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Pagina delle prove

Calogero Ferlisi[modifica | modifica wikitesto]

PA86: Alla fine del XIV secolo, durante il regno di Martino I, la Sicilia fu suddivisa in quattro valli: il Vallo di Mazara, il Vallo di Noto, il Val Demone ed il Vallo di Girgenti e Castrogiovanni; i Valli, a loro volta, erano suddivisi in Territori. Il Vallo di Girgenti e Castrogiovanni si componeva di otto territori: Girgenti, Naro, Licata, Castrogiovanni, Calascibetta, Polizzi, Castronovo e Sutera.

PA115: Nel XVI secolo, il viceré Marcantonio Colonna organizzò i Valli in livelli amministrativi di primo livello, i Valli, appunto, e di secondo livello, costituendo delle Comarche.

Vito Maria Amico[modifica | modifica wikitesto]

PA23: Secondo quanto riportato da Tommaso Fazello, durante la dominazione araba, la Sicilia fu divisa in tre Valli: il Vallo di Mazara, il Vallo di Noto e il Val Demone. In età normanna e, almeno inizialmente, in età sveva, tale tripartizione fu mantenuta. Con Federico II, però, l'isola fu suddivisa in soli due Giustizierati: ad un Giustiziere o Magistrato di Giustizia fu affidata la Sicilia al di qua del Salso, ovvero l'area orientale dell'isola, un secondo Giustiziere, invece, ebbe competenza sulla Sicilia al di là del Salso, ovvero sull’area occidentale dell'isola; assumendo, quindi, il fiume Salso come confine tra i due distretti di giustizia amministrativa. La bipartizione fu mantenuta anche in età angioina ed Aragonese fino alla fine del XIV secolo, quando, durante il regno di Martino I, la Sicilia fu ripartita in quattro valli: Val di Mazara, Val di Noto, Val Demone e Val di Agrigento e Castrogiovanni. Quest'ultimo vallo accorpava i territori circostanti le città di Girgenti e Castrogiovanni. La suddivisione in questi quattro Valli ebbe, però, vita breve e si ritornò, così, alla tripartizione. Vito Maria Amico, inoltre, afferma che, in età vicereale, da Messina fu proposta la nomina di un secondo viceré: in sostanza si proponeva di bipartire il governo dell'isola, in modo tale da creare due vicereami, ed assegnare alla stessa Messina il ruolo di sede vicereale. Fuori dalla città dello Stretto, però, la proposta trovò una diffusa opposizione e decadde.

PA282-283 Vito Maria Amico, nel suo Dizionario topografico della Sicilia del 1855, nel descrivere Catania, la dice collocata tra gli antichi Val di Noto e Valdemone, asserendo che la città era attribuita, talora, al primo vallo e, talora, al secondo. Ancora, egli afferma che Catania era tra le principali città della Sicilia e, perciò, era detta terza sorella del Regno delle Due Sicilie e si pregiava del titolo di chiarissima.

Rosario Gregorio[modifica | modifica wikitesto]

PA 38: Rosario Gregorio riporta che già prima dell'avvento degli Altavilla, la Sicilia era suddivisa in circoscrizioni definite Valli. Egli, facendo riferimento a diplomi dell'epoca e agli scritti del Malaterra, cita il Valdemone, il Val di Mazara, il Val di Noto, il Val di Milazzo ed il Val di Agrigento. Secondo il Gregorio, in età araba, tali suddivisioni non avevano valenza amministrativa, ma semplicemente geografica. PA 39: Egli, infatti, afferma che fu Ruggero II che provvide alla divisione politica dell'isola: stabilendo tre soli giustizierati, che, appunto, tripartivano la Sicilia. Essi erano il Valdemone, il Val di Mazara e il Val di Noto: scomparivano, quindi, i valli di Milazzo e Agrigento. PA 39-40: Durante il regno di Federico II, si assiste ad una riorganizzazione del territorio isolano: l'Imperatore suddivise la Sicilia in due giustizierati: Sicilia al di qua del Salso e Sicilia al di là del Salso; assumendo quale confine tra essi, appunto, il fiume Salso. Inoltre, il sovrano riorganizzò le competenze territoriali dei magistrati isolani, sia per l'amministrazione della giustizia, sia per la fiscalità, in funzione della nuova bipartizione. Al riguardo, il Gregorio riporta che Federico II stabilì più camerari per ciascun giustizierato ed in particolare fa menzione che, nell'ambito della Sicilia al di qua del Salso, esistesse un camerario che sovraintendeva il Val di Agrigento, lasciando intendere che quest'ultimo fosse stato ripristinato come una sottodivisione del citato giustizierato.

Michele Amari[modifica | modifica wikitesto]

PA 465: Nel XII secolo, il confine occidentale del Valdemone giungeva fino alla città di Caronia, il confine venne esteso verso ponente nel XIV secolo, quando raggiunse il limite naturale rappresentato dal Fiume Grande, l'Imera settentrionale.

PA 465-466: È opinione diffusa, afferma Michele Amari, che la ripartizione in valli della Sicilia possa essere fatta risalire all'epoca araba; tale assunto, però, sostiene lo storico contraddicendo il Gregorio, non è confortata da documenti risalenti a quel periodo e i diplomi e le cronache di epoca normanna, età in cui l'organizzazione dello stato era in parte improntata sul modello arabo, fanno menzione del solo Valdemone, mentre i riferimenti al Val di Noto e al Val di Mazara, non sarebbero "né sì antichi né sì precisi".

PA 466: Prescindendo dall'effettiva data di istituzione dei valli, l'Amari osserva che la classica tripartizione dell'isola in Val di Mazara, Val di Noto e Val Demone, abbia comunque, origini antiche e che sia stata la più duratura suddivisione amministrativa dell'isola. Nonostante ciò, riporta lo storico, essa fu periodicamente oggetto di riforme, le quali, però, risultavano essere solo temporanee, poiché, venivano regolarmente accantonate, comportando un ritorno alla organizzazione territoriale in tre province.

PA 466 nota 2: Secondo l'Amari, il termine vallis, riportato negli antichi diplomi dei quali riferisce il Gregorio, deve essere inteso nel suo significato più ampio di territorio e, per questo, applicabile, in modo indistinto, talora alle città, talora a circoscrizioni amministrative più ampie. L'Amari, infatti, tra le altre ipotesi, suppone che vallis fosse la traduzione o, meglio, l'adattamento della parola araba iklim, adoperata, appunto, con un vasto ventaglio di significati connessi alle ripartizioni territoriali. Ciò, quindi, spiegherebbe il motivo per il quale il Gregorio faccia menzione di un numero superiore di valli rispetto a quelli della classica tripartizione. Questa, però, non è l'unica ipotesi avanzata dall'Amari, il quale non esclude che, come riferisce il Gregorio, in età araba vi fossero cinque valli e suppone che gli Arabi potessero usare differenti suddivisioni territoriali per differenti rami dell'amministrazione dell'isola: egli propone un esempio, congetturando che i valli di Agrigento e Milazzo potessero avere, per ipotesi, esclusivamente valore di circoscrizioni militari, ma non essere presenti in altri ambiti amministrativi.

PA 468: Secondo quanto arguito dall'Amari, il termine "valli" - plurale di "vallo", usato per identificare i principali distretti territoriali in cui era divisa l'isola - risalirebbe alla seconda metà del IX secolo e potrebbe avere sia origini arabe, sia latine. Seguendo la prima ipotesi, infatti, il termine vallo potrebbe derivare dalla parola araba wilāya, che indica il territorio, la giurisdizione o l'ufficio del Wālī, cioè il funzionario preposto al governo di una provincia, ovvero a rami speciali di amministrazione pubblica. Seguendo, invece, la seconda ipotesi, la genesi della parola vallo sarebbe puramente geografica, poiché, in riferimento al Valdemone, si sarebbe ben prestata ad indicare un territorio ricompreso nella vallata tra gli Appennini e l'Etna. Per l'una o per l'altra ipotesi, l'Amari, poi, non esclude la possibilità che la costruzione ultima di vallo possa essere frutto di una fusione con una qualche parola greca, poiché:

«nè il nome generico latino o arabico unito a una appellazione greca, farebbe maraviglia nella Sicilia di quei tempi.»

PA 466-467: L'Amari, comunque, pare avallare l'origine araba della tripartizione dell'isola e cerca di individuarne le cagioni con congetture che ne farebbero risalire l'istituzione alla seconda metà del IX secolo. Egli suppone che, durante il processo di conquista della Sicilia, gli arabi abbiano voluto beneficiare dell'organizzazione amministrativa esistente, mantenendo la suddivisione bizantina della parte insulare del thema di Sikelia nelle due province Lilibetana e Siracusana. A partire dalla metà del VII secolo, i bizantini, infatti, per la riscossione del tributo fondiario, avevano suddiviso la Sicilia in due aree, individuando quale confine l'Imera meridionale. Gli arabi, però, osserva l'Amari, non avevano il controllo dell'intera provincia Siracusana, ma solo dell'area meridionale di quest'ultima, per cui:

«dovevano distinguere la parte che rimaneva ai nemici, ch'era, appunto, il Val Demone, dalla parte musulmana che giaceva a mezzodì e chiamossi Val di Noto, e da un po' di territorio a ponente, il quale, confuso con la provincia Lilibetana, si addimandò Val di Mazara.»

PA 467: Una spiegazione all'origine dei nomi dei tre valli siciliani viene ipotizzata dallo storico Michele Amari. Egli, partendo dall'assunto che li presero, com'è evidente, da città, prova a spiegare le ragioni per le quali tali città furono scelte per individuare le tre circoscrizioni. Il Val di Mazara, scrive lo storico, corrispondeva alla provincia Lilibetana di epoca bizantina, per cui, è plausibile, che essendo la città di Mazara, il centro più rilevante in prossimità dell'antica Lilibeo[1], si sia optato per riferire ad essa il nome del vallo. È plausibile, riporta ancora l'Amari, che la scelta ricadde su Mazara poiché la città era la sede di un funzionario amministrativo, il diwàn dei beneficii militari. Egli, infatti, ricorda che, in quel vallo, città più rilevanti come Palermo e Girgenti, non erano state individuate come sede dell'ufficio del diwàn, poiché circondate da poderi allodiali, ovvero non feudali. Per quanto concerne il Val di Noto, invece, l'Amari, ipotizza che, occupando quel vallo la parte meridionale della provincia Siracusana di epoca bizantina ed attraversando la città di Siracusa, tra la fine del IX secolo e il principio del X secolo, un periodo di decadenza, la scelta ricade su Noto, città che, viceversa, era fiorente.

PA 467-468: Secondo l'Amari, diverse potrebbero essere le origini del toponimo Val Demone. Una prima ipotesi ne porta l'etimologia alla boscosità dei monti Nebrodi, per cui il territorio sarebbe stato detto Vallis Nemorum, ovvero terra dei boschi. Altra ipotesi riferita dallo storico e orientalista siciliano affonda le sue basi in una leggenda che indicherebbe l'Etna come abitato da demoni e vorrebbe il vulcano come un punto d'accesso agli inferi, da ciò il territorio sarebbe stato detto Vallis Dæmonorum. L'Amari riferisce, poi, dell'ipotesi, più "savia", secondo la quale il toponimo deriverebbe dalla presenza di un incastellamento risalente al IX secolo e sicuramente abbandonato nel XII secolo, identificabile con l'antica Demenna.

PA 468: Lo storico suppone che la denominazione di città e provincia possa derivare dal nome con il quale erano indicati gli abitatori di quel territorio, durante la conquista araba e cioè "perduranti" o "permanenti". In sostanza, egli suggerisce che l'origine del nome Demona sia da riferirsi al greco bizantino, in quanto deriverebbe dal participio presente del verbo διαμένω (permanere, perdurare), facilmente accostabile al fatto che il Val Demòne fu l'unico a perdurare nella fede cristiana e a resistere alle incursioni islamiche. Pertanto,sostiene l'Amari, con Tondemenon o Ton Demenon, varianti del verbo perdurare, sarebbero stati indicati gli abitanti dell'area che più tenace resistenza oppose ai musulmani e da tali varianti sarebbe derivato il nome della città e del vallo.

PA 467 nota 1: Nel XIII secolo, la riforma amministrativa voluta da Federico II comportò il riordino dei giustizierati del Regno e la Sicilia tornò alla bipartizione già presente in età bizantina. Il sovrano svevo, infatti, stabilì sull'isola due giustizierati: Sicilia al di qua del Salso e Sicilia al di là del Salso. L'Amari suppone che tale suddivisione perdurò almeno fino alla guerra del Vespro. In età aragonese, continua lo storico, vediamo ricomparire i giustizieri dei singoli valli: egli cita un diploma del 1302 in cui viene fatta menzione del giustiziere del Vallo di Milazzo e del giustiziere del Vallo di Castrogiovanni e Demona. Riferendo di un censo feudale del 1708, sempre l'Amari riporta che, all'inizio del XV secolo, la Sicilia risultava suddivisa in quattro valli: Val Demone, Val di Noto, Vallo di Castrogiovanni e Vallo di Agrigento[2]. Successivamente, conclude l'autore, si ritornò alla classica tripartizione.

PA 468-470 nota 4: L'Amari propone una cronologia di documenti dove compare il toponimo Demona nelle sue differenti varianti, prima come nome di città e poi di vallo:

  • Anno 902. Vengono citati l'assedio e la presa di Dimnsac[3][4].
  • Anno 963. Il nome Dimnasc viene attribuito ad una gola di monti presso Rometta[5].
  • Verso la fine dell'XI secolo. Goffredo Malaterra scrivendo del secondo sbarco del conte Ruggero in Sicilia, avvenuto nel 1060, dice: "Hie Chrisliani in valle Deminæ manentes, sub Saracenis tributarii erant"[7].
  • Anno 1082. In un diploma con cui Ruggero I effettua una concessione al vescovo di Troina, la città viene decritta come collocata in valle Deminæ castrum quod vocatur Achareth[8].
  • Anno 1084. In diploma di Ruggero I si fa menzione del monastero di Sant'Angelo de lisico Tondemenon[9].
  • Anno 1093. In un diploma per lo stesso monastero, questo è chiamato Sancti Angeli de Lisico de Valle Dæmanæ[9].
  • Anno 1096. In un diploma, nel quale di descrivono i confini della diocesi di Messina, è scritto: […] usque ad Tauromenium, et respondet ad Messanam, et vadit usque ad Melacium, et respondet ad Demannam, et inde vadit per maritimam usque ad Flutnen Tortum, et ascendit per flumen […]. Nello stesso diploma si fa menzione della donazione del castellum Alcariæ apud Demennam. L'Amari afferma che Demenna, in entrambi i casi citati, sia riferito al nome della provincia[10].
  • Anno 1097. In un diploma con cui Ruggero I concede taluni beni ad un monastero, questo è identificato come Monastero di San Filippo di Demena[11].
  • Anno 1124. Il citato diploma del 1097 è trascritto in un altro diploma di Adelasia di Adernò e Ruggiero II dell'anno 1110; in quest'ultimo documento il detto monastero è chiamato Abbatia in Valle Dæmanis[11].
  • Anno 1131. In un diploma del vescovo di Messina, dove questi assoggetta all'archimandrita di quella città parecchi monasteri greci della diocesi, tra i monasteri menzionati vi è quello di Sanctum Barbarum in Demeno[12].
  • Anno 1154. In un diploma di Ruggiero II vengono noverati i monasteri assoggettali all'archimandrita di Messina, tra i quali quello di Sanctum Barbarum de Demenna, e alcuni altri indipendenti, tra i quali quello di Sanctum Philippum de Demenna[13].
  • Anno 1154. Il geografo arabo Idrisi, descrivendo la costa della Sicilia, , afferma che a Caronia avesse inizio l'iklim di Dimnasc. Inoltre, l'Amari specifica che Idrisi, nella descrizione che fa della Sicilia, intenda indicare, con iklim, la provincia e che costui non parli di città o castello denominato Dimnasc[14].

PA 470 nota 4: L'Amari, quindi, conclude che in base alle documentazioni ritrovate egli ritiene che l'esistenza dell'incastellamento di Demana sia provata sin dal X secolo, mentre l'esistenza di Demana, intesa quale vallo o provincia, sia databile all'XI secolo. Inoltre, lo storico ritiene improbabile che l'incastellamento sia sopravvissuto sino all'XI secolo e sostiene che sia certo che a metà del XII secolo il centro risultasse abbandonato o che, comunque, avesse cambiato nome. Quanto al sito del castello, l'Amari riporta che non vi siano sufficienti elementi per poterlo determinare con certezza; un indizio, continua lo storico, può trovarsi nella descrizione della battaglia di Rometta del 963, dove si legge che Dimnasc si trovasse a ponente della città di Rometta. Egli ipotizza, quindi, che Demenna sorgesse sul territorio dell'odierna Monforte San Giorgio.

Giuseppe Paiggia[modifica | modifica wikitesto]

PA 65: Lo storico Giuseppe Paiggia, nel suo Nuovi studj sulle memorie della città di Milazzo, sostenne fosse errata la generale convinzione secondo la quale in epoca araba esistesse un Vallo di Milazzo, inteso come unità politico-amministrativa. Egli, infatti, riprota che Milazzo oppose una strenua resistenza alla conquista musulmana e, in virtù di tale assunto, ritiene improbabile che, una volta preso il controllo della città, gli arabi l'avessero voluta gratificare elevandola a capoluogo. In sostanza, il Paiggia ritiene che il Vallo di Milazzo, in età araba, fosse esclusivamente una circoscrizione militare: quote| Seguendo quest'ordine di idee, il Vallo di Milazzo non segnava una divisione politica, ma una segnavane meramente militare.|Giuseppe Paiggia

PA 163: Nell'anno 863, dunque, Milazzo fu conquistata dai musulmani e così anche, suggerisce il Paiggia, il territorio di pertinenza della città; la quale divenne, poi, il centro di una circoscrizione militare, cha abbracciava un territorio relativamente ampio.

PA 67: In età normanna, riferisce l'autore, gran parte delle terre comprese nel Vallo di Milazzo fu concessa in feudo da Ruggero I a Goffredo Burrello, commilitone del normanno. Tale disposizione del sovrano comportò, di fatto, la soppressione del vallo, anche come mera circoscrizione militare. Il Paiggia, inoltre, sottolinea che sebbene in alcuni diplomi del conte normanno compaiano riferimenti a piano, vallo, tenimento o territorio di Milazzo, essi non consentono di congetturare che essi facessero riferimento ad una entità politico-amministrativa governata da un magistrato con sede in Milazzo. Soppressa la circoscrizione militare, rimarca lo storico, il toponimo Vallo di Milazzo sopravvisse, comunque, nel tempo, assumendo valenza esclusivamente geografica e fu atto ad indicare i territori (una volta ricompresi nel vallo) in prossimità della città di Milazzo: al riguardo il Paiggia riporta di un diploma dell'Imperatore Federico II in cui si fa menzione del Vallo di Milazzo.

PA 168: Con l'istituzione del Regno di Sicilia, Ruggero II organizzò amministrativamente l'isola, suddividendola nei tre valli, di Mazara, di Noto e di Demone, alloro volta ripartiti in circoscrizioni più piccole, che il Paiggia definisce come distretti. I valli erano amministrati dai giustizieri, mentre i distretti erano amministrati dai camerari. Il bajuolo, invece, era il funzionario che amministrava i comuni; costui dipendeva dal giustiziere per l'amministrazione della giustizia, mentre dipendeva dal camerario per la funzioni in ambito economico. Erano di competenza del bajolo le cause civili (fatta eccezione per le cause feudali) e le cause penali per reati di lieve entità (quelle per reati gravi erano, invece, affidate al giustiziere); si occupava, inoltre, della riscossione dei tributi, sia di quelli di competenza comunale, sia di quelli appannaggio della corona. Al giustiziere, invece, competeva anche il secondo grado di giustizia per le cause definite in prima istanza dai camerari. Giustizieri, camerari e bajuoli non potevano giudicare monocraticamente, ma dovevano avvalersi dell'ausilio di un collegio di giudici. A sovraintendere tali magistrati vi era la Magna Curia. Essa, composta da altri tre giudici, era presieduta dal Gran Giustiziere del Regno ed era deputata a giudicare le cause riguardanti i contadi e i feudi quaternati, nonché al giudizio in ultimo appello per le cause già esaminate dai giustizieri. Alla Magna Curia, infine, competeva giudicare eventuali istanze presentate contro i magistrati.

PA 167: Alla morte di Goffredo Burrello, che aveva in feudo il territorio di Milazzo, la città e i suoi dintorni divennero demaniali.

PA 168: Durante il regno di Ruggero II, il territorio dell'ex Vallo di Milazzo passò sotto la giurisdizione dello stratigoto di Messina. Lo stratigoto era un funzionario che, conservando ancora una denominazione di origine bizantina, ricopriva una carica meramente militare, ma era anche deputato all'amministrazione della giustizia penale. Giuseppe Paiggia suggerisce che lo stratigoto, per i privilegi che possedeva, si presentava quasi come un "piccol giustiziere", pur essendo egli soggetto all'autorità del giustiziere vero e proprio (avente competenza su tutto il territorio provinciale).

PA 177-178: Durante la lotta per la corona di Sicilia, che vide contrapposti Federico III e Giacomo II d'Aragona, Milazzo fu fedele a Federico, ma Giacomo riuscì ad accattivarsi i favori della città con la costruzione di alcune opere pubbliche e attraverso alcune concessioni. Il Paiggia, infatti, riporta che il sovrano aragonese fece erigere nuove mura di fortificazione e ordinò la costruzione di un grande palazzo con annesso parco, che fu residenza di Giacomo per un certo periodo. Il Paiggia congettura, poi, che tra le concessioni fatte da Giacomo II d'Aragona alla città vi fosse stato anche il ripristino del Vallo di Milazzo (che, comunque, l'autore intende sempre come mera circoscrizione militare). Lo storico fonda tale ipotesi sull'assunto che il toponimo Vallo di Milazzo ritornò in uso proprio in tale periodo… PA 181 nota 3: …e su quanto riportato dallo stesso Amari, che riferisce di un diploma del 1302 in cui è fatta menzione del detto vallo.

PA 181: Proprio nel 1302, però, Federico III, dopo che ebbe guadagnato il trono isolano, soppresse nuovamente il Vallo di Milazzo. Il sovrano, al fine di ricompensare la città di Messina, per il sostegno militare fornitogli, allargò il territorio sottoposto allo stratigoto messinese: sul versante ionico, Messina inglobò Taormina e le sue pertinenze fino al fiume Alcantara, mentre sul versante tirrenico, il confine della circoscrizione andò ad abbracciare tutto il territorio che aveva costituito il Vallo di Milazzo. Inoltre il territorio di Messina fu completamente sottratto alla giurisdizione del giustiziere del Val Demone.

PA 181 nota 3: Nell'interpretazione del Paiggia, quindi, il Vallo, che fu effettivamente ripristinato (ne costituisce prova il diploma del 1302, citato anche dall'Amari) fu istituito da Giacomo, ma nell'arco di pochi anni, proprio nel 1302, esso fu soppresso da Federico III: il Paiggia, in sostanza, attribuisce l'iniziativa del ripristino della circoscrizione a Giacomo, poiché ritiene poco plausibile che Federico III (che riprese il controllo di Milazzo solo nel 1302) sia stato l'artefice della reintroduzione del distretto milazzese, per poi abolirlo quasi immediatamente.

PA 179: Durante il regno di Federico III, quindi, la Sicilia, riferisce il Paiggia, fu ripartita in quattro valli: Vallo di Mazara, Vallo di Agrigento, Val di Noto e Val Demone (o di Castrogiovanni), a loro volta ripartiti in unità più piccole che lo storico definisce "distretti". I valli erano affidati a giustizieri provinciali, mentre i distretti erano affidati a giustizieri locali.

Lodovico Bianchini[modifica | modifica wikitesto]

PA 23: Federico II suddivise l'isola di Sicilia in due giustizierati, la Sicilia al di qua del Salso e la Sicilia al di là del Salso, assegnando a ognuno di essi un giustiziere. A loro volta i due giustizierati isolani furono suddivisi dall'Imperatore in unità amministrative di secondo livello che riprendevano la denominazione di valli: a di là del Salso vi erano i valli di Mazara e Agrigento, mentre al di qua del Salso si estendevano i valli di Noto e Demona (o Castrogiovanni); ciascun vallo, a sua volta, era affidato a un giustiziere.

PA 23-24: Il territorio del Vallo di Mazara, come definito dalla suddivisione amministrativa della Sicilia stabilita da Federico II, è così descritto da Lodovico Bianchini:

«Comprendeva il Val di Mazara tutto il paese che avea per confini nei luoghi marittimi da Palermo per Carini, Castell' a mare nel Golfo, Trapani, Marsala, Mazara fino a Sciacca, onde scendevasi nei luoghi mediterranei per Sambuca, Giuliana, Cristia, Bivona, Vicari, Caccamo sino a Termini, distendendosi in fino a Palermo.»

PA 24: Lodovico Bianchini, nel descrivere i quattro valli in cui fu suddivisa la Sicilia in età federiciana, così delineò i confini del Vallo di Agrigento:

«pel mare, da Sciacca sino a Licata; e per terra da Sciacca per Raffadali, Cammarata, Castronuovo, Golisano fino a Roccella, che giace sul mar Tirreno, onde rientra vasi per Gratteri, Polizzi, le Petralie, Caltagirone, Naro sino a Licata.»

PA 24: Lodovico Bianchini, nel descrivere i quattro valli in cui fu suddivisa la Sicilia in età federiciana, così delineò i confini del Val di Noto:

«ebbe per confini marittimi Durilli, Scicli, Militello, Siracusa, Lentini e Catania; e per terra, S. Filippo, Piazza, Mazzarino sino a Durilli.»

PA 24: Lodovico Bianchini, nel descrivere i quattro valli in cui fu suddivisa la Sicilia in età federiciana, così delineò i confini del Val Demone:

«da Messina per lo stretto sino a Cefalù, e, per via di terra, furon confini Pollina, Castelbuono, Gerace, Nicosia, Troina, e costeggiando il Mongibello, Carboni, Motto, Taormina, Limina, fiume di Nisi e tutto il paese giacente sul mare insino a Messina.»

PA 24: Bianchini riferisce che i valli di Mazara, Noto e Demona rientravano entro il confine rappresentato dal Salso, invece, il solo vallo di Agrigento si estendeva per una breve porzione del suo territorio valicando il confine naturale dato dal corso del fiume.

Guglielmo Capozzo[modifica | modifica wikitesto]

PA 312: Guglielmo Capozzo, in Memorie su la Sicilia, riporta, che, conquistata la Sicilia, i Saraceni ripartirono l'isola in tre "grandi valli", le quali, a loro volta, erano suddivise in più distretti, governati da funzionari detti Alcaidi, mentre furono lasciate inalterate le funzioni degli Strateghi, magistrati introdotti dai Bizantini. Gli arabi, inoltre, introdussero, dislocati in diverse aree dell'isola, dei funzionari subalterni, i Gaiti e i Gadì. Venne, altresì, prodotto un nuovo sistema legislativo, che regolava, tra gli altri, il diritto di proprietà e di successione. Tale corpo normativo, sebbene in parte modificato, fu mantenuto dai normanni, dopo che assunsero la sovranità dell'isola.

PA 540: Successivamente, però, il Capozzo riporta che, delle diverse circoscrizioni in cui era ripartita la Sicilia in età araba, si ha memoria di cinque di esse: i valli di Mazara, Noto, Demena, Agrigento e Milazzo. Egli, ancora, afferma che la ripartizione in valli fu ripresa da Ruggero II, il quale, però, mantenne i soli tre valli di Mazara, Noto e Demena, destinando un giustiziere all'amministrazione di ciascuna delle tre province. Il Capozzo, inoltre, sulla base del numero di camerari, i funzionari statali deputati alla riscossione dei tributi, congettura che, relativamente all'amministrazione finanziaria, in età normanna e sveva, vi fosse, rispetto all'amministrazione della giustizia, una differente ripartizione territoriale con la presenza di circoscrizioni meno estese che, grossomodo, potevano ricalcare la suddivisione araba:

«[...] sino a tempi di re Federico II lo svevo si contavano tre camerari dal lato orientale del fiume Salso, e si parla del camerario del val d'Agrigento, dall'altro lato.»

PA 554: Guglielmo Capozzo riferisce che, anche in età federiciana, allo stratigoto di Messina, per ispecial privilegio competeva l'amministrazione della giustizia criminale, ma, per il suo operato, questo magistrato rispondeva, comunque, al giustiziere del Valdemone, dal quale dipendeva.

PA 558: Il particolare status detenuto da Messina era giustificato dal fatto che essa fosse una città regia e, in quanto tale, l'amministrazione dell'urbe e dei territori limitrofi era stata affidata, sin da tempi antichissimi ad un magistrato di nomina regia.

PA 565-566: Nel 1231, con le costituzioni di Melfi, Federico II ridisegnò la geografia politica del Regno e stabilì le competenze di giudici e funzionari pubblici in relazione al territorio su cui ciascuno di essi aveva giurisdizione.

PA 567: Federico II suddivise il regno in due macroaree, assumendo quale riferimento la città calabrese di Roseto, che fungeva da confine, di conseguenza, la Sicilia e la Calabria costituirono la prima di tali aree, mentre gli altri territori continentali fino al Tronto costituirono la seconda macroregione. Alla guida di ciascuna delle due divisioni era posto un Gran Giustiziere o Maestro Giustiziere. L'area siculo-calabrese fu ripartita in quattro giustizierati, due peninsulari e due isolani. Sul continente l'imperatore stabilì il giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana e il giustizierato di Calabria, mentre in Sicilia, seguendo l'antica e naturale divisione dell'isola fatta dai due fiumi Imera, istituì il giustizierato di Sicilia al di qua del Salso e il giustizierato di Sicilia al di là del Salso. In tali territori, l'amministrazione e la riscossione dei tributi fu affidata da Federico II a due segreti, che erano funzionari di nomina regia. Il primo risiedeva in Palermo e aveva competenza sulla sola Sicilia al di là del Salso, mentre il secondo risiedeva in Messina e aveva competenza sulla Sicilia al di qua del Salso, sul giustizierato di Calabria e sulla Val di Crati e Terra Giordana.

PA 568: Sempre relativamente all'esazione fiscale, i quattro giustizierati furono suddivisi in unità territoriali minori affidate ai camerari, funzionari nominati dai segreti. Così per la Sicilia oltre il Salso, riferisce il Capozzo, si ha prova dell'esistenza di almeno due camerari, uno per il Vallo di Agrigento e un altro per la Contea di Geraci e delle parti di Cefalù e Termini.

Heinrich Leo[modifica | modifica wikitesto]

PA 186: Heinrich Leo riporta che Federico d'Aragona suddivise la Sicilia in quattro valli: il Vallo di Mazara, il Vallo di Agrigento, il Val di Noto e il Vallo di Castrogiovanni e Demone. Il Vallo di Mazara comprendeva tutta la Sicilia posta ad occidente di una linea ideale che andava da Sciacca a Termini, passando per Sambuca, Giuliana, Vicari e Caccamo. Il Vallo di Agrigento si estendeva dalla costa del canale di Sicilia, compresa tra Sciacca e Licata , alla costa tirrenica, compresa tra Termini e Roccella. Il Val di Noto comprendeva il resto dell'area meridionale della Sicilia fino a Catania, mentre il Valdemone includeva la rimanente area settentrionale. In tali unità amministrative, però, il sovrano non fece rientrare determinati territori, che andarono a costituire specifiche circoscrizioni, come ad esempio il Territorio di Messina, soggetto alla giurisdizione del locale stratigoto, ma anche i territori di Palermo, Catania e Siracusa.

PA 193: Il Leo, aggiunge che, l'amministrazione della giustizia nei territori delle città non incluse nei quattro valli fu affidata dal sovrano aragonese ad un funzionario regio equiparabile al giustiziere, ma che assumeva diversa denominazione da città a città: a Palermo, questi era detto pretore, a Catania era detto patrizio, a Siracusa era detto senatore, mentre a Messina vi era lo stratigoto.

Isidoro La Lumia[modifica | modifica wikitesto]

PA 413 nota 2: In età aragonese, Federico III suddivise il regno in quattro valli, Vallo di Mazara, Vallo di Agrigento, Val di Noto e Vallo di Castrogiovanni o Démona, ognuno dei quali era amministrato da un giustiziere. Inoltre, furono previsti dal sovrano "Giustizieri e Capitani particolari nelle principali ed anche nelle secondarie città".

PA 418-419 nota 2: Un'altra descrizione dei limiti dei quattro valli è fornita da Isidoro La Lumia, in Studi di storia Siciliana. Lo storico palermitano fa riferimento a quanto esposto dal Gregorio, in Considerazioni sulla Storia di Sicilia, che dedusse i confini interni del regno facendo riferimento ad una carta del 1408 e, quindi, relativa all'età aragonese:

«Il Vallo di Nolo confinava al mare con Dirilli, Scicli, Agosta, Siracusa, Lentini Catania; e nell'interno avea per confini San Filippo, Piazza, Mazzarino. Il Val di Mazzara racchiudeva il paese, che, lungo il mare, corre da Termini fino a Sciacca, abbracciando Palermo, Carini, Castellammare del Golfo, Trapani, Marsala; e nell'interno si stendea fino a Caccamo, Vicari, Bivona, Cristia, Giuliana, Sambuca. Il Val di Girgenti si allungava presso il mare da Sciacca fino a Licata; e nell'interno da Sciacca (per Raffadali, Catnmarata, Castronovo, Golisano) fino a Roccella, donde ripiegavasi (per Gratteri, Polizzi, le due Petralie, Caltagirone, Naro) sino a Licata. Il Vallo di Dèmona o di Castrogiovanni correva, lungo il mare, dalle spiagge di Taormina sino a Cefalu, abbracciando Messina: e suoi confini interni erano da un lato Pollina, Castrobuono o Castelbuono, Geraci, Nicosia, Troina; dall'altro, costeggiando l'Etna, Carboni, Motta, il territorio di Taormina, Limina, Fiume di Nisi.»

Giuseppe Maria Galanti[modifica | modifica wikitesto]

PA 120: In seguito all'istituzione del Regno di Sicilia, Ruggero II estese il sistema dei giustizierati anche alla parte continentale dello Stato siciliano. Il sovrano riorganizzò il Regno suddividendolo, idealmente, quando non amministrativamente, in due macroaree, la prima, che includeva i territori siciliani e calabresi, costituiva il Regno di Sicilia propriamente detto, la seconda, che includeva i restanti territori peninsulari, costituiva il Regno di Puglia. Ciascuna di dette aree era frazionata in più giustizierati. Queste circoscrizioni amministrative, nella parte continentale del Regno, derivarono dai gastaldati stabiliti in età longobarda.

PA 152: In età normanna, il numero e i toponimi dei giustizierati continentali, però, furono variabili nel tempo. Per contro, l'organizzazione territoriale fissata da Federico II diede un assetto più stabile alle circoscrizioni amministrative in cui l'Imperatore suddivise il Regno di Sicilia.

PA 152 nota 2: Durante il regno di Federico II, il giustiziere di Messina, ovvero della Sicilia al di qua del Salso, ebbe competenza anche sui giustizierati di Calabria e di Valle di Crati e Terra Giordana, fino a quando lo stesso sovrano non stabilì che un unico giustiziere dovesse aver competenza su tutta la Sicilia, senza ingerenze sulle due province calabresi.

Vincenzo D'Alessandro[modifica | modifica wikitesto]

  • Vincenzo D'Alessandro, Pietro Corrao, Geografia amministrativa e potere sul territorio nella Sicilia tardomedievale (secoli XIII-XIV), in L'organizzazione del territorio in Italia e in Germania: secoli XIII-XIV, Bologna, Il Mulino, 1994, ISBN 88-150-4632-1.

PA 396: La ripartizione della Sicilia in Valli risale, per “pensamento comune”, diceva Michele Amari, alla conquista araba dell'isola; tale ripartizione fu mantenuta dai normanni. Nello specifico, sempre secondo l'Amari, Ruggero II stabilì la tripartizione della Sicilia individuando quali confini naturali di tali circoscrizioni i fiumi Salso e Simeto: Il Salso segnava il confine tra il Vallo di Mazara, posto a Occidente e il Val Démone e il Vallo di Noto, posti a Oriente: il confine tra questi ultimi, a sua volta, era rappresentato dallo stesso Salso e dal Simeto. Probabilmente, riporta il D'Alessandro, i tre Valli costituirono delle province amministrative, la cui definizione territoriale dovette rispondere a ragioni politico-amministrative, oltre che fisiche e morfologiche.

PA 398: Nonostante ciò, osserva il D'Alessandro, la tripartizione "non basta a definire la regione isolana, che rivela una complessa mappa di aree e sotto-aree differenti". È da rilevare, inoltre, che l'estensione territoriale del Vallo di Mazara era maggiore, sebbene di poco, a quella degli altri due Valli messi insieme.

PA 398: Effettivamente, l'origine musulmana del Vallo, come circoscrizione amministrativa, è da ricercare negli "aqalîm" (sing. "iqlîm"), ovvero distretti militari e amministrativi risalenti alla presenza araba e istituiti nei territori conquistati dalle truppe militari o nelle terre suddivise in "lotti fondiari individuali", detti "iqtâ", e assegnati ai singoli guerrieri, i "gund", che avevano preso parte alla conquista. Poiché i corpi militari islamici erano costituiti su base parentale, tribale ed etnica (e, pertanto, non potevano essere divisi o accorpati in maniera eterogenea) i territori conquistati erano organizzati in distretti militari/amministrativi che rispettavano tale presupposto: "i governanti musulmani adattavano le aree, gli "aqalîm", ai corpi militari, ai "gund", e non viceversa".

PA 399: Per ogni iqlîm, si congettura esistesse un centro urbano principale deputato a essere polo di riferimento per coloro i quali vivevano nei villaggi inclusi nell'iqlîm stesso. Esempi di città che, ancora a metà del XII secolo, erano indicate come "centri di iqlîm" sono Caltabellotta, Corleone, Iato, Sciacca o Caronia. Veniva affermandosi, dunque, un modello culturale per il quale il "centro abitato era polo amministrativo e commerciale del territorio". In particolare, rispetto ai secoli precedenti, dall’età musulmana, cresce sull'isola il numero degli insediamenti, sebbene, sin dall'età bizantina si registrasse la presenza di numerose rocche e fortificazioni sorti per la difesa del territorio.

PA 400-401: In età normanna, dopo che il conte Ruggero ebbe assunto il potere, si presentò, oltre al problema del mantenimento del territorio e del riordino del governo, anche la necessità di cristianizzare i vinti. A tale scopo fu attivato il clero ancora presente in Sicilia, i religiosi giunti al seguito dei conquistatori e quelli richiamati dalla Calabria. In questo periodo, si assiste anche al primo flusso migratorio di genti provenienti dall'Italia settentrionale (generalizzando, erano definiti "lombardi"), che comportò il fiorire di diverse comunità dette, appunto, "lombarde" in vari centri dell'isola Aidone, Nicosia, Novara, Piazza, San Fratello e Sperlinga). Furono in questo modo colonizzati gli insediamenti abbandonati dalla popolazione mussulmana. Tale migrazione non fu un caso isolato, poiché i diversi sovrani siciliani favorirono l'afflusso di migranti, indipendentemente dalla loro provenienza o dalla loro religione. In età federiciana, ad esempio, un altro consistente gruppo di "lombardi" si insediò a Corleone; mentre, dall'Algarve, giunsero gli ebrei (detti "del Garbo").

PA 401-402: Tra il XIII e il XIV secolo, la mappa degli insediamenti siciliani subisce una netta trasformazione: al diminuire degli "insediamenti sparsi", infatti, corrispose la crescita dei maggiori centri abitati e borghi. Parallelamente, si ebbe anche un netto calo della popolazione: nel 1283, gli abitanti dell'isola erano circa 400 mila, mentre, trascorsa la guerra dei Novant'anni, facendo riferimento a dati relativi al biennio 1374-1376, la popolazione siciliana può essere stimata intorno alle 264 mila unità. Nel XV secolo, per combattere il fenomeno del decremento degli insediamenti rurali nel Regno, si ricorse "jus affidandi", che prevedeva il condono delle pene per i condannati che accettavano di trasferirsi in nuovi villaggi in campagna.

PA 402: In età normanna, vennero a determinarsi tre tipologie di insediamenti umani. La prima era rappresentata dalla città, dotata di cerchia muraria e munita di mezzi di difesa e offesa, che costituiva, altresì, centro di diocesi. La seconda tipologia era data dalla terra abitata, ovvero il centro urbano privo della dignità di città, che prevedeva la presenza di un fortilizio e, in taluni casi, anche di cinta murarie. Si individua, infine, il casale rurale, detto anche borgo; esso consisteva in un villaggio rurale abitato da pochi nuclei familiari (al massimo alcune decine), aperto e sprovvisto di difese. "La città aveva giurisdizione sulle terre abitate", mentre queste ultime avevano "giurisdizione sui casali del proprio territorio". Gli abitanti delle villae, ovvero dei casali, erano detti villani, essi erano servi della gleba, legati alla terra dalla quale non potevano allontanarsi; erano innanzitutto i vinti musulmani asserviti, ma erano anche greci e vi erano anche villani ex conditione, ovvero individui la cui condizione di servo della gleba era giuridicamente temporanea perché dovuta a scelta volontaria e pertanto riscattabile.

Pietro Corrao[modifica | modifica wikitesto]

  • Vincenzo D'Alessandro, Pietro Corrao, Geografia amministrativa e potere sul territorio nella Sicilia tardomedievale (secoli XIII-XIV), in L'organizzazione del territorio in Italia e in Germania: secoli XIII-XIV, Bologna, Il Mulino, 1994, ISBN 88-150-4632-1.

PA 410-411: In Sicilia, la transizione tra il periodo normanno e quello svevo fu caratterizzata da una fase di instabilità politica e istituzionale e da una "frammentazione del controllo territoriale", che danneggiò la struttura istituzionale normanna, "anche dal punto di vista dell'organizzazione territoriale". Secondo Pietro Corrao, nei decenni a cavallo fra il XII e il XIII secolo, le ultime convulse vicende della dinastia normanna, il regno di Enrico VI e il periodo della minorità di Federico II evidenziarono le disomogeneità dell'apparato istituzionale normanno, che, sebbene fluido, era caratterizzato da "un forte tasso di trasformazione interna". Dopo il 1220, con l'affermazione dell'autorità di Federico, le istituzioni del Regno, che, come ricorda Mario Caravale, non avevano bisogno di essere rifondate ex novo, ma solo migliorare in alcuni settori, furono riorganizzate e razionalizzate: difatti la legislazione federiciana faceva esplicito riferimento al corpo normativo normanno, mentre le coordinate politiche seguite dallo Stupor Mundi furono quelle fissate da Guglielmo II di Sicilia[15].

PA 411-412: L'imperatore puntò alla razionalizzazione e omogeneizzazione della macchina istituzionale, ridefinendo la geografia amministrativa e giurisdizionale dello stato, ciò comportò mutamenti nella stessa struttura degli insediamenti isolani, nelle modalità di controllo militare del territorio e nella distribuzione delle competenze tra poteri pubblici e autorità feudale.

PA 412: Si assisté, infatti, a una riduzione del numero degli insediamenti sparsi in una logica di riassetto territoriale caratterizzata dalla redistribuzione dei centri abitati e dalla progressiva definizione dei "centri egemoni delle diverse aree territoriali", determinando, così, l'evoluzione, nei secoli successivi, dei centri abitati siciliani. In particolare, rilevanti mutamenti riguardarono vaste aree della Sicilia interna, a cominciare dal territorio, assai esteso, della diocesi di Monreale. I casalia, insediamenti aperti di carattere rurale con popolazione musulmana, presenti nell'isola da almeno quattro secoli, andarono scomparendo in seguito a massicci trasferimenti della popolazione villanale musulmana: conseguenza fu la desertificazione di un ampio territorio e l'affermazione di "un modello di distribuzione dell'abitato in cui prevalevano grossi borghi murati ove si concentrava la popolazione agricola di vastissimi distretti".

PA 413: Pietro Corrao considera gli interventi legislativi di Federico II - dalle disposizioni di Capua, del 1220, a quelle di Melfi, del 1231, e relative a feudi e fortificazioni - come orientati a rafforzare l'autorità della Corona rispetto al potere feudale, attraverso la ricostituzione del demanio pubblico e l'ampliamento degli ambiti di intervento diretto dello stato, dal punto di vista finanziario e giurisdizionale. Tale processo, continua Corrao, è riscontrabile nelle disposizioni finalizzate alla "drastica riduzione dei centri signorili di controllo militare del territorio, attraverso il divieto ai privati di costruire nuove fortezze e l'ordine di abbattere quelle abusivamente erette".

PA 413-414: L'assetto territoriale del regno era modificato, non solo attraverso interventi legislativi, ma anche attraverso il trasferimento di intere comunità, con la contestuale distruzione dei villaggi di origine. In Valdemone, ad esempio, i casali di Capizzi e Centorbi, coinvolti nelle rivolte contadine degli anni '30, vennero rasi al suolo e gli abitanti furono costretti a emigrare. In particolare, verso Palermo, erano orientati i flussi migratori "destinati a riempirne i vuoti demografici".

PA 414: Allo stesso tempo, vi furono, da parte del sovrano, anche tentativi – non del tutto riusciti – di "fondare o rifondare grandi centri abitati come Augusta o Eraclea"; mentre, al fine di conservare un maggiore controllo sui centri più rilevanti – più che per garantirne la difesa – fu avviato il potenziamento o la realizzazione ex novo di "una rete di fortificazioni regie sovrapposte a quella delle città e delle terre, ma da essa sostanzialmente indipendente".

PA 414: Tali scelte, in sostanza, sebbene finalizzate alla crescita demografica dei centri demaniali, non comportarono una "effettiva estensione dell'incidenza giurisdizionale e amministrativa" della corona e portarono, di convesso, alla distruzione dei casali rurali e allo spopolamento delle campagne.

PA 414-415: In età federiciana, la Sicilia fu suddivisa in due vaste circoscrizioni delimitate dal corso del fiume Salso. I due giustizierati, che nelle Costituzioni di Melfi sono detti anche provincie o regiones, erano affidati a funzionari – i giustizieri – che avevano autorità sulla giurisdizione criminale, ma al cui ufficio competevano anche "i massimi compiti organizzativi, militari e di polizia". Tali attribuzioni configuravano i giustizieri come i "maggiori ufficiali territoriali". Nelle Costituzioni di Melfi si stabilisce che al giutiziere competono le causae capitales, ovvero le cause penali – che vengono distinte in latrocinia scilicet, magna furta, fracturae domorum, insultus excogitati, incendia, incisiones arborum fructiferarum et vitium, vis mulieribus illata, duella, crimina maiestatis, arma molita, defensae impositae et generaliter omnia, dequibus convicti poenam sui corporis velmutilationem membrorum sustinere deberent – le cause civili in assenza del giudice competente (camerario o baiulo), le cause relative ai feudi quaternati. È fatto divieto al funzionario di esercitare il proprio ufficio nelle provincia di nascita o di residenza.

PA 415-416: L'esazione fiscale, invece, era affidata a funzionari detti Secreti: uno risiedeva in Palermo e l'alto a Messina, ciascuno competente sul rispettivo giustizierato. Ai Baiuli, figura già presente in età normanna, competeva la giustizia civile e l'amministrazione locale: essi esercitavano il loro ufficio in ambiti territoriali ristretti che potevano essere rappresentati da città o terre del demanio reale. I Camerari, infine, erano funzionari nominati dai Secreti e avevano cognizione del secondo grado delle cause civili (appello) e competenze fiscali in ambito locale.

PA 416: Secondo il Corrao, i due giustizierati isolani, che raggiungevano dimensioni assai vaste, mancarono di una "effettiva coerenza territoriale", poiché, ricomprendendo dai grandi centri urbani alle aree rurali e agrarie, aggregavano entità eterogenee, realtà molto diverse e non coordinate fra loro, "sulle quali avrebbe dovuto esercitarsi un controllo capillare". A tali criticità si ovviò – almeno per quanto riguardava l'esazione fiscale e l'attività giurisdizionale dei camerari – indicando ai due secreti di suddividere il territorio di propria competenza in un maggior numero di circoscrizioni – ciascuna delle quali, come detto, era affidata a un camerario – che fossero omogenee e non eccessivamente estese. A titolo di esempio, l'autore cita un ordine imperiale, diretto al secreto di Messina, con il quale il sovrano indicava al funzionario di suddividere la Sicilia orientale in tre circoscrizioni da affidare ad altrettanti camerari. Ancora, viene citato un altro documento nel quale si fa menzione di un camerario per la Contea di Geraci e le partes di Cefalù e Termini, nominato dal secreto di Palermo.

PA 417: Il Corraro, però, ravvisa che, per l'amministrazione della giustizia – relativamente all'attività dei baiuli (giustizia civile a livello locale), dei giustizieri (giustizia penale nell'ambito del giustizierato) e degli organi centrali itineranti (giudici della Corte regia e Maestro Giustiziere) – non si riuscì ad avere un sistema che consentisse una interrelazione, su base gerarchica e territoriale, tra i diversi funzionari; poiché tali figure mancavano di interfacciarsi tra loro e le relazioni tra esse avvenivano per via indiretta attraverso i rapporti che ciascun funzionario intratteneva con la Corte regia. Una possibile soluzione a tale criticità fu proposta a Messina nel 1232: fu, infatti, suggerito che le curie locali (organi convocati convocati occasionalmente per correggere gli abusi degli funzionari reali) si riunissero con regolarità (a Piazza per la Sicilia, a Cosenza per le Calabrie, a Gravina per le Puglie e la Basilicata, a Salerno per la Terra di Lavoro e i Principati, e a Sulmona per l'Abruzzo), affidando loro la funzione di integrazione dell'attività dei diversi giudici territoriali, ma la proposta restò inattuata.

PA 417-418: In età angioina – sebbene la presenza francese sull'isola non si protrasse che per meno di due decenni – vi fu una sostanziale continuità con le istituzioni federiciane. Dopo la guerra del Vespro del 1282, e nei successivi 70-80 anni, si assisté, con i sovrani Aragonesi, a una progressiva e radicale trasformazione del "modello di ripartizione delle giurisdizioni territoriali pubbliche" del Regno di Trinacria. Dopo il suo insediamento, Pietro III di Aragona non soppresse il sistema dei giustizierati – relativamente all'esazione fiscale – ma articolò la suddivisione amministrativa del regno, organizzando gli ampi giustizierati in circoscrizioni di secondo livello, cosicché, "in un gioco di ripartizioni e di accorpamenti molto complesso", in parte, si ripristinavano gli antichi valli, comunque riformati e riorganizzati, e, in parte, si istituivano nuove circoscrizioni, al fine di ottenere "entità territoriali strutturate in base a caratteristiche di maggiore omogeneità".

PA 418: Fu istituito, così, il giustizierato di Palermo, che ricomprendeva il maggiore centro dell'isola, ma anche i suoi dintorni – probabilmente i territoria di Monreale e Carini, nonché le altre aree circostanti la capitale concesse a titolo feudale – e che, quindi, diveniva autonomo dal Vallo di Mazara e dall'autorità del giustiziere di quest'ultimo. Ancora, furono riorganizzati e ricompresi in un'unica circoscrizione i territori del Val Demone, del Vallo di Castrogiovanni e del Vallo di Milazzo. In questo modo, il vallo "ritagliato attorno al maggiore centro della Sicilia interna" veniva accorpato alla Sicilia nordorientale, ovvero al Val Demone, al cui interno si individuava il piccolo Vallo di Milazzo, "coincidente con il territorio del grosso centro fortificato della costa settentrionale - e cioè con la sua piana, area geograficamente omogenea e fortemente differenziata rispetto alla tormentata struttura orografica del Val Démone". Singolare fu anche l'istituzione del giustizierato che ricomprendeva la Contea di Geraci, il territorio di Cefalù (partes Cephaludi) e il territorio di Termini (partes Termarum). In sostanza, era stata creata una circoscrizione eterogenea che riuniva "un grande complesso signorile – la Contea di Geraci – e i territoria dei due centri demaniali ad essa adiacenti, Cefalù e Termini".

PA 419: Furono ripristinati, poi, il Vallo di Agrigento e il Val di Noto, ciascuno con un proprio giustiziere; mentre un funzionario, che teneva sia la carica di giustiziere, sia quella di capitano, fu insediato a Malta, che veniva a formare, quindi, una circoscrizione separata rispetto al Val di Noto. In una lettera di Pietro III del 24 ottobre 1282, indirizzata ai giustizieri di Sicilia, si possono evincere i nomi dei funzionari insediati nei diversi giustizierati del regno: Caro di Palmerio fu giustiziere di Palermo; Natale Ansalone fu giustiziere del Vallo di Castrogiovanni, Démone e Milazzo; Bonifacio Camarano fu giustiziere del Val di Noto; Ruggero Mastrangelo fu giustiziere nella Contea di Geraci; Berardo Ferro fu giustiziere del Vallo di Agrigento; Ugo Tallac fu giustiziere del Val di Mazara. Durante il regno di Federico III, con alcune disposizioni legislative, il sovrano formalizzò la riforma avviata da Pietro d'Aragona, stabilendo che la Sicilia fosse suddivisa in quattro valli, Val Demone, Vallo di Mazara, Val di Noto e Vallo di Castrogiovanni, e nei territori di Palermo e Messina, amministrati rispettivamente da un giustiziere e da uno stratigoto. Ad ogni modo, il Corraro evidenzia come nella realtà la ripartizione territoriale fosse più frammentata: "si manifestava già la tendenza a far coincidere le cariche di Capitano dei grandi centri demaniali con quelle di giustiziere locale"; egli, infatti, cita quel esempio il giustiziere e capitano di Trapani.

PA 419-421: Sin dai primi anni del XIV secolo, però, l'ordinamento territoriale della Sicilia cominciò a subire una lenta, ma radicale, trasformazione, dovuta, da un lato, all'emergenza militare permanente, che stava interessando il regno, e, dall'altro, all'emergere di posizioni egemoniche dei maggiori lignaggi aristocratici dell'isola. Ciò si tradusse nella riduzione delle dimensioni delle circoscrizioni amministrative (che andarono a "coincidere con lo schema di distrettuazione, mai venuto meno, che aveva la propria unità di base nel territorium dei centri abitati demaniali, civitates, terre, castra") e comportò, in virtù di tale frammentazione del territorio, una minore capacità di controllo, sul territorio stesso, da parte della monarchia e una contestuale crescita del potere delle oligarchie locali (il cui peso nel governo del regno crebbe enormemente nel corso del secolo).

PA 422-423: Allo stesso tempo, lo stato di emergenza militare permanente rese necessaria l'adozione di provvedimenti miranti alla difesa e alla militarizzazione del territorio, un territorio caratterizzato da "una rete di centri di dimensioni medio-grandi, fortificati, e da una campagna spopolata e sostanzialmente priva di una rete di insediamenti agrari sparsi". In tale fase assunse un ruolo preminente la figura del "capitano". Funzionario diverso dal capitano presente in età federiciana (che, insieme al Maestro Giustiziere, era dotato di compiti simili a quelli dei Giustizieri), il capitano di età aragonese aveva inizialmente funzioni esclusivamente militari, riguardanti la difesa e l'organizzazione del territorio. L'emergenza in corso, però, fece sì che il capitano, che era l'unico ufficiale presente in tutte le "civitates e terre del demanio" (aveva competenza sul centro abitato e sulla campagna immediatamente circostante), assumesse anche compiti giurisdizionali e di governo. A tal proposito il Corraro cita quale esempio il capitano di Siracusa, nominato nel 1282.

PA 423: In sostanza, "la carica capitaniale (o, altrimenti, rettoriale) assumeva le caratteristiche di incarico plenipotenziario": l'ufficio del capitano si poneva al di sopra di tutti gli altri funzionari ed era subordinato soltanto all'autorità del sovrano (che in campo giurisdizionale conservava la competenza sull'alta giustizia criminale); il capitano, inoltre, aveva funzioni di controllo sulle elezioni degli ufficiali locali. Nella sostanza si era venuta a configurare una vera e propria sovrapposizione e concorrenza tra la figura del giustiziere di vallo e quella del capitano. In taluni casi, quindi, i capitani sottraevano, semplicemente, porzioni di territorio alla giurisdizione del giustiziere; in taluni altri casi, invece, il capitano assumeva, direttamente, anche il titolo di giustiziere. A tal proposito, il Corraro cita, quale esempio, la nomina, nel 1317, del capitano di Cefalù, Polizzi e Termini. Tra il 1320 e il 1360, nell'arco di pochi decenni, il "sistema dei giustizierati", pur essendo esso formalmente in essere, andò, nella sostanza, dissolvendosi: l'autorità giurisdizionale divenne esclusiva competenza dei capitani e la suddivisione amministrativa del territorio ne risultò assai modificata: si ebbero, infatti, delle circoscrizioni, meno estese rispetto ai valli, che coincidevano con il territorio afferente alle città demaniali. La redistribuzione dei poteri tra capitani e giustizieri si configurò come un mutamento radicale, tanto che il sovrano Federico IV, nel 1363, poté affermare:

«vale più oggi essere capitano di una terra che Giustiziere di una provincia.»

Il fatto, poi, che in tale periodo non si abbia riscontro di alcuna nomina per la carica di giustiziere può essere interpretato come il "superamento di fatto del sistema dei giustizierati" e come "la definitiva affermazione dell’assetto capitaniale del territorio del regno".

PA 424-425: Il nuovo assetto territoriale, inoltre, condusse anche al "superamento del modello pluriarticolato delle circoscrizioni giudiziarie, amministrative e fiscali" – che prevedeva la presenza di funzionari e di circoscrizioni amministrative con dimensioni differenti per la fiscalità, la giustizia penale e la giustizia civile – a favore di un sistema semplificato in cui " circoscrizioni giudiziarie civili e criminali, fiscali, amministrative venivano così a coincidere con i territori delle città".

PA 424: Per l'esazione fiscale, i due secreti, uno per la Sicilia ultra Salso e l'altro per la Sicilia citra Salso, furono sostituiti da un unico Maestro Secreto del regno al quale facevano capo i vice secreti, stanziati delle città e terre del demanio (facevano eccezione Palermo, Catania e Messina, le maggiori città dell’isola, che erano rette da secreti autonomi, non subordinati al Maestro Secreto). Per la giustizia civile, permase la figura del baiulo, la cui elezione diveniva prerogativa delle singole universitates, che aveva anche "suprema responsabilità amministrativa a livello locale, inclusa la sovrintendenza della ripartizione dei carichi fiscali".

PA 424: Il nuovo ordinamento territoriale, fatto di piccole circoscrizioni aventi quali centro privilegiato la città, ben "si prestava all'assunzione da parte degli esponenti delle oligarchie locali di tutti i poteri pubblici" relativi alle circoscrizioni stesse. In un siffatto sistema, che sopravvisse alla guerra, ovvero alla condizione che lo aveva generato, la progressiva crescita del potere delle aristocrazie su terre e città comportò un indebolimento del potere monarchico, che vide il suo picco negativo nella seconda metà del XIV secolo.

PA 424-425: Quando, durante l'ultimo decennio del secolo, la Corona riuscì a pacificare l'isola, l'antica organizzazione del territorio non poté più essere restaurata. Il tentativo di ripristinare i giustizierati di vallo fallì, mentre rimase in vigore "l'articolazione in distretti facenti capo a un centro demaniale dove risiedevano e esercitavano i rispettivi poteri Capitano, Vicesecreto e Baiulo". A tale sistema, congeniale agli interessi dell'aristocrazia isolana, la Corona riuscì ad apportare alcuni correttivi: fu ripristinato la dipendenza gerarchica di giudici e funzionari rispetto alla Gran Corte centrale e al sovrano. In questo modo, anche la monarchia riuscì a trarre un certo vantaggio dal consolidamento dei poteri delle oligarchie locali, trovando in queste "conseguimento sicuro del controllo politico e sociale e dei profitti fiscali". I privilegi e gli interessi della nobiltà, non venivano, comunque, lesi: i funzionari pubblici erano costretti a limitare la propria giurisdizione alla città e alla campagna direttamente pertinente il centro abitato, mentre i domini feudali restavano sotto il completo controllo dei rispettivi signori.

PA 434: Veniva fissata, in questo modo, una rilevante distinzione, quella fra territori feudali e città demaniali. Nel 1398, infatti, proprio con il proposito di ristabilire l'autorità reale sui centri demaniali, Martino I, in un'assemblea parlamentare tenutasi in Siracusa, fece redigere un elenco delle città e terre appannaggio della Corona, dal quale risultò una lista comprendente "circa quaranta grandi centri abitati", nei quali risiedevano i funzionari pubblici (capitani, castellani, vicesecreti, viceportulani, baiuli). In questo modo, da un lato, venne ufficialmente riconosciuta una situazione di fatto ormai irreversibile e, dall'altro, fu formalizzata una organizzazione amministrativa in cui i centri demaniali costituivano "l'ossatura dell'ordinamento territoriale del regno"

PA 435: Un documento dei primi anni del XV secolo (la cui autenticità, però, è messa in dubbio da alcuni autori) descrive il territorio del Regno di Sicilia individuando tutti feudi dell'isola, i quali sono ordinanti, sia all'interno dei tre Valli tradizionali, sia all'interno di territoria o tenimenta, identificati in base ai centri demaniali dell'isola.

Antonino Marrone[modifica | modifica wikitesto]

ARABI
PA 17 nota 1: Durante l'ultima fase della sovranità araba in Sicilia, l'Isola era suddivisa in potentati governati da funzionari detti caid. Trapani, Marsala, Mazara, Sciacca e la parte più occidentale della Sicilia erano parte del potentato di Abd Allah ibn Makut. L'area di Castronovo e Castrogiovanni costituiva il potentato di Ibn al-Hawwas. Il circondario di Catania formava il potentato di Ibn al-Maklati. Palermo fu inclusa nel potentato di al-Hasan fino a quando costui non fu scacciato e il potere fu assunto da notabili locali. Siracusa, invece, fu conquistata da Ibn ath-Thumna[16].

NORMANNI
PA 17: Assunto il controllo della Sicilia, i Normanni riorganizzarono il territorio isolano dal punto di vista amministrativo e religioso, istituendo circoscrizioni territoriali che tenevano conto sia del preesistente impianto politico-amministrativo arabo, sia dei confini delle antiche diocesi in cui era organizzata l'Isola.

PA 17: Al riguardo, Antonino Marrone, facendo riferimento alle ricerche di Henri Bresc, cita per il periodo normanno-svevo quattro valli: Val Demone, Val di Noto, Vallo di Castrogiovanni e Vallo di Mazara.

SVEVI
PA 17-18: La riforma amministrativa voluta da Federico II comportò una differente ripartizione del territorio isolano, che fu suddiviso in due grandi circoscrizione (una orientale e una occidentale), il cui confine naturale era rappresentato dal corso del fiume Salso; da ciò esse furono denominate Sicilia citra Salsum e Sicilia ultra Salsum. Per ciascuna provincia esisteva un Maestro Giustiziere preposto all'amministrazione della giustizia e dell'ordine pubblico e un secreto, incaricato dell'esazione fiscale.

PA 18: I due giustizierati al di qua e al di là del Salso erano a loro volta suddivisi in unità amministrative di secondo livello. Infatti, avendo i giustizieri l'obbligo di "amministrare la giustizia nei luoghi di residenza degli imputati, o nelle più immediate vicinanze" e visto l'ampio territorio che abbracciavano i due giustizierati, l'Imperatore ripartì ciascuno di essi in circoscrizioni più piccole, che, in alcuni casi, ricalcarono i confini dei valli normanni e, in altri, comportarono l'istituzione di nuovi distretti. Al riguardo, Antonino Marrone afferma che ai valli di Demona, Noto, Castrogiovanni e Mazara, si aggiungono Milazzo e Girgenti; similmente, anche per l'amministrazione fiscale, furono individuate delle sotto-circoscrizioni: da documenti dell'epoca, ad esempio, si desume che per il territorio composto dalla Contea di Geraci e dalle partes di Cefalù e Termini fu stabilito uno camerario, nominato dal secreto di Palermo.

PA 20: Il confine tra i due giustizierati era rappresentato dai fiumi Salso e Tusa. Il Salso, che sfocia nel mar Mediterraneo, e il Tusa, che sfocia nel mar Tirreno, erano idealmente uniti da una linea immaginaria che congiunge le loro sorgenti poste, per il primo, presso la Portella di Balurco, a 1120 metri sul livello del mare, e per il secondo, presso la Timpa d'Ariddu, a 1347 metri sul livello del mare.

PA 20 nota 11: Facevano parte della Sicilia ultra Salso, oltre ai principali centri urbani quali Palermo, Mazara, Girgenti e Termini, anche Geraci, Petralia Soprana, Petralia Sottana, Ypsigro, Fisaula, San Mauro, Cefalù, Tusa, Pollina, Asinello, Gratteri, Collesano, Polizzi, Caltavuturo, Montemaggiore e Sclafani. Facevano parte della Sicilia citra Salso, oltre ai principali centri della Sicilia orientale, anche Gangi, Castelluzzo, Mistretta con casali, Capizzi e Cerami, Piazza, Pietraperzia, Asaro, Nicosia e Rahalgiovanni.

PA 18: Durante il regno di re Manfredi, i valli acquisirono anche valenza di circoscrizioni militari, come testimonia il fatto che nel 1255 Enrico Abbate veniva denominato "capitaneus in Valle Mazarie".

ANGIOINI
PA 18: Durante il breve regno angiono, Carlo d'Angiò mantenne la suddivisione della Sicilia in due giustizierati, ma le funzioni dei valli vennero fortemente ridimensionate.

ARAGONESI
PA 18-19: Assunto il controllo della Sicilia in seguito alla guerra del Vespro, Pietro d'Aragona intervenne nell'organizzazione amministrativa del regno. Il sovrano attribuì alle due grandi divisioni al di qua e al di là del Salso valore di circoscrizioni fiscali, che facevano capo a secreti e maestri procuratori e ai maestri portolani. Dal punto di vista dell'amministrazione della giustizia, le circoscrizioni stabilite dal re aragonese furono sette, ciascuna delle quali affidata a un giustiziere. A loro volta i giustizieri erano subordinati al maestro giustiziere del Regno.

PA 19: Dal 1282, quindi, le funzioni concernenti l'amministrazione della giustizia e il mantenimento dell'ordine pubblico furono attribuite esclusivamente ai valli. Pietro d'Aragona conferì la carica di giustiziere a sette funzionari, che ebbero giurisdizione su specifiche ambiti territoriali:

In particolare, durante la complessa fase di transizione dall'amministrazione angioina a quella aragonese, il sovrano assegnò ai sette giustizieri anche compiti di natura fiscale e militare.

PA 19-20: Antonino Marrone fa notare come sia significativo che, al fine di legittimare la continuità tra la Casa di Svevia e la dinastia aragnese, Pietro fu orientato, non solo al ripristino delle istituzioni federiciane, ma anche al ricorso alle costituzioni melfitane per la nomina dei giustizieri.

---Messina
PA 20: Giacomo I, con privilegio del 15 dicembre 1283 e con il benestare della regina madre Costanza di Hohenstaufen, concesse allo stratigoto di Messina "poteri giurisdizionali propri dei giustizieri". L'atto sovrano stabiliva:

«che nessun messinese potesse essere convenuto nella propria città se non nella corte dello stratigoto e dei giudici per qualunque causa civile o penale, eccetto per i feudi e i crimini di lesa maestà [...], che nessun messinese potesse esser convenuto fuori la propria città, se non per gli appelli.»

PA 20-21: Venti anni più tardi, con privilegio del 1º ottobre 1302, Federico III incluse nella giurisdizione dello stratigoto messinese un vasto territorio che comprendeva la terra di Taormina fino al fiume Alcantara e il Vallo di Milazzo. Tali territori furono sottratti, quindi, al Vallo di Demona, Castrogiovanni e Milazzo, che assunse la denominazione di Vallo di Demona e Castrogiovanni.

---Milazzo
PA 20-21, nota 14: Da un documento del 1375, si evince che il Piano di Milazzo includeva le città di: Milazzo, Santa Lucia, Castroreale, Tripi, Nucaria, San Pietro sopra Patti, Rametta, Monforte, Scaletta e Savoca. Antonino Marrone fa notare, però, che potrebbero esserci delle imprecisioni, poiché il vallo era interamente affacciato sul Tirreno, mentre gli ultimi due centri menzionati nel citato documento si affacciano sullo Ionio.

---Demona, Castrogiovanni e Milazzo
PA 21, nota 15: Citando il De Rebus Regni Siciliae, Antonino Marrone riporta un elenco di centri urbani inclusi nel vallo: Castiglione, Climastado, Roccella, Randazzo, Patti, Castrogiovanni, Piazza, Aidone, Pietraperzia, Racalgiovanni, Gangi, Castelluccio, Mistretta, Capizzi, Cerami, Nicosia, Asaro, San Giovanni di Argirostono (recto San Filippo di Argirione, Agira), Gagliano, Mascali, Pettineo, Sparti, Raitano, Santo Stefano, Librizzi, Zuppardino, Sant'Angelo di Brolo, Anca e Lisicò, Tortorici con i suoi casali, Galati e Longi, Mirto con i suoi casali, Naso con i suoi casali, Casale di maestro Nicola, Raccuja e Ucria, Ficarra con i suoi casali, San Marco, Militello, Alcara, San Fratello, Troina, Regalbuto, Paternò, Bolo[17].

---Geraci e Girgenti
PA 21: Tra il 1285 e il 1286, la Contea di Geraci e parti di Termini e Cefalù, che, tra gli altri, includeva anche il territorio di Polizzi, fu aggregata al Vallo di Agrigento, che assunse la nuova denominazione di Val di Agrigento, Contea di Geraci e parti di Termini e Cefalù. Dopo il 1292, probabilmente in concomitanza con l'infeudazione della contea di Geraci a Enrico Ventimiglia, quest'ultimo territorio fu sottratto alla giurisdizione del giustiziere di Girgenti, per cui, la circoscrizione assunse la nuova denominazione di Val di Agrigento e parti di Cefalù e Termini.

PA 21, nota 17: Antonino Marrone riporta un elenco di centri urbani che, intorno alla fine del XIII secolo, erano inclusi nel giustizierato di Val di Girgenti e parti di Termini e di Cefalù: Sciacca, Caltabellotta, Caltanissetta, Biviano, Rachalmuni, Delia, Naro, Racalmuto, Adragna, Misilcassimo, Melia, Bivona, Santo Stefano, Montemaggiore, Caltavuturo, Petralia Soprana e Petralia Sottana.

---Mazara
PA 21-22, nota 18: Antonino Marrone riporta un elenco di centri urbani che, intorno alla fine del XIII secolo, erano inclusi nel Vallo di Mazara: Trapani, Salemi, Marsala, Corleone, Sala e Bisacquino.

---Noto
PA 22, nota 19: Antonino Marrone riporta un elenco di centri urbani che, intorno alla fine del XIII secolo, erano inclusi nel Val di Noto: Catania, Aci, Augusta, Siracusa, Avola, Noto, Modica, Scicli, Ragusa, Odogrillo[18], Eraclea, Bufera, Caltagirone, Alchila, Mineo, Palagonia, Lentini, Sciortino[19], Buccheri, Giarratana, Palazzolo, Buscemi, Licodia, Favara, Vizzini, Gulfi e Ferla.

---Calabria aragonese
PA 22: Durante il regno di Pietro I di Sicilia, suo figlio naturale, Giacomo Perri, nominò Gregorio di Malgerio quale giustiziere per i territori calabresi occupati dalle armate siculo-aragonesi. Lo stesso re Pietro I, però, con una missiva del 15 febbraio 1283, revocò l'incarico al funzionario. Sebbene non vi siano fonti attestanti altre nomine di parte aragonese a giustiziere di Calabria, di tale giustizierato si fa menzione in documenti del 1294, del 1296 e 1297. Secondo Antonino Marrone, è verosimile che il giustizierato aragonese di Calabria sia rimasto in vigore fino al regno di Federico III. Nel 1318, infatti, i territori oltre lo stretto controllati dagli aragonesi di Sicilia furono ceduti al Pontefice che, li trasferì agli Angioini, che dominavano il Regno di Napoli.

---Trapani e Adernò
PA 22-24: Tra il 1311 e il 1329, la città di Trapani fu dotata di un proprio giustiziere o, più probabilmente, di un capitano con funzioni giudiziarie, la cui giurisdizione si estendeva su una limitata porzione di territorio. Anche la Contea di Adernò fu dotata di un capitano giustiziere, di cui si fa menzione in un documento del novembre 1348.

PA 24, nota 25: Antonino Marrone riporta i nominativi di tre giustizieri di Trapani: Rodorico Garsia Villana (Villaygua), giustiziere nel 1311-12; Bartolomeo Montaperto, giustiziere nel 1325-26; Rainaldo Milite, giustiziere nel 1327-28 e nel 1328-29.

ARAGONESI (2)
PA 26: Nel 1296, con le costituzioni emanate da Federico III all'atto della sua incoronazione, si stabiliva che il Regno fosse suddiviso in quattro valli e nelle circoscrizioni periurbane di Palermo e Messina (nessun accenno si faceva all'arcipelago di Malta).

---Capitanie durante i regni di Ludovico e di Federico IV
PA 30-31: Dal 1348 al 1362, la Sicilia fu sconvolta dalla guerra civile: il particolare stato dell'Isola non consentì ai giustizieri il normale espletamento delle proprie funzioni. In conseguenza di ciò, la corona delegò l'amministrazione della giustizia criminale alla figura del "capitano". Tale autorità, che nelle città e terre demaniali era nominata dal re, mentre nelle città e terre feudali era nominata dal feudatario, non aveva, in origine, funzioni di amministrazione della giustizia, ma esse erano connesse esclusivamente alla difesa del territorio affidatogli, che poteva comprendere anche diverse università. I capitani, che assunsero il nome di "capitani a guerra", furono investiti, dunque, di poteri giudiziari e la loro nomina divenne di competenza diretta del sovrano.

PA 31-32: Dal 1361, i capitani a guerra assunsero la denominazione di capitani con cognizione delle cause criminali e, nonostante la fine della guerra civile, continuarono a mantenere le funzioni di amministrazione della giustizia fino all'inizio degli anni '70, quando, Federico IV ripristinò la figura del giustiziere e le funzioni dei valli.

PA 32-33: Nel 1373, Federico IV dispose il ripristino della carica di giustiziere. Furono così nominati nuovi giustizieri per il Vallo di Mazara, il Vallo di Girgenti e parti di Cefalù e Termini, il Vallo di Castrogiovanni e Demina, e il Val di Noto. Nei quattro valli, il ruolo di giustiziere era rimasto scoperto per circa 22 anni, nelle circoscrizioni di Palermo, Messina e Malta, invece, la carica di giustiziere era stata regolarmente ricoperta, ad eccezione di quei periodi in cui Palermo e Messina erano state strappate all'autorità regia, rispettivamente, dai Chiaromonte e dagli Angioini. A Malta, invece, la carica di giustiziere era stata ricoperta da Giacomo Peregrino dal 1356 al 1372, anno in cui, Federico IV, con un'operazione militare estromise il funzionario e nominò Guglielmo Murina (e i suoi successori), "capitano con cognizione delle cause criminali".

PA 33: Dopo il ripristino dei giustizieri nei quattro valli, i nuovi funzionari si trovarono, però, a esercitare il loro ufficio in ambiti territoriali ridotti rispetto all'estensione delle circoscrizioni amministrative. I giustizieri, infatti, furono estromessi dallo svolgimento delle proprie funzioni giurisdizionali in quelle terre e città (feudali o demaniali) nelle quali, negli anni precedenti, il sovrano aveva incaricato dell'amministrazione della giustizia penale i feudatari o i capitani con cognizione delle cause criminali. Inoltre, tra il 1373 e il 1376, le porzioni di territorio sottratte alla competenza dei giustizieri crebbero ulteriormente. Causa dell'esclusione di tali territori dalla giurisdizione dei giustizieri è da ricercarsi in una successione di eventi negativi (carestie del 1373 e del 1374 con la conseguente triplicazione dei prezzi; recrudescenza di una epidemia di peste, elevata pressione fiscale) che comportò una serie di rivolte popolari in specie nelle città demaniali.

---Mazara
PA 33-34: Nel febbraio 1374, diversi centri demaniali del Vallo di Mazara furono interessati da insurrezioni popolari causate della carestia che aveva attanagliato la regione. I disordini più gravi si ebbero a Trapani e comportarono, quale conseguenza, l'allontanamento del conte Francesco Ventimiglia e della di lui famiglia dalle città di Trapani, Monte San Giuliano, Salemi e Corleone, centri di fino ad allora retti dal conte Ventimiglia.

PA 34: Federico IV decise, quindi, di affidare, nella quasi totalità delle città demaniali del Vallo, l'amministrazione della giustizia a dei capitani con cognizione delle cause criminali, che furono nominati in carica tra il marzo e l'aprile di quell'anno. Furono, pertanto, costituite le capitanie di Trapani (capitano Raineri Campolo), Monte San Giuliano, Marsala, Corleone e Salemi. La giurisdizione del giustiziere del Val di Mazara, Abuchio Filangeri, fu, quindi, ridotta, per i centri demaniali, alla sola Mazara. Nel giugno del 1376, fu istituita anche la capitania di Mazara.

---Castrogiovanni e Demina
PA 34: Nel Vallo di Castrogiovanni e Demina, la città demaniale di Patti e il territorio feudale di San Marco erano stati esclusi dalla giurisdizione del giustiziere del vallo sin dal ripristino di tale carica nel 1373, andando essi a formare un'unica capitania affidata a Vinciguerra Aragona, già feudatario delle terre di San Marco.

PA 34-35: Tra il 1374 e il 1375, una serie di tumulti interessò diverse città del vallo. Nicosia e Gagliano si sollevarono nella primavera del 1374, ma un intervento militare di Federico IV ripristinò prontamente l'ordine. Nel 1375, insorse la città di Piazza, già sede di capitania, e fu necessario un nuovo intervento armato della corona per pacificare il territorio piazzese.

PA 35: Nel 1375, poi, le terre demaniali di Castrogiovanni e Calascibetta furono sottratte alla competenza del giustiziere del vallo e furono costituite in capitanie.

---Girgenti
PA 35: Nel Vallo di Agrigento e parti di Cefalù e Termini, non si registrarono disordini, ma diverse furono le città e le terre sottratte alla competenza del giustiziere. Fu, infatti, costituita in capitania la stessa città di Agrigento; le università feudali di Naro, Delia, Montechiaro, Favara, Guastanella, Sutera, Castronovo, Mussomeli, Camastra, Prizzi, Misilmeri, Cefalà, Palazzo Adriano, Bivona, Caccamo e Muxaro furono escluse dalla giurisdizione del giustiziere del vallo; la terra di Cammarata fu elevata a capitania, così come la terra di Racalmuto.

---Noto
PA 36: Anche nel Val di Noto, alla competenza del giustiziere furono sottratti diversi centri feudali e demaniali, tra esse: la contea di Modica e la terra di Ragusa, Caltagirone, Lentini, Siracusa e, probabilmente, riporta Antonino Marrone, la stessa Noto.

---Messina
PA 36: Nel 1374, Il territorio di Messina fu occupato dalle truppe del conte Enrico Rosso, che ne riuscì a mantenere il controllo, fino al 1376. In particolare la riconquista del messinese, da parte delle forze reali, era stata rallentata dal riacutizzarsi dell'epidemia di peste. Nel giugno del 1376, il sovrano Federico IV nominò un nuovo stratigoto, ma il territorio rientrante nella giurisdizione di costui fu subito privato della terra di Taormina e, successivamente, anche di Francavilla di Sicilia, che furono affidate a capitani.

PA 36-37: Al 1376, dunque, "quasi tutte le città demaniali risultavano sottoposte alla giurisdizione dei capitani [...], cosicché l'ambito di operatività dei giustizieri rimaneva limitata quasi esclusivamente ai centri feudali [...]". Per il 1377, ultimo del regno di Federico IV, esiste, riporta Antonino Marrone, una scarsa documentazione, sicché non si ha notizia della nomina di nuovi capitani con cognizione delle cause criminali, mentre è nota la nomina di quattro capitani d'arme, uno per Milazzo, uno nel Vallo di Mazara, uno per la terra di Licata e uno per la città di Siracusa. Nonostante il tempo di pace, infatti, la nomina dei capitani d'arme si ripresentava ogniqualvolta vi fossero insorgenze popolari nei centri isolani.

PA 37: Il ripristino dei giustizieri di vallo voluto da Federico IV aveva in origine l'obiettivo di restituire l'amministrazione della giustizia penale a un ristretto numero di funzionari regi; tale obiettivo fu raggiunto solo parzialmente e ciò per due ordini di motivi: in primo luogo, le "precedenti concessioni vitalizie fatte ai maggiori feudatari del Regno", ai quali, negli anni precedenti, erano stati attribuiti nuovi diritti e territori; in secondo luogo, la "necessità di controllare con capitani [con cognizione delle cause criminali], nominati nei singoli centri, l'insofferenza di molte terre demaniali", la cui popolazione spesso si era trovata costretta a insorgere contro "i tentativi, talvolta riusciti, dei maggiori feudatari di assumere il controllo delle università", attraverso l'ottenimento di investiture regie, che venivano, di fatto, estorte al sovrano in momenti in cui questi si trovava in "ostaggio dalle diverse consorterie feudali". Nonostante tutto, riporta Antonino Marrone, è da riconoscere a Federico IV il merito di aver scelto, per la carica di capitano, elementi provenienti esclusivamente dalla media e piccola nobiltà a lui fedele e non funzionari "appartenenti alla classe dirigente dei centri demaniali o degli ambiti territoriali ove essi avrebbero dovuto operare". In questo modo, fu garantito, alle singole comunità, che i funzionari non appartenessero ad alcuna delle fazioni cittadine e fu possibile, in molti casi, sottrarre "le stesse comunità alla egemonia delle grandi famiglie feudali".

PA 37: Nel 1403, un nuovo tentativo di restaurare la carica di giustiziere (un giustiziere per ciascun vallo) fu attuato da Martino I, che suddivise l'isola in quattro valli e stabilì, nel capitolo 51 delle sue "Constitutiones", il ripristino di tale carica; pare, però, che questa norma non ebbe mai concreta applicazione.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ La città fu chiamata dagli arabi Marsa Alì ovvero porto di Alī; l'Amari ipotizza che il cambio di denominazione lasci supporre che l'antica città di Lilibeo fosse stata distrutta durante la conquista araba, o in epoca precedente, poiché, egli spiega, le città non abbandonate assai di rado presero novelli nomi.
  2. ^ Nel riferirsi a tale vallo, l'Amari adotta, in tale occasione, il toponimo Vallo di Girgenti
  3. ^ Dimnsac è da pronunciarsi, precisa l'Amari, con la terminazione nel suono che daremmo alla s e alla e unite dinanzi una i, ossia quello della eh in francese e sh in inglese.
  4. ^ Al riguardo, l'Amari cita lo storico curdo Ibn-el-Atbir, il quale, ancorché vissuto nel XIII secolo, trascrisse gli eventi risalenti dal IX secolo. Michele Amari, p. 468
  5. ^ Al riguardo l'Amari cita il cronista arabo Nowairi riportato in Rosario Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 16. Michele Amari, pp. 468-469
  6. ^ Ottavio Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 96; in Michele Amari, p. 469
  7. ^ Giovanni Battista Caruso, Bibliotheca Historica Regni Siciliae, tomo I, p. 181; e Lodovico Antonio Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo V, p. 539; in Michele Amari, p. 469
  8. ^ Rocco Pirro, Sicilia Sacra, p. 495; in Michele Amari, p. 469
  9. ^ a b Rocco Pirro, Sicilia Sacra, p. 1021; in Michele Amari, p. 469
  10. ^ Rocco Pirro, Sicilia Sacra, p. 383; in Michele Amari, p. 469
  11. ^ a b Rocco Pirro, Sicilia Sacra, p. 1027; in Michele Amari, p. 469
  12. ^ Rocco Pirro, Sicilia Sacra, p. 974; in Michele Amari, pp. 469-470
  13. ^ Rocco Pirro, Sicilia Sacra, p. 975; in Michele Amari, p. 470
  14. ^ Michele Amari, p. 470
  15. ^ Mario Caravale, Le istituzioni del Regno di Sicilia tra l'età normanna e l'età sveva, in Clio: rivista trimestrale di studi storici, n. 3, Roma, Elsinore Editrice, 1987, pp. 373-422, ISSN 0391-6731 (WC · ACNP).
  16. ^ Ferdinando Maurici, Breve storia degli arabi in Sicilia, Palermo, Flaccovio, 1995, p. 104, ISBN 88-7804-403-6ISBN non valido (aiuto).
  17. ^ Situato nei pressi di Bronte, pare che l'abitato di Bolo fu abbandonato nel 1535, per ordine di Carlo V.
  18. ^ I resti di un muro del castello di tale antico casale insistono sul territorio dell'odierna Acate.
  19. ^ Oggi frazione di Tortorici.