Utente:Chevalier d'Éon/Sandbox

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Margherita di Valois
Margherita di Valois, schizzo attribuito a François Clouet (circa 1572).
Regina consorte di Francia e Navarra
Stemma
Stemma
In carica2 agosto 1589 - 17 dicembre 1599
PredecessoreLuisa di Lorena-Vaudémont
SuccessoreMaria de' Medici
Regina consorte di Navarra
In carica18 agosto 1572 - 17 dicembre 1599
PredecessoreAntonio di Borbone
SuccessoreMaria de' Medici
Altri titoliFiglia di Francia
Duchessa di Valois
Duchessa di Etampes
Duchessa di Senlis
Contessa d'Agenais
Contessa della Rouergue
Contessa di Alvernia
Contessa di Marle
Viscontessa di Carlat
Signora di La Fère
Signora di Rieux
Signora di Rivière
Signora di Verdun
Signora dell'Albigenois
NascitaCastello di Saint-Germain-en-Laye, 14 maggio 1553
MorteHôtel de la Reine Marguerite, Parigi, 27 marzo 1615
Luogo di sepolturaBasilica di Saint-Denis, Parigi
Casa realeValois-Angoulême
PadreEnrico II di Francia
MadreCaterina de' Medici
ConsorteEnrico IV di Francia
Religionecattolica
Firma

Margherita di Valois (Castello di Saint-Germain-en-Laye, 14 maggio 1553Parigi, 27 marzo 1615) fu Regina consorte di Francia e Navarra come prima moglie di Enrico IV di Francia.

Figlia di Enrico II di Francia e Caterina de' Medici, sposò il re ugonotto Enrico di Navarra. Le loro nozze furono seguite dalla strage di san Bartolomeo e dalla successiva prigionia alla corte del marito, costretto all'abiura. Divenuta l'eminenza grigia del fratello minore Francesco d'Alençon, in opposizione a re Enrico III, svolse per suo conto un'ambasciata segreta nelle Fiandre in rivolta. In seguito si recò assieme alla madre nel Midi per pacificarlo e ricongiungersi al marito, nel frattempo fuggito dal Louvre e tornato al calvinismo.

Fedele discepola del neoplatonismo, a Nérac, manifestò doti d'intellettuale e di mecenate, creando un vivace circolo di letterati, poeti e artisti nell'austera corte navarrese. Politicamente continuò a svolgere il ruolo di mediatrice tra le due corti, ma la sua sterilità e le tensioni causate dalle guerre civili di religione spezzarono il suo matrimonio, mentre i numerosi scandali sessuali nella quale fu coinvolta e che ne compromisero la reputazione, le alienarono la famiglia.

Alla morte del duca d'Alençon, nel 1585 Margherita si schierò con la Lega cattolica nemica del marito e del fratello maggiore. Imprigionata nella fortezza di Usson su ordine di Enrico III, vi rimase in esilio per vent'anni, durante i quali scrisse le proprie Memorie. Divenuta virtualmente regina di Francia, al momento opportuno contrattò abilmente le condizioni per l'annullamento del matrimonio, a cui acconsentì solo dopo il versamento di un lauto compenso.

Tornata a Parigi nel 1605, in ottimi rapporti con l'ex marito e la sua nuova famiglia, si distinse ancora per il suo ruolo di mediatrice lasciando i suoi beni all'amato delfino Luigi e aiutando Maria de' Medici nel periodo di reggenza. Nell'ultimo periodo della sua vita divenne famosa per le sue qualità di mecenate, di benefattrice e di rinomata donna di lettere, dibattendo sulla Querelle des femmes. Morì nel 1615, quando ormai era già una leggenda vivente.[1]

Figura controversa, dopo la sua morte gli aneddoti e le calunnie su di lei hanno creato un mito, che si è consolidato attorno al famoso soprannome di regina Margot (La Reine Margot) inventato da Alexandre Dumas père e che ha tramandato nei secoli l'immagine di una donna ninfomane e incestuosa. Alla fine del XX e all'inizio del XXI secolo, gli storici hanno iniziato una revisione delle fonti, concludendo che molti elementi della sua reputazione scandalosa derivavano da una propaganda anti-Valois e da una strumentale denigrazione della partecipazione delle donne in politica, creato dalla storiografia borbonica nel XVII secolo.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Giovinezza (1553-1572)[modifica | modifica wikitesto]

«Madama Margherita» ritratta da François Clouet (1559).
Caterina de' Medici e i figli: re Carlo IX, Margherita, Enrico d'Angiò e Francesco d'Alençon. 1561 circa.

Infanzia[modifica | modifica wikitesto]

Nacque il 14 maggio 1553 nel castello di Saint-Germain-en-Laye, figlia di Enrico II di Francia e di Caterina de' Medici e fu battezzata «Margherita» in onore della zia paterna, sua madrina, mentre Alfonso II d'Este fu il padrino.[2] Fu inizialmente allevata a Saint-Germain, Amboise e Blois assieme agli altri Fils de France, accudita da numerosi servitori. La sua governante fu l'integerrima Charlotte di Curton che, insieme al cardinale di Tournon, le trasmise una salda fede cattolica.[3]

L'inopinata morte del padre nel 1559 provocò una grande destabilizzazione politica tra le grandi famiglie aristocratiche del regno, divise anche per motivi religiosi. Il breve regno di Francesco II, segnato dal governo dei cattolici Guisa, venne funestato dalla congiura di Amboise, ordita da Antonio di Borbone, re di Navarra e Luigi di Condé, principi del sangue di fede calvinista. Il tentato colpo di stato fu represso nel sangue. L'ascesa al trono di Carlo IX, permise a Caterina de' Medici di prendere le redini del potere, in qualità di reggente.[4]

Nonostante la reggente cercasse un clima distensivo, la tensione politico-religiosa portò allo scoppio della prima guerra civile di religione. In questo periodo, Margherita e il fratello minore Francesco vissero nel sicuro castello di Amboise, allevati da varie dame di corte, tra cui Jeanne di Vivonne e Claudia Caterina di Clermont.[5] Dal 1564 al 1566, per volere della madre, partecipò assieme alla corte a «le grand voyage de France»: un tour di propaganda monarchica, ideato da Caterina per rinsaldare i legami tra la Corona e la popolazione.[6]

Famiglia ed educazione[modifica | modifica wikitesto]

Mentre ebbe poco tempo per conoscere suo padre, che le era molto affezionato[7], Margherita fu indubbiamente influenzata dalla forte presenza di sua madre Caterina, da cui apprese l'arte della mediazione politica[8] e dalla quale avrebbe ereditato l'ambizione, somiglianza caratteriale sottolineata da vari ambasciatori.[9] Fu la figlia meno amata dalla madre[10], instaurando con lei una relazione complessa, composta da un misto di ammirazione e timore.[11] Del suo iniziale legame con la madre ricorderà: «Non solo io non gli osava parlare, ma quand'ella mi guardava, mi sentiva morir di paura, d'haver fatto qualche cosa che gli dispiacesse».[12]

Consapevole delle attrattive di sua figlia, Caterina la sfruttò unicamente in funzione di un'unione matrimoniale che rafforzasse la potenza francese in Europa: dal 1562, Margherita fu proposta al principe Don Carlos, all'arciduca Rodolfo, a Filippo II di Spagna vedovo della sorella maggiore Elisabetta di Valois e infine al giovane Sebastiano I del Portogallo.[13]

Durante l'infanzia, Margherita ebbe un ottimo rapporto con tutti i fratelli, con cui condivise la crescita. Protettiva il fratello minore Francesco d'Alençon[14], calmava le irrequietezze del fratello Carlo IX[15] che, molto affezionato a lei, le dette il soprannome «Margot».[N 1] Il fratello con cui in adolescenza strinse un legame profondo fu Enrico d'Angiò, il figlio prediletto di Caterina (per questo oggetto di gelosie di tutti i fratelli) e di cui Margherita si riterrà sempre esserne l'alter ego, definendosi suo «fratello».[16]

Oltre all'educazione politica e religiosa, durante l'infanzia e l'adolescenza Margherita ricevette un'infarinatura in ambito umanistico, prima da Jean Flamin e poi da Henri Le Marignan, futuro vescovo di Digne. Studiò la storia, la poesia, le sacre scritture, i poemi classici e cavallereschi e le lingue: oltre al francese, sarebbe stata capace di parlare fluentemente in latino, italiano e spagnolo e leggere il greco. Eccellerà inoltre nella danza, nella musica e nell'equitazione.[17]

Primi passi in politica[modifica | modifica wikitesto]

«Madama Margherita», ritratta da François Clouet (1571).

Fin dall'adolescenza dimostrò di essere estremamente ambiziosa, volendo giocare anch'ella un ruolo politico nelle dinamiche del regno.[18] L'occasione le venne offerta nel 1568 dal fratello Enrico, che dopo la battaglia di Jarnac, le affidò il compito di difendere i suoi interessi presso la regina madre, impaurito che il re potesse soppiantarlo nei favori materni, durante la sua assenza per motivi militari.[12]

Si dedicò coscienziosamente a questo incarico, entrando nelle confidenze materne, ma al ritorno Enrico non le mostrò alcuna gratitudine e i rapporti tra madre e figlia si raffreddarono. Margherita incolpò Louis de Béranger du Guast di aver messo discordia tra lei e il fratello, ma forse fu Caterina stessa ad escludere la figlia, che si era rivelata una possibile rivale nelle mediazioni tra Carlo IX ed Enrico.[19]

Alla fine della terza guerra civile, Margherita incoraggiò un affettuoso scambio di lettere con il giovane Enrico I di Guisa, esponente di spicco dei cattolici intransigenti e nel giugno 1570, si diffuse la voce che avrebbe acconsentito a sposarlo[20], mentre erano in atto delle trattative per sposarla a Don Sebastiano. Come scrisse l'ambasciatore inglese, la principessa «avrebbe preferito rimanere in Francia piuttosto che mangiare fichi in Portogallo».[21]

Già restii a queste nozze, ostacolate pure dal re di Spagna, i ministri portoghesi e doña Giovanna approfittarono dell'occasione per screditarla: tuttavia, la spia mandata a Parigi per indagare sull'accaduto non trovò prove che potessero compromettere l'onore della principessa.[22] I Valois corsero ai ripari con forza, facendo cadere in disgrazia la famiglia Guisa.

Nel frattempo per mettere a tacere le voci, aiutata dalla sorella Claudia, Margherita affrettò le nozze tra il duca di Guisa e Caterina di Clèves.[23] Le nozze con don Sebastiano sfumarono comunque: i ministri portoghesi accamparono così altre altre scuse di accordi economici insostenibili e la proposta di posticipare il matrimonio di dieci anni, spingendo gli oltraggiati Valois a rompere le trattative.[24]

Ruolo politico (1572-1582)[modifica | modifica wikitesto]

Le «nozze vermiglie»[modifica | modifica wikitesto]

Enrico e Margherita sovrani di Navarra, raffigurati in una miniatura nel Libro delle Ore di Caterina de' Medici. Contrariamente alle interpretazioni storiografiche del XVII secolo, i contemporanei non annotarono alcun tipo di disgusto reciproco tra i due.[25]

Nell'agosto 1570, la pace di Saint-Germain aveva in teoria stabilito definitivamente la riconciliazione nazionale tra cattolici e calvinisti: fu così ipotizzata un'unione che la sancisse simbolicamente. I Montmorency fecero dunque riemergere l'idea, già ipotizzata da re Enrico II, di un'unione tra Margherita e il protestante Enrico di Navarra, primo prince du sang ed erede di vasti possedimenti nel sud-ovest del paese.

Pur conoscendo Enrico fin dall'infanzia, Margherita espose alla madre la sua perplessità di cattolica convinta davanti a questo matrimonio, che andava contro le norme ecclesiastiche e che poteva tacciarla di concubinaggio. Dopo non poche esitazioni, rassicurata dai famigliari e a condizione di non doversi convertire al calvinismo, la principessa accettò infine di sposarsi, spinta dall'ambizione di divenire regina.[26]

In prospettiva del matrimonio, la Corona si riavvicinò all'ammiraglio di Coligny, principale capo politico ugonotto, reintegrandolo in vari incarichi a corte.[27] Impauriti che ciò favorisse una presa di potere del calvinismo, papa Pio V e Filippo II di Spagna osteggiarono in ogni modo queste nozze, riproponendo l'unione tra Margherita e Don Sebastiano, ma tale prospettiva venne rifiutata dai Valois.

Nel febbraio 1572, la fervente ugonotta Giovanna III di Navarra giunse a corte e rimase favorevolmente colpita da Margherita, lodandone l'avvenenza, l'intelligenza e la stima che aveva in famiglia.[28] Le trattative tra future suocere furono lunghe e difficili, ma infine si decise che le nozze sarebbero state officiate a Parigi dal cardinale di Borbone, in qualità di zio di Enrico, e che nessuno degli sposi si sarebbe convertito.[29] Nel giugno 1572, Giovanna vi morì di tubercolosi, lasciando il trono al figlio.

Il giovane re di Navarra arrivò a Parigi il luglio seguente, scortato da ottocento gentiluomini calvinisti. Le nozze controverse furono officiate il 18 agosto sul sagrato della cattedrale di Notre-Dame, senza attendere la necessaria dispensa papale per la differenza di fede e la parentela fra gli sposi. Come accordato, il re di Navarra non assistette alla messa, sostituito dal duca d'Angiò.[30] Secondo i progetti della Corona, questo matrimonio avrebbe simboleggiato l'inizio di una nuova era di pace dopo anni di guerre civili: per questo, riportarono gli ambasciatori, i festeggiamenti furono fastosissimi e di gran lunga maggiori rispetto ad ogni altro matrimonio precedente.[31]

La regina di Navarra protegge il visconte di Léran durante la notte di san Bartolomeo. Dipinto di Alexandre-Évariste Fragonard. Il famoso episodio venne riadattato da Alexandre Dumas nel romanzo La regina Margot.
Margherita a fianco del fratello Francesco d'Alençon, arazzi dei Valois, Galleria degli Uffizi. Basata su una forte affetto fraterno, sul sostegno reciproco e sulla comune esclusione dall'affetto della madre, la loro solida alleanza avrebbe causato numerosi problemi alla Corona.[32] In seguito pettegolezzi diffamatori avrebbero invece insinuato che fosse una relazione incestuosa.[33] La regina l'avrebbe invece paragonato al legame che un tempo aveva legato i suoi zii Margherita e Carlo.[34]

La tregua durò poco: il 22 agosto Coligny subì un attentato, rimanendo ferito ad un braccio. Fomentata dagli ugonotti che minacciavano di farsi giustizia da soli e dalla paura dei cattolici, la tensione crebbe a tal punto che, la notte tra il 23 e il 24 agosto, passata alla Storia come la «notte di san Bartolomeo», su presunto ordine della Corona[35], i calvinisti presenti a Parigi furono massacrati dai cattolici.

Lo stesso argomento in dettaglio: Notte di san Bartolomeo.

La strage avvenne anche nel Louvre, dove il re di Navarra fu costretto a convertirsi per salvarsi la vita. Nelle proprie Memorie, unica testimonianza diretta di un membro della famiglia reale sul massacro[36], Margherita raccontò di aver salvato dei gentiluomini protestanti, fra cui il visconte di Léran, che si era rifugiato nella sua camera da letto per sfuggire dagli assassini.[37]

La tragedia ridefinì i rapporti tra Margherita e la famiglia, special modo con la madre e il marito. Margherita non avrebbe dimenticato la noncuranza con cui, la sera antecedente alla strage, Caterina l'aveva rispedita dal marito come esca, con l'alto rischio che potesse rimanere uccisa[38], mentre dopo l'eccidio le avrebbe proposto di far annullare le nozze, ormai inutili, nel caso non fossero state consumate. Ribellandosi alle manipolazioni famigliari, Margherita rifiutò di abbandonare il re di Navarra: «comunque fusse, io volea, poiche dato me l'haveano, restarmene con lui; ben sospettandomi, ch'il volermi da lui separare, era per fargli qualche malo scherzo».[39]

Margherita divenne così la garante del marito, fatto prigioniero a corte e ormai in una situazione di completa subalternità ai voleri della Corona.[40] Il senso di protezione verso il re di Navarra e la sua solidarietà politica basata sul vincolo matrimoniale, non le impedirono di ritenersi superiore a lui, sottostimandolo.[41] Ciò avrebbe portato alla creazione di una controversa e chiacchierata relazione di coppia.

Il massacro avrebbe infangato anche la nomea di Margherita. Per la prossimità alla strage, il suo matrimonio fu in seguito nominato le «nozze vermiglie»[42] e lei stessa, assieme ad altri membri della famiglia reale, finì bersaglio di feroci libelli protestanti: ad esempio ne Le Réveil-matin des Français venne per la prima volta accusata di aver intrattenuto una relazione incestuosa con il fratello Enrico.[43]

La cospiratrice[modifica | modifica wikitesto]

Nel corso dell'assedio di La Rochelle, durante la quarta guerra civile, si creò il partito dei «Malcontenti», formato da moderati (cattolici e calvinisti) contrari alla politica accentratrice della Corona.[44] Come capo fu designato Francesco d'Alençon, fratello minore di Margherita, fino a quel momento tenuto ai margini della vita politica dalla madre e dai fratelli maggiori. A lui si unirono il re di Navarra, il principe di Condé e la famiglia dei Montmorency, contraria alla nuova ascesa al potere dei Guisa dopo la notte di san Bartolomeo.[45]

Nel novembre 1573, il duca d'Angiò, erede al trono di Francia, fu costretto a recarsi a Cracovia, dopo esserne stato eletto sovrano della confederazione polacco-lituana: ciò indebolì il partito cattolico, di cui era il principale esponente nel Consiglio reale. Data il contemporaneo aggravarsi della salute di Carlo IX, irrimediabilmente minato dalla tubercolosi, i Malcontenti iniziarono ad ideare una congiura che facesse usurpare il trono a Francesco, ritenuto maggiormente favorevole alla tolleranza religiosa rispetto al duca d'Angiò.

Inizialmente, per restare nelle grazie di tutti[46], Margherita rimase fedele alla Corona, denunciando in segreto alla madre e al re un tentativo di fuga da parte di Francesco e del marito, ma in seguito si avvicinò alla causa del fratello minore. Nelle Memorie avrebbe affermato di essere stata convinta dall'umiltà e la devozione con cui Francesco le aveva chiesto protezione[47], più probabilmente fu spinta dalla propria ambizione personale.[48] Oltre ad essere capace di esercitare una notevole influenza su Francesco[N 2], con lui sul trono avrebbe svolto un ruolo politico di primo piano come mediatrice tra cattolici e protestanti, usurpando il posto della madre.[49]

Margherita svolse un ruolo centrale nelle congiure messe in atto durante i primi mesi del 1574.[50] A lei facevano riferimento tutte le grandi dame coinvolte nell'intrigo, tra cui la baronessa di Curton, madamigella di Thorigny, la duchessa d'Uzes, la baronessa di Dampierre, ma soprattutto la duchessa di Nevers e la marescialla di Retz, sue care amiche.[51] La coordinazione militare venne affidata a Joseph Boniface de La Môle, favorito del duca d'Alençon, e ritenuto amante della regina di Navarra.[52]

Enrichetta duchessa di Nevers e Claudia, marescialla di Retz. Ricche e potenti nobildonne dell'alta aristocrazia francese, parteciparono assieme alla regina di Navarra ai tentati colpi di stato dei Malcontenti. Dopo il fallimento delle congiure, assieme a Margherita, furono solamente riprese a parole da re Carlo IX, perché giuridicamente protette dalla loro condizione di mogli.[53]
Lo stesso argomento in dettaglio: Congiura dei Malcontenti.

La notte tra il 27 e 28 febbraio, un esercito in marcia sulla reggia di Saint-Germain fece scoppiare il panico a corte. Ricordato come «congiura del martedì grasso» o il «terrore di Saint-Germain», l'intrigo fallì perché il comandante dell'esercito, uomo alle dipendenze del re di Navarra, aveva anticipato l'arrivo di dieci giorni. Data il rischio, Margherita convinse La Môle a rivelare il piano a Carlo IX e Caterina.[54] Francesco confessò il tradimento e venne minacciato di morte dalla madre[55], mentre Navarra fu graziato per intercessione di Margherita.

I principi furono messi sotto sorveglianza nel castello di Vincennes, ma organizzarono una nuova fuga. Una spia rivelò la «cospirazione di Vincennes» a Caterina de' Medici, che fece imprigionare una cinquantina di congiurati, tra cui La Môle, il suo compare Annibal de Coconas, i marescialli di Montmorency e di Cossé e l'astrologo Cosimo Ruggieri, mentre Condé riuscì a fuggire in Germania.[56] Alençon e Navarra furono costretti da Caterina a dissociarsi, ma dovettero comparire davanti al Parlamento per rendere conto delle loro azioni.

Fidandosi dell'abilità dialettica di Margherita, il marito le chiese eccezionalmente di redigere il proprio memoriale difensivo, passato alla Storia come il Mémoire justificatif pour Henri de Bourbon, che ricevette il plauso generale.[57] La Môle e Coconas furono invece decapitati per lesa maestà, dopo giorni di torture, nonostante Margherita e Francesco avessero cercato di farli graziare.[58]

Durante il maggio 1574, mentre Carlo IX deperiva velocemente a causa della tisi, Margherita rischiò la sua incolumità, organizzando un nuovo piano di fuga per il marito e il fratello, che sarebbero dovuti fuggire con la sua carrozza travestiti da donne, ma il piano fallì perché i due ragazzi non si accordarono su chi dovesse fuggire per primo.[59] Il 30 maggio, Carlo IX morì e lasciò la reggenza nelle mani della madre, in attesa del ritorno dalla Polonia del nuovo re, Enrico III.[60]

Divisione famigliare[modifica | modifica wikitesto]

Margherita di Valois, assieme al marito e al cognato Carlo III di Lorena, negli arazzi Valois. Galleria degli Uffizi. Fino alla primavera 1575, perseguendo entrambi gli stessi obiettivi politici, moglie e marito avevano mantenuto rapporti solidali. Il nunzio Salviati aveva addirittura riportato la voce di una gravidanza della regina.[61]

Enrico III non perdonò il tradimento di Margherita e contribuì a diffondere maldicenze sulle sue presunte relazioni extraconiugali, denunciandola in particolar modo alla regina madre.[62] Ad alimentare le voci furono i mignons, i suoi favoriti, in particolar modo Du Guast che la oltraggiò pubblicamente, definendola «Regina delle puttane».[63] Da quel momento la reputazione di Margherita sarebbe rimasta irrimediabilmente compromessa e continuo oggetto di chiacchiere tra i membri dell'alta società.[64]

Nella primavera 1575, il re di Navarra e il duca d'Alençon entrarono in competizione per il ruolo di capo dei Malcontenti, la luogotenenza del regno e per l'amore di Charlotte de Sauve, che probabilmente divenne amante di entrambi su ordine di Enrico III e Caterina.[65] Ciò pose fine all'alleanza fra i principi, che in pochi mesi giunsero a detestarsi. La questione causò anche gravi alterchi tra i sovrani di Navarra, portando ad una crisi matrimoniale che avrebbe compromesso i rapporti tra Margherita e il marito.[66]

Enrico parve iniziare a mostrare il decisionismo politico che lo avrebbe in seguito caratterizzato[67] e si alleò al re di Francia e al duca di Guisa. Margherita lo avrebbe invece accusato di essersi solo fatto circuire dall'amante.[68] «Non potendo sopportare la tirannia di un marito né di un fratello [Enrico III]»[69], contravvenendo alle norme matrimoniali del XVI secolo[67], Margherita scelse di supportare Francesco, di cui si prese probabilmente come amante il nuovo favorito, Bussy d'Amboise, che per lei aveva abbandonato il seguito di Enrico III.[70]

Nel frattempo la situazione politica si era complicata. I Malcontenti si erano organizzati prendendo le armi: ad est un esercito di raitri guidati dal principe di Condé e dal principe del Palatinato, minacciava di invadere il regno, nel Midi, il governatore Damville minacciava rivolta. A corte era invece Margherita ad essere la «testa pensante»[71] del partito: poteva inoltre disporre di un folto gruppo di temibili e rissosi gentiluomini, appartenenti al seguito dell'amante e del duca d'Alençon, che tenevano testa ai mignons del re.[72]

Durante il periodo trascorso alla corte dei Valois, Enrico di Navarra acquisì, grazie alla moglie, le maniere e l'abbigliamento di un perfetto cortigiano.[73] Enrico mostrò soprattutto il proprio lato frivolo e scanzonato, sembrando interessato solo alle donne e ai piaceri[74]: per questo era opinione generale che fosse un «cervellino assai leggiero, e nella vanità assomiglia assai al padre, per le quali cose ha poca riputazione e pochissimo seguito», riferì l'ambasciatore veneziano Cavalli.[75]
Abile spadaccino, ambizioso, facinoroso e letterato, Bussy d'Amboise fu una delle grande personalità della corte. Come la regina di Navarra, anch'egli esercitava un notevole ascendente sul duca d'Alençon.[76] Margherita lo avrebbe coperto di lodi nelle Memorie.[77][78]

La crisi tra Margherita e il marito si acuì quando Bussy subì un attentato da parte di un gruppo di uomini capeggiati da Du Guast, organizzato con la connivenza dei re di Navarra e di Francia.[79] Salvatosi, Bussy fu convinto a lasciare la corte. Poco dopo, il marito le cacciò dal seguito alcune dame a cui era molto affezionata, tra cui Melchiore di Thorigny, che pare fosse il tramite tra Margherita e Bussy.[N 3] La regina di Navarra reagì rifiutando per giorni di mangiare e infine decise di non condividere più il letto con Enrico.[80]

Nell'estate 1575, il duca d'Alençon tentò più volte di fuggire da corte ed unirsi all'esercito riunito nel frattempo da Bussy a Dreux, su istruzione di Margherita.[81] Nel frattempo Caterina tentò di placare lo scandalo della rottura tra i sovrani di Navarra, cercando di far riammettere la damigella di Thorigny a corte.[82] La riconciliazione tra i coniugi sembrò essere solo di facciata: Margherita avrebbe affermato che il marito l'avrebbe continuata a trattare con indifferenza, dedicando il suo tempo alla baronessa di Sauve.[N 4]

Il 15 settembre, Margherita riuscì a far fuggire il fratello minore da Parigi[N 5] e farlo unire all'esercito di Bussy, al quale si erano uniti anche gli uomini del visconte di Turenne.[83] Con la corte nel caos, Enrico III ordinò che la sorella fosse posta agli arresti domiciliari: «Se non fusse dalla Regina mia madre trattenuto; credo, che gli haverebbe la collera fatto eseguire contro la mia vita, qualche crudeltà».[84]

Nei mesi in cui fu tenuta agli arresti, Margherita si ampliò le proprie conoscenze umanistiche, immergendosi nello studio di testi neoplatonici[85] e si avvicinò ancora di più alla fede cattolica: in seguito, nei suoi conti sarebbero infatti iniziati a comparire un numero crescente di donazioni e opere pie.[86] Nello stesso periodo, Enrico III volle che la sorella, con la duchessa di Nevers, la marescialla di Retz e altri cortigiani partecipassero alle riunioni della sua Accademia di Palazzo, in cui erano intavolate discussioni filosofiche.[87]

Nell'ottobre 1575, l'esercito di raitri tedeschi invase il regno di Francia. Per impedire alla situazione di precipitare, la regina madre mediò una tregua direttamente con il figlio minore.[88] In questo periodo Du Guast fu misteriosamente ucciso a Parigi, probabilmente dal barone di Vitteaux, che faceva parte del seguito del duca d'Alençon.[N 6]

Il 3 febbraio, non essendo riuscito ad ottenere la nomina a luogotenente del regno e politicamente isolato rispetto al duca d'Alençon e il principe di Condé[89], il re di Navarra fuggì dal Louvre. Tutti rimasero sorpresi dall'abilità con cui aveva mascherato le sue intenzioni a Enrico III, al duca di Guisa e pure alla moglie. La separazione tra i coniugi creò scandalo e a corte iniziarono a circolare le voci di un possibile ripudio della regina.[90] Poco dopo la fuga del marito, Margherita ricevette comunque una sua lettera, in cui le chiedeva di dimenticare il passato e di fargli da spia: la regina accettò.[91]

Mediatrice e ambasciatrice[modifica | modifica wikitesto]

Nel frattempo gli eserciti del duca d'Alençon e del principe di Condé avevano iniziato ad accerchiare Parigi. Francesco rifiutò di negoziare finché la sorella fosse rimasta prigioniera. Margherita venne infine liberata da Caterina e da Enrico III a condizione che li aiutasse nelle trattative per la pace: «sapendo ben'egli [il re], che mio Fratello [Francesco] havea più credito in me, che in alcun'altro; che di quanto indi avvereebbe di bene, ne darebbe a me l'honore, e me ne resterebbe obbligato».[92]

Le trattative di Margherita e Caterina portarono all'editto di Beaulieu, una vera e propria resa della monarchia alle richieste dei Malcontenti[93] oltre che ad una vittoria di Margherita su Enrico III.[94] Secondo la regina, Francesco avrebbe preteso che anche lei fosse inserita nei termini di pace, e che la dote accordatale al tempo delle nozze e mai completamente versata, le fosse corrisposta in terre: «Ma la Regina mia Madre mi pregò, ch'io non lo permettessi; assicurandomi ella, che dal Rè haverei ottenuto ciò, che gli addimandassi».[95]

Dopo la pace, Enrico di Navarra reclamò subito Margherita con sé. La regina avrebbe riferito nelle Memorie che la madre ed Enrico III si sarebbero rifiutati di lasciarla partire, poiché sarebbe potuta divenire un ostaggio in mano agli ugonotti.[96] Gli ambasciatori testimoniarono invece che la famiglia reale avrebbe trattato per riunire gli sposi se il re di Navarra per indurlo a tornato a corte, mentre sarebbe stata Margherita ad essere «del tutto aliena di tornare col marito», nonostante questi minacciasse di ripudiarla.[97] I rapporti tra i coniugi parvero così tesi che, quando la regina cadde ammalata nel gennaio 1577, sua madre pensò fosse stata fatta avvelenare dal marito.[98]

Rimasta a corte, Margherita si sarebbe presentata come la mediatrice della famiglia per trattare con Francesco d'Alençon. Secondo Agrippa d'Aubigné: «La regina [madre] di servì della regina di Navarra sua figlia che, per le sue antiche intimità con Bussy lo convinse, e questi il suo padrone a imboccare la strada di Blois»[99], dove il duca d'Alençon sarebbe stato convinto a tradire l'alleanza con i calvinisti, comprato con la nomina a capo dell'armata reale nella nuova guerra che Enrico III stava organizzando. Margherita avrebbe inoltre fatto da garante per Bussy d'Amboise, affermando che non avrebbe mosso le armi contro il sovrano nel futuro conflitto civile.[100]

Francesco duca d'Alençon e Angiò, ritratto da Jean Decourt (1576), fratello minore di cui Margherita provò ad essere la kingmaker.[101] Era noto «il singolare credito» che la regina di Navarra aveva con Monsieur.[102]

Margherita e Francesco avevano anche interesse ad intervenire attivamente nel conflitto che i fiamminghi stavano portando avanti dal 1576 contro Filippo II di Spagna. Allo scoppio della sesta guerra civile, per non rimanerne compromessa, Margherita ottenne dalla madre l'autorizzazione di recarsi in missione diplomatica nelle Fiandre, in favore di Francesco.[103] I ribelli sembravano infatti disposti a offrire un trono a un principe straniero tollerante e disponibile a fornire loro le forze diplomatiche e militari necessarie alla conquista della loro indipendenza. Enrico III accettò la proposta pensando di potersi liberare del fratello minore.[104]

Con il pretesto di un bagno di cure nelle acque termali di Spa, Margherita partì in estate con uno sfarzoso seguito. Dedicò due mesi alla sua missione: ad ogni tappa del viaggio, durante fastosi ricevimenti, si intratteneva con gentiluomini ostili alla Spagna e facendo le lodi del fratello tentava di persuaderli a allearsi con lui.[105] Fece anche la conoscenza del governatore dei Paesi Bassi, Don Giovanni d'Austria, il vincitore di Lepanto, con il quale ebbe un incontro cordiale.[106] Per Margherita il ritorno in Francia fu movimentato, attraverso un paese in piena insubordinazione, quando allo stesso tempo c'era il rischio che gli spagnoli la facessero prigioniera.[107]

Margherita incontrò Francesco a La Fère, dove ricevettero gli emissari dei fiamminghi. Nel frattempo la fine della guerra civile e l'editto di Poitiers pressavano Margherita affinché si riunisse al re di Navarra: «Se la regina di Navarra volesse acconcieria il regno, pacificandosi col marito, ma non vuole», riportò l'ambasciatore toscano.[108] Tornata a corte, Margherita preferì continuare a gestire gli affari del fratello «a proprio piacimento»[102] ed a mantenere rapporti epistolari con i suoi contatti fiamminghi.[109]

La fine della guerra aveva reso Enrico III più forte e i suoi mignons iniziarono nuovamente a scontrarsi con i sostenitori del duca d'Alençon.[110] La situazione precipitò nel febbraio 1578, quando Alençon chiese di assentarsi. Persuaso di un presunto complotto, Enrico III fece arrestare il fratello in piena notte, confinandolo nella sua stanza, dove fu raggiunto da Margherita, che «avendo licenza di parlargli, lo persuase a dissimulare il tutto e far pace, prendendo poi miglior occasione di partire».[9] Come raccontato nelle Memorie, Margherita aiutò personalmente Francesco a fuggire, calandolo con una corda gettata da una finestra della propria stanza al Louvre.[111]

Caterina de' Medici, ritratta della scuola di François Clouet. Durante le trattative della Conferenza di Nérac, la regina madre si complimentò per i tentativi di mediazione della figlia[112] e definì lei e il re di Navarra, «la coppia più affiatata che si potrebbe desiderare».[113]
Il castello di Pau, luogo del diverbio tra i sovrani di Navarra.

Negato ogni coinvolgimento nella fuga, Margherita ottenne l'autorizzazione a raggiungere il re di Navarra, come aveva acconsentito a fare dopo vari ripensamenti. Il re di Francia rimase comunque nel timore che la sorella potesse sfruttare il ricongiungimento coniugale per rinsaldare la vecchia alleanza tra il marito e il duca d'Alençon.[114] Probabilmente per comprare la sua fedeltà, Enrico III accondiscese le volontà della sorella ed eccezionalmente le attribuì la dote in terre, facendo di Margherita una delle più grandi feudatarie di Francia.[N 7]

Inizialmente prevista per la primavera 1578, la partenza per la Guascogna venne rimandata per le iniziative belliche del duca d'Alençon, che Caterina cercò di sventare. Alla fine di giugno, fu richiesta la mediazione della regina di Navarra, ma nonostante il suo intervento, Francesco partì ugualmente per le Fiandre. Gli ambasciatori sospettarono comunque che Margherita avesse fatto «offitio doppio»[115] e anziché fermare il fratello, l'avesse spinto a perseverare nelle sue ambizioni.[N 8]

Sia Enrico III e Caterina speravano che Margherita aiutasse a ristabilire l'ordine nelle travagliate province del sud-ovest e instaurasse un ascendente sul marito in modo da convincerlo a tornare a corte. Per assurgere a questo compito, fu accompagnata dalla madre e da una brillante corte di dame e di umanisti nel quale spiccava il suo nuovo cancelliere, il celebre Guy Du Faur de Pibrac.[116] Il viaggio servì per allestire sontuosi ricevimenti nelle città attraversate, presentando Margherita come referente della Corona per la nobiltà del luogo.[117] Nonostante le perplessità della corte e il timore di entrambi, i sovrani di Navarra si riconciliarono sentimentalmente e politicamente.[N 9]

Nel febbraio 1579, alla Conferenza di Nérac i due schieramenti si accordarono sulle modalità relative all'ultimo editto di pace. Margherita partecipò attivamente alla mediazione ma, anziché essere un tramite della regina madre, per convenienza preferì salvaguardare gli interessi del marito, attraverso gli interventi di Pibrac che si era invaghito di lei.[118] In una lettera alla duchessa d'Uzès, confessò: «Sono decisa a renderle [a Caterina] tutti i servigi che potrò, finché ciò non contrasti la grandezza e la sicurezza di mio marito; poiché mi stanno troppo a cuore il suo bene e il suo male».[119] Gli accordi finali risultarono un successo politico per il re di Navarra.[120]

Dopo la conclusione della Conferenza, Margherita e il marito accompagnarono la regina madre fino al confine con la Linguadoca, per poi recarsi a Pau, capitale del principato di Béarn, territorio in cui il cattolicesimo era stato vietato dai tempi di Giovanna d'Albret. Da principio il soggiorno fu piacevole per Margherita: «Abbiamo spesso notizie della regina di Navarra che si trova molto bene a Pau e indirizza suo marito come d’abitudine», scrisse una dama di compagnia alla duchessa d'Uzès.[121]

Poco tempo dopo i coniugi ebbero un aspro confronto a causa della proibizione di praticare il culto cattolico in quei territori.[122] Supportata dal fratello Enrico III, la regina prese le difese dei cattolici, mentre il marito si infuriò per l'intromissione della Corona di Francia negli affari politici interni al Béarn.[123] Margherita attribuì il litigio anche all'influenza esercitata sul re di Navarra da una sua nuova amante.[124]

Le divergenze si ricomposero poco dopo, quando Margherita accudì il marito che si era ammalato.[125] La sovrana giurò tuttavia che non avrebbe più messo piede in «quella piccola Ginevra» di Pau finché il culto cattolico vi fosse rimasto interdetto.[126] Nell'agosto 1579, Margherita ed Enrico si insediarono nel castello di Nérac, capitale del ducato d'Albret e residenza abituale dei sovrani di Navarra.[127]

La corte di Nérac[modifica | modifica wikitesto]

Modellino raffigurante il castello di Nérac, dimora della corte di Navarra, ai tempi della regina Margherita.
I resti del castello di Nérac, che fu parzialmente demolito nel 1622 su ordine del cardinale di Richelieu.

Con l'arrivo a Nérac, la regina Margherita introdusse un clima di festa e di raffinatezza culturale fino a quel momento sconosciuto nell'austera corte calvinista.[128] In simbiosi con il marito, riuscì a creare una corte capace di rivaleggiare con quella dei Valois.[129]

Margherita introdusse la pratica galante dell'«honneste amour».[130]

Amante della cultura, Margherita aprì le porte della reggia ai maggiori intellettuali della regione: fra coloro che vi giunsero vi era Michel de Montaigne, che divenne un assiduo frequentatore di Nérac, i poeti calvinista Guillaume de Salluste Du Bartas e Guy Du Faur de Pibrac e il neoplatonico François de Foix-Candale, vescovo di Aire.[131] Gli avvenimenti di questa corte divennero famosi in tutta Europa, tanto che William Shakespeare vi trasse l'ispirazione per la commedia Pene d'amor perdute, scritta una decina d'anni dopo.[130]

Il poeta Théodore Agrippa d'Aubigné scrisse: «La regina di Navarra ha presto sconfitto gli animi e incatenato le spade».

La corte di Nérac fu soprattutto celebre per le avventure amorose che vi avevano luogo in tanto grande numero, che Shakespeare vi trovò l'ispirazione per il suo Pene d'amor perdute. «L'agio porta con sé i vizi, come i serpenti il calore» scrisse Théodore Agrippa d'Aubigné[132], mentre Sully ricordò: «La corte fu un tempo dolce e piacevole; perché non si parlava d'altro che d'amore e di piaceri e di passatempi che da essi dipendevano». Un pettegolezzo di corte attribuì a Margherita una relazione con uno dei più illustri compagni di suo marito, il visconte di Turenne.

Nel 1579 scoppiò la settima guerra di religione, detta la guerra degli amanti, perché fu falsamente creduto che fosse stata dichiarata da Margherita, a causa del rancore che ella provava contro il fratello maggiore e per la vita mondana che i re di Navarra conducevano a Nérac. Il conflitto in realtà fu provocato da un'inadeguata attuazione degli accordi presi nell'ultimo editto di pace e da uno scontro avvenuto tra Enrico di Navarra e un luogotenente del re in Guienna, regione sotto la giurisdizione del re di Navarra. Durò poco, in parte anche grazie a Margherita che suggerì di appellarsi ad Alençon per portare avanti le trattative: che portarono rapidamente alla pace di Fleix nel 1580.

Fu allora che Margherita si innamorò di un grande scudiero di suo fratello, Jacques de Harlay, signore de Champvallon. Le lettere che ella gli aveva indirizzato illustrano una concezione dell'amore legata al neoplatonismo, in cui si privilegiava l'unione delle menti a quella dei corpi (sebbene ciò non significhi che Margherita rifiutasse l'amore fisico) al fine di giungere alla fusione delle anime.[133][134]

nonostante i numerosi rischi ai quali era stata esposta durante l’ultima guerra civile e qualche

Dopo la partenza di Alençon, la situazione di Margherita andò deteriorandosi. Responsabile di questa situazione fu una delle sue damigelle d'onore, Françoise de Montmorency-Fosseux, della quale suo marito si era infatuato quando lei aveva quattordici anni. Una volta rimasta incinta, Françoise non cessò di mettere Enrico contro la moglie, sperando forse di sposare il re di Navarra. Enrico però, come la moglie, pretese che ella nascondesse la sua gravidanza; infine, come scrisse Margherita nelle sue Memorie: «Volle Dio, ch'ella non partorisse che una figlia, la quale per di più era morta».[135]

Dopo la partenza di Alençon, la situazione di Margherita andò deteriorandosi. Responsabile di questa situazione fu una delle sue damigelle d'onore, Françoise de Montmorency-Fosseux, della quale suo marito si era infatuato quando lei aveva quattordici anni. Una volta rimasta incinta, Françoise non cessò di mettere Enrico contro la moglie, sperando forse di sposare il re di Navarra. Enrico però, come la moglie, pretese che ella nascondesse la sua gravidanza; infine, come scrisse Margherita nelle sue Memorie: «Volle Dio, ch'ella non partorisse che una figlia, la quale per di più era morta».[136] Dopo la partenza di Alençon, la situazione di Margherita andò deteriorandosi. Responsabile di questa situazione fu una delle sue damigelle d'onore, Françoise de Montmorency-Fosseux, della quale suo marito si era infatuato quando lei aveva quattordici anni. Una volta rimasta incinta, Françoise non cessò di mettere Enrico contro la moglie, sperando forse di sposare il re di Navarra. Enrico però, come la moglie, pretese che ella nascondesse la sua gravidanza; infine, come scrisse Margherita nelle sue Memorie: «Volle Dio, ch'ella non partorisse che una figlia, la quale per di più era morta».[137] Dopo la partenza di Alençon, la situazione di Margherita andò deteriorandosi. Responsabile di questa situazione fu una delle sue damigelle d'onore, Françoise de Montmorency-Fosseux, della quale suo marito si era infatuato quando lei aveva quattordici anni. Una volta rimasta incinta, Françoise non cessò di mettere Enrico contro la moglie, sperando forse di sposare il re di Navarra. Enrico però, come la moglie, pretese che ella nascondesse la sua gravidanza; infine, come scrisse Margherita nelle sue Memorie: «Volle Dio, ch'ella non partorisse che una figlia, la quale per di più era morta».[138]

Dopo la partenza di Alençon, la situazione di Margherita andò deteriorandosi. Responsabile di questa situazione fu una delle sue damigelle d'onore, Françoise de Montmorency-Fosseux, della quale suo marito si era infatuato quando lei aveva quattordici anni. Una volta rimasta incinta, Françoise non cessò di mettere Enrico contro la moglie, sperando forse di sposare il re di Navarra. Enrico però, come la moglie, pretese che ella nascondesse la sua gravidanza; infine, come scrisse Margherita nelle sue Memorie: «Volle Dio, ch'ella non partorisse che una figlia, la quale per di più era morta».[139]

Dopo la partenza di Alençon, la situazione di Margherita andò deteriorandosi. Responsabile di questa situazione fu una delle sue damigelle d'onore, Françoise de Montmorency-Fosseux, della quale suo marito si era infatuato quando lei aveva quattordici anni. Una volta rimasta incinta, Françoise non cessò di mettere Enrico contro la moglie, sperando forse di sposare il re di Navarra. Enrico però, come la moglie, pretese che ella nascondesse la sua gravidanza; infine, come scrisse Margherita nelle sue Memorie: «Volle Dio, ch'ella non partorisse che una figlia, la quale per di più era morta».[140]

Ribellione (1582-1592)[modifica | modifica wikitesto]

Scandalo a Parigi[modifica | modifica wikitesto]

Margherita avrebbe sempre negato la nascita di questo bambino, accusando gli Archimignon del fratello di averla calunniata.

Dopo vari tentennamenti, dovuti anche alla speranza di essere rimasta incinta del marito, alla fine di gennaio 1582 Margherita lasciò Nérac. Era accompagnata da Enrico per andare incontro alla regina madre, che i due incontrarono a Saint-Maizeres.

Nel 1582 Margherita lasciò Nérac. Certamente la regina non aveva raggiunto gli obiettivi che sua madre e suo fratello maggiore si erano proposti per lei e non aveva rafforzato neppure la sua posizione attraverso una gravidanza. Tuttavia, i veri motivi della sua partenza non sono chiari. Non c'è dubbio che volesse sfuggire ad un ambiente ostile, com'era diventata la corte di Nérac, forse voleva essere più vicina al suo amante Champvallon, oppure sostenere suo fratello minore.[141] Giunse a Parigi su invito del fratello e dalla madre, che speravano di attirare nuovamente il re di Navarra a corte, ma ciò non avvenne perché Margherita non aveva alcuna influenza sul marito, che anzi si infuriò con lei per aver fatto maritare Françoise, che aveva seguito la regina a Parigi.[142]

L'accoglienza fu fredda perché il re la riteneva responsabile dell'ultimo conflitto. La situazione continuò a peggiorare: Margherita incoraggiava le satire contro i costumi di Enrico III, che alternava una vita dissoluta a crisi mistiche, ed era lei stessa al centro degli scandali. Enrico III ordinò più volte a Margherita di riunirsi al marito, ma lei rifiutò affermando che le mancasse il denaro necessario.

Margherita di Valois nella maturità.

In giugno la situazione precipitò: quando cadde malata, si diffusero varie voci: «Alcuni vogliono che sia gravida, altri idropica», riferì l'ambasciatore toscano.[143] L'ambasciatore inglese riferì con scetticismo a Walshingam di aver saputo da una buona fonte che la regina di Navarra avesse partorito il figlio illegittimo di Champvallon il 23 giugno (13 giugno del calendario giuliano).[144]

Inoltre incoraggiò Alençon a riprendere la spedizione nei Paesi Bassi che il re aveva interrotto, temendo una guerra con il re di Spagna.[145] Infine nell'agosto del 1583, Enrico III cacciò sua sorella dalla corte, un'azione senza precedenti che attirò le attenzioni di tutta l'Europa, soprattutto a causa della partenza di Margherita, accompagnata da molte umiliazioni. Enrico III, attraversando il corteo di sua sorella, la ignorò; poi fece fermare la sua carrozza e arrestò dei servitori di Margherita, fra cui le dame di Duras e Béthune, che lui stesso interrogò di persona riguardo ai rapporti della sorella con Champvallon e con il duca d'Alençon (di cui le due nobildonne erano probabilmente le intermediarie) e di un presunto aborto della sorella.[146]

Enrico III rifiutò di incontrarla. La regina madre tentò di acquietare la situazione e chiese alla figlia dimostrarsi rispettosa e sottomessa ai voleri del fratello, ma Margherita le rispose di non voler fare ammenda per quelle che affermava essere solo calunnie e soprattutto non accettava l'ipocrisia del fratello che veniva a farle la morale, quando «lei sarebbe stata capace di verificare gli atti naturali e innaturali compiuti da Sua Maestà con molte enormità ed eccessi».[147]

Un ritorno in Navarra apparve impossibile, poiché il marito di Margherita rifiutò di riprenderla con sé, a causa delle numerose voci che circolavano sul suo conto.[N 10] Il re di Navarra chiese a Enrico III delle spiegazioni in merito e in seguito dei risarcimenti per la spiacevole situazione. Minacciata di ripudio, Margherita rimase a lungo nell'incertezza, attendendo che si concludessero i negoziati tra la corte di Francia e quella di Navarra.[148] I guerrafondai protestanti trovarono in questa situazione il casus belli che attendevano e il re di Navarra ebbe il pretesto per impadronirsi di Mont-de-Marsan, che Enrico III accettò di cedergli per chiudere la questione.[149]

Otto mesi dopo la sua partenza, Margherita poté infine riunirsi col marito, che non aveva fretta di rincontrarla e che le mostrò ben poco interesse, passione che manifestava alla sua amante del momento, la belle Corisande. Ai mali di Margherita si aggiunse la morte di Francesco d'Alençon avvenuta nel giugno del 1584 per tubercolosi, facendole perdere il suo alleato più fedele.[150]

La presa d'armi[modifica | modifica wikitesto]

Nel marzo del 1585, quando la guerra riprese, Margherita, rifiutata dalla sua famiglia come dal marito, entrò a far parte della Lega cattolica, che riuniva i cattolici intransigenti e ostili sia a Enrico III di Navarra sia a Enrico III di Francia.[151] Margherita si impossessò di Agen, città che faceva parte della sua dote e di cui lei era contessa, e fece rafforzare le fortificazioni. Reclutando delle truppe, si lanciò all'assalto delle città circostanti. «La reina di Navarra fa guerra contro del marito, e lo chiama il duca e principe di Béarn, esso la principessa di Francia; e pare che di Spagna le somministrino denari per fomentare la rovina di questo regno» riferì l'ambasciatore toscano.[152] Ma, stanchi delle condizioni imposte da Margherita, gli abitanti di Agen si ribellarono e si accordarono con un generale del re; Margherita quindi dovette fuggire dalla città in tutta fretta.

Litografia raffigurante il castello di Carlat nel XVI secolo.
La fortezza di Usson, nella quale Margherita fu rinchiusa per volere del fratello. Preso il controllo della cittadella, la sovrana vi soggiornò fino al 1605.
Ruderi dell'antica fortezza di Usson, dove fu rinchiusa Margherita.

A novembre la regina di Navarra si stabilì assieme all'amante Gabriel Aubiac al castello di Carlat, di cui era proprietaria e insieme ad un gruppo di nobili radunò in fretta un esercito e tentò di impadronirsi della regione dell'Agenais, ma fallì. All'arrivo delle truppe regali, Margherita dovette nuovamente fuggire. Trovò rifugio un po' più a nord, nel castello d'Ibois, un tempo appartenuto a sua madre Caterina.

Nell'ottobre del 1586 fu però assediata alle truppe del fratello e per un mese dovette attendere per sapere cosa ne sarebbe stato di lei. Il mese seguente, Enrico III decise infine che la sorella dovesse essere confinata nel castello di Usson, prigione ai tempi di Luigi XI.[153] Egli stesso scrisse: «La cosa migliore che Dio potesse fare per lei e per noi sarebbe di prendersela con Sé».[154]

La regina madre, che in passato aveva aiutato la figlia, parve non provare più interesse per lei, anzi ordinò che Aubiac fosse impiccato davanti ai suoi occhi.[155] «La reina di Navarra è in povero e miserando stato, e vive non più come principessa, ma quasi privata damigella» riferì l'ambasciatore toscano, aggiungendo che Aubiac era stato «impiccato per i piedi» e «così mezzo morto» fu buttato subito in una fossa, scavata sotto la forca: «Si dicono altre ragioni di questo supplicio, quali io non scrivo», riferendosi probabilmente alle voci secondo cui Margherita avrebbe avuto da lui un secondo figlio illegittimo.[156]

Dal momento che Enrico di Navarra, dopo la morte di Alençon, era diventato il legittimo erede al trono di Francia e poiché dal matrimonio con Margherita non erano nati eredi, Caterina de' Medici desiderava che prendesse in moglie la preferita delle sue nipoti, Cristina di Lorena[154], che alla fine sposò il granduca di Toscana.

Prigionia ed esilio[modifica | modifica wikitesto]

Dal novembre del 1586 al luglio del 1605, Margherita rimase prigioniera nel castello di Usson. La detenzione però non fu particolarmente dura: Jean Timoléon de Beaufort, marchese di Canillac, il suo carceriere, agevolò le sue condizioni, probabilmente corrotto da Margherita.[N 11]

Entrata in possesso del castello e seppur isolata da ciò che accadeva nel resto del regno, Margherita ebbe modo di formare, come aveva fatto a Nérac, una nuova corte di intellettuali, musicisti e scrittori. Fece restaurare la magione e impegnò il suo tempo a leggere moltissime opere, soprattutto religiose ed esoteriche.[157] Pure la sua condizione finanziaria migliorò quando la vedova di suo fratello Carlo IX, Elisabetta d'Austria, con la quale aveva sempre avuto ottimi rapporti, iniziò a mandarle metà delle sue rendite.[158]

Il 5 gennaio 1589 morì la regina madre Caterina de' Medici, il 2 agosto successivo Enrico III venne assassinato da Jacques Clement, un monaco fanatico. Unico superstite della "guerra dei tre Enrichi" (il duca di Guisa era stato ucciso da Enrico III nel dicembre 1588) e successore per diritto di sangue della corona francese, Enrico di Navarra divenne re di Francia come Enrico IV di Francia e Margherita, seppur prigioniera, divenne virtualmente regina di Francia.

Riconciliazione (1593-1615)[modifica | modifica wikitesto]

Il «regale divorzio»[modifica | modifica wikitesto]

Margherita di Valois, incisione di Simon Charles Miger (XVIII secolo).

Nel 1593 Enrico IV prese dei contatti con Margherita, per disporre l'annullamento del loro matrimonio. Per la prima volta Margherita ebbe modo di tenere in mano le sorti della famiglia reale e la sua politica matrimoniale, di cui era stata vittima sin dalla giovinezza. Durante le trattative fra i due coniugi che durarono sei anni, la situazione finanziaria della regina migliorò, ma venendo a conoscenza che il re avrebbe voluto sposare Gabrielle d'Estrées, sua amante dal 1591, e che nel 1594 lo rese padre di Cesare di Borbone-Vendôme. Margherita negò il consenso ad annullare le sue nozze, per avallare un matrimonio che trovava disonorevole per il regno di Francia.

Nel 1594, Margherita ricevette dal suo amico Brantôme, con cui era in contatto epistolare, un panegirico intitolato Discours sur la reine de France et de Navarre. In risposta all'opera del poeta, che su ammissione della regina conteneva alcuni errori e false dicerie su di lei, scrisse le proprie Memorie.[159]

Alla morte di Gabrielle d'Estrées , avvenuta per complicazioni di parto il 10 aprile 1599, Margherita riprese le trattative.

Soltanto il 24 ottobre 1599 accettò l'annullamento, a seguito dell'offerta di generose ricompense: ottenne l'Agenais, la Condomois, Rouergue e il ducato di Valois; in aggiunta ebbe anche diritto a una pensione ed Enrico IV annullò tutti i debiti che aveva conseguito fino a quel momento.

Papa Clemente VIII poté dunque annullare il loro matrimonio con tre motivazioni: la consanguineità di Margherita ed Enrico, l'assenza di figli e il forzato consenso al matrimonio da parte della sposa. A Margherita fu lasciato il titolo di regina di Francia e ottenne quello di duchessa di Valois. Il 17 dicembre 1600 il re sposò la principessa toscana Maria de' Medici.

In seguito all'annullamento del matrimonio, ripresero i buoni rapporti tra i due ex coniugi. Dopo venti anni di esilio, Margherita entrò nelle grazie del re di Francia.[160] La sua nuova posizione le permise di ricevere in Usson nuovi visitatori, attirati dalla qualità culturale di questo "Nuovo Parnaso" e dalla generosità della padrona di casa.

Il ritorno a Parigi[modifica | modifica wikitesto]

La «Regina Margherita» nel 1605 circa.

Nel luglio del 1605 Margherita ottenne il permesso di lasciare Usson e di occupare il Palazzo Madrid a Boulogne-sur-Seine (oggi chiamata Neuilly-sur-Seine). Ci rimase pochi mesi prima di ritornare a Parigi nell'Hôtel de Sens. Margherita volle ritornare nella capitale non solo per riprendere la vita di corte, ma anche per portare avanti delle importanti questioni finanziarie. Margherita era stata privata della sua eredità materna, dopo la morte di Caterina de' Medici, in virtù di alcuni documenti che la diseredavano. Enrico III aveva infatti ottenuto che tutti i beni della madre andassero a Carlo di Valois, figlio naturale di Carlo IX. Margherita era però in possesso di documenti che la dichiaravano erede universale del patrimonio materno e nel 1606 riuscì a defraudare il nipote dell'intera eredità.[161]

Dopo la vittoria in tribunale, Margherita nominò suo erede universale il Delfino, il futuro Luigi XIII di Francia, a cui si era molto affezionata. Questa fu una mossa politica estremamente importante per la casata dei Borbone, poiché rendeva ufficiale la transizione dinastica fra la casata dei Valois, di cui la regina Margherita era l'ultima discendente legittima e quella dei Borbone, appena insediata sul trono di Francia.[162][163] Ciò non fece che rafforzare l'amicizia che si era creata con la regina Maria, andando a delegittimare le pretese di Enrichetta d'Entragues, sorellastra di Carlo di Valois e amante di Enrico IV che sosteneva che suo figlio fosse il legittimo erede, per una promessa di matrimonio del re.

Hôtel de la Reine Marguerite. Attualmente di questo palazzo esiste solo una cappella nella corte Bonaparte, scuola di Belle Arti.

Nel 1607 fece costruire sulla riva sinistra della Senna, di fronte al Louvre, un palazzo di sua proprietà (L'hôtel de la Reine Marguerite), che oggi non esiste più, fatta eccezione per una cappella nella corte Bonaparte della scuola di Belle Arti. Il palazzo divenne un centro intellettuale parigino, politico e aristocratico. Margherita diede fastosi ricevimenti con spettacoli teatrali e balletti che duravano sino a notte inoltrata e da grande mecenate qual era, aprì un salotto letterario in cui organizzò una società di scrittori, filosofi, poeti e studiosi[164] (tra i quali Marie de Gournay, Philippe Desportes, François Maynard, Étienne Pasquier, Théophile de Viau). La regina inoltre continuò le sue opere di beneficenza e si prese come confessore Vincenzo de' Paoli.

Ultimi anni[modifica | modifica wikitesto]

Il 13 maggio 1610, Margherita presenziò pure all'incoronazione di Maria a Saint Denis.[165] Il giorno seguente Enrico IV fu assassinato per mano del monaco fanatico François Ravaillac e Maria de' Medici ottenne la reggenza per il figlio minorenne. Fu anche madrina per il battesimo di suo figlio Gastone d'Orléans, avvenuto il 15 giugno 1610.

La reggente le affidò vari ruoli diplomatici, fra cui il ricevimento degli ambasciatori stranieri a corte e negli Stati generali del 1614, in cui Margherita fu incaricata di negoziare con i rappresentanti del clero. Questo fu il suo ultimo incarico pubblico. Margherita di Valois, ultima discendente legittima dell'antica dinastia reale, si spense a sessantuno anni il 27 marzo 1615, a Parigi. Fu sepolta nella cappella dei Valois.[166]

La «perla dei Valois»: la vita privata e pubblica[modifica | modifica wikitesto]

Aspetto e personalità[modifica | modifica wikitesto]

Margherita di Valois, in una miniatura di Nicholas Hilliard (1577). «È di corpo non molto grande, ma però ben formata, e piena di carne. E sebben non ha quella faccia così delicata come ha la regina regnante, è però stimata molto bella, perchè l'ha l'aspetto molto allegro; capelli biondi come l'oro [una parrucca]: mancando nondimeno [...] nel mento inferiore, che le pende assai. Ma però alcuni vogliono che le dia grazia, facendo il collo e la gola più tonde», scrisse di lei Geronimo Lippomanno, ambasciatore veneziano nel 1577.[167] Nonostante la nomea scandalosa, l'aspetto della regina non fu mai giudicato lascivo dai suoi contemporanei, bensì estremamente raffinato.[168]

Fin dalla più tenera età, gli ambasciatori non fecero che elogiare l'avvenenza della giovane principessa Margherita. Secondo il veneziano Michiel, le sue doti di «grazia, bellezza e vivacità di spirito», l'avrebbero resa «di gran lunga superiore» alle sorelle.[169] Per le sue attrattive, la sua raffinatezza e le sue doti seduttive, Margherita sarebbe stata in seguito denominata la «perla dei Valois».[170]

Con elaborate similitudini, Ronsard l'avrebbe definita un «miracolo della natura», con un «corpo da dea»[171], mentre Brantôme si sarebbe soffermato sui suoi seni prominenti, «che le sue dame baciano con grande rapimento».[172] Quasi un secolo dopo, Tallemant des Réaux avrebbe espresso un giudizio più mitigato, scrivendo che «era stata bella da giovane, salvo avere le guance un po' cascanti e viso un po' troppo lungo».[173] All'apice del suo splendore, Margherita fu comunque capace di esercitare una notevole attrattiva negli osservatori: «Questa beltà più divina che umana è fatta più per perdere e dannare gli uomini che per salvarli», dirà di lei Don Giovanni d'Austria.[174]

Durante la giovinezza fu ritenuta colei che dettava la moda di corte. Nota per possedere un gusto senza eguali, indossando i vestiti più superbi, i gioielli più più ricercati, le acconciature più fantasiose.[175] Sempre rigorosamente truccata e abbigliata in modo consono alla corte, spesso i prodotti che utilizzava le guastavano i viso con infiammazioni alla pelle.[176] Avendo ereditato i capelli bruni del padre, Margherita avrebbe frequentemente utilizzato parrucche di folti riccioli biondi per seguire i canoni estetici del tempo.[177]

Anche in età avanzata, ormai divenuta «di una grassezza orribile»[173], la regina continuò a portare parrucche bionde, che secondo le voci riportate da Tallemant des Réaux erano ricavate dai capelli dei suoi paggi che lei faceva rapare ogni tanto.[178] Dal suo rientro a Parigi nel 1605, Margherita si sarebbe distinta per la sua eccentricità, continuando a seguire la moda e i trucchi della sua giovinezza.[179] Per questa sua ostinazione sarebbe stata ritenuta una «figura grottesca», spesso oggetto di satira.[180]

Caratterialmente, i contemporanei la descrissero come ambiziosa, sagace e accorta, ma anche civettuola, «si compiaceva di essere stimata bellissima da ognuno», scrisse l'ambasciatore veneziano.[9] Altera e consapevole del proprio rango[181], di «spirito impaziente» per Théodore Agrippa d'Aubigné[182], «facile alla collera, e spesso [con] la luna di traverso» per Ronsard[183], e testarda come suo padre, per sua madre Caterina de' Medici[184], dalla quale avrebbe ereditato, secondo la sua biografa Éliane Viennot, «la combattività, la resistenza, l'ottimismo, l'umorismo, il gusto per la politica, il talento per le trattative».[185] Da un'analisi delle sue Memorie emerge come «fu l'alta idea che la principessa aveva di se stessa a essere incompatibile con lo stato di soggezione in cui era tenuto il gentil sesso e a indurla ad agire, alla stregua dei fratelli, non già come una donna, ma come un principe» riassume Benedetta Craveri.[186]

Fedele fin dall'infanzia al cattolicesimo, dagli anni della prima prigionia a corte sarebbe diventata sempre più devota. Numerose sono le testimonianze della sua generosità e dei suoi atti di beneficenza verso i bisognosi a Nérac[187], ad Usson e al suo ritorno finale a Parigi.[188] Il cardinale di Richelieu ne avrebbe elogiato la «bontà e le sue regali virtù», celebrandone in particolare la generosità: «Non dette mai nulla, anche se molto, senza scusarsi d'aver dato poco, e i suoi doni non erano mai così grandi da non farle desiderare d'aver donato di più e avrebbe piuttosto dato a chi non meritava anziché mancar d'aiutare chi meritava».[189]

La galanteria della regina[modifica | modifica wikitesto]

Fin dalla giovinezza Margherita aderì alla galanteria e dell'«honnest amour», cioè la pratica dell'amoreggiamento, che di fatto non escludeva l'unione fisica, ma la faceva precedere da un lungo corteggiamento platonico. Il nome derivava dal titolo che Guy La Fèvre de La Boderie aveva dato alla traduzione dell'adatamento del Simposio di Platone, ad opera di Marsilio Ficino, che dedicò a Margherita nel 1578.[190]

Relatore per i ricorsi dell'anziana regina Margherita, Scipion Dupleix divenne poi uno degli storiografi ufficiali del regno. Le opinioni sull'ex padrona espresse nella sua Histoire générale de France, provocarono violente reazioni tra i suoi contemporanei.[191]

L'enigma della sterilità[modifica | modifica wikitesto]

Tutti i biografi di Margherita affermano che la sua incapacità di dare un erede al marito sia stato il dramma centrale della sua vita, impedendole di consolidare la propria posizione di sovrana e svolgere il ruolo politico al quale ambiva. Alcune testimonianze tra ambasciatori e personaggi di corte riportano notizie di almeno quattro sue possibili gravidanze durante gli anni trascorsi al fianco di Enrico di Navarra (primavera 1575[61], primavera 1579[121], autunno 1581[192], estate 1582[193]), che testimoniano la loro volontà di diventare genitori.

Secondo alcune dicerie tuttavia, riportate soprattutto dal famoso libello Le Divorce Satyrique, la sovrana non sarebbe stata sterile, avendo partorito due figli illegittimi. Il primo sarebbe nato nel giugno 1583, frutto della sua relazione con Champvallon, e tale notizia avrebbero contribuito alla sua scandalosa cacciata da Parigi ad opera del fratello Enrico III. Secondo il Divorce Satyrique, il bambino sarebbe stato allevato dal portinaio dell'hotel de Navarre a Parigi, sotto il nome di Louis de Vaux, preteso figlio di un profumiere parigino.[194] Indirizzato a divenire frate cappuccino con il nome di Archange de Montepene o Père Ange, sarebbe divenuto confessore della marchesa di Verneuil.[195] Sempre per il Divorce Satyrique, Margherita avrebbe partorito il secondo figlio illegittimo, avuto da Aubiac, a Carlat nella primavera 1586. Rivelatosi sordomuto, sarebbe stato affidato ai parenti del padre.

Nella sua Histoire d'Henry Le Grand, Scipion Dupleix confermò i sospetti e affermò di aver «conosciuti entrambi» i figli di Margherita. Éliane Viennot ritiene sospetta questa testimonianza perché parte di una più ampia denigrazione strutturata dei Valois ad opera dei primi storici borbonici: «Dupleix conferma quindi le voci che erano circolate sulla sia padrona, sempre con l'obiettivo di consolidare i motivi della sua separazione dal re. Osserva che questa era "una ragione inattaccabile per disfarsi di lei"».[196]

Il dibattito sulla presunta sterilità della sovrana ha diviso gli storici. Vi è chi ritiene sia stata completamente sterile: Charlotte Haldane suppone possa aver sofferto di problemi ormonali che le hanno impedito di concepire[197], mentre altri, come Jacqueline Boucher, propendendono per la nascita di entrambi i figli illegittimi.[198] Viennot ipotizza che la regina non fosse sterile, ma che tutte le sue gravidanze si siano concluse con degli aborti: in particolare ritiene «esagerata» e «implausibile» la nascita del figlio sordomuto abbandonato. Per giungere a Carlat da Agen, Margherita fece infatti «duecentocinquata chilometri a cavallo [...] [che] l'avrebbero fatta di certo abortire sei mesi prima», conclude la biografa.[199]

La «seconda Minerva»: il ruolo culturale[modifica | modifica wikitesto]

Attività intellettuale[modifica | modifica wikitesto]

Cresciuta in una corte dalla forte influenza culturale italiana, Margherita parlava perfettamente in italiano e in spagnolo, ma anche il latino. Fu l'unica infatti a non aver bisogno di traduttori durante la festa organizzata al Louvre.

Durante i primi anni di matrimonio Per sua stessa ammissione, Margherita iniziò ad interessarsi di letture e di filosofia.

è donna litteratissima non solo di lettere di umanità ma di filosofia e più oltre ancora, è splendidissima.

Mecenatismo[modifica | modifica wikitesto]

La regina Margherita riceve Honoré d'Urfé, che compose in suo onore L'Astrea.

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Memorie[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Memorie (Margherita di Valois).

Le Memorie sono l'opera più importante della regina Margherita.[200] Furono scritte durante il periodo di esilio nel castello di Usson, probabilmente a partire dal 1595[201], forse con l'aiuto di madame di Vermont.[N 12] A spingerla verso la stesura di questa autobiografia fu Brantôme, che l'anno precedente si era permesso di inviarle una copia del panegirico Discours sur la Reyne de France et de Navarre.[202] Come affermato nell'incipit delle Memorie, la regina avrebbe riscontrato «cinque, ò sei annotationi d'errori»[203], cioè calunnie o incomprensioni che l'apologeta avrebbe involontariamente riportato. Margherita avrebbe deciso di rimediarvi personalmente, scrivendogli la propria versione dei fatti. Probabilmente Brantôme non ricevette mai il testo delle Memorie, poiché il panegirico fu pubblicato con i refusi.[204]

Presentate con falsa modestia[205] come «un'opera di un doppo pranzo»[206], sono in realtà un'elaborata apologia con cui la sovrana colse l'occasione di prendersi una «rivincita sulla storia», narrando la propria vita «alla luce non dei suoi fallimenti ma dei valori a cui si era sempre ispirata – il coraggio, la lealtà, la generosità, l'odio per la dissimulazione, la fedeltà alla religione cattolica», afferma Benedetta Craveri.[207] La veridicità della sua versione è stata spesso oggetto di discussione tra gli studiosi: «La verità è taciuta quando non piace e dissimulata in mezzo a considerazioni filosofiche di scarso valore», riporta la giornalista Dara Kotnik, riproponendo i giudizi più severi.[N 13] Nonostante i dubbi, l'opera è considerata «un prezioso materiale sulla vita di quel contraddittorio e vulcanico XVI secolo, e in particolare sulla terribile e sanguinaria Corte dei Valois», riporta André Castelot.[208]

Margherita fu la prima donna a scrivere le proprie Memorie utilizzando la prima persona singolare: l'opera svolse un ruolo importante nella cosiddetta «invenzione dell'Io femminile», una strategia collettiva che si manifestò tra la fine XVI secolo e gli inizi del XVII secolo.[209][210] Quando furono stampate per la prima volta nel 1628, con il finale mancante forse perduto o censurato[N 14], nonostante la condanna della censura divennero subito un bestseller europeo[N 15], divenendo capostipite della memorialistica che si sviluppò dal XVII secolo, ispirando numerosi scrittori come la madamigella di Montpensier.[211]

Dichiarazione del re di Navarra[modifica | modifica wikitesto]

Il marito della regina Margherita, Enrico di Navarra da giovane.

Falliti i colpi di stato della congiura dei Malcontenti, Enrico di Navarra venne arrestato assieme al cognato Francesco d'Alençon l'8 aprile. Il Consiglio reale decise che sarebbero stati sottoposti a processo davanti al Parlamento di Parigi cinque giorni dopo. In questo frangente, Enrico chiese a Margherita di redigere il suo memoriale difensivo: «Fecemi grazia Dio, ch'io mettessi così aggiustamente in carta, ch'egli soddisfatto ne rimase, ed i Commissari stupiti di vederlo così ben prevenuto», rammentò la sovrana nelle Memorie.[212]

Si tratta di una deposizione di circa un quarto d'ora, la cui linea difensiva si basa sull'aspetto affettivo, con una rievocazione cronologica di episodi dall'infanzia di Enrico fino al suo arresto, nel quale Margherita volle evidenziare la lealtà del marito verso la Corona di Francia. La biografa Éliane Viennot sottolinea come la regina sia riuscita «a prendere la parola a nome di un uomo con stupefacente facilità», e come nel testo sia possibile riscontrare «in tutto e per tutto [il suo] stile, [...] per la linea d'attacco che sarà poi sempre tipica di lei: quella della virtù e del diritto offesi, senza sdegnar di usare qualche travisamento». Sottolineando inoltre come «la Storia [...] non abbon[di] di regine esortate dai mariti a scribere i loro discorsi politici nei momenti di pericolo».[213]

Non è rimasta traccia del testo sottoforma di manoscritto, che risulta comunque la prima opera di una certa lunghezza redatta dalla sovrana. Venne pubblicato la prima volta nel 1659, nelle appendici dei Mémoires di Castelneau de La Mauvissière. Dopo essere stato a lungo considerato «una delle prime manifestazioni del genio politico»[214] di Enrico IV, solo nel XVII secolo è stato riconosciuto come un testo di Margherita e dal 1836 viene costantemente pubblicato assieme alle Memorie della regina.[215]

Discorso sull'eccellenza delle donne[modifica | modifica wikitesto]

Marie de Gournay fu bibliotecaria di Margherita e attivista femminista.

Il Discours sur l'excellence des femmes o più propriamente Discours doct et subtil dict promptement par la Reyne Marguerite et envoyé à l'autheur des Secretz Moraux è un piccolo manifesto, scritto e pubblicato nel 1614, con cui la regina entrò nella polemica femminista della questione delle donne (Querelle des femmes). Il testo venne redatto in risposta ad un'opera morale, i Secrets Moraux di padre gesuita Loryot, un suo protetto.

Secondo la studiosa Éliane Viennot non sono gli argomenti di questo piccolo manifesto ad essere nuovi né pregevoli, poiché del tutto basato sul De nobilitate et proecellentia foeminei sexus (1529) di Cornelio Agrippa, ma sulla confezione, «breve» ed «essenziale»: in otto punti, affatto pedanti, Margherita riassunse le motivazioni per cui le donne dovevano essere considerate superiori agli uomini (sarebbe stata la sua bibliotecaria Marie de Gournay la prima a parlare di uguaglianza tra i sessi e non più della superiorità dell'uno sull'altro[216]). Solamente nell'introduzione al testo «vi si trovano concentrati il buon senso della regina, la sua logica semplice e incisiva, e anche il suo umorismo» scrive Viennot.[217]

Fu l'unica opera data alle stampe mentre la sovrana era ancora in vita. Nel corso dei secoli il piccolo manifesto venne ristampato poche volte: la prima nel 1618, compresa ne L'Excellence des femmes, avec leur response à l'autheur de l'Alphabet, la seconda solo nel 1891 da Charles Urbain, nel 1920 annesse all'edizione delle Memorie curata da Bonnefon[218] e in quelle del 1999 e 2005, a cura di Éliane Viennot.[219]

Poesie e lettere[modifica | modifica wikitesto]

Margherita non firmò mai le proprie poesie, ma è noto che le componesse. Una minima parte della sua produzione è conservata nei manoscritti della Bibliothèque nationale e nelle biblioteche di Rouen e dell'Assemblée nationale.[220] Alcuni frammenti di sue poesie furono riportati in alcuni libelli o cronache del tempo.

È noto che, durante la sua vita, Margherita scrisse numerose lettere (la maggior parte delle quali è andata perduta), che Brantôme paragonò l'epistolario della sovrana a quello di Cicerione.[221]

La «regina Margot»: tra storiografia e leggenda[modifica | modifica wikitesto]

Storiografia[modifica | modifica wikitesto]

Margherita di Valois, in un'immagine ripresa da La Mode par l’Image du XIIe au XVIIIe Siècle.

La storia della principessa Margherita di Valois è oscurata dalla leggenda della "regina Margot", il mito di una donna lasciva nata in una famiglia maledetta. Molte calunnie vennero diffuse durante la vita della principessa, ma quelle presenti nel libello Divorce Satyrique scritto da Théodore Agrippa d'Aubigné contro Enrico IV, furono quelle ad aver più successo e vennero tramandate in seguito come fossero fatti accertati.[222]

Figura in bilico fra due corti, una cattolica e l'altra protestante, e trascinata nelle guerre di religione, Margherita fu bersaglio di una campagna diffamatoria mirata a denigrare attraverso di lei, sua madre, i suoi fratelli e suo marito. Nonostante queste accuse, durante la sua vita, i suoi contemporanei riconobbero che fra tutti i figli di Caterina de' Medici, lei era l'unica ad avere bellezza (era chiamata la "Perla del Valois"), salute, intelligenza ed energia. Notevole latinista, era molto dotta e sapeva risplendere nella società letteraria dell'epoca come nel salotto della marescialla di Retz.

È nel XIX secolo che nacque il mito della regina Margot. Il soprannome fu inventato da Alexandre Dumas che intitolò il suo primo romanzo sulla trilogia dei Valois: La regina Margot (1845), descrivendo nel romanzo la notte di San Bartolomeo e gli intrighi di corte successivi. Lo storico Jules Michelet invece sfruttò la figura della principessa Valois per denunciare la "depravazione" del vecchio regime.

Fra il XIX e il XX secolo alcuni storici come il conte Léo de Saint-Poincy cercarono di riabilitare la figura della sovrana, tentando di discernere gli scandali dalla la realtà, raffigurandola come una donna che sfidava le turbolenze della guerra civile tra cattolici e protestanti, e che non si era mai sentita inferiore ai suoi fratelli, volendo anzi partecipare agli affari del regno, affrontando quindi oltre alla vita privata anche i comportamenti politici della sovrana. Tuttavia questi studi rimasero marginali e non influenzarono i testi ufficiali.[223]

Nel XX secolo ci fu un exploit di opere divulgative sulla figura della regina, con una sostanziale regressione di ogni criterio storiografico. In particolare, Guy Breton inaugurò nel 1950 una serie di libri di narrativa erotica che minò drasticamente l'immagine della regina Margherita di Valois, raccontando scandali e storie scabrose ad uso del grande pubblico.

Solo a partire dagli anni novanta, alcuni storici, come Eliane Viennot e Janine Garrison, hanno contribuito a riabilitare l'immagine degli ultimi Valois e ricordare la distinzione tra la figura storica di Margherita di Valois e la leggenda della regina Margot.[162] Tuttavia opere cinematografiche ed opere letterarie hanno continuato a perpetrare l'immagine di una donna oscena e lasciva.

La leggenda della regina Margot[modifica | modifica wikitesto]

La maggior parte di questi errori provengono da falsificazioni della vita della regina durante il XVII e XVIII secolo. Nonostante la loro stravaganza, queste notizie sono state più volte riproposte nel tempo da molti autori che, per mancanza di rigore, non hanno controllato la fonte originale. Il contemporaneo della regina, l'austero Théodore Agrippa d'Aubigné è in gran parte responsabile della maggior parte delle calunnie sul conto della regina.

  • La ninfomania di Margherita: l'origine di questa leggenda proviene da un pamphlet protestante scritto contro Enrico IV, il Divorce Satyrique (1607). Risulta uno degli elementi della leggenda più diffusi.[222] La sua permanenza a Usson viene spesso presentata come un periodo di decadenza dove la regina occupa il suo tempo a copulare con prestanti giovani contadini del luogo.[224] Invece, la regina era una sostenitrice dell'amor cortese e del neoplatonismo. Nell'aristocrazia francese, era consuetudine per una donna sposata essere "servita", in accordo con il marito, da diversi giovani "galanti". Quanto ai rapporti extraconiugali di Margherita, le lettere indirizzate a Champvallon, il suo più famoso amante, conservate fino ad oggi, mostrano come viveva la passione che provava per lui secondo la teoria neoplatonica. In seguito anche un suo ex servitore, passato al servizio del cardinale Richelieu, scriverà di aver conosciuto i figli illegittimi che la regina avrebbe avuto da Champvallon e d'Aubiac: tutto per rafforzare le motivazioni che avrebbero portato all'annullamento delle nozze e quindi all'ascesa dei Borbone sul trono di Francia.[225]
  • I rapporti incestuosi con i fratelli: la calunnia si è presentata la prima volta nel pamphlet protestante scritto contro la famiglia Valois intitolato Le réveil-matin des Français (1574), in cui si dice che avesse perso la verginità con suo fratello Enrico, di cui sarebbe rimasta incinta durante il grande viaggio attraverso la Francia, nei primi anni di regno di Carlo IX.[226]
  • La coercizione al momento del "sì" nuziale: il giorno del matrimonio, il re Carlo IX le avrebbe spinto la testa in modo da farle dare il consenso al matrimonio durante la cerimonia nuziale sul sagrato di Notre Dame. Il fatto è assente nelle Memorie della regina ed è stato raccontato la prima volta ne l'Histoire de France (1646) scritta dallo storico di regime Mézeray.[227]
  • Avrebbe preso con sé la testa decapitata di La Môle: la notizia proviene dal Divorce Satyrique (1607).[228] Il fatto venne reso popolare in epoca romantica da Stendhal nel suo romanzo Il rosso e il nero.
  • Avrebbe fatto uccidere Du Guast, mignon del re: l'accusa proviene dal Historiarum sui temporis di Jacques-Auguste de Thou (tradotto in francese nel 1659), noto per il suo pregiudizio contro i Valois. Secondo Thou, la regina avrebbe convinto il barone di Vitteaux (indicato all'epoca come l'assassino del favorito) ad uccidere Du Guast, anche se all'epoca nessuno la incolpò, e molti pensarono ad un regolamento di conti.[229] Nel XIX secolo l'accusa sarà ripresa da Jules Michelet nella sua Histoire de France, che tuttavia cambierà metodo di convincimento, ritraendo la regina mentre ricompensa l'assassino con un amplesso nella chiesa di Saint Augustin.[230]
  • I suoi intrighi amorosi scatenarono la settima guerra di religione: l'origine della calunnia è da attribuirsi alla Histoire universelle di d'Aubigné (1617) e alle Memorie del duca di Sully, che cercarono di nascondere le proprie responsabilità e quelle dei protestanti nella ripresa del conflitto.[231] Questa leggenda è stata allegramente ripresa in epoca romantica, tanto che il conflitto fu chiamato la «guerra degli amanti».

Complotto[modifica | modifica wikitesto]

Francesco d'Alençon ed Enrico di Navarra. I giovani principi del sangue di diciannove e vent'anni si misero a capo di una cospirazione che avrebbe dovuto portare ad un colpo di stato e usurpare il trono.

La congiura dei Malcontenti fu un tentativo di colpo di stato nel periodo delle guerre di religione francesi, effettuato a due riprese, tra la fine di febbraio e l'inizio dell'aprile 1574, da un gruppo di nobili cattolici e calvinisti appartenenti al partito politico dei «Malcontenti», che erano contrari alla politica autoritaria di Carlo IX.

L'obiettivo dei Malcontent era estromettere dal potere Caterina de' Medici e gli stranieri che avevano il predominio negli incarichi di corte, ritenuti responsabili del declino finanziario in cui versava il regno di Francia e di aver fomentato volontariamente le guerre civili per mantenere lo status quo. Rovesciato il governo, il duca Francesco d'Alençon, principe di vedute religiose concilianti, sarebbe stato proclamato re di Francia al posto del fratello maggiore Enrico d'Angiò, vero erede al trono, ma nel frattempo divenuto sovrano della confederazione polacco-lituana. La congiura fallì e venne duramente repressa da Carlo IX e dalla regina madre.

La cospirazione fu una continuazione delle rivolte scaturite in seguito al massacro di san Bartolomeo e segnò l'inizio della quinta guerra di religione (1574-1576).

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Antefatto[modifica | modifica wikitesto]

Le conseguenze della «notte di san Bartolomeo»[modifica | modifica wikitesto]

Il lit de justice del 26 agosto 1572, presieduto da Carlo IX, assieme al duca d'Angiò e il duca d'Alençon, che ebbe una notevole risonanza socio-politica per i fatti successivi. Affresco di Giorgio Vasari nella Sala Regia del palazzo apostolico, ordinatogli da Papa Gregorio XIII.
Il maresciallo François de Montmorency, capo della famiglia Montemorency e imparentato con la famiglia reale grazie alla moglie Diana, figlia illegittima di re Enrico II.

Il 18 agosto 1572, sul sagrato di Notre-Dame de Paris, il re ugonotto Enrico di Navarra sposò la principessa cattolica Margherita di Valois, sorella di Carlo IX, come simbolico inizio di una nuova epoca di pace, dopo dieci anni di guerre religiose. Il 22 agosto, il colpo di archibugio che ferì l'ammiraglio di Coligny, principale esponente del partito calvinista, dette origine ad un climax di tensione che scaturì nella «notte di san Bartolomeo» (23-24 agosto 1572), massacro in cui perirono sia i capi del partito calvinista, ma anche moltissimi innocenti.[232]

Il 26 agosto Carlo IX si recò con la famiglia reale nel Parlamento di Parigi e si intestò la decisione della carneficina: «Tutto ciò che è accaduto a Parigi è stato fatto non solo col mio consenso, ma per mio ordine e di mia spontanea volontà. Pertando desidero che tutte le lodi o tutta l'onta ricadano su di me solo!»[233] Affermò di aver agito per sventare un colpo di stato ordito dai calvinisti contro la monarchia e che la sua azione dovesse essere intesa solo in termini politici e non religiosi, dato che intendeva mantenere e rispettare la pace di Saint-Germain.[234]

L'opinione pubblica però non credette a queste rassicurazioni: la strage provocò infatti un enorme sconcerto, con notevoli conseguenze sul piano politico e sociale. Era la prima volta infatti che un sovrano, ritenuto dal popolo un padre buono e giusto, enunciava pubblicamente la propria responsabilità per un massacro generalizzato, che aveva fatto numerose vittime anche tra i suoi sudditi inermi.[235]

Il partito calvinista si trovò di fatto decapitato, dato che i suoi esponenti più giovani (il re di Navarra e il principe di Condé) pur essendosi salvati erano stati costretti all'abiura.[236] Privi di un appoggio militare, molti calvinisti fuggirono in Svizzera, Germania e Inghilterra[237], altri abiurarono vedendo nella strage un segno di disapprovazione di Dio. Altri ancora, soprattutto nel Midi e nell'ovest[235], rigettando l'idea del castigo divino e intrapresero la strada dell'opposizione attraverso l'uso delle armi e della propaganda.[238]

Se fino a quel momento le guerre civili erano state indirizzate contro i consiglieri del re e non contro il sovrano, di cui i ribelli si definivano da prassi fedeli sudditi, con l'assunzione di responsabilità della strage, Carlo IX non fu più ritenuto degno di rispetto.[239] Iniziò così una feroce campagna di delegittimazione monarchica attraverso libelli fatti circolare in tutta Europa. I bersagli principali furono Carlo IX, definito un «parricida delle leggi» dal fervente ugonotto Agrippa d'Aubigné[237], e Caterina de' Medici, subissata di offese xenofobe e misogine.[N 16]

Il massacro non allarmò solo i calvinisti, ma anche la maggioranza cattolica della popolazione. Iniziò una discussione su quali limiti dovesse avere il potere monarchico e se questi atti di giustizia straordinari fossero giusti. L'ambasciatore veneziano Giovanni Michiel riportò:

«Conciossiachè dispiaccia oltremodo tanto a' cattolici quanto agli ugonotti, non dicono tanto il fatto, quanto il modo e la maniera del fare; parendo loro di stranio che uno la sera si trovi vivo e la mattina morto; e chiamano questa via e modo di procedere con assoluta potestà, senza via di giudizio, via di tirannide.[240]»

Sulla stessa scia vennero pubblicati una serie di opuscoli, come il Franco-Gallia del 1573, del giureconsulto calvinista François Hotman che, basandosi sulle antiche leggi del regno, affermava la superiorità governativa degli Stati generali rispetto al sovrano. Era inoltre enunciato il principio dei «due corpi del re», l'uomo e dalla regalità perpetua: se la parte umana prevaleva, divenendo un tiranno, il re commetteva da solo il delitto di lesa maestà.[N 17] Nel 1579 fu pubblicato l'anonimo Vindiciae contra tyrannos, che con termini fondamentalisti avvallava la possibilità regicidio, tema centrale per il movimento estremista dei monarcomachi.[241]

La nascita dei «Malcontenti»[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1573, la città portuale di La Rochelle, a maggioranza protestante, rifiutò di far accedere Armand de Gontaut-Biron, il governatore incaricato da Carlo IX.[242] Da ciò scaturì un contenzioso, che sfociò nella quarta guerra civile. Sotto il comandato del luogotenente generale del regno, l'erede al trono Enrico d'Angiò, l'esercito regio marciò su La Rochelle e la prese d'assedio. L'armata era formato da numerosi membri dell'alta aristocrazia francese, in particolare il duca Francesco d'Alençon, alla prima esperienza di guerra, il re di Navarra e il principe di Condé, che dovevano dimostrare la loro nuova lealtà alla causa cattolica.[243]

Durante l'assedio molti dei nobili iniziarono a mettere in discussione la deriva assolutista della monarchia francese. La morte di numerosi nobili cattolici e calvinisti durante la notte di san Bartolomeo e l'assedio in atto (vi morirono 66 su 150 nobili per le battaglie o febbri malariche, mentre altri 47 rimasero feriti) fece aumentare i sospetti che la Corona volesse deliberatamente indebolire il ceto nobiliare.[244] La colpa ricadde in particolar modo sulla regina madre e i suoi consiglieri italiani o in generale su tutti stranieri che avevano fatto carriera a corte, scavalcando in potere e importanza la vecchia classe aristocratica, che avevano reso dispotica l'antica monarchia capetingia.[245]

Si venne così a creare un eterogeneo gruppo di nobili, denominato poi «Malcontenti», formato da moderati di ambo le fedi, contrari alle scelte politiche assolutiste di Carlo IX e del duca d'Angiò, esponente di spicco del partito cattolico in Consiglio reale.[246] Questa sorta di nuovo movimento politico si raggruppò attorno al giovanissimo Francesco d'Alençon, che era risaputo avere idee più concilianti verso i riformati[247] e in pessimi rapporti con i fratelli maggiori (che lo avevano escluso da ogni decisione politica)[248], e ad Enrico di Navarra, che insieme al cugino Enrico di Condé, intendeva recuperare la propria libertà personale.[249]

Enrico d'Angiò detto Monsieur, ritratto da François Clouet (1570 circa). Figlio prediletto della regina madre che lo chiamava chers yeux[250], fu da lei nominato luogotenente generale del regno[251]. Fu figura di spicco per la fazione cattolica nel Consiglio reale.

Inizialmente i Malcontenti non portarono avanti una linea politica coerente, a causa delle numerose diffidenze interne: ad esempio il re di Navarra nutriva una segreta rivalità verso Francesco e non si fidava degli uomini di quest'ultimo, in particolare del suo favorito Joseph Boniface de La Môle, che sospettava di doppiogiochismo.[249] Nonostante ciò, si diffusero voci discordanti e impossibili da verificare[252] sui loro possibili piani: dalla loro connivenza con i calvinisti di La Rochelle, all'intenzione di unirsi alla flotta inglese guidata dal conte di Montgomery in aiuto agli assediati, ad un ammutinamento dentro l'accampamento reale, fino ad un possibile assassinio di Monsieur.[253] Lo stesso Carlo IX scrisse al duca d'Angiò di tenere sotto stretta sorveglianza il fratello e il cognato.[254]

A causa del disastroso assedio, le tensioni le truppe della Corona si acuirono, in particolare fra il duca d'Angiò e il duca d'Alençon.[255] Il 29 maggio 1573 giunse la notizia che Monsieur era stato eletto re di Polonia: ciò gli fornì l'onorevole scusa per concludere al più presto questo assedio disastroso[256] e di intraprendere le trattative di pace, che si conclusero con l'editto di Boulogne (11 luglio 1573).[257]

In realtà il duca d'Angiò accolse con malumore questa elezione che lo costringeva a recarsi a Cracovia, impaurito che Francesco potesse usurpargli il trono in caso di morte del re, ormai minato irrimediabilmente dalla tubercolosi. Così il 22 agosto, con una solenne cerimonia, Monsieur si fece riconoscere da Carlo IX i suoi diritti ereditari sulla Corona «nonostante fosse assente e abitasse lontano da questo regno». Per l'ambasciatore toscano Petrucci, il piano del duca era impedire al fratello minore di ottenere la sua «medesima grandezza in Francia» a causa «[dell']odio particulare che s’è accresciuto fra loro alla Rochelle».[258]

Dopo i festeggiamenti parigini con gli ambasciatori polacchi, Carlo IX e la corte accompagnarono Monsieur verso la frontiera franco-lorenese. Il 29 ottobre, a Vitry-le-François, il re si ammalò gravemente. Sia il re di Navarra che il duca d'Alençon ricevettero delle voci secondo cui i Guisa avrebbero tentato di avvelenare Carlo IX, per poi procedere con loro, con l'obiettivo di far salire al trono il duca d'Angiò: Enrico di Navarra accolse con scetticismo il pettegolezzo. [259] Il 12 novembre, i fratelli Valois si salutarono tra le lacrime, dopodiché Monsieur lasciò il regno di Francia in direzione di Cracovia, passando per Nancy, capitale del ducato di sua sorella Claudia di Valois.[260]

Margherita di Valois, regina di Navarra, ritratta forse da François Clouet (1574 circa). Esercitò una grande influenza sul fratello minore Francesco.[261] Il loro sodalizio politico causò enormi problemi alla Corona.[262]

L'«impresa di Soisson» e il coinvolgimento della regina di Navarra[modifica | modifica wikitesto]

Ritornando verso l'Ile-de-France, Carlo IX e la sua corte accolsero la visita di Luigi di Nassau e Cristoforo del Palatinato, giunti a chiedere un sostegno finanziario per i fiamminghi in rivolta contro Filippo II di Spagna. Durante quegli incontri, Nassau riferì al suo fratello Guglielmo d'Orange, che il duca d'Alençon si era particolarmente esposto, dicendogli che avrebbe fatto il possibile per aiutarli.[263]

Il duca d'Alençon e il re di Navarra organizzarono una fuga tra Soisson e Compiègne. Informata di questo piano da Henri di Miossans, che aveva salvato durante la notte di san Bartolomeo, Margherita di Valois denunciò il loro piano alla regina madre e a Carlo IX.

Svolgimento[modifica | modifica wikitesto]

Il «complotto del martedì grasso»[modifica | modifica wikitesto]

Tra il 27 e il 28 febbraio a corte scoppiò il panico quando giunse la notizia che un esercito stava marciando verso il castello di Saint-Germain-en-Laye. A guidarlo era Chaumont-Guitry, uomo alle dipendenze del re di Navarra. Purtroppo giunse in anticipo, poiché la data prefissata per la fuga era il 10 marzo. A quel punto, vista la situazione senza scampo, la regina di Navarra avrebbe spronato il suo amante Joseph Boniface de La Môle, suo presunto amante e favorito del duca d'Alençon[264], a rivelare il complotto al re e alla regina madre.

Chiamato dal fratello per un chiarimento, Francesco confessò di aver voluto fuggire nelle Fiandre perché a corte non era tenuto nella considerazione che gli era dovuta per nascita. Minacciato di morte dalla madre, Francesco colto dal panico, chiese perdono piangendo in ginocchio.[265] Anche Enrico di Navarra confessò di aver voluto fuggire per non sottostare alle ingiurie dei Guisa, da cui era tormentato dalla notte di san Bartolomeo. Anche lui fu perdonato per intercessione della moglie.

Quella «congiura del martedì grasso», divenuta famosa anche come il «terrore di Saint-Germain», costrinse la famiglia reale e l'intera corte ad una fuga precipitosa verso Parigi. Francesco e il re di Navarra viaggiarono nella carrozza della regina madre, sorvegliati di persona da lei.[266]

La «cospirazione di Vincennes»[modifica | modifica wikitesto]

La famiglia reale cercò di ricucire i rapporti con i Montmorency, richiamando a corte il maresciallo François. Nonostante fossero di fatto prigionieri a corte, nel castello di Vincennes, Francesco e Enrico di Navarra organizzarono una nuova congiura per fuggire da attuare l'11 aprile.

In questo frangente ebbe risalto l'opera di intrighi portata avanti dalla dame di corte e che facevano capo a Margherita di Valois.

Informata per tempo da una spia, Caterina stroncò con forza la «cospirazione di Vincennes», facendo incarcerare una cinquantina di persone, tra cui La Môle, il suo compare Annibal de Coconas, François di Montmorency, il maresciallo di Cossé e l'astrologo Cosimo Ruggieri.[267] Su ordine del re e della regina madre, Francesco e Enrico furono costretti a firmare un dichiarazione con cui si dissociavano dai nuovi disordini[268], nonostante il cancelliere Birago avesse ipotizzato di farli giustiziare per alto tradimento.

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

I processi dei principi[modifica | modifica wikitesto]

Caterina de' Medici, la regina madre. Ritratto della scuola di François Clouet.

Il processo e la condanna dei congiurati[modifica | modifica wikitesto]

Testimoniò il nunzio Anton Maria Salviati: «Con la regina di Navarra è in questi affari madama di Nivers che fu sempre sua, et mal volentieri sopporta il conte di Cocona esser prigione, et in pericolo di vita. A le medesime adherisce la marescial di Retz et madama di San Piero sua madre, che sono donne terribilissime, quali havendo cominciato a dubitare dela vita del Re con conoscere che venendo il caso Mons. il Duca tentarà di voler succedere, vogliono veder di assicurarsi et guadagnarselo, non del tutto ricordevoli deli oblighi che hanno a la Regente et al Re».[269]

Scoperta la nuova congiura, Caterina fece arrestare cinquanta cospiratori, tra cui la Mole e Coconas, che vennero torturati per ottenere informazioni. La Mole non parlò, mentre Coconas rivelò che il ducad'Alençon avrebbe dovuto incontrare il principe di Condé e Thore a La Ferté, prima di unirsi a Luigi di Nassau e al principe Cristoforo del Palatinato, morti entrambi nella battaglia di Mookerheyde (14 aprile 1574).

Il 30 aprile La Mole e Coconas furono giudicati colpevoli di lesa maestà e giustiziati lo stesso giorno, decapitati in piazza di Grève, nonostante il duca d'Alençon e la regina di Navarra avessero tentato di salvarli.

Il 26 giugno Caterina fece decapitare il conte di Montgomery in piazza di Grève, con l'accusa di lesa maestà, avendo guidato la ribellione calvinista in Normandia.

Il nuovo sovrano e i Malcontenti[modifica | modifica wikitesto]

Carlo IX morì di tubercolosi il 30 maggio 1574 nel castello di Vincennes, lasciando la reggenza nelle mani della madre, in attesa del ritorno del fratello dalla Polonia. Prima di spirare fece giurare al fratello minore e al cognato di rispettare le proprie volontà.

Tornati al Louvre i primi di giugno, il duca d'Alençon e il re di Navarra scoprirono di essere agli arresti domiciliari: Caterina li fece tenere sotto stretta sorveglianza e mise delle inferiate alle loro finestre. L'ambasciatore inglese riportò le lacrime di umiliazione del Navarra.[270] Durante l'estate il duca d'Alençon e il re di Navarra cercarono in più occasioni di fuggire nuovamente dal Louvre, ma ogni loro tentativo fu scoperto e le misure di contenzione inasprite.[271] L'8 agosto la corte lasciò Parigi in direzione di Lione, dove sarebbe giunto il nuovo sovrano. Caterina obbligò il figlio e il genero a viaggiare nella sua stessa carrozza.

Enrico III arrivò in Francia il 3 settembre a Le Pont-de-Beauvoisin, dove fu accolto dal duca d'Alençon e dal re di Navarra. Francesco si sarebbe gettato in ginocchio, chiedendogli perdono del tradimento, che il re avrebbe perdonato ad entrambi: «Prego Iddio che vi perdoni come facciamo noi, se ben meritereste gran castigo, avendo cercato di levar di vita il re Carlo e me vostri fratelli, e insieme quella che vi ha generato, volendo commetter tanta empietà di dar la morte a quel corpo che ha data la vita a voi, come di nuovo ve la doniamo, avendovene essa madre fatta la grazia».[272]

Nonostante le buone dichiarazioni, nei mesi successivi i favoriti del re furono lasciati liberi di oltraggiare il duca d'Alençon e la regina di Navarra.[273] Si formarono due contrapposte fazioni a corte: quella di Enrico III, capeggiata da Louis de Béranger du Guast e quella del duca Francesco, nuovo erede al trono, il cui personaggio di spicco era Bussy d'Amboise, che sarebbe diventato molto probabilmente l'amante di Margherita di Valois. --- Nella primavera 1575 si concretizzò una rottura nell'alleanza politica tra il re di Navarra e il duca d'Alençon, che avevano cominciato ad allontanarsi fin dal ritorno in Francia di Enrico III. I due giovani principi si contendevano il ruolo di capo dei Malcontenti, la luogotenenza del regno e l'amore di Charlotte de Sauve, dama di compagnia della regina madre, e amante di entrambi. Separatosi politicamente dal duca Francesco, Enrico di Navarra solidarizzò con il re di Francia e il duca di Guisa.

I Malcontenti si riunirono dunque attorno all'erede al trono, Francesco, che grazie a sua sorella Margherita, testa pensante del partito, nel settembre 1575 riuscì a scappare da Parigi dopo numerosi tentativi.[274]

Giovanna I di Napoli[modifica | modifica wikitesto]

Giovanna I
Giovanna I d'Angiò
Affresco di Niccolò di Tommaso nella certosa di San Giacomo (1360 circa)
Regina di Napoli
Stemma
Stemma
In carica16 gennaio 1343 –
1381
Incoronazione28 agosto 1344
27 maggio 1357(con Luigi I)
PredecessoreRoberto d'Angiò
SuccessoreCarlo III d'Angiò-Durazzo
Contessa di Provenza e di Forcalquier
In carica1343 - 1381
PredecessoreRoberto d'Angiò
SuccessoreLuigi I d'Angiò
Principessa d'Acaia
In carica1373 - 1381
PredecessoreFilippo II d'Angiò
SuccessoreGiacomo del Balzo
Altri titoliRegina titolare di Gerusalemme e di Sicilia
NascitaNapoli, 1326 circa
MorteMuro Lucano, 27 luglio 1382
DinastiaAngioini
PadreCarlo di Calabria
MadreMaria di Valois
ConsortiAndrea d'Angiò
Luigi I di Napoli
Giacomo IV di Maiorca
Ottone di Brunswick-Grubenhagen
FigliCarlo Martello
Caterina
Francesca
ReligioneCattolicesimo

Giovanna I d'Angiò (Napoli, 1326 circa – Muro Lucano, 27 luglio 1382) fu regina regnante di Napoli, regina titolare di Sicilia[N 18] e di Gerusalemme e contessa di Provenza e di Forcalquier dal 1343 al 1381, anno della sua deposizione.

Rimasta l'unica discendente diretta di suo nonno Roberto d'Angiò, con un atto anticonvenzionale, venne da lui nominata sua erede legittima a fronte di numerosi altri parenti maschili. Per far fronte alle pretese sul trono del Regno di Napoli vantate dal ramo ungherese degli angioini, Giovanna venne fatta sposare giovanissima al lontano cugino Andrea d'Ungheria, riunificando la dinastia. Alla morte del nonno, nel 1343, Giovanna divenne di fatto una delle prime regine regnanti d'Europa.[275]

I primi anni di regno furono caratterizzati da una serie di intrighi orditi dai suoi famigliari, che tentarono di avvicinarsi al potere: tra di loro vi era pure il marito Andrea, che non le riconosceva il diritto di governare autonomamente. I tentativi di Papa Clemente VI di placare la situazione non sortirono gli effetti sperati e, nel 1345, Andrea fu ucciso in una congiura di cui Giovanna fu accusata di essere l'istigatrice. I famigliari della regina sfruttarono l'occasione per far giustiziare alcuni suoi fedeli sospettati di omicidio.

Con il pretesto di vendicare la morte del fratello minore e appropriarsi della Corona, Luigi I d'Ungheria invase il Regno di Napoli. Nel frattempo risposatasi con il cugino Luigi di Taranto, Giovanna riparò ad Avignone presso Clemente VI, dove affrontò un processo per omicidio dal quale venne assolta. Entrati nelle grazie del pontefice, Giovanna e Luigi intrapresero la riconquista del Regno, già flagellato come il resto d'Europa dalla peste nera, che si concluse vittoriosamente nel 1350.

I dissidi coniugali instauratisi nel mentre, si conclusero con una presa di potere da parte di Luigi e del siniscalco Niccolò Acciaiuoli, che obbligarono Giovanna ad acconsentire all'incoronazione del marito ed a cedergli di fatto il governo (1352). L'allontanamento dalla vita pubblica durò fino alla morte di Luigi (1362), ma l'inettitudine di quest'ultimo nel far fronte alla nuova politica di grandezza a cui Acciaiuoli ambiva per il Regno, servì a Giovanna per conquistare ancor di più il favore dell'opinione pubblica.[276]

Dal 1362, supportata prima da Acciaiuoli e poi Niccolò Spinelli, la sovrana iniziò il suo governo indipendente, dal quale escluse categoricamente i suoi ultimi due mariti: Giacomo IV di Maiorca e Ottone di Brunswick-Grubenhagen. In politica interna, Giovanna sostenne le imprese locali, creò nuove industrie, ridusse il crimine e combatté le compagnie di ventura, promuovendo così un periodo di pace nel Regno, che venne favorito anche dalla scomparsa della maggior parte dei suoi turbolenti famigliari.

Sul piano internazionale, Giovanna si impose come referente principale per la Santa Sede nelle guerre del papato contro i Visconti e Firenze e promuovendo il ritorno del papato a Roma. Per queste buone relazioni Papa Urbano V la premiò con la Rosa d'oro nel 1368, mentre nel 1372, grazie a Papa Gregorio XI, Giovanna concluse la secolare contesa della Sicilia con gli aragonesi (iniziata con i Vespri siciliani), riconoscendo il regno di Trinacria come stato vassallo al Regno di Napoli (trattato di Avignone).

Con l'ascesa di Papa Urbano VI che le si rivelò ostile, la situazione politica di Giovanna entrò in crisi. Dopo vari ripensamenti, fu la prima sovrana a riconoscere l'Antipapa Clemente VII, dando inizio allo Scisma d'Occidente. Scomunicata dal papa avversario, Giovanna fronteggiò l'invasione del nipote Carlo di Durazzo, che Urbano VI aveva incoronato come nuovo re di Napoli. Infine arresasi al nipote, venne deposta e imprigionata in una magione a Muro Lucano, dove fu probabilmente fatta assassinare.

Divenuta presto oggetto di varie leggende, storiograficamente la figura di Giovanna ha avuto un processo ambivalente a causa della parte Lo storico William Monter ha affermato che il governo di Giovanna sia stato fondamentale per la storia della sovranità femminile.

Giovinezza (1326-1343)[modifica | modifica wikitesto]

Infanzia ed educazione[modifica | modifica wikitesto]

Non sono noti con esattezza la data e il luogo di nascita di Giovanna. È stato ipotizzato che possa essere nata nel dicembre 1325[277], come terzogenita o quartogenita di Carlo di Calabria, primogenito di Roberto d'Angiò re di Napoli, e di Maria di Valois, sorella di Filippo VI di Francia. Lo storico Donato Acciaiuoli avrebbe riferito che fosse nata a Firenze, forse durante il viaggio dei suoi genitori verso la città[278], di cui il padre era stato nominato «signore».[279] Nel giro di due anni sarebbe rimasta l'unica figlia della coppia.[N 19]

Miniatura raffigurante Sancha di Maiorca che accarezza le nipoti Giovanna e Maria, presentate a lei da Maria di Valois.[280]

La famiglia Angiò tornò a Napoli, data la discesa in Italia di Ludovico il Bavaro, con cui i regnanti di Napoli erano in guerra. Nel novembre 1328, suo padre Carlo morì inaspettatamente, lasciando la moglie incinta, che l'anno successivo dette alla luce un'altra figlia, battezzata Maria.[281] La madre di Giovanna morì nel 1332 durante un pellegrinaggio, lasciando orfane le due bambine.[282]

A quel punto furono le due donne più influenti della corte[N 20] a prendersi cura delle piccole orfane: Sancha di Maiorca, seconda moglie di re Roberto, e Filippa da Catania, nutrice delle bambine. La devozione di Sancha, a cui il papa aveva impedito di diventare una suora clarissa[283], e la sua protezione ai francescani spirituali furono un modello per Giovanna.[284] Filippa divenne invece una sorta di seconda madre per le bambine.[285]

Cresciuta nella colta e raffinata corte di suo nonno Roberto, apparentemente Giovanna non ricevette alcuna educazione formale[284] o, se la ebbe fu poco accurata, dato che i documenti angioini non riportano i nomi dei suoi istitutori.[286] Probabilmente studiò i libri presenti nella biblioteca reale, in cui erano presenti gli scritti di Tito Livio, Paolo da Perugia, San Gregorio e Marco Polo.[286] Sembra comunque che raggiunta l'età adulta sia stata capace di esprimersi in latino, come dimostrano sue lettere rimaste[N 21], in francese, in italiano e in provenzale.[287] Secondo il cronista Domenico da Gravina, Giovanna e Maria erano state «informate di ogni arte e virtù dal medesimo Signore Re Roberto e dalla Regina Sancia».[288]

Un'eredità contestata[modifica | modifica wikitesto]

In rosa sono indicate le terre governate dagli angioini intorno al 1360: il sud della penisola italiana, noto semplicemente come il «Regno» (vassallo della Santa Sede dal 1130), il regno d'Ungheria, che si estendeva nel nord della penisola balcanica, il ducato di Durazzo in Albania e il principato d'Acaia nel Peloponneso.
Carlo I re d'Ungheria uno dei tanti parenti che contestò a Giovanna il diritto di ereditare il «Regno».

Nonostante gli scrupoli iniziali[N 22], il 4 dicembre 1330, durante una cerimonia ufficiale a Castel Nuovo, re Roberto nominò sue eredi legittime le nipoti Giovanna e Maria.[289] La scelta del sovrano fece scaturire numerose rimostranze tra i parenti maschi più vicini della famiglia reale, che potevano aspirare all'ascesa al trono. Seppur fosse stato il capostipite della dinastia, Carlo I d'Angiò a farsi esplicitamente riconoscere dalla Santa Sede (di cui il «Regno» era stato vassallo[N 23]), l'eventualità di un'eredità per discendenza femminile, all'epoca di Giovanna vennero alla luce numerose indicazioni contraddittorie.

Ad esempio Carlo I aveva stabilito che un'eventuale «regina regnante» avrebbe dovuto sposarsi e governare assieme all marito[290], mentre Carlo II aveva sancito nel proprio testamento che le contee di Provenza, di Forcalquier e Piemonte potessero essere ereditate e governate solo da maschi.[291] Vi era inoltre il precedente di Filippo VI, zio materno di Giovanna, che era stato recentemente proclamato re di Francia attraverso un'arbitraria interpretazione della legge salica, in modo da escludere la discendenza per linea femminile dal trono.[N 24] Sfruttando ciò, Carlo I d'Ungheria, che nel 1296 era stato «diseredato» della Corona di Napoli a favore di suo zio Roberto[N 25], la reclamò nuovamente per sé.[292] Vi erano inoltre le ambizioni degli altri due fratelli minori di Roberto, il principe Filippo di Taranto, e il duca Giovanni di Durazzo e le loro rispettive famiglie.[293] Se il duca di Durazzo e la moglie Agnese di Périgord (sorella dell'influente cardinale di Talleyrand-Périgord) accettarono di riconoscerla come futura regina, sperando che uno dei loro figli potesse sposarla[N 26], il principe di Taranto con la moglie Caterina di Valois rifiutarono di riconoscere Giovanna come legittima erede, in particolare dei territori provenzali su cui camparono diritti.[277][294]

Accordi matrimoniali[modifica | modifica wikitesto]

Carlo I d'Ungheria presentò un accordo matrimoniale, chiedendo la mano di Giovanna per uno dei suoi figli.[N 27] Per anni papa Giovanni XXII aveva ignorato le richieste di re Carlo, ma il sostegno di Roberto ai francescani spirituali (che il Papa considerava eretici) e la sua negligenza nel pagare il tributo annuale alla Santa Sede diedero origine a tensioni tra Napoli e il Papato.[295] Il papa sostenne il progetto ed esortò Roberto ad accettare.[294] La vedova Caterina di Valois osteggiò gli accordi, rivolgendosi al fratellastro Filippo VI di Francia per bloccarli, proponendo i propri figli (Roberto e Luigi di Taranto) come possibili mariti per Giovanna e Maria.[294] Il pontefice fu risoluto e il 30 giugno 1331 emise una bolla in cui ordinava che Giovanna e la sorella dovessero sposare i figli del re d'Ungheria.[296] Durante i negoziati, Carlo I decise che sarebbe stato il suo secondogenito Andrea a sposare Giovanna.[N 28]

Nell'estate 1333, Carlo I d'Ungheria venne personalmente a Napoli per completare le trattative matrimoniali con lo zio.[297] Fu concluso che Andrea e Giovanna si sarebbero fidanzati, ma se lei fosse morta prematuramente Andrea avrebbe sposato Maria; in caso contrario, Giovanna avrebbe sposato uno dei fratelli del marito (Luigi o Stefano).[298] Il contratto di nozze venne firmato il 26 settembre 1333.[N 29][299]

Il giorno dopo re Roberto nominò i fidanzati duchi di Calabria e il principi di Salerno.[300] Il Papa concesse le dispense necessarie per le nozze nel novembre 1333.[298] Per la corte ungherese questo matrimonio significava l'adeguata riparazione all'ingiusta successione di Roberto sul trono di Napoli[301], tuttavia l'unione avrebbe comunque dato luogo a numerosi conflitti tra i membri della casata d'Angiò.[302]

Il lascito di re Roberto[modifica | modifica wikitesto]

Roberto d'Angiò re di Napoli, in una miniatura della Bibbia angioina.

Credendo improbabile che la Corona sarebbe passata effettivamente a Giovanna, vari autori coevi e successivi si convinsero che re Roberto avrebbe nominato Andrea come suo legittimo erede[N 30]. Altri indizi suggeriscono invece che fosse rimasto fermo nella sua decisione: ad esempio nella miniature della Bibbia angioina da lui commissionata, solo Giovanna è raffigurata con la corona in testa.[303]

Sul letto di morte, nel suo ultimo testamento, Roberto ribadì che Giovanna fosse la sua unica erede del regno di Napoli, delle contee di Provenza, Forcalquier e Piemonte, lasciandole in eredità anche la sua pretesa sulla Sicilia e il regno di Gerusalemme.[304] Se Giovanna fosse morta senza eredi, sarebbe stata Maria ad ereditare la Corona.[N 31] Andrea fu dunque escluso dall'amministrazione dello Stato, come pure la sua incoronazione.[304] Il testamento venne fatto riconoscere dalle maggiori autorità del regno.[304]

Ignorando la consuetudine che stabiliva la maggiore età di diciotto anni, Roberto dispose che la nipote potesse governare autonomamente solo al compimento dei venticinque anni.[305] Fino a quel momento, per affrancare il «Regno» dalle interferenze papali, il governo sarebbe stato affidato ad un Consiglio di reggenza guidato dalla regina Sancha e composto dai più fidati consiglieri di Roberto[306]: il vicecancelliere Filippo di Cabassoles, vescovo di Cavaillon, Filippo di Sangineto, Gran Siniscalco di Provenza e l'ammiraglio Goffredo Marzano.[305]

Il sovrano morente lasciava alla nipote un regno che aveva superato già da molto tempo il suo periodo più florido, durante il quale era stato la maggiore potenza politica e culturale della penisola. Negli ultimi anni di governo di Roberto, il Regno si era avviato ad una crisi interna della quale era possibile riconoscere i segnali: l'esaurimento delle finanze statali dovuti ai falliti tentativi di riconquistare la Sicilia, un generale declino dell'autorità regia, in particolare nelle zone periferiche, come la Puglia e la Basilicata, che aveva causato un rafforzamento del potere locale dei principali feudatari.[277]

Primi anni di regno (1343-1347)[modifica | modifica wikitesto]

Inizio delle faide famigliari[modifica | modifica wikitesto]

Ricostruzione di un affresco di Roberto Oderisi raffigurante la regina Giovanna I.[307] L'«ammirabile» bellezza della sovrana fu riconosciuta persino da Domenico da Gravina, uno dei suoi principali detrattori.[308] «Giovanna Regina/Grassa né magra, bella el viso tondo/Dotata bene de la virtù divina/D'animo grato, benigno e giocondo», secondo la Geneaologia rimata del XIV secolo[309], fu descritta da Giovanni Boccaccio come una ragazza elegante, gaia e dai modi cattivanti.[310] Giovanna amava la bella vita, assistendo a feste e tornei cavallereschi, facendo gite ed escursioni nella baia o nell'entroterra napoletano, come a Piedigrotta e a Castel dell'Ovo, e per questo fece riparare e ristrutturare numerose residenze regali, come quelle di Quisisana, Aversa e Castelnuovo.[311]

Il 16 gennaio 1343, la morte dell'anziano sovrano sancì l'inizio di una crisi politica del Regno, che finì in balìa delle varie fazioni di corte. L'istituzione del Consiglio di reggenza aveva inoltre scontentato numerose persone: prima fra tutti Giovanna, che si era vista porre sotto tutela per un lungo periodo, nonostante avesse superato i quattordici anni, età del discernimento, e fosse vicina alla maggiore età; lo stesso pontefice Clemente VI che si era visto privato del suo potere sul Regno vassallo e della sua prerogativa di protettore legale della giovane regina, tanto che raramente indirizzò lettere la Consiglio[305]; ma anche i Taranto, che ripresero a vantare diritti sulla Provenza.[312]

In questo frangente, grazie al sostegno del fratello cardinale, Agnese di Périgord riuscì ad ottenere la dispensa papale affiché suo figlio Carlo di Durazzo sposasse Maria, sorella minore di Giovanna. Inizialmente la regina sarebbe stata d'accordo, convinta anche da Sancia, molto affezionata ad Agnese e i suoi figli.[313] Il 26 marzo 1343, Carlo e Maria vennero ufficialmente fidanzati, ma Caterina di Taranto scrisse al fratello Filippo VI di Francia affinché ponesse il suo veto a queste nozze, che avrebbero fatto avvicinare la famiglia rivale al trono. Due giorni dopo il fidanzamento, Carlo rapì Maria facendo frettolosamente celebrare le nozze, che vennero subito consumate.[314]

Oltraggiate da questo comportamento scandaloso, Giovanna e Sancha chiesero a Clemente VI di annullare il matrimonio, mentre i Taranto occuparono vasti domini della famiglia Durazzo. Accusato dalla corte napoletana di aver agito avventatamente[315], il pontefice rifiutò di sciogliere le nozze cercando invece una mediazione tra le parti, che fu ottenuta il 14 luglio, alla quale la giovane sovrana dovette piegarsi in nome della ragion di stato.[316] Pur uscendo vincitori da questo intrigo, i Durazzo caddero in disgrazia, mentre i rapporti tra Giovanna e Maria (di fatto divenuta diretta rivale della sorella maggiore) si guastarono irreparabilmente. Si rivelò inoltre lo scarso acume politico di Sancha. Giovanna si avvicinò così altri nobili a lei più fedeli: Roberto de' Cabanni, figlio della sua balia Filippa, e Carlo d'Artois, suo zio illegittimo.[317]

Un'altra fazione della corte era quella degli ungheresi, che supportavano l'incoronazione di Andrea e la sua partecipazione effettiva al governo. Nonostante due giorni dopo la morte di re Roberto, Giovanna e Andrea si fossero uniti in matrimonio, consumando le nozze in conformità alle ultime volontà del defunto[318], l'incompatibilità caratteriale e la diversità di usi e costumi con cui il principe era stato allevato dalla cerchia ungherese, che gli aveva impedito di inserirsi tra i parenti napoletani[N 32], aveva portato i coniugi a condurre vite separate.[319]

Seppur inizialmente la stessa regina avesse richiesto l'incoronazione del marito, probabilmente per garantirsi l'appoggio ungherese per abbreviare il periodo della sua tutela, il pontefice aveva rifiutato.[305] Giovanna era però ben decisa a non condividere con Andrea il potere regale che aveva ereditato e, forte di ciò, come anche della generale immaturità del marito, gli proibiva l'accesso alla sua camera da letto senza il suo permesso e teneva sotto controllo le sue spese quotidiane.[319] Nel frattempo dall'Ungheria, Elisabetta di Polonia e suo figlio maggiore Luigi I d'Ungheria avevano esortato invano il pontefice a riconoscere i reclami ungheresi sul trono napoletano.[320]

Fu proprio per far valere la posizione politica del figlio, che Elisabetta giunse nel Regno nel luglio 1343, portando con sé 21.000 marchi d'oro e 27.000 marchi d'argento dal tesoro ungherese, con cui era pronta a comprare l'appoggio della Santa Sede e dei nobili napoletani alla causa di Andrea.[N 33] Sbarcata con il suo seguito a Manfredonia si incontrò con il figlio a Benevento. Giovanna la ricevette invece a Somma Vesuviana, indossando simbolicamente la sua corona.[321] Giovanna non si oppose all'incoronazione del marito, ma Elisabetta si rese presto conto che la nuora stesse applicando solo tattiche dilatorie, così, quando lasciò Napoli diretta in pellegrinaggio a Roma, inviò nuovamente degli ambasciatori ad Avignone per esortare Clemente VI ad approvare le richieste ungheresi.[322]

Sotto tutela papale[modifica | modifica wikitesto]

Affresco raffigurante Papa Clemente VI di Mario Giovanetti nella cappella di Saint-Martial (XIV°).

Constatata l'incapacità del Consiglio di reggenza di fronteggiare gli intrighi di corte, Clemente VI decise di prendere direttamente il controllo del regno, tramite un legato che governasse in sua vece. La notizia scatenò un'unaniminità di proteste alla corte napoletana: se le famiglie di Taranto e Durazzo vi si opposero perché impaurite dall'eventualità che il legato potesse impedire loro di ottenere nuovi benefici[323], Giovanna si ritenne umiliata nel vedersi esautorata del potere regio[324] e il 5 settembre, assieme al Consiglio, mandò un'ambasciata guidata da Ugo IV del Balzo, siniscalco di Provenza, per convincere il papa a desistere dai suoi intenti.[325]

Clemente VI le rispose a Giovanna che la sua decisione non contravveniva alle consuetudini da sempre intercorse tra il papato e il Regno come contestatogli e le fece sapere di ritenerla al momento inadeguata a reggere le sorti del Regno, a causa della sua giovane età.[N 34] A convincere il pontefice ci avrebbe pensato anche Petrarca, recatosi a Napoli nell'ottobre 1343, che nelle sue missive descrisse a tinte fosche le condizioni del Regno dopo la morte di re Roberto, riferendo come Giovanna non possedesse la stessa autorità regia del nonno[326]: «Vedo due agnelli [Giovanna e Andrea] affidati alle cure di una moltitudine di lupi, e vedo un regno senza re».[327]

Nonostante la grave crisi economica che aveva colpito il Regno nell'ottobre 1343 per il fallimento delle grandi compagnie fiorentine che commerciavano grano[328], su pressione papale[329] Giovanna fu costretta a concedere benefici e prebende ai Taranto, con conseguente danno delle casse dello Stato[329], per compensarli di quelle che aveva già elargito ai suoi favoriti come Roberto de Cabanni, nominato siniscalco della casa reale.[330] Nella cerchia ungherese vi era invece Fra Roberto da Mileto, francescano spirituale tutore di Andrea, che aveva esercitato grande influenza sul Consiglio, con grande sgomento del Petrarca.[327] Il 28 novembre 1343, con una bolla, Clemente VI destituì il Consiglio di reggenza e incaricò ufficialmente il cardinale Aymeric de Chalus di assumere il ruolo di legato pontificio.[331]

Le fazioni di corte si coalizzarono momentaneamente per impedire l'arrivo del legato pontificio. Il 1° dicembre, Giovanna richiese al Papa la nomina del marito a Re di Sicilia, seppur senza potere effettivo. La sovrana si riconciliò anche con la suocera, Elisabetta di Polonia tornata a Napoli. Tuttavia, preoccupata dalle voci di possibili attentati alla vita del figlio, la regina madre d'Ungheria decise di riportare Andrea in patria, ma fu dissuasa da un intervento congiunto di Giovanna, Agnese di Périgord e Caterina di Valois, le quali probabilmente temevano che Andrea potesse tornare a Napoli accompagnato dalle truppe ungheresi e conquistare la Corona con la forza. Nel frattempo, in Piemonte, il marchese Giovanni II di Monferrato e i Visconti di Milano approfittarono della posizione indebolita del Regno per conquistaeo Alessandria e Asti, continuando la loro campagna militare contro le altre città piemontesi appartenenti al dominio angiono: nel 1344 riuscirono a conquistare Tortona, Bra e Alba. [61]

I coniugi Giovanna d'Angiò e Andrea d'Ungheria raffigurati in una miniatura della Bibbia Angioina.

Joanna iniziò a distribuire grandi pacchi dei domini reali ai suoi più fidati sostenitori, tra cui Robert of Cabannis, che si diceva fosse il suo amante. [62] Le donazioni di Joanna hanno indignato il Papa che ha iniziato a suggerire che era pronto a rafforzare il ruolo di Andrea nell'amministrazione statale. [62] Il Papa ha anche ordinato a Aymeric de Chalus di trasferirsi a Napoli senza alcun ritardo. [54] Chalus raggiunse Napoli il 20 maggio 1344. [54] Giovanna voleva giurare fedeltà al Papa da sola in una cerimonia privata, ma il legato pontificio resistette alle sue richieste. [63] Joanna ha dovuto prestare giuramento di obbedienza insieme a suo marito in una cerimonia pubblica. [63] Joanna si ammalò e la sua malattia permise ad Andrea di ottenere la liberazione dei fratelli Pipini, ma il suo gesto indignò altri aristocratici napoletani. [64] Il 28 agosto, il legato pontificio riconobbe formalmente Giovanna come legittima erede di Napoli, ma ella dovette riconoscere al legato pontificio il diritto di amministrare il regno. [65] Chalus sciolse il consiglio della reggenza e nominò nuovi funzionari per governare le province. [65] Tuttavia, i funzionari reali ignorarono gli ordini del legato e Joanna si rifiutò di pagare il tributo annuale alla Santa Sede, dicendo che era stata privata del Regno. [65]

Il cardinale Talleyrand-Périgord e l'inviato di Joanna, Ludovico di Durazzo, esortarono papa Clemente VI a dimettere il suo legato, anch'egli disposto ad abdicare. [66] Dopo che il re Filippo VI intervenne contro il legato, il Papa decise di richiamarlo, dichiarando che la diciottenne Joanna era maturata sotto gli auspici del legato nel dicembre 1344. [66] [67] Nel febbraio 1345, il Papa emise una bolla che vietava ai consiglieri più fidati di Giovanna - Filippo di Catania e ai suoi parenti - di intervenire in politica, [68] ma sostituì anche Chalus con Guillaume Lamy, vescovo di Chartres. [69] Per placare il Papa, Giovanna decise di conciliare Andrea e la loro unione coniugale fu ristabilita. [70] In poco tempo rimase incinta. [70]

Assassinio a corte[modifica | modifica wikitesto]

Joanna aveva nel frattempo incaricato Reforce d'Agoult, Senechal di Provenza, di invadere il Piemonte. [61] I borghesi di Chieri e Giacomo di Savoia-Acaia si unirono all'esercito provenzale. [61] In primavera rioccuparono Alba, ma Giovanni II di Monferrato e i Visconti radunarono le loro truppe vicino a Chieri e sconfissero l'esercito di Agoult nella battaglia di Gamenario il 23 aprile. [61] Agoult morì combattendo sul campo di battaglia e Chieri si arrese ai vincitori. [61]

L'omicidio di Andrea d'Ungheria.

Il rapporto tra Giovanna e il Papa si fece teso, perché ricominciò ad alienare i possedimenti reali e ignorò le proposte del Papa. [67] Il 10 giugno, Clemente VI la esortò a smettere di ostacolare l'incoronazione di Andrea, ma era determinata a escludere suo marito dall'amministrazione statale. [67] Ha risposto che era nella posizione migliore per prendersi cura degli interessi del marito, il che implica che la sua "comprensione dei ruoli di genere all'interno del suo matrimonio" era atipica, secondo la storica Elizabeth Casteen. [69] Il 9 luglio, il Papa annunciò che l'avrebbe scomunicata se avesse continuato a regalare le proprietà reali. [69] La regina Sancia morì il 28 luglio. [69] In poco tempo, Joanna abbandonò suo marito. [69] A Napoli iniziarono a circolare voci su una storia d'amore tra Giovanna e Ludovico di Taranto, [69] ma la sua infedeltà non fu mai provata. [71] Papa Clemente VI decise di ottenere l'incoronazione di Andrea e incaricò il cardinale Chalus di eseguire la cerimonia. [72]

Udito del capovolgimento del Papa, un gruppo di nobili cospiratori decisi a prevenire l'incoronazione di Andrea. Durante una battuta di caccia ad Aversa nel 1345, Andrea lasciò la sua stanza in piena notte dal 18 al 19 settembre e fu assalito dai congiurati. Un servitore traditore sbarrò la porta dietro di sé; e con Joanna nella sua camera da letto, ne seguì una terribile lotta, Andrew che si difendeva furiosamente e gridava aiuto. Alla fine fu sopraffatto, strangolato con una corda e scagliato da una finestra con una corda legata ai genitali. Isolde, l'infermiera ungherese di Andrew, ha sentito le sue grida e con le sue stesse urla ha cacciato gli assassini. Portò il cadavere del principe nella chiesa dei monaci e vi rimase fino al mattino successivo in lutto. Quando arrivarono i cavalieri ungheresi lei raccontò loro tutto nella loro lingua madre in modo che nessun altro venisse a conoscenza della verità, e presto lasciarono Napoli, raccontando tutto al re ungherese. Le opinioni sono divise sul reale coinvolgimento della regina nell'assassinio. Per alcuni, è stata l'istigatrice dell'omicidio; per altri, come Émile-Guillaume Léonard, il coinvolgimento di Joanna non è stato dimostrato. [73]

Joanna informò il papato, così come altri stati in Europa dell'omicidio, esprimendo il suo disgusto in lettere, ma si pensava che la sua cerchia ristretta di amici fosse molto sospetta. Il 25 dicembre 1345 diede alla luce un figlio, Charles Martel, figlio postumo di Andrea. Il neonato fu proclamato Duca di Calabria e Principe di Salerno l'11 dicembre 1346 erede del Regno di Napoli.


Nella notte del 18 settembre 1345, il duca di Calabria fu assassinato nel castello angioino di Aversa, poi divenuto monastero dei Padri Celestini, l'attuale chiesa della Madonna di Casaluce, da un gruppo di congiurati. L'episodio scatenò violente reazioni da parte dei sostenitori di Andrea e gettò pesanti sospetti sulla regina stessa, che in molti indicavano come la vera artefice e mandante dell'omicidio del marito. Poco tempo dopo, Giovanna metteva al mondo Carlo, figlio del defunto Andrea. Dell'evento delittuoso si occupò anche la corte pontificia, visto che il Regno di Napoli rimaneva vassallo della Chiesa. Clemente VI pretese che si scovassero e punissero tutti i congiurati, cosa che la stessa Giovanna aveva già disposto, non si sa se per amore di giustizia o per allontanare da sé i sospetti. In ogni caso, i responsabili diretti della morte di Andrea d'Ungheria furono tutti giustiziati.

Il secondo matrimonio[modifica | modifica wikitesto]

Quando Joanna salì al trono, diversi signori del nord Italia videro questa come un'opportunità per espandere il loro territorio a sue spese. Nel 1344 Giovanni II, marchese di Monferrato, guidò gli attacchi che conquistarono le sue città di Alessandria, Asti, Tortona, Bra e Alba. Ha mandato il suo siniscalco, Reforce d'Agoult, a occuparsene. Il 23 aprile 1345 ingaggiò gli invasori nella battaglia di Gamenario, ma fu sconfitto e ucciso. [61]

Montferrat ha poi continuato a catturare Chieri, nelle terre di Giacomo di Piemonte, che aveva sostenuto Joanna. James chiese aiuto a suo cugino e signore, Amadeus VI, conte di Savoia nel 1347. Insieme, respinsero gli aggressori durante quel luglio. Giovanni ha poi aggiunto più forze alla sua alleanza, portando a Tommaso II, marchese di Saluzzo e Umberto II di Viennois. Insieme, hanno catturato quasi tutte le terre di Joanna nella regione. [74]

Quando ha reso pubblico il suo progetto di sposare uno dei suoi cugini tarantini e non il fratello minore di Andrew, Stephen, gli ungheresi l'hanno apertamente accusata dell'omicidio.

Giovanna e Luigi di Taranto raffigurati in un affresco della chiesa di Santa Maria Incoronata.

Luigi di Taranto era un guerriero esperto, che ha compreso la politica napoletana dalle esperienze di una vita, cresciuto alla corte di Caterina di Valois, zia di Giovanna. Dopo che Joanna ha dichiarato la sua intenzione di sposarlo, suo fratello Robert si è unito a suo cugino (e un tempo rivale) Carlo di Durazzo contro di loro. Alcuni dei cortigiani e dei servi di Giovanna furono torturati e successivamente giustiziati, inclusa la sua governante siciliana Philippa il Catano e la famiglia di quest'ultima. Louis riuscì a respingere le forze di suo fratello, ma proprio quando raggiunse Napoli, si seppe che gli ungheresi intendevano invadere. Joanna ha stretto un patto con il Regno di Sicilia, impedendo loro di invadere allo stesso tempo. Sposò Luigi il 22 agosto 1347[332], senza chiedere la necessaria dispensa papale, a causa della loro stretta parentela.

Anche la scelta di Giovanna di risposarsi venne criticata dai contemporanei. Era opinione comune, secondo i precetti di San Paolo che se una vedova si fosse risposata lo avrebbe fatto per una vergognosa sottomissione alla lussussuria.[333] Vi erano poi altre difficoltà: secondo l'opinione pubblica, Giovanna e Luigi sarebbero stati già amanti, facendo della regina un'adultera e rendendo complicato il riconoscimento legittimo del loro matrimonio, poiché un'adultera non avrebbe potuto sposare un suo amante, soprattutto se era la relazione era risaputa pubblicamente.[334] Giovanni Villani sottolineò lo scandalo di questo «iscellerato matrimonio», dato dal concubinaggio degli sposi, che si erano uniti senza la dispensa papale.

In previsione del suo matrimonio, Luigi fu nominato Protettore e Difensore del Regno (1 maggio 1347), insieme a Carlo di Durazzo. Un mese dopo (20 giugno), Louis fu nominato vicario generale del Regno. Il matrimonio fece crollare la popolarità della regina nel suo stesso regno. [75]

Conflitto magiaro-napoletano (1347-1352)[modifica | modifica wikitesto]

L'invasione ungherese[modifica | modifica wikitesto]

Luigi I d'Ungheria, ritenuto uno dei più grandi sovrani ungheresi.

Ma la reazione più catastrofica fu sicuramente quella di Luigi I d'Ungheria, fratello della vittima, che decise di infliggere una punizione esemplare alla cognata Giovanna. Mentre preparava un esercito per invadere il regno, nel maggio del 1346 Luigi inviò ad Avignone dei suoi legati per chiedere al pontefice di dichiarare deposta la regina. Il papato non si prestò a spalleggiare Luigi, il quale decise di proseguire a modo suo nell'intento.

Ma la vendetta di Luigi il Grande era pronta e per Napoli stava per scoccare un'ora buia. Il 3 novembre dello stesso anno il re d'Ungheria partì alla volta dell'Italia e dopo aver ottenuto l'appoggio politico e militare di molti principi italiani entrò a Benevento ai primi del 1348. Luigi di Taranto aveva radunato un esercito a Capua, nel tentativo d'impedire la presa di Napoli. Ma i baroni del regno, anziché difendere la legittima sovrana, si schierarono con l'invasore, acclamato ovunque come signore e trionfatore. Mentre il marito temporeggiava e il suo esercito difensivo continuava ad assottigliarsi per le numerose defezioni, Giovanna intuì che tutto era perduto e il 15 gennaio lasciò Napoli in nave diretta in Provenza. Si rifugiò ad Avignone, presso il papa, che le concesse il perdono e dove fu raggiunta, poche settimane dopo, da Luigi di Taranto, che aveva visto il suo esercito ridursi enormemente.

Luigi d'Ungheria prese Napoli con estrema facilità, ma la sua permanenza nei territori partenopei sarebbe durata molto poco. Anche sul regno di Napoli si abbatté infatti la piaga della peste nera e Luigi partì in fretta dalla capitale lasciando la reggenza nelle mani di due funzionari ungheresi.

La fuga in Provenza e la controffensiva della regina[modifica | modifica wikitesto]

La regina Giovanna ricevuta da Papa Clemente VI, dipinto da Emile Lagier (1887). Secondo una versione ripresa dai primi storici della sovrana, come Angelo di Costanzo, Honorè Bouche e Louis Maimbourg, Giovanna si sarebbe personalmente difesa con un'abile arringa davanti al concistoro riunito per giudicare la sua colpevolezza nell'omicidio del primo marito.[335] Nessuna fonte coeva riporta questo evento.[336]

Dopo una sosta al Fort de Brégançon, Giovanna giunse a Marsiglia il 20 gennaio 1348, dove ricevette una calorosa accoglienza.[337] La regina giurò di osservare i privilegi della città e ricevette il giuramento di fedeltà dei suoi abitanti. Firmò inoltre le lettere patenti che univano la città alta e bassa, assicurando l'unità amministrativa. Si recò poi ad Aix-en-Provence, dove la sua accoglienza fu molto diversa; i baroni provenzali le dimostrarono chiaramente la loro ostilità. Giovanna dovette giurare di non fare nulla contro la Provenza e di nominare solamente gente del posto nelle cariche della contea.[338]

Giovanna arrivò ad Avignone il 15 marzo, per un incontro personale con il Papa. Luigi di Taranto la raggiunse ad Aigues-Mortes e la coppia fu ricevuta da Clemente VI. La visita di Giovanna aveva un triplice scopo: ottenere una dispensa per il suo matrimonio con Luigi di Taranto, ricevere l'assoluzione o esonero dall'omicidio di Andrea e preparare la riconquista del suo Regno.

Il Papa concesse alla coppia la dispensa, nominò una commissione per indagare sulle accuse di coinvolgimento nell'omicidio di Andrea e acquistò la città di Avignone per 80.000 fiorini, che divenne di fatto separata dalla Provenza.[339][340] Alla fine, Giovanna fu prosciolta per il crimine dal Papa.[339] Durante il suo soggiorno ad Avignone, entro la fine di giugno, Giovanna dette alla luce il suo secondo figlio e primogenito dal suo matrimonio con Luigi di Taranto, una bambina di nome Caterina.

Avendo appreso che Luigi I d'Ungheria aveva abbandonato Napoli dopo lo scoppio della peste nera, Giovanna, con il marito e la figlia appena nata, lasciò Avignone il 21 luglio e rimase a Marsiglia dal 24 al 28 luglio, quindi si trasferì a Sanary-sur-Mer il 30 luglio, poi al Fort de Brégançon il 31 luglio, per poi arrivare infine a Napoli il 17 agosto 1348.[341] Un mese dopo il suo arrivo, il 20 settembre, Giovanna infranse le precedenti promesse rimuovendo Raimondo d'Agoult dall'incarico di siniscalco, nominando al suo posto il napoletano Giovanni Barrili. Il malcontento dei provenzali costrinse la regina a ripristinare d'Agoult al suo posto.[342]

La presa di potere di Luigi di Taranto[modifica | modifica wikitesto]

Nei mesi successivi il malcontento dei napoletani verso il governo straniero e la nostalgia per la regina esiliata crebbe fino a ricompattare i sentimenti filo-angioini del popolo e della nobiltà. Decisi a riconquistare il regno perduto, nell'agosto del 1348 Giovanna e Luigi reclutarono un esercito, tornarono a liberare Napoli e nominarono gran siniscalco del regno Niccolò Acciaiuoli. Ma la cacciata delle milizie straniere, alle quali si erano aggiunti anche molti mercenari, fu più difficile del previsto, soprattutto in Puglia. Gli scontri si protrassero per molti mesi, dando al re d'Ungheria il tempo di organizzare una seconda spedizione nel sud Italia. Raggiunta Manfredonia via mare ai primi del 1350, Luigi si portò in poco tempo in Campania. Ma stavolta, furono i suoi stessi soldati a reclamare la fine delle ostilità e il ritorno in patria, stanchi del lungo periodo di guerre che avevano dovuto combattere. Con la mediazione dei legati pontifici, il re d'Ungheria accettò la firma della tregua e riprese la via del ritorno, ottenendo comunque l'istituzione di un processo a carico di Giovanna per accertare le sue responsabilità nell'assassinio di Andrea. Il processo si svolse alla corte papale di Avignone, sulla quale l'influenza degli Angioini era enorme. Grazie anche alla cessione alla Chiesa del dominio della città di Avignone, la regina fu dichiarata innocente e le rivendicazioni di Luigi il Grande furono, al momento, archiviate.

«Il re Luigi ch'era in Gaeta sentì di presente questo fatto, e egli e la reina ne furono molto turbati».[343]

La risoluzione del conflitto[modifica | modifica wikitesto]

Giovanna I (1326-1382), regina di Napoli e contessa di Provenza

La sentenza del processo decretò anche l'attribuzione del titolo di re di Napoli al marito di Giovanna, il principe consorte Luigi. Rientrati nella capitale nel gennaio del 1352, Giovanna I d'Angiò e Luigi di Taranto furono solennemente incoronati sovrani di Napoli.

Emarginazione politica (1352-1362)[modifica | modifica wikitesto]

Discordie coniugali[modifica | modifica wikitesto]

Le ambizioni politiche di Niccolò Acciaiuoli[modifica | modifica wikitesto]

Le relazioni diplomatiche con la Santa Sede[modifica | modifica wikitesto]

La tentata riconquista della Sicilia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1360, a sostegno di un'insurrezione contro Federico IV, Luigi invase in armi la Sicilia nel tentativo di riportarla sotto l'egemonia angioina, ma l'iniziativa non ebbe successo. Luigi restò sul trono insieme alla moglie fino al 1362, anno della sua morte. Furono dieci anni di tranquillità e relativa pace, in quanto l'Acciaiuoli, fedele a Giovanna e forse anche amante, molto abile negli affari, seppe tenere a freno i baroni e seppe garantire l'indipendenza del regno.

La rivolta del duca di Durazzo[modifica | modifica wikitesto]

Governo autonomo della regina (1362-1378)[modifica | modifica wikitesto]

Le terze nozze[modifica | modifica wikitesto]

La regina Giovanna I in un ritratto di fantasia da Amedee Gras (1842).

Estromessa per un decennio dal governo del «Regno», Giovanna tenne nascosta la morte di Luigi per due giorni, in modo da potersi difendere da eventuali colpi di stato attuati dai suoi cugini Roberto e Filippo di Taranto.[344] Disposta una prima cerimonia funebre per il marito, Giovanna si barricò a Castel Nuovo, dove venne prontamente raggiunta da Niccolò Acciaiuoli.

Il 5 giugno 1562, alla presenza delle alte cariche dello stato, la regina dette ufficialmente inizio al proprio regno personale. Come esplicitò in una lettera ai marsigliesi, il suo programma di governo si sarebbe basato sull'attuazione di adeguate riforme giuridiche e amministrative, impegnandosi a pagare regolarmente il censo dovuto allo Chiesa, grazie anche all'aiuto di magnati, prelati e saggi del «Regno».[345]

Giovanna dovette rapportarsi nuovamente all'eventualità di doversi risposare per garantire una discendenza alla dinastia. Roberto e Filippo di Taranto fecero pressioni sulla regina affinché rinunziasse formalmente all'idea di prendere come marito il duca Luigi di Durazzo, in quel momento detenuto a Castel dell'Ovo.[345] Il duca sarebbe poi morto in carcere nel luglio 1362, forse avvelenato[346]: a quel punto Giovanna prese sotto la propria protezione il figlio Carlo, educandolo a corte e intestandogli le terre e i titoli paterni.[347]

Giovanna invece nel 1363 sposò il re titolare del Regno di Maiorca, Giacomo IV[348], (1335-1375), che come principe consorte del regno di Napoli divenne Duca di Calabria. Nel 1366, anche perché in assenza di figli, si separò dalla moglie (sebbene non abbia mai richiesto l'annullamento) e abbandonò la corte napoletana, con l'obiettivo di riconquistare il regno di Maiorca e le altre sue contee[349].

Testimone della presa di potere di Giovanna, l'arcivescovo di Napoli avrebbe scritto al pontefice: «La regina si diletta di governare. Vuole fare tutto da sola, avendo dovuto attendere troppo a lungo questo momento».[350]

Giacomo IV re titolare di Maiorca e duca di Calabria, terzo marito della regina Giovanna.

Nel 1363 Giovanna nominò Gran cancelliere il fedele Niccolò di Alife. Nel 1365, il 9 novembre, era morto l'Acciaiuoli.

Il 27 agosto 1372, Giovanna, con l'approvazione di papa Gregorio XI, raggiunse un accordo definitivo col re di Sicilia, Federico IV, in cui l'isola veniva giuridicamente riconosciuta come un regno separato, col nome di Regno di Trinacria, in cambio di un indennizzo di 15.000 fiorini annui che dovevano essere pagati a Giovanna ed ai suoi successori.

Nel 1373, alla morte del cugino, Filippo II di Taranto, senza eredi, divenne principessa di Acaia, titolo che, dal 1375, le fu contestato dal marito di Margherita, la sorella di Filippo II di Taranto, Giacomo Del Balzo, che le fece guerra in Acaia, riuscendo a conquistare parte dei feudi.

Giacomo, ancora sconfitto, nel 1374, si ritirò a Soria, in Castiglia, dove l'anno dopo morì.

Politica interna ed estera[modifica | modifica wikitesto]

Miniatura della regina Giovanna I da un manoscritto del De mulieribus claris di Giovanni Boccaccio (Parigi, Biblioteca nazionale della Francia).
Copia di una Rosa d'oro pontificale.

Apogeo del regno di Giovanna[modifica | modifica wikitesto]

Rapporti con Santa Brigida e Santa Caterina[modifica | modifica wikitesto]

Il quarto matrimonio[modifica | modifica wikitesto]

L'anno successivo, il 28 marzo 1376, Giovanna convolò a nozze, per la quarta volta, con Ottone IV di Brunswick. Anche Ottone, come prima Giacomo, non assunse mai il titolo regio, ma fu duca di Calabria.

Ultimi anni di regno (1378-1382)[modifica | modifica wikitesto]

Il «Grande Scisma»[modifica | modifica wikitesto]

Scontro con il duca di Durazzo[modifica | modifica wikitesto]

Rimasta senza eredi per la morte prematura dell'unico figlio Carlo, avuto dal primo marito Andrea, Giovanna designò suo erede il cugino e nipote Carlo di Durazzo. Ma i due, già da tempo divisi dalle sfacciate aspirazioni al potere di Carlo, si trovarono nuovamente contrapposti durante la grave crisi della Chiesa che va sotto il nome di Scisma d'occidente. Mentre la regina appoggiava l'antipapa avignonese Clemente VII, eletto nel Concilio di Fondi alla cui convocazione aveva contribuito il gran cancelliere Niccolò Spinelli, Carlo di Durazzo sosteneva papa Urbano VI, il napoletano Bartolomeo Prignano.

La fedeltà di Giovanna a Clemente VII era stata suggellata dal soggiorno di quest'ultimo alla corte di Napoli, in aperto contrasto con Urbano VI. Il quale non restò a guardare e decise di punire severamente la regina napoletana, che in quanto vassalla della Chiesa di Roma doveva obbedienza unicamente a lui.

Lo stesso argomento in dettaglio: Scisma d'Occidente.

Nell'aprile del 1380 il papa dichiarò Giovanna eretica e scismatica e la depose dal trono, mentre istigava contro di lei il suo principale nemico, Carlo di Durazzo. Per quest'ultimo l'occasione d'impadronirsi del regno era l'obiettivo di una vita e rispose prontamente alla chiamata di Urbano. La regina reagì revocando il diritto di successione accordato a Carlo e nominando suo erede Luigi I d'Angiò, fratello di Carlo V di Francia, chiamato a intervenire con le armi contro la minaccia del Durazzesco. Una mossa che finì col favorire Carlo, poiché Luigi, alla morte del re, suo fratello, fu costretto a restare in Francia per tenere la reggenza per il nipote Carlo VI, ancora minorenne. Col supporto del re d'Ungheria e ora anche di Polonia, Luigi I il Grande, Carlo di Durazzo, riconosciuto re di Napoli, il 1º giugno 1381, da Urbano VI, avanzò verso Napoli, dove Giovanna preparava una modesta difesa mettendo il marito Ottone a capo delle poche truppe che le rimanevano a disposizione.

Deposizione e morte di Giovanna[modifica | modifica wikitesto]

Carlo di Durazzo e il suo esercito entrano a Napoli.

Sconfitto, nello stesso mese di giugno, Ottone ad Anagni, il 26 luglio 1381 Carlo di Durazzo entrò nella capitale aggirando le difese che Ottone aveva stanziato ad Aversa e mise sotto assedio il Maschio Angioino, dove la regina si era rifugiata. A fine agosto Ottone tentò di liberare Napoli e la moglie dalla morsa dell'invasore, ma lo scontro (24 agosto 1381) fu per lui un'autentica disfatta. Ottone cadde prigioniero nelle mani del nuovo re di Napoli mentre Giovanna, che si era dovuta arrendere (26 agosto), nel dicembre del 1381 fu portata prigioniera presso il castello del Parco di Nocera Inferiore, dove rimase fino al 28 marzo del 1382[351][352], quando venne trasferita nella lontana fortezza di Muro Lucano. Per Carlo, che assumeva la corona di Napoli col nome di Carlo III, la conquista del regno non era ancora conclusa. L'erede designato di Giovanna e suo difensore, Luigi d'Angiò, rispondendo ai solleciti dell'antipapa Clemente VII, che lo incoronò re di Napoli ad Avignone, preparava una spedizione in Italia alla conquista del reame di Napoli. Carlo allora decise di affermare ad ogni costo l'indiscutibilità della sua ascesa al trono e per sgombrare il campo da qualsiasi rivendicazione ordinò l'assassinio della regina. Giovanna d'Angiò fu raggiunta dai sicari nel castello di Muro Lucano (anche questo episodio non è documentato) e il 12 maggio 1382 morì assassinata, vittima delle trame del cugino usurpatore.

La morte di Giovanna I di Napoli nel Castello di Muro in Basilicata dipinto da Achille Guerra (1865 circa).

Non si conosce il luogo di sepoltura della sovrana: le cronache indicano il sacrario della sagrestia di Santa Chiara a Napoli o la chiesa di San Francesco d'Assisi a Monte Sant'Angelo.[353][354] Qui Giovanna soggiornò nel castello e nella suddetta chiesa (da lei fatta costruire nel 1351) si può vedere una lastra tombale con effigie giacente della regina: il sarcofago, un tempo posizionato nella zona centrale del coro, poi fu sistemato nel 1676 a destra dell'ingresso principale, con un'iscrizione a ricordo dell'evento.[355] L'unico autentico coevo ritratto di Giovanna era visibile nel frammento dell'affresco realizzato dal pittore Roberto d'Oderisio nella chiesa napoletana di Santa Maria Incoronata.[356]

Luigi d'Angiò, ora conte di Provenza, che aveva l'appoggio dell'antipapa, del re di Francia e di Gian Galeazzo Visconti, nella primavera del 1382, approntò un corpo di spedizione, assieme al conte Amedeo VI di Savoia, per entrare in Italia e ristabilire l'ordine dinastico voluto dalla defunta regina. La spedizione si risolse con un nulla di fatto e lo scontro fra i rivali non si consumò mai: il 1º marzo 1383, colto da malattia, Amedeo VI moriva in Molise, mentre, il 22 settembre del 1384, Luigi d'Angiò, raggiunta la Puglia, morì improvvisamente, a Bari. Carlo III si consacrò legittimo re di Napoli, instaurando sul trono il ramo degli Angiò-Durazzo. I suoi due figli, Ladislao e Giovanna, gli sarebbero entrambi succeduti, protagonisti della definitiva caduta degli Angioini dal trono di Napoli e della conquista del regno da parte di Alfonso V d'Aragona.

Storiografia[modifica | modifica wikitesto]

Boccaccio legge il "Decamerone" alla regina Giovanna, dipinto di Gustaf Wappers, Bruxelles, Museo reale delle belle arti del Belgio (1849).

Una svalutazione proseguita anche nel profilo biografico redatto dallo storico per Treccani, nel quale Andreas Kiesewetter ritiene che Giovanna I d'Angiò «non [sia] certamente una delle più importanti figure di regnanti del Medio Evo».[277] La storica americana Elizabeth Casteen ha evidenziato che molti storici definiscano il regno di Giovanna come un fallimento, senza talvolta fornire spiegazione riguardo tale giudizio.[357] L'analisi delle fonti e delle citazioni riguardanti Giovanna evidenzia invece come la sua propaganda personale e le sue strategie politiche si siano rivelate un successo, riconosciuto all'epoca persino dai suoi avversari.[358] Lo storico inglese William Monter ha affermato come il governo di Giovanna sia stato fondamentale per la storia della sovranità femminile.[359]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Esplicative[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Nonostante il soprannome sia divenuto famoso grazie al romanzo di Alexandre Dumas, pare che solo Carlo chiamasse la sorella con quel diminutivo, derivato probabilmente dal nome del personaggio interpretato da Margherita in una pastorale di Ronsard, recitata dai Fils de France a Fontainebleau nel carnevale 1564. Cfr. Viennot, 1994, p. 22.
  2. ^ Gli ambasciatori erano convinti dell'ascendente esercitato da Margherita sul fratello minore. Cfr. Correspondance du nonce en France, Anselmo Dandino (1578-1581), p. 819, su books.google.it. e 182, su books.google.it. «Regnava in modo tanto assoluto sul suo spirito che un suo sguardo o una sua parola lo rendevano capace di qualsiasi cosa desiderasse da lui» avrebbe scritto di lei Martin Le Roy de Gomberville, il curatore della prima edizione dei cosiddetti Mémoires de Monsieur le duc de Nevers. Cfr. Les mémoires de Monsieur le duc de Nevers, prince de Mantoue, Vol. I, p. 70, su gallica.bnf.fr.; Dupleix e altri storiografi ufficiali sotto il periodo borbonico l'avrebbe invece rimproverata di aver spronato inopportunamente Francesco nelle sue iniziative contro la monarchia. Cfr. Dupleix, Histoire de Henri III, p. 46, su gallica.bnf.fr.; Cfr. Viennot, 1994, pp. 264-300.
  3. ^ Nel 1985, lo storico Jean-Marie Constat avrebbe affermato che la dama di compagnia fosse stata allontanata perché intratteneva una «relazione peccaminosa» con la padrona, poi ripresa anche in libri successivi. L'insinuazione di una relazione omosessuale tra le due ragazze si baserebbe sull'alterata interpretazione di un passo delle Memorie, in cui Margherita avrebbe definito quello tra lei e Thorigny come una «particulière amitié». Cfr. Viennot, 1994, p. 403; Bertière, 1996, pp. 340-341; Casanova, 2014, p. 107.
  4. ^ Nelle Memorie, Margherita avrebbe indicato il duca d'Alençon come il principale riconciliatore del proprio matrimonio, ma all'epoca dell'annullamento delle nozze, il marito avrebbe detto di aver dormito sette mesi con lei senza compiere il dovere coniugale. Cfr. Boucher, 1998, p. 159.
  5. ^ Se nelle Memorie avrebbe opportunamente celato ogni cosa, gli ambasciatori furono certi del suo coinvolgimento. Cfr. Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane. Tome 4, p. 44, su gallica.bnf.fr.
  6. ^ In seguito sarebbe divenuta famosa la ricostruzione dei fatti fornita dal magistrato Jacques-Auguste de Thou, nella sua Historia sui temporis (tradotto in francese nel 1659), secondo cui la stessa Margherita sarebbe stata la mandante di questo omicidio. Secondo Thou, noto per il suo pregiudizio contro i Valois, la regina di Navarra avrebbe convinto il barone di Vietteaux grazie alle sue ottime e famose capacità persuasive. Presto inserita nell'Indice dalla Chiesa, l'opera fu comunque utilizzata come fonte dalla storiografia borbonica a partire da Mézeray. In seguito la tesi fu resa famosa da Jules Michelet nella sua Histoire de France, in cui modificò il metodo di convincimento della regina, trasformandolo in un amplesso consumato nella chiesa dove aveva raggiunto l'assassino. La studiosa Éliane Viennot ha confutato la ricostruzione di Thou, sostenendo che la ricchezza di particolari fornita nel descrivere Margherita e Vitteaux non possa essergli stata riferita da alcuno, data la differenza di rango sociale tra lui e i diretti interessati. Inoltre all'epoca dell'omicidio il magistrato era di ritorno da un viaggio in Italia, mentre Margherita si trovava agli arresti domiciliari e ammalata. Senza considerare che la maggior parte delle fonti la ritenne estranea all'accaduto. Cfr. Viennot, 1994, pp. 257-258, p. 345. Solo l'ambasciatore toscano avrebbe citato un possibile coinvolgimento della regina di Navarra, ma avrebbe fatto i nomi di altri possibili mandanti: la duchessa di Nevers, il duca d'Alençon e la regina madre Caterina. Cfr. Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane. Tome 4, p. 50, su gallica.bnf.fr.
  7. ^ Con lettera patente, il 18 marzo 1578, Margherita ricevette da Enrico III i siniscalcati di Quercy e Agenais, i domini reali di Condomois, Alvernia e Rouergue, le signorie di Rieux, Alby e Verdun-sur-Garonne. Cfr. Williams, 1910, p. 246.
  8. ^ Scrisse l'ambasciatore veneziano Girolamo Lippomanno: «E si crede, anzi si disse per fermo, ch'ella, come bene informata degli accidenti e del stato de' Paesi Bassi, e delle pratiche fiamminghe (come quella che aveva negoziato col signor don Giovanni e con il conte di Lalain, e altri signori fiamminghi), persuadesse quella impresa alle loro maestà; le quali non trovando punto inclinate, infiammasse poi maggiormente Monsignor suo fratello ad abbracciarla, mossa, come alcuni dicevano, per far cosa grata al re di Navarra suo marito.» Cfr. Relations des ambassadeurs vénitiens sur les affaires de France au XVIe siècle. 2 / recueillies et trad. par M. N. Tommaseo p. 340., su gallica.bnf.fr.}
  9. ^ «Pareva tra tanto, che la regina madre avesse accommodato le cose verso la Guascogna, e quietati li strepiti, avendo, per maggior sicurtà, consignata la figliuola al re di Navarra suo marito. Il quale, con tutto che avesse fatto prima un poco di resistenza, dicendo che non la voleva ricevere se non si facevano le nozze al costume e usanza della religione riformata, si acquetò però in fine, e l’accettò con molto amore e onore, dormendo seco tre notte alla fila in Reola» scrisse l'ambasciatore veneziano. Cfr. Relations des ambassadeurs vénitiens sur les affaires de France au XVIe siècle. 2 / recueillies et trad. par M. N. Tommaseo pp. 392-394., su gallica.bnf.fr.
  10. ^ «Ragionasi che la prefata regina non sia per ire altrimenti dal marito; che odo, come su quello rumore del parto, scrivesse al Re [Enrico III] a Mézières, che, quando è stata con lui, non sa giammai le abbi fatto torto, e che, se gliene ha fatto qua, come ode, tocca a Maestà Sua farne dimostrazione; e che da questo motto, e dal bordello che l'ha fatto tanto apertamente con Chanvallon il giovane che si è fuggito non si sa per ancora dove, sebbene si dice in Germania, vogliono che il Re facesse subito da se stesso questa resoluzione» riferì l'ambasciatore toscano. Cfr. Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane. Tome 4, p. 469., su gallica.bnf.fr.
  11. ^ Secondo alcune dicerie si disse che fu sedotto dalla regina, sebbene non vi siano prove al riguardo. È probabile che il marchese sia stato corrotto dalla regina, viste le concessioni di terre che Margherita gli fece. O forse il marchese si schierò con la Lega cattolica, tradendo il re di Francia (Viennot, 1994, pp. 180-182.).
  12. ^ Boucher suggerisce che l'ex-madamigella di Thorigny abbia aiutato la sovrana nella stesura delle Memorie, spiegando in questo modo la presenza dei «lunghi e fastidiosi» passi dedicati alla dama, che era stata vergognosamente cacciata di corte nel 1575. Suggerisce inoltre che le Memorie siano state aggiornate nel corso degli anni, a causa di alcune incongruenze cronologiche su vicende personali di alcuni personaggi citati. Cfr. Boucher, 1998, pp. 357-359.
  13. ^ «Di quanto è scritto nelle Memorie bissogna cogliere lo spirito, non la sincerità» osserva la giornalista. Cfr. Kotnik, 1987, p. 207 e p. 149. Molti studiosi citeranno un'affermazione di Martin Le Roy de Gomberville, curatore dei Mémoires de Monsieur le duc de Nevers: «Questa principessa non è la storica più fedele del mondo». Cfr. Viennot, 1994, pp. 294-296. Anche lo storico Robert J. Knecht ammette la possibilità che la sovrana possa raccontare bugie. Cfr. Knecht, 2014, pp. 11.
  14. ^ L'opera tratta la vita della sovrana solo fino al 1582 e tre grandi lacune, «che non paiono però frutto di censura», commenta Viennot: un breve passaggio riguardo il funerale di Giovanna d'Albret, la seconda una breve descrizione dei festeggiamenti nuziali, la terza e la più lunga riguarda il periodo di tempo che va dalla notte di san Bartolomeo alla partenza di Enrico III per la Polonia, quasi un anno dopo. Cfr. Viennot, 1994, p. 269 e p. 440.
  15. ^ Seguirono altre sei edizioni clandestine nel 1628 e nel 1629, poi almeno una ristampa ogni cinque anni fino al 1660. Fra il 1630 e il 1645 l'opera fu tradotta e stampata tre volte in Inghilterra, mentre nel 1641 fu tradotta in italiano. Cfr. Viennot, 1994, p. 270.
  16. ^ Caterina de' Medici fu giudicata in termini razzisti come un'italiana avvelenatrice e raffigurata come una madre spregiudicata, che aveva allevato i figli alla dottrina machiavellica e che aveva da tempo pianificato la strage, servendosi del matrimonio della figlia come una trappola. Il libello più noto fu il Discours merveilleux de la vie, actions et déportements de Catherine de Médicis, Royne-Mére, proposto come un resoconto dei fatti della sua vita: su questa ondata di accuse si forgiò la sua leggenda nera. Cfr. Knecht, 1998, pp. 163-165. Il duca d'Angiò, che secondo alcune ricostruzioni aveva organizzato l'attentato a Coligny con la madre, fu accusato di incesto con la sorella Margherita, la quale finì al centro di altre battute oscene a sfondo sessuale. Cfr. Viennot, 1994, p. 246.
  17. ^ Il testo era in scrittura da molto tempo e inizialmente doveva essere un critica misogina all'interferenza politica della regina madre, da alcuni giudicata eccessiva. Il testo faceva infatti riferimento anche alla legge salica, secondo cui nessuna donna avrebbe potuto governare. Hotman faceva gli esempi delle famose reggenze femminili dei secoli precedenti, guidate da Brunilde, Fredegonda, Bianca di Castiglia e Isabella di Baviera, tutte regine con una reputazione orribile. Cfr. Cloulas, 1980, pp. 277.
  18. ^ In realtà Giovanna fu incoronata semplicemente «regina di Sicilia», nonostante i suoi predecessori avessero perso il controllo dell'isola dopo i Vespri siciliani. Il termine «regno di Napoli» è una semplificazione utilizzata a partire dal 1805 dalla storiografia per indicare l'estremità meridionale della penisola italiana ancora sotto il governo angioino e che al tempo era noto come «Regno di Sicilia citerione» (Regnum Siciliae citra Pharum), cioè «Regno di Sicilia al di qua del Faro» (riferendosi al Faro di Messina). La porzione di regno che comprendeva solo l'isola di Sicilia era nota come «Regno di Sicilia al di là del Faro» (Regnum Siciliae ultra Pharum) amministrata dagli aragonesi: governo non riconosciuto dagli angioini.
  19. ^ Nel 1328, morirono la sorellastra maggiore Maria, figlia del primo matrimonio del duca di Calabria, e un'altra sorella maggiore anch'essa di nome Maria. Nel 1325 era nata e morta la sorella Eloisa, mentre suo fratello maggiore Carlo Martello era morto ad appena otto giorni di vita nell'aprile 1327.
  20. ^ Stando a Giovanni Boccaccio, re Roberto non prendeva decisioni senza il consenso delle due donne. Cfr. Goldstone 2009, pp. 31-33.
  21. ^ Contrapponendosi alla tesi di Émile-G. Léonard 1932 T1, p. 172, che riteneva Giovanna un'illetterata perché definitasi «una donna e poco istruita nelle lettere tanto da essere frequentemente ingannata» in una lettera a papa Clemente VI nel 1346, secondo Gaglione 2009, p. 335 sarebbe una frase retorica. Goldstone 2009, pp. 321-322 sostiene che pure Sancha di Maiorca si era definita in maniera analoga ed era in grado di scrivere, perciò ritiene che Giovanna sapesse fare altrettanto. Il latino non pulito presente nelle lettere della regina indicherebbe che l'avesse scritte di suo pugno.
  22. ^ «Caduta è la Corona dal capo nostro», avrebbe commentato Roberto d'Angiò alla morte del figlio Carlo. Cfr. Istoria civile del Regno di Napoli, di Pietro Giannone, Volume 3, p. 173, su books.google.it.
  23. ^ La consuetudine risaliva al 1130, quando Papa Innocenzo II aveva incoronato Ruggero il Normanno «re di Sicilia». Da quel momento i pontefici erano pesantemente intervenuti negli affari di stato del «Regno», come erano definiti i territori dell'Italia meridionale, influenzando le decisioni dei vari sovrani in base ai tornaconti della Santa Sede. Cfr. Bausilio 2020,  p. 82.
  24. ^ La legge salica era infatti una legge consuetudinaria che regolava le eredità in ambito privato e non riguardava affatto il principio di sovranità, né i fondamenti di diritto pubblico. Cfr. Casanova 2014, p. 47. Gli apologisti dei Valois iniziarono un'opera di convincimento secondo cui le donne fossero inadatte per natura a governare. Cfr. Casteen 2015, pp. 2-3. In Francia ciò venne attuato per evitare che Edoardo III d'Inghilterra, figlio di Isabella di Francia e nipote di Filippo IV di Francia, ereditasse anche la Corona francese. Il sovrano inglese reclamando comunque i diritti materni, scatenò la guerra dei cento anni.
  25. ^ Re Carlo II, padre di Roberto d'Angiò, aveva maneggiato affinché il primogenito Carlo Martello d'Angiò ottenesse la Corona di Ungheria, vantando i diritti di sua madre Maria d'Ungheria. Dato che il secondogenito Ludovico aveva preso la strada clericale (sarà proclamato santo nel 1317), in accordo con papa Bonifacio VIII, la Corona del «Regno» fu destinata al terzogenito Roberto e alla sua discendenza. Cfr. GIOVANNA I d'Angiò, regina di Sicilia, su treccani.it.
  26. ^ Il 30 novembre, i duchi di Durazzo e i baroni del «Regno» resero omaggio a Giovanna durante una cerimonia ufficiale. Cfr. Goldstone 2009, pp. 40–41.
  27. ^ Oltre all'accordo matrimoniale tra i suoi figli e le nipoti di re Roberto, Carlo I chiese al pontefice di riavere i due feudi che suo padre possedeva nel «Regno»: il Principato di Salerno e l'Honor Montis Sancti Angeli Cfr. Lucherini 2013, p. 343.
  28. ^ Inizialmente Carlo I aveva designato il primogenito Luigi come marito di Giovanna, mentre suo fratello minore Andrea sarebbe subentrato al suo posto in caso di sua morte prematura. Durante i negoziati però Carlo I cambiò idea e decise di destinare Andrea a Giovanna. Cfr. Lucherini 2013, p. 344.
  29. ^ «E per dispensagione e volontà di papa Giovanni e de’ suoi cardinali sì fece sposare al detto Andreasso, ch’era d’età di sette anni, la figliuola maggiore che fu del duca di Calavra, ch’era d’età di cinque anni, e lui fece duca di Calavra a dì 26 di settembre del detto anno con grande festa [...]. E compiuta la detta festa, poco appresso si partì il re d’Ungheria e tornò in suo paese, e lasciò a Napoli il figliuolo colla moglie alla guardia del re Ruberto con ricca compagnia.» Cfr. Giovanni Villani, Cronica, Volume 5, p. 281., su books.google.it.
  30. ^ Giovanni Villani affermò ad esempio che «sì volle il re Ruberto che dopo di lui succedesse il reame al figliuolo del detto re d’Ungheria suo nipote». Cfr. Cronica di Giovanni Villani..., Volume 5, p. 281., su books.google.it.; Lucherini 2013, pp. 350–351.
  31. ^ La questione dinastica si era comunque complicata poiché, poco tempo prima di morire, il re era rimasto offeso dalla notizia che la potente regina madre d'Ungheria, Elisabetta di Polonia, avesse preferito far sposare a suo figlio maggiore Luigi I la principessa Margherita di Boemia, anziché Maria, disattendendo gli accordi presi dal defunto sovrano ungherese. Cfr. Goldstone 2009, p. 65.
  32. ^ Allevato dal suo entourage ungherese, Andrea non sarebbe riuscito ad adattarsi alla raffinata e cosmopolita corte di re Roberto, finendo per essere sempre considerato uno straniero assieme ai suoi fedeli, dal resto della corte napoletana. La differenza di educazione impartita dalle rispettive corti personali, durante la loro crescita, non permise la creazione di un rapporto affettuoso tra i coniugi: Andrea finì anzi per essere spesso dileggiato dalla moglie e dai cugini per questi motivi. Cfr. Casteen 2015, pp. 32-33.
  33. ^ La somma versata dalla Corona ungherese per supportare la causa di Andrea fu colossale, pari agli introiti che le ricche miniere uncheresi potevano ottenere in sei o sette anni di estrazioni. Cfr. Gaglione 2009, p. 348.
  34. ^ Il pontefice scrisse che «dicta regina Joanna adhuc est talis aetatis ad huiusmodi munus minus idonea extitit». Cfr. Camera 1889, p. 18. Lo stesso Petrarca avrebbe espresso negli stessi termini la sua preoccupazione per la giovinezza di Giovanna e Andrea, che li rendeva alla mercè degli avidi cortigiani: «Sono davvero allarmato per la giovinezza della giovane regina e del nuovo re, [...] per le inclinazioni e i costumi dei cortigiani» Cfr. Goldstone 2009, p. 87.

Riferimenti[modifica | modifica wikitesto]

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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Categoria:Colpi di Stato falliti Malcontenti, Congiura dei

Ascendenza[modifica | modifica wikitesto]

Genitori Nonni Bisnonni
Francesco I di Francia Carlo di Valois-Angoulême  
 
Luisa di Savoia  
Enrico II di Francia  
Claudia di Francia Luigi XII di Francia  
 
Anna di Bretagna  
Margherita di Valois  
Lorenzo de' Medici duca di Urbino Piero il Fatuo  
 
Alfonsina Orsini  
Caterina de' Medici  
Madeleine de La Tour d'Auvergne Giovanni III de La Tour d'Auvergne  
 
Giovanna di Borbone  
 

Margherita nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

Teatro[modifica | modifica wikitesto]

Letteratura[modifica | modifica wikitesto]

Musica[modifica | modifica wikitesto]

Cinema[modifica | modifica wikitesto]

Fumetto[modifica | modifica wikitesto]

  • La Reine Margot, graphic novel di Olivier Cadic, François Gheysens e Juliette Derenne (2006-2008)
  • La Reine Margot, fumetto erotico di Henri Filippini e Robert Hugues (2010)
  • Ôhi Margot - La Reine Margot, manga di Moto Hagio (2012 - in corso)

Note[modifica | modifica wikitesto]

Esplicative[modifica | modifica wikitesto]


Riferimenti[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti primarie[modifica | modifica wikitesto]

Fonti secondarie[modifica | modifica wikitesto]

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Predecessore Regina di Francia e di Navarra Successore
Luisa di Lorena-Vaudémont 2 agosto 1589 – 24 ottobre 1599 Maria de' Medici

Margherita di Valois Margherita Categoria:Nati a Saint-Germain-en-Laye