Giuseppe Verdi

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Giuseppe Verdi ritratto nel 1886 da Giovanni Boldini

Giuseppe Fortunino Francesco Verdi (Le Roncole, 10 ottobre 1813Milano, 27 gennaio 1901) è stato un compositore italiano autore di melodrammi che fanno parte del repertorio operistico dei teatri di tutto il mondo. È considerato il più celebre compositore italiano di tutti i tempi.

Firma di Verdi

Biografia

La casa natale a Roncole Verdi

Giuseppe Verdi nacque a Le Roncole (divenuta in seguito Roncole Verdi), frazione di Busseto, il 10 ottobre 1813 da Carlo Verdi, oste e rivenditore di generi alimentari, e Luigia Uttini, filatrice. Carlo proveniva da una famiglia di agricoltori piacentini (stesse origini della moglie) e, dopo aver messo da parte un po' di denaro, aveva aperto una modesta osteria nella casa delle Roncole, la cui conduzione alternava al lavoro dei campi. Il registro dei battesimi, all'11 ottobre di quell'anno, lo indica come "nato ieri". Il giorno successivo Giuseppe venne battezzato nella chiesa locale di San Michele e gli vennero apposti i nomi di Giuseppe Francesco Fortunino. Il terzo giorno della sua nascita il padre di Verdi raggiunse Busseto per notificare la nascita alle autorità locali e venne indicato nel registro comunale coi nomi di Joseph Fortunin François. L'atto di nascita fu redatto in francese, appartenendo in quegli anni Busseto e il suo territorio all'Impero francese creato da Napoleone.

Pur essendo un giovane di umile classe sociale, riuscì tuttavia a seguire la propria vocazione di compositore grazie alla buona volontà e al desiderio di apprendere dimostrato. L'organista della chiesa delle Roncole, Pietro Baistrocchi, lo prese a benvolere e gratuitamente lo indirizzò verso lo studio della musica e alla pratica dell'organo e del pianoforte. Più tardi, Antonio Barezzi, un negoziante amante della musica e direttore della locale società filarmonica, convinto che la fiducia nel giovane non fosse mal riposta, divenne suo mecenate e protettore aiutandolo a proseguire gli studi intrapresi.

La prima formazione del futuro compositore avvenne tuttavia sia frequentando la ricca biblioteca della Scuola dei Gesuiti a Busseto, ancora esistente, sia prendendo lezioni da Ferdinando Provesi, maestro dei locali filarmonici, che gli insegnò i principi della composizione musicale e della pratica strumentale. Verdi aveva solo quindici anni quando, nel 1828, una sua sinfonia d'apertura venne eseguita, in luogo di quella di Rossini, nel corso di una rappresentazione di Il barbiere di Siviglia al teatro di Busseto. Nel 1832 si stabilì a Milano, grazie all'aiuto economico di Antonio Barezzi e a una "pensione" elargitagli dal Monte di Pietà di Busseto. A Milano tentò inutilmente di essere ammesso presso il locale prestigioso Conservatorio (che oggi porta il suo nome) e fu per diversi anni allievo di Vincenzo Lavigna, maestro concertatore alla Scala. Il 4 maggio 1836 sposò Margherita Barezzi, ventiduenne figlia del suo benefattore, con la quale due anni più tardi andò a vivere a Milano in una modesta abitazione a Porta Ticinese. Questi furono gli anni più duri della sua vita, infatti morirono sia la moglie (18 giugno 1840) che i suoi figli. Dopodiché nel 1839 riuscì finalmente, dopo quattro anni di lavoro, a far rappresentare la sua prima opera alla Scala: era l'Oberto, Conte di San Bonifacio, su libretto originale di Antonio Piazza, largamente rivisto e riadattato da Temistocle Solera. L'Oberto era un lavoro di stampo donizettiano, ma alcune sue peculiarità drammatiche piacquero al pubblico tanto che l'opera ebbe un discreto successo e quattordici repliche.

Nabucco

Giuseppe Verdi

Visto l'esito dell'Oberto, l'impresario della Scala Bartolomeo Merelli gli commissionò la commedia Un giorno di regno, andata in scena con esito disastroso. L'insuccesso dell'opera fu dovuto, con ogni probabilità, alle condizioni in cui fu composta. Un tremendo dolore attanagliava Verdi a causa della tragedia familiare che aveva vissuto: la morte della moglie e dei figli avuti da lei. La prima ad andarsene era stata la piccola Virginia Maria, nata nel marzo 1837 e morta nell'agosto 1838; Icilio Romano, nato nel luglio 1838, era morto invece nell'ottobre 1839. Infine la loro madre Margherita era spirata nel giugno 1840. Verdi era solo, privo ormai della sua famiglia. Ciò aveva gettato il musicista nel più profondo sconforto, e per ironia della sorte l'opera che gli era stata richiesta doveva essere comica.

Fu ancora Merelli a convincerlo a non abbandonare la lirica, consegnandogli personalmente un libretto di soggetto biblico, il Nabucco, scritto da Temistocle Solera. Verdi, però, ancora scosso dalla tragedia familiare, ripose il libretto senza neanche leggerlo; sennonché, una sera, per spostarlo, gli cadde per terra e si aprì, caso volle, proprio sulle pagine del Va, pensiero. Quando Verdi lesse il testo del famoso brano rimase scosso... Dopodiché andò a dormire, ma non riuscì a prendere sonno: si alzò, e rilesse il testo più volte, e alla fine lo musicò, e una volta musicato il Va, pensiero decise di leggere e musicare tutto il libretto. L'opera andò in scena il 9 marzo 1842 al Teatro alla Scala e il successo fu questa volta trionfale. Fu replicata ben sessantaquattro volte solo nel suo primo anno di esecuzione.

Con Nabucco iniziò la parabola ascendente di Verdi. Sotto il profilo musicale l'opera presenta ancora un impianto belcantistico, in linea con i gusti del pubblico italiano del tempo, ma teatralmente è un'opera riuscita, nonostante la debolezza e alcune ingenuità del libretto. Lo sviluppo dell'azione è rapido, incisivo, e tale caratteristica avrebbe contraddistinto anche la successiva, e più matura, produzione del compositore. Alcuni personaggi, come Nabucodonosor e Abigaille, sono fortemente caratterizzati sotto il profilo drammaturgico, così come il popolo ebraico, rappresentato nella condizione della cattivita' babilonese che si esprime in forma corale, unitaria, e che forse rappresenta il protagonista vero di questa prima, significativa, creazione verdiana. Uno dei cori dell'opera, il celebre Va, pensiero, con l'immedesimazione del popolo italiano nella figura del popolo ebraico prigioniero, finì col divenire una sorta di canto doloroso o inno contro l'occupante austriaco, diffondendosi rapidamente in Lombardia e nel resto d'Italia.

Gli "anni di galera"

Busseto: statua di Giuseppe Verdi

Nabucco segnò l'inizio di una folgorante carriera. Per quasi dieci anni Verdi scrisse mediamente un'opera all'anno, Da I Lombardi alla prima crociata a La battaglia di Legnano, passando per I due Foscari, Giovanna d'Arco, Alzira, Attila, Il corsaro, I masnadieri, Ernani e Macbeth. Tali opere giovanili, ad eccezione delle ultime due, pur presentando talvolta al loro interno pagine di acceso lirismo e una lucida visione dei meccanismi e delle dinamiche teatrali, non danno testimonianza di un'evoluzione del maestro verso forme musicali e drammaturgiche più personali e si adagiano su schemi già sperimentati in passato e legati alla tradizione melodica italiana precedente. Furono creazioni generalmente di successo rappresentate in molti teatri italiani ed europei, ma composte spesso su commissione, con ritmi di lavoro talvolta massacranti e non sempre sorrette da una genuina ispirazione. Per tale ragione, Verdi definì questo periodo della propria vita "gli anni di galera". Fra la produzione verdiana dell'epoca spiccano senz'altro, per forza drammaturgica e fascino melodico due opere, Ernani e Macbeth.

Il monumento a Giuseppe Verdi a Trieste

Tratta dall'omonimo dramma di Victor Hugo, Ernani fu concepito da Verdi fin dall'estate del 1843. Musicato nell'inverno successivo su libretto di Francesco Maria Piave, venne presentato al pubblico veneziano in marzo. La vicenda, ricca di colpi di scena e incentrata su un triplice amore, diede la possibilità a Verdi di approfondire la caratterizzazione di alcuni personaggi dal punto di vista drammaturgico e di iniziare ad affrancarsi dall'ingombrante influsso dei grandi compositori italiani dei primi decenni dell'Ottocento: Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti.

Macbeth, presentata al Teatro La Pergola di Firenze nel 1847, è con ogni probabilità il capolavoro giovanile di Verdi. Musicata su libretto di Francesco Maria Piave, si ispira alla tragedia omonima di William Shakespeare. Negli ultimi decenni è stata sottoposta a un intenso processo di rivalorizzazione, anche se generalmente viene rappresentata nella sua veste definitiva del 1865, riveduta e ampliata dal compositore bussetano. L'opera, dalle potenti connotazioni drammatiche, si differenzia dalle precedenti per un maggiore approfondimento psicologico dei protagonisti della tragedia (Macbeth e Lady Macbeth), preannunciando, col suo debordante lirismo, la trilogia popolare di un Verdi entrato nella sua piena maturità espressiva.

Nel 1849, venne presentata al pubblico napoletano Luisa Miller, opera meno affascinante di Macbeth, ma importante per l'evoluzione dello stile musicale e della drammaturgia verdiana. L'orchestrazione si fa più raffinata che in passato, il recitativo più incisivo e il compositore scava nella psiche della protagonista come mai aveva forse fatto prima di allora. Anche nella creazione successiva, Stiffelio, rappresentata per la prima volta a Trieste nel 1850, Verdi portò avanti quel lavoro di caratterizzazione psicologica del personaggio centrale, iniziato con Macbeth e proseguito in Luisa Miller. L'opera presentava però alcune debolezze strutturali, dovute in parte ai drastici tagli operati dalla censura austriaca, che non le permisero di imporsi al grande pubblico italiano ed europeo. Ancor oggi Stiffelio è rappresentato raramente.

La "trilogia popolare"

Milano: statua di Giuseppe Verdi in piazza Michelangelo Buonarroti, opera di Enrico Butti
Lo stesso argomento in dettaglio: Trilogia popolare.

Un anno più tardi, con Rigoletto (Venezia, 1851), Verdi si sarebbe imposto come il massimo operista italiano del suo tempo. Rigoletto fu seguito da altri due capolavori assoluti, Il trovatore e La traviata, che formano con esso la cosiddetta "trilogia popolare", o (più impropriamente) "romantica", del compositore bussetano. Tratto da una pièce di Victor Hugo, Le roi s'amuse, Rigoletto è un'opera profondamente innovativa, sotto il profilo drammaturgico e musicale. Per la prima volta al centro della vicenda di un'opera drammatica troviamo un buffone di corte, cioè un personaggio che, utilizzando una terminologia moderna, potremmo definire un "emarginato sociale". La dimensione emotiva dei protagonisti è colta da Verdi magistralmente attraverso una partitura messa al servizio del dramma e di straordinaria bellezza melodica. Azione e musica sembrano rincorrersi e sostenersi mutuamente in una vicenda che ha un ritmo di sviluppo rapido, senza cedimenti né parti superflue.

Il miracolo si ripeté con Il trovatore (Roma, 1853), opera dall'impianto più tradizionale, ma altrettanto affascinante. Dramma di grande originalità oltretutto, perché si struttura su una vicenda povera di avvenimenti e dove i protagonisti o sono proiettati verso un futuro gravido di incognite, o immersi nei ricordi di un passato lontano che ne condiziona l'azione e che li sospinge verso un destino di morte ineluttabile. Con quest'opera Verdi scrisse alcune fra le sue pagine più alte, ricche di patetismo e suggestioni tardo-romantiche che sarebbero nuovamente emerse pochi mesi più tardi, nella terza opera, in ordine cronologico, della trilogia: La traviata.

La traviata (Venezia, 1853) ruota attorno alla storia di una cortigiana travolta dall'amore per un giovane di buona famiglia. Più che su alcuni accadimenti esteriori, la vicenda viene vissuta all'interno della coscienza della protagonista la cui natura umana è scandagliata da Verdi in tutte le sue minime sfumature. Le scelte stilistiche del grande compositore risultano sempre adeguate alla complessa drammaturgia dell'opera e si traducono in un raffinamento orchestrale e in una complessità armonica la cui modernità non venne all'epoca pienamente recepita. Oggigiorno alcuni critici considerano La Traviata una vera e propria pietra miliare nella creazione del dramma borghese degli ultimi decenni dell'Ottocento e ne evidenziano l'influenza su Puccini e gli autori veristi suoi contemporanei[1].

L'esperienza parigina e Sant'Agata

Con la "trilogia popolare", Verdi si era imposto come il più celebre musicista del suo tempo. Eugène Scribe, all'epoca librettista dell'Opéra di Parigi, propose al compositore un testo in francese per un'opera da rappresentare nella Ville Lumière. Non senza esitazioni, Verdi accettò. Ne uscì un'opera, Les vêpres siciliennes (1855), di notevole impatto musicale ma poco convincente sotto il profilo drammaturgico. L'opera, inquadrabile nel genere del Grand opéra, con spettacolari messe in scena, coreografie e movimenti di massa, poco si addiceva al genio verdiano, approdato con la Traviata a un tipo di drammaturgia più intimista, psicologica. Maggior successo avrebbe avuto, pochi mesi più tardi, la versione italiana dell'opera, I vespri siciliani (Parma, 1855), con la quale si sono cimentati, nel secondo dopoguerra alcuni fra i maggiori direttori d'orchestra e interpreti della grande lirica internazionale (celebre la rappresentazione scaligera di De Sabata-Callas del 1951).

La villa di Verdi a Sant'Agata

In quegli anni riaffiorò prepotente in lui, ormai compositore affermato, ricco e noto al pubblico internazionale, il fascino della campagna[2]. Pertanto, nel maggio 1848 Verdi acquistò dai signori Merli la villa di Sant'Agata, una frazione di Villanova sull'Arda (provincia di Piacenza), dove diventò anche consigliere comunale.[3] Qui si stabilì tre anni più tardi, insieme alla sua nuova compagna, il soprano Giuseppina Strepponi, che sposò nel 1859. La fattoria finì con l'assorbire gran parte del tempo del Maestro, almeno tutto quello che la musica gli lasciava libero e così, via via, col passare degli anni, l'amore per la campagna diventò, per lui, quasi una mania[4]. Le lettere[5] indirizzate al fattore sono una riprova di quanto il "cigno di Busseto" fosse esperto in fatto di pioppicultura, di allevamento di cavalli, di irrigazione dei campi, di enologia. Quanto poi fosse competente e si tenesse al corrente delle ultime novità si può dedurre da una lettera, datata marzo 1888 ed indirizzata ai fratelli Ingegnoli che gli avevano mandato in omaggio sei cachi di cui avevano appena iniziato, in Italia, la coltivazione; Verdi se ne mostrò subito entusiasta, auspicandone la diffusione su tutto il territorio nazionale. Il 31 agosto 1857 Verdi ottenne dalla Repubblica di San Marino il titolo di patrizio sanmarinese[6].

Gli anni della maturità

Caricatura dell'amico Delfico (1860)

La seconda metà degli anni cinquanta dell'Ottocento, furono, per il compositore, anni di travaglio: Verdi poteva finalmente comporre senza fretta, ma l'intero mondo musicale stava lentamente cambiando. Sui palcoscenici italiani, il Simon Boccanegra, presentato al pubblico veneziano nel 1857, non piacque. Il dramma, prettamente politico, non aveva quei risvolti sentimentali che tanto appassionavano il pubblico del tempo e dovette attendere quasi cinque lustri e una rielaborazione radicale (cui collaborò anche Arrigo Boito) per imporsi definitivamente nel repertorio lirico italiano ed internazionale (1881).

Due anni più tardi vedeva la luce, dopo varie vicissitudini prima con la censura napoletana (che in pratica rese impossibile la sua rappresentazione), poi con quella romana, Un ballo in maschera (Roma, 1859), opera di successo nella quale Verdi mescolò, con sapiente dosaggio, elementi procedenti dal teatro tragico e da quello leggero. Creazione musicalmente e drammaturgicamente raffinata, dallo stile elegante e delicato, in Un ballo in maschera affiora un'umanità vagamente inquieta, non esente da ambiguità, che trova nella relazione fra i due protagonisti i suoi momenti liricamente più elevati.

Un interessante connubio di elementi comici e tragici (con decisa prevalenza di questi ultimi), si realizza nella Forza del destino (San Pietroburgo, 1862). L'opera possiede un indubbio vigore musicale anche se appare in alcuni punti meno compatta, meno unitaria della precedente sotto il profilo teatrale. Ne La forza del destino Verdi riesce tuttavia ad elaborare un linguaggio ancor più realistico che in passato, anticipando l'opera successiva, il Don Carlos, presentato al pubblico parigino nel 1867.

Foto di Giuseppe Verdi, con firma autografa, donata a Francesco Paolo Frontini

Don Carlos è oggi considerato uno dei grandi capolavori verdiani. In quest'opera il compositore, pur facendo proprie alcune impostazioni del Grand opéra (fra cui l'articolazione in cinque atti, l'inserimento di un balletto fra il terzo e quarto atto e la creazione di alcune scene particolarmente spettacolari), riesce a scavare in profondità nella psicologia dei protagonisti, offrendoci una poderosa raffigurazione del dramma umano e politico che sconvolse la Spagna nella seconda metà del XVI secolo e che ruota attorno alla logica spietata della ragion di stato.

Tale periodo di massima maturazione umana ed artistica culminò con Aida, andata in scena al Cairo la vigilia di Natale del 1871. L'opera fu il risultato finale dei contatti tra Verdi e il kedivè d'Egitto, che nel 1869 aveva invano tentato di ottenere dal maestro un inno per l'inaugurazione del Canale di Suez.[7] Aida costituisce un ulteriore, grande passo in avanti verso la modernità. Il quasi completo abbandono dei pezzi a forma chiusa, l'uso ancor più accentuato che in passato di temi e motivi musicali ricorrenti potrebbero fare accostare tale opera al dramma wagneriano. In realtà Verdi aveva seguito un percorso del tutto autonomo in Aida, opera fondamentalmente intimista e poggiata su una vocalità dalle caratteristiche prettamente italiane. Ricordiamo a questo proposito che la prima opera wagneriana ad essere rappresentata in Italia fu il Lohengrin a Bologna, e ciò avvenne dopo la prima esecuzione dell'Aida. Verdi era tuttavia già al corrente di alcune innovazioni musicali del grande compositore tedesco, verso il quale inizialmente non nutriva molta stima[8].

Dopo Aida, Verdi decise di ritirarsi a vita privata. Iniziò così il periodo del grande silenzio – sia pure interrotto dalla Messa di Requiem scritta in occasione della morte di Alessandro Manzoni – durante il quale il rude contadino delle Roncole meditò sui grandi mutamenti artistici in corso nel mondo. A far uscire Verdi dall'isolamento fu Arrigo Boito, il compositore scapigliato che lo aveva pubblicamente offeso nel 1863 ritenendolo causa del provincialismo e dell'arretratezza della musica italiana del tempo.

Le ultime opere

Milano, la Casa di Riposo per Musicisti in Piazza Buonarroti, fondata da Giuseppe Verdi nel 1899.
File:Tomba Giuseppe Verdi.jpg
Vittorio Emanuele III e la regina Elena visitano la tomba di Verdi,
nella Casa di riposo per musicisti, a Milano.
(stampa dei primi del Novecento)

Con gli anni Boito aveva compreso che solo Verdi avrebbe potuto portare l'Italia musicale al passo con l'Europa e, col fondamentale aiuto dell'editore Giulio Ricordi, si riconciliò con lui. Primo frutto della collaborazione fra il grande musicista e l'ex scapigliato fu il rifacimento del Simon Boccanegra rappresentato con grande successo al Teatro alla Scala di Milano nel 1881. Seguirono a distanza di alcuni anni due opere memorabili: Otello e Falstaff, entrambi frutto delle fatiche letterarie di Boito, che si occupò della stesura dei rispettivi libretti, e di Verdi che ne compose la musica. Si tratta di due capolavori assoluti del grande bussetano, ormai prossimo alla concezione wagneriana del dramma ma senza pagare un solo tributo allo stile del suo coetaneo d'oltralpe. In Boito Verdi poté trovare un collaboratore prezioso, che seppe essere all'altezza delle proprie concezioni drammaturgiche, un intellettuale di notevole spessore culturale, duttile nella versificazione e a sua volta musicista, ovvero capace di pensare la poesia in funzione della musica. Le due opere, entrambe rappresentate alla Scala, ebbero esiti diversi. Se Otello incontrò immediatamente i gusti del pubblico, affermandosi stabilmente in repertorio, Falstaff lasciò, in un primo momento, perplesso il grande pubblico verdiano e, più in generale, i melomani italiani. Per la prima volta dopo lo sfortunato Un giorno di regno infatti, l'anziano Verdi si cimentava nel teatro comico, ma con la sua estrema commedia aveva accantonato in un sol colpo tutte le convenzioni formali dell'opera italiana, dando prova di una vitalità artistica, di uno spirito aperto alla modernità e di un'energia creativa sorprendenti. Falstaff fu sempre amato dai compositori ed esercitò un influsso decisivo sui giovani operisti, da Puccini agli autori della Generazione dell'Ottanta.

Verdi trascorse gli ultimi anni tra Sant'Agata e Milano. Aveva oramai perso gli ultimi amici di gioventù: Andrea Maffei e sua moglie Clara, Tito I Ricordi ed Emanuele Muzio. Nel 1897 la moglie Giuseppina morì, lasciandolo solo nella sua lunga vecchiaia. Nel 1899 istituì l'Opera Pia - Casa di Riposo per i Musicisti: redigendo il testamento, stabilì molti legati destinati ad essa e a vari altri enti sociali, mentre istituì erede universale delle sue ingenti ricchezze una cugina (da parte di padre) di Busseto, Filomena Verdi, la cui storia è quella di una fortunata Cenerentola. Di famiglia poverissima, aveva abitato con Carlo Verdi, che aveva voluto strapparla alla miseria di casa sua. Quando il padre di Verdi morì (14 gennaio 1867), il musicista e Giuseppina presero a loro volta in casa la bambina di sette anni, che ribattezzarono Maria ed educarono con ogni cura, considerandola una figlia a tutti gli effetti. In seguito la ragazza si sposò con il figlio del notaio Carrara, loro buon amico, ed ebbe quattro figli maschi. Fu lei a prendersi cura del Maestro rimasto vedovo, e fu lei presente al suo letto di morte, insieme alla cantante Teresa Stolz.

La morte

Verdi morì a Milano in un appartamento dove era solito alloggiare dal 1872 al Grand Hotel et de Milan[9] alle 2:50 del 27 gennaio 1901, a 87 anni. Era venuto nella città lombarda per trascorrervi l'inverno, come faceva da tempo. Colto da malore, spirò dopo sei giorni di agonia. Il Maestro lasciò istruzioni per i suoi funerali: si sarebbero dovuti svolgere all'alba, o al tramonto, senza sfarzo né musica. Volle esequie semplici, come semplice era sempre stata la sua vita. Le ultime volontà del compositore vennero rispettate, ma non meno di centomila persone seguirono in silenzio il feretro. Nei giorni che precedettero la morte di Verdi, via Manzoni e le strade circostanti vennero cosparse di paglia affinché lo scalpitio dei cavalli e il rumore delle carrozze non ne disturbassero il riposo. Venne sepolto a Milano presso la Casa di Riposo per i Musicisti che lui stesso istituì.

Tra le cerimonie svoltesi in tutta Italia per commemorare la morte di Verdi, particolarmente suggestiva fu quella che si svolse, alla presenza del Duca di Genova, nel teatro greco di Siracusa. Fu stampata anche una cartolina commemorativa in occasione del luttuoso evento, mentre sia Pascoli che D'Annunzio scrissero composizioni poetiche in sua memoria. Al Museo Verdiano Casa Barezzi di Busseto è conservata la prima stesura del manoscritto originale dell'ode “In morte di Giuseppe Verdi” (1901) di Gabriele D'Annunzio.

Il Verdi non operistico

Giuseppe Verdi fotografato nel 1876 da Étienne Carjat
Lo stesso argomento in dettaglio: Lista delle composizioni di Giuseppe Verdi.

Verdi si cimentò anche al di fuori dal campo operistico. Dopo aver ricevuto la formazione di maestro di cappella - secondo la prassi italiana dell'epoca - scrisse molta musica sacra e strumentale, destinata per lo più alla locale Società filarmonica. Ricordiamo di questo periodo (1836-1839) un Tantum ergo, che il compositore giudicò molto severamente negli anni della propria maturità.[10] Dall'Oberto (1839) abbandonò, per oltre vent'anni, i generi non operistici, con l'eccezione della musica da camera (fra cui alcune romanze da salotto).

Nel 1862 compose, per l'Esposizione Universale di Londra, l'Inno delle Nazioni su testo di Boito. Molti anni più tardi, Verdi scrisse una Messa di requiem per la morte di Alessandro Manzoni (rappresentata nella Chiesa di San Marco a Milano il 22 maggio 1874). In realtà già dopo la morte di Rossini (1868), Verdi aveva proposto a ben undici compositori italiani del tempo, come omaggio collettivo al compositore pesarese, un Requiem mai realizzato. Per sé aveva riservato l'ultimo brano, quel Libera me, Domine che avrebbe recuperato successivamente, inserendolo, con alcuni cambiamenti, nel Requiem per Manzoni.

Sempre nel campo della musica sacra, Verdi compose un Pater noster, su testo in volgare di Dante, pubblicato nel 1880 e i Quattro pezzi sacri, composti nella tarda maturità e pubblicati nel 1898: Ave Maria, Stabat Mater, Laudi alla Vergine e Te Deum.

Di Verdi, nel genere cameristico, ricordiamo alcune opere giovanili come le Sei romanze (ed. 1838) e Album di sei romanze (ed. 1845) per voce e pianoforte e il Quartetto per archi in mi minore (1873).

Degno di nota è anche il Valzer in fa maggiore (1859) composto per pianoforte, che sarà poi orchestrato da Nino Rota per la colonna sonora de Il Gattopardo.

Verdi e la politica

Verdi partecipò attivamente alla vita pubblica del suo tempo. Anche se nell'ultima parte della sua vita traspare, dall'epistolario e dalle testimonianze dei suoi contemporanei, una disillusione, un disincanto, nei confronti della nuova Italia unita, che forse non si era rivelata all'altezza delle proprie aspettative.[senza fonte] Fu sostenitore dei moti risorgimentali (durante l'occupazione austriaca la scritta "Viva V.E.R.D.I." era scritta sui muri e letta come "Viva Vittorio Emanuele Re d'Italia"). Cavour lo volle candidato alla Camera del primo parlamento del Regno d'Italia (1861-1865), eletto come Deputato nel Collegio di Borgo San Donnino, l'attuale Fidenza, al ballottaggio del 3 febbraio 1861. Il Re lo nominerà poi, per motivi culturali e perché fra i maggiori contribuenti del Regno[senza fonte], senatore nel 1874.

Ha scritto il critico Carlo Calcaterra:

«Non vi è dubbio che l'alta e infuocata atmosfera ideale, in cui Giuseppe Verdi respirò e compose, sia quella che sogliamo dire romantica. [...] Con impulso libero e nuovo potenziava in sé i sentimenti fondamentali dell'animo umano. [....] Quella musica, fatta di passione ardente, di alta malinconia, di realtà straziante e speranze inestinguibili, andando da popolo a popolo, diceva nel mondo: io sono l'Italia. È stato spesso osservato che, come sullo sfondo del Tristano e Isotta e del Parsifal di Richard Wagner splende la filosofia dolorosa di Arthur Schopenhauer, considerata dal grande lipsiense come un dono del cielo, giacché il mondo come volontà e rappresentazione, a partire dal 1854, gli parve la sola filosofia che gli rivelasse la vita e lo conducesse all'estrema Eutanasia, così nelle opere di Giuseppe Verdi palpita, arde, muove i cuori e le menti la filosofia umana, caritativa, morale di Giuseppe Mazzini che poggia su Dio e popolo, pensiero e azione[11]»

Personalità

Per lungo tempo Verdi è stato considerato un tranquillo uomo di campagna toccato dal genio, un uomo rustico e schietto, integerrimo, e di rara onestà intellettuale. Tale immagine si univa a quella del patriota ardente, che a giusto titolo sedette come deputato nel primo parlamento dell'Italia unita (1861). Aspetti questi, facenti sicuramente parte della sua personalità ma che da soli non possono spiegare la grandezza dell'artista e delle sue immortali creazioni. In realtà Verdi fu un operista attento alle grandi correnti di pensiero che percorrevano l'Italia e l'Europa del tempo, pronto a mettersi in discussione e nel contempo profondamente conscio del proprio valore. Sempre aggiornatissimo, alla ricerca di nuovi soggetti cui ispirare le proprie opere, fu un grande frequentatore della capitale artistica dell'Europa del tempo, Parigi. Il suo primo viaggio nella Ville Lumière risale al 1847, l'ultimo, al 1894, in occasione dell'allestimento dell'Otello che egli stesso volle seguire personalmente. Compositore meticoloso, dotato di un'eccezionale sensibilità drammaturgica che aveva ulteriormente affinato con gli anni, Verdi fu per tutta la sua vita uno sperimentatore, proteso verso traguardi sempre più alti e dotato di un senso critico fuori del comune, che gli permise di andare incontro ai gusti di un pubblico sempre più esigente pur senza mai rinunciare ai propri convincimenti di uomo ed artista. L'enorme epistolario che ci ha lasciato, oltre a rappresentare un affascinante affresco di quasi settant'anni di storia italiana (dalla metà degli anni trenta dell'Ottocento sino alla fine del secolo), è uno strumento per conoscere un Verdi "inedito", orgoglioso della propria estrazione contadina, ma allo stesso tempo uomo fondamentalmente colto e osservatore fine della realtà e dell'ambiente che lo circondavano, personaggio inquieto e protagonista carismatico di un'epoca memorabile. Stimato e amato da un ampio pubblico internazionale è, con Giacomo Puccini, l'operista italiano più rappresentato al mondo, occupando un posto privilegiato nell'olimpo dei più grandi creatori musicali di tutti i tempi.

Opere liriche

Monumento a Giuseppe Verdi in Piazzale della Pace a Parma, opera di Ettore Ximenes
Una delle ultime immagini fotografiche di Giuseppe Verdi, custodita al Castello d'Albertis di Genova

Epistolari

  • Autobiografia. Dalle lettere, Collezione Le Scie, Mondadori, I° ed. 1941.
  • Autobiografia dalle lettere, a cura di Mario Oberdorfer, Collana Biblioteca Universale Rizzoli n.231-4, Rizzoli, Milano, 1951.
  • Verdi come era. Piccola antologia dalle lettere, a cura di Giampiero Tintori, Mondadori, 1966.
  • Quartetto milanese. Lettere di Giuseppe Verdi, Giuseppina Strpponi, Clara Maffei e di altri personaggi del mondo politico e artistico dell'epoca, Vallecchi, Firenze, 1972.
  • Giuseppe Verdi: Autobiografia dalle lettere, a cura di Mario Oberdorfer. Nuova edizione riveduta da Marcello Conati, Collana Biografie, BUR, Milano, 1981.
  • Libretti. Lettere, a cura di Michele Porzio, Collana Oscar Classici n.516, Mondadori, 2001; Collana Nuovi Oscar Classici, Mondadori, 2013, ISBN 978-88-04-62944-3.
  • Lettere, a cura di Eduardo Rescigno, Collana i millenni, Einaudi, Torino, 2012, ISBN 978-88-06-21353-4.
  • E' così bella cosa il ridere. Lettere di un genio compreso, Collana I pacchetti, L'Orma Editore, Roma, 2013, ISBN 978-88-98-03812-1.
  • Verdi. L'uomo nelle sue lettere. A cura di Franz Werfel e Paul Stefan, Collana Le Navi, Castelvecchi, Roma, 2013, ISBN 978-88-76-15895-7.
  • id., Le lettere genovesi, con DVD, a cura di R. Iovino e R. Ponte, Collana Quaderni n.7, Istituto Nazionale di Studi Verdiani, 2014, ISBN 978-88-85-06555-0.

Verdi e il cinema

Film biografici, più o meno liberamente tratti dalla vita di Giuseppe Verdi:[12]

Onorificenze

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Onorificenze italiane

Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere dell'Ordine Civile di Savoia - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria

Onorificenze straniere

Cavaliere di III classe dell'Ordine di Medjidié - nastrino per uniforme ordinaria
Commendatore dell'Ordine Imperiale di Francesco Giuseppe - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di Gran Croce della Legion d'onore - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere della Legion d'Onore - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere dell'Ordine di San Stanislao - nastrino per uniforme ordinaria
— San Pietroburgo, novembre 1862[14]
Cavaliere dell'Ordine Pour le Mérite (classe di pace) - nastrino per uniforme ordinaria
  • Cittadinanza onoraria di Parma con medaglia d'oro (5 aprile 1872), per mano del sindaco Alfonso Cavagnari

Curiosità

  • Giuseppe Verdi venne raffigurato sulla banconota da 1.000 lire italiane, dal 1962 al 1969 (1º tipo di banconota) e dal 1969 al 1981 (come 2º tipo di banconota).
  • Nel 2012 il maestro Vittorio Rainieri ha raffigurato, in occasione del bicentenario dalla nascita, la rivisitazione pittorica di tutte le 27 opere del grande maestro G.Verdi.[18]
  • Nel 2013 la zecca italiana ha dedicato una moneta commemorativa da 2 euro al 200 anniversario della nascita di Giuseppe Verdi.
  • In occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi il numero 3028 di Topolino gli ha dedicato una storia dal titolo: Topolino e il codice armonico.[19]

Note

  1. ^ Fra questi, René Leibowitz, secondo il quale «è presente quel lirismo realistico che già fa presagire il verismo di certi successori di Verdi fin da La traviata» (René Leibowitz, Storia dell'Opera, Milano, Garzanti Ed., 1966, pag. 226 traduzione di Maria Galli De' Furlani dall'originale francese dello stesso autore Histoire de l'Opéra, Ed. Bouchet/Chastel, Parigi 1957).
  2. ^ Unitamente, secondo Maria Zaniboni (cfr. Maria Zaniboni, Il genio e l'agricoltura vanno d'accordo, in Historia n.272, ottobre 1980) al desiderio di incalzante di «far soldi» per comprarsi una casa ed un podere. Egli «desiderava il denaro», scrive la Zaniboni, «per una caratteristica ragione contadinesca che tutti i contadini portano sempre dentro di sé: il sogno di avere un campo, una casa, un mulo ed, eventualmente, anche una moglie.
  3. ^ 350 «biolche» circa, con tutte le sementi, invernaglie, pali per le viti, quattro grandi botte di circa di circa 50 «brente», tine e la «gran macchina» del fiume Ongina per irrigare le ortaglie.
  4. ^ «il se lève presque avec le jour - scriveva ad un'amica Giuseppina Strepponi - pour aller examiner le blè, le mais, la vigne».
  5. ^ In vita sua, Verdi scrisse una gran quantità di lettere, gran parte delle quali conservate in copia nei cosiddetti "copialettere" che tuttora costituiscono una fonte eccezionale per la ricostruzione del suo carteggio, periodicamente pubblicato in edizioni moderne dall'Istituto Nazionale Studi Verdiani.
  6. ^ Annuario della Nobiltà Italiana, parte VI, anno 2000 e segg.
  7. ^ Aida, dal Sito ufficiale di Giuseppe Verdi
  8. ^ Possiamo constatarlo dai carteggi. Il 31 dicembre 1865, in una lettera diretta ad un amico da Parigi, Verdi così scriveva: «Ho sentito anche la sinfonia del Tannhäuser. È matto!!!» (Verdi, lettere 1835-1900 a cura di Giuseppe Porzio, p. 403, Milano, Mondadori, 2000) e qualche anno più tardi (19 novembre 1871) nell'esprimere un giudizio sul Lohengrin: «Impressione mediocre [...] l'azione lenta come la parola. Quindi noia... (Verdi, lettere 1835-1900 a cura di Giuseppe Porzio, p. 420, Milano, Arnoldo Mondadori Editore SpA, 2000). Con gli anni avrebbe mutato il proprio giudizio e alla morte di Wagner avrebbe pronunciato parole di sincero rammarico e profonda stima nei suoi confronti. Si dice che, benché avesse ascoltato pochissime opere di Wagner, Verdi nel suo armadio conservasse sempre le pubblicazioni di tutti gli spartiti del maestro tedesco.
  9. ^ Il sito dell'Hotel contiene alcune immagini e una breve storia della presenza del Maestro presso quella dimora: Il sito
  10. ^ Giuseppe Verdi, ritrovata una composizione sacra a Finale Ligure, su savona.mentelocale.it, mentelocale.it, 11 giugno 2013. URL consultato l'11 giugno 2013.
  11. ^ Poesia e canto, Zanichelli, Bologna, 1952, p. 344 e sgg.
  12. ^ filmografia
  13. ^ a b Scheda senatore VERDI Giuseppe
  14. ^ a b c vedi qui
  15. ^ Giuseppe Verdi | Vita e Opere | Aida
  16. ^ vedi qui
  17. ^ vedi qui. L'Onorificenza gli venne consegnata nella sua villa di Sant'Agata per mano dell'editore francese delle sue opere, incaricato dall'allora presidente della Repubblica Francese, Luigi Napoleone Bonaparte.
  18. ^ [www.spiritoverdiano200.it Lo spirito Verdiano], spiritoverdiano200.it. URL consultato il 28 dicembre 2014.
  19. ^ Topolino numero 3028 pagina 9


Bibliografia essenziale

  • Vittorio Rainieri "Spirito Verdiano" 1813-2013 Rivisitazione pittorica di tutte le 27 Opere del grande maestro Giuseppe Verdi
  • Abramo Basevi, Studio sulle opere di Giuseppe Verdi, Firenze, Tipografia Tofani, 1859 (reprint Forni).
  • Carlo Gatti, Verdi, Milano, Alpes, 1931 (nuova edizione Milano, Mondadori, 1951).
  • Franco Abbiati, Giuseppe Verdi, Milano, Ricordi, 1959 (4 voll.).
  • Frank Walker, The man Verdi, New York, Knopf 1962 (trad. it. L'uomo Verdi, Milano, Mursia, 1964).
  • Gabriele Baldini, Abitare la battaglia (a cura di Fedele D'Amico), Milano, Garzanti, 1970.
  • Luciano Zeppegno, Il manuale di Verdi, Lato side, Roma, 1980.
  • Julian Budden, The Operas of Verdi, Londra, Cassell, 1973-1981 (trad. it. Le opere di Verdi, 3 vol. Torino, EDT, 1985-1988).
  • Giampiero Tintori, Invito all'ascolto di Giuseppe Verdi , Milano, Mursia, 1983.
  • Massimo Mila, Verdi (a cura di Pietro Gelli), Milano, Rizzoli, 2000.
  • (DE) Christian Springer, Verdi und die Interpreten seiner Zeit, Holzhausen, Vienna 2000. ISBN 3-85493-029-1
  • (DE) Christian Springer, Verdi-Studien (Verdi in Wien / Hanslick versus Verdi / Verdi und Wagner / Zur Interpretation der Werke Verdis / Re Lear - Shakespeare bei Verdi), Vienna, Edition Praesens, 2005. ISBN 3-7069-0292-3
  • Giovanni Cenzato, Itinerari Verdiani, Milano, Ceschina, 1955.
  • Knud Arne Jürgensen, The Verdi ballets, Parma, Istituto nazionale studi verdiani, 1995 - Premio Rotary Club "Giuseppe Verdi" - 4
  • Carteggio Verdi-Somma, a cura di Simonetta Ricciardi, Parma, Istituto nazionale di studi verdiani, 2003
  • Claudia Polo, Immaginari verdiani. Opera, media e industria culturale nell'Italia del XX secolo, Milano, BMG/Ricordi, 2004.
  • Dino Rizzo, "Verdi filarmonico e Maestro dei filarmonici bussetani", Parma, Istituto nazionale di Studi verdiani, 2006, Premio Rotary Club “Giuseppe Verdi” - 6.
  • Dino Rizzo (a cura di), "Atti del Convegno Verdi, la Musica e il Sacro", Fidenza, Mattioli 1885, 2014.
  • Carteggio Verdi-Luccardi, a cura di Laura Genesio, Parma, Istituto nazionale di studi verdiani, 2008
  • Marcello Conati, Officina Verdi, nuove ricognizioni, Reggio nell'Emilia, Diabasis, 2010.
  • Teresa Camellini (a cura di), «Sarà un progresso» ...tornando a Verdi, Reggio nell'Emilia, Diabasis, 2010.
  • Riccardo Viagrande, Verdi e Boito. "All'arte dell'avvenire". Storia di un'amicizia e di una collaborazione artistica, Monza, Casa Musicale Eco, 2013.
  • Giuseppe Leone - Roberto Zambonini, SempreVerdi - Viaggio poetico-musicale fra "pascoli" romagnoli e giardini dannunziani , Ed. Il Melabò - Centro Studi Musica e Parola, Malgrate, Palazzo Agudio, 30 agosto 2013.
  • Luciana d'Ambrosio Marri, Donne all'opera con Verdi. e-book, 2013.
  • Luigi Inzaghi, Giuseppe Verdi e Milano, Meravigli edizioni MilanoExpo, Milano, 2013.
  • Carteggio Verdi-Morosini (1842-1901) a cura di Pietro Montorfani, apparato critico e note a cura di Giuseppe Martini e Pietro Montorfani, Parma, Istituto nazionale di studi verdiani, 2013
  • Roberta Montemorra Marvin (ed. by), The Cambridge Verdi Encyclopedia, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 2013
  • Simone Fappanni, L'arte al tempo di Giuseppe Verdi, Edizioni Fantigrafica, Cremona, 2013.
  • Marcello Conati, Piegare la nota. Contrappunto e dramma in Verdi, Firenze, Leo S. Olschki, 2014, ISBN 978-88-222-6309-4.

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