Coordinate: 40°17′56.25″N 8°29′52.05″E

Bosa: differenze tra le versioni

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Il [[Temo|fiume Temo]] separa a monte le ampie [[trachite|formazioni trachitoidi]] inferiori di monte Navrino ({{M|532|-|m}}) dalle [[andesite|andesiti]] superiori più orientali di monte Pedru ({{M|409|-|m}}) e di monte Rughe ({{M|666|-|m}}). Sulla costa, molto frastagliata e lunga {{M|33|k|m}}, si distinguono i [[trachite|tufi trachitici]] a [[sud]] del promontorio di punta Argentina dalle più antiche [[andesite|andesiti]] inferiori di [[capo Marrargiu]], dove si aprono [[grotte]] naturali e miniere sfruttate fino ai primi del [[XX secolo|Novecento]].
Il [[Temo|fiume Temo]] separa a monte le ampie [[trachite|formazioni trachitoidi]] inferiori di monte Navrino ({{M|532|-|m}}) dalle [[andesite|andesiti]] superiori più orientali di monte Pedru ({{M|409|-|m}}) e di monte Rughe ({{M|666|-|m}}). Sulla costa, molto frastagliata e lunga {{M|33|k|m}}, si distinguono i [[trachite|tufi trachitici]] a [[sud]] del promontorio di punta Argentina dalle più antiche [[andesite|andesiti]] inferiori di [[capo Marrargiu]], dove si aprono [[grotte]] naturali e miniere sfruttate fino ai primi del [[XX secolo|Novecento]].


* [[Classificazione sismica]]: zona 4 (sismicità irrilevante), Ordinanza PCM n. 3274 del 20/03/2003<ref>{{cita web|url=http://www.protezionecivile.gov.it/resources/cms/documents/A3_class20150416_r.pdf|titolo=Mappa della classificazione sismica dal sito della Protezione Civile|accesso=08 gennaio 2016}}</ref>.
* [[Classificazione sismica]]: zona 4 (sismicità irrilevante), Ordinanza PCM n. 3274 del 20/03/2003<ref>{{cita web|url=http://www.protezionecivile.gov.it/resources/cms/documents/A3_class20150416_r.pdf|titolo=Mappa della classificazione sismica dal sito della Protezione Civile|accesso=8 gennaio 2016}}</ref>.


=== Clima ===
=== Clima ===
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|allineamento=destra
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|titolo=Leggende sulle origini della città
|titolo=Leggende sulle origini della città
|contenuto=Nella seicentesca ''Relación de la antigua ciudad de Calmedia y varias antigüedades del mundo'', opera anonima conservata nella Biblioteca universitaria di Cagliari, si narra che Calmedia, figlia o moglie del mitologico re [[Sardus Pater]] – il figlio di [[Eracle|Eracle libico]] – giunta nella vallata attraversata dal [[Temo]] e colpita dalla bellezza dei luoghi, abbia deciso di fermarsi e di fondare una città che da lei avrebbe preso nome, nella località attualmente conosciuta come Calameda. L'anonimo autore racconta delle rovine della città romana, paragonandola per grandezza all'antica Babilonia. Descrive le mura che la cingevano presso l'attuale monte Nieddu e ne menziona una delle porte nelle vicinanze della fonte di Su Anzu<ref>{{cita libro|autore=Raimondo Zucca|curatore=[[Attilio Mastino]]|anno=1993|titolo=Profilo storico di una città fluviale dell'antichità|opera=Archeologie e ambiente naturale: prospettive di cooperazione tra le autonomie locali nel sud dell'Europa|città=Nuoro|editore=[[Provincia di Nuoro]]|p=52|url=http://eprints.uniss.it/7028/1/Zucca_R_Profilo_storico_di_citta.pdf|sbn=IT\ICCU\CAG\0097639|accesso=11 gennaio 2016}}</ref>.
|contenuto=Nella seicentesca ''Relación de la antigua ciudad de Calmedia y varias antigüedades del mundo'', opera anonima conservata nella Biblioteca universitaria di Cagliari, si narra che Calmedia, figlia o moglie del mitologico re [[Sardus Pater]] – il figlio di [[Eracle|Eracle libico]] – giunta nella vallata attraversata dal [[Temo]] e colpita dalla bellezza dei luoghi, abbia deciso di fermarsi e di fondare una città che da lei avrebbe preso nome, nella località attualmente conosciuta come Calameda. L'anonimo autore racconta delle rovine della città romana, paragonandola per grandezza all'antica Babilonia. Descrive le mura che la cingevano presso l'attuale monte Nieddu e ne menziona una delle porte nelle vicinanze della fonte di Su Anzu<ref>{{cita libro|autore=Raimondo Zucca|curatore=[[Attilio Mastino]]|anno=1993|titolo=Profilo storico di una città fluviale dell'antichità|collana=Archeologie e ambiente naturale: prospettive di cooperazione tra le autonomie locali nel sud dell'Europa|città=Nuoro|editore=[[Provincia di Nuoro]]|p=52|url=http://eprints.uniss.it/7028/1/Zucca_R_Profilo_storico_di_citta.pdf|sbn=IT\ICCU\CAG\0097639|accesso=11 gennaio 2016}}</ref>.
}}
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Nulla di certo si conosce dello stanziamento fenicio-punico. I Fenici dovettero usare per l'approdo la foce del [[Temo|fiume Temo]] (allora all'altezza di Terridi), riparata dalle mareggiate dall'Isola Rossa, e dal [[maestrale]] dal colle di Sa Sea. Forse proprio lì, o secondo l'ipotesi maggiormente accettata nella vallata di Messerchimbe, più all'interno e sulla sponda sinistra del fiume, svilupparono un centro abitato. Qualche studioso (Antonietta Boninu, Marcello Madau), in base alla conformazione del luogo, sostiene che in età cartaginese il sito urbano fosse bensì all'altezza di Messerchimbe, ma sulla riva destra, mentre sull'altra sponda si sarebbero concentrate l'area sacra e la [[necropoli]]. In tal caso si potrebbe pensare a uno sdoppiamento e a una progressiva traslazione dell'abitato in età bizantina, con un nuovo agglomerato formatosi intorno alla cattedrale, sul sito della vecchia necropoli: nel caso di Bosa appunto a Messerchimbe, dove i dati archeologici testimoniano un centro altomedioevale, e dove sarebbe sorta in seguito la [[chiesa di San Pietro (Bosa)|chiesa di San Pietro]]. Attraversata dalla strada costiera occidentale, che superava il Temo a Pont'Ezzu, Bosa era collegata direttamente a sud con [[Cornus (Sardegna)|Cornus]] (presso il comune di [[Cuglieri]]) e a [[nord]] con Carbia (Nostra Signora di Calvia, località situata alla periferia sud di [[Alghero]]). Del porto di Terridi restano ancora tracce di [[bitta|bitte]] per l'attracco delle barche.
Nulla di certo si conosce dello stanziamento fenicio-punico. I Fenici dovettero usare per l'approdo la foce del [[Temo|fiume Temo]] (allora all'altezza di Terridi), riparata dalle mareggiate dall'Isola Rossa, e dal [[maestrale]] dal colle di Sa Sea. Forse proprio lì, o secondo l'ipotesi maggiormente accettata nella vallata di Messerchimbe, più all'interno e sulla sponda sinistra del fiume, svilupparono un centro abitato. Qualche studioso (Antonietta Boninu, Marcello Madau), in base alla conformazione del luogo, sostiene che in età cartaginese il sito urbano fosse bensì all'altezza di Messerchimbe, ma sulla riva destra, mentre sull'altra sponda si sarebbero concentrate l'area sacra e la [[necropoli]]. In tal caso si potrebbe pensare a uno sdoppiamento e a una progressiva traslazione dell'abitato in età bizantina, con un nuovo agglomerato formatosi intorno alla cattedrale, sul sito della vecchia necropoli: nel caso di Bosa appunto a Messerchimbe, dove i dati archeologici testimoniano un centro altomedioevale, e dove sarebbe sorta in seguito la [[chiesa di San Pietro (Bosa)|chiesa di San Pietro]]. Attraversata dalla strada costiera occidentale, che superava il Temo a Pont'Ezzu, Bosa era collegata direttamente a sud con [[Cornus (Sardegna)|Cornus]] (presso il comune di [[Cuglieri]]) e a [[nord]] con Carbia (Nostra Signora di Calvia, località situata alla periferia sud di [[Alghero]]). Del porto di Terridi restano ancora tracce di [[bitta|bitte]] per l'attracco delle barche.


In [[età romana]] la città, che in un primo tempo pare aver mantenuto l'ordinamento punico, con la magistratura dei [[suffeta|suffeti]], divenne, forse dalla prima [[impero romano|età imperiale]], un [[Municipio (storia romana)|municipio]] con un proprio ordine di [[decurione|decurioni]] e un [[quattuorviri|collegio di ''quattuorviri'']]. L'introduzione del culto imperiale è documentato da un'[[epigrafe]] in marmo che ricorda la dedica, fra il [[138]] e il [[141]], da parte di un magistrato o sacerdote locale, Quintus Rutilius, di quattro statuette in argento, raffiguranti [[Antonino Pio]], [[Faustina maggiore|Faustina]], [[Marco Aurelio]] e [[Lucio Vero]]<ref>{{cita libro|titolo=Inscriptiones Bruttiorum, Lucaniae, Campaniae, Siciliae, Sardiniae|opera=[[Corpus Inscriptionum Latinarum]]|autore=[[Theodor Mommsen]]|url=http://arachne.uni-koeln.de/Tei-Viewer/cgi-bin/teiviewer.php?scan=BOOK-1323147-0120_650859|editore=G. Reimerum|città=Berlino|data=1883|lingua=latino|volume=X|posizione=p. 825, framm. 7939|oclc=461790353|cid=Theodor Mommsen|accesso=8 gennaio 2016}}</ref>.
In [[età romana]] la città, che in un primo tempo pare aver mantenuto l'ordinamento punico, con la magistratura dei [[suffeta|suffeti]], divenne, forse dalla prima [[impero romano|età imperiale]], un [[Municipio (storia romana)|municipio]] con un proprio ordine di [[decurione|decurioni]] e un [[quattuorviri|collegio di ''quattuorviri'']]. L'introduzione del culto imperiale è documentato da un'[[epigrafe]] in marmo che ricorda la dedica, fra il [[138]] e il [[141]], da parte di un magistrato o sacerdote locale, Quintus Rutilius, di quattro statuette in argento, raffiguranti [[Antonino Pio]], [[Faustina maggiore|Faustina]], [[Marco Aurelio]] e [[Lucio Vero]]<ref>{{cita libro|titolo=Inscriptiones Bruttiorum, Lucaniae, Campaniae, Siciliae, Sardiniae|collana=[[Corpus Inscriptionum Latinarum]]|autore=[[Theodor Mommsen]]|url=http://arachne.uni-koeln.de/Tei-Viewer/cgi-bin/teiviewer.php?scan=BOOK-1323147-0120_650859|editore=G. Reimerum|città=Berlino|data=1883|lingua=latino|volume=X|posizione=p. 825, framm. 7939|oclc=461790353|cid=Theodor Mommsen|accesso=8 gennaio 2016}}</ref>.
All'[[età antonina|età degli Antonini]] risale anche la promozione di un anonimo [[flamine]] municipale bosano al massimo [[sacerdozio (religione romana)|sacerdozio]] provinciale della Sardegna<ref>{{cita|Theodor Mommsen|p. 825, framm. 7940.}}</ref>.
All'[[età antonina|età degli Antonini]] risale anche la promozione di un anonimo [[flamine]] municipale bosano al massimo [[sacerdozio (religione romana)|sacerdozio]] provinciale della Sardegna<ref>{{cita|Theodor Mommsen|p. 825, framm. 7940.}}</ref>.


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: '''Chiesa di ''Nostra Signora de sos Regnos Altos''': {{vedi anche|Chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos}} [[File:Scuola del maestro di soriguerola, affreschi di n.s. de regnos altos, 1300-50 ca., 05 santi.JPG|thumb|''Nostra Signora de Sos Regnos Altos'', affresco con rappresentazione dei santi.]]
: '''Chiesa di ''Nostra Signora de sos Regnos Altos''': {{vedi anche|Chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos}} [[File:Scuola del maestro di soriguerola, affreschi di n.s. de regnos altos, 1300-50 ca., 05 santi.JPG|thumb|''Nostra Signora de Sos Regnos Altos'', affresco con rappresentazione dei santi.]]
: La [[chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos]] fu edificata nel [[XIV secolo]] quale cappella palatina del [[Castello di Serravalle (Bosa)|castello di Serravalle]] e così denominata - in sostituzione delle precedenti intitolazioni a [[san Giovanni]], prima, e a [[Andrea apostolo|sant'Andrea]], poi - in seguito al rinvenimento, nel [[1847]], tra le rovine del castello, di un simulacro ligneo raffigurante la Madonna<ref>{{cita libro|titolo=Bosa medievale, Il castello e la chiesa palatina|autore=Fernanda Poli|url=http://www.scribd.com/mobile/doc/242344329/Bosa-medievale-Il-castello-e-Fernanda-Poli-pdf|p=43|editore=Dhuoda Edizioni|città=Sassari|anno=2014|ISBN=9788898984008|cid=Fernanda Poli|accesso=7 gennaio 2016}}</ref>. L'interno è costituito da un unico ambiente, più volte rimaneggiato (particolarmente nell'area del presbiterio), a pianta rettangolare, con copertura lignea a [[capriata|capriate]] e [[abside]] semicircolare. Durante i restauri del [[1974]] vennero alla luce alcuni [[affresco|affreschi]] nelle pareti laterali e nella [[controfacciata]], danneggiati in seguito a una precedente riedificazione dell'abside, originariamente facenti parte di un ciclo realizzato, secondo gli studiosi, tra il [[XIV secolo|XIV]] e il [[XV secolo]] e di attribuzione, italica o iberica, controversa<ref>{{cita pubblicazione|titolo=Bosa in età giudicale: gli affreschi del castello si Serravalle|autore=Attilio Mastino|wkautore=Attilio Mastino|rivista=Castelli e vita di castello: testimonianze storiche e progetti ambientali: atti del 4° Congresso internazionale, 24-27 ottobre 1985, Napoli-Salerno|editore=Istituto Italiano dei castelli|città=Roma|anno=1994|pp=381-383|url=http://eprints.uniss.it/7119/1/Mastino_A_Bosa_in_eta_giudicale.pdf|accesso=30 dicembre 2015}}</ref>. Le scene affrescate comprendono raffigurazioni di scene evangeliche – come l'<nowiki/>''[[Epifania|Adorazione dei Magi]]'' e l<nowiki/>'<nowiki/>''[[Ultima Cena]]'', nella parete sinistra –, rappresentazioni della Madonna e di diversi santi (l'<nowiki/>''[[Annunciazione]]'', il ''[[Martirio di san Lorenzo]]'' e ''[[San Giorgio e il drago]]'', nella controfacciata), nonché l'unica rappresentazione in Sardegna dell'<nowiki/>''[[Incontro dei tre vivi e dei tre morti]]'', nella parete destra.
: La [[chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos]] fu edificata nel [[XIV secolo]] quale cappella palatina del [[Castello di Serravalle (Bosa)|castello di Serravalle]] e così denominata - in sostituzione delle precedenti intitolazioni a [[san Giovanni]], prima, e a [[Andrea apostolo|sant'Andrea]], poi - in seguito al rinvenimento, nel [[1847]], tra le rovine del castello, di un simulacro ligneo raffigurante la Madonna<ref>{{cita libro|titolo=Bosa medievale, Il castello e la chiesa palatina|autore=Fernanda Poli|url=http://www.scribd.com/mobile/doc/242344329/Bosa-medievale-Il-castello-e-Fernanda-Poli-pdf|p=43|editore=Dhuoda Edizioni|città=Sassari|anno=2014|ISBN=978-88-98984-00-8|cid=Fernanda Poli|accesso=7 gennaio 2016}}</ref>. L'interno è costituito da un unico ambiente, più volte rimaneggiato (particolarmente nell'area del presbiterio), a pianta rettangolare, con copertura lignea a [[capriata|capriate]] e [[abside]] semicircolare. Durante i restauri del [[1974]] vennero alla luce alcuni [[affresco|affreschi]] nelle pareti laterali e nella [[controfacciata]], danneggiati in seguito a una precedente riedificazione dell'abside, originariamente facenti parte di un ciclo realizzato, secondo gli studiosi, tra il [[XIV secolo|XIV]] e il [[XV secolo]] e di attribuzione, italica o iberica, controversa<ref>{{cita pubblicazione|titolo=Bosa in età giudicale: gli affreschi del castello si Serravalle|autore=Attilio Mastino|wkautore=Attilio Mastino|rivista=Castelli e vita di castello: testimonianze storiche e progetti ambientali: atti del 4° Congresso internazionale, 24-27 ottobre 1985, Napoli-Salerno|editore=Istituto Italiano dei castelli|città=Roma|anno=1994|pp=381-383|url=http://eprints.uniss.it/7119/1/Mastino_A_Bosa_in_eta_giudicale.pdf|accesso=30 dicembre 2015}}</ref>. Le scene affrescate comprendono raffigurazioni di scene evangeliche – come l'<nowiki/>''[[Epifania|Adorazione dei Magi]]'' e l<nowiki/>'<nowiki/>''[[Ultima Cena]]'', nella parete sinistra –, rappresentazioni della Madonna e di diversi santi (l'<nowiki/>''[[Annunciazione]]'', il ''[[Martirio di san Lorenzo]]'' e ''[[San Giorgio e il drago]]'', nella controfacciata), nonché l'unica rappresentazione in Sardegna dell'<nowiki/>''[[Incontro dei tre vivi e dei tre morti]]'', nella parete destra.


; Chiese gotico-catalane:
; Chiese gotico-catalane:
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==== Scuole ====
==== Scuole ====
La città ha una tradizione plurisecolare in materia di istruzione, essendo stata sede di un antico collegio reale e del seminario vescovile, nonché, successivamente, di quello che fu uno dei più primi regi ginnasi della [[Sardegna]], istituito nel [[1859]] e funzionante sotto la direzione del canonico Gavino Nino.
La città ha una tradizione plurisecolare in materia di istruzione, essendo stata sede di un antico collegio reale e del seminario vescovile, nonché, successivamente, di quello che fu uno dei più primi regi ginnasi della [[Sardegna]], istituito nel [[1859]] e funzionante sotto la direzione del canonico Gavino Nino.
Attualmente gli istituti scolastici siti a Bosa sono centri di riferimento per l'area della [[Planargia]] e del [[Montiferru]]. Sono attive varie scuole materne, una scuola elementare, una scuola media suddivisa in due distinti caseggiati, un Istituto comprensivo di Istruzione superiore comprendente gli indirizzi classico, scientifico, periti aziendali e corrispondenti lingue estere. Si annovera, inoltre, un Istituto professionale con indirizzi agrario e alberghiero. Corsi di formazione professionale sono tenuti nei locali della ''ex'' Scuola magistrale ''Sedes Sapientiae'' dei [[Salesiani]]<ref>{{cita libro|url=http://eprints.uniss.it/10116/1/Mastino_A_Bosa_Dizionario_storico_geografico.pdf|autore=[[Attilio Mastino]]|p=229|anno=2006|titolo=Bosa|opera=Dizionario storico-geografico dei Comuni della Sardegna|volume= I (A-D)|editore=Carlo Delfino editore|ISBN=88-7138-430-X|accesso=15 gennaio 2016}}</ref>.
Attualmente gli istituti scolastici siti a Bosa sono centri di riferimento per l'area della [[Planargia]] e del [[Montiferru]]. Sono attive varie scuole materne, una scuola elementare, una scuola media suddivisa in due distinti caseggiati, un Istituto comprensivo di Istruzione superiore comprendente gli indirizzi classico, scientifico, periti aziendali e corrispondenti lingue estere. Si annovera, inoltre, un Istituto professionale con indirizzi agrario e alberghiero. Corsi di formazione professionale sono tenuti nei locali della ''ex'' Scuola magistrale ''Sedes Sapientiae'' dei [[Salesiani]]<ref>{{cita libro|url=http://eprints.uniss.it/10116/1/Mastino_A_Bosa_Dizionario_storico_geografico.pdf|autore=[[Attilio Mastino]]|p=229|anno=2006|titolo=Bosa|collana=Dizionario storico-geografico dei Comuni della Sardegna|volume= I (A-D)|editore=Carlo Delfino editore|ISBN=88-7138-430-X|accesso=15 gennaio 2016}}</ref>.


==== Musei ====
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Versione delle 12:26, 29 mag 2016

Disambiguazione – Se stai cercando la località del distretto di Bogotá in Colombia, vedi Bosa (Bogotá).
Bosa
comune
(IT) (SC) Bosa
Bosa – Veduta
Bosa – Veduta
Dall'alto, in senso orario: il tetti del rione di Sa Costa con le concerie sullo sfondo; il panorama del Lungo Temo e del castello di Serravalle; la torre dell'Isola Rossa, a Bosa Marina; uno scorcio del corso Vittorio Emanuele II con l'orologio della chiesa del Rosario, sulla sinistra, e la cupola della cattedrale sullo sfondo.
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Sardegna
Provincia Oristano
Amministrazione
SindacoLuigi Mastino (lista civica "Bosa - Cominciamo il domani") dal 25-05-2014
Territorio
Coordinate40°17′56.25″N 8°29′52.05″E
Altitudine2[1] m s.l.m.
Superficie128,02[2] km²
Abitanti7 937[3] (31-07-2015)
Densità62 ab./km²
FrazioniBosa Marina
Comuni confinantiMagomadas, Modolo, Montresta, Padria (SS), Pozzomaggiore (SS), Suni, Villanova Monteleone (SS)
Altre informazioni
Cod. postale09089
Prefisso0785
Fuso orarioUTC+1
Codice ISTAT095079
Cod. catastaleB068
TargaOR
Cl. sismicazona 4 (sismicità molto bassa)[4]
Cl. climaticazona B, 744 GG[5]
Nome abitanti(IT) bosani
(SC) bosincos o, contratto, 'osincos
Patronosanti Emilio e Priamo
Giorno festivo28 maggio
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Bosa
Bosa
Bosa – Mappa
Bosa – Mappa
Posizione del comune di Bosa all'interno della provincia di Oristano
Sito istituzionale

Bosa (IPA: [ˈbɔːza][6], in sardo Bosa o, contratto, 'Osa, pronuncia [ˈɔːza]) è un comune italiano di 7 937[3] abitanti della provincia di Oristano[7], nella costa occidentale del centro-nord della Sardegna. Fa parte dell'Unione di Comuni della Planargia e del Montiferru Occidentale. È il principale centro abitato della subregione della Planargia e si inserisce, storicamente, nel più vasto territorio del Logudoro, condividendo con quest'ultimo l'utilizzo della variante linguistica del sardo logudorese. Durante il dominio aragonese, ottenne il rango di città regia del quale attualmente permane, con l'abolizione dei privilegi feudali, il titolo onorifico di città. Insieme ad Alghero è sede vescovile della diocesi di Alghero-Bosa.

Geografia fisica

Il territorio comunale di Bosa, dalla superficie di Errore in {{M}}: parametro 1 non è un numero valido., si trova in una regione collinare-litoranea con altitudine media di Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. s.l.m., nel contesto geografico dell'altopiano della Planargia, chiuso a sud dalla catena del Montiferru, a est dal Marghine e dalla Campeda, a ovest dal mar di Sardegna e a nord dalla dorsale dei rilievi di Sa Pittada (Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. s.l.m.) e di monte Mannu (la vetta più elevata del territorio con i suoi Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. s.l.m.). È attraversato dal corso del Temo, l'unico fiume navigabile della Sardegna (per circa Errore in {{M}}: parametro 2 non è un numero valido.), nella cui piana alluvionale si trova adagiato il centro abitato, il quale, da un nucleo medievale posizionato sulle pendici del colle di Serravalle (Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. s.l.m.), si è esteso a partire dall'Ottocento verso valle e, dal Novecento, sino alla foce e in direzione della costa, ove si è sviluppata una stazione balneare, Bosa Marina.

Territorio

Dal punto di vista geologico, il territorio di Bosa è alquanto eterogeneo e tormentato, caratterizzato da rocce vulcaniche risalenti al periodo oligo-miocenico, principalmente rioliti, riodaciti e daciti con alcuni affioramenti di rocce basaltiche. Il fiume Temo separa a monte le ampie formazioni trachitoidi inferiori di monte Navrino (Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido.) dalle andesiti superiori più orientali di monte Pedru (Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido.) e di monte Rughe (Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido.). Sulla costa, molto frastagliata e lunga Errore in {{M}}: parametro 2 non è un numero valido., si distinguono i tufi trachitici a sud del promontorio di punta Argentina dalle più antiche andesiti inferiori di capo Marrargiu, dove si aprono grotte naturali e miniere sfruttate fino ai primi del Novecento.

Clima

Il clima di Bosa è classificato come mediterraneo, con inverni miti e umidi ed estati calde e secche. In base alle medie climatiche degli anni 1971-2000, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, è di Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido., mentre quella del mese più caldo, agosto, è di Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido.; mediamente si contano 5 giorni di gelo all'anno e 40 giorni annui con temperatura massima uguale o superiore ai Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido.. Nel periodo esaminato, i valori estremi di temperatura sono i Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. del mese di luglio del 1983 e i Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. del mese di gennaio del 1981.

Le precipitazioni medie annue si attestano a Errore in {{M}}: parametro 2 non è un numero valido., mediamente distribuite in 65 giorni, presentando una distribuzione stagionale fortemente irregolare[9], con un elevato indice di intensità a partire dalla fine di autunno e l'inizio dell'inverno, specialmente tra novembre e dicembre. Dopo una breve diminuzione, i fenomeni piovaschi riprendono tra la fine di gennaio e l'inizio della primavera. Nel mese di maggio, poi, le precipitazioni subiscono un'inflessione che ha il suo culmine durante i mesi estivi e si protrae, spesso, fino a settembre.

A Bosa, alle condizioni di maltempo, durante l'inverno e la primavera, si associano sovente i venti del IV quadrante, provenienti da nord-ovest e da sud-ovest, e – in particolare – il maestrale, che può raggiungere la velocità di Errore in {{M}}: parametro 1 non è un numero valido.[10].

L'umidità relativa media annua fa registrare il valore di 75,3% con un minimo di 69% a luglio e un massimo di 80% a dicembre; mediamente si contano 44 giorni all'anno con episodi nebbiosi.

Di seguito è riportata la tabella con le medie climatiche e i valori massimi e minimi assoluti registrati dalla stazione meteorologica di Alghero Fertilia negli anni 1971-2000 e pubblicati nell'Atlante Climatico d'Italia del Servizio meteorologico dell'Aeronautica Militare[11]:

ALGHERO FERTILIA
(1971-2000)
Mesi Stagioni Anno
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic InvPriEst Aut
T. max. media (°C) 13,814,015,517,622,026,029,429,826,622,317,614,714,218,428,422,220,8
T. min. media (°C) 5,85,76,58,311,515,017,418,015,812,89,16,86,18,816,812,611,1
T. max. assoluta (°C) 20,6
(1997)
23,0
(1979)
26,0
(1974)
28,2
(1999)
33,0
(1981)
37,1
(1998)
41,8
(1983)
39,8
(1999)
35,6
(1975)
32,0
(1991)
26,2
(1984)
21,4
(1989)
23,033,041,835,641,8
T. min. assoluta (°C) −4,8
(1981)
−3,0
(1993)
−2,8
(1993)
−2,4
(1995)
4,4
(1991)
8,0
(1986)
10,3
(1981)
10,2
(1985)
9,5
(1996)
5,4
(1983)
−1,1
(1995)
−3,0
(1991)
−4,8−2,88,0−1,1−4,8
Giorni di calura (Tmax ≥ 30 °C) 000005141650000035540
Giorni di gelo (Tmin ≤ 0 °C) 21100000000141005
Precipitazioni (mm) 71,756,261,849,227,217,05,324,738,180,178,963,2191,1138,247,0197,1573,4
Giorni di pioggia 887742124787231851965
Giorni di nebbia 544352342444131291044
Umidità relativa media (%) 7978777674726971737679807975,770,77675,3

Fauna

Nella costa fra Bosa e Alghero, in un contesto tutelato con vincolo paesaggistico[13] e riconosciuto quale sito di interesse comunitario[14], è presente l'unica colonia sarda di grifoni (gyps fulvus), specie protetta[15][16] e sottoposta a programmi di ripopolamento a causa del rischio di estinzione. Nel 2015 si contavano, nel territorio, fra le trentacinque e le trentasei coppie riproduttive[17].

Tra le numerose specie viventi presenti nel mare di Bosa ve ne sono alcune meritevoli di catalogazione tra le specie poco diffuse nel mar Mediterraneo. L'anemone gioiello (corynactis virydis), di colore lilla, colonizza la sommità della secca di Su Puntillone, Errore in {{M}}: parametro 2 non è un numero valido. a sud di Bosa Marina. È una specie endemica dell'oceano Atlantico.

Storia

Preistoria

Il territorio del comune di Bosa fu abitato già in epoca preistorica e protostorica come dimostrano le grotticelle funerarie mono o bicellulari individuate – in un numero pari ad almeno trentasei – in varie località (Badde Orca, Capitta, Coroneddu, Funtana Lacos, Ispiluncas, Monte Furru, Pala 'e Cane, Pontes, Sorighes, Silattari, Tentizzos, Torre Argentina e Tuccaravo). Il rilevante numero di domus de janas e la loro superficie, che giunge sino a Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido., testimoniano una frequentazione umana piuttosto aggregata ascrivibile all'Età del Rame (per le tombe dotate di dromos) o alla cultura di Ozieri e al Neolitico recente[22].

Di particolare rilievo si presenta la Tomba I di Pontes la quale presentava delle pareti interne levigate e dipinte di rosso, simbolo del sangue e della rigenerazione, sulle quali era incisa una raffigurazione di doppie corna, a testimonianza del culto della divinità taurina. Si sono rinvenuti, inoltre, i resti di focolari rituali (Tuccaravo) e coppelle a destinazione sacrale scavate nel pavimento di alcuni ipogei (Coroneddu e Funtana Lacos I), mentre in altre tombe si sono riscontrate delle nicchie per le offerte funerarie[23].

Poco numerose sono, invece, le testimonianze riconducibili all'Età del Bronzo e alla civiltà nuragica. A tale periodo risalgono i due nuraghi complessi siti nelle località di Monte Furru e di S'Abba Druche – ove sono stati individuati anche i resti di una tomba dei giganti[24] – e quelli dalla struttura semplice di Rocca Pischinale e di Santu Lò[25].

Storia antica fenicio-punica (IX-III secolo a.C.) e romana (238 a.C.-456)

Nulla di certo si conosce dello stanziamento fenicio-punico. I Fenici dovettero usare per l'approdo la foce del fiume Temo (allora all'altezza di Terridi), riparata dalle mareggiate dall'Isola Rossa, e dal maestrale dal colle di Sa Sea. Forse proprio lì, o secondo l'ipotesi maggiormente accettata nella vallata di Messerchimbe, più all'interno e sulla sponda sinistra del fiume, svilupparono un centro abitato. Qualche studioso (Antonietta Boninu, Marcello Madau), in base alla conformazione del luogo, sostiene che in età cartaginese il sito urbano fosse bensì all'altezza di Messerchimbe, ma sulla riva destra, mentre sull'altra sponda si sarebbero concentrate l'area sacra e la necropoli. In tal caso si potrebbe pensare a uno sdoppiamento e a una progressiva traslazione dell'abitato in età bizantina, con un nuovo agglomerato formatosi intorno alla cattedrale, sul sito della vecchia necropoli: nel caso di Bosa appunto a Messerchimbe, dove i dati archeologici testimoniano un centro altomedioevale, e dove sarebbe sorta in seguito la chiesa di San Pietro. Attraversata dalla strada costiera occidentale, che superava il Temo a Pont'Ezzu, Bosa era collegata direttamente a sud con Cornus (presso il comune di Cuglieri) e a nord con Carbia (Nostra Signora di Calvia, località situata alla periferia sud di Alghero). Del porto di Terridi restano ancora tracce di bitte per l'attracco delle barche.

In età romana la città, che in un primo tempo pare aver mantenuto l'ordinamento punico, con la magistratura dei suffeti, divenne, forse dalla prima età imperiale, un municipio con un proprio ordine di decurioni e un collegio di quattuorviri. L'introduzione del culto imperiale è documentato da un'epigrafe in marmo che ricorda la dedica, fra il 138 e il 141, da parte di un magistrato o sacerdote locale, Quintus Rutilius, di quattro statuette in argento, raffiguranti Antonino Pio, Faustina, Marco Aurelio e Lucio Vero[27]. All'età degli Antonini risale anche la promozione di un anonimo flamine municipale bosano al massimo sacerdozio provinciale della Sardegna[28].

Medioevo vandalo (456-534), bizantino (534-851) e giudicale (851-1259)

Abside della chiesa di San Pietro.

In età bizantina, come si è detto, l'abitato era posto – forse – sulla riva sinistra del Temo, presso il sito della chiesa di San Pietro. La città subì per tutto il Medioevo le scorrerie degli Arabi. Tuttavia non perse la sua importanza: fu capoluogo della Curatoria di Planargia, nel Giudicato di Logudoro e sede vescovile. In un periodo compreso tra il sesto decennio dell'XI secolo e il 1073 si provvide alla costruzione della chiesa cattedrale dedicata a San Pietro. Le date vengono fornite da due documenti epigrafici presenti nella chiesa: il primo è rappresentato da un'iscrizione incisa sul concio di una lesena absidale che, secondo una recente rilettura operata dallo studioso Giuseppe Piras, attesta l'atto di consacrazione e posa della prima pietra dell'edificio romanico celebrato dal vescovo Costantino de Castra (in passato il titulus veniva erroneamente riferito all'attività di un presunto architetto di nome Sisinius Etra); il secondo è costituito da un'epigrafe, collocata nella navata centrale, che ricorda l'anno di ultimazione dei lavori promossi dal vescovo, il 1073 appunto. La decisione di Costantino de Castra (primo vescovo di Bosa di cui si abbia notizia) di intitolare a San Pietro la cattedrale bosana può essere forse intesa come segno di schieramento dalla parte del pontefice romano dopo lo scisma ortodosso del 1054: infatti Costantino de Castra, come sappiamo da una lettera del 1073 del Papa Gregorio VII, fu impegnato personalmente nella propaganda cattolica presso i Giudici della Sardegna e nello stesso anno ricevette da papa Gregorio VII la nomina ad arcivescovo di Torres. Con l'edificazione del castello dei Malaspina sul colle di Serravalle tra il 1112[29] e il 1121[30] o, secondo i più recenti studi, nella seconda metà del XIII secolo[31], si pensa che la popolazione abbia cominciato gradualmente a trasferirsi nella riva destra del fiume, sulle pendici dell'altura fortificata che garantiva una maggior protezione contro le incursioni arabe, finché nella zona di Calameda non restò che la cattedrale di San Pietro.

Medioevo malaspiniano (1259-1308) e arborense-aragonese (1308-1409)

Maschio del Castello di Serravalle.

Nel 1297 il Papa Bonifacio VIII istituì il Regno di Sardegna e Corsica, che concesse al re Giacomo II di Aragona. I Malaspina, temendo l'invasione aragonese, potenziarono il castello con una torre maestra che ricorda quelle cagliaritane dell'Elefante e di San Pancrazio (1305 e 1307), costruite da Giovanni Capula, il quale aveva forse edificato anche quella bosana[32]. Tuttavia, il 2 novembre 1308, Moruello, Corrado e Franceschino Malaspina cedettero il castello di Bosa a Giacomo II. Negli anni successivi la famiglia lunense dovette nondimeno mantenere i propri diritti sul castello, se una cronaca sarda del Quattrocento sostiene che nel 1317 essa lo cedette al Giudicato di Arborea. Ad ogni modo, a seguito dell'alleanza tra l'Arborea e l'Aragona, Pietro Ortis prese possesso del castello di Bosa per conto dell'infante Alfonso d'Aragona, col consenso degli Arborensi. I Malaspina uscirono però definitivamente dalla storia bosana solo quando l'11 giugno 1326 Azzo e Giovanni delegarono il fratello Federico nelle trattative col re d'Aragona per la cessione di Bosa e della Curatoria di Planargia. Passarono solo due anni, e il 1º maggio 1328 Alfonso il Benigno, re d'Aragona, concesse in feudo il castello al giudice arborense Ugone II di Arborea: la città e il suo territorio entrarono allora a far parte delle terre extra iudicatum dell'Arborea. Il figlio di Ugone, Mariano IV, ruppe però l'alleanza con gli Aragonesi, e nel suo tentativo di unificare la Sardegna sotto di sé fece imprigionare, nel dicembre del 1349, il fratello Giovanni, Signore di Bosa dal 1335, e fedele alla vecchia alleanza. Il castello di Bosa era una roccaforte di grande importanza strategica per il controllo della Sardegna, e tanto Mariano quanto Pietro IV il Cerimonioso, desiderosi di impossessarsene, cercarono di farselo cedere dalla moglie di Giovanni, la catalana Sibilla di Moncada; ma ella tirò per le lunghe le trattative, finché il 20 giugno 1352 Mariano lo prese con la forza. Bosa fu quindi sotto il controllo dei giudici d'Arborea Ugone III (1376-1383), ed Eleonora (1383-1404), che ne fecero la loro roccaforte nella guerra contro gli Aragonesi; alle trattative di pace tra Eleonora e Giovanni I d'Aragona, il 24 gennaio 1388, la città inviò il proprio podestà con centouno rappresentanti che firmarono gli atti, separatamente dal castellano e dai funzionari e rappresentanti feudali. L'esistenza a quel tempo di un'organizzazione comunale, oltre che da questo fatto, è dimostrata dai quattro capitoli degli statuti di Bosa citati in un atto notarile seicentesco. La città era dunque divisa tra la parte di pertinenza del castello, e quindi soggetta al feudatario (che si suole oggi identificare, pur senza vere prove, col quartiere di Sa Costa, privo di chiese perché avrebbe fatto capo a quella del castello), e il libero comune (identificato oggi col quartiere di Sa Piatta), retto dagli statuti.

Periodo aragonese-feudale (1409-1559)

La guerra però riprese, e quando gli Aragonesi il 30 giugno 1409 sconfissero il nuovo Giudice Guglielmo III di Narbona a Sanluri, il Giudicato d'Arborea, ultimo dei regni sardi indipendenti, cessò di esistere, e l'anno successivo Bosa passò definitivamente sotto il controllo della Corona d'Aragona. Poco dopo la conquista aragonese, il 15 giugno 1413, Bosa e la Planargia furono unite al patrimonio regio, e la città, riconosciuti privilegi e consuetudini, fu organizzata come un comune catalano. L'organo cittadino era il consiglio generale, col potere di deliberare, dal quale erano scelti i cinque consiglieri, uno per ogni classe di censo, che formavano l'organo esecutivo; il primo consigliere rivestiva la funzione di sindaco, e rappresentava la città. D'altra parte il castello era tenuto da un capitano o castellano, di nomina regia, che curava la difesa; il re nominava anche il doganiere o maggiore del porto, il mostazzaffo (ufficiale incaricato di sorvegliare il commercio), e il podestà, che amministrava la giustizia e controllava per conto della corona l'operato dei consiglieri. Alle dipendenze del consiglio era poi l'ufficiale che governava la Planargia. In teoria tutte le cariche dovevano essere ricoperte da Sardi nativi o residenti a Bosa o nella Planargia; ma sebbene questo diritto fosse stato ribadito più volte, di fatto venne spesso calpestato. Tra la città e il castello la convivenza non fu pacifica, e al parlamento sardo del 1421 i sindaci Nicolò de Balbo e Giacomo de Milia ottennero dal re la destituzione del castellano Pietro di San Giovanni. Sotto il regno di Giovanni II d'Aragona a Bosa funzionò anche una zecca, che emetteva monete di mistura del valore di un minuto, destinate a una circolazione locale. Qualcuna di esse si conserva tuttora.

Il 23 settembre 1468 il castellano di Bosa, Giovanni di Villamarí, capitano generale della flotta reale, ottenne in feudo perpetuo (secundum morem Italiae) la città, il castello e la Planargia di Bosa (con le ville di Suni, Sagama, Tresnuraghes, Sindia, Magomadas, Tinnura e Modolo), di cui divenne barone. Il Villamarí tuttavia prestò omaggio alla città e ne mantenne sostanzialmente le istituzioni. In questi tempi Bosa si trovò ad avere il singolare privilegio di partecipare a tutti i tre stamenti del parlamento sardo, attraverso il feudatario (braccio militare), il vescovo (braccio ecclesiastico) e i delegati dei cittadini (braccio reale). Nel 1478 il castello di Serravalle vide la fine delle ultime speranze di indipendenza dei sardi, quando il marchese di Oristano, Leonardo de Alagón, vinto a Macomer, trovò in città l'ultimo rifugio, prima di essere catturato da una nave spagnola, mentre fuggiva per mare verso Genova. Ereditata da Bernardo di Villamarí il 24 dicembre 1479 alla morte del padre, Bosa ottenne sempre maggiori privilegi commerciali, spesso ai danni della vicina e rivale Alghero, che ne fecero una città prospera. Il 30 settembre 1499 una prammatica di Ferdinando il Cattolico la inserì tra le città reali, concedendole i privilegii connessi a tale titolo; essa restò tuttavia infeudata ai Villamarí, di cui anzi il 18 luglio 1502 divenne possedimento allodiale. La fioritura continuò anche sotto la figlia di Bernardo, Isabella, che la resse tra il 1515-1518 e il 1559, facendole guadagnare terreno nei mercati dell'isola anche su Oristano. Ma proprio allora l'economia bosana doveva subire un duro colpo.

Nel 1527, durante la guerra tra la Francia di Francesco I e l'Impero di Carlo V, mentre i lanzichenecchi saccheggiavano Roma, i francesi contesero alla corona di Spagna il possesso della Sardegna. Entrati a Sassari alla fine di dicembre, la saccheggiarono, incutendo terrore nelle altre città sarde. I bosani, per impedire un assalto della flotta francese comandata da Andrea Doria, reagirono l'anno successivo ostruendo con dei massi la foce del Temo, forse a S'Istagnone, determinando però in questo modo il rapido decadimento del porto, e l'inizio di un lungo periodo di straripamenti del Temo che resero l'ambiente malsano. Da allora le imbarcazioni presero ad attraccare all'Isola Rossa.

Evo moderno spagnolo (1559-1714)

Morta senza eredi Isabella Villamarina, il re Filippo II di Spagna sequestrò il territorio riunendolo al patrimonio regio. Da allora Bosa divenne a tutti gli effetti una città regia, cessando di essere sotto un'autorità feudale. Nel 1565, per ordine del re, e su richiesta dello stamento militare, vennero tradotti in lingua catalana gli Statuti di Bosa, originariamente in lingua sarda e, in altre versioni, in italiano.

Nel XVI secolo, nell'ambito del progetto di fortificazione delle coste sarde, fu costruita la torre dell'Isola Rossa, già citata dal Fara nella sua De chorographia Sardiniae. Dal 1583 l'amministrazione di essa fu demandata ad un alcaide, che vi risiedeva insieme alla sua guarnigione composta da un artigliere e quattro soldati.

Il 1591 fu per la cultura bosana un anno straordinario. In quell'anno infatti fu consacrato vescovo Giovanni Francesco Fara, il padre della storiografia sarda. Egli diresse la chiesa bosana soltanto per sei mesi, durante i quali visitò tutte le parrocchie; ma subito convocò il sinodo diocesano (10-12 giugno 1591), e con le sue costituzioni riorganizzò la diocesi secondo i canoni tridentini. Con tutta probabilità si deve a lui la costituzione dell'archivio diocesano e l'avvio della redazione dei cinque libri, il cui documento più antico conservato oggi è del 1594. All'interessamento del Fara dovette probabilmente la libertà e la possibilità di uscire di prigione il poeta bosano Pietro Delitala, uno tra i primi autori sardi ad usare nella sua opera la lingua italiana. Dal carcere indirizzò alcuni sonetti di supplica al vescovo, e da altre liriche si evince che nel 1590 era tornato in libertà. Trascorse i suoi ultimi anni a Bosa, dove prese moglie ed ebbe cinque figli, fu podestà della città e Cavaliere nello Stamento Militare del Parlamento del Regno di Sardegna.

Vue de la Ville de Boze a L'ouest de l'Isle de Sardaigne entre le Cap de la casse et le gonfe de L'Oristan, tempera di anonimo del XVII secolo.

A Bosa operava già dal 1569 come canonico della cattedrale anche Gerolamo Araolla, il maggiore poeta in lingua sarda dell'età spagnola, che vi compose le sue opere (Sa vida, su martiriu et morte de sos gloriosos martires Gavinu, Brothu et Gianuariu, e Rimas diversas spirituales), e fu forse anche alcaide del castello di Serravalle nella prima decade del Seicento. Il periodo postridentino vide anche l'arrivo a Bosa dei Cappuccini, che vi edificarono il loro convento (1609); e la fondazione delle confraternite della Santa Croce e del Rosario, e dei gremii dei sarti e calzolai e dei fabbri. Il nuovo secolo fu però un periodo di grande decadenza, come per tutti i dominii spagnoli, anche per Bosa. Apertosi con la grave inondazione del 1606, funestato dalla peste (1652-1656), da un violento incendio (1663), dalla grande carestia del 1680, dalle continue incursioni ottomane e dalla forte recessione economica, vide precipitare la popolazione dai circa 9 000 abitanti del 1609 ai 4 372 del 1627, ridotti ancora a 2 023 nel 1688. Non dovette giovare molto la concessione dello statuto di porto franco da parte del re Filippo IV, nel 1626. Poco dopo, nel 1629, con la concessione della Planargia in feudo a don Antonio Brondo, Bosa perdeva anche i contributi in grano dell'entroterra. Tuttavia verso la fine del secolo, in seguito a vari passaggi di mano del feudo che, poverissimo e spopolato, era caduto nel disinteresse dei suoi signori, la città ne riprese di fatto il controllo.

Periodo austriaco (1714-1718) e sardo-piemontese (1718-1861)

Passata con l'intera Sardegna agli Asburgo d'Austria nel 1714, quindi ai Savoia tra il 1718 e il 1720, la città riacquistò via via una certa importanza: già nel 1721 le barche coralline napoletane furono autorizzate a far quarantena anche nel porto di Bosa, e di conseguenza fu inaugurato un lazzaretto a Santa Giusta. La popolazione era andata in quegli anni progressivamente aumentando, tanto che dai 3 335 abitanti del 1698, si era giunti nel 1728 a 3 885, e nel 1751 a 4 609. Nel 1750 Carlo Emanuele III autorizzò un gruppo di coloni provenienti dalla Morea a insediarsi su una parte del territorio di Bosa: fu così fondato il paese di San Cristoforo, in seguito chiamato Montresta. Gli immigrati, però, furono insediati in territori fino ad allora usati dai pastori bosani: non ebbero perciò vita facile, e furono oggetto dell'aperta ostilità della città, spesso sfociata in fatti di sangue, cosicché un secolo dopo, secondo l'Angius, delle famiglie greche restavano due soli membri. Interessante per questo periodo è la relazione nel 1770 della visita che il Viceré Vittorio Ludovico des Hayes, conte d'Hallot, compì anche a Bosa: venne segnalato lo stato d'abbandono degli uffici e in particolare degli archivi. Il 4 maggio 1807 Bosa divenne capoluogo di provincia per un decreto del re Vittorio Emanuele I e nel 1848, in seguito all'abolizione delle province, fu incluso nella divisione amministrativa di Nuoro. Nel 1859 le province furono ripristinate e Bosa entrò a far parte della Provincia di Sassari fino a quando nel 1927, istituita la Provincia di Nuoro, venne accorpata a questa.

Dall'unità d'Italia ad oggi (1861-XXI secolo)

Panorama di Bosa, xilografia di Barberis (1895).

La città conobbe nell'Ottocento un incremento demografico progressivo ma lento: la popolazione passò via via dai 5 600 abitanti del 1821 ai 6 260 del 1844, ai 6 403 del 1861, ai 6 696 del 1881, ai 6 846 del 1901. Si sviluppò tuttavia l'attività della concia delle pelli (sulla sinistra del Temo, negli edifici noti come sas Conzas), mentre le vecchie mura vennero abbattute e già alla metà del XIX secolo la città si ampliò verso il mare, secondo le indicazioni del piano d'ornato di Pietro Cadolini (1867). Il rinnovamento delle vecchie infrastrutture, come il ponte sul Temo (1871), e le nuove costruzioni, quali l'acquedotto (1877) e la rete fognaria, che posero rimedio all'ambiente insalubre della città, o la strada ferrata a scartamento ridotto per Macomer, segnarono un risveglio che soltanto dopo la grande guerra conobbe un sensibile rallentamento. Nel 1869, dopo decenni di richieste, si cercò di ridar vita anche al porto, ormai scomparso da più di trecento anni, congiungendo l'Isola Rossa alla terraferma, senza però che si ottenessero risultati apprezzabili. Le opere pubbliche di questi anni diedero al centro un aspetto dignitoso ancora oggi pienamente fruibile; tuttavia per il comune di allora, accanto al miglioramento delle condizioni di vita, significarono anche un forte indebitamento, che con gli anni, sommandosi alla pressione fiscale voluta dal ministero, diede origine a una rivolta popolare (14 aprile 1889).

La popolazione conobbe un'evoluzione relativamente modesta anche nel corso del Novecento (8 632 abitanti nel 1971, ma 7 935 nel 2001) ed è proprio grazie a questa sua scarsa vitalità che Bosa ha potuto mantenere una fisionomia storica sconosciuta in molti altri centri della Sardegna. Negli ultimi decenni l'espansione urbana ha portato al congiungimento del centro alla marina, con interventi edilizi come due nuovi ponti, il primo all'altezza di Terrìdi (anni ottanta) e il secondo (esclusivamente pedonale) presso il centro storico (anno 2000), che hanno almeno in parte alterato il sapore tradizionale del suo ambiente. Oggi per di più, anche in seguito all'apertura della litoranea per Alghero, la città è avviata verso un rilancio turistico, che se rappresenta un'opportunità economica per gli abitanti, rischia di compromettere definitivamente il suo carattere. Nel maggio 2005, in attuazione della Legge Regionale di riforma delle circoscrizioni provinciali della Sardegna, il comune di Bosa è passato dalla Provincia di Nuoro alla Provincia di Oristano.

Simboli

Lo stemma del comune di Bosa.

Il comune di Bosa ha come segno distintivo lo stemma concesso il 15 gennaio 1767 con diploma di motuproprio del re di Sardegna Carlo Emanuele III e confermato con un decreto del capo di Governo del 24 settembre 1931[33]. Si tratta di uno scudo interposto a due fronde di palma e sormontato da una corona comitale (d'oro, cimata da nove perle visibili sostenute da punte); all'interno dello scudo, nella parte inferiore (2/3) in campo azzurro, un castello d'oro, murato di nero, fondato in punta, aperto del campo, esso castello munito di tre torri finestrate e merlate di quattro alla guelfa, la torre centrale più alta e più larga, e nel capo (1/3) una croce di Savoia (d'argento al campo rosso).

Fino al 1766, come nei sigilli di altre città sarde, permanevano le insegne del Regno d'Aragona. Negli stemmi, queste vennero poi sostituite – dietro suggerimento del ministro Giovanni Battista Lorenzo Bogino – con la croce di Savoia, come anche nel caso degli stemmi di Cagliari, Oristano, Sassari e Alghero (che la rimosse nel 1991 a favore delle barre d'Aragona)[34].

Onorificenze

Bosa ottenne il titolo di città regia nel 1499, attraverso una Prammatica Sanzione di Ferdinando II d'Aragona. L'utilizzo dell'onorificenza venne confermata consuetudinariamente nelle forme riconosciute dall'ordinamento del Regno di Sardegna e d'Italia, prima, e dalla Repubblica italiana, poi.

Titolo di Città - nastrino per uniforme ordinaria
— 30 settembre 1499

Monumenti e luoghi d'interesse

Architetture religiose

Numerosi sono gli edifici religiosi eretti sul territorio comunale, molti dei quali continuano ad arricchire il tessuto urbano cittadino, fornendo testimonianza del variare del gusto architettonico e del modo di intendere la fede nel corso dei secoli, dagli ambienti spogli di una delle prime costruzioni romaniche della Sardegna, la chiesa di San Pietro, per arrivare agli interni barocchi della concattedrale dell'Immacolata Concezione, passando per i messaggi biblici espressi dagli affreschi della chiesa palatina di Nostra Signora de Sos Regnos Altos, rarissimo esempio di pittura parietale trecentesca nella regione. Tra gli edifici religiosi scomparsi, invece, si annoverano le chiese di Santa Maria Maddalena (distrutta nel 1870 per far spazio all'attuale piazza Costituzione)[35], Santa Maria de Sole, Sant'Antonio di Padova, San Bartolomeo, Santa Barbara, Santa Margarita[36].

Chiese medievali e cistercensi

Forse già prima dell'XI secolo fu innalzata la chiesetta campestre di San Giorgio martire guerriero, sulla riva sinistra del Temo, più volte rimaneggiata nei secoli successivi, da ultimo mediante un portale barocco[37]. In epoca medioevale venne costruita, presso la fonte di Contra, in un sito già edificato in epoca romana, la chiesa di San Bacchisio (intitolata ai medici e martiri Cosma e Damiano dopo le pestilenze del XV e del XVI secolo[38]). Nel medesimo periodo fu eretta la chiesetta di Sant'Eligio la quale poggia le fondamenta sui ruderi di un nuraghe, come molte chiese paleocristiane e del primo Medioevo. Ulteriori chiesette campestri di antica e incerta datazione sono dedicate, rispettivamente, a santa Maria di Turuddas, santa Maria di Prammas e san Martino vescovo.

Chiesa di San Pietro:
Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di San Pietro (Bosa).
Elementi architettonici gotico-romanici nel prospetto della chiesa di San Pietro.
Nell'XI secolo, nei pressi della necropoli dell'abitato romano, in località Calameda, si edificò l'antica chiesa di San Pietro in stile romanico lombardo[39] (o pisano)[40][41]. L'iscrizione del vescovo Costantino de Castra, custodita all'interno della chiesa, tramanda la memoria dell'inizio della fabbrica nel 1073. La chiesa venne successivamente dotata di torre campanaria e ampliata sia verso l'abside (1110-1120) sia verso il prospetto, in stile gotico, che può forse essere attribuito ad Anselmo di Como (fine XIII secolo). In età giudicale fu sede della diocesi di Bosa, svolgendo la funzione di cattedrale. Costruita in conci di pietra vulcanica, presenta un'aula a tre navate e abside poligonale. La navata mediana è coperta con tetto in legno, mentre quelle laterali sono voltate a crociera. I setti divisori sono costituiti da arcate che si impostano su pilastri a sezione rettangolare[42].

Al XIII secolo si fa risalire l'erezione dell'impianto originario delle chiese di San Giovanni Battista, presso l'attuale cimitero, e di Santa Maria di Caraveta con l'annesso monastero maschile cistercense, in località Abbamala, (già in stato di abbandono nel 1580). Una seconda chiesa cistercense, intitolata a santa Maria Salvada e con un monastero femminile annesso, sorgeva nei pressi della fonte di su Anzu, nei pressi delle antiche mura dell'abitato romano[43]. Agli inizi del secolo risale anche la costruzione, ai piedi del colle di Serravalle, della chiesa di Santa Maria, sulla quale verrà edificata la cattedrale ottocentesca. Al XIV secolo risalirebbe la costruzione, forse su un edificio preesistente, della chiesa palatina di san Giovanni al castello.

Chiesa di Nostra Signora de sos Regnos Altos:
Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos.
Nostra Signora de Sos Regnos Altos, affresco con rappresentazione dei santi.
La chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos fu edificata nel XIV secolo quale cappella palatina del castello di Serravalle e così denominata - in sostituzione delle precedenti intitolazioni a san Giovanni, prima, e a sant'Andrea, poi - in seguito al rinvenimento, nel 1847, tra le rovine del castello, di un simulacro ligneo raffigurante la Madonna[44]. L'interno è costituito da un unico ambiente, più volte rimaneggiato (particolarmente nell'area del presbiterio), a pianta rettangolare, con copertura lignea a capriate e abside semicircolare. Durante i restauri del 1974 vennero alla luce alcuni affreschi nelle pareti laterali e nella controfacciata, danneggiati in seguito a una precedente riedificazione dell'abside, originariamente facenti parte di un ciclo realizzato, secondo gli studiosi, tra il XIV e il XV secolo e di attribuzione, italica o iberica, controversa[45]. Le scene affrescate comprendono raffigurazioni di scene evangeliche – come l'Adorazione dei Magi e l'Ultima Cena, nella parete sinistra –, rappresentazioni della Madonna e di diversi santi (l'Annunciazione, il Martirio di san Lorenzo e San Giorgio e il drago, nella controfacciata), nonché l'unica rappresentazione in Sardegna dell'Incontro dei tre vivi e dei tre morti, nella parete destra.
Chiese gotico-catalane

Inizia a radicarsi un nuovo modello costruttivo che, nel Quattrocento, sfocerà nel tipico schema iconografico gotico-catalano, che si diffonderà in Sardegna nelle sue declinazioni più semplici con inserti e superfetazioni rinascimentali e manieristiche[46].

Chiesa di Sant'Antonio Abate:
Particolare della facciata della chiesa di sant'Antonio.
A schemi gotico-catalani del XVI secolo risponde la forma attuale della chiesa di Sant'Antonio, essa sorge nei pressi del Ponte Vecchio, al di fuori dell'antica cinta muraria e perciò le viene attribuito l'appellativo di extra muros. Si ritiene che sia appartenuta ai monaci camaldolesi, stanziati in un piccolo monastero annesso, e che sia stata successivamente gestita dai carmelitani dal 1580 al 1606, quando si trasferirono presso la chiesa della Vergine del Soccorso[47], nel sito dell'attuale chiesa del Carmine. Di stile gotico catalano, la facciata in trachite rossa, del XVI secolo, presenta un prospetto cuspidato e concluso da archetti pensili a tutto sesto; sulla superficie si apre un portale ad arco inflesso gigliato sormontato da un rosoncino modanato. La chiesa è composta da una sola navata voltata a crociera, come il presbiterio, ed è divisa in quattro campate da robusti pilastri. I capitelli dell'arco, che separa il presbiterio dalla navata, sono caratterizzati da decorazioni vegetali e presentano, sul lato destro, lo stemma degli Aragona e, sul lato sinistro, l'effigie del moro bendato, tipica dell'araldica aragonese. Vicino all'altare sono poste un'ancona lignea, intagliata e dorata e la statua di sant'Antonio abate, entrambe risalenti al XVII secolo. Alla parete è appeso un Cristo gotico.

In stile gotico-catalano è anche il rimaneggiamento, avvenuto tra il XIV e il XVII secolo, della chiesa di San Giovanni Battista, forse edificata su una struttura precedente al 1162.

Chiese manieristico-classicheggianti

Intorno al XVII secolo si assiste all'incontro della tradizione gotico-catalana con le nuove forme del manierismo severo, approssimativamente rinascimentali e classicheggianti. Nel 1609 è fondato il convento dei padri cappuccini con l'annessa chiesa dedicata alla Madonna degli Angeli. Del 1686 è, invece, la chiesa di Santa Maria del Mare, a Bosa Marina, costruita in seguito al ritrovamento di una statua della Vergine (forse la polena di una nave) sulle rive del mare. nel corso del Seicento fu costruita, nei pressi della porta orientale della città, la chiesetta intitolata alle martiri cagliaritane Giusta, Giustina ed Enedina. Ispirata ai medesimi modelli è la forma attuale della chiesetta dei Santi Cosma e Damiano, ricostruita nel XXI secolo, e della chiesa di Santa Filomena.

Chiese barocche

Alla fine del Seicento emergono sobrie soluzioni prebarocche e tardo manieristiche. Risale a questo periodo il rimaneggiamento della chiesa di Santa Croce, la cui esistenza era già attestata nel 1580[48]. Essa fu affidata ai Fratelli di San Giovanni di Dio, che nel 1644 gestivano il contiguo ospedale della Misericordia[49].

Chiesa della Beata Vergine del Carmelo:
Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa del Carmine (Bosa).
Elementi di architettura barocca nella chiesa del Carmine.
La chiesa e l'ex convento della Beata Vergine del Carmelo vennero eretti tra il 1770 e il 1779 sul sito in precedenza occupato dalla chiesa della Madonna del Soccorso, concessa ai frati carmelitani nel 1660, in seguito all'abbandono del convento annesso alla chiesa di Sant'Antonio, nel 1660. La chiesa costruita in un moderato stile barocco-piemontese, presenta elementi di vaga ispirazione rinascimentale e borrominiana[50]. Il tempio presenta un prospetto a retablo in stile barocco piemontese su tre ordini decrescenti, scandito da cornicioni e lesene di trachite rossa a vista, finestrato al centro e concluso da una nicchia sovrastata da un fastigio curvilineo. L'interno presenta una navata unica voltata a botte con quattro cappelle laterali per lato. Il presbiterio, rialzato e sormontato da una cupola semisferica su pennacchi, è arricchito da un altare barocco in marmo policromo e stucchi. Custodisce arredi lignei in stile tardo barocco, come il pulpito, ornato d'oro zecchino, le ancone delle cappelle laterali e la bussola. Sulla tribuna, con ringhiera in ferro battuto, è collocato l'organo costruito dal lombardo Carlo Giuliani (1796-1855), intorno al 1844. Il tempio è fiancheggiato, sul lato sinistro, dal convento dei carmelitani, i quali abbandonarono la struttura nella seconda metà del XIX secolo; da allora ospitò, in un primo tempo, le scuole elementari e il ginnasio, per poi essere adibita a sede della casa comunale, sino al trasferimento di quest'ultima nel caseggiato dell'orfanotrofio Puggioni.
Chiesa di Nostra Signora del Santo Rosario:
Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa del Rosario (Bosa).
Facciata della chiesa del Rosario.
Al medesimo stilema barocco si è ispirato il successivo rimaneggiamento della chiesa di Nostra Signora del Santo Rosario. Essa sorge lungo il corso Vittorio Emanuele II, costeggiata dai palazzi ottocenteschi della borghesia cittadina e nelle adiacenze del collegio dell'ordine dei gesuiti, trasformato in seminario durante l'episcopato di monsignor Giovanni Antonio Cossu (1785-1796). L'attuale edificio, probabile rimaneggiatura ottocentesca di una più antica costruzione, presenta un prospetto barocco simile a quello della chiesa del Carmine, sebbene più semplice e diviso in due ordini. Nel primo si apre il portale centinato in stile tardo rinascimentale di trachite rossa sormontato da un timpano curvilineo spezzato che racchiude un lunotto nel quale è posta l'immagine della Madonna del Rosario in bassorilievo. Il secondo ordine è spartito, da due lesene, in tre specchi; in quello mediano si apre una finestra ad arco a tutto sesto, sopra la quale fu collocato, nel 1875 un orologio pubblico bifronte con mensola in aggetto. Sulla sommità insiste un fastigio dalla struttura slanciata e culminante con una struttura campanaria a vela. L'interno è semplice, in stile neoclassico, successivo alla costruzione originaria dell'oratorio, si presenta a unica navata, con volta a crociera e sottarchi che scandiscono le campate. Gli altari laterali in stucchi dipinti sono dedicati a San Domenico, alla Vergine della Salute, San Nicola e Sant'Antonio da Padova.
Concattedrale dell'Immacolata Concezione:
Lo stesso argomento in dettaglio: Concattedrale dell'Immacolata Concezione.
Presbiterio della cattedrale.
Nel XIX secolo si intraprese la costruzione della nuova cattedrale sovra una preesistente costruzione risalente al XII secolo, più volte rimaneggiata in epoca successiva. Il nuovo edificio fu dedicato alla a Vergine Immacolata e fu realizzata a partire dal 1803, quando il capitolo vescovile ne affidava il rifacimento al capomastro locale, Salvatore Are, al quale si affiancherà, in un secondo tempo, il sassarese Ramelli. Il nuovo edificio venne solennemente consacrato – a cantiere ancora aperto – dal vescovo della diocesi di Bosa, Gavino Murru, nel mese di luglio del 1809, mentre per il completamento dei lavori si dovette attendere l'anno successivo. L'edificio è costituito da un'ampia navata voltata a botte in cui si aprono quattro cappelle sul lato sinistro e tre sul destro. L'ampio presbiterio rialzato è coperto da una cupola impostata su tamburo ottagonale. All'ingresso, a destra, si apre la cappella del Sacro Cuore, che si presenta come un edificio autonomo dotato di altari e di un presbiterio rialzato coperto da una cupola. Sotto l'egida del vescovo monsignor Eugenio Cano, negli anni settanta dell'Ottocento, la cattedrale fu oggetto di interventi di abbellimento, che vanno dalle decorazioni pittoriche, realizzate dal parmense Emilio Scherer, al rifacimento dell'organo – originariamente costruito dal lucchese Giuseppe Crudeli nel 1810 e del quale si conserva la cassa neoclassica – operato nel 1875 dai fabbricanti modenesi Tommaso Piacentini e Antonio Battani di Frassinoro.

Nel 1880 Emilio Scherer affrescò la chiesa di Santa Croce e nel 1876 si era provveduto a restaurare, con un moderato assetto neoclassico, la chiesetta dedicata alle sante Giusta, Giustina ed Enedina.

Chiese del XXI secolo

Nei primi anni '30 del Novecento si consacrò, nel borgo di Sa Costa, la chiesa conosciuta con l'appellativo di Santa Teresina, intitolata a santa Caterina[51]. Nella seconda metà del XXI secolo, da ultimo, fu eretta la chiesa parrocchiale del Sacro Cuore di Gesù.

Architetture civili

Le vecchie concerie (Sas Conzas)
Le vecchie concerie, lungo la sponda sinistra del fiume Temo.

Il complesso delle vecchie concerie fu eretto tra il Seicento e il Settecento lungo la riva sinistra del Temo, in prossimità del Ponte Vecchio, e raggiunse la sua massima operatività nel XIX secolo diventando il maggior centro conciario della Sardegna con ventotto strutture in attività[52]. Completamente dismesse nel 1962, le vecchie concerie sono state classificate come monumento nazionale[53], in quanto rara testimonianza di architettura industriale all'interno di un contesto urbano che concorre a caratterizzare. Le strutture, pertanto, sono state sottoposte a misure di tutela che ne hanno consentito il recupero e la valorizzazione dopo il degrado seguito al loro abbandono.

Si tratta di un insieme di stabilimenti conciari che occupano una superficie coperta di Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido., estendendosi – con uno schema modulare ripetitivo a timpani affiancati. All'interno delle singole strutture, l'area era divisa in un piano terra con vasca in muratura, ove avveniva la lavorazione delle pelli, e in un piano superiore, nel quale si procedeva alla rifinitura[54].

Ponte Vecchio

Il Ponte Nazionale, meglio conosciuto come Ponte Vecchio (Pont'ezzu in sardo) venne edificato, in trachite rossa e a tre arcate, su disegno dell'ingegnere del genio civile Carlo Pizzagalli, nel 1871. Ha sostituito quello precedente – in legno e a sette archi – crollato all'inizio del XIX secolo.

Architetture militari

La Sardegna ha rappresentato per i suoi dominatori, un territorio di frontiera spesso vulnerabile per la sua vicinanza alle sponde del nord Africa e perché continuo bersaglio di attacchi barbareschi. La sua costa occidentale, in particolare, si è trovata a lungo in un clima di generalizzata insicurezza incrementata dalla sua lontananza dalle più sicure e trafficate coste italiane e per la presenza di centri abitati di maggior rilievo rispetto alla meno popolata costa orientale. In questo contesto, è probabile che già l'antico abitato romano sia stato interessato da opere rudimentali di fortificazione. In particolare, alcuni studiosi hanno affermato che l'antico villaggio sia stato cinto da mura, sebbene in forma rudimentale, e che l'attuale torre campanaria della chiesa di San Pietro sia stata eretta sopra una preesistente struttura difensiva romana[55], forse collegata visivamente a una torre di avvistamento posta sul colle di Serravalle, punto strategico di osservazione sull'intera vallata del Temo e sul mare antistante[56]. Quel che è certo è che proprio su quel colle, intorno al XIII secolo – con l'intensificarsi della belligeranza tra i feudatari liguri e toscani, da una parte, e gli indeboliti giudicati locali, dall'altra – i marchesi Malaspina edificarono il primo nucleo di quella piazzaforte che ancora oggi costituisce la più caratterizzante architettura militare del territorio.

Castello di Serravalle
Lo stesso argomento in dettaglio: Castello di Serravalle (Bosa).
Veduta aerea del castello di Serravalle.

Il castello di Serravalle si trova sulle alture dell'omonimo colle, costeggiato sino a valle dal quartiere medievale di Sa Costa. Fu edificato in varie fasi, per volere dei Malaspina, a partire dalla seconda metà del XIII secolo, dopo la fine del giudicato turritano e lo smembramento dei suoi territori tra i potenti feudatari liguri e toscani. Nella piazza d'armi del castello, all'interno della cinta muraria, lunga Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. e presidiata da sette torri, si trova la chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos.

Torri costiere
Lo stesso argomento in dettaglio: Torri costiere della Sardegna.

Lungo il litorale della Sardegna occidentale furono edificate, durante il dominio pisano e – con particolare intensificazione all'indomani della battaglia di Lepanto (1571) – dai dominatori spagnoli, una serie di torri costiere per la difesa del territorio dalle invasioni saracene. Da questo fervore edilizio non rimase esclusa la costa della Planargia, da capo Marrargiu alla marina di Tresnuraghes, tanto che nel giro di pochi chilometri furono erette, per lo più con tufi trachitici locali, cinque torri: di Foghe, di Ischia Ruggia, di Columbargia, dell'Isola Rossa e di punta Argentina. Queste continuarono la loro azione difensiva sino alla metà del XIX secolo, quando con Regio decreto-legge si cessò di considerarle luoghi fortificati del Regno d'Italia. Le torri costiere di più piccole dimensioni avevano generalmente lo scopo di avvistare e segnalare eventuali pericoli, mentre le più grandi erano destinate alla difesa pesante e per questo erano meglio equipaggiate. Tutte le torri, poi, facevano capo a una Reale Amministrazione, un organo governativo con il compito di sovrintendere al loro funzionamento.

Torre dell'Isola Rossa:
Lo stesso argomento in dettaglio: Torre di Bosa.
La torre costiera sull'Isola Rossa.
La torre dell'Isola Rossa si trova nella frazione di Bosa Marina, su un'isola prospiciente la foce del fiume Temo, collegata alla terra ferma dal 1869. Edificata in una data anteriore al 1572[57] (probabilmente intorno alla fine del XV secolo)[58], fu adibita alla difesa pesante e a tal fine fu presidiata da un alcaide, comandante della guarnigione, sei soldati e un artigliere, nonché dotata di sei cannoni di vario calibro e sette fucili, allo scopo di proteggere la città e la sua costa dalle incursioni dei Saraceni. La torre, costituita da un unico piano con volta a cupola, fu realizzata in tufi trachitici locali ed è la più imponente delle torri costiere di questo tratto di mare, superando il suo diametro interno i Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido.. La torre è stata restaurata agli inizi degli anni ottanta del XX secolo e oggi viene utilizzata per scopi culturali.
Torre Argentina:
La torre costiera sul promontorio di Punta Argentina.
La torre Argentina, la cui costruzione è anteriore al 1578, si trova lungo la costa in direzione di Alghero, arroccata, a 33 m s.l.m., sul promontorio di Punta Argentina. È costituita da un unico piano con boccaporto d'ingresso a tre metri di altezza dal suolo e presenta una volta a fungo. Faceva parte della rete delle torri costiere della Sardegna adibite al controllo e alla sorveglianza contro le incursioni saracene. Era presidiata da un alcaide e due soldati e dotata di tre fucili e un piccolo cannone. È collegata visivamente con la torre dell'Isola Rossa e, più a sud, con quelle di Foghe e Colombargia, sulla costa di Tresnuraghes.

Società

Evoluzione demografica

Sviluppo urbano di Bosa, sotto le pendici del colle di Serravalle.

In data 31 dicembre 2014, con 7 965 abitanti, Bosa risulta essere il quarto comune più popoloso della provincia di Oristano, dopo il capoluogo e i comuni di Terralba e Cabras. Ha presentato, nello stesso anno, una tasso di crescita demografica negativo (-6,5), perdendo 52 unità, di cui 21 in ragione del saldo naturale e 31 per cause migratorie[59].

Abitanti censiti[60]

Etnie

Al 31 dicembre 2014 a Bosa risultavano residenti 158 cittadini stranieri, pari all'1,98% circa della popolazione totale, le cui principali nazionalità sono[61]:

  1. Romania 47;
  2. Cina 24;
  3. Germania 13;
  4. Regno Unito 13;
  5. Francia 11.

Tradizioni e folclore

Il carnevale

Tipiche del carnevale di Bosa (carrasegare 'osincu[62]) sono le mascherate di s'Attitidu e di Gioltzi, le quali si inseriscono nel novero delle tradizionali manifestazioni carnevalesche della Sardegna, differenziandosene per taluni caratteri peculiari (l'accentuazione dell'elemento goliardico-sessuale) ma condividendone la ritualità apotropaica legata ai cicli naturali della vita e della morte, della rinascita della natura nonché al culto di divinità agricolo-pastorali e pluviali precristiane (Maimone)[63] o di Dioniso Mainoles[64].

Le festività hanno inizio il giorno di Giogia lardagiolu, a una settimana dal Giovedì grasso, con cortei di maschere dal volto coperto di fuliggine e con berretto e giacca indossata al contrario, muniti di spiedi e bisacce – da riempire con le offerte ricevute – e di improvvisati strumenti musicali, come la serragia[65], mestoli e coperchi di pentole (cobertores), e – anticamente – le staffe del cavallo (attaidu)[63]. Le maschere si aggirano per le strade dileggiando coloro che durante l'anno si sono resi protagonisti di eventi scandalosi e canzonando – con improvvisati stornelli satirici a trallallera – il malcapitato di turno, al quale è chiesto di partecipare alla questua con un contributo in derrate alimentari per la cena (parte 'e cantare). La sera, secondo la tradizione, si preparano banchetti a base di fave e lardo (fae a landinu), vino novello e zeppole (frisciolas).

Nel tradizionale calendario del carnevale, si è inserito, tra Giogia lardagiolu e il Martedì grasso, il Sabato delle cantine. In questa occasione ognuno può scegliere liberamente la propria maschera, ripercorrendo le vie del centro storico per degustare cibi tipici e vini locali presso le cantine private aperte per l'occasione.

La mattina del Martedì grasso sfilano le attitadoras con il viso ricoperto dalla fuliggine del sughero bruciato e vestite di nero, in segno di lutto: indossano una gonna lunga (gunnedda), uno scialle (moccaloru) e, eventualmente, un bustino (isciacca). Le maschere-prefiche recitano ritmiche lamentazioni funebri, esibendosi in dimostrazioni di dolore ritualizzate (dondolio del capo o del busto, percussione del petto, sfregamento convulso delle cosce e battito delle mani, l'una sull'altra o contro il capo). Mostrano figure sessuali (rappresentazioni di falli o di seni) e un bambolotto smembrato, spesso imbrattato di nero o di rosso, di cui lamentano il malessere – o la morte – con caratteristiche cantilene (attitidos) intervallate da sillabe emotive periodiche («ohi!» o «ahi!»)[66] e per il ristoro del quale chiedono un sorso di latte (unu tichirigheddu 'e latte) alle donne che incontrino nel loro cammino. La richiesta è spesso accompagnata da gesti osceni e versi satirici.

All'imbrunire del Martedì grasso, le maschere si vestono con lenzuoli e copricapi bianchi, trasportando torce o candele – eventualmente all'interno di un cesto di vimini (pischedda) – per cercare Gioltzi, il cui nome è spesso ripetuto come una cantilena. A tal fine, vagano per le strade fino a tarda notte, inseguendosi e catturandosi l'un l'altra, per svelare le rispettive identità. Alle maschere fermate è sollevata la veste, mentre un lume viene indirizzato verso i loro genitali. Così facendo, il catturante può urlare «Ciappadu, ciappadu!», annunciando di aver trovato Gioltzi, il capro espiatorio. In seguito, un pupazzo che lo raffigura è condannato e sacrificato con un rogo catartico nell'euforia collettiva, ponendosi fine al carrasegare.

Gli aspetti di drammatizzazione che caratterizzano il carnevale bosano hanno attirato l'attenzione di antropologi[67][68][69][70] e studiosi del teatro[71][72].

Cultura

Istruzione

Archivi e biblioteche

Il Comune di Bosa vanta un archivio storico fra i più importanti della Sardegna con un fondo di 3 636 documenti il cui estremo remoto consiste in una copia autentica della concessione in perpetuo alla città, da parte del re Alfonso V d'Aragona, dei territori e delle pertinenze di Sierra, Espinas e Castañas (Valencia, 16 gennaio 1427), estratta dal registro Sardinie II dell'Archivio regio di Barcellona su richiesta dell'allora sindaco di Bosa Giuliano Ursena[73]. L'archivio è stato diviso in due sezioni: la prima comprende la documentazione prodotta durante le dominazioni iberica e sabauda (1427-1851), originariamente contenuta nell'antico archivio regio cittadino[74], la seconda annovera, invece, gli atti relativi al periodo successivo al 1848, anno in cui entrò in vigore, nel Regno di Sardegna, il moderno ordinamento comunale[75].

Vi hanno sede, inoltre, due biblioteche aderenti al Sistema Bibliotecario Nazionale: la biblioteca comunale, fondata nel 1853, con un patrimonio librario di 25 299 volumi, comprendente un fondo antico datato fra il XVI e il XIX secolo[76] e quella diocesana – del Polo SBN di biblioteche ecclesiastiche – con una collezione di 22 049 opere[77].

Scuole

La città ha una tradizione plurisecolare in materia di istruzione, essendo stata sede di un antico collegio reale e del seminario vescovile, nonché, successivamente, di quello che fu uno dei più primi regi ginnasi della Sardegna, istituito nel 1859 e funzionante sotto la direzione del canonico Gavino Nino. Attualmente gli istituti scolastici siti a Bosa sono centri di riferimento per l'area della Planargia e del Montiferru. Sono attive varie scuole materne, una scuola elementare, una scuola media suddivisa in due distinti caseggiati, un Istituto comprensivo di Istruzione superiore comprendente gli indirizzi classico, scientifico, periti aziendali e corrispondenti lingue estere. Si annovera, inoltre, un Istituto professionale con indirizzi agrario e alberghiero. Corsi di formazione professionale sono tenuti nei locali della ex Scuola magistrale Sedes Sapientiae dei Salesiani[78].

Musei

La documentazione nel tempo della storia, dell'arte e delle tradizioni locali della città si avvale anche di un polo museale che offre, in particolare, un'immersione nello spaccato sociale della città a cavallo tra il XIX e il XXI secolo.

Collezione etnografica Stara

Il novero dei musei siti nel comune conta di una collezione di strumenti agricoli e marinari risalenti alla fine dell'Ottocento e agli inizi del Novecento, suddivisa in ventisei sezioni che trattano, ognuna, un mestiere differente[79].

Gli interni del Museo delle Conce.
Museo delle Conce

Il polo museale comprende, altresì, un museo dedicato all'attività conciaria, realizzato in una conceria risalente al Settecento, da ultimo appartenente alla famiglia Poddighe e ampliata nel 1840. Il piano terra conserva le originali vasche in muratura nelle quali avveniva la prima fase della lavorazione delle pelli, mentre nel piano superiore sono esposti, oltre ad antiche fotografie, parte dei macchinari e degli attrezzi adoperati all'epoca[80].

Museo Casa Deriu e Pinacoteca Melkiorre Melis

A corredo della dimensione operaia della città ottocentesca, il polo è integrato dal Museo Casa Deriu, ospitato in un palazzo signorile del XIX secolo, appartenuto da ultimo alla famiglia Uras-Chelo. Esso offre un'angolo di osservazione diverso sul tessuto sociale del tempo e testimonia il fermento artistico e culturale della borghesia bosana, non chiusa in una dimensione meramente locale.

Nel primo piano del palazzo sono allestite mostre temporanee mentre nel secondo, riservato all'abitazione padronale, è stato riprodotto con arredi in gran parte originari l'appartamento borghese ottocentesco.

Il Museo Casa Deriu.

La sistemazione degli ambienti propone un percorso che si articola a partire dalla stanza di rappresentanza – arredata con mobili d'epoca e con tappezzeria parietale e un parquet dai motivi geometrici ripresi dagli ornati del soffitto a finti cassettoni –, la camera da letto con una volta dipinta con cornici e vasi di fiori di gusto neo settecentesco, un pavimento in maioliche di manifattura campana del XXI secolo e un letto dorato in ferro battuto di fabbrica ligure –, la sala da pranzo con gli ornati in stile Jugend dei primi del Novecento e, infine, gli ambienti dedicati alla sevitù[81].

Il terzo piano dell'edificio ospita la Pinacoteca Melkiorre Melis che accoglie la collezione delle opere dell'omonimo artista locale. La sala d'ingresso è dedicata a Bosa, la città ove l'autore nacque nel 1889; la Sala della Libia, invece, conserva vasi, piastrelle e piatti in ceramica datati dal 1934 al 1941, quando Melkiorre Melis rivestì l'incarico di direttore artistico della Scuola musulmana di arti e mestieri di Tripoli[82]; un'ultima sala, infine, conserva le grandi opere pittoriche raffiguranti danze arabo-egiziane.

Pinacoteca Antonio Atza

Prospiciente il Museo Casa Deriu si trova la Pinacoteca Antonio Atza la quale si compone di novantasei dipinti, cinquantacinque dell'autore omonimo e quarantuno frutto di scambi dello stesso Atza con alcuni colleghi sardi, tra i quali Stanis Dessy, Carmelo Floris, Mauro Manca, Giovanni Thermes e Giovanni Pisano[83].

Media

Radio

Dal 1979, il comune di Bosa è sede della stazione radiofonica di Radio Planargia, emittente diocesana locale, fondata in seguito alla chiusura di Radio Bosa, la quale aveva operato per un triennio a partire dal 1976[84].

Persone legate a Bosa

Questo è un elenco, in ordine cronologico di nascita, delle personalità illustri – distintesi in ambito artistico, culturale, letterario, militare, musicale, politico, scientifico, sportivo o teologico – che sono nate a Bosa, oppure vi hanno vissuto, vi hanno operato significativamente o hanno stabilito dei rapporti non occasionali con la città:

Economia

Turismo

Prevalentemente stagionale, ha visto negli ultimi anni una tendenza all'allungamento della stagione grazie all'arrivo dei turisti dall'estero dovuto all'implementazione dei voli low cost dell'aeroporto di Fertilia. La maggior parte dei turisti stranieri sono inglesi e tedeschi, con buona affluenza anche da parte di danesi, spagnoli e scandinavi. un ottimo impatto sul turismo è rappresentato dalle due principali ricorrenze cittadine: il carnevale e la festa di Regnos Altos, rispettivamente nei mesi di febbraio / marzo e di settembre. La capacità ricettiva non è quantificabile in maniera esatta, nelle strutture ricettive locali si arriva approssimativamente a 1000 posti letto ma questi vengono abbondantemente moltiplicati dalle innumerevoli unità abitative private che vengono date in locazione ai vacanzieri. Nel territorio di Bosa si trovano numerose spiagge, tra cui:

  • Porto Managu
  • Cumpoltitu
  • S'Abba Druche
  • Tentizzos
  • Bosa Marina (una zona della spiaggia di Bosa Marina è chiamata le Colonie perché d'estate sono ospitati i bambini iscritti in colonie di tutta l'Italia). Alcuni di questi edifici furono, un tempo, le strutture e gli impianti delle antiche tonnare.
  • Turas

Inoltre altre calette (spesso identificate con nomi della tradizione popolare) sono presenti nel litorale bosano, quasi sempre raggiungibili solo in barca.

Infrastrutture e trasporti

Strade

Il sistema infrastrutturale di collegamento principale di Bosa è rappresentato dal sistema di trasporto stradale, che costituisce l'elemento fondamentale per l'integrazione del territorio comunale nel contesto regionale.

Il principale asse viario extraurbano della città è rappresentato dalla strada statale 129bis che, congiungendosi alla Trasversale sarda, consente il collegamento con il centro, l'est della Sardegna e, in particolare, con Nuoro. All'altezza di Macomer, la Trasversale si innesta con la SS 131 (Carlo Felice), sia verso nord, permettendo la connessione con Sassari, con Porto Torres e – mediante la SS 597 – con Olbia, sia verso sud, garantendo il collegamento con Cagliari. L'intersezione della SS 129bis con la Nord occidentale sarda, garantisce un ulteriore raccordo verso il settentrione, all'altezza di Cossoine, con la SS 131 e, verso sud, così permettendo il collegamento con il capoluogo di provincia, Oristano. Il nord della Sardegna è collegato, inoltre, con due strade provinciali: la litoranea che connette Bosa ad Alghero nonché all'aeroporto di Alghero-Fertilia e la strada Bosa-Montresta, che attraversa l'entroterra.

A partire dal 1928, la scelta del potenziamento dell'asse centrale (SS 131) ha comportato l'inizio di un processo di emarginazione della Planargia e di Bosa. Il progressivo affermarsi di un'economia di scambio legata agli sviluppi di Cagliari, Olbia e Porto Torres, meglio situati e attrezzati per i contatti con la penisola italiana e con l'estero, ha accentuato le condizioni di generale isolamento del territorio, non sufficientemente integrato nel sistema di comunicazioni principali[85]. La situazione di marginalizzazione, poi, è stata ancor più enfatizzata dalla successiva chiusura al traffico della linea ferroviaria che collegava la città a Macomer.

Ferrovie

Lo stesso argomento in dettaglio: Ferrovia Macomer-Bosa.

Bosa fu dotata di una linea ferroviaria, con scartamento da Errore in {{M}}: parametro 2 non è un numero valido., che connettè la città (a partire dal 26 dicembre del 1888) e Bosa Marina (a partire dal mese di maggio del 1915)[86] con la stazione ferroviaria di Macomer, consentendo il collegamento con Nuoro e Cagliari. Il 14 giugno 1981[87], per motivi di sicurezza, la ferrovia fu chiusa[88] tra le proteste degli abitanti dei centri serviti dalla linea, parzialmente placate dalla riapertura nel 1982 del tratto da Macomer a Tresnuraghes, dopo che fu sostituito l'armamento dei binari[89].

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Il Trenino Verde sulla linea turistica.

La suggestività degli scenari attraversati nel tratto chiuso, e la crescente domanda di turismo ferroviario nell'isola, portarono l'Ente Sardo Industrie Turistiche, la Comunità europea e la Regione a finanziare la ricostruzione della tratta Tresnuraghes-Bosa Marina, che il 10 maggio 1995 fu riaperta al traffico come linea turistica delle Ferrovie della Sardegna (la prima in ordine di tempo). Il capolinea però non si trovava più nella stazione di Bosa ma in quella di Bosa Marina, per via dell'impossibilità di ripristinare il tratto tra i due scali dovuta a fenomeni di erosione del terreno su cui passavano i binari, fatto che avrebbe compromesso la stabilità della ferrovia. L'intera Macomer-Bosa Marina infine venne destinata all'esclusivo uso turistico a partire dal giugno 1997.

Porti

Nella frazione di Bosa Marina, ai piedi del vecchio faro dell'Isola Rossa, è presente un porto per la nautica da diporto a destinazione turistica e sportiva, in regime di concessione. Il Porticciolo, dotato di servizi portuali, consta di un pontile fisso di circa Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido., denominato Banchina commerciale, il quale viene integrato – nel periodo compreso tra maggio e ottobre – con l'allestimento di pontili galleggianti per centoquaranta ormeggi per barche fino a Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. e con pescaggio fino a Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido.[90].

Lungo la piazza Paul Harris – ove hanno sede gli uffici della Guardia costiera – a circa Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. dalla foce del Temo, sulla sua sponda sinistra, si trova la Banchina fluviale, lunga circa Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido., gestita direttamente dall'Ufficio circondariale marittimo di Bosa. Essa è in parte riservata alle unità militari, in altri tratti, invece, è destinata all'ormeggio di unità da diporto e da pesca in transito o al bunkeraggio[91].

Sulla sponda destra del fiume, a circa Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. dalla foce, in acque interne, ha sede un porto canale attrezzato e dotato di servizi che dispone di un cantiere e di un pontile galleggiante con duecentosessanta posti barca e rimessaggio; infine, sulla stessa sponda, a Errore in {{M}}: parametro 3 non è un numero valido. dalla foce, si trova la Nuova darsena con pontili galleggianti da duecentoventi ormeggi[92].

Amministrazione

Di seguito l'elenco dei sindaci e dei commissari prefettizi e straordinari che si sono succeduti a Bosa, dal 1985 ad oggi[93]:

Periodo Primo cittadino Partito Carica Note
26 maggio 2014 in carica Luigi Mastino Lista civica "Cominciamo il domani" Sindaco Proclamato
8 giugno 2009 26 maggio 2014 Piero Franco Casula Lista civica Sindaco Scadenza naturale del mandato
15 settembre 2008 8 giugno 2009 Massimo Torrente Commissario straordinario Cessazione dell'incarico
30 maggio 2006 15 settembre 2008 Paolo Casula Lista civica (centro-destra) Sindaco Scioglimento del Consiglio
15 maggio 2001 30 maggio 2006 Augusto Brigas Lista civica (centro-destra) Sindaco Scadenza naturale del mandato
28 aprile 1997 14 maggio 2001 Silvano Cadoni Lista civica Sindaco Scadenza naturale del mandato
23 settembre 1996 28 aprile 1997 Franca Cocco Commissario prefettizio Cessazione dell'incarico
8 maggio 1995 21 settembre 1996 Silvano Cadoni Lista civica Sindaco Dimissioni del Consiglio
26 luglio 1990 24 aprile 1995 Giovanni Cuccuru DC Sindaco Scadenza naturale del mandato
29 luglio 1985 26 luglio 1990 Giovanni Cuccuru DC Sindaco Scadenza naturale del mandato

Gemellaggi

Bosa è gemellata con:

Bandiera della Spagna Bullas, dal 2013[94].

Sport

Tra le associazioni sportive di Bosa, il Circolo Canottieri G. Sannio, fondato nel 1973 e affiliato alla Federazione Italiana Canottaggio, si è distinta nell'ambito regionale raggiungendo i massimi risultati, con la vittoria di numerosi titoli e trofei, e confermandosi come prima società sarda nella classifica agonistica nazionale della disciplina (50° su 235 nel 2015)[95]. Ha conseguito importanti risultati e piazzamenti anche a livello nazionale, vincendo – per la categoria "ragazzi" – il titolo femminile del campionato Indoor Rowing (2015)[96].

Nella città hanno sede tre squadre di calcio dilettantistico affiliate al Comitato Regionale Sardegna della Federazione Italiana Giuoco Calcio: il Centro Sportivo Bosa, fondato nel 1929, la cui prima squadra ha militato, negli anni 2015-2016, nel Campionato di Promoziome regionale della Lega Nazionale Dilettanti[97], conseguendo la vittoria della Coppa Italia di Promozione[98]; la Polisportiva Calmedia Bosa, la cui prima squadra milita nel Campionato di Seconda categoria regionale 2015-2016[99]; l'Associazione Calcistica Dilettantistica Atletico Bosa, fondata nel 2010, costituita dal solo settore dei giovanissimi e militante nel Campionato provinciale Giovanissimi Dilettanti[100]. Esse disputano le loro partite casalinghe sul campo comunale Italia, in erba sintetica o, raramente, nell'impianto in terra battuta di Sant'Eligio.

Nel campo delle arti marziali, invece, si annovera il Judo Club Bosa, i cui atleti hanno conquistato, nel 2015, un terzo posto nella categoria M6 Errore in {{M}}: parametro 2 non è un numero valido. del Campionato mondiale Veterans della International Judo Federation[101] e due titoli del Campionato regionale Esordienti[102][103].

Il 13 maggio 2007 la cittadina ha ospitato l'arrivo della seconda tappa del 90º Giro d'Italia, partita da Tempio Pausania e vinta da Robbie McEwen[104].

Galleria d'immagini

Note

  1. ^ Dato ISTAT, Archivio dei codici e delle classificazioni dei comuni italiani al 30 giugno 2010 (XLS), su www3.istat.it. URL consultato il 30 dicembre 2015.
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    «BOSAM M. P. XXV.] Eadem exemplaria recto casu Bosa XXV. Ptolomaeo Βῶσα. Hodie urbs Sardiniae id nomen resinet. Anastasius Osam habet: dicerem eum Osaeam Ptolomaei cogitasse, nisi in aperto esset, omnia illum ex itinerario excerpsisse»
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    «Anno 1112 marchiones Malaspina classe instructa Sardiniam appurerant, et urbem Bosam-novam, ut referunt Hispani auctores condiderunt»
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    «Veteri ac destructa urbe fuit a Marchionibus Malaspinae anno circiter 1121, nova constructa Bosa, mari vicinior, ad fluvii dexteram oram, et montis radicem, qua meridiem spectat, moeniisque cincta»
  31. ^ Marco Milanese, Archeologia delle piazzeforti spagnole della Sardegna nord-occidentale (Alghero, Bosa e Castelsardo), in Archeologia Postmedievale, vol. 13, 2009, pp. 163-165, ISSN 1592-5935 (WC · ACNP). URL consultato il 9 gennaio 2016.
    «Il castello di Bosa (o di Serravalle) è al centro di un vivace dibattito che ha criticato la cronologia tradizionale indicata nel XVI secolo dal Fara per la sua fondazione (1112), una revisione condotta sul piano storiografico, con il contributo dei recenti scavi archeologici, che ha abbassato la datazione dell'impianto castrense al pieno XIII secolo, dopo la metà del Duecento»
  32. ^ Foiso Fois, Il Castello Serravalle di Bosa: contributo alla storia delle fortificazioni in Sardegna, collana Archivio storico sardo, XXVII, Padova, CEDAM, 1961, p. 45, SBN IT\ICCU\CAG\0038603.
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  65. ^ La serragia è uno strumento musicale a corde (a pizzico o ad arco), costituito da un bastone di canna alle cui estremità vengono inseriti due piroli, sui quali si tende una corda (di crini intrecciati, di budello ritorto o di metallo). Tra la canna e la corda è inserita una cassa di risonanza (una vescica animale essiccata e gonfiata), all'interno della quale si possono introdurre sassolini o semi che sottendono significati apotropaici. Alcuni modelli sono dotati di una sorta di tastiera di canna. Cfr. http://www.itenovas.com/in-scena/507-strumenti-musicali-sardi-sa-serraggia-sardegna.html.
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Bibliografia

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Società
  • Associazione Amici del libro, Bosa: Storia, folklore, tradizioni popolari, canto, in Il Convegno, vol. 1-2, Cagliari, 1976, SBN IT\ICCU\CAG\0563143.
  • Antonio Giuseppe Milia, Il costume maschile di Bosa nei primi decenni dell'800: ricostruito sulla base della iconografia dell'epoca, Bosa, SBN IT\ICCU\CAG\0828483.
Cultura
  • Comune di Bosa, L'archivio storico del comune di Bosa: sezione 1. Antico regime, a cura di Cooperativa La memoria storica, Cagliari, 1995, SBN IT\ICCU\CAG\0026515.
  • Gavino Nino, Relazione del direttore del R. ginnasio di Bosa G. Nino per l'anno scolastico 1863-64, Cagliari, Tipografia della Gazzetta popolare, 1864, SBN IT\ICCU\CAG\0080715.
Economia
  • Giulio Piroddi, Monografia economico sociale di Bosa, Cagliari, Società editoriale italiana, 1952, SBN IT\ICCU\CAG\0027301.

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