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Storia del Piemonte

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Voce principale: Piemonte.

«Il principato del Piemonte [...] si può chiamare, per le guerre continue, e sanguinose, che vi sono state, la Fiandra dell'Italia.»

Il Piemonte, regione confinante con Francia e Svizzera, è forse una delle regioni italiane più influenzate dai paesi confinanti. La posizione strategica ai piedi delle Alpi la rese ambita da molte potenze (più di tutte la Francia) come "chiave d'accesso" all'Italia.

Furono però i Savoia a dominare sul Piemonte a partire dal XVI secolo: da quando Emanuele Filiberto di Savoia spostò la capitale da Chambéry a Torino, la dinastia prese le redini della storia piemontese mantenendo il dominio sul ducato prima e sul regno poi, fino all'Unità d'Italia.

La copertina de l'Historia di Torino e degli Stati di Casa Savoia, scritta nel 1676 da Giovanni Andrea Pauletti in onore del duca Vittorio Amedeo II.

Le origini

I primi insediamenti nella regione che oggi viene chiamata Piemonte (letteralmente ad pedem montium) risalgono al Neolitico (utensili sono stati ritrovati nei pressi di Alba, Ivrea e nella Valle di Susa).

Il territorio fu poi abitato dai Liguri, stanziatisi in gran parte dell'Italia settentrionale, e da altri popoli di stirpe ligure-gallica, quali i Taurini, i Graioceli, i Bagienni e i Salassi. Una grande varietà di popolazioni, dunque, che vivevano di pastorizia ai piedi delle montagne o di pesca lungo i grandi corsi d'acqua. Sembra perfino che la città di Torino sia sorta in epoca romana poco lontano da un insediamento di Taurini, dai quali potrebbe prendere il nome (d'altronde, il nome romano di Torino sarà Julia Augusta Taurinorum, cioè dei Taurini).

L'epoca romana

I Romani giunsero in Piemonte nel II secolo a.C.: nel 143 a.C. Appio Claudio sconfisse i Salassi nella valle della Dora Baltea, preparando la fondazione della colonia romana di Eporedia (oggi Ivrea), mentre nel 101 a.C. Gaio Mario sconfisse presso Roddi, nella Battaglia dei Campi Raudii, i Cimbri.

File:Dittico di Stilicone Monza.jpg
Dittico di Stilicone, il vincitore dei Battaglia di Pollenzo, circa 400. Monza, Tesoro del Duomo

Ma fu soltanto all'epoca di Cesare, durante la campagna gallica, che nacque la città romana di Torino; nel frattempo i Salassi venivano definitivamente sottomessi con l'occupazione di Augusta Pretoria (l'odierna Aosta). La parte rimanente del Piemonte, costituita soprattutto da zone montuose, venne conquistata soltanto da Ottaviano Augusto.

Il Piemonte venne diviso tra la Gallia Cisalpina e le province romane delle Alpes Cottiae, Alpes Maritimae ed Alpes Poenninae.

I Romani fondarono alcune tra le principali città piemontesi: oltre alle già citate Torino e Ivrea, sono di fondazione romana Asti, Alba, Acqui Terme, Novara, Vercelli. Le dimensioni di queste città non erano di gran rilievo: in genere, questi borghi venivano creati dai Romani come campi militari trincerati (da qui la pianta quadrangolare che caratterizza il centro di queste città), e solo successivamente incominciavano ad ospitare civili, solitamente in numero limitato.

Al termine dell'epoca romana spicca la Battaglia di Pollenzo, combattuta nel 402 da Stilicone contro le truppe dei Visigoti nella pianura intorno a Bra.

L'alto Medioevo

Nei primi anni successivi alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente il Piemonte passò sotto il controllo delle tribù barbariche: entrata prima nel dominio di Odoacre, fu poi conquistata dai Burgundi e dagli Ostrogoti. A metà del VI secolo i Bizantini liberarono il Piemonte dalla dominazione barbarica, con cui si concluse la guerra gotica, dopo che i Goti furono totalmente sottomessi. Però, nel 568, arrivò una nuova popolazione barbarica, i Longobardi: le città bizantine del Piemonte si arresero senza opporre resistenza, e così finì in breve tempo la dominazione dell'Impero bizantino. Alcuni dei nuovi padroni longobardi stanziatisi in Italia settentrionale salirono a capo del nuovo regno con capitale a Pavia: tra essi, significativa per il Piemonte è la figura di Agilulfo, tra i primi duchi di Torino.

A questo periodo risalgono la suddivisione del territorio in ducati, quali quelli longobardi di Torino, Asti e San Giulio, la fondazione di numerosi importanti monasteri (come l'abbazia della Novalesa) e la redazione di alcune importanti norme giuridiche e amministrative.

La posizione strategica del Piemonte era ben chiara nel Medioevo, quando Carlo Magno comprese la necessità d'impossessarsi della regione per conquistare il regno longobardo di Desiderio. La battaglia che si svolse presso la Chiusa di San Michele fu decisiva per il re franco: sconfitti i longobardi, egli penetrò in profondità nel territorio piemontese, raggiungendo Torino e marciando a tappe forzate verso Pavia.

Le invasioni saracene

Un lungo periodo di pace fu interrotto a partire dal IX secolo, con le incursioni di pirati Saraceni provenienti dalle coste Liguria, che segnarono profondamente la storia della regione.

I predoni, che provenivano principalmente dalla Spagna e dalla Provenza e avevano posto la loro base principale a Frassineto (in Provenza, sopra Saint-Tropez), ben presto arrivarono a saccheggiare anche Asti e Susa, terrorizzando la popolazione e rendendo insicuri i commerci via terra lungo i valichi alpini. Tra il 912 e il 920 venne anche saccheggiata l'abbazia di Novalesa, che sorgeva presso il Moncenisio, e Oulx fu quasi rasa al suolo. I monaci della Novalesa, dopo il saccheggio, si rifugiarono a Torino.

Sfruttati dal re d'Italia Ugo di Provenza contro il rivale Berengario II, nel 973 i saraceni di Frassineto vennero cacciati dall'azione congiunta del re d'Italia, del conte di Torino e del conte di Provenza.

La suddivisione in marche

Lo stesso argomento in dettaglio: Anscarici.

Entrato a far parte integrante dell'Impero Carolingio, il Piemonte venne prima diviso in tre regioni amministrative franche, dai confini incerti, e in seguito entrò nella grande Marca di Ivrea, retta dagli Anscarici. Era questa una potente famiglia feudale, di origine franca, che aveva avuto il suo capostipite in Anscario I. Divenuta troppo potente per gli equilibri locali, nel 926 la Marca di Ivrea fu smembrata dal re d'Italia Ugo di Provenza. Ne nacquero tre nuove marche, che prendevano il nome dai loro fondatori:

Le nuove famiglie posero la loro sede in importanti città, anche fuori dal Piemonte (come Savona, primo capoluogo degli Aleramici).
In questo periodo non c'era ancora una distinzione netta tra Piemonte e Liguria, e del resto il il nome Piemonte indicava soltanto una zona compresa tra il Tanaro e le Alpi Cozie (acquisirà il significato attuale soltanto nel XV secolo).

I resti del castello di Avigliana

Grandi signori feudali delle marche piemontesi furono Arduino d'Ivrea e Olderico Manfredi II, signore di Torino, che tentarono senza successo di estendere i loro domini con la forza. Ai discendenti di Arduino rimase la marca Arduinica, ad Adelaide di Susa, figlia di Olderico, rimasero Torino e Susa, in cui la marchesa si insediò. Con il matrimonio contratto con Oddone di Savoia, Adelaide univa i territori piemontesi del padre Olderico con quelli alpini in Savoia che la dinastia del marito possedeva sin dai tempi di Umberto I Biancamano. Con questo matrimonio la dinastia francese incominciava a progettare di espandersi in Piemonte.

I Comuni

Nel XIII secolo si assiste ad una vera rinascita della regione: numerosi borghi prendono nuova vita con l'avvento dei Liberi comuni. Tra i più potenti si possono citare Alba, Asti, Chieri, Ivrea, Novara, Torino, Tortona e Vercelli.

Alba, uno dei più importanti comuni piemontesi

Nel 1162, quando Milano fu saccheggiata dalle milizie del Barbarossa, molti comuni piemontesi entrarono anch'essi nella grande Lega Lombarda che aveva come scopo la sconfitta dell'imperatore tedesco.

La prima città ad entrare nella Lega fu Ivrea. Molte altre seguirono il suo esempio negli anni successivi, tutte mosse anche dal desiderio di allargare i loro domini comunali a spese dei vassalli di Federico I, come il marchese Guglielmo V del Monferrato, che infatti dovettero cedere dinanzi alla forte alleanza dei comuni.

In onore al papa Alessandro III, che tanto si era operato contro la minaccia ghibellina, i comuni lombardi fondarono, in un punto strategico tra i fiumi Tanaro e Bormida una nuova città costruita a dispetto dell'imperatore tedesco: Alessandria.

Nel 1174 Federico I discese per la quinta volta in Italia. Dopo aver saccheggiato Susa, piombò nella Pianura Padana assediando Alessandria. La città sostenne un lunghissimo assedio, ma riuscì a far desistere gli invasori che da lì a poco sarebbero stati sconfitti a Legnano.

La dura sconfitta non mutò però l'assetto politico che si era venuto a creare in Piemonte: da una parte le città appartenenti alla Lega, come Ivrea, Novara, Vercelli ed Alessandria, dall'altra quelle che sostenevano l'Impero, rette da vassalli di Federico: Chieri, Casale, Torino e Tortona in particolare. Le lotte tra queste città continuarono a lungo, specie per le mire espansionistiche dei potentati aleramici del Monferrato e Saluzzo.

Il Monferrato, Saluzzo e i marchesati aleramici

Albero genealogico dei Marchesi del Monferrato, da "Compendi Historici" 1668.
Lo stesso argomento in dettaglio: Marchesato del Monferrato e Marchesato di Saluzzo.

La nascita di questi marchesati, che segnarono profondamente la storia piemontese, si deve ad Aleramo del Monferrato, che la leggenda vuole abbia sposato la figlia dell'imperatore Ottone I del Sacro Romano Impero. Aleramo avrebbe ricevuto in dono da Ottone tanta terra quanta egli sarebbe riuscito a percorrere a cavallo in tre giorni: quella zona era il Monferrato, ed Aleramo venne insignito del titolo di Marchese. Era il 967.

In realtà il dominio aleramico era molto più vasto del Monferrato: si estendeva dal fiume Po alla Liguria centro-occidentale, avendo come principale centro di potere Savona.

Aleramo era probabilmente figlio di un grande signore feudale della zona, Guglielmo, di cui si conosce assai poco. Molto più noto è Bonifacio del Vasto, nipote di Aleramo e signore di Savona, che possedeva un'estensione terriera enorme, (non solo in Piemonte ma anche in altre parti d'Italia, specie in Toscana), e divise tra i suoi figli i suoi vastissimi domini, generando in questo modo i principali potentati del Piemonte. Tra essi, i più rilevanti erano il Monferrato e Saluzzo.

In Monferrato, i marchesi Guglielmo V il Vecchio, Corrado, Bonifacio e altri estero notevolmente il potere del loro stato consolidando la dinastia e puntando a conquistare tutto il Piemonte meridionale.

Guglielmo V e Corrado parteciparono alla Terza Crociata, e Corrado divenne erede al trono del Regno di Gerusalemme. Le morti improvvise di Guglielmo V e Corrado determinarono quale successore il marchese Bonifacio I del Monferrato, che divenne re di Tessalonica. In questo regno, che ebbe una vita effimera, Bonifacio morì combattendo i Bulgari nel 1207.

La corte piemontese di Bonifacio, comunque, rimase intatta. Guglielmo VI e Bonifacio II fecero ruotare intorno a Chivasso una corte aristocratica incentrata sulle epiche gesta cortesi dei loro predecessori, impegnati nelle Crociate.

L'apice del potere avvenne forse sotto il regno di Guglielmo VII (1253 - 1296), che divenne anche capitano di Genova e Milano. Catturato dagli alessandrini, venne ucciso, e il figlio Giovanni I (1296 - 1305) morì senza eredi. A mantenere il controllo del Monferrato arrivò Teodoro I, un Paleologo di Bisanzio, imparentato con gli Aleramici.

A Saluzzo, invece, il potere marchionale fu meno evidente. Manfredo I, il primo marchese, era il primogenito di Bonifacio del Vasto e ottenne gli strategici territori di Saluzzo e poche altre terre. I suoi successori non godettero mai di grande potere. La guerra civile che contrappose Manfredo V a Federico I rischiò addirittura di distruggere l'indipendenza del marchesato.

Superata la guerra civile e abbandonata l'idea di estendere la propria egemonia su tutto il Piemonte, Saluzzo divenne un borgo florido durante i regni di Ludovico I e Ludovico II.

Tra le altre signorie aleramiche sorte in Piemonte meridionale, sono da segnalarsi anche i piccoli marchesati di Ceva e di Incisa.

L'emergere dei Savoia

Lo stesso argomento in dettaglio: Casa Savoia.
Veduta del Moncenisio, uno dei punti strategici del primo territorio sabaudo.

I primi Savoia, come già accennato, non erano piemontesi. Il cuore del loro potere era la Moriana, al di là del Moncenisio, e solo con il matrimonio tra Oddone e Adelaide di Susa ricevettero in dote i territori padani.

La loro signoria era incentrata sul controllo dei valichi alpini. I territori sabaudi, distribuiti sulle montagne, erano delimitati da confini vaghi, difficili a controllare. Fu Umberto III di Savoia, salito al potere a soli 12 anni dopo la partenza del padre Amedeo III di Savoia per le Crociate, a definirsi per la prima volta "Conte di Moriana, di Savoia e Marchese d'Italia".

I rapporti dei primi Savoia con l'Impero seguirono la sorte degli altri potentati piemontesi. Da quando Umberto III decise di staccarsi dall'influenza borgognona per creare uno stato orientato all'Italia, i Savoia dapprima cercarono di tenersi lontani dall'influenza imperiale, poi dovettero scendere a patti con essa, diventando fieri vassalli. In seguito, però, sempre seguendo la convenienza del momento, Umberto III si schierò apertamente contro l'impero, scatenando la reazione di Enrico VI che discese in Italia e saccheggiò Avigliana e Rivalta.

Gli anni successivi furono segnati dalle lotte tra Umberto III e il potere vescovile, specie quello di Torino, favorito dai successivi imperatori a scapito dei Savoia, mentre il figlio Tommaso I, cercò di attuare una politica riconciliatrice nei confronti dell'Impero. Con i governi di Tommaso I e del successore Amedeo IV il potere della casata rimase stabile.

Alla morte di Amedeo IV (1254) iniziarono sanguinose lotte intestine tra i figli (numerosissimi) del conte. Dopo alcuni anni, il territorio dei Savoia venne riunificato dal valoroso Pietro II, definito dai contemporanei "il piccolo Carlo Magno", che riuscì a ristabilire l'ordine lasciando la successione al fratello Filippo I, senza altri pretendenti al trono.

Dopo le difficoltà seguite alla morte di Amedeo V di Savoia, lo stato sabaudo riacquistò potere grazie alle imprese militari di Amedeo VI e Amedeo VII, ricordati come "il Conte Verde" e il "Conte Rosso". Amedeo VII, in particolare, riuscì a conquistare nel 1388 uno sbocco al mare con Nizza, che rimase il principale porto sabaudo e divenne uno dei capisaldi del potere della Casa in Piemonte.

Da segnalarsi, inoltre, il ramo della famiglia Savoia-Acaia, che ricevette il titolo nel 1301, al matrimonio di Filippo d'Acaia con Isabella, ultima erede della dinastia dell'omonimo principato greco, e fino al 1418 mantenne la signoria su una vasta area intorno a Pinerolo (la capitale) e Fossano.

Il XV secolo

Durante il XV secolo si assiste ad un consolidamento del potere signorile a scapito delle città comunali (già decadute nel secolo precedente) e soprattutto dei vescovi. Il potere vescovile aveva svolto una funzione di collante tra le varie città, ma dagli inizi del Quattrocento, con l'avanzata dei Savoia e il consolidamento delle altre signorie di Monferrato e Saluzzo, venne messo sempre più in disparte.

Il XV è anche il secolo in cui il Piemonte forma i suoi confini geografici attuali: i territori dell'attuale regione, infatti, sono pressoché quelli che possedevano i tre stati dell'epoca. Nella prima metà del Trecento, infatti, i Visconti avevano conquistato Asti e Cherasco. I Savoia in quei tempi si appoggiavano ai milanesi per poter conquistare il Monferrato, passato sotto i Paleologi di Bisanzio e precipitato nella miseria in seguito al termine repentino della dinastia aleramica.
Teodoro I del Monferrato aveva ereditato il feudo dalla moglie Violante, ed era riuscito a tenerlo sotto controllo durante il proprio governo. Ma i suoi giovani successori non seppero fare altrettanto e, dopo l'esperienza disastrosa di Ottone III e la guerra scoppiata sotto uno dei suoi successori, Giovanni Giacomo, lo stato monferrino non seppe più riprendersi. Nel 1432 Giovanni Giacomo fu costretto a firmare una pace molto vantaggiosa per i Savoia, cedendo loro gran parte delle sue terre e dichiarandosi loro vassallo.

"Salita al Calvario", di Giacomo Jaquerio, il maggiore pittore piemontese del periodo

Parentesi nel degrado del marchesato monferrino fu il governo di Teodoro II, divenuto per qualche tempo anche padrone di Genova, la cui potenza si basava sul capitano di ventura Facino Cane, che al termine delle guerre venne ricompensato con Alessandria, Novara e Tortona. Vercelli venne occupata dai monferrini e passò nel 1427 ai Savoia.

Disgregatisi i domini viscontei, Amedeo VIII di Savoia si prodigò per conquistarli ed annetterli al proprio feudo. Ottenuto nel 1416 il titolo ducale, concesse al figlio Ludovico il primo titolo di Principe del Piemonte della dinastia. Amedeo, dal canto suo, salì al soglio pontifico come antipapa, con il nome di Felice V. Amedeo concesse anche il primo sistema di statuti (Statuta Sabaudiae) nel 1430.

Mentre i marchesi di Monferrato iniziavano il loro lento declino, i Saluzzesi conoscevano nel XV secolo il massimo loro splendore. I marchesi Ludovico I e Ludovico II aprirono la loro piccola capitale alle arti. Ludovico I, che spesso apparve come paciere nelle beghe piemontesi, diede al marchesato grande splendore, che iniziò già ad incrinarsi dopo le spedizioni militari del figlio Ludovico II. In seguito alla morte di Ludovico II, anche per Saluzzo iniziò un lento declino.

Il XVI secolo

Nel XVI secolo l'unità territoriale del Piemonte fu di nuovo spezzata. Già dal 1494 esso veniva attraversato dalle truppe di Carlo VIII di Francia durante una campagna, quella italiana, che avrebbe stravolto la situazione politica della penisola.

Anche i Savoia, fino a quel momento gli unici feudatari a detenere ancora un potere consistente, nella fase a cavallo tra XVI e XVII secolo caddero in una condizione di debolezza. Dopo la morte di Amedeo VIII il potere era passato al figlio Ludovico e poi al nipote Amedeo IX. Questi, seppur ricordato come un uomo di grande spiritualità tanto da essere dichiarato beato, era malfermo in salute e morì dopo un breve governo. I suoi successori si dimostrarono poco propensi alle conquiste territoriali, governando spesso per pochi anni.

Data la debolezza dei principali potentati piemontesi, la discesa di Carlo VIII prima e di Luigi XII dopo segnò un periodo di crisi. Durante le guerre italiane tra spagnoli e francesi, questi ultimi occupano la Savoia e la stessa capitale del ducato, Chambéry. I territori vennero poi recuperati da Emanuele Filiberto, che venne insignito da Filippo II del titolo di Governatore dei Paesi Bassi, sconfisse duramente i francesi a San Quintino nel 1559 (al comando dell'esercito spagnolo) e con la Pace di Cateau-Cambrésis, con la restituzione del ducato di Savoia. Da quel momento attuò una serie di riforme atte ad accentrare e organizzare intorno a sé il Piemonte. Abolì molti degli antichi privilegi fiscali, così come la servitù della gleba, rafforzò i confini e l'esercito, portandolo ad alti livelli e partecipando con la sua flotta alla vittoria cristiana di Lepanto, cercò (impresa, questa, non riuscitagli) di annettere al Piemonte il Marchesato del Monferrato e quello di Saluzzo. E, cosa assai più importante, egli comprese che il futuro di Casa Savoia non era da cercarsi nella zona francese, ormai unita sotto una potente monarchia, ma in Italia: spostò pertanto la capitale da Chambéry a Torino nel 1562.

A Torino fece edificare la cittadella, della quale oggi rimane solo visibile il maschio centrale, fondamentale sistema difensivo che più di una volta salvò il Piemonte dalle invasioni nemiche. Giovanni Andrea Pauletti la ricorda in questo modo:[1]

«...tra le cose che rendono cospicua e celebre quella Dominante (Torino), vi è la cittadella di figura Pentagona, fabricata e ridotta in tutta perfettione dalla vigilanda del Duca Emanuel Filiberto sopra modello di quella d'Anuersa, nelle Fiandre, che due anni dopo quella fu terminata dal medesimo ingegnere»

I già citati tentativi di Emanuele Filiberto di conquistare Saluzzo e il Monferrato furono possibili solo perché i territori dei due piccoli stati piemontesi si erano ormai disgregati.
Nel 1533 era morto Govanni Giorgio, ultimo Paleologo, e per la successione era iniziata una dura battaglia diplomatica vinta infine da Federico Gonzaga, che divenne da quel momento anche marchese di Monferrato. Saluzzo, dal canto suo, aveva spontaneamente ceduto la sua indipendenza in un Consiglio, cacciando Gabriele del Vasto e facendosi annettere alla Francia. Sarà Carlo Emanuele I di Savoia che riuscirà ad annettere dopo la Pace di Lione del 1601 il piccolo territorio ai suoi Stati.

Il XVII secolo

Carlo Emanuele I di Savoia tentò una decisiva politica di rafforzamento degli stati sabaudi, impadronendosi di Saluzzo, come già osservato, e volendosi poi appropriare a tutti i costi del Monferrato, per la cui successione scoppiò quel conflitto che Alessandro Manzoni contestualizza nei suoi Promessi Sposi. Così lo ricorda Andrea Pauletti:

«...Vago di dilatare i proprij confini e di aggrandire le sue province, si mise in Campagna con fortissimo esercito, facendo primo scopo delle sue imprese la recupera del Marchesato di Saluzzo. Entrò nelle guerre civili di Francia, dichiarato Pretettore della Religione. Penetrò alla testa di 18 milla combattenti nella Prouenza, della quale fu acclamato Conte»

Col trattato di Cherasco del 1631 il successore Vittorio Amedeo I riuscì a conquistare una parte dei territori monferrini, ma dovette cedere ai francesi la città di Pinerolo, che da sempre era stata contesa tra le due nazioni per la sua munita piazzaforte ed era stata ripetutamente presa e ripersa da entrambi i contendenti.

I successori di Vittorio Amedeo I furono Francesco Giacinto (morto ancora bambino) e Carlo Emanuele II. Fu Carlo Emanuele a rafforzare ancor di più la macchina bellica piemontese, lasciando ipotizzare già un'ulteriore espansione sabauda se non fosse morto prematuramente. Lasciava il figlio ancora bambino, Vittorio Amedeo II nella reggenza della "Madama Reale" Maria Giovanna Battista.

Vittorio Amedeo II, preso il potere dalla madre in modo assai brusco, fu al centro delle vicende politiche che lo condussero a divenire primo re di Sardegna. Iniziati gli screzi con Luigi XIV di Francia, Vittorio Amedeo si trovò più volte a dover fronteggiare la minaccia d'oltralpe e all'inizio venne ripetutamente sconfitto nella guerra franco - piemontese del 1690-1696 (battaglie di Staffarda e della Marsaglia). Entrato allora a far parte degli alleati del Re Sole, Vittorio Amedeo rientrò tra le file dei suoi avversari quando gli si presentò l'occasione propizia.

Da Ducato a Regno

Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Torino del 1706 e Regno di Sardegna.

Vittorio Amedeo II subì allora la più minacciosa delle invasioni francesi, sostenuta nel 1706 e che forse si sarebbe risolta in una disastrosa sconfitta se non fosse arrivato il principe Eugenio di Savoia con gli imperiali a difendere Torino assediata da oltre tre mesi (è di questo periodo il sacrificio di Pietro Micca). La battaglia che si svolse sotto le mura della capitale il 7 settembre fu decisiva per il Piemonte, che si vide liberato dai nemici e alla fine, col Trattato di Utrecht del 1713, ottenne la corona regia di Sicilia commutata in seguito con quella di Sardegna.

Il successivo re di Sardegna fu Carlo Emanuele III, che nel suo lungo regno entrò nelle due sanguinose guerre che insanguinavano allora l'Europa: la guerra di successione polacca e la guerra di successione austriaca. Ricavati alcuni vantaggi nel primo conflitto, si vide decisamente meno fortunato nella seconda guerra, arrivando nuovamente a vedere i suoi Stati invasi dai francesi. Persa la Battaglia di Madonna dell'Olmo, riuscì però ad infliggere una pesantissima sconfitta ai nemici sulle alture dell'Assietta nel 1747, recuperando la piena sovranità sul Piemonte.

Moneta del 1755 raffigurante Carlo Emanuele III
La Reggia di Venaria Reale

In questo periodo la corte torinese raggiunge i suoi massimi splendori. Il prestigio di Casa Savoia, che si era celebrato dopo la Battaglia di Torino con la costruzione della Basilica di Superga e la ricostruzione della città in stile barocco, chiamando a corte il grande architetto Filippo Juvara, si evidenzia con fastosi ricevimenti e feste nel Palazzo Reale, nella reggia di Venaria Reale e nella Palazzina di caccia di Stupinigi, tutti veri capolavori dell'arte. Torino si trasforma in quegli anni divenendo una città completamente barocca, con chiese di grande bellezza quali, ad esempio San Lorenzo, in Piazza Castello, realizzata dallo Juvara.

L'"assolutismo riformatore" di Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III sviluppò un efficiente apparato militare e burocratico, ma non fu altrettanto produttivo in campo economico e culturale: mancava una forte borghesia in grado di promuovere l'evoluzione della società, il commercio continuava a essere ostacolato da molti dazi interni e l'ortodossia cattolica rimaneva chiusa a ogni spinta riformatrice di stampo illuminista.

L'epoca napoleonica

Vittorio Amedeo III di Savoia
Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica di Alba, Repubblica Piemontese e Repubblica Subalpina.

Questa debolezza contribuì a far cadere il Piemonte sotto la spinta di una nuova invasione esterna: quella causata dalla Rivoluzione Francese, nel 1798. I francesi, infatti, guidati dal giovane còrso Napoleone Bonaparte, marciarono sull'Italia contro gli asburgici, e per farlo dovevano attraversare il Piemonte. Il generale francese inflisse alle milizie di Vittorio Amedeo III di Savoia una cocente sconfitta a Millesimo, costringendo il re Carlo Emanuele IV (succeduto nel 1796 a Vittorio Amedeo III) a firmare un trattato a Cherasco in cui si impegnava a permettere il passaggio a Napoleone in tutti i territori sabaudi, oltre a cedere gran parte dei domini dei Savoia. Inoltre il re dovette abdicare e trasferire la sua corte in Sardegna. Ancora una volta, il Piemonte veniva annesso alla Francia.

Durante la campagna d'Egitto di Napoleone, i francesi erano stati ripetutamente sconfitti dagli austriaci. Ma nel 1800 Napoleone scese nuovamente nella pianura padana valicando le Alpi con un'impresa che trovò impreparati i nemici. A Marengo lo scontro decisivo vide i francesi vincitori.

La dominazione napoleonica vide da un lato il crollo dell'industria tessile e dei commerci con l'estero, e dall'altro, l'ingresso di molti stranieri (in particolare francesi) che iniziarono a impiantare qui le loro fabbriche e le loro attività.

La Restaurazione

l'Italia nell'epoca della Restaurazione; il Regno di Sardegna è evidenziato in rosa

Caduto Bonaparte nel 1815, con la Restaurazione, le vecchie dinastie spazzate via dalle truppe francesi vennero rimesse sul trono. e tra queste i Savoia. In Sardegna, dopo l'abdicazione nel 1802 di Carlo Emanuele IV di Savoia, era succeduto Vittorio Emanuele I. Questi, dunque, venne imposto sul trono a Torino nel Congresso di Vienna in qualità di nuovo Re di Sardegna.

Vittorio Emanuele I e il suo successore Carlo Felice di Savoia erano figli di Carlo Emanuele IV. Vittorio Emanuele I aveva solo figlie femmine e Carlo Felice non ebbe figli. La successione a Casa Savoia, dunque, divenne un affare in cui l'Austria vedeva la possibilità di imporre il proprio potere anche su queste terre se mai Vittorio Emanuele I avesse scelto come suo successore il principe Francesco IV d'Este, imparentato con gli Asburgo. Invece, Vittorio Emanuele scelse Carlo Alberto, del ramo Savoia-Carignano, che divenne re nel 1831.

Il Piemonte di quegli anni era attraversato dai moti rivoluzionari. Già nel 1821 gli studenti dell'Università di Torino si erano scontrati con le truppe inviate dal re per fermare l'occupazione dell'istituto attuata dagli alunni. Tutta la regione era in subbuglio, difficile da controllare, anche perché la rivolta era segretamente appoggiata dal principe Carlo Alberto. Santorre di Santarosa, il capo dei ribelli, si era incontrato col principe di nascosto, ottenendo il suo appoggio. L'8 marzo 1821 la rivolta scoppiò lo stesso ad Alessandria e rapidamente si estese fino a Torino, dove Vittorio Emanuele I preferì abdicare nei confronti di Carlo Felice. Siccome questi si trovava a Modena, Carlo Alberto assunse la reggenza e proclamò la costituzione, subito sconfessata dallo zio. Il giovane principe assicurò che stava preparando la resistenza contro l'intervento in Piemonte degli austriaci, ma si rifugiò prima a Novara e poi a Modena. Le forze costituzionali cercarono egualmente di tenere testa a quelle austriache, ma vennero sconfitte a Novara. Carlo Felice fece incarcerare molti patrioti e la rivolta sembrò placata.

Verso l'Unità d'Italia

Nel 1848 Carlo Alberto, divenuto re di Sardegna, mosse contro l'Austria nella prima guerra d'indipendenza. A fianco dell'esercito sardo intervennero anche altri soldati provenienti da altri stati italiani, ansiosi di liberare i territori soggiogati.

All'inizio vi sono alcuni successi importanti: nelle battaglie di Monzambano, Valleggio e Pastrengo i sardi ottengono alcune vittorie; l'esercito piemontese, comunque, avanza con ritardo: una colonna entra in Milano, ma non insegue subito gli austriaci in rotta.

Carlo Alberto pose l'assedio a Peschiera, una delle quattro città del "Quadrilatero". L'attacco del maresciallo Radetzky si risolve con la disfatta nemica nella battaglia di Goito (30 maggio). Lo stesso giorno si arrense Peschiera. Carlo Alberto, però, tergiversò ancora una volta e il maresciallo tedesco riuscì a riconquistare le piazzeforti venete.

In seguito al ritiro delle truppe pontificie e napoletane, il Piemonte si trovò solo a fronteggiare l'Austria e fu sconfitto nella battaglia di Custoza. Le truppe sarde dovettero ripiegare e vennero ancora sconfitte a Novara. Carlo Alberto firmò l'armistizio e partì in esilio per Oporto. Gli succedeva il giovane Vittorio Emanuele II di Savoia.

In seguito alla disfatta, il Piemonte cercò di riattivare la propria economia. Massimo d'Azeglio, presidente del consiglio, approvò le leggi "Siccardiane" in seguito alle quali i privilegi di cui il clero aveva sempre goduto venivano aboliti. Il Piemonte stava cercando di rimodernarsi, e un grande passo avanti in questo processo venne dato da Camillo Benso conte di Cavour, presidente del consiglio dal 1852. Conscio del ritardo accumulato dal Regno di Sardegna rispetto agli altri paesi europei, Cavour intraprese una coraggiosa serie di riforme istituzionali, amministrative ed economiche che contemplavano, tra l'altro, la canalizzazione del Vercellese, la nascita di importanti istituzioni assistenziali, l'eliminazione di molti dazi doganali, i finanziamenti alle industrie, la creazione di ferrovie, la costruzione di navi. La società piemontese si inseriva nel movimento culturale ed economico della borghesia europea, grazie anche alla presenza in Piemonte di molti esuli provenienti da ogni parte d'Italia.
Per avvicinarsi alle grandi potenze anche nel campo militare, Cavour ottenne che i suoi soldati partecipassero alla guerra di Crimea. Cavour partecipò al Congresso di Parigi figurando tra le nazioni vincitrici.

Battaglia di San Martino (autore sconosciuto, Museo del Risorgimento, Torino).

Ammodernato lo Stato e rafforzato l'esercito, il Piemonte (con il tacito appoggio di Napoleone III) si preparò a riprendere i combattimenti. Ammassò sul Ticino le truppe aspettando che l'Austria, sentendosi minacciata, attaccasse per prima, facendo sì in questo modo che i francesi entrassero in aiuto dei piemontesi. La trappola funzionò e gli austriaci furono respinti nella battaglia di Montebello ed a Magenta. Il 24 maggio furono ripetutamente sconfitti a Solferino e San Martino, mentre Giuseppe Garibaldi marciava verso il Veneto: fu costretto a fermarsi per il rifiuto di Napoleone III di proseguire nel conflitto. In seguito alla pace la Lombardia passò al Piemonte.
Rapidamente altre nazioni dell'Italia Centrale vennero annesse attraverso plebisciti al nuovo Regno d'Italia. Ormai la nuova nazione comprendeva tutte le terre dal Piemonte alle Marche. La Savoia e Nizza, invece, erano state cedute, come da trattato, alla Francia quale ricompensa per il suo intervento in guerra.

Garibaldi, intanto, nel 1860 sbarcò a Palermo e conquistò la Sicilia, attraversando poi con le sue mille camicie rosse lo stretto di Messina e raggiungendo la Calabria. La debole resistenza borbonica venne presto fiaccata e molte città insorsero in suo favore. A Torino, Vittorio Emanuele II decise di raggiungere Garibaldi verso sud, passando nelle Marche per raggiungerlo. Il 7 settembre Garibaldi entrò a Napoli. Poco dopo, Vittorio Emanuele incontrò il generale nizzardo a Vairano Scalo, prendendo così possesso dell'intera Italia meridionale.

Dall'Unità d'Italia agli inizi del Novecento

Gli anni che seguirono l'unità d'Italia del 1861 furono un momento di incredibile sviluppo della società piemontese, così come per l'Italia intera. I bersaglieri sarebbero arrivati a Roma solo nel 1870, e per quasi cinque anni Torino rimase quindi capitale del nuovo regno (fino al 1865), prima di essere abbandonata a favore di Firenze.

L'abbandono della casa regnante sabauda dalla vecchia capitale fu salutato con un sconforto dalla popolazione, abituata a vivere in una capitale che si stava espandendo geograficamente ed economicamente. I legami con la Francia furono rafforzati da un trattato commerciale nel 1863 e dall'apertura del traforo del Fréjus nel 1871. Ma le nuove spinte protezionistiche e la lunga depressione economica che colpì l'Europa occidentale alla fine del XIX secolo capovolsero la situazione e innescarono una recessione che accentuò il malessere sociale e politico, soprattutto nel capoluogo.

Torino reagì però con un nuovo programma di riforme liberali e di modernizzazione tecnologica, che determinò il decollo dell'economia industriale. Divenuta la sede delle principali industrie e società italiane, Torino si trasformò in città operaia, accrescendo la sua superficie e creando grandi quartieri operai. All'inizio del Novecento Torino raggiunse il milione di abitanti: era diventata la città più popolosa d'Italia.

Molte altre città piemontesi accrebbero notevolmente la loro popolazione, per lo più grazie ai nuovi cittadini venuti dal sud Italia in cerca di lavoro. In Piemonte l'industria forniva molti posti di lavoro. La FIAT, la principale industria piemontese e italiana, venne fondata nel 1899. Nel capoluogo piemontese fecero la loro prima comparsa anche il calcio, la moda, la radio, il telefono, la televisione.

In una città che andava via via recuperando la propria importanza, agiva in quegli anni l'architetto Alessandro Antonelli, che eresse allora il monumento divenuto simbolo di Torino: la Mole Antonelliana.

Per alleviare le condizioni di vita spesso miserabili di troppi operai delle nuove fabbriche, si mossero i "santi sociali" e in particolare san Giovanni Bosco, che pose nella zona di Valdocco, a Torino, il cuore pulsante della sua opera salesiana sparsa nel mondo. Altre grandissime figure religiose del Piemonte di quegli anni, san Giuseppe Benedetto Cottolengo, il beato Faà di Bruno, san Giuseppe Cafasso e san Giuseppe Marello sono solo i massimi esempi di un filone di religiosità popolare che investì il Piemonte di quegli anni.

Il Piemonte fornì alla nazione anche alcuni dei più importanti ministri dell'Italia unificata, come Quintino Sella e Giovanni Giolitti: il processo di "piemontesizzazione" impose infatti al governo nazionale politici e parlamentari in gran parte piemontesi, regolando lo Stato italiano secondo il modello sabaudo.

Politicamente, l'industrializzazione determinò la crescita del partito socialista a Torino e e nelle zone caratterizzate da un'ampia presenza di salariati agricoli (come l'alessandrino e il vercellese), mentre le altre province rimanevano di orientamento prevalentemente cattolico moderato.

Il Piemonte tra le due guerre mondiali

Alla vigilia della primo conflitto mondiale, il Piemonte era in gran parte neutralista. Ciò non impedì alla FIAT di fornire spesso il materiale bellico principale con cui sostenere il conflitto. Non a caso nella seconda guerra mondiale Torino verrà bombardata a ripetizione dagli Alleati, proprio perché sede delle principali industrie belliche e no.

In questa regione il fascismo non assunse mai dimensioni di rilievo, tranne per alcuni movimenti squadristici formatisi nelle zone del Casalese e del Novarese.

Al contrario, durante la seconda guerra mondiale il Piemonte fu sede di attivi centri di resistenza partigiana: le Val Chisone, la Val d'Ossola, le Langhe e il Monferrato furono i più attivi centri della Resistenza piemontese. L'esercito tedesco, dal canto suo, compì rappresaglie e saccheggi nelle campagne, danneggiando anche molte città come Novara ed Alessandria. Della resistenza nelle campagne narrano alcuni grandi scrittori piemontesi come Cesare Pavese e Beppe Fenoglio.

Al termine della guerra, l'Italia dovette cedere alcuni lembi di terra piemontese (718 km². complessivi: Tenda e Briga) alla Francia come stabilito dai trattati di pace.

Una regione nell'Italia repubblicana

In seguito al referendum del 1946 che sancì la nascita della Repubblica Italiana, il Piemonte divenne una regione della nuova repubblica.

Nel dopoguerra il peso dell'industria nell'economia piemontese è ancora aumentato, non soltanto con la FIAT ma anche con altre aziende diIvrea (la Olivetti) e della provincia di Cuneo (la principale è la Ferrero). Allo stesso tempo l'agricoltura è stata attraversata da profonde trasformazioni, con l'aumento della meccanizzazione, la diffusione di nuove colture e la specializzazione in prodotti di qualità destinati in buona parte all'esportazione (in particolare la viticoltura e, nelle province settentrionali, il riso).

Negli anni sessanta, con l'apertura dei trafori del Monte Bianco e del Gran San Bernardo, la regione si è maggiormente integrata nella rete di comunicazione europea ed ha potuto da allora incrementare le esportazioni.

A partire dagli anni ottanta ha assunto dimensioni significative, non soltanto a Torino ma in tutto il territorio regionale, la presenza di immigrati stranieri, provenienti soprattutto dall'Africa settentrionale e dall'Europa orientale: la comunità romena del Piemonte è la più popolosa d'Italia.

Il Braciere Olimpico di Torino 2006

Negli ultimi anni del XX secolo, con la scomparsa dell'Olivetti, la crisi dell'industria meccanica torinese e il declino delle industrie tessili del Biellese, la regione ha perso competitività nel settore industriale, ed ha cercato di rimediare promuovendo il turismo: non soltanto quello di montagna, che pure ha ricevuto impulso dai Giochi olimpici invernali, ma anche quello culturale e gastronomico, che ha richiamato visitatori stranieri in territori di provincia un tempo tra i più poveri e oggi molto ricercati, come le Langhe.

Nel 1992 sono state create le due nuove province di Biella e del Verbano Cusio Ossola.

Nel 2006 i XX Giochi olimpici invernali si sono svolti in Piemonte, valorizzando i patrimoni ambientali e artistici della regione. In concomitanza dei Giochi, sono state inaugurate alcune opere pubbliche tra le quali la Metropolitana di Torino, i cui lavori erano in progetto da cinquant'anni.

Attualmente il Piemonte è al centro delle dispute sul percorso della rete ferroviaria ad alta velocità, il cui tracciato originario, che attraversava l'intera regione da est a ovest, è stato duramente contestato dai movimenti ambientalisti e dalle comunità locali ed è tuttora in discussione.

La Regione Piemonte conta oggi 4.300.000 abitanti (erano 2.800.000 nel 1861) ed ha un'estensione di 25.399 km², che ne fa la seconda regione italiana per superficie, dopo la Sicilia.

Note

  1. ^ Giovanni Andrea Pauletti. Historia di Torino con una succinta descrizione di tutti li Stati di Casa Savoia. Padova, 1676

Bibliografia

  • A.A.V.V, La grande storia del Piemonte, Firenze, Bonechi, 2006. (5 volumi)
  • A.A.V.V, Piemonte medievale. Forme del potere e della società, Torino, Einaudi, 1985.
  • A.A.V.V, Storia del Piemonte, Torino, Casanova, 1960. (2 volumi, prefazione di Luigi Einaudi)
  • Guido Amoretti, Il ducato di Savoia dal 1559 al 1713, Torino, Daniela Piazza Editore, 1984.
  • Francesco Cognasso, Vita e cultura in Piemonte. Dal Medioevo ai giorni nostri, Torino, Centro Studi Piemontesi, 1969.
  • Margherita Crema Giacomasso, Anno per anno. Storia cronologica del Piemonte dalle origini alla metà del nostro secolo, Torino, Il Punto, 1995.
  • A. Peyrot, Asti e l'Astigiano, Torino, tip.Torinese, 1983.
  • Ferdinando Pinelli, Storia militare del Piemonte, Pavia, Iuculano, 1998.
  • Giuseppe Aldo di Ricaldone, Annali del Monferrato (951-1708), Torino, La Cartostampa, 1972.
  • M. Ruggiero, Briganti del Piemonte Napoleonico, Torino, Le Bouquiniste, 1968.
  • D. Testa, Storia del Monferrato seconda edizione ampliata, Asti, Tip. S. Giuseppe, 1951.
  • Mario Zucchi (a cura di), Bibliografia storica degli Stati della Monarchia di Savoia, Torino, Fratelli Bocca, 1934.

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