio è dato dal [[minimo di Maunder]], durante il quale il Sole andò incontro ad un settantennio di attività minima, in cui il numero delle macchie fu esiguo, se non quasi assente.
Le giovani stelle, che tendono ad avere una velocità di rotazione molto alta, hanno un'attività magnetica molto intensa. I campi magnetici possono influire sui [[vento solare|venti stellari]] arrivando ad agire come dei "freni" che rallentano progressivamente la [[rotazione]] della stella man mano che essa compie il proprio percorso evolutivo. Per questo motivo le stelle non più giovani, come il Sole, compiono la propria rotazione in tempi più lunghi e presentano un'attività magnetica meno intensa. I loro livelli di attività tendono a variare in maniera ciclica e possono cessare completamente per brevi periodi di tempo;<ref name="Berdyugina">{{cita web | cognome = Berdyugina | nome = Svetlana V. | anno=2005 | url =http://solarphysics.livingreviews.org/Articles/lrsp-2005-8/ | titolo =Starspots: A Key to the Stellar Dynamo | editore =Living Reviews | accesso = 2007-06-21}}</ref> un esempio fu il [[minimo di Maunder]], durante il quale il Sole andò incontro ad un settantennio di attività minima, in cui il numero delle macchie fu esiguo, se non quasi assente per diversi anni.<ref name="Vaquero">{{cita pubblicazione | autore=J. M. Vaquero|coautori= F. Sánchez-bajo, M. C. Gallego | titolo=A Measure of the Solar Rotation During the Maunder Minimum | rivista= Solar Physics | anno=2002 | volume=207 | numero=2 | pagine=219 | doi= 10.1023/A:1016262813525}}</ref>


=== Rotazione ===
=== Rotazione ===

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(IT)

«Attraverso le asperità alle stelle.»

A parte il Sole, le stelle sono così lontane da essere visibili solo come punti di luce, nonostante il loro diametro sia di milioni di chilometri. Nell'immagine, la Nube di stelle del Sagittario (M24), un ammasso aperto nella costellazione del Sagittario.

Una stella è un corpo celeste che brilla di luce propria. Il termine in astronomia si riferisce propriamente ad un'enorme e luminosa sfera di plasma (gas altamente ionizzato ad elevate temperature) che genera energia nel proprio nucleo attraverso processi di fusione nucleare; tale energia è irradiata nello spazio sotto forma di onde elettromagnetiche e neutrini.[1] Buona parte degli elementi chimici più pesanti dell'idrogeno e dell'elio (i più abbondanti nell'Universo) vengono sintetizzati nei nuclei delle stelle tramite il processo di nucleosintesi.

La stella più vicina alla Terra è il Sole, sorgente di gran parte dell'energia del nostro pianeta. Le altre stelle, ad eccezione di alcune supernovae,[2] sono visibili solamente durante la notte [3] come dei puntini luminosi, che appaiono tremolanti a causa degli effetti distorsivi operati dall'atmosfera terrestre (seeing).[4]

Sono oggetti dotati di una massa considerevole, che varia da un minimo di 0,08 (1,5913 × 1029 kg) [5] ad un massimo di 120-200 (circa 3,9782 × 1032 kg)[6] masse solari (M); gli oggetti con una massa inferiore a 0,08 M sono detti nane brune, oggetti a metà strada tra stelle e pianeti che non producono energia tramite la fusione nucleare, mentre non sembrano esistere stelle di massa superiore a 200 M per via del limite di Eddington.[7] Anche le dimensioni sono soggette a variazione: dai pochi km delle stelle degeneri, veri e propri "relitti stellari" (nane bianche, stelle di neutroni e buchi neri), ai miliardi di km delle supergiganti, come ad esempio Betelgeuse (630 raggi solari - R -, circa un miliardo di km). Allo stesso modo variano le luminosità, comprese tra 10-4 e × 106-107 luminosità solari (L).

Gli astronomi sono in grado di determinare diverse caratteristiche delle stelle, come massa, età, composizione chimica e via dicendo, osservandone spettri, luminosità e moti attraverso lo spazio. La massa è forse la proprietà più importante, poiché riveste un ruolo fondamentale nell' evoluzione e nel destino finale dell'astro; altre caratteristiche, quali diametro, rotazione, moti interni e temperature superficiali (e di conseguenza il colore), sono determinate dallo stadio evolutivo in cui si trova. Una rappresentazione grafica che mette in relazione luminosità e temperatura superficiale, nota come diagramma Hertzsprung-Russell (diagramma H-R), consente di determinare con una certa precisione l'età e lo stadio evolutivo di ciascuna stella.

Le stelle si presentano, oltre che singolarmente, anche in sistemi costituiti da due (stelle binarie) o più componenti (sistemi multipli), legate dalla forza di gravità, che generalmente orbitano attorno ad un comune centro di massa secondo traiettorie abbastanza stabili.[8] Un buon numero di stelle convive in associazioni o ammassi stellari (suddivisi in aperti e globulari), a loro volta raggruppati, insieme a stelle singole e nubi di gas e polveri, in addensamenti ancora più estesi, che prendono il nome di galassie.[9]

Etimologia

Due sono le principali etimologie del termine "stella".[10] La prima etimologia, proposta dal linguista tedesco Adalbert Kuhn, sostiene che "stella" derivi dal latino stella (originariamente sterla), forma sincopata di sterula, che deriva forse dall'ittita shittar e dal sanscrito सितारा (sitara), la cui radice sit- è comune col verbo che significa spargere; secondo quest'etimologia "stella" significherebbe sparsa (per il firmamento).[10] Altri studiosi ritengono che derivi da un arcaico astella, a sua volta derivato dal greco ἀστήρ (astér, in latino astrum), che mantiene la radice indoeuropea as-, di accezione balistica; secondo questa seconda etimologia "stella" significherebbe che scaglia (raggi di luce).[10]

Storia delle osservazioni

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia dell'astronomia.

Origini

Lo stesso argomento in dettaglio: Archeoastronomia.
La scia di stelle della Via Lattea, che da sempre ha affascinato le popolazioni umane.

L'uomo, fin dalle sue origini, ha sentito la necessità di ricercare nella volta celeste delle possibili correlazioni tra le proprie vicende ed i fenomeni cosmici. Da questa ancestrale esigenza e dalla fantasia e creatività tipiche dell'essere umano nacquero le costellazioni,[11] che rispondevano ad una serie di requisiti sia di tipo pratico che religioso.

Risalgono al Paleolitico tracce di culti religiosi attribuiti a particolari asterismi, come quello della "Grande Orsa".[12] Studi recenti sostengono che già nel Paleolitico superiore (circa 16 000 anni fa) fosse sviluppato un sistema di venticinque costellazioni.[11]

Nel Neolitico, per meglio memorizzare gli astri, vennero attribuiti agli asterismi somiglianze e nomi, non sempre antropomorfi, alludenti ad aspetti ed elementi della vita agricola e pastorale.[11]

Le prime conoscenze astronomiche dell'uomo preistorico, che riteneva le stelle dei puntini immutabili "incastonati" nella sfera celeste, consistevano essenzialmente nella previsione dei moti del Sole, della Luna e dei pianeti sullo sfondo delle stelle fisse.[13] Un esempio di questa "protoastronomia" è dato dagli orientamenti, secondo un senso astronomico, dei primi monumenti megalitici, come il famoso complesso di Stonehenge, a dimostrare l'antico legame dell'uomo col cielo, ma anche l'ottima capacità di precisione delle osservazioni.
Il moto apparente del Sole sullo sfondo delle stelle fisse e dell'orizzonte fu utilizzato per redigere calendari, impiegati per regolare le pratiche agricole.[14]

Età antica e Medioevo

Il sistema delle costellazioni fu perfezionato nel II millennio a.C. dalla civiltà babilonese, che diede gli attuali nomi alle costellazioni zodiacali e creò un calendario, incentrato sul susseguirsi dei fenomeni celesti che scandivano il ciclo delle stagioni. Nella zona di Babilonia è stato rinvenuto un elenco con tutte le costellazioni e gli oggetti celesti visibili, che allora erano disposti nel firmamento non molto diversamente dalla loro attuale posizione. La civiltà mesopotamica aveva anche un grande interesse per l'astrologia, considerata una vera e propria scienza.

La civiltà egizia aveva delle elevate conoscenze astronomiche: testimonianza ne è il ritrovamento a Dendera della più antica ed accurata carta stellare, datata al 1534 a.C..[15] Anche i Fenici, popolo di navigatori, avevano buone conoscenze astronomiche. Essi si riferivano già all'Orsa Minore come mezzo di orientamento per la navigazione, e si servivano come indicatore del Nord della Stella Polare, che nel 1500 a.C. doveva essere già molto vicina al Polo Nord celeste.[11]

File:Hipparchos 1.jpeg
Ipparco di Nicea.

La moderna scienza astronomica deve molto all'astronomia greca e a quella romana. 48 delle 88 costellazioni moderne furono codificate e catalogate già nel II secolo d.C. dall'astronomo Claudio Tolomeo, ma ancora prima di lui astronomi del calibro di Eudosso di Cnido (V-IV secolo a.C.) ed Ipparco di Nicea (II secolo a.C.) stilarono cataloghi stellari sulla base di quelli prodotti dalle civiltà precedenti da essi stessi studiate.
Lo stesso Ipparco, assistendo fortunosamente allo scoppio di una nova nella costellazione dello Scorpione, giunse a dubitare dell'immutabilità della sfera celeste. Inoltre egli, avendo notato, dopo attente osservazioni, che la posizione delle costellazioni era mutata rispetto a quanto annotato dagli astronomi precedenti, arrivò a scoprire il fenomeno della precessione degli equinozi, vale a dire il lento ma continuo cambiamento dell'orientamento dell'asse terrestre rispetto alla sfera ideale delle stelle fisse.[11]

Proprio al tempo dei Greci gli asterismi persero la loro iniziale valenza naturalistica assumendone una prettamente mitologica: si devono infatti alla cultura mitologica della Grecia classica i miti e le leggende legati a gran parte delle costellazioni. I Greci assegnarono inoltre i nomi delle divinità dell'Olimpo ad alcune "stelle" particolari, da loro definite πλανήται (planētai, vagabondi), che sembravano muoversi rispetto alle stelle fisse: si trattava dei pianeti del Sistema solare. Ne riconobbero però solo sei, poiché Urano e Nettuno, troppo poco luminosi, erano stati confusi con le stelle fisse.

Durante l'epoca medioevale vi fu un generale periodo di stasi nelle ricerche astronomiche dovuto essenzialmente al fatto che gli astronomi cristiani preferirono accettare la cosmologia aristotelico-tolemaica rinunciando persino alle osservazioni. Si distinsero però in questo periodo gli astronomi islamici, riscopritori e grandi estimatori dell'Almagesto di Tolomeo, che diedero nomi arabi, gran parte dei quali ancora oggi usati, a un gran numero di stelle; inventarono inoltre numerosi strumenti astronomici in grado di tenere in conto la posizione degli astri. Nell'XI secolo l'astronomo Abū Rayhān al-Bīrūnī descrisse la nostra galassia, la Via Lattea, come una moltitudine di frammenti dalle proprietà tipiche delle stelle nebulose, calcolando anche la latitudine di alcune stelle durante un'eclissi lunare avvenuta nel 1019.[16]

Anche gli astronomi cinesi, come Ipparco prima di loro, erano consapevoli del fatto che la sfera celeste non fosse immutabile e vi potessero apparire delle stelle mai viste prima; un esempio a tal proposito è dato dalla supernova (SN 1054) esplosa il 4 luglio 1054, il cui resto è la celebre Nebulosa del Granchio (M1 nella costellazione del Toro).[17][18]

Sviluppi nell' età moderna

I primi astronomi europei dell'epoca moderna, come Tycho Brahe e il suo allievo Johannes Kepler, individuarono nel cielo notturno alcune stelle mai viste in precedenza (che denominarono stellae novae), ritenendo che fossero stelle di nuova formazione; ciò portò anche loro a dubitare dell'immutabilità dei cieli.

Nel 1584 Giordano Bruno ipotizzò che le stelle fossero come altri soli e che attorno ad esse potessero orbitare dei pianeti, probabilmente anche simili alla Terra.[19] L'idea però non era nuova, dato che in precedenza era stata concepita da alcuni filosofi dell'Antica Grecia, come Democrito ed Epicuro;[20] pur inizialmente bollata come eresia, l'ipotesi guadagnò credibilità nei secoli successivi e raggiunse il consenso generale della comunità astronomica. L'ipotesi fu verificata nel 1990, quando fu scoperto il primo sistema planetario extrasolare: PSR B1257+12.[21]

Per spiegare come mai le stelle non esercitassero attrazioni gravitazionali sul Sistema solare, Isaac Newton ipotizzò che le stelle fossero equamente distribuite in ogni direzione. La stessa idea era stata formulata in precedenza dal teologo Richard Bentley, cui forse si ispirò lo stesso Newton.[22]

Ritratto di William Herschel.

L'italiano Geminiano Montanari registrò nel 1667 delle variazioni nella luminosità della stella Algol; contemporaneamente in Inghilterra Edmond Halley pubblicò le prime misurazioni del moto proprio di alcune delle stelle più vicine, dimostrando che la loro posizione era mutata rispetto al periodo in cui erano vissuti Tolomeo ed Ipparco. La prima misurazione diretta della distanza di una stella da terra, operata nel 1838 dal tedesco Friedrich Bessel, fu quella di 61 Cygni; Bessel, servendosi del metodo della parallasse, ottenne come risultato un valore di 11,4 anni luce. Le misurazioni effettuate con tale metodo dimostrarono la grande distanza che intercorre tra una stella e l'altra.[19]

William Herschel fu il primo astronomo a tentare di misurare la distribuzione delle stelle nello spazio. Durante gli anni ottanta del XVIII secolo eseguì una serie di misure in seicento direzioni diverse, contando le stelle contenute in ciascuna porzione del campo visivo. Egli notò che il numero di stelle aumentava man mano che ci si avvicinava in una determinata zona del cielo, coincidente col centro della Via Lattea, nella costellazione del Sagittario. Suo figlio, John Herschel, ripeté le misurazioni nell'emisfero meridionale, giungendo alle stesse conclusioni del padre.[23] Herschel è noto anche per la scoperta dei sistemi binari.

Astronomia stellare nell'Ottocento e nel Novecento

Joseph von Fraunhofer e Angelo Secchi furono i pionieri della spettroscopia stellare. I due astronomi, confrontando gli spettri di alcune stelle (come Sirio) con quello del Sole, notarono delle differenze nello spessore e nel numero delle loro linee di assorbimento. Nel 1865 Secchi iniziò a classificare le stelle in base al proprio tipo spettrale,[24] ma lo schema classificativo attualmente utilizzato fu sviluppato nel corso del Novecento da Annie J. Cannon.

Rappresentazione artistica della nana bianca Sirio B (il punto azzurro a destra) in orbita attorno a Sirio.

Le osservazioni dei sistemi binari crebbero di importanza durante il XIX secolo. Il già citato Bessel osservò nel 1834 delle irregolarità e delle deviazioni nel moto proprio della stella Sirio imputandole ad una compagna invisibile, che fu individuata tempo dopo nella nana bianca Sirio B. Edward Pickering scoprì la prima binaria spettroscopica nel 1899, quando osservò che le linee spettrali della stella Mizar mostravano degli spostamenti regolari in un periodo di 104 giorni. Contemporaneamente le osservazioni dettagliate, condotte su molte stelle binarie da astronomi quali Wilhelm von Struve e Sherburne Wesley Burnham, permisero di determinare le masse delle stelle a partire dai loro parametri orbitali. La prima soluzione al problema di ricavare l'orbita di una stella binaria sulla base delle osservazioni al telescopio fu trovata da Felix Savary nel 1827.[25]

Il ventesimo secolo vide grandi progressi nello studio scientifico delle stelle; un valido aiuto in quest'ambito fu fornito dalla fotografia. Karl Schwarzschild scoprì che il colore di una stella (e dunque la sua temperatura effettiva) potevano essere determinati confrontando la magnitudine rilevata dall'osservazione e quella dalla fotografia. Lo sviluppo della fotometria fotoelettrica consentì delle misurazioni molto precise della magnitudine in molteplici lunghezze d'onda. Nel 1921 Albert A. Michelson eseguì la prima misurazione di un diametro stellare tramite l'utilizzo di un'interferometro montato sul telescopio Hooker dell'osservatorio di Monte Wilson.[26]

Un'importante lavoro dal punto di vista concettuale sulle basi fisiche delle stelle venne svolto nei primi decenni del secolo scorso, grazie anche all'invenzione nel 1913, da parte di Ejnar Hertzsprung e, indipendentemente, Henry Norris Russell, del diagramma H-R. In seguito furono sviluppati dei modelli per spiegare le dinamiche interne e l'evoluzione delle stelle, mentre i progressi conseguiti dalla fisica quantistica consentirono di spiegare con successo le particolarità degli spettri stellari; ciò ha permesso di conoscere e determinare con una certa accuratezza la composizione chimica delle atmosfere stellari.[27]

I progressi tecnologici dell'osservazione astronomica hanno consentito agli astronomi di osservare le singole stelle anche in altre galassie del Gruppo Locale, l' ammasso cui appartiene la nostra Via Lattea.[28][29] Recentemente è stato possibile osservare alcune stelle distinte, per lo più variabili cefeidi,[30] anche in M100, una galassia che fa parte dell' Ammasso della Vergine, posta a circa 100 milioni di anni luce da terra.[31] Al momento non è stato possibile osservare né ammassi stellari né tanto meno singole stelle oltre il Superammasso Locale; l'unica eccezione è stata la debole immagine di un vasto superammasso stellare, contenente centinaia di migliaia di stelle, posto in una galassia distante un miliardo di anni luce da Terra: dieci volte la distanza dell'ammasso stellare più lontano sino ad ora osservato.[32]

Nomenclatura stellare

Lo stesso argomento in dettaglio: Nomenclatura stellare e Catalogo stellare.
La costellazione di Orione nell'atlante Uranometria di Bayer.

La maggior parte delle stelle sono identificate da numeri di catalogo; solo una piccola parte di esse, in genere le più luminose, ha un nome vero e proprio che deriva spesso dalla denominazione originale araba o latina dell'astro. Molti di questi nomi sono dovuti ai miti loro associati,[33] oppure al particolare periodo o alla particolare posizione in cui esse compaiono nella sfera celeste nel corso dell'anno. Un esempio in questo senso è Sirio, il cui nome deriva dal greco σείριος (séirios), che significa ardente, scottatore; infatti gli antichi greci associavano la stella al periodo di maggior caldo durante l'estate, la canicola, poiché dal 24 luglio al 26 agosto l'astro sorge e tramonta con il Sole (levata eliaca), quasi a voler "rafforzare" il già di per sé intenso calore solare.[34]

A partire dal XVII secolo si iniziò a dare alle stelle, in certe regioni del cielo, i nomi delle costellazioni cui appartenevano. L' astronomo tedesco Johann Bayer creò una serie di mappe stellari (raccolte nell'atlante Uranometria) in cui si servì, per denominare le stelle di ciascuna costellazione, delle lettere dell'alfabeto greco seguite dal genitivo del nome della costellazione in latino; questo sistema è noto come nomenclatura di Bayer. In seguito l' astronomo inglese John Flamsteed inventò un nuovo sistema di nomenclature, denominato in seguito nomenclatura di Flamsteed, simile a quello di Bayer, ma basato sull'utilizzo di numeri al posto delle lettere greche. In seguito sono stati adottati numerosi altri sistemi di nomenclatura con l'apparire di nuovi cataloghi stellari.[35]

La sola organizzazione abilitata dalla comunità scientifica a conferire i nomi alle stelle, e più in generale a tutti i corpi celesti, è l'Unione Astronomica Internazionale.[35]

Unità di misura stellari

Gran parte dei parametri stellari sono espressi convenzionalmente secondo le unità di misura del Sistema Internazionale, anche se non di rado vengono utilizzate le unità del sistema CGS (ad esempio, la luminosità viene talvolta espressa in erg al secondo). Massa, luminosità e raggio sono spesso dati in unità solari, un sistema che tiene conto delle caratteristiche del Sole:

Massa solare:  kg[36]
Luminosità solare:  watt[36]
Raggio solare: m[37]

Le grandezze maggiori, come il raggio di una stella supergigante o ipergigante o il semiasse maggiore di un sistema binario, sono spesso espresse in termini di Unità Astronomiche (U.A.), una misura equivalente alla distanza media tra la Terra e il Sole (circa 150 milioni di km).

Classificazione stellare

Lo stesso argomento in dettaglio: Classificazione stellare.
Classificazione spettrale Morgan-Keenan.

La classificazione stellare è generalmente basata sulla temperatura superficiale delle stelle, che può essere stimata mediante la legge di Wien a partire dalla loro emissione luminosa. Le peculiarità degli spettri stellari consentono di dividerle in classi, a ciascuna delle quali è assegnata una lettera; si procede dunque da quelle del tipo O, le più massicce e luminose, a quelle del tipo M, solitamente grandi appena da permettere che abbia inizio la fusione dell'idrogeno nei loro nuclei e talmente fredde da consentire la formazione di molecole nella loro atmosfera. I tipi spettrali più utilizzati sono, in ordine decrescente di temperatura: O, B, A, F, G, K, M (in lingua inglese è stata coniata una frase per ricordare facilmente questa scala: Oh Be A Fine Girl, Kiss Me). Esistono diversi altri tipi spettrali che sono classificati in maniera diversa: i più comuni sono L e T, utilizzati per classificare le stelle meno massicce più fredde e le nane brune.

Ogni tipo spettrale è ulteriormente suddiviso in dieci sottoclassi, da 0 (la più calda) a 9 (la meno calda). Per esempio, il tipo A più caldo è l'A0, che è molto simile al B9, il tipo B meno caldo. Questo sistema dipende strettamente dalla temperatura superficiale della stella, ma perde valore se si considerano le temperature più alte; tant'è che non sembrano esistere stelle di classe O0 ed O1.[38]
Esistono poi alcuni tipi più rari per stelle particolari, come le stelle al carbonio.

Le stelle più comuni sono quelle piccole e rosse, di tipo M. Stelle grandi e luminose, come le O e B, sono molto rare, ma visibili da grandi distanze.

Caratteristiche delle differenti classi spettrali [39]
Classe Temperatura Colore Massa* Raggio* Luminosità* Linee di assorbimento Esempio
O 28 000 - 50 000 °C Azzurro 60 15 1 400 000 N, C, He e O Naos
B 9 600 - 28 000 °C Bianco-azzurro 18 7 20 000 He, H Regolo
A 7 100 - 9 600 °C Bianco 3,1 2,1 80 H Altair
F 5 700 - 7 100 °C Bianco-giallastro 1,7 1,3 6 Metalli: Fe, Ti, Ca, Sr e Mg Procione
G 4 600 - 5 700 °C Giallo 1,1 1,1 1,2 Ca, He, H ed altri Sole
K 3 200 - 4 600 °C Arancione 0,8 0,9 0,4 Metalli + TiO2 α Centauri B
M 1 700 - 3 200 °C Rosso 0,3 0,4 0,04 Come sopra Stella di Barnard

* Le grandezze Massa, Raggio e Luminosità sono date in unità solari (Sole=1).

Le stelle possono essere anche suddivise in gruppi in base agli effetti, strettamente dipendenti dalle dimensioni spaziali dell'astro e dalla sua gravità supeficiale, che la luminosità sortisce sulle linee spettrali. Identificate da numeri romani, le classi di luminosità sono comprese tra la 0 (ipergiganti) e la VII (nane bianche), passando per la III (giganti) e la V (la sequenza principale, che comprende la maggior parte delle stelle, tra cui il Sole); tale classificazione è detta classificazione spettrale di Yerkes.[38]

La classificazione di certe stelle richiede l'uso di lettere minuscole per descrivere alcune situazioni particolari rilevate nei loro spettri: ad esempio, la "e" indica la presenza di linee di emissione, la "m" indica un livello straordinariamente alto di metalli e "var" indica una variabilità nel tipo spettrale.[38]

Le nane bianche godono di una classificazione a parte. Indicate genericamente con la lettera D (che sta per l'inglese dwarf, nano), sono a loro volta suddivise in sottoclassi che dipendono dalla tipologia predominante delle linee riscontrate nei loro spettri: DA, DB, DC, DO, DZ e DQ; segue poi un numero che identifica la temperatura del corpo celeste.[40]

Popolazione stellare dell'universo

L'ammasso aperto M18 nel Sagittario.

Le stelle si presentano, oltre che singolarmente, anche in sistemi di due (stelle binarie, il tipo più comune) o più stelle (sistemi multipli) legate tra loro da vincoli gravitazionali. Per motivi connessi alla stabilità orbitale, i sistemi multipli sono spesso organizzati in gruppi gerarchici di binarie coorbitanti.[41] Esistono anche insiemi più vasti, detti ammassi stellari, che vanno da piccole associazioni, costituite da alcuni astri, fino ai più imponenti ammassi aperti e globulari; questi ultimi arrivano a contenere persino decine di milioni di stelle, come nel caso di Omega Centauri.[42]

È attualmente accertato che la gran parte delle stelle della nostra galassia, prevalentemente nane rosse (che costituiscono l'85% del totale), non facciano parte di alcun sistema stellare; si calcola che il 25% di questa categoria sia legato ad altre stelle in un sistema.[43] Tuttavia, è statisticamente dimostrato che, man mano che aumentano le masse delle stelle, esse tendono a raggrupparsi in associazioni: ciò si riscontra in modo particolare nelle stelle massicce di classe O e B, che vanno a costituire le cosiddette associazioni OB.

Le stelle non sono distribuite uniformemente nell'Universo, ma sono normalmente raggruppate in galassie assieme a una certa quantità di gas e polveri interstellari. Recentemente sono state scoperte dal telescopio spaziale Hubble alcune stelle nello spazio intergalattico: si tratta delle cosiddette stelle iperveloci, la cui velocità orbitale è così elevata da consentire loro di vincere l'attrazione gravitazionale della galassia e fuggire nello spazio intergalattico.[44]

Una tipica galassia contiene centinaia di miliardi di stelle ed esistono più di 100 miliardi di galassie nell'Universo osservabile;[45] alla luce di questi dati gli astronomi ritengono che le stelle dell'universo sarebbero nel complesso almeno 70 000 miliardi di miliardi (7×1022),[46] un numero 230 miliardi di volte superiore a quello delle stelle contenute nella Via Lattea (circa 300 miliardi).

La stella più vicina alla Terra, a parte il Sole, è la nana rossa Proxima Centauri (parte del sistema di Alfa Centauri), che si trova a 39,9 bilioni (1012) di chilometri (4,2 anni luce) dalla Terra; per avere l' idea di una simile distanza, se si intraprendesse un viaggio interstellare verso Proxima alla velocità orbitale dello Space Shuttle (circa 30 000 km/h), si giungerebbe a destinazione dopo almeno 150 000 anni.[47] Simili distanze sono tipiche dell'interno del piano galattico,[48] ma la densità stellare non è costante: infatti tende ad essere maggiore negli ammassi globulari e nei nuclei galattici, mentre diminuisce nell'alone galattico.

Per via delle distanze relativamente elevate che intercorrono tra le stelle al di fuori delle regioni dense, le collisioni stellari sono molto rare. Tuttavia si fanno decisamente più frequenti all'interno delle regioni dense [49] e danno origine a un particolare tipo di stelle, denominate vagabonde blu, caratterizzate da una temperatura superficiale superiore a quella delle altre stelle di sequenza principale della regione.[50]

Evoluzione stellare

Lo stesso argomento in dettaglio: Evoluzione stellare.

Col termine evoluzione stellare si intendono i cambiamenti che una stella sperimenta nel corso della sua esistenza, durante la quale essa varia, anche in modo molto forte, di luminosità, raggio e temperatura. Tuttavia a causa dei tempi evolutivi molto lunghi (milioni o miliardi di anni), è impossibile per un essere umano seguire l'intero ciclo vitale di un astro; pertanto, per riuscire a compredere i meccanismi evolutivi, si osserva una popolazione stellare che contiene stelle in diverse fasi della loro vita e si costruiscono dei modelli fisico - matematici che permettono di riprodurre in via teorica le proprietà osservate. Un valido aiuto in questo senso è dato dal diagramma H-R, che pone a confronto la luminosità e la temperatura. Ogni astro ha una propria evoluzione la cui durata dipende dalla propria massa: quanto più una stella è massiccia, tanto più breve risulterà essere la durata del ciclo vitale.

Formazione

Lo stesso argomento in dettaglio: Formazione stellare.

La nascita delle stelle è stata osservata con l'ausilio dei grandi telescopi di terra e soprattutto dei telescopi spaziali (su tutti Hubble e Spitzer). Le moderne tecniche di osservazione dello spazio nelle varie lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico, soprattutto nell'ultravioletto e nell'infrarosso, e l'importante contributo della radioastronomia, hanno permesso di individuare i luoghi di formazione stellare.

Le stelle si formano all'interno delle nubi molecolari, delle regioni di gas ad "alta" densità [51] presenti nel mezzo interstellare, costituite essenzialmente da idrogeno, con una quantità di elio del 23–28% e tracce di elementi più pesanti.[52] Le stelle più massicce che si formano al loro interno le illuminano e le ionizzano in maniera molto forte, creando le cosiddette regioni H II; un noto esempio di simili oggetti è la Nebulosa di Orione.

La formazione di una stella ha inizio quando una nube molecolare inizia a manifestare fenomeni di instabilità gravitazionale, spesso innescati dalle onde d'urto di una supernova o della collisione tra due galassie. Non appena si raggiunge una densità della materia tale da soddisfare i criteri dell'instabilità di Jeans, la regione inizia a collassare sotto la sua stessa gravità.

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Rappresentazione artistica della nascita di una stella all'interno di un globulo di Bok.

Il graduale collasso della nube porta alla formazione di densi agglomerati di gas e polveri oscure, noti come globuli di Bok, che arrivano a contenere una quantità di materia pari ad oltre 50 masse solari. Mentre all'interno del globulo il collasso gravitazionale causa un incremento della densità della materia, l'energia potenziale gravitazionale viene convertita in calore, con un conseguente aumento della temperatura: si forma in tal modo una protostella, circondata da un disco che ha il compito di accrescerne la massa.[53] Il periodo in cui l'astro è soggetto al collasso è variabile e dura per un periodo di circa 10–15 milioni di anni, fino a quando nelle parti centrali della protostella la temperatura raggiunge un valore tale da provocare l'ignizione delle reazioni di fusione dell'idrogeno in elio. Se possiede una massa inferiore a 0,08 masse solari, la protostella non raggiunge l'ignizione delle reazioni nucleari e si trasforma in una fredda e poco brillante nana bruna;[5] se possiede una massa fino ad otto masse solari, si forma una stella pre-sequenza principale, spesso circondata da un disco protoplanetario; se la massa è superiore la stella raggiunge direttamente la sequenza principale senza passare per questa fase. Le stelle pre-sequenza principale si dividono in due categorie: le stelle T Tauri (ed FU Orionis), che hanno una massa non superiore a due masse solari, e le stelle Ae/Be di Herbig, con masse fino ad otto masse solari. Queste stelle sono però caratterizzate da forti instabilità e variabilità, poiché non si trovano ancora in una situazione di equilibrio idrostatico.

Un fenomeno tipico di questa fase sono gli oggetti di Herbig-Haro, caratteristiche nebulose a emissione originate dalla collisione tra i flussi molecolari in uscita dai poli stellari e il mezzo interstellare.[54]

Sequenza principale

Lo stesso argomento in dettaglio: Sequenza principale.

Le stelle trascorrono circa il 90% della propria esistenza in una fase di stabilità durante la quale fondono l'idrogeno del proprio nucleo in elio a temperatura e pressione elevate; tale fase prende il nome di sequenza principale.[55]

File:Sun231.png
Il Sole è una stella di sequenza principale.

In questa fase ogni stella genera un vento di particelle cariche che provoca una continua fuoriuscita di materia nello spazio (che per gran parte delle stelle risulta irrisoria). Il Sole, ad esempio, perde 10−14 masse solari di materia all'anno,[56] ma le stelle più massicce arrivano a perderne decisamente di più, sino a 10−7 – 10−5 masse solari all'anno; tale perdita può riflettersi in maniera sostanziale sull'evoluzione dell'astro.[57]

La durata della fase di sequenza principale dipende innanzi tutto dalla quantità di combustibile nucleare disponibile, quindi dalla velocità a cui esso è fuso; vale a dire, dalla massa iniziale e dalla luminosità della stella.[55] La permanenza del Sole nella sequenza principale è stimata in circa 1010 anni. Le stelle più grandi consumano il proprio "carburante" piuttosto velocemente ed hanno una vita decisamente più breve (qualche decina o centinaio di milioni di anni); le stelle più piccole invece bruciano l'idrogeno del nucleo molto lentamente ed hanno un'esistenza molto più lunga (decine o centinaia di miliardi di anni).[55]

Oltre alla massa, un ruolo preminente nell'evoluzione dell'astro è rivestito dalla propria metallicità, che influenza la durata della sequenza principale, l'intensità del campo magnetico [58] e del vento stellare.[59] Le vecchie stelle di popolazione II hanno una metallicità minore delle più giovani stelle di popolazione I, poiché le nubi molecolari da cui si sono formate queste ultime possedevano una maggiore quantità di metalli.[60]

Fase post-sequenza principale

La sequenza principale termina non appena l'idrogeno, contenuto nel nucleo della stella, è stato completamente convertito in elio dalla fusione nucleare; la successiva evoluzione della stella segue vie diverse a seconda della massa dell'oggetto celeste.[61]

Stelle con masse tra 0,08 ed 8 M

Lo stesso argomento in dettaglio: Gigante blu e Gigante rossa.
Le dimensioni del Sole nella sequenza principale e nella fase di gigante rossa.

Giunte alla fine della propria esistenza, le stelle con masse comprese tra 0,08 e 0,4 masse solari si limitano a contrarsi gradualmente, diminuendo di luminosità e trasformandosi in nane bianche. Tuttavia, dato che la durata della vita di tali stelle è maggiore dell'età dell'Universo (13,7 miliardi di anni), si ritiene che nessuna di essa sia ancora giunta al termine della propria evoluzione.[62]

Invece le stelle la cui massa è compresa tra 0,4 ed 8 masse solari attraversano, al termine della sequenza principale, una fase di notevole instabilità: il nucleo subisce diversi collassi gravitazionali, incrementando la propria temperatura, mentre gli strati più esterni si espandono e, in conformità alla legge di Boyle, si raffreddano, assumendo di conseguenza una colorazione rossa. La stella si trasforma in una fredda ma brillante gigante rossa e permane in questa fase per diversi milioni di anni.[61]

Si stima che il Sole raggiungerà questo stadio tra circa 5 miliardi di anni: le sue dimensioni saranno colossali (circa 100 volte quelle attuali) e il suo raggio avrà una lunghezza prossima ad 1 UA.[63]

Nelle giganti rosse con masse fino a 2,25 masse solari il processo di fusione dell'idrogeno, ormai arrestatosi in un nucleo inerte, costituito completamente da elio, va avanti nello strato immediatamente superiore.[62]

Non appena termina la fusione dell'idrogeno, nella regione nucleare delle stelle tra 2,25 ed 8 masse solari ha subito inizio la fusione dell'elio in carbonio, mentre negli strati superiori l'idrogeno residuo è fuso in elio.[8] Quando nel nucleo, ormai costituito esclusivamente da carbonio ed ossigeno, si è completato questo processo, esso continua negli strati al di sopra del nucleo; a questo punto la stella può attraversare una fase parallela a quella di gigante rossa, ma con una temperatura superficiale decisamente più elevata, e prende il nome di gigante blu.[8]

Stelle con masse superiori ad 8 M

Lo stesso argomento in dettaglio: Stella di Wolf-Rayet, Supergigante blu e Supergigante rossa.
Gli "strati a cipolla" di una stella massiccia nelle ultime fasi di vita. (Non in scala)
File:Betelgeuse star (Hubble).jpg
La supergigante rossa Betelgeuse (immagine dal Telescopio Hubble).

Quando termina il processo di fusione dell'idrogeno in elio ed inizia la conversione di quest'ultimo in carbonio, le stelle massicce (con massa superiore ad 8 masse solari) si espandono raggiungendo lo stadio di supergigante rossa.

Non appena si esaurisce anche la fusione dell'elio, i processi nucleari non si arrestano ma, complice una serie di successivi collassi del nucleo ed aumenti di temperatura e pressione, proseguono con la sintesi di altri elementi più pesanti: ossigeno, neon, silicio e zolfo.
In tali stelle, poco prima della loro fine, può svolgersi in contemporanea la nucleosintesi di più elementi negli strati superiori al nucleo; l'astro assume a questo punto una struttura pluristratificata, che molti astronomi tendono a paragonare agli strati concentrici di una cipolla. In ciascun guscio avviene la fusione di un differente elemento: il più esterno fonde idrogeno in elio, quello immediatamente sotto fonde elio in carbonio e via dicendo,[64] a temperature e pressioni sempre crescenti man mano che si procede verso il centro. Il collasso di ciascuno strato è sostanzialmente evitato dal calore e dalla pressione di radiazione dello strato sottostante, dove le reazioni procedono a un regime più intenso. Il prodotto finale della nucleosintesi è il nichel-56 (56Ni), risultato della fusione del silicio, che viene completata nel giro di pochi giorni.[62][65][66]

Il nichel-56 decade rapidamente in ferro-56 (56Fe). Poiché i nuclei del ferro possiedono un'energia di legame nettamente superiore a quella di qualunque altro elemento, la loro fusione, anziché essere un processo esotermico (che produce ed emette energia), è fortemente endotermica (cioè richiede e consuma energia).[62]

Nelle stelle più massicce ormai in una fase evlutiva avanzata un grande nucleo di ferro inerte si deposita al centro dell'astro; in tali oggetti gli elementi più pesanti, spinti da moti convettivi, possono affiorare alla superficie, formando degli oggetti molto evoluti noti come stelle di Wolf-Rayet, caratterizzate da forti venti stellari che provocano una consistente perdita di massa.

Fasi finali dell'evoluzione stellare

Lo stesso argomento in dettaglio: Nebulosa planetaria, Stella degenere e Supernova.

Quando una stella è prossima alla fine della propria esistenza, la pressione di radiazione del nucleo non è più in grado di contrastare la gravità degli strati più esterni dell'astro. Di conseguenza il nucleo va incontro ad un collasso, mentre gli strati più esterni vengono espulsi in maniera più o meno violenta; ciò che resta è un oggetto estremamente denso: una stella degenere, costituita da materia in uno stato altamente degenere.[67]

La Nebulosa Eskimo (NGC 2392), una nebulosa planetaria nei Gemelli.

Al termine del proprio ciclo evolutivo, una stella con masse comprese tra 0,08 ed 8 masse solari si trasforma in una nana bianca, un oggetto dalle dimensioni piuttosto piccole (paragonabili all'incirca a quelle della Terra) con una massa minore o uguale al limite di Chandrasekhar (1,44 masse solari).[68] Una nana bianca possiede una temperatura superficiale piuttosto elevata (a volte persino superiore a 30 000 K),[66][68] che col tempo tende a diminuire in funzione degli scambi termici con lo spazio circostante (nel rispetto del secondo principio della termodinamica). Al suo interno la materia si trova in uno stato degenere, in cui gli elettroni, separati dai nuclei atomici, si dispongono attorno ad essi avvicinandosi fino a quando la repulsione elettrostatica non ne impedisce l' ulteriore collasso (pressione degenerativa degli elettroni).[66] In un lunghissimo lasso di tempo, una nana bianca si trasforma in una nana nera. Si tratta però di un modello teorico, poiché sino ad ora non è stata ancora osservata alcuna nana nera; perciò gli astronomi ritengono che il tempo previsto perché una nana bianca si raffreddi del tutto sia di gran lunga superiore all'attuale età dell'Universo.[68]

Se la stella morente ha una massa compresa tra 0,08 e 0,4 masse solari dà luogo ad una nana bianca senza alcuna fase intermedia; se invece la sua massa è compresa tra 0,4 ed 8 masse solari, essa, prima di trasformarsi in nana bianca, perde i suoi strati più esterni in una spettacolare nebulosa planetaria.[66]

Nelle stelle con masse superiori ad 8 masse solari, la fusione nucleare continua finché il nucleo non raggiunge una massa superiore al limite di Chandrasekhar. Oltrepassato questo limite, il nucleo non riesce più a tollerare la sua stessa massa e va incontro ad un improvviso e irreversibile collasso. Gli elettroni urtano contro i protoni dando origine a neutroni e neutrini assieme ad un forte decadimento beta ed a fenomeni di cattura elettronica. L'onda d'urto generata da questo improvviso collasso provoca la catastrofica esplosione della stella in una brillantissima supernova di tipo II.

La Nebulosa del Granchio, il resto della supernova SN 1054 nella costellazione del Toro.

Le supernovae hanno una luminosità tale da superare, anche se per breve tempo, la luminosità complessiva dell'intera galassia che le ospita. Le supernovae esplose in epoca storica nella Via Lattea furono osservate ad occhio nudo dagli uomini, che le ritenevano erroneamente delle "nuove stelle" (donde il termine nova, utilizzato inizialmente per designarle) che comparivano in regioni del cielo dove prima non sembravano essercene.[69]

L'energia liberata nell'esplosione è talmente elevata da consentire la fusione dei prodotti della nucleosintesi stellare in elementi ancora più pesanti, quali oro, magnesio ecc; questo fenomeno è detto nucleosintesi delle supernovae.[69] L'esplosione della supernova diffonde nello spazio la gran parte della materia che costituiva la stella; tale materia forma il cosiddetto resto di supernova,[69] mentre il nucleo residuo sopravvive in uno stato altamente degenere. Se la massa del residuo è compresa tra 1,4 e 4 masse solari, esso collassa in una stella di neutroni (che talvolta si manifesta come pulsar), che si configura stabile poiché il collasso gravitazionale, cui andrebbe naturalmente incontro, è contrastato dalla pressione degenerativa dei neutroni. Tali oggetti hanno una densità elevatissima (circa 10 17 kg/m3) e sono costituiti da neutroni, con una certa percentuale di materia esotica, principalmente materia di quark, presente probabilmente nel suo nucleo.

Nel caso in cui la stella originaria sia talmente massiccia che il nucleo residuo mantiene una massa superiore a 4 masse solari, nessuna forza è in grado di contrastare il collasso gravitazionale ed il nucleo collassa fino a raggiungere dimensioni inferiori al raggio di Schwarzschild: si origina così un buco nero.[70] La materia costituente il buco nero si trova in un particolare stato, altamente degenere, che i fisici non sono ancora riusciti ad esplicare.[70]

Gli strati esterni della stella espulsi nella supernova contengono una grande quantità di elementi pesanti che possono essere reimpiegati in nuovi processi di formazione stellare; una grande quantità di elementi pesanti può anche permettere la formazione di sistemi extrasolari, che magari posstrebbero contenere anche dei pianeti di tipo roccioso. Le esplosioni delle supernovae ed i venti delle stelle massicce svolgono un ruolo di primo piano nel plasmare le strutture del mezzo interstellare.[69]

Prospetto riassuntivo sulle fasi finali dell'evoluzione stellare
Massa della stella
(in masse solari - M)
30 M 10 M 3 M 1 M 0,3 M
Luminosità durante la
sequenza principale (Sole=1)
10,000 1,000 100 1 0,004
Durata della sequenza principale
(miliardi di anni)
0,06 0,10 0,30 10 800
Prodotto finale della fusione ferro silicio ossigeno carbonio elio
Fenomeno terminale supernova supernova nebulosa
planetaria
nebulosa
planetaria
vento stellare
Massa espulsa 24 M 8,5 M 2,2 M 0,3 M 0,01 M
Natura del nucleo residuo buco nero stella di
neutroni
nana bianca nana bianca nana bianca
Massa del nucleo residuo 6 M 1,5 M 0,8 M 0,7 M 0,3 M
Densità del nucleo residuo (H2O=1) 3×1015 5×1014 2×107 107 106
Raggio del nucleo residuo (in m) 6192,21 m 17861,44 m 2,67×106 m 3,22×106 m 5,22×106 m
Accelerazione di gravità (in m·s-2) 5,19×1012 2,5×1012 1,49×107 8,99×106 1,46×106

Caratteristiche

Il Sole, la stella più vicina alla Terra, ha un'eta di circa 5 miliardi di anni.

Quasi tutte le caratteristiche di una stella, incluse luminosità, dimensioni, evoluzione, durata del ciclo vitale e destino finale, sono determinate dalla sua massa al momento della formazione.

Massa, raggio, accelerazione di gravità alla superficie e periodo di rotazione possono essere misurati sulla base dei modelli stellari; la massa inoltre può essere calcolata in maniera diretta in un sistema binario o tramite l'effetto lente gravitazionale.[71] Tutti questi parametri, associati, possono permettere di calcolare l'età della stella.[72]

Età

Gran parte delle stelle ha un'età compresa tra 1 e 10 miliardi di anni. Vi sono stelle che però hanno età prossime a quella dell'universo (13,7 miliardi di anni): la stella più vecchia conosciuta, HE 1523-0901, ha un'età stimata di 13,2 miliardi di anni.[73]

La durata del ciclo vitale di una stella dipende dalla massa che essa possiede al momento della sua formazione: quanto più una stella è massiccia, tanto più la durata del suo ciclo vitale è breve. Infatti la pressione e la temperatura che caratterizzano il nucleo di una stella massiccia sono nettamente superiori a quelle presenti nelle stelle meno massicce; di conseguenza l'idrogeno viene fuso in maniera più "efficiente" tramite il ciclo CNO (anziché secondo la catena protone-protone), che produce una quantità di energia superiore mentre le reazioni avvengono a un ritmo più serrato. Le stelle più massicce hanno una vita prossima al milione di anni, mentre le meno massicce (come le nane arancioni e rosse) bruciano il proprio combustibile nucleare molto lentamente arrivando a vivere per decine o centinaia di miliardi di anni.[74][75]

Composizione chimica

Lo stesso argomento in dettaglio: Metallicità.

Al momento della loro formazione, le stelle sono composte prevalentemente da idrogeno ed elio, con una piccola percentuale di elementi più pesanti, detti metalli (tra essi vi sono alcuni elementi, come l'ossigeno e il carbonio, che dal punto di vista chimico non sono metalli). La quantità di questi ultimi nell'atmosfera stellare è definita metallicità.

Le stelle più antiche (dette di Popolazione II) sono costituite da idrogeno (per circa il 75%), elio (per circa il 25%) ed una frazione molto piccola (<0,1%) di metalli. Nelle stelle più giovani (dette di Popolazione I), invece, la percentuale di metalli sale fino a circa il 2% - 3%, mentre l'idrogeno ed elio hanno percentuali rispettivamente dell'ordine del 70% - 75% e 24% - 27%. Queste differenze sono dovute al fatto che le nubi molecolari, da cui le stelle si originano, sono costantemente arricchite dagli elementi pesanti diffusi dalle esplosioni delle supernovae. La determinazione della composizione chimica di una stella può essere, quindi, utilizzata per determinare la sua età.[76]

La frazione di elementi più pesanti dell'elio è generalmente misurata sulla base delle quantità di ferro contenute nell'atmosfera stellare, dato che il ferro è un elemento abbastanza comune e le sue linee di assorbimento sono piuttosto facili da identificare. La quantità degli elementi pesanti è anche indice della probabile presenza di un sistema planetario in orbita attorno alla stella.[77]

La stella col minor contenuto di ferro mai misurato è la nana HE1327-2326, con appena un duecentomillesimo del contenuto ferroso del Sole.[78] Al contrario, la stella μ Leonis è ricchissima in "metalli", con una metallicità circa il doppio di quella del Sole, mentre 14 Herculis, attorno alla quale orbita un pianeta (14 Herculis b), ha una metallicità tre volte superiore.[79] Alcune stelle, dette stelle peculiari, mostrano nel proprio spettro un'insolita abbondanza di metalli, specialmente cromo e lantanidi (le cosiddette terre rare).[80]

Dimensioni apparenti e reali

A causa della grande distanza dalla Terra, tutte le stelle, eccetto il Sole, appaiono all'occhio umano come dei minuscoli punti brillanti nel cielo notturno, scintillanti a causa degli effetti distorsivi dell'atmosfera terrestre. Il Sole invece, pur essendo esso stesso una stella, è abbastanza vicino al nostro pianeta da apparire come un disco che illumina il nostro pianeta dando luogo al giorno.

Confronto tra le dimensioni del Sole e di VY Canis Majoris, la stella più grande conosciuta.

Oltre al Sole, la stella con la maggiore grandezza apparente è R Doradus, con un diametro angolare di soli 0,057 secondi d'arco.[81]

Le dimensioni angolari del disco di gran parte delle stelle sono troppo piccole per permettere l'osservazione delle strutture superficiali attive (come le macchie) con gli attuali telescopi ottici di terra; pertanto l'unico modo per riprodurre immagini di tali caratteristiche è l'utilizzo di telescopi interferometrici. È possibile misurare le dimensioni angolari delle stelle anche durante le occultazioni, valutando il calo di luminosità di una stella mentre essa è occultata dalla Luna o l'aumento di luminosità della stessa al termine dell'occultazione.[82]

Le dimensioni reali delle stelle sono estremamente variabili: le più piccole, le stelle di neutroni, hanno dimensioni comprese tra 20 e 40 km, mentre le più grandi, ipergiganti e supergiganti, hanno raggi vastissimi, con dimensioni dell'ordine delle Unità Astronomiche: ad esempio quello di BetelgeuseOrionis) è 630 volte quello del Sole, circa un miliardo di km (quasi 6,7 UA);[26] tali stelle possiedono tuttavia densità decisamente inferiori a quella del nostro Sole, tanto che la loro atmosfera è assimilabile ad un vuoto spinto.[83] La stella più grande conosciuta è VY Canis Majoris, il cui diametro è quasi 2000 volte quello del Sole: se si trovasse al centro del Sistema solare, la sua atmosfera si estenderebbe sino all'orbita di Saturno.[84]

Massa

Eta Carinae (circondata dalla Nebulosa Omuncolo) possiede una massa circa 150 volte quella del Sole.

Una delle stelle più massicce conosciute è l'ipergigante Eta Carinae,[85] la cui massa è stimata in 100–150 volte quella del Sole; tuttavia una simile massa comporta una sensibile riduzione della vita dell'astro, che vive al massimo per alcuni milioni di anni.[7][85] Un recente studio condotto sulle stelle dell'ammasso Arches suggerisce che 150 masse solari sia il limite massimo raggiungibile da una stella nell'attuale era dell'universo.[7] La ragione di questo limite non è ancora nota; gli astronomi tuttavia ritengono che ciò sia dovuto in buona parte alla metallicità dell'astro, ma soprattutto al limite di Eddington,[7] che definisce la quantità massima di radiazione luminosa in grado di attraversare gli strati della stella senza provocarne l'espulsione nello spazio.

Le prime stelle, formatesi qualche centinaia di migliaia di anni dopo il Big Bang, dovevano possedere delle masse ancora maggiori (forse oltre 300 masse solari [86]) per via della totale assenza al proprio interno di elementi più pesanti del litio. Questa primitiva generazione di stelle supermassicce (dette di popolazione III) si è estinta già da miliardi di anni, percui gli astronomi sono in grado di formulare esclusivamente delle congetture sulla base dei dati attualmente in loro possesso.

Con una massa appena 93 volte quella di Giove, la nana rossa AB Doradus C, membro del sistema stellare di AB Doradus, è la stella più piccola conosciuta ad essere alimentata dalle reazioni nucleari.[87] Gli astronomi ritengono che per le stelle dotate di una metallicità simile a quela del Sole la massa minima per innescare la fusione nucleare sia di circa 75 masse gioviane.[88][89] Un recente studio, condotto sulle stelle meno massicce, ha permesso di scoprire che, se la metallicità è molto bassa, la massa minima perché un astro possa produrre energia tramite la fusione nucleare corrisponde a circa l' 8,3% della massa solare (circa 87 masse gioviane).[89][90] Una particolare tipologia di oggetti, che prende il nome di nane brune, costituisce l'anello di congiunzione tra le stelle nane ed i pianeti giganti gassosi: la loro massa non è sufficiente ad innescare le reazioni nucleari, ma è comunque nettamente superiore a quella di un gigante gassoso.

Gravità superficiale

La combinazione di raggio e massa determina la gravità superficiale della stella. Le stelle giganti hanno una gravità decisamente minore di quella delle stelle di sequenza principale, che a loro volta hanno una gravità inferiore a quella delle stelle degeneri (nane bianche e stelle di neutroni). Tale caratteristica è in grado di influenzare l'aspetto di uno spettro stellare, causando talvolta un allargamento o uno spostamento delle linee di assorbimento.[27]

Moti nello spazio

Lo stesso argomento in dettaglio: Moto proprio, Parallasse e Velocità radiale.
Esempio di parallasse stellare.

I moti di una stella rispetto al Sole possono fornire utili informazioni sulla sua origine e sulla sua età, come pure sulla struttura complessiva e sull'evoluzione del resto della Galassia. Le componenti del moto di una stella sono la velocità radiale (che può essere in avvicinamento o allontanamento dal Sole) ed il moto proprio (il movimento angolare trasversale).

La velocità radiale si basa sullo shift (lo spostamento secondo l'effetto Doppler) delle linee spettrali ed è misurata in km/s. Il moto proprio è determinato da precise misure astrometriche (dell'ordine dei milliarcosecondi - mas - all'anno), e può essere convertito in unità di misura della velocità attraverso la misura della parallasse. Le stelle che presentano dei grandi valori di moto proprio sono i più vicini al Sistema solare e pertanto si prestano in maniera ottimale alla rilevazione della parallasse.[91]

Conosciuti moto proprio, velocità radiale e parallasse, è possibile calcolare la velocità spaziale di una stella in relazione al Sole o alla Galassia. Si è scoperto tra le stelle vicine che le stelle di popolazione I hanno in genere velocità minori delle più antiche stelle di popolazione II; queste ultime inoltre orbitano attorno al centro della Via Lattea secondo traiettorie ellittiche, inclinate verso il piano galattico.[92] La comparazione dei moti di stelle vicine ha anche portato all'identificazione delle associazioni stellari, gruppi di stelle che condividono un medesimo punto di origine in una nube molecolare gigante.[93]

Campo magnetico

Lo stesso argomento in dettaglio: Campo magnetico stellare.
Il campo magnetico superficiale di Tau Scorpii ricostruito tramite la tecnica dello Zeeman-Doppler imaging.

Il campo magnetico di una stella è generato all'interno della sua zona convettiva, nella quale il plasma, messo in movimento dai moti convettivi, si comporta come una dinamo. L'intensità del campo varia in relazione alla massa e alla composizione della stella, mentre l'attività magnetica dipende dalla sua velocità di rotazione. Un risultato dell'attività magnetica sono le caratteristiche macchie fotosferiche, regioni a temperatura inferiore rispetto al testo della fotosfera in cui il campo magnetico si presenta particolarmente intenso. Altri fenomeni strettamente dipendenti dal campo magnetico sono gli anelli coronali ed i flare.[94]

Le giovani stelle, che tendono ad avere una velocità di rotazione molto alta, hanno un'attività magnetica molto intensa. I campi magnetici possono influire sui venti stellari arrivando ad agire come dei "freni" che rallentano progressivamente la rotazione della stella man mano che essa compie il proprio percorso evolutivo. Per questo motivo le stelle non più giovani, come il Sole, compiono la propria rotazione in tempi più lunghi e presentano un'attività magnetica meno intensa. I loro livelli di attività tendono a variare in maniera ciclica e possono cessare completamente per brevi periodi di tempo;[95] un esempio fu il minimo di Maunder, durante il quale il Sole andò incontro ad un settantennio di attività minima, in cui il numero delle macchie fu esiguo, se non quasi assente per diversi anni.[96]

Rotazione

Lo stesso argomento in dettaglio: Rotazione stellare.
L'aspetto deformato di AchernarEridani) è causato dalla sua rapida rotazione.

La rotazione stellare è il movimento angolare di una stella sul proprio asse di rotazione, la cui durata può essere misurata in base al suo spettro o in maniera più accurata monitorando il periodo di rotazione delle macchie stellari.

Le giovani stelle hanno una rapida velocità di rotazione, superiore spesso a 100 km/s all'equatore; ad esempio Achernar, una stella di classe B, ha una velocità di rotazione all'equatore di circa 225 km/s o superiore,[97] il che conferisce all'astro un diametro equatoriale più largo del 50% rispetto al diametro polare.[97] Tale velocità di rotazione è di poco inferiore alla velocità critica di 300 km/s, raggiunta la quale la stella arriverebbe a frantumarsi;[98][99] il Sole, di contro, compie una rotazione completa ogni 25 – 35 giorni, con una velocità angolare all'equatore di 1,994 km/s. Il campo magnetico ed il vento della stella svolgono un'azione frenante sulla sua rotazione man mano che essa si evolve lungo la sequenza principale ed arrivano a rallentarla, lungo questo arco di tempo, anche in maniera significativa.[100]

Le stelle degeneri hanno una massa elevata ed estremamente densa; ciò comporta una velocità di rotazione elevata, ma non sufficiente a raggiungere la velocità in grado di favorire la conservazione del momento angolare, cioè la tendenza di un corpo in rotazione a compensare una contrazione nelle dimensioni con una crescita nella velocità di rotazione. La perdita di gran parte del momento angolare da parte della stella è il risultato della perdita di massa attraverso il vento stellare.[101] Fanno eccezione le stelle di neutroni, che, manifestandosi come sorgenti radio pulsanti (pulsar), possono avere delle velocità di rotazione elevatissime; la pulsar del Granchio (posta all'interno della Nebulosa del Granchio), ad esempio, ruota 30 volte al secondo.[102] La velocità di rotazione di una pulsar è però destinata a diminuire nel corso del tempo, a causa della continua emissione di radiazioni, che provoca una dispersione del momento angolare rallentando progressivamente l'oggetto.[102]

Temperatura

Diagramma H-R in cui è evidente la temperatura di ciascuna classe spettrale.

La temperatura superficiale di una stella di sequenza principale è determinata dalla quantità di energia che viene prodotta nel nucleo e dal raggio della stella. Un aiuto nella sua misurazione è dato dall'indice di colore,[103] che è normalmente associato alla temperatura effettiva, vale a dire la temperatura di un corpo nero ideale che irradia la propria energia con una luminosità per area superficiale simile a quella della stella presa in considerazione. La temperatura effettiva è però solamente un valore rappresentativo, poiché in realtà le stelle possiedono un gradiente di temperatura che diminuisce all'aumentare della distanza dal nucleo,[104] in cui la temperatura raggiunge valori di decine di milioni (talvolta persino miliardi) di kelvin.[105]

La temperatura della stella determina il tasso ionizzazione dei differenti elementi, che causa le caratteristiche linee di assorbimento degli spettri stellari. Temperatura superficiale, magnitudine assoluta e particolarità delle linee spettrali sono utilizzate nella classificazione stellare.[27]

Le stelle più massicce hanno temperature superficiali elevate, che possono arrivare persino a 50 000 K; le stelle meno massicce, come il Sole, hanno invece temperature nettamente inferiori, che non superano qualche migliaio di K. Le giganti rosse hanno delle temperature superficiali molto basse, di circa 3 600 K, ma appaiono molto luminose poiché la loro superficie radiante possiede un'area superficiale estremamente vasta.[106]

Struttura

Lo stesso argomento in dettaglio: Struttura stellare.

L'interno di una stella di sequenza principale si trova in una condizione di equilibrio in cui le forze predominanti, la gravità (che ha un verso orientato in direzione del centro della stella) e l'energia termica della massa del plasma, con verso orientato in direzione della superficie, si controbilanciano perfettamente. Perché questa situazione di stabilità permanga, è necessario che le temperature raggiunte nel nucleo raggiungano o superino i 107 K; la combinazione dell'elevata temperatura e di una pressione altrettanto elevata favoriscono la fusione dei nuclei di idrogeno in nuclei elio, che sprigiona un' energia sufficientemente alta da contrastare il collasso cui la stella andrebbe naturalmente incontro. [107] Tale energia è emessa sotto forma di neutrini e fotoni gamma, che, interagendo col plasma circostante, contribuiscono a mantenere elevata la temperatura assieme all'energia termica del nucleo.

Le strutture interne di differenti tipi di stelle; le curve rappresentano la zona convettiva, le linee spezzate la zona radiativa.

L'interno di una stella stabile si trova in uno stadio di equilibrio sia idrostatico sia termico ed è caratterizzato da un gradiente di temperatura che origina un flusso energetico in direzione dell'esterno.

La zona radiativa è quella regione all'interno della stella in cui il trasferimento dell'energia per irraggiamento è sufficientemente in grado di mantenere il flusso energetico. In questa zona il plasma non subisce né perturbazioni né spostamenti di massa; se però il plasma inizia a dare manifestazioni di instabilità ed è soggetto a movimenti di tipo convettivo, la regione assume le caratteristiche di zona convettiva. Quanto detto si verifica generalmente nelle zone della stella in cui sono localizzati flussi altamente energetici, come nello strato immediatamente superiore al nucleo o in aree con un'opacità superiore allo strato più esterno.[107]

La posizione della zona radiativa e di quella convettiva di una stella di sequenza principale dipende dalla sua classe spettrale e dalla massa. Nelle stelle con una massa diverse volte quella solare la zona convettiva è posta in profondità, adiacente al nucleo, mentre la zona radiativa è posta subito al di sopra della zona convettiva. Nelle stelle meno massicce, come il Sole, le due zone sono invertite, ovvero la zona radiativa è adiacente al nucleo.[108] Nelle nane rosse con una massa inferiore a 0,4 masse solari presentano solamente una zona convettiva che previene l'accumulo di un nucleo di elio.[109]

Sezione di una stella simile al Sole e di una gigante rossa. In basso a destra il confronto delle dimensioni

In gran parte delle stelle la zona convettiva tende a variare nel corso del tempo man mano che la stella procede nella sua evoluzione e la sua composizione interna subisce dei cambiamenti.[107]

La porzione visibile di una stella di sequenza principale è detta fotosfera. In questo strato il plasma della stella diviene trasparente ai fotoni luminosi e permette la propagazione delle radiazioni nello spazio. Sulla fotosfera compaiono delle zone più scure causate dall'attività magnetica dell'astro: si tratta delle macchie stellari, che appaiono scure poiché hanno una temperatura inferiore a quella del resto della fotosfera.[108]

Al di sopra della fotosfera si staglia l'atmosfera stellare. In una stella di sequenza principale, come il Sole, la parte più bassa dell'atmosfera, detta cromosfera, è una debole regione in cui hanno luogo vari fenomeni come le spicole o i flare, circondata da una zona di transizione, dall'ampiezza di 100 km, in cui la temperatura cresce enormemente. Al di sopra si trova la corona, un volume di plasma ad elevatissima temperatura (oltre il milione di kelvin) che si estende nello spazio per diversi milioni di km.[110] L'esistenza della corona sembra dipendere da una zona convettiva negli strati superficiali della stella.[108] A dispetto dell'altissima temperatura, la corona emette una quantità relativamente piccola di luce e risulta visibile, nel caso del Sole, solo durante le eclissi.

Dalla corona si diparte un vento stellare, costituito da plasma estremamente rarefatto, che si propaga nello spazio sino a quando non viene ad interagire col mezzo interstellare.[111]

Meccanismi delle reazioni nucleari

Lo stesso argomento in dettaglio: Nucleosintesi stellare.
La catena protone-protone.
Il ciclo del carbonio-azoto-ossigeno.

Una grande varietà di reazioni nucleari ha luogo all'interno dei nuclei stellari e, in base alla massa e alla composizione chimica dell'astro, dà origine a nuovi elementi secondo un processo generalmente noto come nucleosintesi stellare. Durante la sequenza principale le reazioni prevalenti sono quelle di fusione dell'idrogeno, in cui quattro nuclei di idrogeno (ciascuno costituito da un solo protone) si fondono per formare un nucleo di elio (due protoni e due neutroni). La massa netta dei nuclei di elio è però minore della massa totale dei nuclei di idrogeno iniziali; la massa in disavanzo non è stata persa, ma è stata convertita in energia secondo l'equazione massa-energia di Albert Einstein: E = mc².[1]

Il processo di fusione dell'idrogeno è sensibile alla temperatura, perciò anche il minimo cambiamento della temperatura si riflette sulla velocità a cui avvengono le reazioni. Di conseguenza la temperatura dei nuclei delle stelle di sequenza principale ha dei valori, variabili da stella a stella, che vanno da un minimo di 4 milioni di K (nelle nane rosse) ad un massimo di 40 milioni di K (stelle massicce di classe O). [105]

Nel Sole, il cui nucleo raggiunge i 10-15 milioni di K, l'idrogeno è fuso secondo un ciclo di reazioni noto come catena protone-protone:[112]

41H → 22H + 2e+ + 2νe (4,0 MeV + 1,0 MeV)
21H + 22H → 23He + 2γ (5,5 MeV)
23He → 4He + 21H (12,9 MeV)

Le precedenti reazioni possono essere riassunte nella formula:

41H → 4He + 2e+ + 2γ + 2νe (26,7 MeV)

dove e+ è un positrone, γ è un fotone nella frequenza dei raggi gamma, νe è un neutrino elettronico, H ed He sono rispettivamente gli isotopi dell' idrogeno e dell' elio. L'energia rilasciata da queste reazioni è espressa in milioni di elettronvolt, ed è solo una minima parte dell'energia complessivamente emessa. Inoltre l'enorme numero di queste reazioni, che avvengono continuamente e senza sosta sino all'esaurimento dell'idrogeno, genera l'energia necessaria per sostenere la fuoriuscita delle radiazioni prodotte.

Massa minima necessaria alla fusione
Elemento Masse
solari
Idrogeno 0,01
Elio 0,4
Carbonio 4
Neon 8

Nelle stelle più massicce, la fusione non è effettuata tramite la catena protone protone, ma tramite il ciclo del carbonio-azoto-ossigeno (ciclo CNO), un processo più "efficiente" che richiede una temperatura di almeno 40 milioni di K per poter avvenire.[112]

I nuclei di elio delle stelle più evolute, che abbiano masse comprese tra 0,5 e 10 masse solari, hanno temperature prossime ai 100 milioni di K, tali da permettere di convertire questo elemento in carbonio per mezzo del processo tre alfa, un processo nucleare che si serve come elemento intermediario del berillio:[112]

4He + 4He + 92 keV → 8*Be
4He + 8*Be + 67 keV → 12*C
12*C → 12C + γ + 7,4 MeV

La reazione complessiva è:

34He → 12C + γ + 7,2 MeV

Le stelle più massicce sono in grado di fondere anche gli elementi più pesanti, in un nucleo in progressiva contrazione, tramite i vari processi di fusione del carbonio, del neon e dell'ossigeno. La fase finale della nucleosintesi di una stella massiccia è la fusione del silicio che comporta la sintesi dell'isotopo stabile ferro-56; la fusione del ferro è un processo endotermico che non può più andare avanti se non acquisendo energia: di conseguenza le reazioni nucleari si arrestano ed il collasso gravitazionale non è più contrastato dalla pressione di radiazione.[112]

La tabella sottostante riporta il tempo che una stella di massa 20 volte quella solare impiega per fondere il proprio combustibile nucleare. Si tratta di una stella di classe B, con un raggio 8 volte quello del Sole ed una luminosità 62 000 volte quella della nostra stella.[113]

Combustibile
nucleare
Temperatura
(in milioni di K)
Densità
(kg/cm³)
Durata della fusione
(τ in anni)
H 37 0,0045 8,1 milioni
He 188 0,97 1,2 milioni
C 870 170 976
Ne 1 570 3 100 0,6
O 1 980 5 550 1,25
S/Si 3 340 33 400 0,0315[114]

Radiazione stellare

La nebulosa a riflessione NGC 1999 è irradiata da V380 Orionis (al centro), una stella variabile di 3,5 masse solari.

L'energia, prodotta dalle stelle tramite i processi di fusione nucleare, viene irradiata nello spazio sotto forma di onde elettromagnetiche e particelle elementari; queste ultime vanno a costituire il vento stellare, [115] un flusso stabile di particelle cariche, provenienti dagli strati esterni della stella (come protoni liberi, particelle alfa e beta) e neutrini, provenienti dal nucleo stellare.

La produzione di energia nel nucleo stellare è il motivo per il quale le stelle appaiono così brillanti: in ogni momento due o più nuclei atomici vengono fusi assieme a formarne uno più pesante, mentre viene liberata una grande quantità di energia tramite fotoni gamma. Durante l'attraversamento degli strati più esterni della stella tale energia è gradualmente convertita in altre forme di radiazione elettromagnetica, tra cui la luce visibile.

Il colore di una stella, che è determinato dalla frequenza della luce visibile, dipende dalla temperatura degli strati più esterni della stella, tra cui la fotosfera.[116] Oltre che alle lunghezze d'onda del visibile, una stella emette radiazioni anche alle altre lunghezze dello spettro elettromagnetico invisibili all'occhio umano, dai raggi gamma alle onde radio, passando per i raggi X, l'ultravioletto, l'infrarosso e le microonde.

Nota la distanza esatta di una stella dal Sistema solare, ad esempio tramite il metodo della parallasse, è possibile ricavare la luminosità della stella.

Luminosità

In astronomia la luminosità è definita come la quantità di luce e di altre forme di energia radiante emessa da una stella per unità di tempo; essa dipende strettamente dal raggio e dalla temperatura superficiale della stella. Approssimando la stella a un corpo nero ideale, la luminosità () è direttamente proporzionale al raggio () e alla temperatura (), che, messe in relazione, danno l' equazione:

dove indica la superficie della stella (approssimata a una sfera) e la costante di Stefan-Boltzmann.

Sono molte tuttavia le stelle che non emanano un flusso energetico (vale a dire la quantità di energia irradiata per unità di superficie) uniforme attraverso la propria superficie; ad esempio Vega, che ruota molto velocemente sul proprio asse, possiede un flusso energetico maggiore ai poli che non all'equatore.[117]

La superficie stellare presenta delle zone a temperatura più bassa del resto della fotosfera, le macchie stellari. Le stelle più grandi, le giganti, possiedono macchie molto vaste e pronunciate [118] e mostrano un forte oscuramento al bordo, vale a dire la luminosità diminuisce man mano che si procede verso il bordo del disco stellare;[119] invece le stelle più piccole, le nane come il Sole, hanno in genere poche macchie di piccole dimensioni; fanno eccezione le nane rosse a brillamento del tipo UV Ceti, che possiedono delle macchie molto vaste.[120]

Magnitudine

Lo stesso argomento in dettaglio: Magnitudine apparente e Magnitudine assoluta.

La luminosità di una stella è misurata tramite la magnitudine, distinta in apparente ed assoluta. La magnitudine apparente misura la luminosità della stella percepita dall'osservatore; essa dipende dunque dalla luminosità reale della stella, dalla sua distanza dalla Terra e dalle alterazioni provocate dall'atmosfera terrestre. La magnitudine assoluta o intrinseca è la magnitudine apparente che la stella avrebbe se si trovasse alla distanza di 10 parsec (32,6 anni luce) da Terra, ed è strettamente correlata alla luminosità reale della stella.

Numero di stelle per magnitudine
Magnitudine
apparente
Numero 
di stelle[121]
0 4
1 15
2 48
3 171
4 513
5 1 602
6 4 800
7 14 000

Entrambe le scale di magnitudine hanno un andamento logaritmico: una variazione di magnitudine di 1 unità equivale ad una variazione di luminosità di 2,5 volte,[122][123] il che significa che una stella di prima magnitudine (+1,00) è circa 2,5 volte più brillante di una di seconda magnitudine (+2,00) e, quindi, circa 100 volte più brillante di una di sesta magnitudine (+6,00). L'occhio umano arriva a distinguere le stelle sino alla magnitudine +6.

In entrambe le scale quanto più piccolo è il numero della magnitudine, tanto più luminosa è la stella e viceversa, quanto più è grande il numero, tanto più debole è la stella; di conseguenza le stelle più brillanti arrivano ad avere dei valori di magnitudine negativi. La differenza di luminosità tra due stelle è calcolata sottraendo la magnitudine della stella più brillante () alla magnitudine della stella meno brillante (mf) ed utilizzando il risultato come esponente del numero 2,512; cioè:

Differenza di luminosità

La magnitudine apparente (m) e assoluta (M) di ciascuna stella non coincidono quasi mai, a causa sia della luminosità effettiva sia della distanza da Terra;[123] ad esempio Sirio, la stella più brillante del cielo notturno, ha una magnitudine apparente di −1,44, una magnitudine assoluta di +1,41 ed una luminosità circa 23 volte quella del Sole. La nostra stella ha una magnitudine apparente di −26,7, ma la sua magnitudine assoluta è di appena +4,83; Canopo, la seconda stella più brillante del cielo notturno, ha invece una magnitudine assoluta di −5,53 ed è quasi 14 000 volte più luminosa del Sole. Nonostante Canopo sia enormemente più luminosa di Sirio, quest'ultima appare più luminosa poiché è nettamente più vicina: dista infatti 8,6 anni luce dalla Terra, mentre Canopo è situata a 310 anni luce di distanza dal nostro pianeta.

La stella con la magnitudine assoluta più alta rilevata è LBV 1806-20, con un valore di −14,2; la stella sembra essere almeno 5 000 000 di volte più luminosa del Sole.[124] Le stelle meno luminose conosciute si trovano nell'ammasso globulare NGC 6397: le più deboli si aggirano sulla 26a magnitudine, ma alcune arrivano persino alla 28a. Per avere un'idea della piccola luminosità di queste stelle, sarebbe come tentare di osservare dalla Terra la luce di una candelina da torta situata sulla Luna.[125]

Stelle variabili

Mira, prototipo delle variabili Mira.
Lo stesso argomento in dettaglio: Stella variabile.

Alcune stelle mostrano delle variazioni periodiche o improvvise nella luminosità, causate da fattori intrinseci o estrinseci. Le cosiddette variabili intrinseche possono essere suddivise in tre categorie principali:

  • Variabili pulsanti. Durante la loro evoluzione, alcune stelle passano attraverso delle fasi di instabilità durante le quali mostrano delle pulsazioni regolari. Le variabili pulsanti variano oltre che nella luminosità anche nelle dimensioni, espandendosi e contraendosi in un arco di tempo che varia da alcuni minuti sino ad alcuni anni, a seconda delle dimensioni della stella. In questa categoria sono comprese le Cefeidi e altre variabili simili a breve periodo (RR Lyrae ecc.), e le variabili a lungo periodo, come quelle del tipo Mira.[126]
  • Variabili eruttive. Questa classe di variabili è costituita da stelle che manifestano improvvisi aumenti nella luminosità causati da flare o fenomeni esplosivi di lieve entità, come le espulsioni di massa.[126] A questa categoria appartengono le protostelle, le stelle di Wolf-Rayet e le stelle a brillamento, così come anche le giganti e le supergiganti.
  • Variabili cataclismiche o esplosive. Le variabili cataclismiche, come dice il nome stesso, sono soggette a degli eventi cataclismatici che ne sconvolgono le proprietà; questa classe comprende le novae e le supernovae. Un sistema binario che sia costituito da una gigante rossa e da una nana bianca, vicina alla primaria, può dar luogo ad alcuni di questi eventi spettacolari, come le novae e le supernovae di tipo Ia;[8] l'esplosione si ha quando la nana bianca, sottraendo progressivamente idrogeno alla compagna, acquisisce una massa sufficiente ad innescare la fusione dell'idrogeno.[127] Alcune novae sono ricorrenti, cioè vanno incontro a periodiche esplosioni di moderata intensità.[126]

Le stelle possono anche variare la propria luminosità per fattori estrinseci; in questo caso prendono il nome di variabili estrinseche. Appartengono a questa classe le binarie a eclisse e le stelle che, ruotando, mostrano periodicamente delle macchie che ricoprono una vasta area della loro superficie.[126] Un esempio lampante di binaria a eclisse è Algol, che varia regolarmente la propria magnitudine da 2,3 ad oltre 3,5 in 2,87 giorni.

Le stelle nella cultura popolare

Da tempo immemore le stelle trovano spazio nella cultura popolare.[128] Sebbene le conoscenze popolari del cielo fossero piuttosto ridotte e commiste con numerose leggende, spesso legate alla religione cattolica, esse avevano un certo grado di complessità e rappresentavano, per così dire, la continuazione di quel sapere astronomico risalente dalla preistoria e profondamente legato alla scansione temporale delle attività lavorative nel corso dell'anno.[128]

L'ammasso aperto delle Pleiadi (M45), nella costellazione del Toro.

Per questo motivo alcuni astri assunsero nomi particolari: Venere, ad esempio, era denominata stella bovara perché il suo apparire coincideva con l'inizio della giornata lavorativa dei pastori, mentre Marte (o Antares) era detto la rossa e segnava il termine della mietitura, o ancora Sirio la stella delle messi poiché ricordava, in base al momento ed alla posizione in cui appariva, il tempo della semina in autunno o in primavera.[128]

Durante la stagione invernale era possibile scorgere con sicurezza i Tre Re, Alnilam, Alnitak e Mintaka, cioè le tre stelle che formano la Cintura di Orione. Altrettanto familiari erano il Piccolo e il Grande Carro, i cui corrispettivi termini dialettali sono le traduzioni dall'italiano, e la Via Lattea, definita in certi luoghi la Via di San Giacomo poiché indicava con una certa approssimazione la direzione del santuario di Santiago di Compostela.[128] Assai familiari erano anche le Pleiadi, che, considerate a lungo una costellazione a sé stante, erano associate alla figura della chioccia, al punto che sono popolarmente note come Gallinelle.[128]

L'apparizione delle comete, considerate vere e proprie stelle, era un avvenimento piuttosto raro, ma quando si verificava era considerato un cattivo presagio, che suscitava sempre apprensioni ed angosce.[128]

Note

  1. ^ a b John N. Bahcall, How the Sun Shines, su nobelprize.org, Nobel Foundation, 29 giugno 2000. URL consultato il 30 agosto 2006.
  2. ^ Alcune supernovae registrate in epoca storica furono visibili anche durante il dì; basti pensare alla supernova SN 1054 che, nell'anno 1054, raggiunse la magnitudine apparente -6 e fu visibile per 23 giorni consecutivi durante il dì.
  3. ^ La notte è il periodo della giornata in cui la forte luminosità del Sole non ostacola l'osservazione delle stelle.
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