Cucina siracusana: differenze tra le versioni

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Le mandorle, con il loro guscio legnoso, sono la frutta secca più rappresentativa del territorio (si veda ad esempio la [[mandorla di Avola]]), con essa i siracusani vi fanno moltissime lavorazioni culinarie: dalle bevande ai dolci e persino piatti salati. Molto diffuse anche le [[Ceratonia siliqua|carrubbe]], le noci e le [[Nocciola|nocciole]], mentre dai comuni montani degli Iblei pervengono le [[Castagna|castagne]].<ref>Cfr. es. {{Cita web|url=http://www.isaporidisicilia.com/iboschidibuccheri/castagno.htm|titolo=I boschi di buccheri - Castagno|sito=[http://www.isaporidisicilia.com/ www.isaporidisicilia.com]|accesso=6 maggio 2018}}</ref>
Le mandorle, con il loro guscio legnoso, sono la frutta secca più rappresentativa del territorio (si veda ad esempio la [[mandorla di Avola]]), con essa i siracusani vi fanno moltissime lavorazioni culinarie: dalle bevande ai dolci e persino piatti salati. Molto diffuse anche le [[Ceratonia siliqua|carrubbe]], le noci e le [[Nocciola|nocciole]], mentre dai comuni montani degli Iblei pervengono le [[Castagna|castagne]].<ref>Cfr. es. {{Cita web|url=http://www.isaporidisicilia.com/iboschidibuccheri/castagno.htm|titolo=I boschi di buccheri - Castagno|sito=[http://www.isaporidisicilia.com/ www.isaporidisicilia.com]|accesso=6 maggio 2018}}</ref>

== Dolci ==
{{Doppia immagine verticale|destra|128 - Siracusa - Frutti di pasta di mandorle - Foto Giovanni Dall'Orto - 17-Oct-2008 (cropped).jpg|Gelato alla fragola e stracciatella - Sicilia, Siracusa (cropped).jpg|215|Siracusa: pasta di mandorle modellata in modo tale da farle assumere le fattezze delle pesche|Del gelato artigianale alle fragole lavorato nel capoluogo}}
[[File:0113 - Siracusa - Pasticceria alla mandorla - Foto Giovanni Dall'Orto - 14-Oct-2008.jpg|miniatura|upright=1.0|Biscotti siracusani detti [[Pasta di mandorle|paste di mandorle]]]]
Molto variegata la preparazione e consumazione di dolci nel siracusano. Tra i principali e più diffusi vi sono le [[Granita|granite]]: qui quella alla mandorla compone di norma la colazione estiva e viene consumata insieme alla [[brioche]] siciliana (di forma lunga o rotonda),<ref group=N>Vd. [http://www.siciliano.it/go-foto.cfm?id=29645 immagine di granita siracusana alle mandorle con brioche]</ref> la quale non accompagna invece, quasi mai tra la popolazione locale, la granita al limone, che piuttosto viene servita con una [[cannuccia]], essendo di consistenza ben più fluida rispetto alla prima, poiché tra i siciliani sono proprio i siracusani coloro ai quali piace mescolare e lasciare molto spesso dentro la granita pezzettini di mandorla [[Torrefazione|tostata]] ancora grezza, ovvero con la pelle dopo la sgusciatura, rendendola più compatta.<ref>Cfr. {{Cita web|url=http://www.24orenews.it/italia-da-gustare/315-prodotti-tipici/sicilia/8046-estate-voglia-di-granita-anche-a-colazione-con-la-brioche|titolo=Estate voglia di granita anche a colazione con la brioche|sito=[http://www.24orenews.it/ www.24orenews.it]|accesso=2 maggio 2018}}</ref>

Sempre le mandorle siracusane, elemento caratterizzante di questa [[pasticceria]], sono alla base della [[Confetti|confetteria]] e della pasta che dal frutto secco prende il nome ([[pasta di mandorle]]), con la quale nell'ambito dolciario si preparano i [[biscotti]] e la [[frutta martorana]]. Sviluppata anche la [[Gelato#Gelato artigianale|gelateria artigianale]]: tra i gusti più diffusi e tipici del siracusano vi sono la ricotta, il fiordilatte, il [[caffè]], il [[pistacchio]], il [[torrone]], la fragola, il limone.{{#tag:ref|La cucina siracusana tiene in grande considerazione la preparazione del gelato. Si segnala, ad esempio, la finale ai campionati italiani del gelato 2017 (''[http://www.gelatoworldtour.com/it/ Gelato World Tour]'') per due artigiani gelatieri siracusani (raggiunta con un gelato a base di mandorle), o ancora la tappa siracusana del ''[https://challenge.carpigiani.com/it/home Gelato Festival Challenge]'' nel 2018 volta alla partecipazione della finale planetaria del ''Gelato Festival World Masters'' in programma nel 2021.<ref>Cfr. {{Cita web|url=http://www.siracusalife.it/2017/03/08/due-gelatieri-siracusa-alla-finale-italiana-gelato-world-tour/|titolo=Due gelatieri di Siracusa alla finale italiana di Gelato World Tour|sito=[http://www.siracusalife.it/ www.siracusalife.it]|accesso=2 maggio 2018}}; {{Cita web|url=https://www.gelatouniversity.com/it/news/karrua-femminello-siracusa-gelato-festival-challenge|titolo="Karrua" e "Femminello di Siracusa" vincono il Gelato Festival Challenge di Siracusa|sito=[https://www.gelatouniversity.com/ www.gelatouniversity.com]|accesso=2 maggio 2018}}</ref>|group=N}} Peculiari e tradizionali dei comuni iblei (soprattutto a Noto e Palazzolo Acreide) sono anche i gelati al gusto di [[Rosa (botanica)|rosa]] e [[gelsomino]].<ref>Cfr. ''Siracusa e provincia: i siti archeologici e naturali, il mar Ionio, i monti Iblei'', 1999, p. 24; Silvano Vinceti, ''Area marina protetta del Plemmirio'', 2006, p. 96. Vd. anche {{Cita web|url=https://www.saporie.com/it-it/il-buono-del-paese-siracusa-sapori-e-dintorni.aspx |titolo=Il buono del paese. Siracusa, sapoti e dintorni|sito=[https://www.saporie.com/ www.saporie.com]|accesso=7 maggio 2018}}</ref>

Nella totalità dell'area iblea è radicata l'abitudine di sfornare al mattino, in ogni periodo dell'anno, [[Raviola|raviole]], per una colazione dolce, principalmente al forno, alle quali si accostano un minor quantitativo di raviole fritte cosparse di zucchero granulato (a Siracusa esse possono prendere il nome di ''Romana''). Le raviole siracusane non sono quasi mai [[Pasta sfoglia|sfogliate]], distinguendosi<ref>Vd. immagine della raviola tipica siracusana: [https://pbs.twimg.com/media/DHfvydVUwAECizh.jpg:large raviola al forno preparata nell'isola di Ortigia, Siracusa]</ref> per questo dalle raviole al forno catanesi e da [[Raviola di ricotta nissena|quelle fritte nissene]]; entrambe fatte di pasta sfoglia.<ref>Cfr. {{Cita web|url=https://blog.giallozafferano.it/cucinaprediletta/raviole-catanesi-al-forno/|titolo=Raviole catanesi al forno – ricetta veloce|sito=[https://blog.giallozafferano.it/ blog.giallozafferano.it]|accesso=2 maggio 2018}}</ref> La farcitura delle raviole aretusee può essere di ricotta, [[cioccolato]] o [[crema pasticcera]]. Per quanto riguarda la preparazione del dolce più rappresentarivo della Sicilia, ovvero la [[cassata siciliana]], va specificato che i siracusani la preparano in maniera leggermente differente: nell'area iblea infatti si fa largo uso del [[pan di spagna]] e si adopera molta più ricotta, mentre non è usanza farcire con il [[marzapane]].<ref>Cfr. ''Siracusa e provincia: i siti archeologici e naturali, il mar Ionio, i monti Iblei'', 1999, p. 24.</ref>

Oltre ciò (ovviamente anche qui si confezionano quotidianamente [[cannoli]] e cassatine) vi sono poi numerose specialità locali, la cui origine risale precisamente a questo territorio (il più delle volte esse vengono preparate durante le festività religiose e popolari); per citare solo alcune delle più mangiate: lo ''zuccaro'' (trecce o bastoni rigati di zucchero modellato),<ref>Vd. formazione dello ''zuccaro'': {{Cita web|url=http://www.siracusanelmondo.com/video/u-zuccaro-tipico-dolce-siracusano/|titolo="U Zuccaro" tipico dolce siracusano|sito=[http://www.siracusanelmondo.com/ www.siracusanelmondo.com]|accesso=2 maggio 2018}}</ref> i ''totò'', che sono dei biscotti al cioccolato o al limone ricoperti da [[glassa]] (quelli al limone per la forma allungata vengono chiamati ''ossa re morti''), i ''sanfurricchi'' (specialità al miele di Sortino, sono considerate la caramelle più antiche del mondo),<ref name=sortino/> i fichetti (biscotti a base di mandorla e marmellata di fichi),<ref>Vd. immagine: [https://st2.depositphotos.com/1354644/7836/i/950/depositphotos_78364094-stock-photo-fichetti-typical-cake-from-siracusa.jpg biscotti fichetti siracusani]</ref> la ''[[Giurgiulena|giuggiulena]]'' (quella siracusana è riconoscibile per l'aggiunta di scorze d'arancio e mandorle),<ref>Vd. immagine della ''giuggiulena'' siracusana: [https://myhomesiracusa.files.wordpress.com/2014/12/giuggiulena.jpg il torrone siracusano fatto di sesamo, arance e mandorle]</ref> la [[Cuccìa (Sicilia)|''cuccìa'']] di [[Santa Lucia]] (dolce di grano al cucchiaio dalle origini molto antiche),<ref>Vd. Silvano Vinceti, ''L'area marina protetta del Plemmirio'', 2006, pp. 100-101.</ref> ''i facciuni ri Santa Chiara'' (biscotti alle mandorle glassati con vari colori, inventati in un convento del siracusano consacrato a [[Santa Chiara]]).<ref>Cfr. {{Cita web|url=http://www.siciliafan.it/li-facciuni-santa-chiara-dolce-tipico-provincia-siracusa/|titolo=Facciuni di Santa Chiara|sito=[http://www.siciliafan.it/ www.siciliafan.it]|accesso=2 maggio 2018}}</ref>


== Il Vino ==
== Il Vino ==

Versione delle 21:57, 7 mag 2018

Voce principale: Cucina siciliana.

La cucina siracusana è costituita dall'insieme di piatti e preparazioni che sono patrimonio tradizione culinaria della provincia italiana di Siracusa.

Così come la Sicilia, anche il territorio siracusano ha visto, nei secoli, l'avvicendarsi di popoli che hanno lasciato vistose tracce, anche nella gastronomia locale, donando ai piatti tipici del luogo un sapore orientale e mediterraneo.

La cucina del territorio infatti, trovandosi in prossimità della costa, si avvale dei prodotti pescati dal mare e li amalgama con quelli ricavati dalla terra, come i prodotti provenienti dai vicini Monti Iblei.

Rinomati ed apprezzati, sia in Italia che all'estero, sono degli alimenti provenienti dai luoghi siracusani, come i pomodorini di Pachino, la mandorla di Avola, il vino Nero d'Avola, il miele di Sortino, il limone e la patata novella di Siracusa, l'arancia rossa di Sicilia che viene coltivata in molti dei comuni della provincia: Lentini, Carlentini, Francofonte e in diversi altri.

Storia della cucina siracusana

La cucina nell'epoca antica

Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina dell'antica Siracusa.
Scultura proveniente dall'antica Siracusa, ritraente la scena di un simposio (museo archeologico regionale Paolo Orsi)
Platone (dipinto di Raffaello Sanzio), il fiolosofo ateniese che criticò l'opulenza della cucina siracusana
(GRC)

«Οὕτως δ´ ὀψοποιεῖν εὐφυῶς περὶ〈τὴν〉Σικελίαν αὐτὸς ἔμαθον ὥστε τοὺς δειπνοῦντας εἰς τὰ βατάνι´ ἐμβάλλειν ποιῶ ἐνίοτε τοὺς ὀδόντας ὑπὸ τῆς ἡδονῆς.»

(IT)

«Ho io appreso così bene a cuocere le vivande in Sicilia, che per il piacere farò ai commensali morsicare i tegami ed i piattelli .»

La cucina siracusana fu tra le più rinomate dell'antica Grecia. I suoi cuochi divennero celebri: Miteco Siculo e Labdaco di Siracusa erano considerari simboli dell'arte culinaria; da essi si recavano gli altri cuochi dell'antichità per apprendere la maniera esatta di preparare le pietanze.

Tra le sue specialità vi erano il pesce cosparso di formaggio e insaporito con salse aromatiche (usanza criticata solo da Archestrato di Gela), la preparazione di pasta di grano e i dolci al miele ibleo.

La cucina siracusana era sinonimo di abbondanza e ricercatezza: il proverbio «come un banchetto siracusano» si usava per indicare le mense particolarmente ricche ed elaborate, che ricordavano quindi il modo di mangiare dei Sicelioti. Il filosofo Platone biasimò lo stile di vita dei Siracusani e la loro cucina fin troppo evoluta: essi, disse l'Ateniese, pranzavano due volte al giorno e corrompevano l'anima e il corpo del guerriero greco con tutta una serie di leccornie e piatti sofisticati.

Platone a tali abitudini alimentari diede persino la colpa dell'instabilità politica della pentapoli aretusea; egli voleva educare i suoi cittadini alla frugalità (cibi come olive e fichi). Ma i Siracusani andavano fieri della loro espressione culinaria. Essi si consideravano i prescelti della dea Demetra, colei che consegnò loro, primi tra tutti gli uomini della Terra, la cariosside (frutto del grano), affermavano altresì che Aristeo, il dio dell'agricoltura, era giunto in Sicilia per insegnarli la fabbricazione dell'olio, del latte e del miele. Consideravano inoltre dolci i loro pesci, poiché erano il frutto di un mare diverso: un mare dalle acque dolci; un eufemismo per sentenziare la bontà degli alimenti con i quali si nutrivano.

La cucina dal medioevo a oggi

I limoni del siracusano, piantati per la prima volta in epoca araba

Con la dominazione araba (IX secolo) nella cucina siracusana vennero introdotti nuovi alimenti, molti dei quali provenienti dal Levante, come i frutti degli alberi del limone, dell'arancio, del carrubbo e del mandorlo, che incontrando grande prosperità su questo territorio ne avrebbero segnato significatamente, nei secoli a venire, l'aspetto fisico e gli usi alimentari.

Il modo di nutrirsi dei siracusani durante i cosiddetti «secoli bui» dovette mutare di parecchio, o meglio, dovette divenire decisamente più frugale rispetto alla nota cucina del luogo d'epoca greco-romana, visto che sul finire del medioevo il filosofo e teologo olandese Erasmo da Rotterdam rese noto nei suoi Adagi, con un certo disappunto, che gli abitanti di Siracusa, e i «Siculi» in generale, non meritavano più l'antico proverbio sui fasti delle loro tavolate («come un banchetto siracusano»), poiché mangiavano in maniera molto più povera.[N 1]

Tra le numerose nuove colture orientali, una che scrisse un importante pezzo di storia sulle vivande siracusane fu la canna da zucchero (originaria della Nuova Guinea): il suo utilizzo e commercio partì proprio da Siracusa e in breve tempo si estese a tutta la Sicilia e ai territori limitrofi, finendo da qui oltreoceano:

«La fabbricazione dello zucchero di canna, iniziatasi dapprima a Siracusa, si allargò a tutta la Sicilia, poi passò alla Calabria, alla Campania (Gaeta), alle Marche (Ancona), all'Emilia (Bologna), a Venezia.[3]»

Intorno al XV secolo lo zucchero che si estraeva dalla canna (il saccarosio) prese ad interessare i governi dei vari paesi, per cui la pianta che lo produceva divenne pregiata. Essa localmente era detta cannamela, poiché la sua dolcezza ricordava il miele, e nel siracusano la si trovava soprattutto ad Avola, a Melilli e ad Augusta. Fu dal porto di Siracusa che l'imperatore Carlo V di Spagna spedì nei suoi possedimenti dell'America del Sud la canna da zucchero che era stata coltivata in queste zone.[4] Tuttavia il trapianto nel "Nuovo Mondo" rappresentò l'inizio della decadenza delle piantagioni siciliane: ben presto lo zucchero americano prevalse su quello locale (dal XVI secolo), sostituendosi ad esso nelle cucine. Ciononostante, in alcune aree del siracusano la coltivazione resistette; come ad Avola, nella quale (ancora nel XVIII secolo) si continuava ad utilizzare la suddetta pianta per produrre zucchero e rum.[5]

(FR)

«Les plantations du nouveau monde ont presque fait abandonner la culture de ce précieux roseau. On n'en retire aujourd'hui que du rhum nullement inférieur à celui de la Jamaïque, et une espèce de mélasse connue sous le nom de mele nero. Nous avions traversé Avola et ses immenses plaines d'amandiers.»

(IT)

«Le piantagioni del Nuovo Mondo hanno quasi causato l'abbandono della coltura di questa preziosa canna. Oggi da essa riceviamo solo rum, che non è per nulla inferiore a quello della Giamaica, e una specie di melassa nota come melenero. Noi avevamo attraversato Avola e le sue immense distese di mandorli.»

Il ricordo della produzione dello zucchero rimase nei toponimi del territorio: a Siracusa un quartiere dell'isola di Ortigia nel XVIII secolo portava il nome di Cannamele (tutt'oggi conservatosi)[6] e un'antica porta della città era chiamata Porta degli Zuccheri o Porta Saccària, detta anche Porta dei Saccàri (Turrim supra portam sacchariorum positam).[7]

I secoli dell'innovazione dello zucchero furono anche i secoli nei quali i siracusani trovarono il metodo per la fabbricazione di sorbetti e granite: se i conquistatori berberi adoperavano la neve, e quindi il ghiaccio, del vulcano Etna come ingrediente base per lo sherbeth,[8] i siracusani invece si servivano della neve stipata nelle neviere dei monti Iblei (soprattutto in quelle di Buccheri sul monte Lauro), per poi mischiarla allo zucchero di canna e al succo della frutta.[8] Fu nel 1500 che essi iniziarono a commercializzare il ghiaccio del territorio, molto richiesto in cucina: tra Seicento e Settecento dal mare siracusano alla volta del resto della Sicilia e anche di Malta, salpavano navi cariche di ghiaccio.

«Le neviere di Buccheri e dei monti Iblei in generale erano già molto famose nel XVIII per l'industria del sorbetto fioritavi [...][9]»

Ma oltre che per la preparazione dei primi dolci freddi, il ghiaccio ibleo veniva utilizzato anche per la conservazione degli alimenti (congelamento) e per rendere più piacevoli le bevande, specialmente d'estate; come nel caso del vino refrigerato[N 2] (questa "fabbrica del freddo" che aveva per protagonisti i monti cessò solo quando nacquero i primi impianti per la formazione del ghiaccio direttamente nei centri costieri).[11]

Nel frattempo, nonostante la comparsa del rivoluzionario saccarosio sulle tavole siracusane, non aveva avuto termine la produzione del più antico dolcificante conosciuto dai locali: il miele. Il botamico Paolo Silvio Boccone nel XVII secolo scrisse che i contadini degli Iblei raccoglievano miele esattamente come lo facevano i loro predecessori molto tempo prima.[N 3]

La tonnara di Vendicari dove si pescava il tonno e si salava il pesce
Le saline di Augusta, in disuso dalla metà del secolo scorso

I siracusani poterono usufruire per un largo periodo del sale, ovvero del cloruro di sodio, prelevato dal loro stesso mare, tramite il processo di evaporazione solare delle acque. I cristalli che emergevano venivano lavorati nelle numerose saline del territorio. A differenza di quanto accadeva nella parte occidentale dell'isola, nel siracusano vi era una equa e vasta distribuzione di questi impianti[13] (se ne arrivò a contarne ben 13[14]); essi si potevano dividere in quattro gruppi: saline di Pachino (nel cui gruppo rientravano anche le saline di Vendicari), saline di Siracusa, saline di Magnisi e saline di Augusta.[13]

Alcune di queste saline risalivano al medioevo (senza considerare il fatto che a quanto pare gli antichi Siracusani avevano già i loro metodi per procurarsi il sale[N 4]), ma le più importanti risultarono essere quelle di Magnisi (all'epoca ancora parte del comune di Siracusa) e quelle di Augusta.[13]

«[...] perchè nelle saline di Siracusa e di Augusta si produce una grandissima quantità di sale, che viene esportato in gran parte per gli scali del Levante; e perchè le quattro tonnare che esistono nel litorale della provincia danno alimento all'esportazione del pesce salato.»

Il sale locale veniva adoperato nelle cucine per insaporire svariate pietanze; un antico canto popolare augustano diceva:

Salinaro con cesto di sale sulle spalle a Magnisi (odierna Priolo Gargallo)
(SCN)

«Austa bella ci porta lu sali, ppi ffari la minestra sapurita.[14]»

(IT)

«La bella Augusta ci porta il sale, per fare la minestra saporita.»

Le saline del siracusano producevano tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo una media annua di 25.000 tonnellate di sale.[N 5] La cucina siracusana impiegava il sale prodotto per insaporire soprattutto le acciughe, le sardine, le alici, ma anche i tonni che non si riuscivano a vendere subito, poiché il sale ne facilitava la conservazione.[17]

La lavorazione del sale in loco cessò a metà del '900 (alcune saline resistettero fino agli anni '70, '80), in parte a causa dell'ingombrante presenza delle petroliere, attirate dal nuovo polo industriale del siracusano,[14] e in parte per cause ancora non chiarite (probabile crisi locale del settore).[18] Nelle cucine del territorio si prese quindi ad adoperare il sale lavorato altrove.

I cuochi siracusani conobbero anche l'uso del riso nato dalle proprie campagne: questa graminacea (originaria dell'Asia) venne anch'essa introdotta per la prima volta in Sicilia dagli Arabi,[19] anche se alcuni studiosi fanno notare che non si hanno notizie nei secoli più antichi di coltivazioni di riso siciliano,[N 6] mentre invece appare documentata, almeno fin dal XIX secolo, la risicoltura nelle province di Siracusa, Catania e in minima parte in quella di Agrigento.[21]

Ciò che consentì ad una vastissima area del siracusano la coltivazione di questa pianta furono le sue particolari condizioni climatiche e idrologiche: un clima sufficientemente umido, pur trovandosi in una regione prevalentemente secca,[N 7] e disposizione di acqua dolce (da fiumi e laghi); al punto tale da permettere il mantenimento dell'Oryza sativa.[22][23] Tuttavia ad un certo punto la risicoltura siracusana, nonostante i suoi iniziali 600 ettari a risaia,[21] andò man mano restringendosi, resistendo soprattutto a Lentini (che da sola, verso la fine, faceva quasi 80 ettari di risaia),[24][25] fino a quando non fu fatta cessare del tutto.[N 8][27]

«La sola regione del Mezzogiorno dove ancora si mantiene la coltura del riso in una discreta estensione, è la provincia di Siracusa [...][24]»

Nonostante non si coltivasse più riso, i siracusani avevano ormai legato alla loro alimentazione l'uso di questo cereale, mescolandolo con sostanze sia dolci che salate; è il caso degli arancini: la prima testimonianza storica su di essi risale al 1857 e ne parla come di una vivanda dolce fatta di riso, chiamata «arancinu»[28][N 9] (mentre la prima menzione dell'arancino in lingua italiana risale al 1942[30]). Solo in seguito sarebbe nata la variante salata con il ragù. La tradizione siracusana legata agli arancini dolci emerge chiara da uno dei canti più antichi dei vanniaturi[31] (gridatori di piazza): u vanniature in questione, soprannominato il «triestino» (era un profugo della prima guerra mondiale stabilitosi a Siracusa), se ne andava in giro per le strade della città vendendo arancini dolci, da lui stesso rosolati, a base di ricotta e cioccolato.[32]

L'odierna cucina siracusana è il risultato della storia plurimillenaria del territorio; dei numerosi apporti culturali che lo stesso ha ricevuto, i quali si sono tradotti nelle cucine siracusane in pietanze uniche nel loro genere. Il regime nutrizionale dei siracusani rientra a pieno titolo nella costituita dieta mediterranea (dichiarata patrimonio immateriale dell'umanità dal 2010), potendosi considerare quella di Siracusa una delle prime aree ad aver posto le basi per questo genere di alimentazione.[33]

La cucina e il territorio

Pescatori di Siracusa in una fotografia di Giovanni Crupi (1849-1925)

Pesci, molluschi e crostacei

«Una prodigiosa quantità e varietà di pesci offre il nostro mare da poterne provvedere gli stranieri, se, essendo maggiore il numero dei pescatori, si moltiplicasse il salume. I nostri però nell'estate sono impiegati nelle sei tonnare della costiera, che dal mese di aprile sino alla metà di settembre occupano circa 600 pescatori, cosicché è un numero sufficiente da far scarseggiasse il pesce in città, se non vi supplisse il pesce di tonnara. Nell'inverno poi non amano d'allontanarsi [i pescatori] gran tratto, e moltissimi non s'allontanano neppure dal porto [...]»

Il pesce ha sempre fatto parte dell'alimentazione delle popolazioni costiere del siracusano. Gli abitanti di queste città, Siracusa in testa, si nutrivano essenzialmente dei prodotti ittici pescati nel tratto di mare della loro provincia . Nel XIX secolo (1830) un viaggiatore russo, Aleksandr Dmitrieviò, rilevando la povertà della popolazione locale, lasciò scritto sul Journal de Saint-Pétersbourg[N 10] che il nutrimento dei siracusani consisteva nel consumare quotidianamente tre semplici cibi: «verdure, frutti di mare e pasta».[34] E nel 1925 il ministero della Marina rilevava come Siracusa si alimentasse con il pesce che confluiva in essa non solamente dalle barche dei suoi pescatori, ma anche con il pesce che eccedeva dai comuni di Pachino, Noto (sbocco a mare tramite il Lido di Noto) e Avola.[35]

I pescatori locali avevano le loro tecniche antiche per far arrivare tra le vie del centro abitato un buon pescato fresco.[36] Nel porto aretuseo si potevano osservare oltre ai caratteristici buzzetti (piccole e veloci imbarcazioni con occhi dipinti risalenti alla tradizione d'età greca) anche le bulestri e le sciabiche; dalle quali derivavano le omonime reti da pesca, poste di fianco alle nasse e ai conzi.[36] Nella grotta dei Cordari di Siracusa si fabbricavano le reti di canapa mentre ad Avola si confezionavano quelle dette "d’erba".

I pescatori poi si costruivano da soli un particolare tipo di rete utilizzando le resistenti piante dei pantani e dei fiumi del territorio.[36] Non amavano allontanarsi troppo dal porto, poiché lo Ionio poteva divenire rapidamente un mare pericolosissimo, a causa dei suoi forti venti.[36]

Veduta di Siracusa dallo Ionio che la circonda

Essendo acque davvero molto pescose, coloro che avevano passato tutto il giorno in barca si ritiravano nelle proprie case con una fantasiosa varietà di alimenti marini, per cui nel siracusano si diffuse ben presto l'abitudine di comporre nelle cucine la zuppa di pesce[36] (o zuppa di mare[37]).

Con gli anni il settore della pesca nel siracusano ha subìto una decrescita dovuta alla crisi economica del territorio, ma fortunatamente non è sparito del tutto. Le barche locali continuano a rifornire ogni giorno i mercati ittici dell'odierno libero consorzio comunale siracusano (i principali sono situati a Siracusa e a Portopalo di Capo Passero); tra l'altro è proprio da qui, dalla città aretusea, che è partito recentemente (dal 2014) un importante progetto comunitario volto a far radicare nell'area costiera della Tunisia le conoscenze siciliane sui processi biotecnologici che permettono di avere sulle tavole mediterranee pesce sano e fresco.[N 11]

Ancora oggi, nel XXI secolo, si può certamente affermare che i siracusani seguitino a prediligere una cucina di pesce. Il loro mare, lo Ionio della Sicilia orientale, ha una peculiarità: è ricco di scogliere (qui affiorano numerosi patch-reefs a Porites[N 12]) e può raggiungere facilmente grandi profondità,[N 13] si tratta in sostanza di un mare dai fondali versatili che come conseguenza di ciò offre agli uomini un pescato altrettanto diversificato. Cosicché le tavole siracusane abbondano di un gran numero di piatti marinari.

A largo della costa si pesca il pelagico pesce azzurro (alimento noto per i suoi benefici omega-3): tra le bancarelle dei mercati siracusani si possono trovare, in grandi quantità, acciughe (chiamate localmente masculinu), sardine, sgombri, aguglie e altri esemplari dal dorso azzurro-verde e dal ventre argenteo. Un altro pesce pelagico ben noto ai siracusani è la lampuga (a lampuca);[41] ma si pesca spesso anche la grande aguglia imperiale. Non mancano i pesci abissali come la spatola (a spatula),[42] definita dal greco Archestrato autoctona di questi luoghi, oppure lo squalo palombo, che è innoquo per l'uomo, detto pisci palummu in dialetto siracusano (anche se la sua pesca è deprecata, poiché è una specie di squalo dallo stato di conservazione dichiarato vulnerabile[43]).

Tradizione marinara millenaria nel siracusano è la pesca del tonno, nello specifico del tonno rosso (le numerose tonnare sparse nei suoi centri costieri ne sono la più palese e interessante testimonianza ); un tempo largamente diffusa (la sua flotta, insieme a quella di Trapani, era fino al secolo scorso la maggiore d'Italia per quanto concerneva la pesca di questo esemplare marino[44]), adesso regolamentata; così come quella del pesce spada.[45]

Qui si può trovare pure l'ormai rara cernia bruna[46] (tutelata nell'AMP del Plemmirio[47]), insieme alla cernia bianca. Nei fondali più bassi vivono invece pesci costieri come le spigole, le orate e i cefali (mulettu), tutti molto apprezzati dai siracusani. Da sottolineare a tal proposito che a Pachino sorge il maggiore allevamento ittico italiano di spigole e orate.[48]

Gastropoda alla scogliera dell'Arenella
Pescato locale: seppie, polipi di scoglio, totani e merluzzi
Spatole, cozze, vongole e altri pesci al mercato di Ortigia

Tra le rocce del mare siracusano si pescano saraghi, corvine, dentici, occhiate, triglie e murene, solo per elencare alcuni degli alimenti marini più noti.[49] Tra gli anfratti rocciosi e sabbiosi si trovano anche numerosi molluschi: calamari, polpi, totani, seppie abbondano.

Tra i crostacei si segnalano particolarmente le aragoste[50] e il gambero rosso[51]. Caratteristici del luogo, e molto usati per i primi piatti, sono i ricci di mare. Sul territorio sorgono inoltre importanti allevamenti di cozze mediterranee (Siracusa e Messina rappresentano i maggiori centri per la mitilicoltura siciliana);[52] sono diffusi anche tutti gli altri principali frutti di mare (bivalvia) del Mediterraneo.

Maggiormente in passato, alcuni frutti di mare che in altre aree geografiche non erano molto ricercati, perché considerati di poco pregio oppure perché poco comuni, risultavano parecchio richiesti dai siracusani: ad esempio le telline e i cannolicchi (apprezzati ancora oggi).[53] Viceversa, i siracusani non volevano mangiare le cozze pelose (Modiolus barbatus), che invece altri popoli costieri, come i pugliesi, consideravano, e tutt'oggi considerano, buonissime.[53][54] Prima che la loro pesca fosse vietata, inoltre, i siracusani andavano ghiotti di datteri di mare (per di più qui si trova la sua versione più rara: il dattero di mare bianco[53]); apprezzavano pure la lagunare chiocciola di fango, detta cuore comune.[53]

Nell'alimentazione marinara locale si consumano anche i molluschi gastropoda (con il guscio), come i vuccuna (i bocconi, ovvero i murici) e le patelle (che a Siracusa vengono generalmente consumati crudi[55]).[56] I siracusani mangiano anche le uova dei pesci: nello specifico si tratta delle uova del tonno, del pesce spada e del cefalo, con le quali fanno un piatto tipico siciliano che prende il nome di bottarga; famosa soprattutto quella del borgo marinaro di Marzamemi, mangiata in gran parte del libero consorzio tra primi piatti e conserve ittiche.[57]

Infine vanno menzionati anche alcuni pesci d'acqua dolce e salmastra che Siracusa può annoverare tra i suoi alimenti: oltre ai già citati cefali (numerosi di essi popolano la fonte Aretusa, ma si possono solo osservare), nei fiumi del territorio si pescano l'anguilla, la tinca tinca e la trota (autoctona degli Iblei è la rara trota macrostigma)[58][59]

La pasta

Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina siracusana § Primi piatti.
Siracusa: gnocchetti freschi con un tipico condimento locale a base di pesce spada e pomodoro

La pasta è l'alimento che domina i primi piatti siracusani. La sua produzione casareccia risale a un tempo antichissimo. Già in epoca greca si mangiava il láganon: pasta piatta, non lievitata e tagliata a strisce, ma cotta in forno anziché bollita in acqua (da lì deriva il nome delle lasagne).[60]

Nei secoli passati la pasta già essiccata (nota fin dal medioevo) era un alimento troppo costoso per i siracusani, nel territorio si sviluppò quindi una significativa e diversificata produzione di pasta casareccia. Nacquero molti formati di pasta fresca: i più diffusi divennero i cavatelli (cavateddi), i ravioli (raviula), i maccheroni (maccarruni), gli gnocchi (gnocculi).

Al giorno d'oggi la pasta prodotta artigianalmente la si può acquistare presso i pastifici locali e la si può mangiare spesso negli agriturismi o in altre strutture della ristorazione siracusana. Nell'entroterra si trovano i formati di pasta fresca più singolari del luogo: i lolli della Sicilia sud orientale (tipici di Rosolini ma presenti anche a Pachino e Portopalo di Capo Passero), composti da una pasta tritata a mano e leggermente allungata, e i tuccuna di Noto e Canicattini Bagni, molto simili alla classica lasagna eccetto che per la consistenza più spessa.

Il pane

Nel siracusano è una tradizione antica quella di fare il pane in casa (in dialetto pani ri casa). Non solamente nei comuni montani del territorio, ma anche in quelli costieri; nello stesso capoluogo, come testimonia la cronoca del palazzolese Giuseppe Fava, vissuto a Siracusa durante gli anni della seconda guerra mondiale:[61]

«Mangiavamo pane di casa con insalata di cedro e cipolla, patate bollite col sale e sanguinaccio.»

Fava ricorda che erano i contadini a portargli il pane di casa quando lui si trovava al porto della città aretusea. Infatti l'usanza di produrre il pane nelle singole abitazioni giungeva proprio dai lavoratori della campagna, e poiché le particolari condizioni geografiche consentivano anche ai centri confinanti con il mare di sviluppare una forte componente agricola, le più antiche usanze contadine si diffusero omogeneamente in tutti i comuni del territorio. A dimostrazione di ciò, è un dato di fatto che almeno fino agli anni '30 del '900 quasi ogni cucina domestica siracusana avesse il proprio forno di pietra, alimentato con la legna, per cuocervi dentro il pane.[62] In tempi di povertà il pane componeva l'alimento primario della popolazione. Esso, la cui lavorazione era affidata quasi esclusivamente alle donne,[62] veniva mangiato quotidianamente dai lavoratori: dall'agricoltore al pescatore.[63]

La consistenza e il colore del pane casareccio siracusano (nell'immagine cuddure palazzolesi)

Da queste parti, ancora oggi, quando il pane deve essere buttato, prima lo si bacia; un antico segno di devozione e rispetto verso la sacralità rappresentata da questo alimento che è legato alla figura di Gesù Cristo[64] («Il pane è la grazia di Dio per eccellenza»[65]).

Riguardo alla feracità di questi luoghi, dunque all'abbondanza di grano, basti ricordare che nell'antichità Siracusa esportava il suo grano per sfamare gli egizi di Alessandria in tempi di carestia,[15] che più di una volta essa sfamò il popolo di Roma[66] e che le terre di Lentini vennero definite da Plinio come le più feconde di cereali;[67] lì, si diceva, il grano era addirittura selvatico[68] (Cicerone definiva l'agro lentinese feracissimo).[69] Condizione ottimale dettata in parte dall'antico grande lago lentinese, prosciugato solo in epoca moderna e poi ridimensionato, che ha reso la zona particolarmente adatta all'agricoltura.

Proprio Lentini dà il suo nome al pane casareccio più famoso del libero consorzio,[70] prodotto anche nel comune di Carlentini. Questo pane, dalla caratteristica forma ad esse (simbologia che al giorno d'oggi si accosta al "pane siciliano" in generale)[71] e cosparso di semi di sesamo (giuggiulena), viene cotto a legna e durante tale processo, con il fine di aromatizzarlo, esso viene contornato da bucce di mandorle e rami d'olivo o d'agrumi.[72]

L'area iblea è definita la patria del pane siciliano a forma di esse

Odiernamente il pane fatto in casa lo si può trovare con più facilità nei comuni dell'entroterra siracusano, specialmente in quelli con minor popolazione e con un importante vissuto contadino alle spalle, mentre nei grossi centri urbani, situati quasi tutti lungo la costa, la produzione e la vendita del pane viene ormai affidata maggiormente ai numerosi panifici. Per quanto concerne i pani casarecci del territorio ve ne sono diversi legati agli eventi religiosi; tra i più noti si annoverano: il pane di Palazzolo Acreide, detto Cuddura (durante le feste religiose dedicate a San Paolo e a San Sebastiano i palazzolesi sfornano numerosi formati di pane che vengono poi fatti benedire e vengono distribuiti alle famiglie umili della cittadina iblea);[73] quello di Cassaro, detto Cavagneddo (fatto con farina di grano tenero, poiché è un pane dolce condito con il miele, sfornato con svariate forme per il periodo di Pasqua);[74] quello di Buccheri, detto ’nfasciateddu (pane a forma di infante fasciato, preparato per celebrare il Natale).[75]

Il pane siracusano, sia esso fatto in casa o preparato dai panettieri locali, è di norma composto da grano duro (pane a pasta dura[76]), acqua, sale marino e lievito madre (u criscenti) oppure lievito di birra (contra levuto).[77] Il pane più caratteristico del luogo è lo Scollo (u Scoddu), che assume le fattezze del tradizionale pane casareccio: ha una dura crosta ai bordi esterni ed una più friabile sulla superficie interna, la sua forma può essere leggermente ricurva oppure a mezzaluna.[N 14] Segue il pane serale a forma di emme, detto Manuzza in dialetto locale (altrimenti Manina),[78] il panino e il Morbidone: entrambi i tipi di pane si distinguono per avere la crosta sottile color caramello e mollica soffice all'interno; vengono scelti per essere adoperati dai paninari siracusani (che il più delle volte servono i clienti tramite paninoteche adibite su furgoni e roulotte o più raramente su chioschi e in edifici commerciali), farciti con i più variegati ingredienti (carne, pollo, funghi, verdure, patatine, sempre accompagnati da salse) e cotti su piastra: è una tradizione molto radicata sul territorio.[79]

L'olio di oliva

Olivi tra i monti Iblei di Solarino

L'olio di oliva è l'alimento fondamentale della dieta mediterranea, per le sue peculiari proprietà organolettiche e nutritive.[80][81] Esso caratterizza i piatti della cucina siracusana; qui lo si usa per tutto: per conservare gli alimenti (cibo sott'olio), per condire le varie pietanze e per cucinarle (viceversa, nell'area iblea risulta molto raro l'uso del burro).[82]

L'olio che si adopera di più nel siracusano, ed è anche quello che notoriamente lo rappresenta, è l'extravergine d'oliva, così chiamato perché l'olio che si ricava dalla drupa (oliva) non viene trattato ulteriolmente, ma solo estratto a freddo.[83]

Oliveti e agrumeti a perdita d'occhio nella macchia mediterranea di Noto

In ciascun comune del territorio si produce l'olio derivato dal frutto dell'olivo; l'antico albero del Mediterraneo (originario della Siria e della Palestina[85]). L'insieme di queste produzioni ha dato vita all'olio dei monti Iblei, che ha ottenuto il riconoscimento comunitario DOP.[86]

La varietà d'oliva (cultivar) più tipica del siracusano è la Tonda Iblea, presente un po' ovunque, ma in maniera particolare nei pressi di Buccheri, Ferla e Palazzolo Acreide (dove occupa circa il 95% degli oliveti); si estrae l'olio anche dalla Moresca (Noto, Pachino, Rosolini) e dalla Nocellara Etnea (Carlentini, Francofonte, Lentini e Melilli). In minor quantità si imbottiglia l'olio delle cultivar Biancolilla e Zaituna (detta Siracusana); quest'ultima si sostiene che sia stata la prima oliva della Sicilia[87] e questa regione a sua volta è considerata la «porta dell'ulivo in Europa».[88]

L'olio siracusano ha ricevuto diversi riconoscimenti per la sua qualità, alcuni anche a livello globale; tra questi si cita, ad esempio, il primo premio della XIII edizione del Sol d’Oro Emisfero Nord, svoltosi a Verona nel 2015, che ha intitolato l'olio ibleo di Buccheri come il migliore extravergine di oliva al mondo,[89] oppure il podio conquistato dall'olio extravergine di Ferla, come fruttato medio (intensita del profumo dell'olio), al concorso Olive Japan, tenutosi in Giappone nel medesimo anno;[90] e numerose altre attestazioni per uno degli alimenti che più di altri contraddistingue la terra iblea.[91]

E poiché nel siracusano vi è tale longeva tradizione dell'olivicoltura, qui viene apprezzato molto a tavola anche il frutto ancora intatto dell'olivo, per cui nelle tavole si troveranno abitualmente olive condite (alive cunzate), immerse nel loro stesso olio e insaporite in vari modi (ortaggi e aromi). Un'altra abitudine alimentare diffusa è quella di condirci il pane con l'olio estratto dall'oliva; l'ingrediente indipensabile per fare il cosiddetto pani cunzato.[92]

Piante aromatiche e ortaggi

L'origano cretico dal colore verde-oro; pianta dall'aroma forte che cresce solamente a Siracusa e in minima parte nel catanese
Foglie di timo; la pianta aromatica dai cui fiori i siracusani ottengono u meli ri satra (il miele ibleo per antonomasia)

La Sicilia è nota per essere una regione estremamente ricca di piante aromatiche, l'area siracusana è una conferma di ciò: qui crescono spontaneamente numerose piante adatte per essere adoperate in cucina, quindi vi si è formato negli anni un significativo mercato di spezie locali.[93]

Tra le piante che insaporiscono i piatti siracusani vi è l'origano; qui oltre l'abbondante origano meridionale e l'origano maggiorana (detto semplicemente maggiorana) cresce, sempre spontaneo, l'origano cretico (origanum onites); raro, detto anche maggiorana francese[94] o origano di Siracusa,[95] dato che in Italia lo si trova esclusivamente qui e nei suoi dintorni (i quali vanno a toccare anche alcune areali del catanese).[96] Questa terra è nota anche per il profumo che viene sprigionato dal timo arbustivo: poco comune altrove, ma non nel siracusano, dove viene chiamato a sataredda e lo si usa per svariati scopi: si ci estrae l'olio medicinale,[97] lo si usa per cospargere le pietanze[98] e s'imbottiglia il suo miele da millenni.[97] Altri profumi e sapori sono dati dalla liquirizia, dall'alloro (il monte più alto del territorio, il Lauro, si chiama così proprio per la fitta presenza di laurus nobilis[99]), dal rosmarino, dal finocchietto selvatico; a proposito di quest'ultima pianta aromatica, ricorda in un suo scritto l'avolese Raffaele Crovi:

«La pasta con le sarde era il trionfo della cucina siciliana, dei cui odori e sapori Ginetta era diventata una sacerdotessa: l'evento era preannunciato dall'invio da Siracusa del finocchietto selvatico senza il quale il rito gastronomico non poteva essere celebrato; d'inverno il finocchietto arrivava puntualmente a Milano spedito dal Sud (assieme alla bottarga) da Sebastiano, il padre di Elio.»

Numerose altre spezie compongono i piatti siracusani; una particolare è data dalle bacche del ginepro coccolone, che cresce solo sulle coste del Mediterraneo.

Il ciliegino di Pachino

Tra gli ortaggi un posto speciale nelle cucine locali è occupato dal pomodoro; originario dell'America centrale, è divenuto un'eccellenza siracusana a partire dalla seconda metà del XX secolo, quando da Israele vengono introdotti nel siracusano, e più specificatamente nella fascia costiera di Pachino (dove si ci era accorti, già nel 1925, che il classico pomodoro maturava prima[100]), due nuovi semi di questo ortaggio, chiamati ciliegino Naomi e Rita a grappolo;[100] il risultato è una vera e propria rivoluzione per il pomodoro italiano, poiché prima d'allora sulle tavole di questa nazione si consumavano e si conoscevano solamente i grossi pomodori rosso-verdi da insalata (come il San Marzano e il cuore di bue).[100] Il pomodoro di Pachino, dal gusto dolce, segna quindi un cambio epocale: se pur all'inzio non venne ben visto dai consumatori, in quanto troppo diverso da quello che erano da tempo abituati a mangiare, esso divenne nell'arco di pochi anni richiestissimo.[100] La parola "ciliegino" (cherry per gli inglesi), è divenuta sinonimo di pomodoro pachinese. La denominazione IGP include le coltivazioni non solamente di Pachino, ma anche quelle dei comuni limitrofi: Portopalo di Capo Passero, Noto e Ispica.

Un altro ortaggio nativo dell'America che ha trovato grande fortuna sul suolo siracusano è la patata, nella varietà precoce, nota come patata novella di Siracusa: dalla buccia sottile, pasta color giallo paglierino e versatile in cucina (con essa i locali preparano gnocchi, purè, patate fritte, sughi, insalate).[101] Si coltiva sul litorale, da Siracusa a Portopalo di Capo Passero, e rappresenta la maggiore coltura del libero consorzio (essa copre il 50% dell'intera coltivazione di patate in Sicilia) ed è molto consumata in Italia e apprezzata anche nelle cucine estere.[102]

Nei terreni siracusani si coltivano molti degli ortaggi che vanno a comporre i piatti tipici della Sicilia (come peperoni e carciofi); particolarmente ricercata è la carota locale: denominata novella di Ispica: essa ha il suo areale tradizionale a Rosolini; in seguito si è diffusa anche presso i comuni confinanti.

Formaggi e latticini

Bancone con i formaggi e latticini tipici del territorio: tra gli altri, sulla destra forme di pecorino stagionato con pepe nero; al centro caciocavallo e a sinistra in alto la ricotta infornata

Nel siracusano si produce formaggio almeno fin dai tempi dei Greci (famoso era l'amore degli antichi Siracusani per il formaggio, che essi cospargevano un po' su tutte le pietanze). In epoca odierna, negli anni '60, una statistica rivelò come la provincia siracusana consumasse maggiormente formaggi derivati dal latte di mucca - detto latte vaccino - a differenza di altre province siciliane dove invece prevaleva il formaggio di latte caprino e latte pecorino;[103] proprio il latte di pecora è comunque quello che i siracusani adoperano ancora oggi per produrre uno dei farmaggi più antichi e apprezzati del territorio: il pecorino siciliano (nelle varianti aromatizzato, con il pepe nero, primosale e secondosale), del quale Siracusa è definita una delle aree classiche di realizzazione.[104] Per quanto riguarda il latte vaccino esso è invece impiegato per ottenere la provola siciliana e il caciocavallo ibleo; nei comuni di Palazzolo Acreide, Noto e Rosolini viene realizzata la versione DOP del caciocavallo: il ragusano.

Il siero di latte è utilizzato per produrre la ricotta, che rappresenta il latticino più apprezzato dai siracusani. La figura che vende la ricotta fresca è comunemente chiamata dai locali u ricuttaru (spesso egli vende i suoi prodotti artigianali nel cofano di un'auto, sistemato in modo tale da potervi ospitare pane, formaggi e ricotta).[105] La ricotta vaccina preparata negli Iblei è stata identificata come un prodotto alimentare tradizionale italiano. Un modo diffuso di mangiare la ricotta da queste parti è quello di servirla calda (a ricotta caura), oppure zuccherarla e mangiarla senza mescolarla ulteriormente a nessun altro alimento.

La carne

La cucina siracusana, in generale, predilige il pesce, tuttavia nelle zone interne è la carne a caratterizzare le preparazioni culinarie. Tra tutte le carni, spicca la salsiccia di Palazzolo Acreide, la quale è divenuta un presidio Slow Food: essa è composta dalla carne di suino nero siciliano (detto anche dell'Etna o dei Nebrodi) e i suoi ingredienti aggiuntivi sono il sale marino, il peperoncino, il finocchietto selvatico e il vino rosso locale. La salsiccia, una volta pronta per essere cotta, viene fatta affumicare con dei rami d'olivo e poi mangiata fresca, oppure viene portata all'essiccatura per la conservazione.[106]

Primi piatti

Un piatto di gnocchi di patate locali con lenticchie, servito nell'isola di Ortigia
Noto: cavateddi con salsa e melanzane, ricoperti da ricotta salata

Premesso che, proprio a causa della grande varietà di materie prime a disposizione dei siracusani, questa è una cucina capace di inventare spesso nuovi piatti, aggiornando velocemente la propria tradizione culinaria - ortaggi, spezie, verdure, pesce o carne vanno a comporre facilmente tutta una serie di pietanze originali[N 16] -, vi sono comunque dei "capisaldi"; dei piatti che resistono nel tempo e che vengono puntualmente riproposti e richiesti dalla popolazione locale.

Primi piatti di verdure e legumi

La variente siracusana di questo piatto nato nella Sicilia orientale è significativa, in quanto qui viene aggiunto il pomodoro, ed è esso che caratterizza totalmente la pietanza. La pasta, non per forza spaghetti (si usa anche la pasta corta), viene condita principalmente con del pomodoro da salsa, cotto ma non necessarimente sbucciato, tagliato a pezzetti di piccole o medie dimensioni.

È un primo piatto classico della cucina aretusea, nonostante sia molto diffuso anche in altre zone della Sicilia; difatti nel siracusano viene preparato in maniera decisamente differente: qui i broccoli si bolliscono e non si cuociono con olio e cipolla (come a Palermo) né si friggono (come a Trapani), inoltre la pasta, corta e mantecata con i broccoli dentro il tegame, non viene infornata come si usa fare maggiormente nel resto dell'isola. E poiché ai siracusani piace molto insaporire il cibo con il formaggio, in questa pasta essi ne versano ben tre tipi: pecorino, caciocavallo e ragusano semistagionato; e poi continuano a mescolare (arriminare).

I talli che vengono mangiati dai siracusani (il fiore lo scartano)
  • Pasta con i taddi:

I taddi (talli) sono i tenerumi, ovvero le foglie e i germogli della zucchina siciliana: è un piatto brodoso che si può mangiare solo d'estate, dato il periodo di maturazione di questa pianta. Le foglie, pulite e bollite, si mescolano con il pomodoro a pezzi, aglio e peperoncino. In alcune zone della Sicilia le si accompagna con una minestrina, ma a Siracusa si preferiscono gli spaghetti o una pasta corta, non minuta.

Nel siracusano le fave si mangiavano già ai tempi dell'antica Grecia; questo alimento ha infatti un forte simbolismo antico (si veda ad esempio la morte di Pitagora che sarebbe stato ucciso dai Siracusani mentre tentava di evitare l'attraversamento di un «campo di fave»[110]). Svariati i modi di servirle nei primi piatti - come la pasta con le fave novelle fresche[111] - ma vi è una tradizione culinaria che più delle altre si è redicata nella zona iblea: la preparazione della cosiddetta minestra di San Giuseppe, chiamata anche semplicemente u maccu: essa ha origini antichissime (epoca dei Siculi); la preparavano i contadini per celebrare l'equinozio di primavera. Con l'avvento del cristianesimo, nel siracusano si prese l'abitudine di mangiare questa minestra il 1º maggio; giorno nel quale viene celebrato San Giuseppe Lavoratore. La sua preparazione consiste nel mettere insieme a cuocere cinque diversi tipi di legumi (fave, piselli, lenticchie, ceci e fagioli); tra questi sono comunque le fave secche ad avere il maggiore ruolo nel piatto. I legumi, bolliti, vengono schiacciati fino a formare una purea;[N 17] ad essa si aggiunge il finocchietto di montagna, oltre ai condimenti come sale, olio e pepe. Al di fuori del territorio ibleo questa minestra è nota con lo stesso nome nel palermitano, più precisamente a Godrano.[112] Inoltre essa viene preparata in Liguria, dove viene detta mesciüa,[113] e tra Cilento e Basilicata, dove la chiamano «le virtù» e ne contendono i natali al siracusano.[114]

Primi piatti di pesce

Pasta fresca locale condita "allo scoglio" (cozze, vongole, gamberetti, calamari), detta anche "mare e monti" per la presenza delle spezie

I primi piatti di mare sono la specialità della cucina siracusana e vengono mangiati con frequenza, come ad esempio: gli spaghetti con il nero di seppia, la pasta ai frutti di mare con le cozze o la pasta con la salsa moresca (con bottarga e cannella). Tra le ricette marinare più antiche e tipiche di Siracusa vi sono:

  • Pasta alla matalotta:[115]

Conosciuta localmente anche come pasta co broru ro pisci (con il brodo del pesce). Questo piatto ebbe origine durante il periodo della dominazione francese in Sicilia: la parola "matalotta" deriva da matelot e significa marinaio. Tra i siracusani si sviluppò l'abitudine di non buttare il brodo che avanzava dalla zuppa di pesce, così essi presero a riutilizzarlo per condirvi la pasta (il brodo al giorno d'oggi si preferisce prepararlo fresco). Si tratta di un piatto povero, che non richiede eccessivo utilizzo di materie prime. Generalmente si utilizza solamente lo scorfano rosso (detto cipuddazza) gli spaghetti (interi o spezzati), olio d'oliva e formaggio grattuggiato per condire. La versione odierna di questo piatto prevede anche l'ulilizzo del pomodoro per il brodo: passato o tagliato a pezzetti.

  • Pasta con il sugo alla siracusana:[116]

Il sugo alla siracusana è dato dall'unione di peproni dolci, melanzane (le zucchine possono sostituirle) e pomodori da salsa, che vengono fatti cuocere in padella con le olive nere, con i capperi e con il basilico; a questo composto vanno aggiunte le acciughe, precedentemente soffritte con aglio e olio e schiacciate quasi fino a farle sfaldare. Si continua scolando la pasta ancora al dente, corta preferibilmente, e mantecandola con il sugo. Si cosparge il tutto con pecorino siciliano.

File:Spaghetti with anchovies.jpg
Gli spaghetti alla siracusana: con acciughe e pan grattato abbrustolito
  • Spaghetti alla siracusana (pasta c’anciove e muddica), detta anche pasta fritta alla siracusana (da non confondere con la sua versione più antica e dolce):[117]

È uno dei piatti più famosi della cucina aretusea ed è caratterizzato dalle acciughe, soffritte con olio extravergine d'oliva e aglio, aggiunte agli spaghetti e al pan grattato in precedenza abbrustolito. Viene chiamata inoltre «pasta fritta» perché la pasta, già cotta, la si può friggere nell'olio insieme al suo condimento.

  • Zuppa di pesce alla siracusana:[118]

La particolarità consiste nello sfumare con del vino bianco i vari tipi di pesce fresco - accompagnati da cozze e crostacei - e farli cuocere insieme al pomodoro. Nella pentola si aggiungono inoltre le erbe aromatiche e ortaggi da foglia che qui abbondano, come alloro, sedano e prezzemolo. Aglio, sale, pepe, capperi e olio d'oliva insaporiscono ulteriolmente la nota zuppa. Del pane casareccio tostato nel forno sostituisce la pasta in questo piatto.[119]

Primi piatti di carne

Noto: piatto di ravioli ripieni di ricotta conditi con il sugo di carne

Tra i primi piatti a base di carne si trovano formati di pasta fatta in casa, come ravioli ripieni di ricotta (o anche ricotta e spinaci) e cavatelli, entrambi conditi con del sugo di maiale o di salsiccia (in questo caso allungato con il vino); sono piatti tipici dell'entroterra ibleo.[111]

Il sugo che si usa per condire questi piatti è nel siracusano fatto spesso con l'aggiunta di patate, che insieme alla carne possono finire sulla pasta oppure essere preservate nella pentola per andare a comporre il secondo piatto. Inoltre in quest'area si adopera parecchio u sucu fintu (il sugo finto), così chiamato perché manca al suo interno l'alimento principale: la carne; in questo caso sono le patate a caratterizzare il sugo,[120] ma l'aroma, che deve ricordare la salsiccia, è dato dal finocchietto selvatico, adoperato abbondantemente proprio per ingannare l'olfatto e far credere che si stia cucinando un tradizionale sugo di carne.[121]

Secondi piatti

Secondi piatti di mare

Un fritto misto di gamberoni e calamari preparato a Siracusa e condito con del limone

I pesci fritti sono una delle principali specialità siracusane: si segnala in particolar modo la frittura di paranza e il pesce spada alla stimpirata, ovvero tagliato a tranci, infarinato, fritto e passato in una salsa agrodolce contrassegnata dai capperi.[122] Svariati i secondi piatti marinari; tra i più noti vi sono:

  • Cernia alla Matalotta:[[111]

La cernia viene molto apprezzata in Sicilia, soprattutto da siracusani e catanesi. Il pesce viene tagliato a Tranci, fatto cucinare insieme alla salsa di pomodoro e condito con gli ingredienti tipici del territorio: olive, capperi, aglio, basilico e prezzemolo.

È un piatto molto tipico della zona: in italiano esso significa polpette di pesce neonato (u muccu). Il minuscolo pesce si raggruppa e si fa amalgamare ad un composto di uova, pan grattato, prezzemolo e formaggio siciliano. Si formano delle palline e si friggono in padella.

  • Tonno con i peperoni, detto anche ghiotta di tonno o tonnina alla siracusana:

I peperoni, che i siracusani apprezzano in moltissimi piatti, vanno a comporre l'accompagnamento essenziale del tonno: il pesce viene fritto in abbondante olio extravergine d'oliva e lo stesso procedimento lo si riserva, a parte, ai peperoni, aggiungendovi però dell'aceto.[111] I due alimenti vengono uniti alla fine. Un altro modo di cucinare il tonno "alla siracusana" consiste nel friggerlo cosparso di cipolla affettata (sostituta dei peperoni), sfumarlo con del vino biano secco e insaporirlo con i pomodori pelati (oltre ai classici capperi, sale e pepe).[124]

Secondi piatti di terra

Babbuci dei monti Iblei
  • Babbuci, crastuna e 'ntuppateddi (lumache):

Le lumache terrestri sono un tradizionale piatto del territorio. I siracusani hanno tanti modi per chiamarle: babbuci[125] o molto più raramente babbaluci (che è il nome in uso nella Sicilia occidentale[126]), ma anche babbanii (nell'avolese).[127] A Floridia - comune dove vi è una forte tradizione culinaria legata alle lumache[127][128] - c'è una netta distinzione tra crastuna, se hanno il guscio grande (in italiano sono note come chiocciole vigniaole[129]), ’ntuppateddi, se il guscio dell'animale è scuro, non è tanto grande ed ha una membrana protettiva (lumaca monachella[129]), e infine le più diffuse in Sicilia e nel territorio in questione: vavaluci o favaluci (che sono le babbuci degli altri comuni siracusani), riconoscibili dal guscio molto piccolo e bianco (lumachina di campagna[129]).

Nel siracusano esse si trovano ovunque: dai luoghi in prossimità delle spiagge ai vigneti di pianura e di montagna. Qui sono anche state ritrovate due pentole forate d'epoca greca che si sostiene servissero alla preparazione delle lumache.[129] Diversi i modi di cucinarle: i siracusani solitamente le stufano con pomodoro, cipolla, aceto e peperoni (il piatto prende il nome di babbuci alla siracusana o anche ghiotta di lumache). Nel floridiano invece le lumache si cucinano essenzialmente con il vino, al quale si aggiungono aromi come la noce moscata;[111] le cosiddette ’ntuppateddi a ‘mbriaca:

«E dal comune vicino di Floridia viene la ricetta delle chiocciole vignaiole, la cui morte gastronomica è, naturalmente, alla ubriaca, cioè con un goccio di vino buttato sul soffritto.»

  • Bobbia:
Un'insalata d'arance, olive nere e finocchi fatta con la varietà rossa del noto agrume, che in Sicilia cresce soprattutto nella parte nord del siracusano

La bobbia (termine dialettale per indicare un miscuglio di sostanze varie[111][130]) è il secondo piatto siracusano maggiormente composto da peperoni. È una sorta di caponata locale. L'altro alimento base della bobbia sono le patate (quasi onnipresenti nella cucina aretusea). Peperoni e patate vengono fritti in padella con olio d'oliva e cipolle bianche. Si sfuma il tutto con l'aceto.[N 18]

  • Coniglio a’ stimpirata (o nell'agrodolce siracusano):[131]

Questo è piatto che risale all'epoca del barocco siciliano, ed essendo che ai siracusani piace parecchio giocare in cucina con l'agrodolce, u cunigghio a' stimpirata risulta essere una delle lavorazioni più elaborate della cucina locale. Esso è caratterizzato dal gusto delicato delle carote, delle patate e del pomodorino mescolato a quello più deciso dei peperoni, delle olive e delle cipolle. Il coniglio viene messo a bagno nell'aceto e nell'alloro (per esaltare ulteriolmente l'agrodolce si può aggiungere alla marinatura anche un cucchiaio generoso di miele o di zucchero). Il coniglio viene in seguito fatto rosolare con una leggera infarinatura e viene mantecato al suddetto condimento. Il composto, cosparso di olio d'oliva, sale, sedano e menta, viene infine cotto in padella o nel forno. Si preferisce mangiarlo freddo.

  • Insalata d'arance rosse e cipolla cruda:[132]

Nel siracusano l'insalata di arance, che è un tipico piatto spagnolo e siciliano, è grandemente consumata. Anch'essa viene contraddistinta dal gusto dell'agrodolce. Finocchi o cipolle crude sono l'immancabile contorno dell'agrume (i siracusani preferiscono le cipolle crude). Inoltre in questa zona si usa prepararla con le arance rosse, che abbondano negli agrumeti di Lentini e Francofonte. La si condisce con sale, olio extravergine d'oliva e prezzemolo (si possono aggiungere anche le olive, ma non necessariamente).

Pizza e rosticceria siracusana

Pizza preparata a Siracusa con pomodoro, melanzane fritte e ricotta salata a scaglie; prende il nome di pizza alla Norma

La cucina siracusana dedica molto spazio alla pizza: particolarità di questo luogo è l'abitudine di servirla già dalla prima colazione, sotto forma di pizzetta: versione dal sapore molto più dolce, soffice e dalla dimensione decisamente ridotta rispetto alla normale pizza (ma non mignon, terminologia che qui si adopera per indicare i rustici davvero minuti, preparati per le ricorrenze come i compleanni). Essa nel siracusano viene condita solamente con una dose generosa di salsa, formaggio e origano (in alcuni comuni, come a Floridia, le si pone al centro anche un'oliva),[N 19] la si può trovare in tutti i panifici e bar del territorio, i quali allestiscono sempre i propri banconi per una colazione sia dolce che salata.

Arancino siracusano rotondo, farcito con spinaci e formaggio

Accanto alle pizzette si servono gli altri "pezzi" tipici da rosticceria della Sicilia orientale: calzoncini ripieni di pomodoro, prosciutto e formaggio oppure ripieni di pomodoro e patate; sfoglie salate triangolari al prosciutto e formaggio e altri rustici che vanno a comporre una vasta scelta per il consumatore. Raramente però di mattina si potranno trovare gli arancini caldi, poiché è usanza della popoazione locale sfornarli e servirli solo tra il pomeriggio e la sera. I siracusani chiamano gli arancini con la loro forma maschile (arancino), ma ben tollerano anche la forma femminile, che è più tipica della Sicilia occidentale (arancina). Qui gli arancini con la punta (conici) sono ripieni di ragù, mentre quelli rotondi sono al burro e prosciutto oppure spinaci e formaggio.

Per quanto riguarda la tradizionale pizza rotonda, i siracusani la condiscono soprattutto con i prodotti che caratterizzano la loro terra, quindi melanzane, ricotta, ciliegino, acciughe, zucchine, olive e via discorrendo con tali ingredienti. La passione siracusana per la pizza (e la peculiare manipolazione impressa agli alimenti) è stata anche premiata con vari riconoscimenti: nel 2015 la pizza siracusana è stata eletta «miglior pizza del mondo» ai campionati mondiali della pizza che si svolgono a Parma[133] e nel 2018 ha vinto il titolo di «miglior pizza di Sicilia» all'XI edizione di Best in Sicily (dedicato alle eccellenze enogastronomiche dell'isola).[134]

Il pizzolo inventato nel siracusano (origine contesa tra Solarino e Sortino)

I pizzaioli siracusani hanno anche inventato un nuovo alimento derivato dalla pizza: il pizzolo. Esso è formato da due pizze salate sovrapposte e il suo interno viene farcito in molti modi diversi.

La pizza è inoltre entrata a far parte del tradizionale menù delle festività: in questo caso la pizza dei siracusani si fa in casa e le si dà svariate forme (rettangolare, allungata, ecc...).

La classica e particolare forma delle zeppole siracusane (nell'immagine nella loro variante dolce con lo zucchero granulato)

Ad accompagnare sulle tavole la cosiddetta "pizza rossa" (con la salsa) vi è poi uno degli alimenti più rappresentarivi di questo angolo di Sicilia: l'impanata; nome che ne tradisce l'origine spagnola (le empanadas), ed infatti essa è un'antica eredità lasciata dagli iberici ai siracusani durante la loro dominazione tardo-medievale. Ma se per nome e forma l'mpanata siracusana è molto simile al famoso cibo iberico esportato anche in America, differisce nella farcitura: nell'area iblea si è soliti darle un ripieno di patate, verdure, salsiccia e alle volte pesce (acciughe soprattutto). In altre zone dell'isola questa stessa pietanza è detta scacciata.

L'impanata più particolare del libero consorzio è data dalla specialità tradizionale di Pachino: l'impanata con i lolli (la tipica pasta rosolinese e pachinese), nota pure con il nome di pasticcio. I pachinesi la preparano sotto la festività del Natale ed è l'unica pietanza siracusana nella quale pane e pasta vengono amalgamati insieme.[135]

Altro cibo da rosticceria siracusana, classico durante la festività di San Martino, sono le zeppole: quelle del luogo appaiono parecchio diverse dalle zeppole maggiormente conosciute in Italia e nel resto della Sicilia (che sono note come le zeppole di San Giuseppe): anzitutto la differente festività per la quale si preparano (i siracusani le mangiano l'11 novembre, non il 19 marzo) e poi sono più piccole, compatte e non vengono farcite con crema pasticcera, bensì vengono salate con le acciughe oppure riempite di ricotta e pezzetti di noci; le varianti delle zeppole dolci prevedono invece zucchero granulato, uvetta passa o anche nutella.[136]

Frutta

«Ed è conforme la piena vita che gode la palma da datteri (phaenix dactylifera) di cui ne abbiamo tali che contano parecchi secoli, e non di rado ci fanno gustare i frutti zuccherini. [...] Il banano (musa paradisiaca) pianta eminentemente tropicale, ma raramente in taluni luoghi di Sicilia dove nei freddi inverni perisce: presso noi sta sempre in piena vegetazione e col magnifico bel verde delle foglie abbellisce i nostri giardini e ci regala quasi ogni anno le sue frutta le quali giungono in piena maturità senza che abbiano altro cristallo per riparo che quello della volta del cielo. [...] Il carrubbo cresce gigante in quest'angolo meridionale-orientale della Sicilia, e dà un prodotto che alimenta il commercio marittimo. [...] Nè son da tacere gli aranci che alleviamo in piena terra, e che, vegeti nel più rigido inverno a cielo scoverto, si fan vedere adorni di quell'incantevole frutto [...] nè son da tacere altresi le opunzie ordinarie che formano le siepi vive de' nostri poderi, cariche oltremisura d'un frutto sano, economico e molto nutritivo.»

La frutta, sia essa dolce, agra o secca, fa pienamente parte dell'alimentazione siracusana. Inoltre i cuochi se ne servono per preparare dei caratteristici piatti.

Il siracusano è zona d'origine e diffusione delle arance rosse siciliane

Agrumi

Gli agrumi (Citrus), originari dell'Estremo Oriente, prosperano bene in questo territorio geografico. Il limone è quello che maggiormente si è acclimatato, facendo divenire l'odierno libero consorzio comunale di Siracusa il maggiore produttore di limoni in Europa.[137] I siracusani coltivano la varietà di limone detto femminello siracusano, da esso ne traggono il primofiore, il bianchetto e il verdello (in base al periodo di maturazione).[138]

La produzione di arance è anch'essa significativa: a Francofonte ha avuto origine l'arancia rossa più pregiata di tutte, ed è pure la più esportata in Italia: la Tarocco (forse una mutazione gemmaria della Sanguinello[139]). Ma anche la Moro (veduta per la prima volta a Lentini e da qui diffusasi) e la già citata Sanguinello (primo avvistamento in Spagna) vengono largamente prodotte nel territorio e consumate.[139]

I cedri siracusani

Presenti poi tutti gli altri maggiori tipi di agrumi: dalle normali arance chiare a quelle dolci, dai mandarini al suo ibrido: il mandarancio, dai pompelmi ai cedri; a proposito dei cedri siracusani, si scriveva su di essi nel 1875:

«Essi producono generosamente, e molti giardinieri se ne giovano per strizzarne l'essenza e per fabbricare la cedrata al miele, che costituisce un dolce ricercatissimo per le feste natalizie. Se il commercio degli agrumi fosse più sviluppato in Siracusa, i cedri che vi si producono porebbero costituire un argomento speciale di speculazione avendo pregi veramente singolari.»

Limoni, arance, cedri e mandarini finiscono nelle cucine locali e ne escono trasformati in bevande, contorni, caramelle e gelati. I siracusani mangiano inoltre gli agrumi come spuntino o antipasto - soprattutto limoni e cedri - tagliandoli a fette e inzuppandoli unicamente nel sale o nello zucchero.[140]

Frutta dolce

Le more dei rovi, diffusissime in quest'area
La caratteristica marmellata siracusana fatta con le mele cotogne

Una volta l'anno, in autunno, i siracusani si recano in massa a Pedagaggi, frazione del comune di Carlentini, per partecipare alla sagra del fico d'india e degustare il frutto e la mostarda che da esso in abbondanza si ricava.[141] Difatti l'antica e resistente pianta trasportata dal Messico in Europa ha incontrato nella Sicilia orientale il suo clima ideale ed è qui che ha preso a prosperare più che altrove.[142] Un altro frutto selvatico molto dolce è dato dalle more dei rovi (qui esse si possono raccogliere ovunque).[143] A Siracusa prosperano bene, da secoli, anche le palme da datteri e i nespoli del Giappone.[144] Presenti da millenni i melograni e i fichi (Platone se ne nutriva quando risiedeva nella pentapolis e Archestrato rimproverava i Siracusani di mangiare troppi fichi secchi[145]), così come la mela cotogna (il pomo d'oro dei Greci[146]) che viene coltivata localmente per la lavorazione della tipica marmellata, che ai siracusani piace molto.[147]

Il frutto esotico dell'albero chiamato Musa, ovvero la banana, è stato coltivato fino ad ora nell'area in questione per semplice uso privato e ornamentale (di rado, un tempo, chi coltivava banane le portava poi in vendita al mercato), al giorno d'oggi però, essendo il clima della Sicilia particolamente adatto, si ci sta dedicando alla coltivazione di frutta tropicale con lo scopo di commercializzarla e portare nelle cucine frutti come avocadi e manghi locali.

Da segnalare inoltre l'antichissima uva del luogo (a Siracusa fino al secolo scorso si teneva una grande festa pubblica per celebrare questo frutto) e le fragole cassibilesi (anche per esse si continua a tenere nel siracusano una festa apposita, dove vengono mangiate in molte preparazioni diverse). E i frutti delle cucurbitaceae: l'anguria di Siracusa[148] e il melone giallo pachinese.[149]

Frutta secca

Le mandorle di Noto ancora dentro la loro drupa
I confetti prodotti con la mandorla di Avola; una delle lavorazioni più famose del frutto siracusano

Le mandorle, con il loro guscio legnoso, sono la frutta secca più rappresentativa del territorio (si veda ad esempio la mandorla di Avola), con essa i siracusani vi fanno moltissime lavorazioni culinarie: dalle bevande ai dolci e persino piatti salati. Molto diffuse anche le carrubbe, le noci e le nocciole, mentre dai comuni montani degli Iblei pervengono le castagne.[150]

Dolci

Siracusa: pasta di mandorle modellata in modo tale da farle assumere le fattezze delle pesche
Del gelato artigianale alle fragole lavorato nel capoluogo
Biscotti siracusani detti paste di mandorle

Molto variegata la preparazione e consumazione di dolci nel siracusano. Tra i principali e più diffusi vi sono le granite: qui quella alla mandorla compone di norma la colazione estiva e viene consumata insieme alla brioche siciliana (di forma lunga o rotonda),[N 20] la quale non accompagna invece, quasi mai tra la popolazione locale, la granita al limone, che piuttosto viene servita con una cannuccia, essendo di consistenza ben più fluida rispetto alla prima, poiché tra i siciliani sono proprio i siracusani coloro ai quali piace mescolare e lasciare molto spesso dentro la granita pezzettini di mandorla tostata ancora grezza, ovvero con la pelle dopo la sgusciatura, rendendola più compatta.[151]

Sempre le mandorle siracusane, elemento caratterizzante di questa pasticceria, sono alla base della confetteria e della pasta che dal frutto secco prende il nome (pasta di mandorle), con la quale nell'ambito dolciario si preparano i biscotti e la frutta martorana. Sviluppata anche la gelateria artigianale: tra i gusti più diffusi e tipici del siracusano vi sono la ricotta, il fiordilatte, il caffè, il pistacchio, il torrone, la fragola, il limone.[N 21] Peculiari e tradizionali dei comuni iblei (soprattutto a Noto e Palazzolo Acreide) sono anche i gelati al gusto di rosa e gelsomino.[153]

Nella totalità dell'area iblea è radicata l'abitudine di sfornare al mattino, in ogni periodo dell'anno, raviole, per una colazione dolce, principalmente al forno, alle quali si accostano un minor quantitativo di raviole fritte cosparse di zucchero granulato (a Siracusa esse possono prendere il nome di Romana). Le raviole siracusane non sono quasi mai sfogliate, distinguendosi[154] per questo dalle raviole al forno catanesi e da quelle fritte nissene; entrambe fatte di pasta sfoglia.[155] La farcitura delle raviole aretusee può essere di ricotta, cioccolato o crema pasticcera. Per quanto riguarda la preparazione del dolce più rappresentarivo della Sicilia, ovvero la cassata siciliana, va specificato che i siracusani la preparano in maniera leggermente differente: nell'area iblea infatti si fa largo uso del pan di spagna e si adopera molta più ricotta, mentre non è usanza farcire con il marzapane.[156]

Oltre ciò (ovviamente anche qui si confezionano quotidianamente cannoli e cassatine) vi sono poi numerose specialità locali, la cui origine risale precisamente a questo territorio (il più delle volte esse vengono preparate durante le festività religiose e popolari); per citare solo alcune delle più mangiate: lo zuccaro (trecce o bastoni rigati di zucchero modellato),[157] i totò, che sono dei biscotti al cioccolato o al limone ricoperti da glassa (quelli al limone per la forma allungata vengono chiamati ossa re morti), i sanfurricchi (specialità al miele di Sortino, sono considerate la caramelle più antiche del mondo),[158] i fichetti (biscotti a base di mandorla e marmellata di fichi),[159] la giuggiulena (quella siracusana è riconoscibile per l'aggiunta di scorze d'arancio e mandorle),[160] la cuccìa di Santa Lucia (dolce di grano al cucchiaio dalle origini molto antiche),[161] i facciuni ri Santa Chiara (biscotti alle mandorle glassati con vari colori, inventati in un convento del siracusano consacrato a Santa Chiara).[162]

Il Vino

Cesto d'uva di Portopalo di Capo Passero
Vigneti sul mare a Portopalo
Una bottiglia di vino Nero d'Avola fatto in Sicilia

Il vino siracusano ha contribuito parecchio alla fama del vino siciliano, basti pensare per esempio al Nero d'Avola, il quale in tempi ottocenteschi divenne uno dei vini più famosi d'Europa.

Ma c'è un altro vino siracusano, più antico del Nero d'Avola, e famoso ancor prima di esso, ovvero il Pollio Siracusano; antico vino, tra i più antichi d'Italia, alcuni lo definiscono addirittura il più antico vino italico.[163]

Il Pollio ha origini leggendarie, poiché non si sa bene perché abbia preso questo nome, ma la leggenda ci racconta che la sua denominazione deriva dal famoso Re Pollio, un sovrano siracusano di tempi greci, al quale questo vino sarebbe stato dedicato.

Una cosa però è risaputa; i romani apprezzavano molto il Pollio, al punto tale che questo vino, insieme al Mamertino di Messina e al Malvasia delle Eolie, veniva esportato in tutto il mondo latino.

Ma il Pollio non scomparve mai del tutto, si pensa infatti che in realtà esso sia identificabile con l'attuale Moscato di Siracusa, oggi vino DOC che in realtà sarebbe dunque il diretto discendente del Pollio.

Per questo vino viene utilizzata uva di Moscato bianca, ed il suo colore è giallo oro dal sapore dolce.

Ma tornando al Nero d'Avola, esso diviene il protagonista dei vigneti siciliani, italiani e pure internazionali, a partire dalla fine dell'800 e inizio del '900; con il suo vigneto, il Nero d'Avola, appunto, venivano corretti sia i vini del Nord Italia e sia i vini della Francia, poiché il suo sapore corposo ed il suo colore rosso lo faceva preferire ad altri tipi di vigne.

Come e quando sia stato impiantato in Sicilia non è chiaro, ma è comunque certo che esso sia originario di Avola, dalla quale prende il suo nome.

Attualmente il Nero d'Avola non esiste più come denominazione autonoma ma è comunque compreso in una lunga serie di vini sia DOC che DOCG, che fanno di lui il vitigno principe della Sicilia.

Qui la lista dei vini prodotti con uva Nero d'Avola:

Categoria:Vini DOC e DOCG prodotti con uva Nero d'Avola

Altri vini importanti del territorio sono il Moscato di Noto, vino DOC, anch'esso dalle origini millenarie, poiché il suo vigneto, il Moscato, è stato importato in Italia da più civiltà: Il Moscato Bianco è stato importato dalla Grecia; il Moscato Giallo è stato importato dalla Siria; Il Moscato d'Alessandria, o Zibibbo, è stato importato dall'Egitto.[164]
Poi vi è un altro vino rinomato sul territorio: L'Eloro di Pachino, DOC, vino dal colore rosso rubino, prende il suo nome da Eloro, antica colonia della Magna Grecia fondata dai siracusani e in seguito distrutta dagli arabi. Questo vino viene prodotto nei pressi di Pachino con l'uva del Nero d'Avola e con una percentuale minore di Frappato e Perricone.
Il Frappato tra l'altro è un vitigno coltivato in tutta la Sicilia ma maggiormente nelle province di Siracusa e Ragusa. Ha origini antiche che risalgono al XVIII secolo e si pensa che provenga dalla vicina Penisola iberica. Un vino locale molto caratteristico è il pachinese "Pistammutta" che deriva dai termini pista = pesta e ammutta = spingi; è un vino molto chiaro e leggero, accompagna piatti di carne e formaggi, di recente sta facendo la sua comparsa sul mercato.
Di notevole importanza è anche il Syrah, vino DOC, prodotto sul territorio provinciale, dal coloro rosso rubino e dalle origini contese, poiché questo vino è prodotto quasi interamente con l'uva Syrah, detta anche Shiraz, la cui provenienza è contesa tra l'Iran e appunto Siracusa, dato che molti pensano che questo vigneto sia legato al nome e al luogo di Siracusa, e che da qui si sia poi disperso per essere reintrodotto in Italia dalla Francia. Ma molti altri non sono d'accordo, per esempio i francesi ne rivendicano la propria appartenenza, prendendo per affermazioni di dubbia veriticidà le altre ipotesi.[165]
Comunque, il vino Syrah che si produce nel siracusano è di colore rosso rubino intenso che talvolta dà anche riflessi aranciati.
Buoni sono anche i Passiti e gli Spumanti prodotti in zona.

Liquori ed essenze siracusane

Nelle zone siracusane si possono trovare diverse essenze liquorose; le quali sono il derivato di infusioni di frutta ed erbe amalgamate con l'alcol.

U Spiritu re Fascitrari[166]

Letteralmente "Lo Spirito dei Mielai", è un liquore sortinese ottenuto dalla fermentazione alcolica del miele. Questo liquore è dal sapore dolce e forte.

Rosolio alla cannella[167]

È un liquore delle zone iblee del siracusano; si estrae mettendo stecche di cannella in infusione dentro l'alcool fino a quando esso diventa di colore giallino - aranciato. Del Rosolino ci sono molte varianti con frutti diversi, in questo caso prende il nome di Rosolino alla Frutta.

Infine vi è anche una produzione di amari e grappe. Come amari, uno noto della provincia è il Carrubone, che viene prodotto a Siracusa ed è a base di erbe iblee. Come grappe, una nota è la Grappa di Nero d'Avola.

Prodotti Agroalimentari

Tra i prodotti alimentari più noti della Provincia di Siracusa vi sono:

L'Arancia rossa di Sicilia
Pomodoro pachinese

La fragola di Cassibile[168] viene coltivata nei terreni agricoli di Cassibile, nel territorio comunale di Siracusa, ed è uno dei prodotti più noti della provincia siracusana.

Il miele di Sortino viene prodotto nel comune italiano di Sortino.[169]
Il miele è il prodotto alimentare più noto di questa città, esso viene lavorato fin dall'epoca in cui gli arabi, durante la loro occupazione della Sicilia, insegnarono alle genti del luogo come produrlo, quindi la produzione del miele di Sortino è pressoché molto antica.

La carruba di Rosolini[170] è un frutto proveniente dall'albero del carrubo, molto resistente che vive oltre i 100 anni (non a caso quasi tutti i grandi alberi di carrubo sono secolari)

I fichidindia di Pedagaggi[171] (in dialetto della zona "Ficupala") è il frutto, vanto della piccola frazione carlentinese.

Il melone di Pachino[172] viene coltivato prevalentemente dalle aziende site nel territorio pachinese, ma lo si coltiva anche nei campi di Portopalo di Capo Passero, Noto, e Ispica (quest'ultimo provincia di Ragusa). Gli è stata assegnata la protezione transitoria a livello nazionale, il che dovrebbe portare questo melone a diventare prossimamente il sesto prodotto siciliano a certificazione IGP.

Note

Note esplicative
  1. ^ «In verità, oggi i Siculi imitano a tal punto la frugalità di Italia e Spagna che arrivano quasi a superarla e ormai non meritano più la gloria di questo proverbio [come un banchetto siracusano]».[2]
  2. ^ Scriveva a tal proposito Thomas Bartholin nel 1661: «A Malta si ottiene lo stesso risultato [di bere fresco]: la neve, trasportata da Siracusa, ha ottenuto tanta utilità al punto che per quello che mi ricordo anche nei mesi invernali essa mi ha confortato più del generoso vino di Siracusa, e per la verità senza la neve i vini sono caldi [...]».[10]
  3. ^ «Aggiunge lo stesso Boccone, che nei Monti Iblei della Sicilia si raccoglie gran copia di miele perfetto, come gli antichi lo raccoglievano».[12]
  4. ^ Ciò si evince da una testimonianza di Moschione, il quale afferma che Ierone II spedì al faraone d'Egitto Tolomeo III, come dono, ben 10.000 vasi colmi di pesce siculo sotto sale.[15]
  5. ^ «Ha estesissime saline, le quali danno in media all'anno 25.000 tonnellate di sale marino bianchissimo e granito, che viene esportato fin nelle lontane Americhe».[16]
  6. ^ Così la Società italiana di storia della medicina, la quale pone in rilievo come Michele Amari nella sua opera sulla storia musulmana di Sicilia (considerata come la più attendibile e approfondita sulle testimonianze del periodo arabo) non faccia menzione della risicoltura siciliana.[20]
  7. ^ Sul variegato clima siracusano vd. schema dettagliato: Aree climatiche degli Iblei.
  8. ^ Le ragioni di ciò appaiono essere molteplici: ad esempio pare che il riso nel siracusano faticasse a maturare, paragonandolo a quello della pianura Padana, poiché l'ambiente paludoso e afoso della valle del settentrione era decisamente più adatto alla coltura di questa pianta. Per cui i siciliani avrebbero deciso di abbandonarla, preferendo dedicarsi alla coltura del grano per la pasta. Inoltre pare che accusassero le risaie di essere portatrici di malaria, cercavano quindi, o vietavano, di prepararle (come pare sia avvenuto nel caso delle risaie di Noto), comunque vi erano severe norme da osservare nel preparare una risaia.[26]
  9. ^ Secondo alcuni studiosi le sue origini potrebbero derivare dall'imitazione di un antichissimo dolce siracusano composto dai chicchi del grano bolliti, ricotta e miele, conosciuto oggi come cuccìa. Il nome di questo dolce deriva dalla lingua greca antica: per i Greci la parola kykan significava «mescolare» e kykeòn (ciceone) era la loro farina di cereali annacquata, bevuta durante il digiuno in onore di Demetra (si consideri che nella parlata siracuana «grano» veniva detto anche «coccio»). In seguito, dal dolce al cucchiaio siracusano, legatosi poi alla tradizione di Santa Lucia e diffusosi in gran parte della Sicilia (soprattutto a Palermo), sarebbero nati i primi dolci al riso; gli arancini, il cui nome si legò alla parola «arancio».[29]
  10. ^ Giornale periodico (dal 1825 al 1914) del Ministero degli affari esteri per la Russia, scritto a San Pietroburgo in lingua francese (i dati del siracusano nel n. 8, anno 1830).
  11. ^ Il progetto sulla pesca è frutto di in un più ampio discorso (vd. Programma di Cooperazione Transfrontaliera ENPI-CBC Italia-Tunisia 2007-2013) aperto molti anni prima con la cooperazione transnazionale tra il Governatorato di Médenine e il territorio di Siracusa: nel 2004 le due realtà geopolitiche firmarono un accordo secondo il quale i siracusani si impegnavano a formare nella provincia iblea i tunisini di Médenine nel settore agroalimentare, ittico e ambientale, ricevendo anch'essi dei benefici da questo scambio di conoscenze.[38]
  12. ^ Scogliere satelliti composte da un genere di duro corallo; dai Porites: famiglia dei Poritidae, dell'ordine degli Scleractinia, classe Anthozoa.[39]
  13. ^ Il territorio siracusano si trova al confine tra due placche continentali: Africa ed Eurasia. Questa particolare situazione geofisica ha dato origine alla scarpata a gradinate detta Ibleo-Maltese (o di Malta-Siracusa), la quale separa il siracusano dalla piana abissale più profonda del Mediterraneo (piana abissale ionica: oltre -4000 m), che termina con l'Abisso Calipso (Peloponneso, Grecia).[40]
  14. ^ Immagini dello Scollo siracusano: immagine esterna I; immagine esterna II.
  15. ^ I siracusani un tempo, quando la città era ancora ristretta al nucleo medievale dell'isola di Ortigia, erano soliti andare sulla terraferma per mangiare in aperta campagna; presso l'odierna «Balza di Acradina» (quella che per i Greci era la «Terra dei peri selvatici»). In quel luogo vi era un grande mascherone che per loro raffigurava un re (da qui il nome del posto), ma si trattava in realtà di un antico ornamento per tenere lontani gli ospiti indesiderati. I siracusani vi trascorrevano le loro festività, portandosi dietro il cibo e rientrando tra le mura dell'isola fortificata a fine giornata.[84]
  16. ^ Ad esempio, nel 2017, è stato assegnato ad un cuoco siracusano il trofeo “Heinz Beck” ai mondiali della pizza di Parma, come ideatore del miglior primo piatto; la pietanza, del tutto nuova, racchiudeva in sé gli elementi caratterizzanti della cucina siracusana, ovvero il mare - dato dalle cozze e dalle vongole - e la terra - data dai broccoli verdi, dal limone e dal pane fritto grattuggiato.[107]
  17. ^ Da qui il nome Maccu che per i siciliani significa «schiacciare», ovverro «ammaccare».
  18. ^ Anche se al di fuori della normale praparazione del piatto, nella bobbia può alle volte prevalere uno solo dei due alimenti base: o le patate o i peperoni. Se invece da essa si eliminano le patate non la si può più chiamare bobbia, ma prende il nome di «peperoni alla siracusana», ai quali si aggiungono spesso anche le mandorle. Vd. esempio di bobbia composta principalmente da patate e i peperoni alla siracusana.
  19. ^ Vd. immagine esterna delle pizzette della Sicilia orientale: pizzetta con olivo e pizzetta senza olivo.
  20. ^ Vd. immagine di granita siracusana alle mandorle con brioche
  21. ^ La cucina siracusana tiene in grande considerazione la preparazione del gelato. Si segnala, ad esempio, la finale ai campionati italiani del gelato 2017 (Gelato World Tour) per due artigiani gelatieri siracusani (raggiunta con un gelato a base di mandorle), o ancora la tappa siracusana del Gelato Festival Challenge nel 2018 volta alla partecipazione della finale planetaria del Gelato Festival World Masters in programma nel 2021.[152]
Riferimenti
  1. ^ Trad. ita di Domenico Scinà (Vita di Archestrato), 1842, p. 5.
  2. ^ Erasmo da Rotterdam, Adagi, p. 1069. Trad. ita di Emanuele Lelli.
  3. ^ Cit. La Chimica e l'industria, vol. 39, 1957, p. 238.
  4. ^ Cfr. Archivio storico siciliano, p. 454; L'Universo, vol. 70, ed. 1-3, 1990, p. 61.
  5. ^ Cfr. Giuseppe de Luca, L'Italia meridionale o L'antico reame delle Due Sicilie, 1960, p. 333;
  6. ^ Vd. L. Dufour e H. Raymond, Siracusa, pp. 21, 76, 107. Cfr. Angela Scandaliato, Nuccio Mulè, La sinagoga e il bagno rituale degli ebrei di Siracusa, 2002, p. 37.
  7. ^ Vd. Niccolò Speciale = Rosario Gregorio, Opere scelte, 1853, p. 753. Cfr. Serafino Privitera, Storia di Siracusa antica e moderna , 1879, p. 48; Amintore Fanfani, Economia e storia, 1954, p. 340.
  8. ^ a b Cfr. Massimo Caimmi, La cucina siciliana in La Sicilia: Eolie, Egadi - La costa orientale e meridionale, 2017.
  9. ^ Cit. APM – Archeologia Postmedievale, vol. 12, p. 29.
  10. ^ Cit. presente in Dialoghi Mediterranei, n. 8; rivista dell'Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo.
  11. ^ Per approfondire l'argomento vd. Lucia Acerra, La Neve degli Iblei: piacere della mensa e rimedio dei malanni / testi di Paolo Giansiracusa, 2001.
  12. ^ Boccone riportato da Giacinto Gimma in Della storia naturale delle gemme, delie pietre, e di tutti i minerali. vol. 2, 1730, p. 393.
  13. ^ a b c Cfr. Domenico Ruocco, Cap. III. Le saline della provincia di Siracusa in Le saline della Sicilia, con uno sguardo d'insieme sulla produzione del sale in Italia, 1958, p. 79.
  14. ^ a b c Cit. in Le saline di Augusta e Magnisi, su istitutoeuroarabo.it. URL consultato il 29 marzo 2018..
  15. ^ a b Moschione: FGrHist 575 F 1 ap. Ateneo di Naucrati, V 209a. Cfr. Isabella Bonati, Il lessico dei vasi e dei contenitori greci nei papiri, 2016, p. 333; Cristina Carusi, Il sale nel mondo greco (VI a.C.-III d.C.): luoghi di produzione, circolazione commerciale, regimi di sfruttamento nel contesto del Mediterraneo antico, 2008, p. 132.
  16. ^ Cit. La Trinacria - Annuario di Sicilia, 1928, p. 921. Vd. anche Leone Efisio Picone, La provincia di Siracusa: monografia economica, 1925, p. 166; Annuario d'Italia guida generale del Regno, 1913-1935, p. 2518.
  17. ^ Cfr. Tommaso Gargallo, Memorie patrie per lo ristoro di Siracusa, vol. 2, p. 151.
  18. ^ Vd. Riserva Naturale Fiume Ciane e Saline di Siracusa, su agraria.org. URL consultato il 30 marzo 2018.
  19. ^ Cfr. Piero Bevilacqua, Felicità d'Italia: Paesaggio, arte, musica, cibo, 2017, cap. II Agricoltura e cucina.
  20. ^ Vd. Rivista di storia delle scienze mediche e naturali organo ufficiale della Società italiana di storia delle scienze mediche e naturali, 1938, p. 9.
  21. ^ a b Cfr. Società italiana di storia della medicina, Rivista..., 1938, p. 9; Corrado Barberis, Carlo Aiello, Ruritalia: la rivincita delle campagne, 2000, p. 371.
  22. ^ Sull'irrigazione siracusana e il riso vd. Giuseppe Galasso, Sicilia in Italia: per la storia culturale e sociale della Sicilia nell'Italia unita, 1994, p. 54; Stefano Jacini, Atti della Giunta per l'inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola 1881-86, pp. 413-415.
  23. ^ Sui frutti e le piante tipicamente tropicali e africane che riescono a crescere nel siracusano cfr. il testo di Emanuele de Benedictis, Memorie sull'ingegno, gli studii, e gli scritti del medico Alessandro Rizza, 1868, pp. 126-127.
  24. ^ a b Cit. Istituto fascista di tecnica e propaganda agraria (C.N.S.F.), Annali di tecnica agraria, 1931, p. 356.
  25. ^ Sulla risicoltura a Lentini vd. anche C'era una volta il riso, su slowfoodlentini.it. URL consultato il 31 marzo 2018.
  26. ^ Vd. al riguardo: Direzione generale dell'agricoltura, L'Italia agraria e forestale: Illustrazione delle raccolte inviate dalla Direzione dell'agricoltura alla Esposizione universale di Parigi nel 1878, p. 103; Angelo Celli, La malaria ad uso dei medici, ingegneri, agricoltori, bonificatori ed amministratori, 1934, p. 123; Salvatore Coffa, Memoria in difesa della popolazione di Noto nella causa presso il governo sulla proibizione delle risaie, 1836.
  27. ^ Vd. anche: Regolamento per la coltivazione del riso nella provincia di Siracusa in Raccolta degli atti ufficiali delle leggi, dei decreti, delle circolari ec., vol. 17, 1928, p. 271.
  28. ^ Giuseppe Biundi, Dizionario siliciano-italiano, 1857, p. 32.
  29. ^ Vd. al riguardo: Franco Diana, Preistoria e folklore in prospettiva euromediterranea: Il canto del pane, 2001, p. 108; Corrado Barberis, Siracusa: la «cuccìa» in Mangitalia: la storia d'Italia servita in tavola, 2010, p. 261 (su cuccìa di Santa Lucia e kykeòn di Demetra); Cinzia Rando, Siracusa e provincia: i siti archeologici e naturali, il mar Ionio, i monti Iblei, 1999, p. 39; Giuseppina Siotto, I cereali in Vegetaliana, note di cucina italiana vegetale, 2014 (sulla cuccìa come origine dell'arancino).
  30. ^ Vd. sotto la dicitura arancino in Dizionario moderno. Supplemento ai Dizionari italiani, ed. 1942 (ad opera del lessicografo Alfredo Panzini).
  31. ^ Su queste figure vd. Corrado Ferrara, La musica dei vanniaturi o gridatori di piazza notigiani (1896); L 'ignota provenienza dei canti popolari in Noto (1908) e Salvatore Grillo, Invenzioni melodiche di"vanniaturi"siracusani in Archivio Storico Siracusano, 1972.
  32. ^ Cfr. Società Siracusana di Storia Patria, Archivio storico siracusano, vol. 2, 1972, p. 252.
  33. ^ Sul rapporto tra siracusani e dieta mediterranea vd. es. Simposio d’inizio estate, su lagazzettasiracusana.it. URL consultato il 31 marzo 2018. e La delegazione dell’Accademia della cucina ha visitato le mense dell’Antichità, su lagazzettasiracusana.it. URL consultato il 31 marzo 2018.
  34. ^ Cfr. Emanuele Kanceff, Siracusa Nell'occhio del Viaggiatore, 1998, p. 190.
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  65. ^ Cit. di Giuseppe Pitrè, Usi e costumi, vol. IV, p.357.
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  108. ^ Cfr. le due varianti: la siciliana ( Pasta alla "carrittera", su www.vivienna.it. URL consultato il 21 aprile 2018.) e quella siracusana ( Pasta 'a carrittera, su mangiobenemangiosiciliano.blogspot.it. URL consultato il 21 aprile 2018.).
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  117. ^ Cfr. Rita Vessichelli Pane, Mariano Pane, I sapori del sud, 2005, pp. 130-131.
  118. ^ Cfr. Alba Allotta, Zuppa di oesce alla siracusana in La cucina siciliana, 2012.
  119. ^ Cfr. Carlo Cracco, Corriere della Sera, Zuppa di pesce alla siracusana in La grande cucina italiana - Sicilia, 2014.
  120. ^ Cfr. Il recupero dei sapori perduti. - Ricette tipiche della tradizione Siciliana (a cura di Alessandro Giglio), Istituto Agrario achino, pp. 29-30.
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  122. ^ Cfr. Touring Club Italiano, Qui touring, 1990, p. 63.
  123. ^ Vd. immagine esterna: Siracusa - Polpette di mucco
  124. ^ Cfr. A tunnina alla Siracusana, su www.ditestaedigola.com. URL consultato il 27 aprile 2018.
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  130. ^ Vd. anche significato del termine in: boba, in Treccani.it – Sinonimi e contrari, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  131. ^ Cfr. L'Espresso, vol. 36, 1990, p. 204; Cunigghiu ’a stimpirata (pp. 16-17) (PDF), su www.dolciblei.altervista.org. URL consultato il 29 aprile 2018.
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  133. ^ Cfr. La pizza siracusana è vincitrice mondiale, su www.giornalesiracusa.com. URL consultato il 27 aprile 2018.; Siracusa, La pizza siracusana trionfa ai mondiali di Parma, su www.siracusanews.it. URL consultato il 27 aprile 2018.
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  135. ^ Cfr. Pasticcio di Natale di Pachino (a mpanata che llolli), su civiltamediterranee.dev.computerlinesrl.it. URL consultato il 28 aprile 2018.
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  142. ^ Cfr. Atti della Giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. 13, parte III, 1885, p. 95.
  143. ^ Cfr. Gustare le more all'ombra di un rovo, su www.eastsicily.com. URL consultato il 30 aprile 2018.
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  150. ^ Cfr. es. I boschi di buccheri - Castagno, su www.isaporidisicilia.com. URL consultato il 6 maggio 2018.
  151. ^ Cfr. Estate voglia di granita anche a colazione con la brioche, su www.24orenews.it. URL consultato il 2 maggio 2018.
  152. ^ Cfr. Due gelatieri di Siracusa alla finale italiana di Gelato World Tour, su www.siracusalife.it. URL consultato il 2 maggio 2018.; "Karrua" e "Femminello di Siracusa" vincono il Gelato Festival Challenge di Siracusa, su www.gelatouniversity.com. URL consultato il 2 maggio 2018.
  153. ^ Cfr. Siracusa e provincia: i siti archeologici e naturali, il mar Ionio, i monti Iblei, 1999, p. 24; Silvano Vinceti, Area marina protetta del Plemmirio, 2006, p. 96. Vd. anche Il buono del paese. Siracusa, sapoti e dintorni, su www.saporie.com. URL consultato il 7 maggio 2018.
  154. ^ Vd. immagine della raviola tipica siracusana: raviola al forno preparata nell'isola di Ortigia, Siracusa
  155. ^ Cfr. Raviole catanesi al forno – ricetta veloce, su blog.giallozafferano.it. URL consultato il 2 maggio 2018.
  156. ^ Cfr. Siracusa e provincia: i siti archeologici e naturali, il mar Ionio, i monti Iblei, 1999, p. 24.
  157. ^ Vd. formazione dello zuccaro: "U Zuccaro" tipico dolce siracusano, su www.siracusanelmondo.com. URL consultato il 2 maggio 2018.
  158. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore sortino
  159. ^ Vd. immagine: biscotti fichetti siracusani
  160. ^ Vd. immagine della giuggiulena siracusana: il torrone siracusano fatto di sesamo, arance e mandorle
  161. ^ Vd. Silvano Vinceti, L'area marina protetta del Plemmirio, 2006, pp. 100-101.
  162. ^ Cfr. Facciuni di Santa Chiara, su www.siciliafan.it. URL consultato il 2 maggio 2018.
  163. ^ L'antico Pollio e il Moscato di Siracusa[collegamento interrotto]
  164. ^ Vigneto del Moscato di Noto
  165. ^ Vino Syrah[collegamento interrotto]
  166. ^ Miele Ibleo [collegamento interrotto], su siciliasudest.it.
  167. ^ Il Rosolio alla Cannella, su mondodelgusto.it.
  168. ^ La Fragola di Cassibile
  169. ^ Il Miele di Sortino[collegamento interrotto]
  170. ^ La carrubba di Rosolini Archiviato il 9 dicembre 2012 in Internet Archive.
  171. ^ Ficodindia di Pedagaggi
  172. ^ Il melone di Pachino[collegamento interrotto]

Bibliografia

  • Dell'antico vino pollio siracusano - Saverio Landolina Nava, Andrea Zucchini, Lodovico Coltellini - 108 pagine
  • Repubblica (Google eBook) - Platone - Newton Compton Editori, 08/mar/2012
  • Sicilia - Vesna Maric - EDT srl, 2008
  • La cucina siciliana (Google eBook) - Alba Allotta - Newton Compton Editori, 18/set/2012
  • I tempi alimentari del Mediterraneo: cultura ed economia nella storia alimentare dell'uomo, Volume 1 - Fausto Cantarelli - FrancoAngeli, 2005
  • Mangia italiano. Guida alle specialità regionali italiane - Monica Cesari Sartoni - Morellini Editore, 2005
  • La cucina del Bel Paese - TOURING CLUB - ITALIA - Touring Editore, 2003

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