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Giove (astronomia): differenze tra le versioni

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=== Nell'antichità ===
=== Nell'antichità ===


Il pianeta è ben conosciuto sin dai primordi dell'umanità, data la sua grande luminosità che lo rendei Giove, e più in generale di tutti i pianeti visibili ad occhio nudo ([[Mercurio (astronomia)|Mercurio]], [[Venere (astronomia)|Venere]], Marte, Giove per l'appunto e [[Saturno (astronomia)|Saturno]]), rriere della Sera]] | giorno=30| mese=05| anno=1999|accesso=28-03-2009}}</ref>
Il pianeta è ben conosciuto sin dai primordi dell'umanità, data la sua grande luminosità che lo rende molto ben visibile ad occhio nudo nel cielo notturno.

Books}}</ref><ref>{{cita pubblicazione| autore= Y. Chee-Kuen| titolo= Gems of the ancient Chinese astronomy relics| id= ISBN 962-7797-03-0| rivista= Mercury| volume= 35| numero= 6| pagine= 42| data= novembre-dde Ganimede? |autore=Adriano Gaspani |accesso=11-02-2009}}</ref> Il pianeta gigante rivestiva una grande importanza, in quanto ritenuto foriero di prosperità, ed era noto, al tempo della [[dinastia Zhou]], con il nome ''Sui Xing'', che significa ''Il Pianeta dell'Anno''.<ref name=Gaspani/> La sua importanza era tale che l'imperatore nominava direttamente un funzionario astronomo il cui compito specifico era l'osservazione del pianeta, di cui doveva registrare scrupolosamente la posizione rispetto alle costellazioni zodiacali, gli spostamenti al loro interno, e perfino il suo colore:<ref name=Gaspani/> se questo appariva tendente al rosso l'opulenza avrebbe regnato nelle regioni dell'impero situate geograficamente verso la direzione in cui il pianeta era visibile nel cielo; se invece il colore era giallo allora la prosperità era da ritenersi diffusa su tutto l'impero.<ref name=Gaspani/>
[[File:A Happy Conjunction.jpg|thumb|left|230px|Una [[congiunzione (astronomia)|congiunzione]] della [[Luna]] con Venere (in alto) e Giove.]]

Una delle prime civiltà a studiare i moti di Giove, e più in generale di tutti i pianeti visibili ad occhio nudo ([[Mercurio (astronomia)|Mercurio]], [[Venere (astronomia)|Venere]], Marte, Giove per l'appunto e [[Saturno (astronomia)|Saturno]]), fu quella [[Assiria|assiro]]-[[Babilonesi|babilonese]]. Mossi da intenti più [[astrologia|astrologici]] che "scientifici", gli astronomi di corte dei re babilonesi riuscirono a determinare con precisione il periodo sinodico del pianeta; inoltre, si servirono del suo moto attraverso la [[sfera celeste]] per definire le dodici costellazioni dello [[zodiaco]].<ref name="etymologyonline"/> Tuttavia, la scoperta negli archivi reali di [[Ninive]] di tavolette recanti precisi resoconti di osservazioni astronomiche e il frequente rinvenimento di parti di strumentazioni a probabile destinazione astronomica, come lenti di cristallo di rocca e tubi d'oro (datati al [[I millennio a.C.]]), indussero alcuni [[archeoastronomia|archeoastronomi]] ad ipotizzare che la civiltà assira fosse già in possesso di un "prototipo" di [[cannocchiale]], con il quale si ritiene sia stato possibile osservare anche Giove.<ref name=assiri>{{cita news| url= http://archiviostorico.corriere.it/1999/maggio/30/Gli_Assiri_avevano_telescopio_co_0_9905304794.shtml | titolo= Gli Assiri avevano il telescopio|autore= Viviano Domenici| editore= [[Corriere della Sera]] | giorno=30| mese=05| anno=1999|accesso=28-03-2009}}</ref>

Uno tra i primi a formulare questa ipotesi è stato negli [[anni 1970|anni settanta]] il fisico G. A. Kryala, dell'[[Università dell'Arizona]]. Egli ritiene che grazie a queste strumentazioni gli astronomi babilonesi siano riusciti, postulando che il pianeta orbitasse attorno al Sole secondo un'orbita circolare e anticipando così di diversi secoli la formulazione dell'ipotesi del [[sistema eliocentrico]], a scoprire che Giove era il pianeta più grande tra i cinque allora conosciuti. Secondo Kryala, sebbene diverse tavolette cuneiformi fossero un segreto di Stato, molte informazioni arrivarono ai [[Antica Grecia|Greci]].<ref name=assiri/>

È ben noto l'alto livello raggiunto dall'[[astronomia cinese]] nei primi secoli avanti Cristo.<ref>{{en}} {{cita libro| autore=J. Needham| anno=1986| titolo= Science and Civilization in China: Volume 3| città= Taipei| editore= Caves Books}}</ref><ref>{{cita pubblicazione| autore= Y. Chee-Kuen| titolo= Gems of the ancient Chinese astronomy relics| id= ISBN 962-7797-03-0| rivista= Mercury| volume= 35| numero= 6| pagine= 42| data= novembre-dicembre 2006}}</ref> Gli astronomi imperiali cinesi riuscirono a ricavare in maniera precisa i periodi sinodici ed [[periodo di rivoluzione|orbitali]] dei pianeti visibili ad occhio nudo; all'astronomo [[Shi Shen]] ([[IV secolo a.C.]]) è attribuita in particolare la prima misurazione del periodo orbitale di Giove, che egli quantificò in 12 anni.<ref name=Gaspani>{{cita web|url=http://www.brera.mi.astro.it/~gaspani/gande.htm |titolo=Gan De vide Ganimede? |autore=Adriano Gaspani |accesso=11-02-2009}}</ref> Il pianeta gigante rivestiva una grande importanza, in quanto ritenuto foriero di prosperità, ed era noto, al tempo della [[dinastia Zhou]], con il nome ''Sui Xing'', che significa ''Il Pianeta dell'Anno''.<ref name=Gaspani/> La sua importanza era tale che l'imperatore nominava direttamente un funzionario astronomo il cui compito specifico era l'osservazione del pianeta, di cui doveva registrare scrupolosamente la posizione rispetto alle costellazioni zodiacali, gli spostamenti al loro interno, e perfino il suo colore:<ref name=Gaspani/> se questo appariva tendente al rosso l'opulenza avrebbe regnato nelle regioni dell'impero situate geograficamente verso la direzione in cui il pianeta era visibile nel cielo; se invece il colore era giallo allora la prosperità era da ritenersi diffusa su tutto l'impero.<ref name=Gaspani/>

Nel [[1980]] lo storico [[cina|cinese]] [[Xi Zezong]] ha annunciato, dopo 23 anni di studi,<ref name="Menzies">{{cita web|autore=Rosa Mui, Paul Dong |url=http://www.gavinmenzies.net/pages/evidence-1421/content.asp?EvidenceID=172 |titolo=Ancient Chinese Astronomer Gan De Discovered Jupiter's Satellites 2000 Years Earlier than Galileo |editore = Part IX - Independent Research:How China Changed The World - Gavin Menzies.net |accesso=23-10-2008}}</ref> che [[Gan De]], astronomo contemporaneo di Shi Shen, sarebbe riuscito ad osservare almeno uno dei satelliti di Giove già nel [[362 a.C.]] ad [[occhio nudo]], presumibilmente Ganimede, schermando la vista del pianeta con un albero o qualcosa di analogo.<ref>{{cita pubblicazione | autore=Z. Z. Xi | titolo= The Discovery of Jupiter's Satellite Made by Gan-De 2000 Years Before Galileo | rivista=Acta Astrophysica Sinica | anno= 1981 | volume=1 | numero=2 | pagine=87 | url=http://adsabs.harvard.edu/abs/1981AcApS...1...87X | accesso=27-10-2007 }}</ref><ref>{{en}} {{cita libro | autore=Paul Dong | anno=2002 | titolo= China's Major Mysteries: Paranormal Phenomena and the Unexplained in the People's Republic | editore=China Books | id=ISBN 0835126765 }}</ref> In effetti i satelliti medicei hanno una luminosità apparente inferiore alla [[magnitudine apparente|magnitudine]] 6 (il limite di visibilità ad occhio nudo), che li renderebbe teoricamente visibili ad occhio nudo, se non fosse per l'intensa luminosità del pianeta, che nasconde quella dei satelliti.<ref name=Gaspani/> Considerazioni recenti, mirate a valutare il potere risolutivo dell'[[occhio]] umano, sembrerebbero tuttavia indicare che la combinazione della ridotta distanza angolare tra Giove ed ognuno dei suoi satelliti e della luminosità del pianeta (anche nelle condizioni in cui questa sarebbe minima) renderebbe impossibile per un uomo riuscire ad individuare uno dei satelliti.<ref name=Gaspani/>

{{Nota
|allineamento = destra
|larghezza = 350px
|titolo = La diatriba tra Galileo e Simon Marius
|contenuto =
[[File:Simon Marius.jpg|left|95px|Simon Marius, che diede i nomi attuali ai quattro satelliti principali di Giove.]]
Simon Marius pubblicò nel [[1614]] il ''Mundus Iovialis'', che descriveva Giove e le sue lune; in quest'opera l'astronomo asserisce di aver scoperto le quattro lune maggiori verso la fine del novembre 1609 (circa cinque settimane prima di Galileo)<ref name="marius">{{cita web| url=http://galileo.rice.edu/sci/marius.html| titolo= Simon Marius (1573-1624)| editore= The Galileo Project| accesso= 26-05-2009}}</ref> e di avere iniziato a registrare le sue osservazioni solamente nel gennaio 1610, in contemporanea con Galileo.<ref name=sat>{{cita web |url=http://www.solarviews.com/eng/galdisc.htm | autore= Calvin J. Hamilton| titolo= The Discovery of the Galilean Satellites | editore= Views of the Solar System |accesso=26-05-2009}}</ref>
Dal momento che Marius non pubblicò i risultati delle sue osservazioni sino a quando Galilei non rese noti i suoi, risulta impossibile attestare la veridicità della sua affermazione.<ref name="marius"/><ref name=sat/>
[[File:Galileo.arp.300pix.jpg|right|90px|Galileo Galilei, scopritore "ufficiale" dei quattro satelliti medicei.]]
Questa affermazione lo portò ad un'accesa diatriba con lo scienziato pisano,<ref>{{cita pubblicazione| autore=J. A. C. Oudemans, J. Bosscha| titolo=Galilee et Marius| rivista= Archives Néerlandaises des Sciences Exactes et Naturelles| volume= II| numero= VIII| pagine= 115–189| anno= 1903}}</ref> il quale accusò Marius, ne ''[[Il Saggiatore]]'' (pubblicato nel [[1623]]), di aver copiato i suoi lavori, sostenendo che il ''Mundus Iovialis'' non fosse altro che un plagio del suo ''Sidereus Nuncius''. Scrisse Galileo:
{{quote|Io potrei di tali usurpatori nominar non pochi; ma voglio ora passarli sotto silenzio, avvenga che de' primi furti men grave castigo prender si soglia che de i susseguenti. [...] Io parlo di Simon Mario Guntzehusano, che fu quello che già in Padova, dove allora io mi trovava, traportò in lingua latina l'uso del detto mio compasso, ed attribuendoselo lo fece ad un suo discepolo sotto suo nome stampare [...]. Questo istesso, quattro anni dopo la publicazione del mio ''Nunzio Sidereo'', avvezzo a volersi ornar dell'altrui fatiche, non si è arrossito nel farsi autore delle cose da me ritrovate ed in quell'opera publicate; e stampando sotto titolo di ''Mundus Iovialis'' etc., ha temerariamente affermato, sé aver avanti di me osservati i pianeti Medicei, che si girano intorno a Giove.|Galileo Galilei, ''Il Saggiatore'' - ''[[:s:Il Saggiatore/Prefazione|Prefazione]]''; Roma, 1623}}

La storiografia moderna reputa plausibile che Marius abbia sì scoperto le lune di Giove indipendentemente da Galileo, ma almeno qualche giorno dopo l'italiano.<ref name="marius"/>
}}


=== Dall'avvento del telescopio ===
=== Dall'avvento del telescopio ===

Versione delle 12:00, 16 giu 2009

Giove
File:File:Jupiter.jpg
Un'immagine di Giove ottenuta nel 1990 a partire dai dati inviati dalla sonda Voyager 1 nel 1979. NASA
Stella madreSole
ClassificazioneGigante gassoso
Parametri orbitali
(all'epoca J2000.0[1][2])
Semiasse maggiore778 412 027 km
5,203 363 01 UA
Perielio740 742 598 km
4,951 558 43 UA
Afelio816 081 455 km
5,455 167 59 UA
Circonf. orbitale4 888 000 000 km
32,6740 UA
Periodo orbitale4 333,2867 giorni
(11,863 892 anni)
Periodo sinodico398,88 giorni
(1,092 073 anni) [3]
Velocità orbitale12,446 km/s (min)
13,056 km/s (media)
13,712 km/s (max)
Inclinazione orbitale1,30530°[4]
Inclinazione rispetto
all'equat. del Sole
6,09°[4]
Eccentricità0,048 392 66
Longitudine del
nodo ascendente
100,55615°
Argom. del perielio274,19770°
Satelliti63
Anelli
Dati fisici
Diametro equat.142 984 km [5][6]
Diametro polare133 709 km [5]
Schiacciamento0,06487 ± 0,00015 [5]
Superficie6,21796 × 1016 [7][6]
Volume1,43128 × 1024[3][6]
Massa
1,8986 × 1027 kg [3][6]
Densità media1,326 × 103 kg/m³ [3][6]
Acceleraz. di gravità in superficie23,12 m/s²
(2,358 g) [3][6]
Velocità di fuga59 540 m/s [3]
Periodo di rotazione0,413 538 021 d
(9 h 55 min 29,685 s)[8]
Velocità di rotazione
(all'equatore)
12 580 m/s
Inclinazione assiale3,131°[3]
A.R. polo nord268,057° (17h 52m 14s)[5]
Declinazione64,496°[5]
Temperatura
superficiale
110 K (min)
152 K (media)
Luminosità
2,2386 × 1010 L
Pressione atm.20–200 kPa [9]
Albedo0,522 [3]
Dati osservativi
Magnitudine app.-1,61 [3] (min)
-2,60 [3] (media)
-2,808 [3] (max)
Magnitudine app.−1,6 e −2,94
Magnitudine ass.−9,4
Diametro
apparente
29,8" [3] (min)
44,0" [3] (medio)
50,1" [3] (max)

Giove (dal latino Iovem, accusativo di Iuppiter) è il quinto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole, il più massiccio di tutto il sistema planetario: la sua massa corrisponde infatti a 2,468 volte la somma di quelle di tutti gli altri pianeti messi insieme.[10] È classificato, al pari di Saturno, Urano e Nettuno, come gigante gassoso.

Giove ha una composizione simile a quella della nostra stella: infatti è costituito principalmente da idrogeno ed elio, con piccole quantità di altri composti chimici, quali ammoniaca, metano ed acqua.[11] La sua rapida rotazione gli conferisce l'aspetto di uno sferoide oblato, ovvero possiede un rigonfiamento all'equatore e uno schiacciamento ai poli.[5] Si ritiene che il pianeta possieda un nucleo solido, presumibilmente di natura rocciosa, costituito da carbonio e silicati di ferro, circondato da un mantello di idrogeno metallico e da una vasta copertura atmosferica,[12] che generano su di esso delle altissime pressioni.[13] L'atmosfera esterna è caratterizzata da numerose bande e zone di tonalità variabili dal color crema al marrone, costellate da formazioni cicloniche ed anticicloniche, tra le quali si annovera la Grande Macchia Rossa.[14]

A causa delle sue dimensioni e della composizione simile a quella solare, Giove è stato considerato per lungo tempo una "stella fallita":[15] in realtà, solamente se avesse avuto l'opportunità di accrescere la propria massa sino a 75-80 volte quella attuale,[16][17] il suo nucleo avrebbe ospitato le condizioni necessarie di temperatura e pressione per innescare le reazioni di fusione nucleare dell'idrogeno in elio, il che avrebbe reso il sistema solare un sistema stellare binario.[18]

Il pianeta è caratterizzato da un numeroso stuolo di satelliti,[19] da un sistema di evanescenti anelli [13] e da un'intensa ed ampia magnetosfera; inoltre, come gli altri giganti gassosi, emette una quantità di energia quasi pari a quella che riceve dal Sole.[13][20]

La grande forza di gravità di Giove contribuisce, assieme a quella del Sole, a plasmare le principali strutture del sistema solare, in quanto la sua attrazione bilancia le orbite degli altri pianeti [21] ed il suo immane pozzo gravitazionale "ripulisce" il sistema dai detriti vaganti che viaggiano nelle sue vicinanze, che altrimenti rischierebbero di andare ad impattare contro i pianeti più interni.[22]

Il pianeta, conosciuto sin dall'antichità, ha rivestito un ruolo preponderante nel credo religioso di numerose culture, tra cui i Babilonesi, i Greci e i Romani. A questi ultimi, e prima ancora ai Greci e agli stessi Babilonesi, si deve l'attuale nome del pianeta: infatti queste culture hanno identificato l'astro con il sovrano degli dei (Marduk per i Babilonesi, Zeus per i Greci, Giove per i Romani).[23] Il simbolo astronomico del pianeta (♃) è una rappresentazione stilizzata del fulmine del dio, suo principale attributo.

Osservazione

Osservazione amatoriale

Lo stesso argomento in dettaglio: Osservazione di Giove.

Giove appare ad occhio nudo come una stella biancastra molto brillante, a causa della sua elevata albedo.[3] È il quarto oggetto più brillante nel cielo, dopo il Sole, la Luna e Venere;[10] con quest'ultimo si spartisce il ruolo di "stella del mattino" o "stella della sera", soprattutto qualora Venere si trovi in una fase di inosservabilità durante il suo moto orbitale (in genere in corrispondenza delle congiunzioni).[24] La sua magnitudine apparente varia, a seconda della posizione durante il suo moto di rivoluzione, da −1,6 a −2,8, mentre il suo diametro apparente varia da 29,8 a 50,1 secondi d'arco;[3] tuttavia, in occasione di alcune (per altro molto rare) opposizioni, Marte arriva a superare, seppur di poco, la luminosità di Giove, raggiungendo la magnitudine −2,9. I periodi più propizi per osservare il pianeta corrispondono alle opposizioni, che si verificano ogni qual volta Giove transita al perielio; queste circostanze, in cui l'astro raggiunge le dimensioni apparenti massime, consentono all'osservatore amatoriale, munito delle adeguate attrezzature, di scorgere più facilmente gran parte delle formazioni che caratterizzano la superficie visibile del pianeta.[25] Occasionalmente, è possibile osservare il pianeta anche durante il dì, a patto che il Sole sia molto basso sull'orizzonte.[26]

Giove osservato da un telescopio amatoriale. Si notano tre dei quattro satelliti medicei: a destra, Io; a sinistra, Europa (più interno) e Ganimede. Si noti anche la sua caratteristica più peculiare: la Grande Macchia Rossa.

Il periodo sinodico del pianeta è di 398,88 giorni, al termine dei quali il corpo celeste inizia una fase di moto retrogrado, in cui sembra spostarsi all'indietro nel cielo notturno, rispetto allo sfondo delle stelle "fisse", eseguendo una sorta di traiettoria sigmoide. Giove, nei 12 anni circa della propria rivoluzione, attraversa tutte le costellazioni dello zodiaco.[27]

Poiché l'orbita di Giove è esterna all'orbita terrestre, l'angolo di fase gioviano visto dal nostro pianeta non è mai superiore a 11,5° ed è quasi sempre vicino allo zero, ovvero il pianeta appare quasi sempre completamente illuminato; fu solo durante le missioni spaziali verso il pianeta che fu fotografata una sua fase crescente.[28]

Il pianeta è interessante da un punto di vista osservativo in quanto già con piccoli strumenti è possibile rivelarne alcuni caratteristici dettagli superficiali. Un binocolo 10x50 o un piccolo telescopio rifrattore consentono già di osservare attorno al pianeta quattro piccoli punti luminosi, disposti lungo il prolungamento dell'equatore del pianeta: si tratta dei satelliti medicei.[29] Poiché essi orbitano abbastanza velocemente intorno al pianeta, è possibile notarne i movimenti già tra una notte e l'altra: il più interno, Io, arriva a compiere tra una notte e la successiva quasi un'orbita completa.[30]

Un telescopio da 60 mm permette già di osservare le caratteristiche bande nuvolose [31] e, qualora le condizioni atmosferiche siano perfette, anche la caratteristica più nota del pianeta, la Grande Macchia Rossa; essa però è maggiormente visibile con un telescopio di apertura 25 cm, che consente di osservare meglio le nubi e le formazioni più fini del pianeta.[32]

Osservazione a più lunghezze d'onda

[[

Storia delle osservazioni

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia dell'astronomia.

Nell'antichità

Il pianeta è ben conosciuto sin dai primordi dell'umanità, data la sua grande luminosità che lo rende molto ben visibile ad occhio nudo nel cielo notturno.

Una congiunzione della Luna con Venere (in alto) e Giove.

Una delle prime civiltà a studiare i moti di Giove, e più in generale di tutti i pianeti visibili ad occhio nudo (Mercurio, Venere, Marte, Giove per l'appunto e Saturno), fu quella assiro-babilonese. Mossi da intenti più astrologici che "scientifici", gli astronomi di corte dei re babilonesi riuscirono a determinare con precisione il periodo sinodico del pianeta; inoltre, si servirono del suo moto attraverso la sfera celeste per definire le dodici costellazioni dello zodiaco.[23] Tuttavia, la scoperta negli archivi reali di Ninive di tavolette recanti precisi resoconti di osservazioni astronomiche e il frequente rinvenimento di parti di strumentazioni a probabile destinazione astronomica, come lenti di cristallo di rocca e tubi d'oro (datati al I millennio a.C.), indussero alcuni archeoastronomi ad ipotizzare che la civiltà assira fosse già in possesso di un "prototipo" di cannocchiale, con il quale si ritiene sia stato possibile osservare anche Giove.[33]

Uno tra i primi a formulare questa ipotesi è stato negli anni settanta il fisico G. A. Kryala, dell'Università dell'Arizona. Egli ritiene che grazie a queste strumentazioni gli astronomi babilonesi siano riusciti, postulando che il pianeta orbitasse attorno al Sole secondo un'orbita circolare e anticipando così di diversi secoli la formulazione dell'ipotesi del sistema eliocentrico, a scoprire che Giove era il pianeta più grande tra i cinque allora conosciuti. Secondo Kryala, sebbene diverse tavolette cuneiformi fossero un segreto di Stato, molte informazioni arrivarono ai Greci.[33]

È ben noto l'alto livello raggiunto dall'astronomia cinese nei primi secoli avanti Cristo.[34][35] Gli astronomi imperiali cinesi riuscirono a ricavare in maniera precisa i periodi sinodici ed orbitali dei pianeti visibili ad occhio nudo; all'astronomo Shi Shen (IV secolo a.C.) è attribuita in particolare la prima misurazione del periodo orbitale di Giove, che egli quantificò in 12 anni.[36] Il pianeta gigante rivestiva una grande importanza, in quanto ritenuto foriero di prosperità, ed era noto, al tempo della dinastia Zhou, con il nome Sui Xing, che significa Il Pianeta dell'Anno.[36] La sua importanza era tale che l'imperatore nominava direttamente un funzionario astronomo il cui compito specifico era l'osservazione del pianeta, di cui doveva registrare scrupolosamente la posizione rispetto alle costellazioni zodiacali, gli spostamenti al loro interno, e perfino il suo colore:[36] se questo appariva tendente al rosso l'opulenza avrebbe regnato nelle regioni dell'impero situate geograficamente verso la direzione in cui il pianeta era visibile nel cielo; se invece il colore era giallo allora la prosperità era da ritenersi diffusa su tutto l'impero.[36]

Nel 1980 lo storico cinese Xi Zezong ha annunciato, dopo 23 anni di studi,[37] che Gan De, astronomo contemporaneo di Shi Shen, sarebbe riuscito ad osservare almeno uno dei satelliti di Giove già nel 362 a.C. ad occhio nudo, presumibilmente Ganimede, schermando la vista del pianeta con un albero o qualcosa di analogo.[38][39] In effetti i satelliti medicei hanno una luminosità apparente inferiore alla magnitudine 6 (il limite di visibilità ad occhio nudo), che li renderebbe teoricamente visibili ad occhio nudo, se non fosse per l'intensa luminosità del pianeta, che nasconde quella dei satelliti.[36] Considerazioni recenti, mirate a valutare il potere risolutivo dell'occhio umano, sembrerebbero tuttavia indicare che la combinazione della ridotta distanza angolare tra Giove ed ognuno dei suoi satelliti e della luminosità del pianeta (anche nelle condizioni in cui questa sarebbe minima) renderebbe impossibile per un uomo riuscire ad individuare uno dei satelliti.[36]

Dall'avvento del telescopio

L'utilizzo e il potenziamento del cannocchiale, inventato nel 1608 dall'ottico olandese Hans Lippershey,[43][44] permise a Galileo Galilei di scoprire, nel 1610, quattro dei 63 satelliti del pianeta: Io, Europa, Ganimede e Callisto; si trattava della prima osservazione dettagliata di un pianeta del sistema solare e dei relativi satelliti.[44] Galileo battezzò gli astri appena individuati in un primo tempo Cosmica Sidera («stelle di Cosimo»), in onore del granduca Cosimo II, e successivamente Medicea Siderastelle medicee»), in onore dell'intera casata dei Medici; fu però Simon Marius, che si attribuì la paternità della scoperta dei satelliti (vedi box al lato),[40][41] a conferire nel 1614 i nomi mitologici attualmente in uso a ciascuno di essi.[41]

Replica di un carteggio autografo di Galileo sulla scoperta dei quattro satelliti medicei e delle loro orbite attorno a Giove. NASA

La scoperta dei satelliti medicei fu la dimostrazione definitiva del superamento della teoria tolemaico-aristotelica, secondo cui tutto il cosmo gravitava attorno alla Terra, e fu una delle prime prove dirette della validità dell'ipotesi eliocentrica resa pubblica da Copernico nel 1543 nel suo De revolutionibus orbium coelestium, sebbene anche il sistema ticonico riuscisse a spiegare altrettanto bene il sistema di lune di Giove senza rinunciare alla centralità della Terra. La scoperta delle lune gioviane, assieme alle altre esposte nel Sidereus Nuncius, valse a Galileo una grande fama, tanto che nel 1611 papa Paolo V lo accolse trionfalmente a Roma, e il principe Federico Cesi lo rese membro della Accademia dei Lincei, da lui fondata otto anni prima. Tuttavia, l'aperto sostegno mostrato dallo scienziato pisano nei confronti della teoria copernicana gli attirò contro i sospetti dell'Inquisizione, che culminarono nel ben noto processo e nella pubblica abiura delle sue idee.[45]

Negli anni sessanta del XVII secolo l'astronomo Gian Domenico Cassini, utilizzando un nuovo telescopio, scoprì che la superficie di Giove era caratterizzata da alcune bande e macchie colorate, e che il pianeta stesso ha la forma di uno sferoide oblato. L'astronomo riuscì poi a determinarne il periodo di rotazione,[11] e nel 1690 scoprì che l'atmosfera è soggetta a una rotazione differenziale.[13] L'astronomo italiano è inoltre accreditato come lo scopritore, assieme, ma indipendentemente, a Robert Hooke, della Grande Macchia Rossa.[46]

Sia Giovanni Alfonso Borelli sia lo stesso Cassini stesero da subito precise relazioni sul movimento dei quattro satelliti galileiani, riuscendo a calcolarne la posizione con grande accuratezza. Tuttavia nel trentennio 1670-1700, si osservò che, quando Giove si trova in un punto dell'orbita prossimo alla congiunzione col Sole, si registra nel transito dei satelliti un ritardo di circa 17 minuti rispetto alle previsioni. L'astronomo danese Ole Rømer ne dedusse che la visione di Giove non fosse istantanea (conclusione che Cassini aveva precedentemente respinto[11]), e che dunque la luce avesse una velocità finita (indicata con c); fu principalmente osservando le occultazioni da parte del pianeta del suo satellite più interno, Io, che l'astronomo arrivò a formulare questa ipotesi [31] e a intraprendere i primi calcoli del valore di c nel 1676.[47]

Ottocento e Novecento

Dopo due secoli privi di significative scoperte, il farmacista Heinrich Schwabe disegnò la prima carta completa di Giove, comprendente anche la Grande Macchia Rossa, e la pubblicò nel 1831.[46] Le osservazioni della tempesta hanno permesso di registrare dei momenti in cui essa appariva più debole, tra il 1665 e il 1708, ed altri in cui appariva rinforzata, tanto da risultare molto ben evidente all'osservazione telescopica, nel 1878. Allo stesso modo, sono stati registrati degli episodi di indebolimento nel 1883 ed all'inizio del XX secolo.[48]

La formazione dell'Ovale BA da tre ovali biancastri precedenti. NASA

Nel 1892 Edward Emerson Barnard osservò un quinto satellite del pianeta grazie al telescopio rifrattore da 910 mm dell'Osservatorio Lick, in California; la scoperta di questo oggetto relativamente piccolo, testimonianza della sua vista molto acuta, lo rese in breve tempo famoso.[49] La luna appena scoperta fu in seguito ribattezzata Amaltea; si trattava dell'ultimo satellite naturale ad essere scoperto direttamente tramite l'osservazione visiva.[50] In seguito sono stati scoperti altri otto satelliti durante il flyby della sonda Voyager 1 nel 1979.

Nel 1932 Rupert Wildt identificò, analizzando lo spettro del pianeta, delle bande di assorbimento proprie dell'ammoniaca e del metano.[51]

Nel 1938 sono state osservate, a sud della Grande Macchia Rossa, tre tempeste anticicloniche che apparivano come dei particolari ovali biancastri. Per diversi decenni le tre tempeste sono rimaste delle entità distinte, non riuscendo mai a fondersi pur avvicinandosi periodicamente; tuttavia, nel 1998, due di questi ovali si sono fusi, assorbendo infine anche il terzo nel 2000 e dando origine a quella tempesta che oggi è nota come Ovale BA.[52]

Nel 1955 Bernard Burke e Kenneth Franklin individuarono dei lampi radio provenienti da Giove alla frequenza di 22,2 MHz;[13] quattro anni dopo Frank Drake ed Hein Hvatum scoprirono le emissioni radio decimetriche.[13]

Nel periodo compreso tra il 16 e il 22 luglio 1994 oltre 20 frammenti provenienti dalla cometa Shoemaker-Levy 9 collisero con Giove in corrispondenza del suo emisfero australe; fu la prima osservazione diretta della collisione tra due oggetti del sistema solare. L'impatto fu molto importante in quanto permise di ottenere importanti dati sulla composizione dell'atmosfera gioviana.[53][54]

Missioni spaziali

Lo stesso argomento in dettaglio: Esplorazione di Giove.

Sin dal 1973 numerose furono le sonde automatiche a visitare il pianeta gigante, sia come obbiettivo di studio, sia come tappa intermedia, allo scopo di sfruttarne il grande effetto fionda gravitazionale per dirigersi nelle regioni più distanti del sistema solare.[55] I viaggi in direzione di altri pianeti all'interno del sistema solare richiedono un grande dispendio energetico, che viene impiegato per provocare una netta variazione della velocità della sonda nota come delta-v (Δv).[55] Il raggiungimento di Giove dalla Terra richiede un Δv di 9,2 km/s,[56] molto simile ai 9,7 km/s di Δv necessari per raggiungere la low earth orbit.[55] L'effetto fionda gravitazionale consente di incrementare il Δv senza l'impiego di eccessivo combustibile, consentendo dunque un notevole risparmio energetico ed un significativo prolungamento della durata del volo.[56]

Missioni con sorvolo ravvicinato (fly-by)

Elenco delle missioni fly-by
Veicolo Data dell'avvicinamento
massimo
Distanza minima
Pioneer 10 3 dicembre 1973 ~ 200 000 km [57][58]
Pioneer 11 4 dicembre 1974 34 000 km[57][59]
Voyager 1 5 marzo 1979 349 000 km [60]
Voyager 2 9 luglio 1979 722 000 km [61]
Ulysses 8 febbraio 1992 450 000 km [62]
4 febbraio 2004 ~ 240 000 000 km[63]
Cassini 30 dicembre 2000 ~ 10 000 000 km [64][65]
New Horizons 28 febbraio 2007 2 304 535 km[66]

A partire dal 1973 diverse sonde hanno compiuto dei sorvoli ravvicinati (fly-by) del pianeta. La prima sonda fu la Pioneer 10, che ha eseguito un fly-by di Giove nel dicembre del 1973, seguita dalla Pioneer 11 esattamente un anno più tardi. Le due sonde permisero di ottenere le prime immagini ravvicinate dell'atmosfera, delle nubi gioviane e di alcuni suoi satelliti, nonché la prima precisa misura del suo campo magnetico; scoprirono inoltre che la quantità di radiazioni in prossimità del pianeta era di gran lunga superiore a quella attesa. Le traiettorie delle sonde furono utilizzate per raffinare la stima della massa del sistema gioviano, mentre l'occultazione delle sonde dietro il disco del pianeta migliorarono le stime del valore del diametro equatoriale e dello schiacciamento polare.[27][67]

Un'immagine del pianeta ripresa dalla Pioneer 10 il 1° dicembre 1973 dalla distanza di 2557000 km. NASA

Sei anni dopo fu la volta delle missioni Voyager (1 e 2), programmate per l'esplorazione del sistema solare esterno. Le due sonde hanno migliorato enormemente la comprensione di alcune dinamiche dei satelliti galileiani e dell'atmosfera di Giove, tra cui la conferma della natura anticiclonica della Grande Macchia Rossa e l'individuazione di lampi e formazioni temporalesche; le sonde permisero inoltre di scoprire gli anelli di Giove e otto satelliti naturali precedentemente sconosciuti. Le Voyager rintracciarono la presenza di un toroide di plasma ed atomi ionizzati in corrispondenza dell'orbita di Io, sulla cui superficie furono scoperti numerosi edifici vulcanici, alcuni dei quali nell'atto di eruttare.[27][68]

La successiva missione ad avvicinarsi al pianeta fu nel febbraio del 1992 la sonda solare Ulysses, che ha raggiunto una distanza minima dal pianeta di 450 000 km (6,3 raggi gioviani).[62] Il flyby era necessario per raggiungere l'orbita polare attorno al Sole, ed è stato sfruttato per condurre studi sulla magnetosfera di Giove. Poiché la sonda non aveva telecamere a bordo, non è stata ripresa alcuna immagine. Nel febbraio 2004 la sonda si avvicinò nuovamente a Giove, anche se questa volta la distanza fu molto maggiore, circa 240 milioni di chilometri.[63]

Nel 2000 la sonda Cassini, durante la sua rotta verso Saturno, ha sorvolato Giove ed ha fornito alcune delle immagini più dettagliate mai scattate del pianeta.[65]

L'ultima sonda, in ordine temporale, a raggiungere Giove è stata la New Horizons, che, diretta verso Plutone e gli oggetti della Fascia di Kuiper, ha eseguito un fly-by del pianeta per sfruttarne la gravità;[69] l'approccio più vicino è avvenuto il 28 febbraio 2007.[70] Le telecamere della sonda all'uscita dall'orbita di Giove hanno misurato l'energia del plasma emesso dai vulcani di Io ed hanno studiato brevemente, ma in dettaglio, i quattro satelliti medicei, conducendo anche delle indagini a distanza dei satelliti più esterni Imalia ed Elara.[71][72]

La missione Galileo

Lo stesso argomento in dettaglio: Sonda Galileo.
Rappresentazione artistica della NASA che mostra la sonda Galileo nel sistema di Giove.

Ad oggi l'unica sonda progettata appositamente per lo studio del pianeta è stata la sonda Galileo, che entrò in orbita attorno a Giove il 7 dicembre del 1995 e vi permase per oltre 7 anni, compiendo sorvoli ravvicinati di tutti i satelliti galileiani e di Amaltea. Nel 1994, mentre mentre giungeva verso il pianeta gigante, la sonda ha assistito all'impatto della cometa Shoemaker-Levy 9, riprendendo diverse immagini dell'evento.[73]
Sebbene le informazioni raccolte dalla sonda sul sistema gioviano siano copiose, la missione non si è rivelata un completo successo, dato che la sua grande antenna ad alto guadagno non si è mai dispiegata.[74]

Nel luglio del 1995 è stata sganciata dalla sonda madre un piccolo modulo-sonda, che è entrato nell'atmosfera del pianeta il 7 dicembre; paracadutandosi per 159 km attraverso l'atmosfera il modulo ha raccolto dati per 75 minuti, prima di essere schiacciato e distrutto dalle alte pressioni e temperature dell'atmosfera inferiore (circa 28 atmosfere – ~2,8 × 106 Pa –, ad una temperatura di 185°C – 458 K[75]). La stessa sorte è toccata alla sonda madre quando, il 21 settembre 2003, è stata deliberatamente spinta verso il pianeta a una velocità di oltre 50 km/s, al fine di evitare qualsiasi possibilità che in futuro essa potesse collidere con il satellite Europa ed eventualmente contaminarlo.[74]

Missioni future

La NASA ha in progetto una sonda per lo studio di Giove da un'orbita polare; battezzata Juno, il suo lancio è previsto per il 2011.[76]

La possibile presenza di un oceano di acqua liquida sui satelliti Europa, Ganimede e Callisto ha portato ad un crescente interesse per uno studio ravvicinato dei satelliti ghiacciati del sistema solare esterno. Per motivi di bilancio, a partire dagli anni 2000 i piani relativi a tre missioni spaziali sono stati scartati dalla NASA: si trattava delle missioni Europa Orbiter (pianificata per il 2002), Jupiter Icy Moons Orbiter (JIMO, attesa per il 2012 ma cancellata nel 2005)[77] e Pioneer H. L'ESA ha studiato una missione per lo studio di Europa denominata Jovian Europa Orbiter (JEO);[78] il progetto della missione è stato però implementato da quello della Europa Jupiter System Mission (EJSM), frutto della collaborazione con la NASA e studiato per l'esplorazione di Giove e dei satelliti,[79] il cui lancio è previsto attorno al 2020.[80] La EJSM è costituita da due unità, la Jupiter Europa Orbiter, gestita e sviluppata dalla NASA, e la Jupiter Ganymede Orbiter, gestita dall'ESA.[81]

Parametri orbitali e rotazione

Lo stesso argomento in dettaglio: Parametri orbitali di Giove.
La rotazione di Giove; da notare il transito di Io sulla superficie del pianeta (10 febbraio 2009).

Giove orbita ad una distanza media dal Sole di 778,33 milioni di km (5,202 UA)[1][2] e completa la sua rivoluzione attorno alla stella ogni 11,86 anni; questo periodo corrisponde esattamente ai due quinti del periodo orbitale di Saturno, con cui si trova dunque in una risonanza di 5:2.[82] L'orbita di Giove è inclinata di 1,31° rispetto al piano dell'eclittica; per via della sua eccentricità pari a 0,048, la distanza tra il pianeta e il Sole varia di circa 75 milioni di km tra i due apsidi, il perielio (740 742 598 km) e l'afelio (816 081 455 km).[1][2] La velocità orbitale media di Giove è di 13 056 m/s (47 001 km/h), mentre la circonferenza orbitale misura complessivamente 4 774 000 000 km.

L'inclinazione dell'asse di rotazione è relativamente piccola, solamente 3,13°, e precede ogni 12 000 anni;[83] di conseguenza, il pianeta non sperimenta significative variazioni stagionali, contrariamente a quanto accade, ad esempio, sulla Terra e su Marte.[84]

Giove, dato il suo periodo di rotazione di poco meno di 10 ore, presenta la rotazione più rapida di tutti i pianeti del sistema solare. L'alta velocità di rotazione è all'origine di un marcato rigonfiamento equatoriale, facilmente visibile anche tramite un telescopio amatoriale; questo rigonfiamento è causato dall'alta accelerazione centripeta all'equatore, pari a circa 1,67 m/s², che, combinata con l'accelerazione di gravità media del pianeta (24,79 m/s²), dà un'accelerazione risultante pari a 23,12 m/s²: di conseguenza, un ipotetico oggetto posto all'equatore del pianeta peserebbe meno rispetto ad un corpo di identica massa posto alle medie latitudini.
Il pianeta ha dunque l'aspetto di uno sferoide oblato, il cui diametro equatoriale è maggiore rispetto al diametro polare: il diametro misurato all'equatore supera infatti di ben 9 275 km il diametro misurato ai poli.[5][85]

Poiché Giove non è un corpo solido, la sua atmosfera superiore è soggetta ad una rotazione differenziale: infatti, la rotazione delle regioni polari del pianeta è più lunga di circa 5 minuti rispetto a quella all'equatore. Sono stati adottati tre sistemi di riferimento per monitorare la rotazione delle strutture atmosferiche permanenti. Il sistema I si applica alle latitudini comprese tra 10° N e 10° S; il suo periodo di rotazione è il più breve del pianeta, pari a 9h 50m 30,0s.[8] Il sistema II si applica a tutte le latitudini a nord e a sud di quelle del sistema I; il suo periodo è pari a 9h 55m 40,6s.[8] Il sistema III fu originariamente definito tramite osservazioni radio e corrisponde alla rotazione della magnetosfera del pianeta; la sua durata è presa come il periodo di rotazione "ufficiale" del pianeta (9 h 55 min 29,685 s[8]).[86]

Formazione

Lo stesso argomento in dettaglio: Formazione di Giove.

Dopo la formazione del Sole, avvenuta circa 4,6 miliardi di anni fa,[87][88] il materiale residuato dal processo, ricco in polveri metalliche, si è disposto in un disco circumstellare da cui hanno avuto origine dapprima i planetesimi, quindi, per aggregazione di questi ultimi, i protopianeti.[89]

File:Nebulosa solare-Giove.png
Giove in formazione all'interno della nebulosa solare.

La formazione di Giove ha avuto inizio a partire dalla coalescenza di planetesimi di natura ghiacciata [90] poco al di là della frost line, una linea oltre la quale si addensarono i planetesimi costituiti in prevalenza da materiale a basso punto di fusione;[91] la frost line ha agito da barriera, provocando un rapido accumulo di materia a ~5 UA dal Sole.[91][92] L'embrione planetario così formato, di massa pari a circa 10 masse terrestri (M), ha iniziato ad accrescere materia gassosa a partire dall'idrogeno e dall'elio avanzati dalla formazione del Sole e confinati nelle regioni periferiche del sistema dal vento della stella neoformata.[90][91]

Il tasso di accrescimento dei planetesimi, che risultò più intenso di quello dei gas, proseguì sino a quando il numero di planetesimi nella fascia orbitale in cui aveva luogo la formazione del pianeta non manifestò una netta diminuzione;[90] a questo punto il tasso di accrescimento dei planetesimi e quello dei gas dapprima raggiungsero valori simili, quindi quest'ultimo iniziò a predominare sul primo, favorito dalla rapida contrazione dell'involucro gassoso in accrescimento e dalla rapida espansione del confine esterno del sistema, che dipende dalla massa totale raggiunta dal pianeta.[90] Il proto-Giove cresce a ritmo serrato sottraendo idrogeno dalla nebulosa solare e raggiungendo in circa mille anni le 150 M e, dopo qualche migliaio di anni, le definitive 318 M.[91]

Il processo di accrescimento del pianeta è stato mediato dalla formazione di un disco circumplanetario all'interno del disco circumsolare; terminato il processo di accrescimento per esaurimento dei materiali volatili, ormai andati a costituire il pianeta, i materiali residui, in prevalenza rocciosi, sono andati a costituire il sistema di satelliti del pianeta,[92][93] che si è infoltito a seguito della cattura, da parte della grande forza di gravità di Giove, di numerosi altri corpi minori.[94]

Conclusa la sua formazione, il pianeta ha subito un processo di migrazione planetaria:[95][96] il pianeta infatti si sarebbe formato a circa 5,65 UA, circa 0,45 UA (70 milioni di chilometri) più in là rispetto ad oggi, e nei 100.000 anni successivi, a causa della perdita del momento angolare dovuta all'attrito con il debole disco di polveri residuato dalla formazione della stella e dei pianeti, sarebbe man mano scivolato verso l'attuale orbita, stabilizzandosi ed entrando in risonanza 1:2 con Saturno.[97] Durante questa fase Giove avrebbe catturato i suoi asteroidi troiani, originariamente oggetti della fascia principale o della fascia di Kuiper [98] destabilizzati dalle loro orbite originarie e vincolati in corrispondenza dei punti lagrangiani L4 ed L5.[99]

L'ipotesi che il pianeta si sia formato mediante la coalescenza dei planetesimi e il successivo accrescimento dei gas è corroborata dai risultati, pubblicati nel novembre 2008, di alcune simulazioni computerizzate,[100] che indicano che Giove possiede un nucleo circa il doppio più massiccio rispetto alle stime iniziali, che fu in grado quindi di accrescere grandi quantità di gas dalla nebulosa solare.[100][101]

Caratteristiche chimico-fisiche

Composizione

Composizione Atmosferica[102]
Idrogeno molecolare (H2) 89,8 ± 2,0%
Elio (He) 10,2 ± 2,0%
Metano (CH4) ~0,3%
Ammoniaca (NH3) ~0,026%
Deuteruro di idrogeno (HD) ~0,003%
Etano (C2H6) 0,0006%
Acqua (H2O) 0,0004%
Ghiacci
Ammoniaca
Acqua
Idrosolfuro di ammonio (NH4SH)

L'atmosfera superiore di Giove è composta in volume da un 88-92% di idrogeno molecolare e da un 8-12% di elio.[102][68] Queste percentuali cambiano se si tiene in considerazione la proporzione delle masse dei singoli elementi e composti costituenti, dal momento che l'atomo di elio è circa quattro volte più massiccio dell'atomo di idrogeno; la composizione in massa dell'atmosfera gioviana è quindi 75% di idrogeno e 24% di elio, mentre il restante 1% è costituito da altri elementi e composti presenti in quantità molto più esigue.[102][68] La composizione atmosferica varia leggermente man mano che si procede verso le regioni interne del pianeta, date le alte densità in gioco: alla base dell'atmosfera si ha quindi un 71% in massa di idrogeno, un 24% di elio e il restante 5% di elementi più pesanti e composti (metano, vapore acqueo, ammoniaca, composti del silicio, carbonio, etano, acido solfidrico, neon, ossigeno, fosforo e zolfo).[103]

Nelle regioni più esterne dell'atmosfera sono inoltre presenti dei consistenti strati di cristalli di ammoniaca solida,[11][68][104] con tracce di idrocarburi;[104] si ipotizza anche la presenza di acqua nelle nubi degli strati più profondi dell'atmosfera.[105]

Le proporzioni atmosferiche di idrogeno ed elio sono molto vicine a quelle riscontrate nel Sole e teoricamente predette per la nebulosa solare primordiale;[106] tuttavia le abbondanze dell'ossigeno, dell'azoto, dello zolfo e dei gas nobili sono superiori di un fattore tre ai valori misurati nel Sole;[107] in particolare, la quantità di neon nell'alta atmosfera è pari in massa solamente a 20 parti per milione, circa un decimo rispetto alla sua quantità nella stella.[108] Anche la quantità di elio appare leggermente inferiore, presumibilmente a causa di fenomeni meteorologici che interessano l'atmosfera gioviana, come le precipitazioni.[109] Le quantità dei gas nobili di peso atomico maggiore (argon, kripton, xeno, radon) sono circa due o tre volte quelle della nostra stella.[102]

Sulla base di osservazioni spettroscopiche si è ipotizzato che Saturno possa essere molto simile per composizione a Giove, mentre gli altri giganti gassosi, Urano e Nettuno, differirebbero dai primi in quanto avrebbero una composizione meno abbondante in idrogeno ed elio e più ricca in metano.[110]

Massa e dimensioni

Giove è il pianeta più massiccio del sistema solare, 2,468 volte più massiccio di tutti gli altri pianeti messi insieme;[10] la sua massa è tale che il baricentro del sistema Sole-Giove cade esternamente alla stella, essendo posto a 47 500 km (0,068 R) dalla superficie solare. Il valore della massa gioviana (indicata con MJ) è utilizzato come raffronto per le masse degli altri pianeti gassosi ed in particolare dei pianeti extrasolari.[111]

Raffronto tra le dimensioni di Giove (in un'immagine ripresa dalla sonda Cassini) e della Terra. NASA

In raffronto alla Terra, Giove è 317,938 volte più pesante, ha un volume 1 319 volte superiore ma una densità più bassa, appena superiore a quella dell'acqua: 1,319 × 10³ kg/m³ contro i 5,5153 × 10³ kg/m³ della Terra. Il diametro è 11,2008 volte maggiore di quello terrestre.[10][27]

Si è scoperto che, allo stato attuale, Giove si comprime di circa 2 cm all'anno;[20] probabilmente il fenomeno è generato dal meccanismo di Kelvin-Helmholtz, secondo cui il pianeta compensa comprimendosi in maniera adiabatica la normale dispersione del calore endogeno nello spazio. Questa compressione genera un riscaldamento del nucleo, all'origine di un intenso calore interno che fa sì che il pianeta irradi nello spazio una quantità di energia quasi uguale a quella ricevuta per insolazione.[13][20] per queste ragioni, si ritiene che, appena formato, il pianeta dovesse essere più caldo e più grande di circa il doppio rispetto ad ora.[112]

I modelli teorici indicano, contrariamente a quanto intuibile, che se Giove fosse più massiccio avrebbe un diametro inferiore a quello che possiede attualmente. Infatti, nel caso di una massa piuttosto grande quale quella del pianeta, la pressione al suo centro risulta talmente elevata che tutta la materia si presenta in forma ionizzata: gli elettroni sono strappati all'attrazione dei nuclei atomici e sono liberi di muoversi nello spazio.[113][114] Aggiungendo ulteriormente massa gli elettroni divengono degeneri, vale a dire si trovano nel livello quantico ad energia più bassa disponibile.[113] Dato che gli elettroni appartengono alla categoria dei fermioni, essi obbediscono al principio di esclusione di Pauli, secondo il quale due elettroni non possono occupare il medesimo livello:[115] pertanto, qualora la massa incrementasse ulteriormente, le strutture atomiche sarebbero alterate dalla crescente forza di gravità, che costringerebbe tale banda ad allargarsi, sicchè la sola pressione degli elettroni degeneri manterrebbe in equilibrio il nucleo contro il collasso gravitazionale cui sarebbe naturalmente soggetto.[111]
Questo comportamento varrebbe fino a masse comprese tra 10 e 50 volte la massa di Giove: oltre questo limite, infatti, ulteriori aumenti di massa determinerebbero aumenti effettivi di volume e causerebbero il raggiungimento di temperature, nel nucleo, tali da innescare la fusione del litio e del deuterio: si forma così una nana bruna.[116][117][118] Qualora l'oggetto raggiungesse una massa pari a circa 75-80 volte quella di Giove [17][119] si raggiungerebbe la massa critica per l'innesco di reazioni termonucleari di fusione dell'idrogeno in elio, che porterebbe alla formazione di una stella, nella fattispecie una nana rossa.[116][120] Anche se Giove dovrebbe essere circa 75 volte più massiccio per essere una stella, il diametro della più piccola stella mai scoperta, AB Doradus C, è appena del 40% più grande rispetto al diametro del pianeta.[13][118][121]

Struttura interna

Lo stesso argomento in dettaglio: Struttura interna di Giove.
Diagramma che illustra la struttura interna di Giove.

La struttura interna del pianeta è oggetto di studi da parte degli astrofisici e dei planetologi; si ritiene che il pianeta sia costituito da più strati, ciascuno con caratteristiche chimico-fisiche ben precise. Partendo dall'interno verso l'esterno si incontrano, in sequenza: un nucleo, un mantello di idrogeno metallico liquido,[122] uno strato di idrogeno molecolare liquido, elio ed altri elementi, ed una turbolenta atmosfera.[123] Secondo i modelli astrofisici più moderni e ormai accettati da tutta la comunità scientifica, Giove non possiede una crosta solida; il gas atmosferico diventa sempre più denso procedendo verso l'interno e gradualmente si converte in liquido, al quale si aggiunge una piccola percentuale di elio, ammoniaca, metano, zolfo, acido solfidrico ed altri composti in percentuale minore.[123] La temperatura e la pressione all'interno di Giove aumentano costantemente man mano che si procede verso il nucleo.[123]

Al nucleo del pianeta è spesso attribuita una natura rocciosa, ma la sua composizione dettagliata, così come le proprietà dei materiali che lo costituiscono e le temperature e le pressioni cui sono soggetti, e persino la sua stessa esistenza, sono ancora in gran parte oggetto di speculazione.[124] Secondo i modelli, il nucleo, con una massa stimata in 14-18 M,[100] sarebbe costituito in prevalenza da carbonio e silicati, con temperature stimate sui 36 000 K e pressioni dell'ordine dei 4500 gigapascal (GPa).[13]

La regione nucleare è circondata da un denso mantello di idrogeno liquido metallico,[122][20] che si estende sino al 78% (circa i 2/3) del raggio del pianeta ed è sottoposto a temperature dell'ordine dei 10.000 K e pressioni dell'ordine dei 200 GPa.[13] Al di sopra di esso si trova un cospicuo strato di idrogeno liquido e gassoso, che si estende sino a 1000 km dalla superficie e si fonde con le parti più interne dell'atmosfera del pianeta.[12][13][85]

Atmosfera

Lo stesso argomento in dettaglio: Atmosfera di Giove.
Animazione del movimento delle nubi di Giove, ottenuta tramite molteplici riprese della sonda Galileo. NASA

L'atmosfera di Giove è la più estesa atmosfera planetaria del sistema solare, composta principalmente da idrogeno molecolare ed elio, con tracce di metano, ammoniaca, acido solfidrico e, presumibilmente, acqua.[105][125] L'atmosfera del pianeta manca di un chiaro confine inferiore, ma gradualmente transisce negli strati interni del pianeta.[12]

Dal più basso al più alto, gli stati dell'atmosfera sono: troposfera, stratosfera, termosfera ed esosfera; ogni strato è caratterizzato da un gradiente di temperatura specifico.[126] Lo strato più basso, la troposfera, presenta un sistema complicato di nubi e foschie, con stratificazioni di ammoniaca, idrosolfuro di ammonio ed acqua.[127]

Nubi e bandeggio atmosferico

Immagine di Giove ripresa dalla sonda Cassini; sono indicate le principali bande, la Zona equatoriale e la Grande Macchia Rossa.

Giove è perennemente coperto da nubi di cristalli di ammoniaca e idrosolfuro di ammonio.[105] Collocati nella tropopausa, i sistemi nuvolosi sono organizzati in fasce orizzontali caratteristiche per le diverse latitudini. Si suddividono in zone, di tonalità più chiara, e bande, che appaiono più scure, la cui interazione dà luogo a violente tempeste e turbolenze, i cui venti raggiungono, come nel caso delle correnti a getto delle zone, velocità superiori ai 100-120 m/s (360-400 km/h).[14] Le osservazioni del pianeta hanno mostrato che le zone variano nel tempo in spessore, colore e attività, ma che mantengono comunque una certa stabilità, in virtù della quale gli astronomi le considerano delle strutture permanenti e hanno deciso di dare loro una precisa designazione.[27]

La copertura nuvolosa è spessa circa 50 km e consiste almeno di due strati di nubi: uno strato inferiore piuttosto denso ed una regione superiore più rarefatta. È stata ipotizzata la presenza di un sottile velo d'acqua al di sotto dell'ammoniaca, come dimostrano i fulmini captati dalla sonda Galileo: l'acqua, essendo una molecola polare, è infatti capace di assumere una parziale carica in grado di creare la differenza di potenziale necessaria per generare una scarica,[13] che può arrivare ad avere intensità anche decine di migliaia di volte superiori a quelle registrate sulla Terra.[128] Le nubi d'acqua, grazie all'apporto del calore interno del pianeta, possono quindi formare dei complessi temporaleschi simili a quelli terrestri.[129]

La caratteristica colorazione marrone-arancio delle nubi gioviane è causata da composti chimici complessi, noti come cromofori, che emettono luce in questo colore quando sono esposti alla radiazione ultravioletta solare. L'esatta composizione di queste sostanze rimane incerta, ma si ritiene che vi siano discrete quantità di fosforo, zolfo ed idrocarburi complessi;[13][130] questi composti colorati si mescolano con lo strato di nubi più profondo e più caldo. Questo caratteristico bandeggio si forma quando l'emergere delle celle convettive provoca la cristallizzazione dell'ammoniaca (cioè nelle "zone" più chiare), che cela alla vista questi strati più bassi. Mentre nelle bande (cromaticamente più scure) il movimento convettivo è discendente e a temperature più alte.[10]

Giove, avendo una bassa inclinazione assiale, espone i propri poli a una radiazione solare inferiore, seppur di poco, rispetto a quella delle zone equatoriali; la convezione all'interno del pianeta trasporta tuttavia più energia ai poli, bilanciando le temperature degli strati nuvolosi.[27]

La Grande Macchia Rossa e altre tempeste

Lo stesso argomento in dettaglio: Grande Macchia Rossa.
Un'immagine a falsi colori ripresa nell'infrarosso dalla sonda New Horizons che mostra una porzione dell'atmosfera gioviana prospiciente la Grande Macchia Rossa. NASA

La caratteristica sicuramente più nota di Giove pianeta è la Grande Macchia Rossa (GRS, dall'inglese Great Red Spot), una vasta tempesta anticiclonica posta a 22° sotto l'equatore del pianeta; le prime fonti certe su di essa risalgono al 1831,[131] ma si fa risalire la sua scoperta almeno al 1665, da parte di Cassini e Hooke.[132] La tempesta è abbastanza grande da essere visibile già con telescopi amatoriali.[32]

La formazione presenta un aspetto ovale e ruota in senso antiorario con un periodo di circa 6 giorni.[133] Le sue dimensioni, piuttosto variabili, sono 24-40.000 km per 12-14.000 km: è quindi abbastanza grande da contenere due o tre pianeti della grandezza della Terra.[134] Le indagini infrarosse hanno mostrato che la tempesta è più fredda rispetto alle zone circostanti, segno che si trova più in alto rispetto ad esse:[135] lo strato più alto di nubi della GRS svetta di circa 8 km sugli strati circostanti.[135][136]

Alcune tempeste dell'atmosfera gioviana riprese dal telescopio spaziale Hubble: la Grande Macchia Rossa, l'Ovale BA (in basso a sinistra) e un'altra macchia rossastra di recente formazione; si notino, al di sotto di esse, due ovali biancastri simili a quelli da cui ebbe origine l'Ovale BA. NASA

La Macchia varia notevolmente in gradazione, dal rosso mattone al salmone pastello, ed anche al bianco; non è ancora noto cosa determini la colorazione rossa della macchia. Alcune teorie, supportate dai dati sperimentali, suggeriscono che il colore possa essere causato dai medesimi cromofori, presenti però in quantità differenti, che conferiscono la caratteristica colorazione al resto dell'atmosfera gioviana. Anche prima che le sonde Voyager dimostrassero che si trattasse di una tempesta, vi era una forte evidenza che la Macchia non fosse associata ad altre formazioni più profonde dell'atmosfera planetaria, come d'altronde appariva dalla sua rotazione lungo il pianeta tutto sommato indipendente dal resto dell'atmosfera.[137]

Non si sa se i cambiamenti manifestati siano il risultato di normali fluttuazioni periodiche dalla Macchia, né tantomeno per quanto ancora essa durerà;[138] i modelli fisico-matematici suggeriscono però che la tempesta sia stabile e quindi possa costituire, al contrario di altre, una formazione permanente del pianeta.[139]

Tempeste simili a questa, anche se temporanee, non sono infrequenti nelle atmosfere dei pianeti giganti gassosi: per esempio, Nettuno ha posseduto per un certo tempo una formazione affine,[140] e Saturno mostra periodicamente per brevi periodi delle Grandi Macchie Bianche.[141][142] Anche Giove presenta degli ovali bianchi (detti WOS, acronimo di White Oval Spots, Macchie Ovali Bianche), assieme ad altri marroni; si tratta tuttavia di tempeste minori transitorie, per questo prive di una denominazione. Gli ovali bianchi sono in genere composti da nubi relativamente fredde poste nell'alta atmosfera; gli ovali marroni sono invece più caldi, e si trovano ad altezze medie. La durata di queste tempeste si aggira indifferentemente tra poche ore o molti anni.[143]

Nel 2000, nell'emisfero australe del pianeta, si è originata dalla coalescenza di tre ovali biancastri una formazione simile alla GRS, ma di dimensioni più piccole.[144] Denominata tecnicamente Ovale BA, la formazione ha subito un'intensificazione dell'attività e un cambiamento di colore dal bianco al rosso, che le è valso il soprannome di Red Spot Junior.[136][138][145]

Campo magnetico e magnetosfera

Lo stesso argomento in dettaglio: Magnetosfera di Giove.
Rappresentazione schematica della magnetosfera di Giove. In azzurro sono indicate le linee di forza del campo magnetico; in rosso il toroide di Io.

Le correnti elettriche all'interno del mantello di idrogeno metallico generano un campo magnetico dipolare,[146] inclinato di 10° rispetto all'asse di rotazione del pianeta, che raggiunge un'intensità variabile tra 4,2 gauss - G - (0,42 millitesla - mT -) all'equatore e 13 G (1,3 mT) ai poli, il che lo rende il più intenso campo magnetico del sistema solare (con l'eccezione di quello nelle macchie solari), 14 volte superiore al campo geomagnetico.[10] Il campo magnetico di Giove preserva la sua atmosfera dalle interazioni col vento solare deflettendolo e creando una regione appiattita, la magnetosfera, costituita da un plasma di composizione molto differente da quello del vento solare.[147]

La magnetosfera di Giove è la più grande e potente fra tutte le magnetosfere dei pianeti del sistema solare, nonché la struttura più grande del sistema solare stesso non appartenente al Sole: si estende infatti nel sistema solare esterno per molte volte il raggio di Giove e raggiunge un'ampiezza massima che può superare l'orbita di Saturno.[147] Se fosse visibile ad occhio nudo dalla Terra, avrebbe un'estensione apparente superiore al diametro della Luna Piena,[146] nonostante la sua grande distanza.

La magnetosfera gioviana è convenzionalmente divisa in tre parti: la magnetosfera interna, intermedia ed esterna. La magnetosfera interna è situata ad una distanza inferiore a 10 raggi gioviani (RJ) dal pianeta; il campo magnetico al suo interno rimane sostanzialmente dipolare, poiché ogni contributo proveniente dalle correnti che fluiscono dal plasma magnetosferico equatoriale risulta piccolo. Nelle regioni intermedie (tra 10 e 40 RJ) ed esterne (oltre 40 RJ) il campo magnetico non è più dipolare e risulta seriamente disturbato dalle sue interazioni col plasma solare.[147]

Immagine ultravioletta di un'aurora gioviana ripresa dal telescopio Hubble; i tre punti sono generati, rispettivamente, dalle interazioni di Io, Ganimede ed Europa; la fascia di radiazione più intensa è detta ovale aurorale principale, al cui interno si trovano le cosiddette emissioni polari. NASA

Il satellite galileiano Io, noto per la sua intensa attività vulcanica, contribuisce ad alimentare la magnetosfera gioviana generando un importante toroide di plasma,[147] che carica e rafforza il campo magnetico formando così la struttura chiamata magnetodisk;[146] ne consegue che la magnetosfera gioviana, a dispetto di quella terrestre, sia alimentata dal pianeta stesso e da un satellite piuttosto che dal vento solare. Le forti correnti che circolano nella magnetosfera danno origine a delle intense fasce di radiazione simili alle fasce di Van Allen terrestri, ma migliaia di volte più potenti;[147] queste forze generano delle aurore perenni attorno ai poli del pianeta[148] ed intense emissioni radio.[149][150]

L'interazione delle particelle energetiche con la superficie delle lune galileiane maggiori influenza notevolmente le loro proprietà chimiche e fisiche, ed entrambi influenzano e sono influenzati dal particolare moto del sottile sistema di anelli del pianeta.[151]

Ad una distanza media di 75 RJ (compresa tra circa 45 e 100 RJ a seconda del periodo del ciclo solare)[147][152] dalla sommità delle nubi del pianeta è presente una lacuna tra il plasma del vento solare e il plasma magnetosferico, che prende il nome di magnetopausa. Al di là di essa, ad una distanza media di 84 RJ dal pianeta, si trova il bow shock, il punto in cui il flusso del vento viene deflesso dal campo magnetico.[146][153]

Immagine nel visibile del pianeta sovrapposta ai dati ottenuti dalle osservazioni radio; da notare l'area toroidale che circonda l'equatore del pianeta.

Emissione radio magnetosferica

Le correnti elettriche delle fasce di radiazione generano delle emissioni radio di frequenza variabile tra 0,6 e 30 MHz,[149] che quindi rendono Giove un'importante radiosorgente; questa emissione radio è caratterizzata da flash intorno ai 22,2 MHz.[13] Le prime analisi, condotte da Burke e Franklin, rivelarono che il periodo di queste intense emissioni di onde radio coincideva con il periodo di rotazione del pianeta, la cui misurazione fu quindi determinata con maggiore accuratezza. Essi riconobbero inizialmente due tipologie di emissione: i lampi lunghi (long o L-bursts), della durata di alcuni secondi, e i lampi corti (short o S-bursts), che durano poco meno di un centesimo di secondo.[154]

Sono state in seguito scoperte altre tre forme di segnale radio trasmesse dal pianeta:

La forte modulazione periodica dell'emissione radio e particellare, che corrisponde al periodo di rotazione del pianeta, rende Giove affine ad una pulsar.[157] Si tenga comunque in considerazione il fatto che l'emissione radio del pianeta dipende fortemente dalla pressione del vento solare e, quindi, dall'attività solare stessa.[148]

Anelli

Lo stesso argomento in dettaglio: Anelli di Giove.

Giove possiede un debole sistema di anelli planetari, il terzo ad esser stato scoperto nel sistema solare, dopo quello di Saturno e quello di Urano. Fu osservato per la prima volta nel 1979 dalla sonda Voyager 1,[158] ma fu analizzato più approfonditamente negli anni novanta dalla sonda Galileo [159] e, a seguire, dal telescopio spaziale Hubble [160] e dai più grandi telescopi di Terra.[161]

Un mosaico di fotografie degli anelli di Giove scattate dalla Galileo mentre si trovava nel cono d'ombra del pianeta. NASA

Il sistema di anelli consiste principalmente di polveri, presumibilmente silicati.[158][162] È suddiviso in quattro parti principali: un denso toro di particelle noto come anello di alone; una fascia relativamente brillante, ma eccezionalmente sottile nota come anello principale; due deboli fasce più esterne, detti anelli Gossamer (garza), che prendono il nome dai satelliti il cui materiale superficiale ha dato origine a questi anelli: Amaltea (anello Gossamer di Amaltea) e Tebe (anello Gossamer di Tebe).[163]

L'anello principale e l'anello di alone sono costituiti da polveri originarie dei satelliti Metis e Adrastea ed espulse nello spazio in seguito a violenti impatti meteorici.[159] Le immagini ottenute nel febbraio e nel marzo 2007 dalla missione New Horizons hanno mostrato inoltre che l'anello principale possiede una ricca struttura molto fine.[164]

All'osservazione nel visibile e nell'infrarosso vicino gli anelli hanno un colore tendente al rosso, eccezion fatta per l'anello di alone, che appare di un colore neutro o comunque tendente al blu.[160] Le dimensioni delle polveri che compongono il sistema sono variabili, ma è stata riscontrata una netta prevalenza di polveri di raggio pari a circa 15 μm in tutti gli anelli tranne in quello di alone,[165]probabilmente dominato da polveri di dimensioni nanometriche. La massa totale del sistema di anelli è scarsamente conosciuta, ma è probabilmente compresa tra 1011 e 1016 kg.[166] L'età del sistema è sconosciuta, ma si ritiene che esista sin dalla formazione del pianeta madre.[166]

Satelliti naturali

Lo stesso argomento in dettaglio: Satelliti naturali di Giove.
I quattro satelliti galileiani: Io, Europa, Ganimede, Callisto.

Giove è circondato da una nutrita schiera di satelliti naturali, i cui membri attualmente identificati sono 63, che lo rendono il pianeta con il più grande corteo di satelliti con orbite ragionevolmente sicure del sistema solare.[167] Otto di questi sono definiti satelliti regolari e possiedono orbite prograde (ovvero, che orbitano nello stesso senso della rotazione di Giove), quasi circolari e poco inclinate rispetto al piano equatoriale del pianeta.[168] La classe è suddivisa in due gruppi:

Le restanti 54–55 lune sono annoverate tra i satelliti irregolari, le cui orbite, sia prograde sia retrograde (che orbitano in senso opposto rispetto al senso di rotazione di Giove), sono poste a una maggiore distanza dal pianeta madre e presentano alti valori di inclinazione ed eccentricità orbitale. Questi satelliti sono spesso considerati più che altro degli asteroidi (cui spesso assomigliano per dimensioni e composizione) catturati dalla grande gravità del gigante gassoso e frammentati a seguito di collisioni;[169][170] di questi, tredici, scoperti tutti abbastanza recentemente, non hanno ancora ricevuto un nome, mentre altri quattordici attendono che la loro orbita sia precisamente determinata.[98]

File:Animazione lune esterne Giove.gif
Le orbite dei satelliti esterni; da notare la loro forte inclinazione.

L'identificazione dei gruppi (o famiglie) satellitari è sperimentale; si riconoscono due principali categorie, che differiscono per il senso in cui orbita il satellite: i satelliti progradi e quelli retrogradi; queste due categorie a loro volta assommano le diverse famiglie.[98][19][171]

Non tutti i satelliti appartengono ad una famiglia; esulano infatti da questo schema Temisto,[171] Carpo,[19] S/2003 J 12 e S/2003 J 2.

Il numero preciso di satelliti non sarà mai quantificato esattamente, perché i frammenti ghiacciati che compongono i suoi anelli possono tecnicamente essere considerati tali; inoltre, a tutt'oggi, l'Unione Astronomica Internazionale non ha voluto porre con precisione una linea arbitraria di distinzione tra satelliti minori e grandi frammenti ghiacciati.[98]

I nomi dei satelliti di Giove sono ispirati a quelli di amanti o figlie del dio romano Giove, o del suo equivalente greco, Zeus.[173]

Interazioni col resto del sistema solare

Riproduzione artistica di un frammento della cometa Shoemaker-Levy 9 in rotta di collisione con Giove.

La forza di gravità di Giove ha contribuito, insieme a quella del Sole, a plasmare il sistema solare. Il pianeta è il responsabile di gran parte delle lacune di Kirkwood nella fascia principale degli asteroidi, e si ritiene che sia stato il principale fautore dell'intenso bombardamento tardivo nelle prime fasi della storia del sistema solare.[21] Giove è stato spesso accreditato come lo spazzino del sistema solare,[174] per via del suo immane pozzo gravitazionale e la sua posizione relativamente vicina al sistema solare interno che lo rendono l'attrattore della maggior parte dei detriti vaganti nelle sue vicinanze;[22] per tale ragione è anche il pianeta con la maggior frequenza di impatti cometari dell'intero sistema solare, l'ultimo dei quali avvenuto nel 1994 con la cometa Shoemaker-Levy 9.[175] Isshi Tabe, un astrofilo giapponese di Yokohama, ha scoperto tra i carteggi delle osservazioni di Cassini dei disegni di una macchia scura apparsa su Giove il 5 dicembre 1690; questi disegni, che seguono l'evoluzione della macchia durante 18 giorni, potrebbero essere la rappresentazione di un impatto antecedente a quello della Shoemaker-Levy 9.[176]

La maggioranza delle comete periodiche appartiene alla famiglia di Giove, i cui membri sono caratterizzati da avere orbite i cui semiassi maggiori sono inferiori a quello del pianeta.[177] Si ritiene che le comete di questa famiglia si siano formate all'interno della fascia di Kuiper e che la loro orbita particolarmente ellittica sia il risultato dell'attrazione del Sole e delle perturbazioni gravitazionali esercitate da Giove durante il passaggio ravvicinato delle comete.[178]

Asteroidi troiani

Lo stesso argomento in dettaglio: Asteroidi troiani di Giove.
Un'immagine che mostra gli asteroidi troiani di Giove (colorati in verde) posti anteriormente e posteriormente a Giove in corrispondenza del suo tragitto orbitale. L'immagine mostra anche la fascia principale, tra le orbite di Marte e Giove (in bianco), e la famiglia Hilda (marrone).

Oltre al sistema di satelliti, il campo gravitazionale di Giove controlla numerosi asteroidi, detti asteroidi troiani,[179] che si sono stabiliti in corrispondenza di alcuni punti di equilibrio del sistema Sole-Giove, i punti di Lagrange o lagrangiani, in cui l'attrazione gravitazionale complessiva è nulla. In particolare, il maggiore addensamento di asteroidi si ha in corrispondenza dei punti L4 ed L5 (che, rispettivamente, precede e segue di 60° Giove nel suo tragitto orbitale), poiché il triangolo di forze con vertici Giove-Sole-L4 oppure Giove-Sole-L5 permette ad essi di avere un'orbita stabile.[179] Gli asteroidi troiani sono distribuiti in due regioni oblunghe e curve attorno ai punti lagrangiani, e possiedono orbite con un semiasse maggiore medio di circa 5,2 UA.[180]

Il primo asteroide troiano, 588 Achilles, fu scoperto nel 1906 da Max Wolf;[181] attualmente se ne conoscono quasi 3000,[182] ma si ritiene che il numero di troiani più grandi di 1 km sia dell'ordine del milione, quasi uguale a quello previsto per gli asteroidi più grandi di 1 km della fascia principale.[180] L'asteroide troiano più grande è 624 Hektor, con un raggio medio di 101,5 ± 1,8 km.[183] Come la maggior parte delle cinture asteroidali, i troiani costituiscono delle famiglie.[98]

I troiani di Giove sono degli oggetti oscuri con spettri tendenti al rosso e privi di formazioni, che non hanno rivelato la presenza certa di acqua o composti organici. Le densità dei troiani (misurate studiando gli asteroidi binari o le curve di luce rotazionali) variano da 0,8 a 2,5 × 103kg·m−3.[98]

I nomi degli asteroidi troiani di Giove derivano da quelli degli eroi che, secondo la mitologia greca, presero parte alla Guerra di Troia;[181] i troiani di Giove si dividono in due gruppi principali: il campo greco (o gruppo di Achille), che corrisponde al punto L4, in cui gli asteroidi hanno i nomi degli eroi greci, e il campo troiano (o gruppo di Patroclo), che corrisponde al punto L5 di Giove e i cui asteroidi hanno il nome degli eroi troiani.[181] Tuttavia, alcuni asteroidi non seguono questo schema di nomenclature: 617 Patroclus venne denominato prima che venisse sancita la divisione tra campo greco e campo troiano, così che un eroe greco appare nel campo troiano; allo stesso modo, nel campo greco è presente 624 Hektor, che è stato nominato da un eroe troiano.[184]

Giove ripreso nell'ultravioletto dal telescopio Hubble poco dopo l'impatto con la Shoemaker-Levy 9.[185] Le lettere indicano i frammenti della cometa responsabili delle "cicatrici" segnalate dalle frecce.

La collisione con la cometa Shoemaker-Levy 9

Lo stesso argomento in dettaglio: Cometa Shoemaker-Levy 9.

Tra il 16 ed il 22 luglio del 1994 i frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9 caddero su Giove dando luogo ad un vero e proprio bombardamento;[73] è stata quindi la prima, e finora unica, cometa ad essere osservata durante la sua collisione con un pianeta. Scoperta il 25 marzo 1993 dagli astronomi Eugene e Carolyn S. Shoemaker e da David Levy[186] mentre analizzavano delle lastre fotografiche dei dintorni di Giove, la cometa destò immediatamente l'interesse della comunità scientifica: non era mai accaduto infatti che una cometa fosse scoperta in orbita attorno ad un pianeta e non direttamente intorno al Sole. Catturata dal pianeta presumibilmente tra la seconda metà degli anni sessanta ed i primi anni settanta, la cometa è stata disgregata in 21 frammenti dalle forze di marea del gigante gassoso; la Shoemaker-Levy 9 si presentava nel 1993 come una lunga fila di punti luminosi immersi nella luminescenza delle loro code, indicati spesso sui giornali come "la collana di perle".[187][188]

Gli studi condotti sull'orbita della cometa poco dopo la sua scoperta portarono alla conclusione che essa sarebbe precipitata sul pianeta entro il luglio del 1994;[73] fu quindi avviata un'estesa campagna osservativa che coinvolse numerosi osservatori a Terra e diverse sonde nello spazio per la registrazione dell'evento. Le macchie scure che si formarono sul pianeta a seguito della collisione furono osservabili da Terra per diversi mesi, prima che l'attiva atmosfera gioviana riuscisse a cancellare le cicatrici di questo energico evento.[53][189]

L'evento ebbe una rilevanza mediatica considerevole, ma contribuì notevolmente anche alle conoscenza scientifiche sul sistema solare; in particolare, le esplosioni causate dalla caduta della cometa si rivelarono molto utili per investigare le proprietà dell'atmosfera di Giove sotto gli immediati strati superficiali, normalmente inaccessibili, e sottolineò il ruolo svolto da Giove nel ridurre i detriti spaziali presenti nel sistema solare interno.[22]

Possibilità di sostenere la vita

Lo stesso argomento in dettaglio: Origine della vita.
Un esperimento della NASA per testare la possibilità della vita su Giove, sull'impronta dell'esperimento di Miller-Urey.

Nel 1953 un neolaureato, Stanley Miller, ed il suo professore, Harold Urey, realizzarono un esperimento che provò che molecole organiche si sarebbero potute formare spontaneamente sulla Terra primordiale a partire da precursori inorganici.[190] In quello che è passato alla storia come "esperimento di Miller-Urey" si fece uso di una soluzione gassosa altamente riducente, contenente metano, ammoniaca, idrogeno e vapore acqueo, per formare, sotto l'esposizione di una scarica elettrica continua (che simulava i frequenti fulmini che dovevano squarciare i cieli della Terra primitiva[191]), sostanze organiche complesse ed alcuni monomeri di macromolecole fondamentali per la vita, come gli amminoacidi delle proteine.[192][193]

Poiché la composizione dell'atmosfera di Giove ricalca quella che doveva essere la composizione dell'atmosfera terrestre primordiale ed è spesso oggetto di intensi fenomeni elettrici, lo stesso esperimento è stato replicato per verificarne le potenzialità nel generare le molecole che stanno alla base della vita.[194] Tuttavia, la forte circolazione verticale dell'atmosfera gioviana porterebbe gli eventuali composti che si verrebbero a produrre nelle zone basse dell'atmosfera del pianeta; inoltre, le elevate temperature di queste regioni provocherebbero la decomposizione di queste molecole, impedendo in tal modo la formazione della vita così come la conosciamo.[195]

Per queste ragioni, si ritiene altamente improbabile che su Giove vi possa essere vita simile a quella terrestre, anche in forme molto semplici come i procarioti, per via degli scarsi quantitativi d'acqua, per l'assenza di una superficie solida e per le altissime pressioni che si riscontrano nelle aree interne. Tuttavia nel 1976, prima delle missioni Voyager, è stato ipotizzato che nelle regioni più alte dell'atmosfera gioviana potessero evolversi delle forme di vita basate sull'ammoniaca e su altri composti dell'azoto; l'ipotesi è stata formulata prendendo spunto dall'ecologia dei mari terrestri, in cui, a ridosso della superficie, si addensano semplici organismi fotosintetici, come il fitoplancton, subito al di sotto dei quali si trovano i pesci, che si cibano di essi, e più in profondità i predatori marini che si nutrono dei pesci.[196][197] I tre ipotetici equivalenti di questi organismi su Giove sono stati definiti da Sagan e Salpeter[197] "galleggiatori", "sprofondatori" e "cacciatori" (o, in lingua inglese, floaters, sinkers ed hunters), e sono stati immaginati come delle creature simili a bolle di dimensioni gigantesche che si muovono propellendo l'elio atmosferico.[196]

I dati forniti dalle due Voyager nel 1979 non hanno fatto altro che confermare la non idoneità del gigante gassoso a supportare eventuali forme di vita.[198]

Giove nella cultura umana

Etimologia e significato religioso

Lo Zeus di Otricoli. Marmo, copia romana di originale bronzeo greco del IV secolo a.C. Musei Vaticani.

La grande luminosità di Giove, che lo rende ben visibile nel cielo notturno, lo ha reso oggetto di numerosi culti religiosi da parte delle civiltà antiche, per prime le civiltà mesopotamiche. Per i Babilonesi, il pianeta rappresentava Marduk, il primo fra gli dei e il creatore dell'uomo.[199]

L'analogo greco di Marduk era Zeus (in greco antico Ζεύς), il padre degli dei e il dio del tuono, che era spesso poeticamente chiamato con il vocativo Ζεῦ πάτερ (Zeu pater, O padre Zeus!); il nome è l'evoluzione di Di̯ēus, il dio del cielo diurno della religione protoindoeuropea, chiamato anche Dyeus ph2tēr (Padre Cielo).[200] Il dio era conosciuto con questo nome anche in sanscrito (Dyaus/Dyaus Pita) e in latino (Iuppiter, originariamente Diespiter), lingue che elaborarono la radice *dyeu- ("splendere" e nelle sue forme derivate "cielo, paradiso, dio")[200]; in particolare, il nome latino della divinità, che deriva dal vocativo *dyeu-ph2tēr[23], presenta molte analogie con il sostantivo deus-dīvus (dio, divino) e dis (una variazione di dīves, ricco[201]) che proviene dal simile sostantivo *deiwos.[201] Zeus/Giove è quindi l'unica divinità del Pantheon olimpico il cui nome abbia un'origine indoeuropea così marcata.[202]

Zeus/Giove era re degli dei, sovrano dell'Olimpo, dio del cielo e del tuono. Famoso per le sue frequentissime avventure erotiche extraconiugali, fu padre di divinità, eroi ed eroine e la sua figura è presente nella maggior parte delle leggende che li riguardano. Sebbene lo Zeus "radunatore di nuvole" (νεφεληγερέτα, nephelēgheréta) dei poemi omerici fosse un dio del cielo e del tuono al pari delle equivalenti divinità orientali, rappresentava anche il massimo riferimento culturale del popolo greco: sotto certi aspetti egli era l'espressione più autentica della religiosità greca ed incarnava l'archetipo del divino proprio di quella cultura.[203] Lo Zeus dell'epoca classica prendeva alcuni aspetti iconografici dalle culture del Vicino Oriente, come ad esempio lo scettro. Gli artisti greci immaginavano Zeus soprattutto in due particolari posizioni: in piedi, mentre con il braccio destro alzato segue ad ampie falcate una folgore che ha appena scagliato, oppure seduto sul suo trono.[203]

Dalla medesima radice indoeuropea trae origine anche il nome dell'equivalente nella religione germanica e in quella norrena (*Tīwaz, cfr. in alto tedesco antico Ziu e in norreno Týr). Tuttavia, se per Greci e Romani il dio del cielo era anche il più grande degli dei, nelle culture nordiche questo ruolo era attribuito ad Odino: di conseguenza questi popoli non identificavano, per il suo attributo primario di dio del tuono, Zeus/Giove né con Odino né con Tyr, quanto piuttosto con Thor (Þórr). Da notare comunque come il quarto giorno della settimana sia dedicato da entrambe le culture, quella greco romana e quella nordica, come il giorno dedicato a Giove: Giovedì deriva infatti dal latino Iovis dies, mentre l'equivalente inglese, Thursday, significa Thor's day, ossia giorno di Thor.[204]

Nell'astrologia

Lo stesso argomento in dettaglio: Giove (astrologia).
Il simbolo astrologico di Giove.

Nell'astrologia occidentale il pianeta Giove è associato al principio della crescita, dell'espansione, della prosperità e della buona sorte, così come al senso interiore di giustizia di una persona, alla moralità e ai suoi più alti intenti e ideali. Governa i viaggi lunghi, specialmente quelli all'estero, l'educazione più elevata, la religione e la legge;[205] è inoltre associato ad una propensione alla libertà e all'esplorazione, ai ruoli umanitari e protettivi, e con la capacità di rendere allegri e felici, o gioviali.[206] Il pianeta è domiciliato nel Sagittario (domicilio diurno) e nei Pesci (domicilio notturno), in esaltazione nel Cancro, in esilio nei Gemelli e nella Vergine, in caduta nel Capricorno.[207]
Nell'astrologia moderna Giove è ritenuto il possessore della nona e della dodicesima casa, ma tradizionalmente gli erano assegnate la seconda e la nona (rispettivamente, la casa dei valori e dei pensieri) ed aveva "gioia" nell'undicesima casa, degli amici e delle aspirazioni.[205]

Nell'astrologia medica il pianeta governa il sangue ed è associato al fegato, all'ipofisi e alla disposizione del tessuto adiposo.[208]

Nell'astrologia cinese Giove è governato dall'elemento del legno (木星), che è caloroso, generoso e cooperativo.[209] Nell'astrologia indiana Giove è chiamato Guru o Brihaspati ed è noto come il "grande maestro".[210][211][212]

Nella letteratura e nelle opere di fantascienza

I beati del Cielo di Giove nell'Aquila imperiale; incisione di Gustave Doré.

Giove, nonostante la sua grande luminosità, non ha goduto di grande attenzione nel mondo letterario antico e medioevale; il pianeta, infatti, compare principalmente come riferimento per il suo significato astrologico. Marco Manilio, nei suoi Astronomicon libri, descriveva Giove come un pianeta dagli influssi temperati e benigni, e lo definiva come il pianeta più benefico.[213][214] Dante Alighieri, nel Convivio, associa Giove all'arte della geometria, poiché come Giove è la «stella di temperata complessione» (Con - II, 14) tra il cielo caldo di Marte e quello freddo di Saturno, così la geometria spazia tra il punto, suo principio primo, e il cerchio, figura perfetta e quindi sua massima realizzazione.[215]
Il pianeta compare anche nel capolavoro del poeta fiorentino, la Divina Commedia, e in particolare nel Paradiso, di cui rappresenta il sesto Cielo.[216] La virtù caratteristica dei beati di questo Cielo è la giustizia:[217] esso è infatti sede delle anime di principi saggi e giusti (tra cui Re David, Traiano e Costantino [218]), che appaiono a Dante come luci che volano e cantano, formando lettere luminose che compongono la frase «Diligite iustitiam qui iudicatis terram» («Amate la giustizia voi che giudicate il mondo»);[219] in seguito i beati, a partire dall'ultima M (che è anche l'iniziale della parola "Monarchia", tematica cara a Dante), danno forma all'immagine di un'aquila,[220] allegoria dell'Impero.[221] Questo cielo è mosso dalle intelligenze angeliche della seconda gerarchia, cioè dalle dominazioni.

Solamente a partire dal XVIII secolo il pianeta fu utilizzato in quanto tale, come ambientazione fittizia per diverse opere letterarie a carattere filosofico: in Micromega, scritto da Voltaire nel 1752, l'eroe eponimo e il suo compagno saturniano si fermano su Giove per un anno, durante il quale hanno «imparato alcuni segreti veramente degni di nota».[222]

Fu soprattutto verso la fine del XIX secolo che il pianeta divenne in maniera costante l'ambientazione di numerosi racconti del filone fantascientifico.[223] Giove è stato spesso rappresentato, soprattutto nelle opere dei primi anni del Novecento, come un enorme pianeta roccioso circondato da un'atmosfera molto densa e spessa,[224] prima che si scoprisse la sua vera natura di gigante gassoso, privo di una vera e propria superficie.

Oltre a Giove stesso è stato spesso utilizzato come ambientazione fantascientifica anche il suo sistema di satelliti.[223][225]

Lo stesso argomento in dettaglio: Giove nella fantascienza.

Note

  1. ^ a b c Donald K. Yeomans, HORIZONS System, su ssd.jpl.nasa.gov, NASA JPL, 13 luglio 2006. URL consultato l'08-08-2007. — All'interno del sito, si vada su "web interface", quindi si scelga "Ephemeris Type: ELEMENTS", "Target Body: Jupiter Barycenter" e "Center: Sun".
  2. ^ a b c I parametri orbitali sono riferiti al centro di massa del sistema di Giove e sono dei valori osculatori istantanei all'epoca J2000.0. I parametri del centro di massa sono stati presi a modello poiché essi, al contrario del centro del pianeta, non mostrano delle variazioni apprezzabili su base giornaliera dovute all'attrazione gravitazionale dei satelliti lungo il loro moto di rivoluzione.
  3. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p David R. Williams, Jupiter Fact Sheet, su nssdc.gsfc.nasa.gov, 16 novembre 2004. URL consultato l'08-08-2007. Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "fact" è stato definito più volte con contenuti diversi
  4. ^ a b Aldo Vitagliano, The MeanPlane (Invariable plane) of the Solar System passing through the barycenter (GIF), su home.comcast.net, 3 aprile 2009. URL consultato il 10-04-2009.
  5. ^ a b c d e f g P. Kenneth Seidelmann, B. A. Archinal, M. F. A'hearn, et.al., Report of the IAU/IAGWorking Group on cartographic coordinates and rotational elements: 2006, in Celestial Mechanics and Dynamical Astronomy, vol. 90, 2007, pp. 155–180, DOI:10.1007/s10569-007-9072-y. URL consultato il 28-08-2007.
  6. ^ a b c d e f Come quota superficiale si prende convenzionalmente quella in cui l'atmosfera esercita una pressione di 1 bar.
  7. ^ Solar System Exploration: Planets: Jupiter: Facts & Figures, su solarsystem.nasa.gov, NASA. URL consultato il 12-12-2008.
  8. ^ a b c d P. K. Seidelmann, V. K. Abalakin, M. Bursa, M. E. Davies, et al., Report of the IAU/IAG Working Group on Cartographic Coordinates and Rotational Elements of the Planets and Satellites: 2000, su hnsky.org, HNSKY Planetarium Program, 2001. URL consultato il 02-02-2007.
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  • (EN) AA.VV., The New Solar System, a cura di Kelly J. Beatty; Carolyn Collins Peterson; Andrew Chaiki, 4ª ed., Massachusetts, Sky Publishing Corporation, 1999, ISBN 0933346867, OCLC 39464951.
  • (EN) D. C. Jewitt; S. Sheppard ; C. Porco, F. Bagenal; T. Dowling; W. McKinnon, Jupiter: The Planet, Satellites and Magnetosphere (PDF), Cambridge, Cambridge University Press, 2004, ISBN 0521818087.
  • (EN) Linda T. Elkins-Tanton, Jupiter and Saturn, New York, Chelsea House, 2006, ISBN 0-8160-5196-8.

Voci correlate

Generali

Vista della Grande Macchia Rossa di Giove e dei suoi dintorni in falsi colori ripresa dalla Voyager 1 il 25 febbraio 1979, quando la sonda si trovava a circa 9 milioni di chilometri di distanza.

Sui satelliti

Sull'esplorazione

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