Fronte orientale (1941-1945)

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Fronte orientale
parte della seconda guerra mondiale
Dall'alto a sinistra in senso orario: carri T-34 sovietici nelle strade di Berlino; carri armati pesanti Panzer VI Tiger I durante la battaglia di Kursk; bombardieri "Stuka" in volo; esecuzione di ebrei ucraini; il feldmaresciallo Wilhelm Keitel firma la resa; soldati sovietici in azione durante la battaglia di Stalingrado.
Data22 giugno 1941 – 9 maggio 1945
LuogoUnione Sovietica, Europa orientale, Germania Orientale
EsitoVittoria dell'Unione Sovietica
Modifiche territoriali
Schieramenti
Unione Sovietica Unione Sovietica
Polonia Polonia
Cecoslovacchia Cecoslovacchia
Partigiani Jugoslavi
Romania Romania (dal 1944)
Bulgaria Bulgaria (dal 1944)
Finlandia Finlandia (dal 1944)
Supporto da:
Stati Uniti
Regno Unito Regno Unito
Germania Germania
Italia Italia (fino al 1943)
Ungheria
Romania Romania (fino al 1944)
Finlandia Finlandia (fino al 1944)
Slovacchia Slovacchia
Bulgaria Bulgaria(fino al 1944)
Croazia Croazia
Comandanti
Effettivi
circa 29 000 000 di soldati impiegati dal 1941 al 1945[1]circa 17 000 000 di soldati impiegati dal 1941 al 1945[2]
Perdite
Unione Sovietica Unione Sovietica
Perdite militari: 28 200 000 morti, feriti e dispersi/prigionieri[3]
(di cui 10,6 milioni di morti[4] e 4 600 000 prigionieri; morti in prigionia: 3 500 000)[5]
Perdite civili: 15,7 milioni di civili morti[6]
Germania Germania: 10 758 000 morti, feriti e dispersi/prigionieri[7]
(di cui 4 milioni di morti e 3 300 000 prigionieri; morti in prigionia: 450 600)[8]
Ungheria: 350 000 morti e 513 000 prigionieri
Romania Romania: 480 000 morti e 201 000 prigionieri
Finlandia Finlandia: 84 000 morti e 2 400 prigionieri
Italia Italia: 89 000 morti, feriti e dispersi/prigionieri (di cui 68 500 morti) e 68 000 prigionieri; 48 000 morti in prigionia


Totale Asse: oltre 5 200 000 militari morti (di cui 800 000 morti in prigionia)[9]
Oltre 30 milioni di morti (militari e civili) in totale[6]
Voci di battaglie presenti su Wikipedia

Il fronte orientale (indicato nella storiografia russo-sovietica come grande guerra patriottica, in russo: Великая Отечественная война?, traslitterato: Velikaja Otečestvennaja vojna) rappresentò il più importante teatro bellico della seconda guerra mondiale, nonché uno scenario fondamentale che decise, negli anni tra il 1941 e il 1945, il conflitto in Europa. Le operazioni condotte su questo fronte videro contrapposte da una parte le forze armate della Germania nazista e dei suoi alleati e dall'altro quelle dell'Armata Rossa dell'Unione Sovietica, sostenuta più avanti nel conflitto da nazioni che abbandonarono la loro alleanza con i tedeschi nonché dalle forze insurrezionali di Polonia e Jugoslavia.

Il fronte si aprì il 22 giugno 1941 con l'invasione dell'Unione Sovietica da parte della Wehrmacht tedesca, che inizialmente travolse le forze armate sovietiche spingendole, dopo aver subito enormi perdite, a battere in ritirata fino alle porte di Mosca. Sotto la direzione del leader sovietico Iosif Stalin ed anche grazie ad un massiccio supporto logistico di stati alleati, USA, Canada e Gran Bretagna che fornirono mezzi, armi, cibo, carburante ed altri beni, l'Unione Sovietica riuscì lentamente a riorganizzare e potenziare le sue forze e l'Armata Rossa, dopo la grande vittoria nella battaglia di Stalingrado terminata il 2 febbraio 1943, sferrò una continua serie di offensive che, pur a costo di forti perdite, riuscirono a indebolire gradualmente l'esercito tedesco e a liberare i territori invasi. Nel 1944-1945 infine le truppe sovietiche avanzarono inarrestabili in Europa orientale e in Germania, concludendo vittoriosamente la guerra entrando a Berlino e Vienna. Al termine del conflitto, l'Unione Sovietica si elevò al rango di superpotenza, sia industriale sia militare, con l'occupazione de facto dell'Europa orientale, dei Paesi Baltici e la spartizione dell'Europa prefigurata alla Conferenza di Jalta nel febbraio 1945.

La locuzione "grande guerra patriottica" è utilizzata in Russia e in alcuni altri stati dell'ex Unione Sovietica per descrivere la resistenza all'invasione nazista. Tale espressione ricorda la "guerra patriottica" combattuta dall'Impero russo contro Napoleone Bonaparte nel 1812 e meglio conosciuta come "campagna di Russia".

Premesse[modifica | modifica wikitesto]

Il conflitto tra Germania nazista e Unione Sovietica sembrò inevitabile fin dall'ascesa al potere di Adolf Hitler nel 1933, il quale presentò al mondo sé stesso e il suo partito politico come l'unico baluardo al diffondersi del comunismo internazionale. Già nel Mein Kampf Hitler espresse la sua ossessione contro il «bolscevismo giudaico», esplicando la rivalità ideologica tra nazionalsocialismo e comunismo sovietico e quindi tra i due stati «naturali antagonisti» sia a livello politico che economico[10]. La politica di potenza tedesca e la dottrina nazista consideravano il dominio sull'Europa centrale e orientale un elemento essenziale alla rinascita nazionale, e in questo contesto l'indicazione più preziosa proviene proprio dai testi hitleriani (il già citato Mein Kampf e il cosiddetto Secondo libro del 1928), nei quali si profila un espansionismo della Germania, la quale avrebbe temporaneamente rinunciato al colonialismo tradizionale per concentrarsi sul continente europeo e precisamente nell'area orientale. Fin dagli inizi quindi, la «Russia bolscevica» divenne l'obiettivo finale del nuovo Drang nach Osten nazista, nel quale le popolazioni e gli stati dell'Europa centro-orientale erano destinati a subire profonde trasformazioni sia a livello di autonomia dei popoli, sia sotto l'aspetto politico, con gli stati dell'area di fatto relegati a satelliti e subalterni della Germania[11].

L'annessione dell'Austria e l'occupazione della Cecoslovacchia anticiparono uno dei postulati dell'espansionismo nazista, ossia la riunificazione nel Reich delle comunità tedesche europee che per ragioni storiche o politiche si trovavano fuori dai confini della Germania. Queste stesse operazioni furono utilizzate anche come copertura per nascondere il vero obiettivo di espansionismo verso est, difatti con l'invasione della Polonia divenne ormai evidente che i nazisti non puntavano solo a ricongiungere le comunità di lingua tedesca. Con l'occupazione dello stato polacco presero invece concretamente corpo i progetti di ristrutturazione politica, amministrativa e razziale delle aree occupate, e parallelamente iniziarono le prime operazioni di genocidio, destinate a facilitare gli scambi e i riclassamenti di popolazioni che rientravano nei progetti a lungo termine di purificazione razziale del Reich e dell'aerea europea sotto la sua egemonia[12].

Oltre alla persecuzione degli ebrei, già discriminati in Germania con le Leggi di Norimberga del 1935 e con l'inasprimento della Judenpolitik a seguito della Notte dei cristalli nel novembre 1938, l'opera di «ristrutturazione politico-etnico-razziale» prese avvio appena conclusa la vittoria sulla Polonia con la costituzione del Commissariato del Reich per il consolidamento della razza germanica (Reichskommissariat für die Festigung des deutschen Volkstums) con al vertice il Reichsführer delle SS Heinrich Himmler. Il nuovo compito conferito a Himmler prevedeva la riunificazione dei cittadini tedeschi nel Reich; l'eliminazione delle parti di popolazioni ritenute pericolose ed estranee alla razza tedesca; la creazione di aree di colonizzazione tedesca[13]. Ciò evidentemente andava ben oltre la politica antisemita, prevedeva elevati gradi di discrezionalità nel trattamento delle popolazioni considerate «pericolose» e autorizzava l'avvio di spostamenti di massa di popolazioni autoctone per fare posto ai coloni tedeschi[14]. In questo contesto la Polonia rappresentò una prova di pratiche che sarebbero dovute diventare di carattere generale; ossia la dissoluzione delle varie identità nazionali, la privazione di una coscienza e di una cultura nazionali e un'occupazione basata su pregiudizi razziali in un'ideale gerarchia delle razze, con lo scopo di schiavizzare, distruggere e snazionalizzare il tessuto sociale polacco, subordinando totalmente l'apparato produttivo agricolo e industriale agli interessi dell'economia del Terzo Reich. Questa operazione, che inizialmente coinvolse i polacchi e gli ebrei presenti nel Governatorato Generale e nelle nuove provincie orientali direttamente annesse al Reich, avrebbe più avanti coinvolto anche i popoli slavi[15].

Nel contesto europeo l'accordo di Monaco del settembre 1938 e la successiva occupazione della Cecoslovacchia, rappresentarono un grosso shock per l'Unione Sovietica, che attribuiva grande importanza alle intese internazionali per raggiungere una «sicurezza collettiva»[16]. La diffidenza di Iosif Stalin nei confronti delle potenze occidentali si rafforzò quando si rese conto che il suo paese sarebbe stato deliberatamente tenuto fuori dalla Conferenza, con i leader sovietici che a questo punto non potevano essere del tutto sicuri che Gran Bretagna e Francia non volessero dirottare le ambizioni tedesche ad est contro di loro; esattamente il contrario di quanto si sarebbero potuti aspettare entrando nella Società delle Nazioni[17]. Fu probabilmente allora che Stalin cominciò a prendere in considerazione l'eventualità di un accordo con la Germania se questo gli avrebbe permesso di rimanere fuori dalla guerra. In quel momento l'URSS sembrava in una posizione di forza: sia Hitler che l'Occidente avevano tutto l'interesse di un accordo con Stalin; mentre il dittatore sovietico aveva tutto l'interesse di allearsi con una qualunque delle due parti. Il patto sovietico-tedesco concluso nell'agosto 1939 - secondo lo storico Richard Overy - può essere considerato quindi come la logica conclusione della crisi di Monaco[17]. Fino alla firma del patto tra Vjačeslav Molotov e Joachim von Ribbentrop però, Stalin non chiuse mai le porte alle trattative con Francia e Gran Bretagna per un blocco comune anti-nazista, ma gli stati occidentali tergiversarono per tutta l'estate del 1939, evidenziando la loro riluttanza ad una alleanza con l'Unione Sovietica. Così, mentre le trattative si trascinavano a fatica, tra Stalin e la Germania si aprirono alcuni spiragli. Fu Hitler a cercare l'accordo, desideroso di evitare quanto successo nella prima guerra mondiale, ossia essere costretto a combattere su due fronti: prima smorzò i toni propagandistici contro l'Unione Sovietica, e successivamente diede ordine di avviare negoziati politici, che si conclusero positivamente il 23 agosto 1939. L'isolamente sovietico si concluse quindi nel modo meno prevedibile, con grande sollievo di Hitler che ora poteva concentrarsi sulla Polonia senza rischiare un accerchiamento[18].

Avvenimenti preliminari[modifica | modifica wikitesto]

Della durata di dieci anni, il patto Molotov-Ribbentrop sanciva l'astensione delle due parti contraenti da qualunque tipo di aggressione reciproca o contro stati confinanti; qualora una delle due parti fosse attaccata da una terza, l'altra non avrebbe fornito alcun sostegno a quest'ultima; entrambi i governi si impegnavano a consultarsi su materie di interesse comune ed eventuali disaccordi si sarebbero dovuti risolvere con mezzi pacifici[19]. Se Hitler fin dai primi contatti con l'URSS aveva già in mente di tradire un eventuale patto, fedele agli intenti dichiarati nel Mein Kampf, Stalin non avrebbe tradito il "partner"[20], in quanto oltre ad essersi assicurato la pace, con il patto aveva ottenuto un risultato che le potenze occidentali non gli avrebbero mai potuto offrire: la possibilità di ricostruire il vecchio Impero zarista. Inizialmente il protocollo segreto del patto si limitava a delineare sfere d'interesse senza stabilire nessuna zona di spartizione o controllo; solo con un secondo protocollo segreto i due stati stabilirono le rispettive zone di influenza e servì quindi a spartire il bottino ottenuto con l'attacco tedesco alla Polonia. Dopo l'inizio delle ostilità il 1º settembre 1939, il 9 settembre Molotov accettò la richiesta tedesca di invadere la Polonia da est, e il 17 settembre l'Armata Rossa iniziò a varcare la frontiera e il 28 Ribbentrop volò a Mosca per delineare la spartizione. Per la prima volta dal 1914 Germania e Unione Sovietica avevano una frontiera comune; le aree prevalentemente non polacche andarono all'URSS, il resto alla Germania, e Hitler rinunciò alla Lituania mentre Stalin fu libero di estendere i propri confini in Bielorussia e nell'Ucraina occidentale, che si erano sottratti al dominio sovietico dopo la guerra con la Polonia del 1920[21].

Acquisiti i territori polacchi e scongiurata - almeno temporaneamente - la minaccia tedesca, Stalin rivolse le proprie attenzioni nell'attuazione di quanto previsto nei protocolli segreti. Nelle settimane successive alla sconfitta polacca i sovietici esercitarono pressioni sui paesi baltici e sulla Finlandia affinché concludessero trattati di mutua assistenza[22]. Nel frattempo, dopo un periodo di stasi invernale soprannominata "Strana guerra", le forze armate tedesche rivolsero le proprie ambizioni verso occidente: nel maggio 1940 dilagarono in Belgio e nei Paesi Bassi a giugno occuparono l'intera Norvegia e sconfissero la Francia spingendo i britannici fuori dall'Europa continentale. In pochi mesi dunque l'intera strategia di Stalin venne distrutta; il leader sovietico aveva sperato che con la firma del patto le forze armate hitleriane si sarebbe impantanate in una guerra simile a quella del 1914, dalla quale la Germania sarebbe uscita molto indebolita. Invece la guerra ad occidente fu breve e l'Unione Sovietica si trovò da sola di fronte a un'Europa dominata dalla Germania[23].

Da queste campagne i comandi sovietici non trassero le giuste conclusioni, rimanendo ancorati alla tesi secondo la quale le campagne militari moderne si sarebbero svolte in due fasi; un primo periodo in cui i due contendenti avrebbero utilizzato uno schieramento avanzato per spezzare lo schieramento nemico e un secondo momento in cui il grosso delle forze, concentrato nelle retrovie, avrebbe scatenato un'offensiva imponente. Le disfatte di Polonia e Francia furono dunque attribuite a «circostanze eccezionalmente favorevoli» all'esercito tedesco. Quattro giorni dopo la resa della Francia iniziarono i lavori per la nuova linea fortificata sul confine con la Germania e la più arretrata linea Stalin fu abbandonata e disarmata, con le forze armate sovietiche pericolosamente esposte in questo periodo di transizione. Il brusco mutamento delle condizioni strategiche in Europa spinse i dirigenti sovietici ad anticipare l'occupazione dei paesi baltici nel giugno 1940. L'Unione Sovietica quindi occupò l'Estonia, la Lettonia, la Lituania e le regioni settentrionali della Romania (la Bucovina settentrionale e Bessarabia). La stessa cosa non accadde con la Finlandia, la quale dopo essersi rifiutata di sottostare ai diktat di Mosca, a fine novembre 1939 fu attaccata militarmente dall'Armata Rossa[22]. Di contro la Germania inviò contingenti di truppe in Finlandia, e con l'occupazione sovietica della Bessarabia arrivò il momento in cui i tedeschi avviarono gli studi per un'operazione contro l'Unione Sovietica[24].

La cosiddetta guerra d'inverno contro la Finlandia si risolse con un disastro per Stalin, e mise sotto gli occhi del mondo la debolezza della capacità offensive delle forze armate sovietiche[25]. Ciò portò a grossi cambiamenti in seno all'Armata Rossa: su iniziativa del generale Semën Timošenko - chiamato a riformare il commissariato della Difesa al posto di Kliment Vorošilov - si posero le basi per rendere l'Armata Rossa un esercito professionale e non un esercito inteso come braccio della politica e forza rivoluzionaria come nella visione di Vorošilov, riportando l'iniziativa di comando in mano dei militari e tagliando corto con la propaganda politica per concentrarsi su disciplina e addestramento. Nonostante gli sforzi, i miglioramenti furono lenti, e non tennero conto dell'ovvia conclusione dimostrata dalle forze armate tedesche in Polonia, ossia che le moderne forze corazzate potevano essere lanciate subito con un'imponente forza d'urto senza alcuna schermaglia preventiva[26]. Inoltre, i molti cambiamenti tra i comandi voluti da Timošenko che avrebbero portato grandi benefici all'esercito, nell'immediato portarono però ad un notevole disorientamento e molta inefficienza, tanto che nel giugno 1941 il 75% degli ufficiali si trovavano nelle loro posizioni da meno di un anno[27].

Negli ultimi giorni di luglio Hitler comunicò ai capi militari l'intenzione di scatenare un'offensiva decisiva ad est. Le motivazioni che portarono a tale decisione furono sia di carattere politico che ideologico. Il perdurare della resistenza britannica pose Hitler di fronte alla necessità di eliminare l'Unione Sovietica in modo da convincere la Gran Bretagna alla pace e allontanare quindi la possibilità di un futuro ingresso degli Stati Uniti nel conflitto. Sul piano ideologico invece, ad est si trovava la materia prima del Lebensraum, lo spazio vitale per il popolo tedesco. I piani hitleriani assunsero quindi proporzioni straordinarie, venne programmata l'occupazione fino alla linea Arcangelo-Astrakan, mantenendo la popolazione locale sotto controllo permanente della razza padrona, mentre la popolazione sovietica sarebbe stata deportata in un simulacro di stato asiatico posto oltre gli Urali. Su questa base nella primavera del 1941 erano già state gettate le basi per i programmi di sfruttamento razziale, politico ed economico dell'Europa orientale[28].

Operazioni: 1941-1943[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Cronologia della guerra sul fronte orientale.

«Quando volgo indietro lo sguardo, mi permetto di dire che nessun'altra direzione politico-militare di qualsiasi paese avrebbe retto a simili prove, né avrebbe trovato una via di uscita dalla situazione eccezionalmente grave che si era creata»

(Affermazione del maresciallo Georgij Žukov, in riferimento alla direzione della guerra da parte di Stalin e degli alti comandi sovietici[29])

«Là sul Fronte orientale, c'è la vera guerra, là le divisioni ardono come fiammiferi»

(Affermazione di Arso Jovanović[30])

Invasione: estate 1941[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Barbarossa.
Un soldato sovietico catturato dalla Wehrmacht durante l'Operazione Barbarossa.

Alle 04:45 del 22 giugno 1941, dopo l'ultima consegna di carbone alla Germania, quattro milioni di soldati tedeschi, rumeni, ungheresi e slovacchi varcarono i confini dell'Unione Sovietica. Per un mese l'avanzata a tre punte fu inarrestabile, le divisioni panzer circondavano centinaia di migliaia di soldati sovietici in vaste sacche che venivano poi affrontate e ridotte dalle più lente divisioni di fanteria, mentre i panzer proseguivano la loro strada.

L'obiettivo del Gruppo d'armate "Nord" (con i 600 carri armati del Panzergruppe 4 al comando del generale Erich Hoepner) era Leningrado, che fu raggiunta, dopo alcuni disperati contrattacchi dei corpi meccanizzati sovietici a Reisenjai e sul fiume Luga, dopo l'avanzata nei paesi già occupati dall'URSS nel 1940, secondo il Patto Molotov-Ribbentrop: Lituania, Lettonia ed Estonia e la conquista delle città russe di Pskov e Novgorod.

Il Gruppo d'armate "Centro" comprendeva due Panzergruppen (2ª e 3ª) al comando dei generali Heinz Guderian e Hermann Hoth, con circa 1700 carri armati, che si portarono verso est, partendo rispettivamente dalla regione di Suwałki e da quella di Brest-Litovsk e convergendo in prossimità di Minsk, seguite dalla 2ª, 4ª e 9ª Armata. I panzer sbaragliarono facilmente la resistenza delle riserve mobili sovietiche: ad Alytus il Panzergruppe 3 respinse la 5ª Divisione corazzata sovietica e quindi proseguì rapidamente verso Vilnius e Minsk, non intralciato dai confusi contrattacchi delle notevoli forze meccanizzate del generale Pavlov (comandante del "Fronte occidentale" sovietico). A sud il Panzergruppe 2 di Guderian schiacciò i tentativi di contrattacco dei carri leggeri sovietici a Kobryn e Slonim e avanzò verso Sluck e Minsk congiungendosi il 28 giugno con le forze di Hoth e accerchiando tre armate nemiche (che vennero progressivamente distrutte, dopo duri scontri, dalle forze di fanteria tedesche).

Senza attardarsi, i panzer proseguirono ancora e raggiunsero la Dvina e la Beresina in soli sei giorni, a 650 km dal loro punto di partenza. L'obiettivo successivo era di attraversare il fiume Dnepr, che fu raggiunto l'11 luglio. Dopo Vicebsk, conquistata il 10 luglio dal Panzergruppe 3 di Hoth, cadde anche il 16 luglio, per opera delle forze del Panzergruppe 2 del generale Guderian, l'importante città di Smolensk considerata la "porta di Mosca". Dopodiché la spinta tedesca si esaurí, i panzer di Guderian vennero dirottati a sud per partecipare alla battaglia di Kiev, mentre parte del "Panzergruppe 4" fu inviata a nord per assistere l'Hereesgruppe Nord nella conquista di Leningrado; così il Gruppo d`armate Centro entrò in una pausa operativa che sarebbe durata quasi un mese, finché non si fosse rifornito e riorganizzato in vista dell`assalto a Mosca. Tuttavia questa insperata tregua diede modo allo Stavka di riorganizzare i reparti usciti fortunosamente dal kessel di Smolensk che, uniti alle unità della riserva strategica, andarono a ricreare un nuovo Fronte Occidentale.

Il Gruppo d'armate "Sud", con la 6ª Armata, il Panzergruppe 1 (generale Ewald von Kleist: 800 carri armati), l'11ª e la 17ª Armata, fu incaricato di avanzare attraverso la Galizia e l'Ucraina. In questo settore le forze meccanizzate sovietiche erano particolarmente potenti con oltre 3.500 carri armati a disposizione, e quindi il generale Kirponos (comandante del "Fronte sud-occidentale" sovietico) organizzò un importante contrattacco sui due lati del cuneo di sfondamento dei panzer del generale Kleist che diede luogo alla battaglia di carri più grande e combattuta dell'Operazione Barbarossa. A Dubno, Brody e Luc'k, per quattro giorni fino al 30 giugno i carri sovietici cercarono di fermare e distruggere i panzer, ma, molto più inesperti, con gravi carenze logistiche e sottoposti al dominio aereo della Luftwaffe, subirono pesanti perdite e furono infine costrette a ripiegare, lasciando via libera alle abili Panzer-Divisionen tedesche.

Colonna di Panzer IV del Panzergruppe 3 in azione nella regione di Vitebsk nel luglio 1941.

Le divisioni corazzate progredirono comunque piuttosto lentamente, con un solo corridoio verso Kiev aperto verso la metà di luglio. L'11ª Armata, aiutata da truppe rumene si fece strada verso Odessa attraverso la Bessarabia. Il Panzergruppe 1 manovrò a ovest di Kiev, avanzando verso sud lungo l'ansa del Dnepr. Quando si congiunse con gli elementi meridionali del Gruppo d'armate "Sud" a Uman', le forze tedesche fecero prigionieri 100 000 soldati sovietici in una vasta sacca.

Dato che l'Armata Rossa si ritirava oltre i fiumi Dnepr e Dvina, il governo sovietico decise di trasferire il più possibile le industrie pesanti della regione, gli impianti venivano smontati, caricati su convogli ferroviari e inviati lontano dalla linea del fronte, oltre gli Urali, nell'Asia centrale dove venivano rimontati. Molti civili non poterono essere evacuati assieme ai materiali e furono lasciati indietro, in balia degli invasori.

Con la cattura di Smolensk e l'avanzata lungo il fiume Luga, il Gruppo d'armate "Centro" e il Gruppo d'armate "Nord" avevano raggiunto il loro primo obiettivo principale: attraversare e occupare le terre tra la Dvina e il Dnepr. La strada per Mosca, ora distante solo 400 km, era stata largamente aperta.

I generali tedeschi propendevano per un'immediata azione verso Mosca (secondo i principii della Blitzkrieg) ma Hitler respinse l'idea sostenendo, invece, l'importanza che avrebbero avuto il grano e l'industria pesante dell'Ucraina se fossero riusciti a venirne in possesso; inoltre, c'era un ammassamento di truppe di riserva sovietiche nella zona di Homel' tra il fianco meridionale del Gruppo d'armate "Centro" e il Gruppo d'armate "Sud". Fu dato ordine al Panzergruppe 2 di girare verso sud e avanzare a est di Kiev. Questa operazione durò per tutto il mese di agosto ma quando il Panzergruppe 2 si congiunse con il Panzergruppe 1, proveniente da sud, a Lochvycja, il 5 settembre 665 000 soldati sovietici furono fatti prigionieri e Kiev fu presa il 19 settembre. Queste facili vittorie indussero Hitler a pensare che l'URSS non avesse ancora colmato le gravi lacune militari della Guerra d'inverno, e lo spinsero più di una volta nel procedere del conflitto a ordinare ardite offensive sottovalutando fortemente la resistenza russa.

A novembre cominciò il bombardamento strategico sul retroterra dell'Unione Sovietica. Il colpo principale cadde sul principale centro industriale - Gor'kij. In questa città si trovava la maggior parte dell'industria della difesa. L'obiettivo principale dei tedeschi era la fabbrica di automobili di Gor'kij. Fu sottoposto al più massiccio bombardamento e il distretto di Avtozavodskij della città fu pesantemente distrutto. I rifugiati di Mosca e di altre città che erano già occupate dai tedeschi fuggirono in città. Tuttavia, quando la Wehrmacht si avvicinò a Mosca, Gor'kij si pose in stato d'assedio. I tedeschi progettavano di catturare la città e da qui aprire un secondo fronte per colpire la capitale dell'URSS. L'occupazione di Gor'kij avrebbe potuto dare ai tedeschi il controllo sulla regione del Volga, ma la controffensiva dell'Armata Rossa scongiurò questa eventualità.

Avanzata verso Mosca: autunno 1941[modifica | modifica wikitesto]

Hitler decise di riprendere l'avanzata verso Mosca, con l'Operazione Tifone, che incominciò il 30 settembre 1941. Il Panzergruppe 2 percorse la strada di Orël (presa il 7 ottobre) fino al fiume Oka a Plavskoe, mentre il Panzergruppe 4 (trasferito dal Gruppo d'armate Nord a quello "Centro") e il Panzergruppe 3 circondavano le forze sovietiche in due grandi sacche a Vjaz'ma e Brjansk. Il Gruppo d'armate "Nord" quindi, sferrò un nuovo attacco di fronte a Leningrado tentando di interrompere il collegamento ferroviario da Tichvin verso l'est. Incominciò così l'assedio di Leningrado che durò 900 giorni. A nord del circolo polare artico, le forze finno-tedesche tentarono di raggiungere Murmansk ma non riuscirono ad andare oltre il fiume Zapadnaja Lica.

Mappa con le fasi dell'avanzata tedesca nella prima fase della guerra sul Fronte orientale.

Il Gruppo d'armate "Sud" si spinse oltre il Dnepr verso la costa del mar d'Azov, avanzando anche su Char'kov, Kursk e Stalino. La Sesta armata del feldmaresciallo von Reichenau conquistò il 24 ottobre 1941 l'importante centro industriale di Char'kov dopo aspri combattimenti contro la guarnigione sovietica. L'undicesima Armata del generale von Manstein invece si spostò in Crimea prendendo possesso dell'intera penisola entro l'autunno (con l'eccezione di Sebastopoli, che resistette fino al 3 luglio 1942). Il 21 novembre i tedeschi presero Rostov, la porta per il Caucaso. Comunque le linee tedesche erano troppo lunghe ed esposte sui fianchi, così i difensori sovietici contrattaccarono la testa di ponte del Panzergruppe 1 da nord, respingendola dalla città, oltre il fiume Mius; fu la prima significativa sconfitta tedesca della guerra.

Mentre l'Operazione Tifone proseguiva le condizioni climatiche peggiorarono. Nella seconda metà di ottobre piovve consistentemente, le poche strade esistenti si trasformarono in piste di fango senza fine che intrappolavano mezzi, cavalli e uomini. A 160 km da Mosca, le cose peggiorarono ulteriormente quando la temperatura si abbassò notevolmente e incominciò a nevicare. I veicoli potevano muoversi ma gli uomini congelavano, senza abbigliamento invernale. Nei magazzini in Polonia giacevano enormi quantità di vestiario invernale, tuttavia la logistica tedesca oramai allo stremo aveva bisogno di ogni convoglio per trasportare cibo, carburante e munizioni; così per questioni di semplice "precedenza" il fante tedesco fu lasciato ad arrangiarsi come poteva.

Il 15 novembre i tedeschi incominciarono un tentativo di accerchiamento di Mosca. Il 27 novembre il Panzergruppe 4 si trovò a 30 km dal Cremlino, quando raggiunse il capolinea dei tram di Mosca, a Chimki, mentre il Panzergruppe 2 cercò ostinatamente di prendere Tula, l'ultima città sulla strada per la capitale ma non ci riuscì. Hitler ebbe furiosi contrasti con i comandanti dell'esercito, perché sosteneva la necessità di non fermare l'avanzata verso Mosca, diversamente dai generali che volevano rallentare, in quanto le truppe erano completamente esauste e tormentate dal freddo letale. Fu a questo punto che i sovietici contrattaccarono per la prima volta.

Controffensiva sovietica: inverno 1941[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Mosca e Seconda battaglia di Char'kov.

Durante l'autunno, Žukov trasferì truppe fresche e ben equipaggiate dalla Siberia e dall'Oriente a Mosca (le truppe stazionavano in Oriente in previsione di un possibile attacco giapponese, ma l'intelligence indicò che i giapponesi avevano deciso invece di attaccare il sud-est asiatico e il Pacifico). Il 5 dicembre 1941, questi rinforzi attaccarono le linee tedesche attorno a Mosca, supportati dai nuovi carri armati T-34 e dai lanciarazzi Katjuša (soprannominati dai tedeschi "organi di Stalin"). Le nuove truppe sovietiche erano preparate per la guerra invernale e soprattutto si trattava di unità fresche e a pieno organico. Entro il 7 gennaio 1942 le esauste truppe tedesche furono respinte a una distanza compresa tra i 100 e i 250 km.

Un ulteriore attacco sovietico fu condotto nel tardo gennaio, focalizzato sulla congiunzione tra il Gruppo d'Armate "Nord" e il Gruppo d'armate "Centro" tra il lago Seliger e Ržev, riuscendo a penetrare tra le due formazioni tedesche. In contemporanea avveniva l'avanzata da Kaluga in direzione sud-ovest rispetto a Mosca, le due offensive avrebbero dovuto convergere su Smolensk, ma i tedeschi riuscirono a mantenerle distanti tra loro con un saliente a Ržev. Un lancio di paracadutisti sovietici sulla città di Dorogobuž, in mano ai tedeschi, non ebbe successo e i paracadutisti sopravvissuti furono costretti a trovare rifugio nelle aree controllate dai partigiani che incominciavano a formarsi dietro le linee tedesche. A nord i sovietici circondarono una guarnigione tedesca a Demjansk, che resistette per quattro mesi grazie a rifornimenti aerei, e si stabilirono a Cholm, Veliž e Velikie Luki.

A sud l'Armata Rossa si arrestò sul fiume Donec a Izjum. Per liberare la città di Char'kov si ammassarono mezzi per un classico doppio accerchiamento ma, la controffensiva incontrò subito problemi e la tenaglia sovietica nord venne bloccata rapidamente. Quella sud, dopo un'avanzata di circa 100 km entrò in stallo. Nella tarda primavera 1942 i sovietici rilanciarono l'offensiva dal saliente di Izjum: l'attacco sembrò un successo e i carri sovietici si lanciarono verso il Dnepr, ignari di essere caduti in una trappola. I tedeschi infatti come operazione preliminare al Fall Blau pianificarono la distruzione delle armate di Tymošenko (Operazione Fridericus)[31]; a tale scopo avevano ridislocato la 1ª Panzerarmee sulla spalla meridionale dello sfondamento, e proprio la cattura di alcuni prigionieri appartenenti a tale formazione svelò il tranello ai sovietici, ma era troppo tardi.

Il saliente venne tagliato alla base e nella conseguente sacca il maresciallo Tymošenko perse 200 000 uomini e due terzi dei suoi carri, fatto che indebolì gravemente i Sovietici in quella parte cruciale del fronte che avrebbe dovuto sostenere l'urto iniziale dell'Operazione Blu. Furono eseguiti anche degli sbarchi anfibi in Crimea contro l'XI Armata di Erich von Manstein nella zona di Kerč' e di Feodosia, che però vennero facilmente respinti dopo aver compiuto solo progressi limitati.

Don, Volga e Caucaso: estate 1942[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Blu, Battaglia del Caucaso e Battaglia di Stalingrado.
Il commissario politico sovietico Oleksij Jeremenko in battaglia nel Donbass

Nonostante fossero stati redatti dei piani per attaccare nuovamente Mosca, l'offensiva riprese in un'altra direzione il 28 giugno 1942. Il raggruppamento meridionale tedesco prese l'iniziativa, con la battaglia di Voronež e quindi seguendo il fiume Don verso sud-est. Il piano consisteva nel dapprima rendere sicuri il Don e il Volga e quindi penetrare nel Caucaso in direzione dei pozzi petroliferi, ma alcune considerazioni e la sua stessa vanità fecero cambiare idea a Hitler che ordinò che le due fasi dell'operazione venissero eseguite simultaneamente. Rostov fu ripresa il 24 luglio, quindi il gruppo si diresse verso sud, verso Majkop. Fu eseguita l'Operazione Shamil, un gruppo di membri del Brandenburger, truppe speciali simili ai commando britannici, travestiti da membri del NKVD destabilizzarono le difese di Majkop permettendo alla 1. Panzer-Armee di entrare nella città con facilità.

Soldati della 62ª Armata sovietica in azione nelle rovine di Stalingrado.

Nel frattempo la 6ª Armata si stava dirigendo verso Stalingrado, non supportata dai panzer della 4. Panzer-Armee che erano stati deviati per aiutare la 1. Panzer-Armee ad attraversare il Don. Mentre la 4ª Armata panzer riprendeva l'offensiva contro Stalingrado, la resistenza sovietica (consistente nella 62ª Armata comandata da Vasilij Ivanovič Čujkov) si era rafforzata. Dopo avere attraversato il Don le truppe tedesche raggiunsero il Volga il 23 agosto, ma nei mesi successivi la Wehrmacht sarebbe stata impegnata in un'estenuante battaglia casa per casa per conquistare Stalingrado.

In direzione sud la 1ª Armata panzer aveva raggiunto le colline caucasiche e il fiume Malka. Alla fine di agosto la 3ª e la 4ª Armata rumena vengono riposizionate sul Don, ai lati della testa di ponte tedesca presso Stalingrado per alleggerire le forze tedesche e permettere loro una maggiore concentrazione nella città. A causa dei continui antagonismi tra Ungheria e Romania per la Transilvania, fra le truppe rumene e quelle magiare viene posizionata l'8ª Armata italiana. Fra le forze alleate dell'Asse erano presenti anche un contingente slovacco e uno croato, aggregati alle forze tedesche.

L'avanzata nel Caucaso si impantanò, i tedeschi non erano in grado di raggiungere Malgobek e l'ambito obiettivo di Groznyj. Cambiarono direzione della loro avanzata, attraversando la Malka alla fine di ottobre ed entrando nell'Ossezia del Nord. Nelle prime settimane di novembre, alla periferia di Ordžonikidze, la 13. Panzer-Division fu sbaragliata e le truppe tedesche furono costrette a ritirarsi. L'offensiva in Russia era finita.

Stalingrado: inverno 1942-1943[modifica | modifica wikitesto]

Carro armato sovietico T-34 in marcia durante i giorni dell'operazione Urano.

Mentre la 6ª Armata tedesca e la 4ª Armata corazzata combattevano l'estenuante, sanguinosa e drammatica battaglia nelle rovine di Stalingrado contro la disperata e inesauribile difesa della 62ª Armata sovietica, Stalin e l'Alto comando sovietico (in particolare i generali Aleksandr Vasilevskij e Georgij Žukov) organizzarono una controffensiva decisiva per ribaltare l'equilibrio strategico complessivo e distruggere il raggruppamento dell'Asse nella regione del Volga e del Caucaso. Per due mesi vennero radunate di nascosto (Hitler e i generali tedeschi, consapevoli dei pericoli della situazione, sottovalutarono le possibilità operative offensive dei sovietici[32]) potenti forze di artiglieria e fanteria e numerosi corpi corazzati e meccanizzati (4 corpi corazzati e 3 corpi meccanizzati con circa 1500 carri armati) sui deboli fianchi (tenuti prevalentemente dalle mediocri divisioni rumene a corto di armi anticarro e dal fragile morale) del gruppo di forze tedesco impegnato nella regione di Stalingrado.

Lungo il corso del Don (sfruttando le teste di ponte di Serafimovič e Kletskaja) vennero ammassati il fronte Sud-Ovest del generale Nikolaj Vatutin e il fronte del Don del generale Konstantin Rokossovskij; a sud della città, il fronte di Stalingrado del generale Andrej Erëmenko costituì una nuova massa offensiva per marciare (con manovra a tenaglia) incontro al raggruppamento settentrionale. Fu da questa posizione che incominciò, il 19 novembre 1942 l'Operazione Urano: i fronti sovietici travolsero i rumeni dopo una dura lotta iniziale, dopo lo sfondamento i corpi meccanizzati sovietici (5ª Armata carri, 4º Corpo carri e 3º Corpo di cavalleria della Guardia) si spinsero in profondità avanzando a grande velocità e seminando il panico nelle retrovie tedesco-rumene; respinsero quindi i tentativi di contrattacco delle modeste riserve corazzate tedesche. Per la prima volta nella guerra i reparti corazzati dell'Armata Rossa batterono in campo aperto le Panzer-Division tedesche; il 19 e il 20 novembre furono sconfitte le due formazioni corazzate del 48º Panzerkorps e quindi il 21, 22 e 23 novembre i carristi sovietici costrinsero alla ritirata anche le tre deboli Panzer-Division del 14º Panzerkorps, accorse a occidente del fiume Don per cercare di fermare l'avanzata nemica[33].

I corpi meccanizzati sovietici fin dal 22 novembre attraversarono di sorpresa il Don a Kalač e il giorno dopo (23 novembre) i carri armati del generale Vatutin (26º Corpo carri e 4º Corpo carri) si incontrarono (tra grandi scene di gioia) con le colonne del 4º Corpo meccanizzato sovietico proveniente da sud (fronte di Erëmenko) nella zona di Sovetskij-Marinovka, intrappolando i 300 000 soldati della 6ª Armata del generale Friedrich Paulus rimasti bloccati a est del Don nell'area di Stalingrado.

In quattro giorni questa audace "corsa meccanizzata" aveva deciso le sorti della cruciale battaglia di Stalingrado e forse dell'intera "Grande Guerra Patriottica"[34]. Il 25 novembre fu lanciata anche un'altra offensiva, chiamata Operazione Marte, lungo il settore di Ržev, per avanzare verso Smolensk, ma fu un fallimento (ancora oggi non è chiaro se si trattò di una semplice attacco diversivo sovietico o di una vera offensiva con scopi strategici altrettanto importanti dell'Operazione Urano)[35].

Le colonne corazzate sovietiche in marcia nella steppa innevata.

Hitler, deciso a mantenere le posizioni a Stalingrado per motivi strategici ma anche di prestigio personale[32], affidò all'abile feldmaresciallo Erich von Manstein il compito di ristabilire la situazione e sbloccare gli accerchiati a Stalingrado, ma l'offensiva non incominciò prima del 12 dicembre, quando la 6ª Armata a Stalingrado era già troppo debole per agire efficacemente. L'Operazione Tempesta Invernale, con il movimento di tre Panzer-Division da Kotel'nikovo in direzione della sacca, venne bloccata dalla tenace resistenza sovietica (opportunamente rinforzata da Stalin e Vasilevskij) a 65 km dal suo obiettivo[36].

Inoltre per attirare le riserve tedesche e minacciare le retrovie di tutto lo schieramento dell'Asse nel settore meridionale, i sovietici sferrarono una nuova potente offensiva sul Medio Don lungo il settore tenuto dagli italiani (malamente armati e equipaggiati) per cogliere alle spalle le forze nemiche[36]. Con questa manovra, iniziata il 16 dicembre e chiamata Operazione Piccolo Saturno, l'Armata Rossa (con l'impiego di 1 000 carri armati) travolse dopo due giorni di lotta il fronte dell'8ª Armata italiana e accerchiò le truppe che furono costrette a una rovinosa ritirata a piedi nella neve per cercare di uscire dalla sacca d'accerchiamento. Le perdite italiane furono molto pesanti (circa 100 000 morti, feriti, dispersi e catturati)[37]. Nelle offensive sovietiche di quei giorni risultò determinante l'uso della lanciarazzi "Katjuša" che di fatto ingenerò un vero scompiglio e numerose perdite nelle truppe italiane.[38]

Il Corpo Alpino venne attaccato invece il 12 gennaio 1943 da un nuovo potente raggruppamento corazzato sovietico sull'Alto Don (Offensiva Ostrogorzk-Rossoš). Coinvolti nel crollo del vicino fronte ungherese, anche gli alpini incominciarono a ripiegare in rotta per sfuggire ai carri armati sovietici. La ritirata avrebbe comportato la distruzione di due delle tre divisioni alpine ("Julia" e "Cuneense"); solo i resti della "Tridentina" e altri reparti sbandati riuscirono il 26 gennaio a forzare con una carica lo sbarramento sovietico nel villaggio di Nikolaevka; la steppa russa era disseminata di morti e dispersi tedeschi, rumeni, ungheresi e italiani[36].

Dopo il crollo del fronte dell'8ª Armata italiana, i carri armati sovietici (24º e 25 °Corpo corazzato) poterono proseguire in profondità, spingendosi audacemente fino agli aeroporti di Tacinskaja e Morozovsk, e distruggere i campi di volo e molti degli aerei tedeschi che venivano utilizzati per rifornire (in quantità assolutamente insufficiente) le truppe a Stalingrado[39]. Di fronte alla catastrofe e al rischio di un crollo generale del fronte meridionale, Hitler e l'Alto comando tedesco dovettero rinunciare al tentativo di salvataggio delle truppe accerchiate a Stalingrado (ormai molto indebolite dai combattimenti, dal freddo e dalla scarsità di rifornimenti) e incominciare anche il ripiegamento dal Caucaso (30 dicembre)[40].

Il 2 febbraio 1943, dopo un'ultima disperata battaglia (incominciata il 10 gennaio 1943), i 90 000 sopravvissuti dei 300 000 uomini della 6. Armata tedesca a Stalingrado comandata dal generale Paulus si arresero[36]. Nel frattempo era stato sbaragliato dall'offensiva sovietica anche il contingente ungherese (offensiva del 12 gennaio 1943), mentre il raggruppamento del Caucaso, grazie anche alla abile e tenace condotta del generale von Kleist, riuscì a sfuggire attraverso Rostov (liberata dai sovietici il 14 febbraio)[41]. Complessivamente dal 19 novembre 1942 al 2 febbraio 1943, l'Armata Rossa distrusse quasi 70 divisioni dell'Asse (circa 30 tedesche, 15 rumene, 10 italiane e 10 ungheresi), per un totale di oltre 1 milione di soldati (tra cui quasi 400 000 prigionieri), grandi quantità di equipaggiamenti furono distrutti (2 000 carri armati e 800 aerei)[36]; anche le perdite sovietiche in questa fase offensiva e vittoriosa della campagna furono molto pesanti: oltre 600 000 morti, feriti e dispersi e circa 4 000 carri armati[35].

La guerra sul fronte orientale aveva subito una svolta decisiva, l'Armata Rossa, in grande crescita numerica, qualitativa e organizzativa, stava prendendo il sopravvento; per la Wehrmacht ormai si sarebbe trattato di sopravvivere più che di vincere[42]

I sovietici avanzarono dal Don per 500 km a ovest di Stalingrado, attraverso Kursk (presa l'8 febbraio 1943) e Char'kov (presa il 16 febbraio dello stesso anno). Per arrestare l'avanzata russa a sud, i comandi tedeschi presero la decisione di abbandonare il saliente di Ržev, per avere una maggiore disponibilità di truppe da impiegare nell'Ucraina orientale. La controffensiva, guidata dal feldmaresciallo Erich von Manstein, e rafforzata dal II SS Panzerkorps appena giunto a pieni organici dalla Francia, incominciò il 20 febbraio 1943. Da Poltava, le truppe tedesche avanzarono nuovamente verso est, riprendendo Char'kov la terza settimana di marzo. L'offensiva tedesca si fermò con il disgelo primaverile, lasciando una zona avanzata rispetto alla linea del fronte in prossimità di Kursk in mano sovietica.

Operazioni 1943-1945[modifica | modifica wikitesto]

Kursk: estate 1943[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Kursk.

Dopo il fallito tentativo di prendere Stalingrado, Hitler ridiede l'incarico di progettare la fase successiva della campagna all'alto comando dell'Esercito e nominò Heinz Guderian ispettore delle truppe Panzer. Hitler era ansioso di eliminare il saliente russo presso Kursk anche perché sapeva che le posizioni sovietiche nei sei mesi precedenti erano state rafforzate con cannoni anticarro, ostacoli, campi minati, barriere di filo spinato, trincee e bunker. Lo scopo di questa operazione era quello di allontanare i sovietici per permettere alle truppe tedesche di concentrarsi sulla minaccia degli Alleati sul fronte occidentale. L'avanzata sarebbe stata eseguita dal saliente di Orël, a nord di Kursk, e da Belgorod, a sud. I due gruppi dovevano convergere a Tim, riposizionandosi così sulle stesse linee tenute dalla Formazione sud nell'inverno 1941-42.

Equipaggi di carri tedeschi Panzer VI Tiger I durante la campagna dell'estate 1943 sul fronte orientale.

Nonostante i tedeschi avessero calcolato che le massicce risorse umane dell'Armata Rossa si erano notevolmente ridotte fra il 1941 e il 1942, i sovietici stavano rinforzandole reclutando uomini delle regioni riconquistate nell'inverno del 1942, i tedeschi inoltre stimavano un numero esiguo di carri armati sovietici.

Sotto la pressione dei suoi generali Hitler accettò l'offensiva su Kursk, non sapendo che le informazioni fornite dall'Abwehr sulle posizioni sovietiche erano state compromesse da operazioni di disinformazione orchestrate dai quartieri generali sovietici e da azioni di controspionaggio compiute da un circolo di spie in Svizzera. I tedeschi incominciarono la campagna dopo mesi di attesa per essere riequipaggiati con nuovi carri armati, periodo nel quale i sovietici avevano ulteriormente rinforzato le loro posizioni spostando numerosi pezzi di artiglieria.

A nord l'intera 9ª Armata era stata spostata da Ržev al saliente di Orël per avanzare da Maloarchangelsk a Kursk. Ma l'armata non riuscì nemmeno a oltrepassare il primo obiettivo dell'avanzata, a Olchovatka, a soli 8 km dal punto di partenza. La 9ª Armata infranse la propria testa di ponte contro i campi minati sovietici: la cosa frustrante era che l'altura dove si trovavano era l'unica barriera naturale tra loro e la pianura circostante Kursk. La direzione dell'avanzata fu cambiata verso Ponyri, a ovest di Olchovatka, ma la 9ª Armata non poté penetrare nemmeno lì e si ritirò in posizione difensiva. I sovietici penetrarono attraverso le linee tedesche il 12 luglio, inserendosi tra la 211ª e la 293ª Divisione lungo il fiume Žizdra e verso Karačev.

L'offensiva meridionale, guidata dalla 4ª Armata panzer, fece più strada. Avanzando su entrambe le sponde del Donec superiore, lungo uno stretto corridoio, il II SS Panzerkorps e la divisione Grossdeutschland si aprirono la via lungo campi minati e oltrepassando alture in direzione di Obojan. Una forte resistenza causò un cambio di direzione da est verso ovest, i carri armati riuscirono a inoltrarsi per 25 km prima di incontrare i carri della 5ª Armata Corazzata Guardie sovietica, appartenente al Fronte della steppa di Ivan Konev, appena fuori dal villaggio di Prochorovka. Il 12 luglio, i circa 300 mezzi del II SS Panzerkorps si scontrarono con i 700 mezzi della 5ª Armata Corazzata Guardie[43] Alla fine del giorno, l'esito dello scontro si trovava in una fase di stallo, i sovietici avevano subito pesanti perdite ma l'avanzata tedesca era stata bloccata[44]. Preoccupato dallo sbarco alleato in Sicilia avvenuto il 10 luglio, Hitler ritirò il II SS Panzerkorps dal settore meridionale del saliente di Kursk, ponendo fine all'operazione "Zitadelle".

Gran parte dei nuovi mezzi corazzati tedeschi, come i carri medi Panther o i cacciacarri Ferdinand, erano stati immessi in servizio senza i previsti collaudi, con i problemi di affidabilità che ne derivarono, con equipaggi non addestrati al loro uso. I Ferdinand, nonostante fossero dotati di un cannone da 88 mm estremamente efficace, non erano provvisti di mitragliatrici per difendersi dalla fanteria e una volta penetrati nelle linee nemiche furono rapidamente messi fuori uso da attacchi ravvicinati con bombe molotov e mine magnetiche[45], mentre piccole postazioni contenenti soldati e nidi di mitragliatrici o mortai, assicuravano che la fanteria della Wehrmacht non riuscisse a difendere i carri armati. L'operazione "Zitadelle" fu l'ultima offensiva strategica lanciata dalla Wehrmacht sul fronte orientale, da quel momento l'iniziativa passò definitivamente nelle mani dell'Armata Rossa e l'esercito tedesco si ritrovò a combattere una disperata guerra difensiva contro la marea montante delle offensive dei sovietici.

Ucraina: autunno 1943 e inverno 1944[modifica | modifica wikitesto]

Le forze sovietiche avanzarono nel saliente tedesco di Orël. La deviazione della divisione Grossdeutschland da Belgorod a Karačev non poté arrestare l'avanzata, e fu presa la decisione strategica di abbandonare Orël (presa dall'Armata Rossa il 5 agosto 1943) e ripiegare sulla linea Hagen di fronte a Brjansk.

A sud le potenti forze sovietiche dei generali Vatutin e Konev (quasi 1 milione di uomini e 2500 carri armati[46]) sfondarono (dal 3 agosto) le posizioni del Gruppo d'armate Sud nella regione di Belgorod e si diressero nuovamente verso Char'kov. Nonostante i continui ed efficaci contrattacchi delle Panzerdivisionen e delle Waffen-SS, accorse da altri fronti per difendere ancora Char'kov, le forze corazzate dell'Armata Rossa (1. e 5. Armata corazzata della Guardia), molto superiori di numero e coraggiosamente ostinate nell'offensiva (a prezzo di perdite gravissime), finirono per esaurire le risorse dei panzer[47]. Dopo le furiose battaglie di carri di Bogoduchov e Achtyrka, combattute dai carri armati di Vatutin contro i panzer del generale Hoth, le armate del generale Konev riuscirono ad avanzare su Char'kov ormai in situazione disperata. Char'kov venne evacuata per l'ultima volta il 22 agosto per evitare un nuovo accerchiamento. L'Armata Rossa liberava definitivamente la grande città ucraina[48].

Carri armati sovietici in avanzata verso Orël durante l'operazione Kutuzov.

Le forze tedesche sul Mius, composte dalla 1. Armata panzer e dalla ricostituita 6. Armata, in agosto erano troppo deboli per sostenere un attacco sovietico, che, si verificò, costringendole a ripiegare lungo la regione industriale del bacino carbonifero del Donec fino al Dnepr, perdendo così le risorse industriali e agricole che avevano motivato l'invasione nazista dell'Unione Sovietica. Hitler aveva programmato una ritirata generale lungo la linea del Dnepr, e la realizzazione di quello che sarebbe dovuto diventare l'Ostwall, una linea difensiva simile al Westwall lungo il fronte occidentale.

Il problema era che tale fortificazione però non era ancora stata costruita, e mentre il Gruppo d'armate "Sud" evacuava l'Ucraina orientale e attraversava il fiume Dnepr a settembre, i sovietici erano già alle sue spalle. Tenacemente, piccole unità, si aprivano la strada lungo il fiume largo 3 km stabilendo teste di ponte. Un secondo tentativo dei Sovietici di conquistare terreno utilizzando paracadutisti a Kaniv il 24 settembre, si rivelò sfortunato come quello a Dorogobuž diciotto mesi prima, le truppe furono subito respinte anche se nel frattempo grazie alla copertura da loro fornita l'Armata Rossa penetrò attraverso il Dnepr.

A ottobre, i tedeschi non riuscivano più a mantenere le posizioni lungo il Dnepr perché le teste di ponte nemiche continuavano ad aumentare; incominciarono a cadere le città situate lungo la linea; la prima fu Zaporižžja, seguita da Dnipropetrovsk. Nel gennaio 1944 sette divisioni tedesche intrappolate vicino a Korsun' vennero praticamente distrutte durante una nuova terribile battaglia invernale.

A marzo, l'Armata Rossa riprese l'offensiva generale: il maresciallo Žukov avanzò rapidamente verso Proskurov, Ternopil' e i Carpazi, mentre il maresciallo Konev sferrò la travolgente marcia nel fango che, nonostante il terreno fangoso per il disgelo primaverile, travolse le difese tedesche; le unità corazzate sovietiche avanzarono per quasi 400 km e raggiunsero la Romania, dopo aver superato Buh Meridionale, Dnestr, Prut e Siret.

A questo punto, venti divisioni tedesche furono circondate nella sacca di Kam'janec'-Podil's'kyj dalle armate corazzate dei marescialli Žukov e Konev, ma il generale Hans-Valentin Hube riuscì a ripiegare per centinaia di km e a sfuggire infine dalla trappola, ricongiungendosi al grosso dell'Esercito tedesco. I sovietici si erano lasciati sfuggire una grande occasione, ma tuttavia l'offensiva invernale russa aveva conseguito grandi successi e liberato completamente l'Ucraina, fino a raggiungere la Romania e la Polonia orientale[49].

A nord, il Gruppo d'armate "Centro" fu lentamente respinto dalla linea Hagen, perdendo relativamente poco terreno ma cedendo Brjansk e la più importante Smolensk, il 25 settembre. La città era la chiave di volta dell'intero sistema difensivo tedesco, ma la 4., la 9. e la 3. armata panzer tenevano ancora la parte superiore del Dnepr. Lungo il fronte tenuto dal Gruppo d'armate "Nord" non ci fu quasi nessun combattimento sino al gennaio 1944 quando Novgorod fu riconquistata; a febbraio l'Armata Rossa raggiunse l'Estonia.

A sud, i sovietici raggiunsero il confine rumeno a marzo, Odessa fu presa ad aprile, e Sebastopoli a maggio.

Bielorussia: estate 1944[modifica | modifica wikitesto]

Sul fronte centrale, un massiccio attacco sovietico, chiamato operazione Bagration, incominciò il 22 giugno 1944, portando alla distruzione del Gruppo d'armate tedesco "Centro". I tedeschi avevano trasferito un numero limitato di unità in Francia per fare fronte allo sbarco in Normandia, avvenuto due settimane prima. Più di 120 divisioni sovietiche sfondarono le linee tedesche.

I sovietici avevano conseguito un rapporto di dieci a uno per quanto riguarda i carri armati e di sette a uno per gli aerei rispetto ai tedeschi. Al momento dell'attacco il vantaggio numerico e qualitativo dell'Armata Rossa era soverchiante: più di 2,5 milioni di soldati sovietici si mossero contro il Gruppo d'armate "Centro", che poteva contare su meno di 800 000 uomini. Le forze tedesche furono disintegrate, la capitale della Bielorussia, Minsk, fu presa il 3 luglio, con la cattura di 50 000 tedeschi. Dieci giorni dopo i sovietici raggiunsero il confine polacco precedente al conflitto. La rapida progressione tagliò fuori e isolò le unità del Gruppo d'armate "Nord" che stavano combattendo in Curlandia. L'operazione Bagration fu una delle più vaste della guerra e costò all'Armata Rossa 765.815 morti, dispersi e feriti oltre a 2.957 carri armati e cannoni, i tedeschi contarono circa 445.000 perdite, tra cui oltre 100 000 prigionieri.

Unità motorizzate dell'Armata Rossa e un carro armato T-34/85 del 2º Corpo carri della Guardia entrano a Minsk durante l'operazione Bagration.

L'offensiva Leopoli-Sandomierz fu lanciata il 13 luglio 1944; le forze tedesche furono rapidamente espulse dall'Ucraina occidentale. L'avanzata sovietica a sud continuò in Romania e, in seguito a un colpo di Stato contro il governo rumeno alleato con l'Asse il 23 agosto, l'Armata Rossa occupò Bucarest il 31 agosto. A Mosca il 12 settembre, la Romania e l'Unione Sovietica firmarono un armistizio su condizioni dettate da Mosca. La resa della Romania creò un varco nel fronte meridionale che causò ai tedeschi la perdita di tutti i Balcani.

In Polonia, mentre l'Armata Rossa si avvicinava, l'Armia Krajowa lanciò la Operazione Tempesta. Durante l'insurrezione di Varsavia, l'esercito sovietico si fermò sulla Vistola, impossibilitato a proseguire l'avanzata dopo la inattesa battuta d'arresto subita di fronte alla capitale polacca, sulla riva destra del fiume, contro alcune Panzer-Division tedesche, ma soprattutto riluttante a venire in soccorso alla resistenza polacca per motivi politici. Un tentativo della 1ª Armata polacca, creata dai sovietici, di prendere la città, non supportato dall'Armata Rossa, fu respinto a settembre con pesanti perdite. Nei territori occupati dai sovietici unità dell'NKVD internarono o giustiziarono soldati e ufficiali polacchi che non volevano unirsi all'Armata Rossa.

In Slovacchia, la rivolta incominciò con scontri tra le forze della Wehrmacht e truppe ribelli slovacche nella città di Banská Bystrica; durò da agosto a ottobre 1944.

L'8 settembre 1944 l'Armata Rossa sferrò un attacco sul passo di Dukla, sulla frontiera tra Slovacchia e Polonia. Due mesi più tardi i russi vinsero la battaglia e entrarono in Slovacchia, il numero delle perdite fu ingente: 85 000 soldati sovietici e diverse migliaia di tedeschi, slovacchi e cechi morirono nello scontro.

Europa orientale: gennaio-marzo 1945[modifica | modifica wikitesto]

I sovietici entrarono a Varsavia nel gennaio 1945 solo dopo che la città fu distrutta e abbandonata dai tedeschi. In tre giorni, su un largo fronte, con quattro gruppi di armate, l'Armata Rossa incominciò un'offensiva oltre il fiume Narew e Varsavia. I sovietici avevano un vantaggio sulla fanteria tedesca di nove a uno e sui carri armati di dieci a uno. Dopo quattro giorni l'Armata Rossa sfondò e incominciò ad avanzare da trenta a quaranta chilometri al giorno, prendendo i Paesi Baltici, Danzica, la Prussia Orientale e Poznań, fermandosi lungo il fiume Oder, 60 km a est di Berlino. In questa operazione durata 23 giorni i sovietici persero 194 000 soldati tra morti e feriti e 1 267 fra carri armati e cannoni.

La convergenza delle armate Alleate verso la Germania.

Il 25 gennaio 1945, Hitler rinominò i tre gruppi d'armate: quello "Nord" diventò il Gruppo d'armate Curlandia; quello "Centro" divenne il Gruppo d'armate "Nord" e il Gruppo d'armate "A" divenne Gruppo d'armate "Centro". Il nuovo Gruppo d'armate "Nord" (ex "Centro") fu intrappolato in una sacca che diventava sempre più piccola nella zona di Königsberg, nella Prussia Orientale.

Un contrattacco del nuovo Gruppo d'armate "Vistola", guidato dal Reichsführer delle SS Heinrich Himmler, fallì il 24 febbraio, e i sovietici presero la Pomerania liberando così la sponda destra dell'Oder. A sud tre tentativi tedeschi di soccorrere Budapest, che era circondata, non ebbero successo e la città cadde il 13 febbraio in mano ai sovietici. I tedeschi contrattaccarono nuovamente, Hitler insisteva nell'impossibile obiettivo di riguadagnare il Danubio. Il 16 marzo l'Armata Rossa contrattaccò e il 30 marzo entrò in Austria e prese Vienna il 13 aprile.

Il 9 aprile 1945, Königsberg cedette infine all'Armata Rossa, nonostante resti sparsi del Gruppo d'armate "Nord" continuassero a resistere sulla costa a Heiligenbeil e Danzica fino alla fine della guerra. La conquista della Prussia Orientale, anche se spesso oscurata dall'offensiva Vistola-Oder e dalla successiva battaglia di Berlino, fu una delle più vaste e costose in perdite umane fra le operazioni compiute dall'Armata Rossa durante la guerra: in tutta la sua durata (13 gennaio - 25 aprile), i sovietici registrarono 584.788 perdite e persero 3.525 carri armati e cannoni.

All'inizio di aprile lo Stavka autorizzò il "2. Fronte Bielorusso" del generale Konstantin Rokossovskij a muoversi a ovest verso la sponda orientale dell'Oder. Durante le prime due settimane di aprile i sovietici effettuarono il loro più rapido ridispiegamento di forze della guerra. Il generale Georgij Žukov spostò il suo "1º Fronte Bielorusso" da Francoforte sull'Oder al nord sul Baltico presso le alture di Seelow. Il "2. Fronte Bielorusso" si spostò sulle posizioni lasciate libere dal 1. Fronte Bielorusso a nord delle alture di Seelow. Mentre avveniva questo ridispiegamento si verificarono dei vuoti nelle linee e i resti della 2. Armata tedesca, che era rimasta intrappolata a Danzica riuscirono a scappare oltre l'Oder. A sud il generale Ivan Konev trasferì il nucleo principale del "1. Fronte Ucraino" dall'Alta Slesia a nord ovest sul fiume Neisse. I tre fronti sovietici contavano complessivamente di 2,5 milioni di uomini (tra i quali 78.556 soldati della 1. armata polacca), 6.250 carri armati, 7.500 aerei, 41.600 pezzi d'artiglieria e mortai, 3.255 lanciarazzi Katjuša su autocarro, e 95.383 veicoli a motore (fra cui molti prodotti negli USA).

Berlino: aprile 1945[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Berlino.

Tutto ciò che rimaneva da fare ai sovietici era di lanciare un'offensiva per occupare quella che sarebbe diventata la Germania Est. L'offensiva sovietica aveva due obiettivi. Stalin era sospettoso circa le intenzioni degli Alleati occidentali nei riguardi dei territori da loro occupati che sarebbero ricaduti nella sfera di influenza sovietica nel dopoguerra, quindi l'offensiva doveva essere su un largo fronte e muoversi il più rapidamente possibile per incontrare gli alleati il più a occidente possibile; l'obiettivo primario restava però la presa di Berlino senza la quale l'occupazione della zona non sarebbe potuta essere rapida.

I sergenti Meliton Kantaria e Michail Egorov, posano sorridenti imbracciando i loro fucili mitragliatori PPŠ-41, dopo la conquista del palazzo del Reichstag a Berlino.

L'offensiva per catturare la Germania dell'Est e Berlino incominciò il 16 aprile con un assalto alle linee tedesche lungo i fiumi Oder e Neisse. Dopo molti giorni di intensi combattimenti il 1. Fronte Ucraino e il 1. Fronte Bielorusso penetrarono in più punti attraverso la difesa tedesca e si fecero strada nella Germania orientale. Il 24 aprile elementi dei due Fronti avevano completato l'accerchiamento di Berlino. Il 25 aprile il 2. Fronte Bielorusso sfondò la linea a sud di Stettino, proseguendo a ovest verso la 21. Armata Britannica e a nord verso il porto di Stralsund. La 58. Divisione Sovietica delle Guardie si incontrò con la 69. Divisione di Fanteria della Prima Armata statunitense vicino a Torgau, sul fiume Elba.

Il 30 aprile, l'Armata Rossa si fece strada nel centro di Berlino, Adolf Hitler sposò Eva Braun e poi si suicidò ingerendo del cianuro e sparandosi. Helmuth Weidling, il comandante della difesa di Berlino annunciò la resa della città ai sovietici il 2 maggio. Complessivamente le operazioni a Berlino (dal 16 aprile all'8 maggio) costarono all'Armata Rossa 361.367 caduti (tra morti, dispersi e feriti) e 1.997 fra carri armati e cannoni; le perdite tedesche in questo periodo sono impossibili da calcolare con certezza.

Carri sovietici T-34/85 della 4ª Armata carri della Guardia avanzano verso Dresda e Praga all'inizio di maggio 1945.

Alle 02:41 del 7 maggio 1945, a Reims, al quartier generale supremo delle forze alleate, il generale tedesco Alfred Jodl, vice-capo di stato maggiore dell'alto comando della Wehrmacht firmò la resa incondizionata di tutte le forze tedesche agli Alleati. Tale dichiarazione affermava che "tutte le forze sotto controllo tedesco cesseranno tutte le operazioni in corso alle ore 23.01 dell'8 maggio 1945".

Il giorno successivo, 8 maggio 1945, poco prima di mezzanotte, un nuovo documento di resa fu firmato personalmente dal feldmaresciallo Wilhelm Keitel, capo di Stato maggiore dell'OKW, a Berlino, nel quartier generale di Žukov, alla presenza del maresciallo sovietico e dei rappresentanti alleati. Stalin aveva richiesto, per sottolineare il ruolo determinante dell'Armata Rossa nella vittoria sulla Germania, una nuova cerimonia solenne di resa direttamente nella capitale del nemico di fronte al comandante supremo delle forze sovietiche. La guerra in Europa era finita.

Nell'Unione Sovietica il giorno della fine della guerra viene considerato il 9 maggio, quando la resa avvenne secondo il fuso orario di Mosca. Tale data viene celebrata come festa nazionale, Giorno della Vittoria, o День Победы nella Federazione Russa e nelle altre repubbliche ex-Sovietiche. Alcune armate tedesche rifiutarono di arrendersi e continuarono a combattere in Cecoslovacchia tenendo la capitale Praga fino all'11 maggio 1945.

Perdite umane e materiali[modifica | modifica wikitesto]

I sovietici sotterrano i propri caduti, luglio 1944.

Degli oltre 70 milioni di morti (stimati) causati dalla seconda guerra mondiale, oltre 30 milioni,[6] in maggioranza civili, si registrarono sul fronte orientale. I combattimenti coinvolsero milioni di militari dell'Asse e sovietici lungo il fronte più esteso di tutta la storia militare. È stato senza ombra di dubbio il teatro di guerra più sanguinoso della porzione europea del secondo conflitto mondiale, con un numero di militari morti che oscilla fra gli 8,7 e oltre 10 milioni per i soli sovietici (dei quali fra i 1,3 e i 3,6 milioni morirono in prigionia tedesca).[50][51][52]

Le perdite dell'Asse ammontarono a oltre 5,2 milioni di morti tra i militari (800 000 dei quali in prigionia)[53] Inclusi nella cifra sono la maggioranza dei 2 milioni di militari tedeschi dispersi. Rüdiger Overmans afferma che sembra plausibile che la metà di questi uomini sia stata uccisa in azione e l'altro milione sia morto durante la cattività sovietica.[54] Le forze armate tedesche subirono nel fronte orientale l'80% di tutte le perdite della guerra.[55]

Perdite militari sul fronte orientale della seconda guerra mondiale[56]
Forze combattenti per l'Asse
Totali morti KIA/MIA Prigionieri catturati dai sovietici Morti in prigionia
Germania nazista 4 300 000 4 000 000 3 300 000 374 000
Cittadini sovietici arruolati nell'esercito tedesco 215 000+ 215 000 1 000 000 Sconosciuti
Romania 281 000 81 000 500 000 55 000
Ungheria 300 000 100 000 500 000 55 000
Italia 82 000 32 000 70 000 27 000
Finlandia[57] 63 204 54 188 3 500 473
Totale 5 241 000+ 4 482 000 5 453 500 510 473
Perdite militari sul fronte orientale della seconda guerra mondiale[4]
Forze combattenti con i sovietici
Totale morti KIA/MIA Prigionieri catturati dall'Asse Morti in prigionia
Unione Sovietica 10 600 000 7 000 000 5 200 000 3 600 000
Polonia 24 000 24 000 Sconosciuti Sconosciuti
Romania 17 000 17 000 80 000 Sconosciuti
Bulgaria 10 000 10 000 Sconosciuti Sconosciuti
Totale 10 651 000 7 051 000 5 280 000 3 600 000

In termini di perdite materiali, i tedeschi persero 33.324 carri armati, cacciacarri e cannoni d'assalto sul fronte orientale dal 22 giugno 1941 fino a novembre 1944 (i due terzi circa di tutte le perdite di carri e cannoni d'assalto durante la guerra)[58][59]. In totale, i tedeschi persero 42.700 carri armati, cacciacarri e cannoni sul fronte orientale[60] mentre i sovietici ne persero 96.500.[61]

I sovietici persero inoltre 102 600 aerei (per via dei combattimenti o per altre cause), di cui 46 100 in combattimento,[62] mentre i tedeschi persero ~16 000 aerei in combattimento (11 140 dal 1941 al 1944, contro i 39 000 persi dai sovietici in combattimento nello stesso periodo).[63] In totale, i tedeschi persero 75 700 aerei sul fronte orientale.[60]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ C. Bellamy, Guerra assoluta, p. 14.
  2. ^ E. Bauer, Storia controversa della seconda guerra mondiale, vol. V, p. 54.
  3. ^ D. Glanz/J. House, When titans clashed, p. 292.
  4. ^ a b Vadim Erlikman, Poteri narodonaseleniia v XX veke: spravochnik. Mosca 2004. ISBN 5-93165-107-1; Mark Axworthy, Third Axis Fourth Ally. Arms and Armour 1995, p. 216. ISBN 1-85409-267-7
  5. ^ C. Bellamy, Guerra assoluta, pp. 14-15.
  6. ^ a b c Secondo G. I. Krivosheev. (Soviet Casualties and Combat Losses. Greenhill 1997 ISBN 1-85367-280-7), sul fronte orientale i Paesi dell'Asse e i co-belligeranti della Germania nazista subirono 1.468.145 perdite irrecuperabili (di cui 668.163 KIA/MIA), mentre la sola Germania registrò ben 7.181.100 morti (di cui 3.604.800 KIA/MIA); i prigionieri di guerra morti nei campi di prigionia sovietici furono 579.900. Quindi, in totale l'Asse ebbe 4,8 milioni di KIA/MIA sul fronte orientale negli anni 1941–1945, ovvero più della metà di tutte le perdite subite dall'Asse nel corso di tutta la guerra su qualsiasi fronte (incluso il teatro asiatico/pacifico). L'URSS ebbe 10,5 milioni di morti tra i militari (inclusi i prigionieri di guerra morti nei campi tedeschi secondo Vadim Erlikman. Poteri narodonaseleniia v XX veke: spravochnik Moscow 2004. ISBN 5-93165-107-1), quindi il numero totale di militari morti (USSR e Asse) ammonterebbe a 15 milioni, cifra molto maggiore di qualsiasi altro teatro di guerra. Sempre secondo la stessa fonte, il totale dei civili sovietici morti all'interno dei confini del dopoguerra ammonterebbe a 15,7 milioni. Il numero di altri civili dell'Europa centrale o tedeschi non sono inclusi nella stima.
  7. ^ D. Glanz/J. House, When titans clashed, p. 284.
  8. ^ C. Bellamy, Guerra assoluta, p. 5.
  9. ^ German losses according to: Rüdiger Overmans, Deutsche militärische Verluste im Zweiten Weltkrieg. Oldenbourg 2000. ISBN 3-486-56531-1, pp. 265, 272
  10. ^ Glantz/House, p. 39.
  11. ^ Collotti, p. 42.
  12. ^ Collotti, p. 43.
  13. ^ Collotti, p. 44.
  14. ^ Collotti, pp. 45-46.
  15. ^ Chapoutot, pp. 304-306.
  16. ^ Bellamy, p. 60.
  17. ^ a b Overy, p. 58.
  18. ^ Overy, pp. 60-65.
  19. ^ Bellamy, pp. 69-70.
  20. ^ Bellamy, p. 68.
  21. ^ Overy, pp. 66-67.
  22. ^ a b Overy, p. 71.
  23. ^ Overy, p. 75.
  24. ^ Overy, pp. 76-77.
  25. ^ Overy, p. 72.
  26. ^ Overy, pp. 74-75.
  27. ^ Glantz/House, p. 53.
  28. ^ Overy, pp. 77-78.
  29. ^ G. Boffa, Storia dell'Unione Sovietica, vol. 3, p. 187.
  30. ^ M. Djilas, La guerra rivoluzionaria jugoslava, p. 102.
  31. ^ In Morte di un'armata di Peter Antill, Osprey Publishing.
  32. ^ a b D. Irving, La guerra di Hitler, Ed. Settimo Sigillo 2001.
  33. ^ D. Glantz/J. House, Endgame at Stalingrad, book one: november 1942, pp. 378-379.
  34. ^ J. Erickson, The road to Stalingrad, Cassel 1975 e The road to Berlin, Cassel 1983; A. Beevor, Stalingrado, Rizzoli 1998; A.M. Samsonov, Stalingrado, fronte russo, 1964.
  35. ^ a b D. Glantz e J. House, When Titans Clashed, 1995.
  36. ^ a b c d e J. Erickson, The road to Berlin, Cassel, 1983.
  37. ^ G. Scotoni, L'Armata Rossa e la disfatta italiana, Ed. Panorama 2007.
  38. ^ Vincenzo di Michele, Io prigioniero in Russia, 2011 La Stampa, p. 80
  39. ^ J. Erickson, The road to Berlin, Cassel, 1983, P. Carell, Terra bruciata, Rizzoli, 2000.
  40. ^ AA.VV., 'Germany and the second world war, volume VI:the global war', Oxford press 1991 (traduzione in inglese dell'originale tedesco).
  41. ^ P. Carell, Terra bruciata, Rizzoli, 2000; J. Erickson, The road to Berlin, Cassel, 1983.
  42. ^ AA.VV., In marcia verso Stalingrado, serie 'Il Terzo Reich', Hobby&Work, 1993.
  43. ^ In "Decision in the Ucraine - Summer 1943" di George M. Nipe Jr, dal diario di guerra del II SS Panzerkorps.
  44. ^ In "Vittorie perdute", di Erich Von Manstein
  45. ^ In "Panzer general" di Heinz Wilhelm Guderian
  46. ^ D. Glantz 'From the Don to the Dniepr', 1991.
  47. ^ D. Glantz, From the Don to the Dniepr, 1991; J. Erickson, The road to Berlin, Cassell 1983.
  48. ^ J. Erickson, The road to Berlin, Cassell 1983.
  49. ^ J. Erickson, The road to Berlin, Cassel 1983; P. Carell, Terra bruciata, Rizzoli 2000.
  50. ^ Krivosheev, G.F., ed. (1997). Soviet Casualties and Combat Losses in the Twentieth Century. London: Greenhill Books. ISBN 1-85367-280-7. page 85
  51. ^ Nazi Persecution of Soviet Prisoners of War, su Holocaust Encyclopedia, United States Holocaust Memorial Museum. URL consultato il 15 giugno 2011.
  52. ^ Richard Overy, The Dictators
  53. ^ Perdite tedesche secondo: Rüdiger Overmans, Deutsche militärische Verluste im Zweiten Weltkrieg. Oldenbourg 2000. ISBN 3-486-56531-1, pp. 265, 272
  54. ^ Rüdiger Overmans. Deutsche militärische Verluste im Zweiten Weltkrieg. Oldenbourg 2000. ISBN 3-486-56531-1 p. 289
  55. ^ William J. Duiker, The Crisis Deepens: The Outbreak of World War II, in Contemporary World History, sixth, Cengage Learning, 2015, p. 128, ISBN 978-1-285-44790-2.
  56. ^ Rüdiger Overmans, Deutsche militärische Verluste im Zweiten Weltkrieg. Oldenbourg 2000. ISBN 3-486-56531-1, Richard Overy The Dictators: Hitler's Germany and Stalin's Russia (2004), ISBN 0-7139-9309-X, Italy: Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Commissariato generale C.G.V. Ministero della Difesa – Edizioni 1986, Romania: G. I. Krivosheev (2001). Rossiia i SSSR v voinakh XX veka: Poteri vooruzhennykh sil; statisticheskoe issledovanie. OLMA-Press. pp. Tables 200–203. ISBN 5-224-01515-4, Hungary: G. I. Krivosheev (2001). Rossiia i SSSR v voinakh XX veka: Poteri vooruzhennykh sil; statisticheskoe issledovanie. OLMA-Press. pp. Tables 200–203. ISBN 5-224-01515-4.
  57. ^ Kurenmaa, Pekka; Lentilä, Riitta (2005). "Sodan tappiot". In Leskinen, Jari; Juutilainen, Antti. Jatkosodan pikkujättiläinen (in finlandese) (1ª ed.). Werner Söderström Osakeyhtiö. pp. 1150–1162. ISBN 951-0-28690-7.
  58. ^ Paul Winter. "Defeating Hitler: Whitehall's Secret Report on Why Hitler Lost the War". 13 ottobre 2012
  59. ^ P. Chamberlain, H Doyle, T Jentz, Encyclopedia of German Tanks of WWII, Arms and Armour Press, London, 1978, appendix VII, pp. 261-262.
  60. ^ a b Warfare and Armed Conflicts: A Statistical Encyclopedia of Casualty and Other Figures, 1492-2015, 4th ed. Micheal Clodfelter. ISBN 078647470X, ISBN 9780786474707, p. 449
  61. ^ G. I. Krivosheev, Soviet Casualties and Combat Losses, Greenhill, 1997, p. 253, ISBN 1-85367-280-7.
  62. ^ G. I. Krivosheev, Soviet Casualties and Combat Losses, Greenhill, 1997, pp. 359–360, ISBN 1-85367-280-7.
  63. ^ Estimate given by historian Richard Anderson, former researcher of the Dupuy Institute. 14 March 2007.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Omer Bartov, L'esercito di Hitler. Soldati, nazisti e guerra nel Terzo Reich, Milano, Swan, 1996 [1992], ISBN 88-86464-06-1.
  • Omer Bartov, Fronte orientale. Le truppe tedesche e l'imbarbarimento della guerra (1941-1945), Bologna, il Mulino, 2003 [2001], ISBN 88-15-09091-6.
  • Johann Chapoutot, La legge del sangue. Pensare e agire da nazisti, Torino, Einaudi, 2016 [2014], ISBN 978-88-06-22712-8.
  • Chris Bellamy, Guerra assoluta. La Russia sovietica nella seconda guerra mondiale, Torino, Einaudi, 2010 [2007], ISBN 978-88-06-19560-1.
  • Robert M. Citino, 1942. L'arresto della Wehrmacht, Gorizia, LEG, 2020 [2017], ISBN 978-88-6102-638-4.
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  • Enzo Collotti, L'Europa nazista. Il progetto di un nuovo ordine europeo (1939-1945), Firenze, Giunti, 2002, ISBN 88-09-01873-7.
  • John Erickson, Storia dello Stato maggiore sovietico, Milano, Feltrinelli, 1963 [1961], ISBN non esistente.
  • David M. Glantz e Jonathan M. House, La grande guerra patriottica dell'Armata Rossa 1941-1945, Gorizia, LEG, 2019, ISBN 978-88-6102-485-4.
  • Richard Overy, Russia in guerra 1941-1945, Milano, Il Saggiatore, 2003 [1997], ISBN 88-515-2090-9.
  • John Wheeler-Bennett, La nemesi del potere. Storia dello Stato maggiore tedesco dal 1918 al 1945, Milano, Feltrinelli, 1967 [1954], ISBN non esistente.

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