Coordinate: 40°02′N 18°08′E

Matino: differenze tra le versioni

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Il feudo resta al Du Till per un periodo molto breve se già nel 1273 il casale di Matino viene assegnato al giureconsulto Sparano da Bari per i servizi resi al re angioino mentre quello di Parabita verosimilmente resta al Du Till e ai suoi discendenti ancora per qualche anno.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=MINIERI RICCIO|titolo=Della dominazione angioina nel Reame di Sicilia|volume=Napoli 1876 pag. 34}}</ref>
Il feudo resta al Du Till per un periodo molto breve se già nel 1273 il casale di Matino viene assegnato al giureconsulto Sparano da Bari per i servizi resi al re angioino mentre quello di Parabita verosimilmente resta al Du Till e ai suoi discendenti ancora per qualche anno.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=MINIERI RICCIO|titolo=Della dominazione angioina nel Reame di Sicilia|volume=Napoli 1876 pag. 34}}</ref>


E' difficile ricostruire con precisione le vicende dei decenni successivi, i documenti reperibili sono assai vaghi ed incompleti ed a volte contraddittori; d'altronde le complesse politiche matrimoniali della nobiltà dell'epoca danno adito a molte sovrapposizioni di titoli e possedimenti a volte difficilmente districabili. Per certo dai documenti si evince che il casale andrà nel 1352 a Maramonte de Maramonte, figlio di Giannotto de Maramonte, nobiluomo originario di Cutrofiano ed esponente di uno dei rami della grande famiglia Maramonte<ref>{{Cita libro|nome=Scipione|cognome=Ammirato|titolo=Della famiglia dell'Antoglietta di Taranto|url=https://books.google.co.uz/books?id=G564shTmyKgC&pg=PA17&lpg=PA17&dq=famiglia+maramonte+di+cutrofiano&source=bl&ots=lYV8N6vO0C&sig=ACfU3U3_cKrG2HOG29toFpjPidqtaKB9uA&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjNnduJh_fzAhXllIsKHfgDDowQ6AF6BAgNEAM#v=onepage&q=famiglia%20maramonte%20di%20cutrofiano&f=true|accesso=2021-11-01|data=1597|editore=appresso Giorgio Marescotti|lingua=it}}</ref>, attraverso la madre, la nobildonna Armenia Di Luco, che dona quale "''[[Controdote]]''" (dodario nel documento originale) alla moglie di Maremonte, la nobildonna tarantina Isabella di Nantolio (A''ntoglietta'') il casale di Matino<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Scipione Ammirato|titolo=Della famiglia Dell'Antoglietta di Taranto|volume=Pag. 17}}</ref>. Per contro Padre Domenico De Vincentis, nella sua ''Storia di Taranto'', ci dice Matino già feudo degli Antoglietta qualche anno prima, con tale Enrico Antoglietta la cui nipote sarebbe l'Isabella di cui sopra.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Domenico Ludovico De Vincentis|titolo=Storia di Taranto|volume=vol. 4 pag. 19}}</ref>
E' difficile ricostruire con precisione le vicende dei decenni successivi, i documenti reperibili sono assai vaghi ed incompleti ed a volte contraddittori; d'altronde le complesse politiche matrimoniali della nobiltà dell'epoca danno adito a molte sovrapposizioni di titoli e possedimenti a volte difficilmente districabili. Per certo dai documenti si evince che il casale andrà nel 1352 a Maramonte de Maramonte, figlio di Giannotto de Maramonte<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Don Ferrante della Marra|titolo=Discorsi delle Famiglie estinte forestiere o non comprese nel Seggio di Napoli. Napoli 1641|volume=pag. 220}}</ref>, nobiluomo originario di Cutrofiano ed esponente di uno dei rami della grande famiglia Maramonte<ref>{{Cita libro|nome=Scipione|cognome=Ammirato|titolo=Della famiglia dell'Antoglietta di Taranto|url=https://books.google.co.uz/books?id=G564shTmyKgC&pg=PA17&lpg=PA17&dq=famiglia+maramonte+di+cutrofiano&source=bl&ots=lYV8N6vO0C&sig=ACfU3U3_cKrG2HOG29toFpjPidqtaKB9uA&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjNnduJh_fzAhXllIsKHfgDDowQ6AF6BAgNEAM#v=onepage&q=famiglia%20maramonte%20di%20cutrofiano&f=true|accesso=2021-11-01|data=1597|editore=appresso Giorgio Marescotti|lingua=it}}</ref>, attraverso la madre, la nobildonna Armenia Di Luco, che dona quale "''[[Controdote]]''" (dodario nel documento originale) alla moglie di Maremonte, la nobildonna tarantina Isabella di Nantolio (A''ntoglietta'') il casale di Matino<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Scipione Ammirato|titolo=Della famiglia Dell'Antoglietta di Taranto|volume=Pag. 17}}</ref>. Per contro Padre Domenico De Vincentis, nella sua ''Storia di Taranto'', ci dice Matino già feudo degli Antoglietta qualche anno prima, con tale Enrico Antoglietta la cui nipote sarebbe l'Isabella di cui sopra.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Domenico Ludovico De Vincentis|titolo=Storia di Taranto|volume=vol. 4 pag. 19}}</ref>


La famiglia Maramonte cade in disgrazia per la rivalità con il Principe di Taranto [[Raimondo Orsini del Balzo]] e tutti i principali esponenti della famiglia Maramonte vengono imprigionati nelle carceri di Nardò e li trovano la morte.
La famiglia Maramonte cade in disgrazia per la rivalità con il Principe di Taranto [[Raimondo Orsini del Balzo]] e tutti i principali esponenti della famiglia Maramonte vengono imprigionati nelle carceri di Nardò e li trovano la morte.

Versione delle 14:15, 25 nov 2021

Matino
comune
Matino – Stemma
Matino – Bandiera
Matino – Veduta
Matino – Veduta
Chiesa Matrice del Patrono San Giorgio
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Puglia
Provincia Lecce
Amministrazione
SindacoGiorgio Salvatore Toma (lista civica) dall'11-6-2017
Territorio
Coordinate40°02′N 18°08′E
Altitudine75 m s.l.m.
Superficie26,63 km²
Abitanti11 179[1] (31-8-2020)
Densità419,79 ab./km²
Comuni confinantiAlezio, Casarano, Collepasso, Gallipoli, Melissano, Parabita, Taviano
Altre informazioni
Cod. postale73046
Prefisso0833
Fuso orarioUTC+1
Codice ISTAT075042
Cod. catastaleF054
TargaLE
Cl. sismicazona 4 (sismicità molto bassa)[2]
Cl. climaticazona C, 1 073 GG[3]
Nome abitantimatinesi
Patronosan Giorgio Martire
Giorno festivo23 aprile
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Matino
Matino
Matino – Mappa
Matino – Mappa
Posizione del comune di Matino all'interno della provincia di Lecce
Sito istituzionale

Matino è un comune italiano di 11 179 abitanti[1] della provincia di Lecce in Puglia.

Situato nel Salento sud-occidentale, dal 2002 si fregia del titolo di città[4].

Geografia fisica

Territorio

Matino sorge sulle ultime propagini delle serre salentine a 75 m s.l.m. a 10 km dalla costa ionica e a 25 km dall'estrema punta della penisola salentina rappresentata dal Capo di Leuca. Il centro storico si estende sulla collina detta di S. Ermete adagiata fra due canaloni preistorici (gravine carsiche) denominati ripesttivamente Universo sul lato nord e Reale sul lato sud.

Il territorio, fortemente carsico, è privo di corsi d'acqua di superficie ma ricchissimo di corsi d'acqua sotterranei alimentati dalle cosiddette Vore, inghiottitoi naturali delle acque pluvie situati in depressioni naturali del terreno.

Il comune, che si estende su una superficie di 26, 28 km², raggiunge i 38 m s.l.m. di altezza minima e i 172 m s.l.m. di altezza massima. La cittadina domina la vallata denominata di Taviano-Matino che rappresenta una delle zone più fertili del Salento. Le colture predominanti sono l'ulivo e la vite ma con ampi spazi dedicati ai seminativi e alle colture in serra, in special modo fiori.

Negli ultimi anni, purtroppo, l'infestazione degli splendidi olivi secolari del territorio matinese da parte del batterio Xylella fastidiosa e la conseguente disastrosa moria degli olivi, ed in misura minore ma comunque significativa, gli attacchi del Rhynchophorus ferrugineus ai tanti palmizi del territorio, ha provocato un radicale cambiamento del panorama delle campagne matinesi.

Molto frequenti sono le masserie, grandi costruzioni rurali che insistevano su ampi latifondi, frutto del notevole impulso dato alla produzione agricola nel periodo Borbone (1724-1860), ad oggi in disuso salvo qualche esempio di riutilizzazione in chiave agrituristica. Abbastanza diffusi sono anche i cosiddetti caseddhi, o pajare (pagliai) tipico esempio di edilizia rurale, derivante da antiche tecniche costruttive di provenienza magnogreca. Diffusissima l'edilizia rurale di tipo moderno a testimonianza di un attaccamento alla terra delle popolazioni locali e di un vivacissimo mercato agrituristico.
Il territorio del comune confina a nord con il comune di Parabita, a est con il comune di Collepasso, a sud con i comuni di Casarano, Melissano e Taviano, a ovest con i comuni di Gallipoli e Alezio.

Clima

Secondo la stazione meteorologica di Lecce Galatina e la stazione meteorologica di Santa Maria di Leuca Matino (che rientra nel territorio del basso Salento) presenta clima mediterraneo con inverni miti ed estati caldo umide. In base alle medie di riferimento, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta attorno ai +9 °C, con minime assolute che molto raramente scendono sotto lo zero, mentre quella del mese più caldo, agosto, si aggira sui +25,1 °C. con massime che possono arrivare anche vicine ai 40° C. Le precipitazioni medie annue, che si aggirano intorno ai 676 mm, presentano un minimo in primavera-estate ed un picco in autunno-inverno.
Facendo riferimento alla ventosità, i comuni del basso Salento risentono debolmente delle correnti occidentali grazie alla protezione determinata dalle serre salentine che creano un sistema a scudo. Al contrario le correnti autunnali e invernali da Sud-Est, favoriscono in parte l'incremento delle precipitazioni, in questo periodo, rispetto al resto della penisola[5].

Matino Mesi Stagioni Anno
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic InvPriEst Aut
T. max. media (°C) 12,413,014,818,122,627,029,830,026,421,717,414,113,218,528,921,820,6
T. min. media (°C) 5,65,87,39,613,317,219,820,117,413,710,17,36,210,119,013,712,3
Precipitazioni (mm) 806070402921142153961098322313956258676
Umidità relativa media (%) 79,078,978,677,875,771,168,470,275,479,380,880,479,477,469,978,576,3

Origini del nome

Che il toponimo di Matino derivi dalla radice linguistica osca Mat che significa "terreno coltivato" o "terreno fertile" o in alcuni casi "altopiano" o "pianura", come sostenuto da diversi studiosi è una tesi piuttosto dubbia in quanto l'osco, una lingua pre-romana diffusa dall'Abruzzo fino alla Calabria, non penetro' mai nel Salento meridionale, sebbene il poeta Quinto Ennio (originario di Rudiae presso Lecce) affermasse di padroneggiarla[7]. Non vi sono tracce della lingua osca in nessun ritrovamento archeologico o iscrizione in nessun sito salentino. D'altra parte quasi tutti i toponimi salentini hanno origini messapiche (Ugento, Alezio, Otranto), greche (Gallipoli, Galatone) o latine (Casarano, Taviano), ma non osche. Peraltro denominare un paese con un nome di origine osca intorno all'anno mille, quando cioè i dialetti osci sono scomparsi da almeno 6 secoli, sembrerebbe un'ipotesi poco probabile. Questa constatazione avvalorerebbe la tesi dell'autore Carlo Coppola[8], circa le origini in quanto il toponimo si spiegherebbe solo con una derivazione dal nome "Matini" o Matinates ex Gargani come li cita Plinio. A loro volta i Matinates derivavano il proprio nome dal culto della Dea romana dell'aurora "Mater Matuta".
Anche l'ipotesi di un'origine del toponimo dalla storpiatura della parola mattino è abbastanza debole e sembra priva di fondamento dal punto di vista dell'analisi linguistico-semantica.

Storia

Le origini

Alcuni storici cittadini (Giuseppe Schivani [9], Padre Tommaso Leopizzi [10]) fanno risalire l'origine della cittadina alla distruzione delle città messapiche di Alezio e la presunta Bavota, l'attuale Parabita, da parte dei Saraceni, secondo questa tesi avvenuta nei secoli IX e X e ad un relativo insediamento dei profughi nella zona della Matino odierna.

L'ipotesi, non suffragata peraltro da alcun documento o riferimento storico, è contraddetta da diverse circostanze:

  • 1. La marcata differenza dei dialetti parlati nelle presunte città fondanti e Matino stessa, che fanno presumere le 3 cittadine appartenenti a matrici culturali diverse.
  • 2. L'esistenza stessa di una città denominata Bavota in una posizione geografica collocata fra le attuali Alezio e Parabita, è stata smentita da eminenti studiosi negli ultimi anni e sembra essere dovuta ad una cattiva trascrizione di un copiatore.[11] E' altresì probabile che la fondazione di Parabita sia posteriore a quella di Matino.
  • 3. La stessa Alezio nel periodo di fondazione di Matino non esisteva come centro abitato o al massimo poteva essere un piccolo casale semiabbandonato[12].

D'altronde lo Schivani, autore di una Cronaca di Matino datata 1763 e fonte molto interessante per la descrizione di usi e tradizioni locali, risulta invece molto inattendibile per i dati cronologici e storiografici e Padre Tommaso Leopizzi, nei suoi scritti, riprende le tesi dello Schivani senza ulteriori e specifiche indagini.

Altri autori (Carlo Coppola [13]) ritengono invece più probabile una fondazione della Matino moderna da parte di profughi provenienti dalla Matino antica.

L'antica Matino era un popoloso centro situato sulle coste del Gargano, fondato intorno al 1000 a.C. e denominato Apeneste in periodo magno-greco e poi Matinum in periodo romano. Il toponimo Apeneste significa in greco antico "che nasce" oppure "che sorge" con chiaro riferimento al sole. Anche la versione latina Matinum conserva la medesima accezione di significato. Potrebbe quindi non essere un caso che lo stemma di Matino nuova, adottato in epoca normanna e quindi poco dopo l'anno 1000 d.c., rappresenti proprio un sole che sorge tra due colline.

I Matinates ex Gargani come li cita Plinio il Vecchio, ovvero gli abitanti dell'antica Matino, erano un piccolo popolo di stirpe greco-dauno-japigia stanziatosi nella Puglia settentrionale fra il IX e il VII sec. a.C. in seguito alla grande migrazione verso le coste adriatiche proveniente da est e sud-est che porta sui lidi pugliesi prima popolazioni illiriche e poi a distanza di circa 2 secoli, coloni greci. Questa tribù fondò la città che divenne un centro marinaro e commerciale di notevole importanza fino al periodo tardo romano e di cui si hanno notizie certe fino al 980 d.C., probabile anno della sua distruzione.

La fondazione dell'odierna Matino sarebbe avvenuta in seguito alla scomparsa di questo centro avvenuta nel periodo fra il 971 d.C. - 980 d.C. forse per un terremoto-maremoto, dato che parte delle rovine dell'antica Matino sono ad oggi sommerse dall'Adriatico, oppure procurata dalla serie di incursioni saracene che devastarono il territorio matinese e l'intero Meridione d'Italia intorno a quegli anni, molto probabilmente per ambedue le evenienze. In ogni caso la circostanza che la data di distruzione della Matino antica e quella della fondazione della Matino nuova coincidano rappresenta, insieme all'analisi linguistica del toponimo -altrimenti inspiegabile- se non una prova, un indizio di sicura rilevanza circa le origini del paese.

Il primo documento attestante l'esistenza di Matino è del 1099 "(...) offero primis deo et monasterio sancte marie de nerito hoc est enim unum oratorium nostrum quod est ecclesia sanctae Anastasiae de Matino cum putheo domibus, olivis et omnibus terris suis, quae est comitatus nostri Neritoni, ut in perpetuum maneat sub potestate de praedicto monasterio Sanctae Mariae..."[14] (tr. Offro innanzitutto a Dio e quindi al monastero di S. Maria di Nardò, perché questo è il nostro unico luogo di preghiera, la chiesa di S. Anastasia di Matino, con case, ulivi e tutte le sue terre, la quale si trova nella nostra contea di Nardò, affinché rimanga per sempre sotto l'autorità del predetto monastero di S. Maria).

Con detto documento Goffredo Conte di Nardò fa dono a Everardo, Priore di S.Maria di Nardò, del Monastero di Santa Anastasìa che doveva essere molto grande tanto da essere dotato di un proprio mulino e con tutti i suoi possedimenti che dovevano essere ben estesi, certificando al tempo stesso l'esistenza del casale di Matino che evidentemente al tempo era ben sviluppato se furono i padri del monastero di Sant'Eleuterio di Matino a intercedere presso benefattori locali affinchè fossero donate terre e fosse costruito il monastero così come sostenuto dallo Schivani[15] ed è quindi plausibile che la sua fondazione risalga ad almeno un secolo prima, dove un manipolo di esuli dell'antica Matino potrebbero aver dato vita ad una nuova patria.


Periodo Normanno - Svevo

Il Casato dei De Persona

Nel periodo normanno, il territorio matinese venne infeudato, nel 1198, da Tancredi di Lecce a favore della Famiglia De Persona (latinizzazione del francese De Personne). Il feudo, assai vasto, comprendeva il casale di Matino "grande", un borgo minore detto "Matino piccolo" (Parva Matino) locato probabilmente in corrispondenza del Monastero di S. Eleuterio e il casale di Tuglie[16].

Il primo barone di Matino fu Filippo De Persona a cui succedette il figlio Gervasio de Matino (Gervasio de Persona) assumendo nel proprio nome quello del feudo e quindi il nipote Glicerio de Matino (Glicerio de Persona) premorto di qualche mese al padre. I De Persona, famiglia di primo piano nella corte sveva, furono signori anche dei feudi di Mottola, di Ceglie Messapica, di Soleto, del casale di San Pietro di Galatina e dei territori che sarebbero poi divenuti il feudo di Martina Franca.

La casata un ruolo di primo piano durante le guerre Svevo-Angioine, fu fedele agli Svevi, sia a Federico II di Svevia, poi al di lui figlio Manfredi di Sicilia del quale Gervasio fu primo consigliere e segretario, e in ultimo partecipò alla ribellione agli Angioini a supporto di Corradino di Svevia. Gervasio fu Giustiziere di Capitanata[17] e Glicerio fu il rappresentante dell'autorità regia sveva nella provincia "Terra Idronti".[18]

Ambedue si opporranno con forza alla conquista di Terra d'Otranto da parte di Carlo D'Angiò durante le guerre svevo-angioine[19].

Dopo la sconfitta degli Svevi contro gli Angioini nella Battaglia di Benevento (1266), alla quale i De Persona parteciparono, Gervasio cercò scampo all'estero, in Romania dove rimarrà per circa 2 anni.[17]

Il tentativo di riconquista del regno da parte di Corradino di Svevia segna il destino dei feudatari matinesi.

Nella Battaglia di Tagliacozzo, dove Corradino e gli Svevi vengono battuti dagli Angioini, Glicerio è sul campo di battaglia dalla parte degli sconfitti. Giura fedeltà al nuovo re Carlo I D'Angio e riesce a convincerlo di poter rientrare in Salento con soldati e una forte somma di denaro per dare sostegno al Principe di Acaia, impegnato nella repressione dei baroni svevi in Terra d'Otranto. Il feudatario matinese invece non si presentò mai ad Acaia e si nascose nelle campagne matinesi[20].

Nell'ottobre del 1268 tutti i baroni fedeli alla causa sveva del Salento ma anche quelli provenienti dalla Calabria e dall' Abruzzo si rifugiano nella piazzaforte di Gallipoli, in un ultimo tentativo di riorganizzazione e di resistenza agli angioini, Glicerio ne diventa il campione e l'ispiratore. La città viene assediata dalle truppe di Carlo I sia per terra che per mare (Assedio di Gallipoli 1268-1269).

Il padre Gervasio, avuta notizia della nuova ribellione in Terra d'Otranto rientra in patria e tenta di raggiungere il figlio combattente a Gallipoli ma viene catturato appena sbarcato a Otranto e imprigionato nel castello di Brindisi.[21]

Alla caduta di Gallipoli, probabilmente agli inizi di aprile del 1269, 33 dei baroni svevi difensori della città verranno impiccati nel piazzale del castello, alcuni altri verranno inviati in catene nei rispettivi feudi e lì impiccati,[22] Glicerio invece non viene giustiziato subito ma tratto in prigionia. Anche la moglie Riccarda da Giurdignano ed i 7 figli vengono arrestati a Matino e condotti insieme a Glicerio nel castello di Brindisi dove si riuniranno a Gervasio.

L'anziano Gervasio, la moglie, la nuora Ricccarda da Giurdignano ed i nipoti furono graziati da Carlo I d'Angiò per intervento della regina d'Ungheria Elisabetta dei Cumani «Gervasio de Matino, Peregrinae eius uxori, Gervasillo, Joannuccio et Perrello nepotibus eorum captivis in castro Brundusii, provisio pro liberatione ad praeces egregiae dominae illustris Reginae Hungariae carissimae affinis nostrae»[23] e ripararono in Sicilia a Monreale, dove Gervasio morirà di lì a poco.

Glicerio non puo' essere graziato, il re angioino lo condanna a morte ignominiosa[24], fu ucciso il 22 aprile 1269 con una esecuzione esemplare che servisse da monito a tutti i feudatari ancora refrattari al dominio angioino, fu infatti torturato, quindi fatto trascinare da un cavallo per tutta la città di Brindisi e poi impiccato nella pubblica piazza[25].

L'intervento della Regina d'Ungheria presso Carlo d'Angiò a sostegno dei De Persona, testimonia il notevole peso politico che la famiglia aveva avuto nel periodo svevo e la vicinanza a illustri casate europee.

La casata rientrerà in possesso del feudo di Matino un secolo dopo.

Periodo Angioino e Aragonese

I Casati Du Till - Maramonte - Antoglietta - Ritorno dei De Persona

Il cambio ai vertici del potere nell'Italia Meridionale con l'avvento degli Angioni, ha ripercussioni anche su Matino il cui feudo viene deliberatamente smembrato a perenne memoria della vendetta angioina contro i De Persona. Il casale di Matino e quello di Parabita vengono assegnati al cavaliere angioino Giovanni di Tillio (Jean Du Till) che eserciterà sul feudo una tirannia violenta ed oppressiva tanto da far fuggire gli abitanti. Il casale di Tuglie viene invece assegnato ad Almerigo di Mondragone.

Di certo del florido feudo dei De Persona è rimasto ben poco, il casale si è spopolato in seguito alle guerre che si erano susseguite e alla successiva e violenta gestione del nuovo feudatario. Le campagne sono deserte tanto che lo stesso Carlo d'Angio è costretto, oltre che a dirimere una contesa territoriale fra il Du Till e il Mondragone, anche a intimare ai Matinesi fuggiti di ritornare ad abitare nel feudo, a fornire i "servitia debita" al feudatario e a versare le relative imposte[26].

Il feudo resta al Du Till per un periodo molto breve se già nel 1273 il casale di Matino viene assegnato al giureconsulto Sparano da Bari per i servizi resi al re angioino mentre quello di Parabita verosimilmente resta al Du Till e ai suoi discendenti ancora per qualche anno.[27]

E' difficile ricostruire con precisione le vicende dei decenni successivi, i documenti reperibili sono assai vaghi ed incompleti ed a volte contraddittori; d'altronde le complesse politiche matrimoniali della nobiltà dell'epoca danno adito a molte sovrapposizioni di titoli e possedimenti a volte difficilmente districabili. Per certo dai documenti si evince che il casale andrà nel 1352 a Maramonte de Maramonte, figlio di Giannotto de Maramonte[28], nobiluomo originario di Cutrofiano ed esponente di uno dei rami della grande famiglia Maramonte[29], attraverso la madre, la nobildonna Armenia Di Luco, che dona quale "Controdote" (dodario nel documento originale) alla moglie di Maremonte, la nobildonna tarantina Isabella di Nantolio (Antoglietta) il casale di Matino[30]. Per contro Padre Domenico De Vincentis, nella sua Storia di Taranto, ci dice Matino già feudo degli Antoglietta qualche anno prima, con tale Enrico Antoglietta la cui nipote sarebbe l'Isabella di cui sopra.[31]

La famiglia Maramonte cade in disgrazia per la rivalità con il Principe di Taranto Raimondo Orsini del Balzo e tutti i principali esponenti della famiglia Maramonte vengono imprigionati nelle carceri di Nardò e li trovano la morte.

In seguito a queste convulse vicende nel 1378, dopo oltre 100 anni di esilio siciliano, gli antichi signori di Matino, perdonati dell'antica avversione alla casata regnante angioina dalla regina Giovanna I di Napoli, ritornano in possesso dei territori matinesi con Ludovico De Persona (Lisolus de Matino Judex).

Il feudo è stato però ulteriormente scomposto.

Parabita e Matino "piccolo" divengono feudo della famiglia D'Aspert, ai De Persona va solo il casale di Matino "grande"[32].

L'esistenza di un Matino "grande" e di un Matino "piccolo", borgo con una popolazione di qualche centinaio di persone, è certificata da vari documenti fino ad almeno al 1530[33], data dopo la quale in nessun documento si fa più menzione di un Matino "piccolo", ritenendosi quindi che il piccolo insediamento sia stato gradualmente abbandonato.

Matino ha nel 1412 1.280 abitanti[34]

Nel maggio del 1484 Matino viene assalita e occupata da truppe veneziane che, espugnata la piazzaforte aragonese di Gallipoli, dilagano in tutto il Salento razziando beni e devastando le campagne e occupando decine di casali. L'occupazione durerà circa 3 mesi, fino all'arrivo delle navi aragonesi il 9 luglio e delle truppe via terra alla fine dello stesso mese. Le distruzioni apportate dai veneziani e le violenze perpetuate furono tali che Ferrante D'Aragona re di Napoli concesse a tutti i casali colpiti, a compensazione per i danni subiti, una serie di privilegi e l'esenzione dalle tasse.[35]

Nonostante il continuo rimaneggiamento dei feudi salentini nel XIV e XV secolo, i De Persona rimarranno feudatari di Matino senza soluzione di continuità per circa due secoli.

Nel 1530 i feudatari di Matino sono Giovanni De Persona e la moglie Maddalena di Barliera (o Barrera) di Lycio. Loro figlio, Annibale De Persona, sarà l'ultimo barone di Matino in quanto, senza discendenza maschile, concederà in sposa la sua unica figlia Fulvia e il feudo matinese quale dote "maritali nomine", al marchese Mario Del Tufo nel 1575.[36]

Alcuni palazzotti cinquecenteschi di buona fattura nel centro storico di Matino testimoniano una certa vivacità della cittadina nel XV e XVI secolo.

Dagli Aragonesi ai Borbone

Il Casato dei Marchesi Del Tufo

Il casato dei Del Tufo, di antica stirpe normanna e provenienti dalla cittadina di Tufo (Italia), in provincia di Avellino e rinomata per la produzione del celeberrimo vino Greco di Tufo, lega il proprio nome per ben 2 secoli e mezzo alla cittadina di Matino.

Nel periodo aragonese i Del Tufo si segnalarono come militari di vaglia, ma anche come diplomatici, giureconsulti e letterati. Con alti e bassi notevoli nel corso della loro storia.

Giovan Battista Del Tufo diventa governatore di Lecce nel 1482, Giovanni e Tiberio Del Tufo partecipano alla campagna militare per la liberazione di Otranto dai Turchi nel 1481.

Giovan Battista nel 1488 esce vincitore nella giostra cavalleresca che ebbe in quell'anno luogo a Napoli.[37]

Ancora un Giambattista Del Tufo è un poeta di fama nella Napoli del '500.[38]

Vanno però in disgrazia con Giovan Luigi e Giacomo Del Tufo, per l'appoggio dato al Lautrech [39] durante le lotte franco-spagnole dell'inizio del XVI secolo subendo la confisca di ogni bene. Nonostante una riabilitazione nei decenni successivi, lesivo del prestigio e dell'onore dei Del Tufo fu il delitto, commesso nel 1660, da Camillo del Tufo in difesa degli interessi dell'amico Diomede Carafa già cugino del più famoso Diomede V Carafa.

Sembra che il Del Tufo avesse dato, secondo una cronaca dell'epoca, un "buffettone a mano aperta" a Francescantono Coppola nobile e banchiere napoletano imparentato con i Coppola di Gallipoli [40], creditore di enormi somme nei confronti del Carafa, e lo avesse poi sfidato a duello ma, contravvenendo alle regole della cavalleria, avesse sorpreso nottetempo il Coppola presso il monastero di Portacoeli a Napoli e, "fattolo fermare dai suoi sgherri, di maniera che non si poteva in modo alcuno dimenare, miseramente lo scannò come se fosse stato un agnello".[41] Il delitto gli costò la fuga e la latitanza fino alla grazia vicerale concessagli da Gaspar de Bracamonte y Guzmán[42] I Coppola si vendicarono uccidendo il Del Tufo, in circostante non chiare, nel 1663.

Il feudo matinese passa nelle mani dei Marchesi nel 1575 ma i primi marchesi Del Tufo, protagonisti come già visto della vita della capitale del regno, raramente saranno presenti nei loro possedimenti matinesi preferendo la vita di quella Napoli che all'epoca era già una delle più grandi città d'Europa, il feudo fu infatti affittato a tale Berardino Minuti (o Minioti) per la somma di tremila ducati l'anno[43] (orientativamente circa mezzo milione di euro annui odierni a prezzi attualizzati), testimoniando il notevole valore commerciale del feudo matinese che comprendeva alcune fra le terre più fertili dell'intera provincia di Terra d'Otranto.

Bisogna attendere il 1640 perchè il primo Del Tufo, Ascanio, il primo di una lunga serie di feudatari con lo stesso nome di battesimo, si insedi stabilmente a Matino.

Stalle Palazzo Marchesale

Gli succederanno il figlio Giuseppe nel 1658, ed il di lui figlio, di nome Ascanio come il nonno, intorno al 1682. Si ha ancora notizia di un Giambattista Del Tufo Marchese di Matino nel 1769 e poi dell'ultimo marchese matinese, quell' Ascanio Del Tufo che sarà un allevatore di cavalli di gran razza, all'allevamento dei quali dedicherà gran parte della sua vita e magnifiche stalle affrescate ancora ben visibili nel palazzo marchesale della cittadina, e che fu, a giudicare dalle cronache dell'epoca, un così eccellente ballerino e conoscitore dei costumi di corte da essere nominato maestro delle danze nel castello di Lecce in occasione della visita del re Ferdinando IV nel 1797[44]. Di certo i Del Tufo non si contradistingueranno per particolari per particolari attività e intraprendenza nel feudo, si dedicheranno piuttosto ad un "otium" bucolico con spese personali notevoli, gestendo tutt'altro che oculatamente il proprio e considerevole patrimonio, dato che si ritroveranno già nel 1771 assillati dai creditori e con l'enorme debito di oltre 100.000 ducati.[45]

La stirpe dei Del Tufo da Matino si estinse definitivamente con il figlio di Ascanio, Giovanbattista Del Tufo, ormai non più feudatario della città ma magistrato e letterato. Aderì alla Carboneria durante il periodo post-francese divenendo uno dei massimi promotori ed esponenti del movimento rivoluzionario salentino nel periodo, il che gli costò, alla restaurazione e al ritorno dei dinasti Borbone, l'esilio per una parte della sua vita. Ritornò a Matino nel 1828, graziato dal Re Francesco I, dove visse gli ultimi anni della sua vita spegnendosi nel 1842 senza lasciare successori e destinando tutti i suoi averi ai nipoti avuti dalla sorella Maria, coniugata in Piccinni, e tutta la sua immensa biblioteca alla istituzioni ecclesiastiche[46].

La gran parte degli edifici di interesse architettonico della cittadina di Matino risalgono al periodo Borbone (1724-1860), momento di sviluppo notevole sia per Matino che per tutto il Meridione soprattutto nella sua prima fase con Carlo III (poi Carlo I) e nella sua ultima sotto il lungo regno di Ferdinando II dei Borbone di Napoli. Notevoli sono le costruzioni rurali dell'epoca: masserie, residenze estive, giardini monumentali.

Imponente la Chiesa Matrice, intitolata anch'essa a San Giorgio Martire, in stile tardo barocco e a pianta tipicamente a croce latina fu costruita nella seconda metà del 1700, su una preesistente chiesa che è rappresentata dal braccio minore dell'attuale fabbrica. Ancora da segnalarsi la seicentesca chiesa del Carmine e la chiesa del Rosario, una volta dedicata a Santa Maria del Soccorso nonché cappella del convento domenicano (in passato adibita a struttura ospedaliera e di ricovero per i pellegrini che da Lecce procedevano per Santa Maria di Leuca e viceversa) diventato ormai quasi invisibile in quanto molti dei locali appartenenti al convento stesso sono stati occupati dagli uffici del comune in epoca moderna e visibilmente modificati fino a farne scomparire le caratteristiche architettoniche.

Dall'Unità d'Italia ai giorni nostri

Matino, nei primi 10 anni dopo l'unità, diviene, insieme a moltissimi altri paesi del Salento, sede di quello che gli storici del Risorgimento hanno definito "Brigantaggio minore". Una serie di sommovimenti popolari, che provocati dalle nuove norme sulla leva obbligatoria introdotte dal governo Sabaudo, dalla mancata realizzazione delle promesse garibaldine, dallo smantellamento del secolare regime degli "usi civici della terra"[47], suscitarono proteste e rivolte in tutto il meridione e Matino non fece eccezione.[48][49]

Dal 1870 in poi, conclusosi l'infelice periodo del Brigantaggio postunitario italiano, e fino alla Prima Guerra Mondiale, Matino seguì la sorte di tanti altri comuni del meridione segnando fenomeni di emigrazione notevoli che rallentarono la crescita demografica per oltre un ventennio[50], crescita che riprese solo nell'ultimo decennio del 1800. Fatto salvo il decennio centrale del periodo fascista dove il saldo partenze rientri risulterà positivo, l'emigrazione sarà, non diversamente da tante altre realtà meridionali, uno dei caratteri distintivi della storia di Matino. Detta emigrazione avrà carattere di vero e proprio esodo negli '50 e '60 del '900, con porzioni notevolissime della popolazione che emigrano verso il nord Italia, il Belgio, la Germania e soprattutto la Svizzera.[51]

A cominciare dai primi anni '70 la cittadina si sviluppa in senso industriale, diventa sede di una industria manifatturiera di discreto livello che nel campo del tessile e del calzaturiero raggiunge livelli di sviluppo notevoli. La fiammata industriale dura una trentina d'anni, quindi si ridimensiona sotto i colpi della concorrenza internazionale e della crisi di produttività che attanaglia l'Italia sul finire degli anni '90, esito della cosiddetta globalizzazione dei mercati, che non vedrà mai soluzione. Ai giorni nostri, restando comunque una cittadina relativamente vivace dal punto di vista economico, con un PIL pro capite tra i più alti della zona, l'emigrazione storica è ricominciata a ritmi sostenuti.

Storia economica

L'olio lampante

L'economia di Matino si è fin dalle origini stata fondata sull'agricoltura. La piana di Matino-Taviano rappresenta d'altronde una delle zone più fertili del Salento. Già in epoca normanna il valore delle rendite di Terra d'Otranto è stimato in 10.000 once contro le 5000 del Principato Beneventano o le 7000 dell'Abruzzo e della Capitanata o ancora le 8000 once della Basilicata. Una terra particolarmente ricca quindi.[52] Particolarmente importante la coltura dell'olivo che rappresenterà, già a partire dal XIII-XIV secolo la principale fonte di ricchezza della cittadina.

La produzione olearia avrà un sviluppo formidabile a partire dalla fine del XVI secolo fino ad arrivare alla massima produzione intorno al 1860.

La caratteristica principale dell'olio salentino è quella di essere particolarmente grasso ed adatto alla combustione senza eccessivi fumi, quindi un ottimo olio lampante. L'olio matinese e quello salentino in generale andrà quindi ad alimentare le lampade dell'illuminazione pubblica di tutta Europa. L'intera produzione matinese, fatto salvo il consumo interno, e il 70% di quella salentina prenderà quindi la via dell'esportazione attraverso il porto di Gallipoli che per 3 secoli sarà la più grande piattaforma commerciale del mondo per l'esportazione di olio da lampada, di olio per uso industriale e di olio di scarto adatto alla produzione del sapone.[53][54]

Una certa frammentazione della proprietà, tipica di Terra d'Otranto, permetterà che la ripartizione della ricchezza prodotta sia abbastanza equa. Ad una famiglia contadina, in una economia di sussistenza, era sufficiente la proprietà di una decina di ulivi per garantirsi un discreto introito extra. Ma la diffusissima pratica dell'affitto, soprattutto delle immense proprietà dell'asse ecclesiastico procurava un certo benessere a una buona fetta della popolazione.[55]

Il commercio dell'olio lampantte stimolava inoltre un indotto notevole. Mastri bottai, mastri discolari (fisculari), mastri ferraioli per le doghe in ferro delle botti, carrettieri per il trasporto, gli equipaggi dei tantissimi frantoi ipogei guidati dalla figura del Nachiro (nocchiero). La necessità di molire le olive sottoterra veniva dalle caratteristiche ambientali necessarie ad ottenere un olio di qualità. Temperatura costante, umidità costante, ottenibili all'epoca solo in particolari ambienti appunto ipogei. Nelle campagne apprezzato il lavoro dei mastri di rimonda (mmunnatori) che percepivano un salario superiore alla media oltre alla tanta mano d'opera necessaria nei periodi di raccolta. Si era creata nei secoli, quindi, una piccola borghesia legata alla produzione olearia.

Una intera filiera economica legata a quello che per secoli ha rappresentato l'oro del Salento, l'olio lampante. L'olio per uso alimentare, di alta qualità e basso grado di acidità rappresentava appena il 10% della produzione e era riservato alle grandi città e alle famiglie più abbienti. Il dono di una bottiglia d'olio era regalo da tenere in considerazione. Il consumo di massa dell'olio d'oliva avrà inizio solo agli inizi del '900.

La produzione olearia di Terra d'Otranto si stima fosse, intorno al 1850, di circa 150.000 quintali, di cui all'incirca 3.000 quintali annui nella sola Matino per una produzione di olive di circa 20.000 quintali. Il porto di Gallipoli esportava mediamente 42.550 salme d'olio lampante annui (una salma di caricamento equivalente a 156 kg.), quindi oltre 66.000 quintali ma altri circa 30.000 quintali venivano caricati a Taranto, Otranto e Brindisi. A questa già enorme quantità di olio da lampada esportato all'estero si aggiungevano altri circa 10.000 quintali di olio fino alimentare che veniva invece inviato in gran parte a Napoli e in parte a Venezia.[56]

Questo schema industriale crollò quasi improvvisamente negli anni fra il 1890 e il 1895 e sull’olivicoltura pugliese si abbatté una crisi molto grave causata dalle malattie dell’olivo, dalle cattive condizioni atmosferiche, dal crollo del prezzo dell’olio sui mercati internazionali causato dall'avvento del petrolio, dell'energia elettrica, di olii industriali diversi e più economici rispetto all'olio d'oliva. Il risultato fu che l’olivicoltura venne in breve tempo abbandonata a favore della viticoltura. Tutto ciò causò una irreversibile crisi del settore e dell'economia tutta che aveva in questo commercio la propria spina dorsale. Il porto di Gallipoli, cuore economico della città e dell’intero circondario all’inizio del ‘900 smise di battere, il poco olio che si esportava dalla Terra d’Otranto veniva trasportato via treno. Nel 1818 l'esportazione era ridotta a 5.000 quintali. Fra la fine e la seconda guerra mondiale il commercio dell'olio si ridusse a zero.[57]

Dai registri del porto gallipolino, nel 1771 si contarono 60 vascelli presenti in contemporanea nel porto di Gallipoli in attesa di essere caricate, nel 1918 non ve ne fu nemmeno una.[58] Il progressivo aumento della varietà di origine orientale e introdotta nel X secolo dai saraceni "Cellina di Nardò" in vece della varietà autoctona "Ogliarola di Lecce", avvenuta agli inizi dello scorso secolo, è dovuta in parte al tentativo di riconvertire la produzione verso l'uso alimentare rispetto all'uso industriale.

Simb

File:Stemma comunale Matino.gif
Stemma civico
Gonfalone civico
Gonfalone civico
Stemma

«Campo di cielo, al sole d'oro, con la parte inferiore esiguamente celata dal colle centrale del monte alla tedesca di tre colli, fondato in punta, di verde, esso colle centrale caricato dalla lettera maiuscola M, di argento. Ornamenti esteriori da Città.»

Gonfalone

«Drappo di bianco con la bordatura di azzurro, riccamente ornato di ricami d'oro e caricato dallo stemma sopra descritto con la iscrizione centrata in oro, recante la denominazione della Città. Le parti di metallo ed i cordoni saranno dorati. L'asta verticale sarà ricoperta di velluto dei colori del drappo, alternati, con bullette dorate poste a spirale. Nella freccia sarà rappresentato lo stemma della Città e sul gambo inciso il nome. Cravatta con nastri tricolorati dai colori nazionali frangiati d'oro.»

Onorificenze

Titolo di Città - nastrino per uniforme ordinaria
— D.P.R. del 2 luglio 2002

Monumenti e luoghi d'interesse

Chiesa di San Giorgio

Architetture religiose

Chiesa matrice di San Giorgio

La Chiesa matrice è dedicata a San Giorgio, il santo guerriero e agricoltore (il nome geōrgós (γεωργός) in greco antico significa appunto contadino). La chiesa fu edificata a metà del Settecento, sotto Carlo III di Borbone, sui resti di una preesistente struttura della metà del Cinquecento, per soddisfare le crescenti necessità di una comunità cittadina cresciuta demograficamente ed economicamente. Presenta una semplice facciata divisa in tre ordini da aggettanti trabeazioni. L'interno, con pianta a croce latina ad una sola navata, ospita otto altari laterali nel braccio principale e altri due nel transetto. Di particolare pregio artistico è la statua lignea di San Giorgio ai cui fianchi sono accese due lampade votive in argento del XVIII secolo di scuola napoletana.

Chiesa del Crocefisso

La Chiesa del Crocifisso, eretta verso la fine del Seicento, sorge con molta probabilità in sostituzione di due oratori dedicati a Sant' Eligio e a Sant'Antonio Abate. L'interno, che conserva vari dipinti barocchi tra i quali una tela raffigurante San Pietro che si ritiene della scuola dello Spagnoletto, ospita due altari; il maggiore è dedicato al Crocifisso, mentre il secondario è intitolato ai santi Sant'Eligio, Sant'Antonio Abate e Marina.

Chiesa del Carmine

La Chiesa della Madonna del Carmine[60] fu edificata nel XVII secolo per accogliere un'immagine della Madonna col Bambino di epoca bizantina. È dotata di un altare barocco e un pavimento a mosaico ottocentesco. Interessante è il dipinto della Pietà, situato nella Sacrestia, eseguito nel 1621 direttamente sulla roccia.

Chiesa del Rosario e convento dei domenicani

La ex Chiesa di Santa Maria del Soccorso, oggi dedicata alla Madonna del Rosario, si presenta a unica navata e con un'incompiuta facciata in stile classico. Il corpo principale della fabbrica è stato eretto nel Cinquecento. Di semplice fattura, è dotata di dipinti di notevole pregio artistico attribuiti per la maggior parte a Gian Domenico Catalano. La tela della Circoncisione di Gesù Bambino, realizzata da Giovanni Andrea Coppola, è stata trafugata in tempi recenti.

Chiesa della Pietà

La costruzione della seicentesca Chiesa della Pietà[61] si deve alla confraternita della Pietà che qui operava. Alla facciata è addossato un grande arco che un tempo costituiva l'ingresso alla città dalla parte sud. La chiesa è caratterizzata dalle sue volte strette ed interamente affrescate, si presume che l'autore degli affreschi sia stato l'artista napoletano del settecento Giuseppe Guerra. L'interno ospita, oltre all'altare maggiore, tre altari di cui uno è intitolato a Santa Maria dei Sette Dolori.

Santuario dell'Addolorata

Completato nel 1754, fu ristrutturato e ampliato all'inizio del XX secolo. Proclamato santuario mariano diocesano,[62][63][64][65] il 14 maggio 1938, dall'allora amministratore apostolico di Nardò Nicola Margiotta, vescovo di Gallipoli. È sede dell'omonima arciconfraternita.

Altre chiese

Architetture civili

  • Palazzo dei Marchesi del Tufo Il palazzo, sorto nel XIII secolo come nucleo fortificato con scopi difensivi ad opera forse dei Maramonte su un pregresso sito costruito dai De Persona è stato rimaneggiato più volte nel corso dei secoli fino all'attuale aspetto che risale al primo scorcio del XVIII secolo, con interventi che hanno reso l'antica rocca di difesa più adatta agli usi civili con l'apertura sulla facciata di una grande trifora e la risistemazione della piazza antistante, oggi Piazza San Giorgio. L'edificio baronale, divenuto marchesale nel 1644 con il governo del marchese Giuseppe del Tufo, si distribuisce su due piani dei quali quelli superiori ospitano circa 40 stanze ed una cappella mentre quelli inferiori accolgono le stalle, le antiche cucine e diversi magazzini. Notevole il giardino pensile realizzato sui soffitti del palazzo stesso e le splendide stalle affrescate e testimoni della passione per i cavalli di razza del marchese Ascanio Del Tufo. Interessanti le profonde cave di tufo sottostanti al palazzo che hanno fornito il materiale di costruzione per i piani superiori.
  • Portale del Giardino Marchesale in contrada Lazzaretto (Lazzareddhu) In Contrada Lazzaretto si erge l'arcone del Giardino omonimo. Costruito nella seconda metà del Settecento da Ferdinando San Felice per Ascanio e Beatrice Del Tufo -i cui nomi sono ricordati nell'epigrafe dell'arcone- rappresenta la magnifica entrata del giardino annesso, esempio dell'ingegneria Borbone in agricoltura. Veramente notevole il sistema di irrigazione alimentato da quattro pozzi agli angoli della tenuta collegati tra loro da gallerie sotterranee che permettevano di avere il livello dell'acqua sempre costante in qualsiasi punto della tenuta.
  • Portale del Giardino Mimmo in contrada Pergola (Pergula) Costruito con tecniche simili al portale e giardino Lazzaretto (Portale simile e stesso sistema di irrigazione con 4 pozzi angolari fra l'altro splendidamente decorati) ma in periodo più tardo, è significativo oltre che per gli elementi architettonici che lo contraddistinguono, anche per lo studio della cultura del giardino, fattispecie colturale tipica dell'Italia meridionale e comunissima in agro matinese.
  • Borgo Medioevale Di notevole interesse urbanistico è il centro storico medioevale rimasto, nel complesso del suo tessuto, praticamente intatto, mostrando inalterata la tipica struttura delle case cosiddette a corte ed il complesso reticolo di stradine e passaggi sotterranei e sopraelevati finalizzati alla facilità di difesa dell'abitato in caso di attacco. Tipico esempio delle tecniche urbanistiche nell'alveo del mediterraneo in epoca medievale, è uno splendido spaccato storico in parte miracolosamente salvatosi dalle aggressioni del tempo e dagli abusi edilizi.
  • Frantoi ipogei I frantoi ipogei di Matino testimoniano l'antica tradizione della produzione olearia, già presente in Terra d'Otranto in epoca romana e ulteriormente potenziata con grandi impianti olivicoli nel '600 e nel '700. Alcuni di essi, splendidamente conservati, rivelano l'ingegnosità delle tecniche di molitura e decantazione dell'olio attraverso sistemi di vasche a tracimazione. Rappresentano un notevole esempio di architettura industriale settecentesca.

Aree archeologiche

Grotta di Sant'Ermete

La grotta di Sant'Ermete è un'importante testimonianza archeologica in quanto in essa sono stati individuati resti fossili, manufatti e ossa risalenti all'uomo di Neanderthal. Cristianizzata dai basiliani, come testimoniato dai resti di un affresco di Sant'Ermete, la grotta costituisce uno dei primi siti di frequentazione umana del Salento insieme alle grotte delle Veneri di Parabita.

Grotta di Sant'Eleuterio

La grotta di Sant'Eleuterio è la testimonianza della presenza dei monaci basiliani, o comunque di rito greco, nel territorio matinese. È ciò che rimane dell'antico monastero di Sant'Eleuterio sorto nel X secolo, al sommo della serra omonima, fra Matino e Parabita. Di esso sopravvive la cripta, in grotta naturale con ingresso sormontato da una piccola volta a botte. Delle originarie pitture, ammirate dal De Giorgi, non resta che un impercettibile residuo sulla parete destra. Va ricordato, fra l'altro, che quando nel Salento si passò al rito latino, le pitture ispirate al rito greco furono coperte con intonaco; furono risparmiate solo poche immagini. L. Tasselli scrive che il monastero fu eretto da un soldato di Casarano, il quale cadde in un fossato, e, per intercessione di Sant'Eleuterio, fu salvo, tuttavia egli su ciò trasogna, atteso si fu che un Galantuomo e benestante della terra di Matino, che andava a cavallo per visitare i suoi poteri, che aveva là uniti, che noi diciamo masseria, ed arrivato sopra una cisterna Piena d'acqua, sprofondò la volta di essa, e si ritrovò nel profondo, dentro l'acqua invocò l'aiuto di S. Eleuterio, di cui era devo e subito si vide cavato da essa cisterna, onde poi lui, per graditudine, procurò chiamare dei Greci Calogeri per fondare un monastero, sotto la regola di S. Basilio, e si fabbricò a sue spese la chiesa, sotto il titolo di esso santo, con le celle attorno, e lo dotò de li fondi che lo circondavano e di capitali censi... ; dentro la cisterna, nelle tonache delle mura, fece dipingere S. Eleuterio, anzi le pietre che precipitarono dalla volta non si tolsero più di li dentro, affinché servissero di monumento oculare alla posterità, della grazia ricevuta, come il tutto apparisce (Schivani).

La chiesa fu costruita ad est della gradinata che accedeva alla cisterna, e, secondo la foggia greca, aveva l'altare ad oriente: in questo luogo detto S. Papa faceva dei miracoli, e i Matinesi si portavano a pregarlo, come ai nostri giorni si è mantenuta la divozione. (Schivani).

La fondazione di Sant'Eleuterio, che per la prima volta viene menzionato nel documento neretino del 1412, risalirebbe al X secolo, in concomitanza con la fondazione di Matino.

Non è improbabile che da questo monastero, dimenticato purtroppo dagli studiosi, provenga l'immagine della Madonna della Coltura di Parabita, uno dei più suggestivi monumenti dell'arte bizantina della rinascenza. Appartenuto fino al XIII secolo ai basiliani, il sito passò poi sotto il controllo del clero locale che lo frequentò sino alla metà del Seicento. In origine comprendeva, oltre la cripta, le celle dei monaci, i granai e una chiesa.

Monastero di Santa Anastasia

Dell'antico e grande monastero ad oggi non resta traccia se non nella cultura popolare. Non è improbabile che sia stato adibito ad altri usi dopo il passaggio nel Salento dal rito greco a quello latino e che sia andato progressivamente in rovina. Da alcuni documenti sappiamo che i possedimenti del monastero furono inglobati nelle proprietà delle sede vescovile di Nardò intorno al 1700.

Altro

  • MACMa - Museo Arte Contemporanea Matino "L. Gabrieli"-, conta oltre 700 opere provenienti dalla donazioni "L. Gabrieli", "E. Miglietta", "V. Balsebre", "M. Bentivoglio" e di vari autori della poesia verbo-visiva. È il primo in Puglia ad ospitare una ricchissima collezione dedicata ai temi della poesia visiva della neoavanguardie, tra gli artisti della poesia visiva spiccano: Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lucia Marcucci, Emilio Isgrò, Roberto Malquori, William Xerra, Franco Vaccari, Adriano Spatola, Arrigo Lora Totino, Elisabetta Gut, Martino Oberto, Ugo Carrega, Vincenzo Ferrari, Carlo Finotti, Giovanni Tinti, Michele Perfetti, Luciano Caruso ed altri.
  • Monumento ai caduti della prima guerra mondiale;
  • Monumento a Salvo D'Acquisto e ai caduti di Nassiriya.

Società

Evoluzione demografica

Abitanti censiti[67]

Etnie e minoranze straniere

Al 31 dicembre 2019 a Matino risultano residenti 288 cittadini stranieri. Le nazionalità principali sono:[68]

Dialetti pugliesi
Diffusione del dialetto salentino

Lingue e dialetti

Il dialetto parlato a Matino è una singolare variante del dialetto salentino, in particolare di quello della zona meridionale. Quasi inspiegabile il fenomeno che vede i due comuni di Parabita e Matino, combacianti e divisi solo teoricamente da una strada, parlare due varianti del dialetto profondamente diverse, mentre nel comune di Casarano, confinante con la parte sud di Matino, si parla una versione del dialetto salentino più vicina a quella matinese ma con influssi ed accenti comunque notevolmente diversi. Sembrerebbe che il dialetto matinese sia il risultato di contaminazioni linguistiche esterne sul corpo linguistico del salentino meridionale. Il dialetto salentino e quindi matinese si presenta carico di influenze riconducibili alle dominazioni e ai popoli stabilitisi in questi territori che si sono susseguite nei secoli: messapi, greci, romani, bizantini, longobardi, normanni, francesi, spagnoli.

Tradizioni e folclore

Festa del Miracolo di San Giorgio (San Giorgi piccinnu), 27 febbraio.

Cultura

Istruzione

A Matino ci sono tre scuole dell'infanzia, due scuole primarie: e una scuole secondaria di I grado.

Musei

Il Museo di Arte Contemporanea di Matino "L. Gabrieli" (MACMa) ospita una collezione di oltre 700 opere provenienti da donazioni private, prevalentemente sui temi della poesia visiva della neoavanguardie.

Economia

Grappolo di uva rossa Negroamaro

Nell'ambito dell'economia pugliese Matino ha occupato in passato un ruolo prevalentemente agricolo fino alla fine degli anni settanta. Nei decenni successivi è avvenuta una trasformazione in senso industriale ed artigianale di notevole entità con l'apertura di diverse aziende impegnate nella produzione calzaturiera e dell'abbigliamento.

La crisi alla fine degli anni novanta ha, purtroppo, ridimensionato notevolmente il fenomeno.

Aziende storiche quali ad esempio la Meltin' Pot, azienda del Gruppo Romano Jeans, leader nel mercato del vestiario sportivo o la Calzaturifici De Prezzo, che per circa un trentennio avevano generato ricchezza ed occupazione oltre a un notevole indotto di piccole industrie e laboratori di circa 250 aziende con quasi 2.000 addetti, hanno ridotto progressivamente il numero degli occupati a poche decine di operai. Stessa sorte toccata al Gruppo Filanto, avente sede nella vicina Casarano ma che assorbiva moltissima manodopera dai centri vicini. Un certo risveglio si è avuto nell'ultimo periodo con una riconversione di alcuni calzaturifici a produzioni di pregio che ha rinnovato la ormai ultracinquantennale tradizione industriale del settore calzaturiero.

Altri comparti economici presenti sul territorio matinese sono l'industria alimentare, meccanica, il settore del legno e della carpenteria, del vetro e dell'editoria.

Le ditte individuali censite dall'ISTAT sono oltre 400, le società di persone 40, le società di capitali 51, con una media aziende/abitanti di 1:20, testimonianza di una certa vivacità imprenditoriale. Le aziende manifatturiere rappresentano oltre un terzo del totale aziende e il 62% degli occupati.

Altri rami economici importanti sono il commercio e le costruzioni, ai quali è addetto rispettivamente il 9% e il 16% della popolazione. Il commercio, con le sue oltre 300 aziende, rappresenta il 40% delle imprese e il 14% degli addetti in settori non agricoli. Nel terziario dei servizi lavora il 23% della popolazione attiva. Nella pubblica amministrazione sono occupate circa 300 persone. Dal punto di vista dell'occupazione la città ha avuto un netto calo a causa delle già descritta crisi delle attività manifatturiere.

Il livello medio d'istruzione è discreto e in linea con la media italiana. La composizione socioeconomica della popolazione ha segnato nei tre decenni passati rispetto alla media regionale, un'elevata incidenza di lavoratori dipendenti e una bassa delle casalinghe, per effetto dell'alto impiego di manodopera femminile nel ramo manifatturiero.
Il settore agricolo si è in una certa misura riqualificato, notevole l'apporto in questo senso è stato dato della locale cantina cooperativa che con il marchio Cantine del Matino ha prodotto e commercializzato una varietà di vini D.O.C. (Matino rosso, Matino rosato) di discreto pregio cedendo poi negli ultimi anni alla concorrenza e chiudendo i battenti. La presenza della sede centrale della Banca Popolare Pugliese (oltre 100 filiali in Italia e una succursale in Albania), con il suo centro direzionale e la sede meccanografica determina, inoltre, un non disprezzabile apporto finanziario al circuito economico cittadino. La crisi economica internazionale degli ultimi anni ha lasciato un segno profondo nel tessuto economico cittadino. La quasi totalità delle aziende del settore manifatturiero ha chiuso i battenti o si è molto ridimensionata dando luogo ad una disoccupazione di molto superiore alla media nazionale che sta innescando fenomeni di emigrazione su larga scala.

Una certa ripresa occupazionale si è avuta attraverso lo sviluppo di attività turistiche, data la vicinanza con le spiagge joniche e la messa a valore di molti caseggiati del centro storico medioevale e la nascita di molti B&B, anche di pregio, nel territorio, ma il fenomeno resta ancora embrionale e di non grande impatto sull'economia cittadina.

Infrastrutture e trasporti

Strade

I collegamenti stradali principali sono rappresentati da:

Il centro è anche raggiungibile dalle strade provinciali interne: SP55 da Taviano; SP223 da Gallipoli, SP360 da Casarano e dal confinante abitato di Parabita.

Ferrovie

La città è servita da una stazione ferroviaria posta sulla linea Novoli-Gagliano del Capo delle Ferrovie del Sud Est.

Amministrazione

Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune.

Periodo Primo cittadino Partito Carica Note
22 giugno 1985 4 agosto 1990 Mario Romano Democrazia Cristiana Sindaco [69]
4 agosto 1990 7 dicembre 1991 Mario Romano Democrazia Cristiana Sindaco [69]
5 febbraio 1992 29 novembre 1993 Carmelo Vincenzo Russo Democrazia Cristiana Sindaco [69]
29 novembre 1993 23 giugno 1994 Angelo Sorino Comm. pref. [69]
23 giugno 1994 25 maggio 1998 Elio Agostiniello lista civica Sindaco [69]
25 maggio 1998 19 settembre 2001 Cosimo Romano centro-destra Sindaco [69]
19 settembre 2001 28 maggio 2002 Umberto Guidato Comm. straordinario [69]
28 maggio 2002 29 maggio 2007 Giorgio Antonio Primiceri lista civica Sindaco [69]
29 maggio 2007 8 maggio 2012 Giorgio Antonio Primiceri lista civica Sindaco [69]
7 maggio 2012 11 giugno 2017 Cosimo Carmelo Tiziano Cataldi lista civica Sindaco [69]
11 giugno 2017 in carica Giorgio Salvatore Toma lista civica Sindaco [69]

yGemellaggi

Sport

Le realtà sportive più di rilievo in città sono la squadra di calcio Polisportiva Virtus Matino, militante in serie D a partire dalla stagione 2021/2022 fresca vincitrice del campionato regionale di eccellenza 2020/2021 e che ha militato anche in Serie D per ben 10 anni sino al 1993 quindi un ritorno che mancava da 28 anni per la città. la squadra di baseball, Angels B.C. Matino, che attualmente milita in serie C. La squadra ha fornito alla nazionale italiana di baseball atleti di rilevanza internazionale quali Luigi Carrozza e Andrea Castrì, atleta quest'ultimo, convocato anche nella prestigiosa squadra americana dei New York Yankes. Meno famosa è la squadra dilettantistica di pallavolo Matino Volley.

Musica

Tradizionale Pastorale matinese [70]

Santu Lazzaru[71]

Te Mati-nu

Note

  1. ^ a b Dato Istat - Popolazione residente al 31 agosto 2020 (dato provvisorio).
  2. ^ Classificazione sismica (XLS), su rischi.protezionecivile.gov.it.
  3. ^ Tabella dei gradi/giorno dei Comuni italiani raggruppati per Regione e Provincia (PDF), in Legge 26 agosto 1993, n. 412, allegato A, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, 1º marzo 2011, p. 151. URL consultato il 25 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2017).
  4. ^ D.P.R. del 2 luglio 2002 Art. 3, comma 4 dello statuto comunale.
  5. ^ Copia archiviata (PDF), su clima.meteoam.it. URL consultato il 25 maggio 2012 (archiviato dall'url originale il 12 gennaio 2014). Tabelle climatiche 1971-2000 dall'Atlante Climatico 1971-2000 del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare
  6. ^ Pagina con le classificazioni climatiche dei vari comuni italiani, su confedilizia.it. URL consultato il 19 gennaio 2010 (archiviato dall'url originale il 27 gennaio 2010).
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Bibliografia

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  • Carlo Coppola, Quaderni Salentini, Congedo Editore (1999-2004).
  • Carlo Coppola, Il brigantaggio nel Salento, Ribellione popolare e repressione militare 1860 - 1865, Edizione Ass. Area (2004).
  • Antonio Costantino, "Giornale degli Autori Matinesi" 2012.
  • Quintino Siciliano, "Vocabolario Matinese" Edizioni Publigrafic- Trepuzzi, 2010.

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