Terza battaglia di Char'kov

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Terza battaglia di Char'kov
parte del Fronte orientale della seconda guerra mondiale
Le truppe corazzate delle Waffen-SS entrano nei sobborghi di Char'kov.
Data19 febbraio – 23 marzo 1943
LuogoChar'kov, Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, URSS
Esitovittoria tedesca
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
circa 230.000 uomini e circa 400 carri armati[1][2]circa 500.000 uomini e circa 1.300 carri armati (totale delle forze impiegate nelle operazioni "Galoppo" , "Stella" e nella controffensiva tedesca)[3]
Perdite
12.500 tra morti, feriti e dispersi[4]86.569 tra morti, feriti, prigionieri e dispersi e 870 carri armati[5][6][7]
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La terza battaglia di Char'kov[8] venne combattuta dal 19 febbraio al 23 marzo 1943 sul fronte orientale nel corso della seconda guerra mondiale.

Fu l'ultima grande vittoria tedesca del conflitto; i tedeschi, al comando del feldmaresciallo Erich von Manstein, riuscirono nella prima fase della controffensiva a tagliare fuori e distruggere le punte avanzate sovietiche che marciavano verso il Dniepr e il mare d'Azov e, in una seconda fase della battaglia, riconquistarono l'importante città di Char'kov dopo una serie di scontri tra mezzi corazzati e di violenti combattimenti per le strade cittadine, riuscendo ad arrestare l'offensiva invernale russa e sbarrando temporaneamente le porte dell'Ucraina.

Un ruolo fondamentale nel complesso di scontri nel settore meridionale del fronte orientale venne svolto dal II. SS-Panzerkorps delle Waffen-SS, giunto di rinforzo dalla Francia dopo essere stato completamente riequipaggiato, in cooperazione con le numerose Panzer-Division della Wehrmacht già in combattimento da molte settimane e molto provate dalle continue battaglie invernali.

La riconquista della grande città ucraina di Char'kov segnò la vittoriosa conclusione dell'abile e riuscita controffensiva guidata dal feldmaresciallo von Manstein sullo scacchiere meridionale del fronte orientale per fermare l'apparentemente inarrestabile offensiva generale sovietica seguita alla battaglia di Stalingrado.

Fronte sovietico, inverno 1942-1943[modifica | modifica wikitesto]

L'inizio dell'anno 1943 sul Fronte orientale era stato caratterizzato da una serie quasi ininterrotta di vittorie dell'Armata Rossa: mentre il raggruppamento tedesco del generale Friedrich Paulus, accerchiato nella grande sacca di Stalingrado fin dal 23 novembre 1942, stava subendo l'attacco finale delle truppe sovietiche che si sarebbe concluso il 2 febbraio 1943 con la resa dei superstiti della 6. Armee, il raggruppamento tedesco del feldmaresciallo Ewald von Kleist, avventuratosi nel Caucaso, batteva in ritirata a partire dal 30 dicembre 1942 per evitare un nuovo, gigantesco accerchiamento. Inoltre il fronte dell'Asse nel settore del Don era crollato dopo la disfatta delle armate italiane, dal 16 dicembre 1942, e di quelle ungheresi dal 12 gennaio 1943; un enorme varco di centinaia di chilometri era aperto all'avanzata sovietica; Stalin e i suoi generali erano assolutamente determinati a sfruttare la favorevole situazione.

Il 29 gennaio 1943, ancor prima dell'inizio dell'operazione Stella, sferrata dalle forze del Fronte di Voronež del generale Filipp Ivanovič Golikov, in direzione di Kursk e Char'kov, il Fronte Sud-Ovest del generale Nikolaj Fëdorovič Vatutin era passato all'offensiva generale nel settore del Donec con l'obiettivo di travolgere definitivamente le forze residue del Gruppo d'armate Don del feldmaresciallo Erich von Manstein, arrivare al fiume Dniepr, liberare l'importante bacino carbonifero del Donec e raggiungere, con un'ampia manovra d'aggiramento, anche il Mar Nero nella zona di Mariupol', tagliando fuori in questo modo l'intero schieramento meridionale tedesco. Ebbe quindi inizio l'ambiziosa operazione Galoppo (Skačok in russo) che avrebbe dovuto completare la vittoria sovietica nella campagna invernale.[9][10]

Il generale Filipp Golikov, il comandante del Fronte di Voronež

Le forze a disposizione del generale Vatutin, in realtà parzialmente logorate da oltre due mesi di offensiva ininterrotta, consistevano in quattro armate e un gruppo corazzato autonomo al comando del generale Markian Michajlovič Popov, in cui erano stati raggruppati quattro corpi corazzati sovietici: il 4º Corpo corazzato delle guardie, il 3º, il 10º ed il 18º Corpo corazzato, con circa 180 carri armati in totale[11][12]; queste unità mobili avrebbero costituito la massa d'urto principale per l'avanzata in profondità. Nel complesso le forze disponibili del Fronte Sud-Ovest erano numericamente piuttosto deboli (circa 325.000 uomini e 360 carri armati[13]), ma Stalin e l'Alto comando sovietico contavano su un indebolimento irreversibile, organizzativo e anche morale, delle residue forze tedesche e quindi speravano di incontrare solo una resistenza di retroguardie impegnate a coprire la ritirata generale tedesca dietro il Dniepr[14]; i piani dello Stavka erano grandiosi e prevedevano addirittura di annientare in Ucraina 75 divisioni tedesche.

Contemporaneamente alla marcia del "Gruppo meccanizzato Popov" sul Mar Nero, il Fronte Sud-Ovest avrebbe organizzato una seconda massa di manovra costituita dalla 6ª armata rinforzata con due corpi corazzati - il 1º Corpo corazzato delle guardie e il 25º Corpo corazzato con altri 300 carri armati[13] - che sarebbe stata raggruppata sulla destra con l'obiettivo di avanzare rapidamente fino al Dniepr tra Zaporož'e e Dnepropetrovsk, tagliando fuori in questo modo tutte le truppe tedesche presenti nel Donbas e nel Kuban'. Inoltre il Fronte Meridionale del generale Rodion Jakovlevič Malinovskij avrebbe continuato i suoi ripetuti attacchi in direzione di Rostov per impedire il ripiegamento dal Caucaso della 1. Panzerarmee, facente parte del Gruppo d'armate A del feldmaresciallo von Kleist. Nel quartier generale sovietico, dopo le continue vittorie, era presente grande ottimismo e gli stessi servizi d'informazione dell'Armata Rossa pronosticavano una sicura ritirata tedesca per cercare di raggiungere il Dniepr, abbandonando interamente il Caucaso e il Donbas.[15].

Il feldmaresciallo Erich von Manstein, comandante del Gruppo d'armate Sud.

Il grande ottimismo dei generali sovietici sembrava del resto pienamente giustificato dalla difficile situazione in cui si trovavano i tedeschi all'inizio di febbraio 1943: il Gruppo d'armate B aveva subito disastrose sconfitte sia sull'Alto Don sia a Voronež e ripiegava verso Kursk e Char'kov, in attesa dell'arrivo del II SS-Panzerkorps dall'ovest. La difesa della linea del Donec, obiettivo dell'offensiva del generale Vatutin, era affidata al debole "Distaccamento Fretter-Pico", ridotto a tre piccole divisioni di fanteria ed a due esauste divisioni corazzate, la 19. Panzer-Division e la 27. Panzer-Division con solo 22 mezzi corazzati tra tutte e due[16].

Il feldmaresciallo von Manstein, inoltre, era contemporaneamente impegnato a mantenere aperta, servendosi della 4. Panzerarmee del generale Hermann Hoth, rinforzata dall'esperta 11. Panzer-Division con 28 carri armati e dalla 16ª Divisione motorizzata con solo 10 mezzi corazzati, la via di uscita di Rostov per il deflusso delle truppe del Gruppo d'armate A in ritirata dal Caucaso, e a sbarrare il Donec nella regione di Vorošilovgrad con l'impiego, a rinforzo del "Distaccamento Hollidt", delle eccellenti 6. Panzer-Division - con 70 panzer - e 7. Panzer-Division, dotata ancora di 41 carri armati[17], che cercavano di mantenere il contatto sulla loro sinistra con le divisioni del generale Maximilian Fretter-Pico.

Fortunatamente per i tedeschi la 1. Panzerarmee al comando del generale Eberhard von Mackensen, con il XXXX. Panzerkorps formato dalla 3. Panzer-Division e dalla 5. SS-Panzer-Division "Wiking", stava completando il ripiegamento dal Caucaso attraverso Rostov e avrebbe potuto assumere la difesa tedesca sulla linea del Donec, rinforzando i gruppi "Fretter-Pico" e "Hollidt". A questo scopo era nei piani del feldmaresciallo von Manstein, non appena completata la ritirata dal Caucaso (il che avvenne il 7 febbraio), spostare la 4. Panzerarmee del generale Hoth a nord del Don, sulla sinistra della 1. Panzerarmee, per proteggere la linea del Dniepr, ripiegare il "Gruppo Hollidt" dietro la linea del fiume Mius sulla cosiddetta posizione "Maulwulf" per guadagnare tempo, e ridistribuire le divisioni corazzate disimpegnate da queste manovre, per sbarrare la strada ai corpi corazzati sovietici[18][19]

Operazione Galoppo[modifica | modifica wikitesto]

Avanzata dell'Armata Rossa[modifica | modifica wikitesto]

Il generale Pavel Pavlovič Polubojarov, comandante del 4º Corpo corazzato delle guardie, insieme agli equipaggi dei mezzi corazzati.

L'inizio dell'Operazione Galoppo ebbe pieno successo: le armate sovietiche sfondarono le precarie linee tedesche sia nella regione di Vorošilovgrad, con le truppe della 3ª Armata delle guardie, sia sul Donec, nella zona di Izjum con le forze della 1ª Armata delle guardie e della 6ª Armata. Il "gruppo meccanizzato Popov" venne subito lanciato in profondità sulla direttrice Slavjansk-Stalino-Mariupol' (3 febbraio), con l'obiettivo di raggiungere la costa del Mare d'Azov. Nello stesso tempo le due armate sul Donec marciavano verso il fiume Dniepr, precedute dalla rapidissima avanzata del 1º Corpo corazzato delle guardie e del 25º Corpo corazzato.[20] In questa regione si apriva il vuoto davanti ai carri armati sovietici, le difese tedesche nel settore compreso tra il II. SS-Panzerkorps a nord e la 1. Panzerarmee a sud essendo praticamente inesistenti, mentre il feldmaresciallo von Manstein si impegnò inizialmente soprattutto a cercare di arrestare il "gruppo meccanizzato Popov", contrattaccando subito a Slavjansk con il III. Panzerkorps del generale Hermann Breith, appena arrivato dal Caucaso e costituito raggruppando la 7., 19. e 3. Panzer-Division, rinforzato rapidamente anche dal XXXX. Panzerkorps del generale Sigfrid Henrici con la 11. Panzer-Division del generale Hermann Balck, trasferita precipitosamente a nord del Don, e la SS "Wiking"[21].

Dal 4 febbraio all'11 febbraio infuriarono nell'area di Slavjansk scontri confusi dall'esito alterno tra i corpi corazzati sovietici del "gruppo Popov", sceso a 145 carri in azione, e le Panzer-Division; il 6 febbraio il 4º Corpo corazzato delle guardie sorprese i mezzi anticarro della 11. Panzer-Division nel villaggio di Druckova ma a Slavjansk la 7. Panzer-Division del generale Hans von Funck riuscì a respingere tutti gli attacchi sovietici mentre le altre formazioni del XXXX. Panzerkorps guadagnarono tempo fermando l'avanzata del 3º Corpo corazzato.[22]. Stalin e lo Stavka erano consapevoli dell'importanza di affrettare i tempi per non dare modo ai tedeschi di completare i loro raggruppamenti; il generale Vatutin ricevette quindi l'ordine di riprendere subito l'avanzata nelle retrovie nemiche in direzione di Krasnoarmejskoe. Con una rischiosa manovra aggirante, i mezzi corazzati del 4º Corpo corazzato delle guardie del generale Pavel Pavlovič Polubojarov raggiunsero l'11 febbraio Krasnoarmejskoe, dopo aver superato la resistenza della 11. Panzer-Division, e misero in pericolo le retrovie tedesche[23].

Un Panzer IV tedesco in azione nell'inverno 1942-43.

Il contrattacco immediato della esausta SS "Wiking" e di una parte della 333. Divisione fanteria, condotto da forze troppo deboli, venne facilmente respinto dai sovietici e quindi il feldmaresciallo von Manstein tentò di tagliare fuori le unità corazzate nemiche arrivate a Krasnoarmejskoe. Ulteriori aspri scontri si svilupparono nella steppa innevata; il kampfgruppe Balck, costituito, sotto il comando del generale Balck, con elementi della 7. e della 11. Panzer-Division, avanzò il 12 e il 13 febbraio nelle retrovie sovietiche dopo aver respinto il 10º Corpo corazzato, ma il 14 febbraio venne fermato e ricevette l'ordine di ripiegare[24]. Il 16 febbraio le unità del "Gruppo Popov" ripresero contatto a Krasnoarmejskoe con il 4º Corpo corazzato delle guardie che, ridotto a 17 carri armati, aveva continuato a respingere i contrattacchi della SS "Wiking". Nonostante questi successi, la situazione dell'intero "Gruppo meccanizzato Popov", molto avanzato rispetto alle altre armate sovietiche e sceso a 13.000 e 53 mezzi corazzati ancora efficienti[25], rimaneva pericolosa[26].

Nel frattempo più a sud il "gruppo Hollidt" stava completando il suo difficile ripiegamento sulla posizione "Maulwulf" (linea del fiume Mius) sotto la pressione del nemico; i sovietici spinsero subito avanti il 7º Corpo di cavalleria che penetrò le deboli linee tedesche a sud di Vorošilovgrad e avanzò 50 chilometri a ovest della linea "Maulwulf" ancor prima che fosse stata raggiunta dal "gruppo Hollidt". La cavalleria sovietica raggiunse Debal'ceve, ma venne contrattaccata dalla 7. Panzer-Division e tagliata fuori dalla 6. Panzer-Division. Dopo un'accanita e prolungata resistenza, le truppe sovietiche accerchiate a Debal'ceve vennero eliminate, mentre già in precedenza la 6. e la 7. Panzer-Division erano ripartite verso nord per rafforzare la 4. Panzerarmee e la 1. Panzerarmee, impegnate nei duri scontri con il fronte del generale Vatutin.[27] Sul Mius, le truppe sovietiche del Fronte meridionale del generale Malinovskij attaccarono subito secondo gli intendimenti di Stalin e dello Stavka che, sempre convinti di una ritirata generale tedesca, premevano a favore di un proseguimento offensivo per non allentare la pressione sul nemico; il "gruppo Hollidt" si trovò in difficoltà e inizialmente cedette terreno; i sovietici del 4º Corpo meccanizzato delle guardie costituirono una pericolosa testa di ponte sul Mius a Mateev Kurgan il 17 febbraio, ma ben presto la 16ª Divisione motorizzata e la 23. Panzer-Division passarono al contrattacco e tagliarono fuori le truppe sovietiche[28].

La situazione più pericolosa per il feldmaresciallo von Manstein, tuttavia, rimaneva nella sua ala settentrionale dove stava affluendo la 4. Panzeramee: la 6ª Armata sovietica del generale Kharitonov, costituita dal 15º Corpo di fucilieri e dal 4º Corpo di fucilieri delle guardie, avanzava velocemente con l'obiettivo di raggiungere prima Zaporož'e e poi Melitopol. La 6ª Armata, era stata rinforzata da una parte della 1ª Armata delle guardie che contemporaneamente era schierata tra Slavjansk e Nizne Gorskoe e aveva anche inviato altri reparti in sostegno del "Gruppo Popov"[29]. Le unità mobili del Fronte Sud-Ovest, 25º Corpo corazzato, 1º Corpo corazzato delle guardie e 1º Corpo di cavalleria delle guardie, erano diminuite di numero dopo i primi giorni a causa soprattutto di danni meccanici e avarie, ma continuavano ad avanzare alla massima velocità verso il Dniepr a Dnepropetrovsk e Zaporož'e, che era anche la sede del Quartier generale del Gruppo d'armate Don. Il 25º Corpo corazzato, con più indietro il 1º Corpo corazzato delle guardie, stava avanzando a oltranza senza preoccuparsi delle retrovie e quasi isolato dal grosso delle truppe sovietiche[30].

La 4. Panzerarmee stava raggruppando il XXXXVIII. Panzerkorps con la 6. e la 17. Panzer-Division a sud di questa audace puntata sovietica e il feldmaresciallo von Manstein intendeva contrattaccare; erano attese dall'ovest alcune divisioni di fanteria fresche e più a nord era disponibile il II. SS-Panzerkorps che, dopo aver abbandonato Char'kov il 16 febbraio, si stava raggruppando a nord di Krasnograd.[31]

La scelta tedesca era tra ritirata generale sul Dniepr o contrattacco: la decisione sarebbe scaturita dai burrascosi colloqui tra il feldmaresciallo von Manstein e Adolf Hitler che, il 17 febbraio, si presentava in persona a Zaporož'e per esaminare la situazione.

Verso un cambiamento della situazione[modifica | modifica wikitesto]

Il Führer arrivava al quartier generale di Zaporož'e con la ferma intenzione di imporre una controffensiva immediata, impegnando in massa il II. SS-Panzerkorps, ora completamente concentrato con tutte e tre le divisioni Waffen-SS, e forse anche deciso a destituire il feldmaresciallo von Manstein; i due si erano già scontrati in precedenza riguardo alla decisione di ripiegare sulla linea del Mius, abbandonando una parte del Donbass di cui Hitler aveva invece sottolineato la fondamentale importanza per l'economia di guerra del Terzo Reich.[32]

Furono tre giorni di estenuanti discussioni, proprio mentre le colonne corazzate sovietiche si avvicinavano pericolosamente, manovrando ad appena una cinquantina di chilometri dal quartier generale tedesco, al termine dei quali Hitler decise di lasciare al comando von Manstein e anche di approvare il piano di operazioni del feldmaresciallo che prevedeva in primo luogo di schiacciare le punte avanzate nemiche in marcia sul Dnepr e il Mare d'Azov, e solo in un secondo momento di risalire a nord per riconquistare Char'kov (Hitler, per motivi propagandistici, avrebbe preferito un immediato contrattacco delle Waffen-SS sulla città ucraina per vendicare la sconfitta subita in precedenza). Il 19 febbraio, allarmato anche dalla vicinanza delle unità di testa del 25º Corpo corazzato sovietico al quartier generale di Zaporož'e, il Führer ripartiva in aereo verso Rastenburg, con grande sollievo di von Manstein, ora libero di condurre l'offensiva come pianificato.[33] Anche i fattori climatici avevano convinto Hitler della validità dei piani del feldmaresciallo: essendo imminente il disgelo, con conseguente difficoltà nei movimenti delle formazioni meccanizzate, era fondamentale attaccare prima a sud, dove la rasputiza (il periodo del fango) arrivava prima e solo in un secondo tempo a nord dove il disgelo sarebbe stato più tardivo.[34]

Il feldmaresciallo von Manstein incontra Hitler al suo quartier generale di Zaporož'e il 17 febbraio 1943.

La situazione della Germania era realmente critica mentre le unità corazzate di punta sovietiche si avvicinavano a Zaporož'e e Dnepropetrovsk; contemporaneamente altre formazioni dell'Armata Rossa marciavano per raggiungere Stalino e Mariupol, attaccavano la linea del Mius; avanzavano su Poltava dopo aver liberato Kursk e Char'kov e premevano anche su Orël (il Fronte di Brjansk del generale Maks Reiter aveva attaccato già il 12 febbraio)
Il 18 febbraio 1943 Joseph Goebbels pronunciava a Berlino il suo celebre discorso sulla "Guerra totale", in cui galvanizzò, con la sua consumata abilità oratoria, l'uditorio di gerarchi nazisti con visioni di apocalittiche battaglie finali, di guerra a oltranza per la salvezza del popolo tedesco, di mobilitazione generale a fianco del Führer. Il 19 febbraio, lo stesso Hitler, dopo aver abbandonato Zaporož'e, diramava un ordine del giorno alle truppe pronte per la controffensiva, sottolineando l'importanza decisiva della loro missione.[35]

Mentre proseguiva l'apparentemente inarrestabile offensiva invernale sovietica, un sentimento di grande fiducia regnava nei Quartier generali dell'Armata Rossa e lo stesso Stalin stava ulteriormente ampliando le dimensioni e gli scopi dell'offensiva generale (anche se nel suo discorso del 23 febbraio parlò di "guerra appena cominciata"[36] e nelle comunicazioni con i leader alleati mostrava maggiore prudenza sollecitando invece una ripresa dell'offensiva anglosassone in Tunisia per alleviare il peso dell'Armata Rossa - si era invece proprio nei giorni dell'umiliante sconfitta statunitense a Kasserine.[37])[36]

La situazione sembrava straordinariamente favorevole: le colonne di testa sovietiche erano a portata dei grandi obiettivi strategici che avrebbero potuto decidere l'esito dell'intera guerra; il nemico sembrava battere in ritirata in tutti i settori. La ricognizione aerea individuò la concentrazione nemica in corso di costituzione intorno a Krasnograd e anche i grandi movimenti di mezzi corazzati tedeschi da sud in direzione di Krasnoarmeskoje, ma queste manovre vennero interpretate dal generale Vatutin e dallo stato maggiore del Fronte Sud-Ovest, come operazioni tattiche per proteggere con le residue riserve corazzate la ritirata generale dell'esercito tedesco a ovest del Dniepr[30].

Convinto della decisione tedesca di abbandonare il Donbas e di ripiegare volontariamente dietro il Dniepr, Stalin decise quindi di organizzare ulteriori offensive contro il Gruppo d'armate Centro, impegnando il vecchio Fronte del Don di Konstantin Konstantinovič Rokossovskij (appena reduce da Stalingrado), che si sarebbe inserito tra i fronti di Golikov e di Reiter, per puntare su Sevsk, Brjansk e Smolensk. L'offensiva era stata prevista inizialmente per il 15 febbraio, ma insormontabili difficoltà logistiche avrebbe costretto ad un rinvio fino al 25 febbraio, quando già la situazione a sud stava degenerando a sfavore dei sovietici.[38]

Carta delle operazioni durante la controffensiva tedesca tra febbraio e marzo 1943.
Le forze meccanizzate tedesche si preparano alla controffensiva invernale.

Fu un grave errore di sottovalutazione di Stalin condiviso in gran parte da quasi tutti i generali sovietici; in realtà le colonne sovietiche, che marciavano instancabili sempre più in avanti, si stavano pericolosamente indebolendo in quanto il sostegno logistico era ormai assolutamente inadeguato e le carenze di rifornimento stavano crescendo. Solo le unità di punta erano in azione mentre lunghe colonne (spesso a piedi) si trascinavano dietro nella steppa innevata.[39] I mezzi corazzati in azione stavano costantemente diminuendo (il gruppo meccanizzato Popov era ridotto a 53 carri armati, divisi tra i suoi quattro corpi corazzati; mentre il 1º Corpo corazzato delle guardie e il 25º Corpo corazzato ne contavano insieme 150; la 3ª Armata corazzata del fronte di Golikov, dopo la sua vittoria a Char'kov, era scesa a 110 carri il 18 febbraio), a causa delle perdite, della scarsità di rimpiazzi e dalle carenze delle officine mobili di riparazione, soprattutto nel fronte di Vatutin.[40]

I sovietici, inoltre, continuando ad avanzare, sguarnivano sempre più i fianchi, esposti per decine di chilometri a possibili attacchi del nemico che stava raggruppando opportunamente le sue divisioni corazzate e riguadagnava la superiorità numerica locale: il II. SS-Panzerkorps a nord disponeva di quasi 200 veicoli corazzati, tra cui alcuni carri pesanti Tiger[41] mentre la 6. e la 17. Panzer-Division, assegnate al XXXXVIII. Panzerkorps a sud, contavano su circa 80 carri armati; il gruppo Popov stava per essere attaccato dai 150 carri armati del XXXX. Panzerkorps.[42] Il generale Vatutin in particolare, ma anche i generali Golikov e Malinovskij, non segnalarono a sufficienza questi pericoli all'Alto comando sovietico che, da parte sua, si limitò a incitare energicamente a continuare l'avanzata a tutti i costi.[36]

Il 19 febbraio 1943 il feldmaresciallo von Manstein, dopo aver completato il complicato rischieramento delle sue limitate forze, scatenava la sua abile controffensiva manovrata, che avrebbe ribaltato la situazione e dimostrato la notevole capacità strategico-operativa del comandante tedesco.

La controffensiva tedesca[modifica | modifica wikitesto]

Distruzione delle colonne avanzate sovietiche[modifica | modifica wikitesto]

Carri armati Panzer III, durante la Terza battaglia di Char'kov.

Il piano del feldmaresciallo von Manstein prevedeva di concentrare tre raggruppamenti corazzati sui fianchi dei cunei meccanizzati sovietici principali costituiti dalla 6ª Armata del generale Kharitonov, rinforzata da tre corpi mobili, e dal "Gruppo meccanizzato Popov" con quattro corpi mobili. A nord, nella regione di Krasnograd, il II. SS-Panzerkorps del generale Paul Hausser avrebbe attaccato dal 20 febbraio con due divisioni meccanizzate Waffen-SS in direzione di Pavlograd e di Lozovaja; dal 23 febbraio invece sarebbe intervenuto il XXXXVIII. Panzerkorps del generale Otto von Knobelsdorff che avrebbe attaccato da sud con due Panzer-Division sempre in direzione convergente su Pavlograd e Lozovaja; si prevedeva che entro il 25 febbraio le due formazioni si sarebbero ricongiunte a Lozovaja[43]. In questo modo la 6ª Armata sovietica sarebbe stata attaccata sui due fianchi e distrutta. Fin dal 18 febbraio invece era in corso l'azione del terzo raggruppamento tedesco, costituito dal XXXX. Panzerkorps del generale Sigfrid Henrici, che con due Panzer-Division e una divisione meccanizzate Waffen-SS stava attaccando da due direzioni il "Gruppo meccanizzato Popov" disseminato lungo la strada tra Slavjansk e Krasnoarmeskoje.

L'attacco ebbe inizio a nord, sferrato dal II. SS-Panzerkorps del generale Paul Hausser con la 2. SS-Panzer-Division "Das Reich" che fin dal 19 febbraio attaccò di sorpresa la 6ª Divisione fucilieri sovietica che si difese accanitamente; solo nella notte le truppe tedesche riuscirono ad avanzare. Il 20 e il 21 febbraio la "Das Reich" fece maggiori progressi, si congiunse con la 15ª Divisione fanteria e avanzò verso sud-est in direzione di Pavlograd[44]. La 35ª Divisione fucilieri delle guardie e la 267ª Divisione fucilieri, attaccate sul fianco e nelle retrovie, si trovarono tagliate fuori dalle loro vie di comunicazione e, nonostante gli ordini di continuare ad avanzare verso ovest, cercarono senza successo di riaprire le loro vie di cumunicazione[45].

Nel frattempo il comando del Fronte Sud-Ovest non era affatto preoccupato per la pericolosa situazione creata dagli attacchi tedeschi da nord; al contrario il generale Vatutin decise di accelerare l'avanzata in direzione dei ponti sul Dniepr del 25º Corpo corazzato e del 1º Corpo corazzato delle guardie che avrebbero dovuto "eseguire a tutti i costi il compito affidato"[46]. Gli ordini prevedevano che la 6ª Armata costituisse una testa di ponte sul Dniepr entro la notte del 21-22 febbraio e che il "Gruppo meccanizzato Popov" liberasse Zaporoze e proseguisse verso Melitopol; Poltava avrebbe dovuto essere raggiunta entro il 23 febbraio[47]. Di conseguenza il 21 febbraio le unità meccanizzate sovietiche di testa continuarono ad avanzare con la massima velocità verso ovest, nonostante la situazione complessiva delle forze sovietiche fosse già divenuta difficile a causa degli attacchi tedeschi sui fianchi. Soltanto il 25º Corpo corazzato del generale Pavlov ottenne nuovi successi: agirò audacemente Sinelnikovo, e proseguì per altri 25 chilometri verso sud-est[48][49]. I carristi sovietici del 25º Corpo corazzato non erano a conoscenza della presenza di Hitler a Zaporoze fino al 19 febbraio, ma ritenevano di avere via libera fino al Dniepr dato che non incontravano praticamente forze nemiche; in realtà stavano correndo un grande rischio continuando ad avanzare secondo la strategia della "battaglia in profondità" senza preoccuparsi delle retrovie e delle vie di collegamento logistiche[50].

La sera del 21 febbraio, mentre la 3. SS-Panzerdivision "Totenkopf" completava la sua marcia di avvicinamento prima di entrare in azione, la divisione "Das Reich" raggiunse Pavlograd dove attaccò le brigate del 1º Corpo corazzato delle guardie che il comando della 6ª Armata sovietica aveva deviato verso nord per rinforzare la 35ª Divisione fucilieri delle guardie e la 267ª Divisione fucilieri che cercavano di aprirsi un passaggio verso est. Mentre sul terreno la posizione delle forze sovietiche si stava rapidamente deteriorando, in cielo, la Luftwaffe aveva preso temporaneamente il controllo della situazione e il 21 e il 22 febbraio esegui 1000 e 1500 missioni aeree colpendo ripetutamente e con efficacia le truppe e le linee di comunicazione del Fronte Sud-Ovest[51].

Il generale Paul Hausser, comandante del II. SS-Panzerkorps.

La controffensiva del feldmaresciallo von Manstein era in pieno svolgimento; il 23 febbraio passò all'attacco anche la 4. Panzerarmee del generale Hoth, che contrattaccò a sud con le due divisioni corazzate del XXXXVIII. Panzerkorps del generale von Knobelsdorff; la 6. Panzer-Division del generale von Hunersdorff avanzò da Chaplino e, dopo essere entrata in collegamento con le unità della 15ª Divisione fanteria, proseguì verso nord attaccando i reparti della 41ª Divisione fucilieri delle guardie vicino Buguslav. Sulla destra della 6. Panzer-Division entrò in azione nello stesso momento la 17. Panzer-Division del generale von Senger und Etterlin che raggiunse Petropavlovka e proseguì verso nord respingendo le truppe della 244ª Divisione fucilieri[52]. Il 24 febbraio le divisioni corazzate tedesche ripresero l'avanzata da nord e da sud, mentre le divisioni sovietiche isolate cercavano di ripiegare in salvo verso est; a nord la 35ª Divisione fucilieri delle guardie, rinforzata con gli ultimi nove carri armati di una brigata corazzata, si ritirò verso Lozovaja sotto gli attacchi della SS "Totenkopf", mentre i resti del 1º Corpo corazzato delle guardie e del 1º Corpo di cavalleria delle guardie abbandonarono l'area a nord di Pavlograd e ripiegarono verso est dopo aver abbandonato la maggior parte del loro equipaggiamento pesante, infine la 41ª Divisione fucilieri delle guardie, che aveva ricevuto ordine di ritirarsi su Pavlograd, trovò la città occupata dai tedeschi e quindi proseguì la ritirata ma venne in gran parte distrutta[52].

A sud la 6. Panzer-Division attaccò, in connessione con la SS "Das Reich", la 41ª Divisione fucilieri delle guardie e la 244ª Divisione fucilieri che cercavano di ripiegare verso est, mentre la 17. Panzer-Division, rimasta con solo otto carri armati e undici cannoni d'assalto, attaccò verso nord-est divisa in due kampfgruppen. I mezzi corazzati tedeschi affrontarono e respinsero i resti del 3º Corpo corazzato che risaliva dalla regione di Krasnoarmejskoe, ma vennero fermati alla fine della giornata dalle posizioni difensive affrettatamente organizzate dalla 195ª Divisione fucilieri per coprire verso ovest la testa di ponte di Barvenkovo dove stavano rifluendo i resti del "Gruppo Popov"[52].

Nelle giornate del 22 e 23 febbraio, mentre iniziava l'attacco a tenaglia delle Panzer-Division tedesche in direzione di Pavlograd, molti chilometri più a ovest, i carri armati del 25º Corpo corazzato del generale Pavlov avevano continuato ad avanzare rischiosamente verso il Dniepr, ormai completamente isolati dalle altre forze sovietiche e dalle loro basi di rifornimento che si trovavano ad oltre cento chilometri distanza. Nonostante le crescenti carenze di carburante, munizioni e viveri, il 25º Corpo corazzato raggiunse Slavogorod e avanzò il 23 febbraio con le avanguardie fino a venti chilometri da Zaporoze[53]. Il 25º Corpo corazzato era arrivato a pochi chilometri dal suo obiettivo ma, isolato e con sempre maggiori carenze di rifornimenti, si trovava in grave pericolo di essere totalmente distrutto; finalmente il 24 febbraio il generale Vatutin diede l'ordine di ritirata verso nord-est.

Era ormai troppo tardi; la situazione del 25º Corpo corazzato, totalmente isolato e praticamente privo di munizioni, carburante e vettovagliamento, era critica. Senza speranze di poter ricevere aiuto o poter essere riforniti per via aerea, i soldati abbandonarono tutti i mezzi motorizzati e l'equipaggiamento pesante, iniziando una estenuante ritirata a piedi in direzione nord-est per sfuggire alle colonne corazzate tedesche e cercare di ricongiungersi con le altre formazioni sovietiche[54].

La situazione sovietica si aggravò ulteriormente nei giorni seguenti, quando il II. SS-Panzerkorps e il XXXXVIII. Panzerkorps si congiunsero e sorpresero anche il 1º Corpo corazzato delle guardie (che tentava di resistere) e proseguirono verso Lozovaja e il Donec, sconfiggendo altre unità della 6ª Armata e della 1ª Armata delle guardie. La Luftwaffe cooperò efficacemente alla controffensiva e guadagnò la supremazia aerea (con una media di oltre 1000 sortite al giorno), bersagliando dal cielo le colonne sovietiche in precipitosa ritirata.[55]

Distruzione del Gruppo meccanizzato Popov[modifica | modifica wikitesto]

Nel frattempo, il generale von Mackensen, comandante della 1. Panzerarmee, aveva sferrato, a partire dal 18 febbraio 1943, il contrattacco decisivo contro il "Gruppo meccanizzato Popov", ormai estremamente indebolito; i tedeschi raggrupparono nel settore a est di Krasnoarmejskoe il XXXX. Panzerkorps con la 7. Panzer-Division, che si sganciò abilmente da Slavjansk senza essere individuata, la 11. Panzer-Division e la 5. SS-Panzer-Division "Wiking"[56]. Il 20 febbraio i carri armati tedeschi penetrarono sul fianco dei corpi corazzati sovietici, attaccando da est e da sud, supportate da numerosi interventi della Luftwaffe. I corpi carri sovietici si batterono validamente e rallentarono l'avanzata tedesca ma subirono nuove perdite; alla fine della giornata del 20 febbraio il 4º Corpo corazzato delle guardie era sceso a 6 carri armati in azione, il 18º Corpo corazzato ne aveva otto, il 3º Corpo corazzato era rimasto con dodici e il 10º Corpo corazzato ancora undici[51][57]. In particolare la situazione del 4º Corpo delle guardie era divenuta fin dal 19 febbraio particolarmente difficile a causa soprattutto della mancanza di carburante; una colonna di rifornimenti era stata intercettata dai reparti della 11. Panzer-Division che distrussero cinque mezzi corazzati e 28 autocarri con carburante e munizioni per il 4º Corpo, che si trovò quindi completamente tagliato fuori[58].

Il 21-22 febbraio le divisione corazzate tedesche del XXXX. Panzerkorps continuarono gli attacchi e la situazione del "Gruppo Popov" divenne critica: la 7. Panzer-Division avanzò verso nord dopo aver sconfitto le unità del 10º e del 18º Corpo corazzato, la SS "Wiking" superò la resistenza del 3º Corpo corazzato, mentre la 11. Panzer-Division attaccò a sua volta il 18º Corpo corazzato che batteva in ritirata verso nord. Il 4º Corpo corazzato delle guardie era rimasto isolato a Krasnoarmejskoe dove venne attaccato dalla 333. Divisione fanteria tedesca[59]. Il 23 febbraio i resti del 3º, 10º e 18º Corpo corazzato ripiegarono precipitosamente verso il Donec per raggiungere una posizione a copertura di Barvenkovo, organizzata in fretta da due divisioni di fucilieri sovietiche; fin dal 20 febbraio i resti del 4º Corpo corazzato delle guardie erano in fuga a piedi dopo aver sabotato i carri armati rimasti privi di carburante; i superstiti ripiegarono faticosamente verso nord, si congiunsero con una brigata corazzata equipaggiata con 32 carri armati, e il 24 febbraio raggiunsero finalmente le linee sovietiche organizzate nella testa di ponte di Barvenkovo[44].

Il generale Vatutin era stato allertato dei pericolosi sviluppi della situazione da un drammatico messaggio del generale Popov fin della notte del 20-21 febbraio; il comandante del gruppo mobile richiedeva l'autorizzazione a ritirare verso nord i suoi corpi carri, ma il generale Vatutin respinse bruscamente questa richiesta. Il comandante del Fronte Sud-Ovest affermò che la ritirata era contraria ai piani stabiliti per il gruppo Popov e avrebbe scoperto il fianco sinistro della 6ª Armata in marcia verso il Dniepr. Il generale Vatutin quindi proibì ogni ritirata e ordinò categoricamente al generale Popov di continuare ad avanzare. Lo Stavka condivideva l'ottimismo del generale Vatutin; il 21 febbraio si parlava ancora di "straordinario successo" dell'avanzata del Fronte Sud-Ovest e della necessità di accelerare l'offensiva del Fronte meridionale sul Mius per cooperare[57].

Fu solo nella serata del 24 febbraio che il generale Vatutin comprese il pericolo che minacciava le sue forze; la notte del 24 febbraio riferì per la prima volta allo Stavka che la situazione del suo fronte stava diventando critica a causa delle pesanti perdite subite e delle carenze dei reparti di manutenzione dei mezzi corazzati. Egli aveva deciso di passare sulla difensiva e chiedeva il supporto degli altri fronti per alleggerire la sua posizione e intralciare le forze corazzate nemiche[59]. Il generale Vatutin cercò di organizzare un nuovo raggruppamento dei forze per difendere la testa di ponte di Barvenkovo; la 1ª Armata delle guardie assunse il controllo della linea del Donec dove furono concentrate tre divisioni di fucilieri delle guardie, i resti del 3º, 10º e 18º Corpo corazzato e una brigata del 4º Corpo corazzato delle guardie; questi reparti, rimasti con solo 35 carri T-34 e 15 carri leggeri T-70, riuscirono a costituire nuove posizioni difensive intorno a Barvenkovo dove si difesero accanitamente contro la 7. Panzer-Division, la 11. Panzer-Division e la SS "Wiking" in avanzata da sud[60].

Mentre il feldmaresciallo von Manstein riusciva in questo modo a neutralizzare la minaccia su Stalino e Mariupol e mentre il Gruppo Hollidt respingeva la 3. Armata delle guardie e contrattaccava a tenaglia con la 16. divisione fanteria motorizzata e la 23. Panzerdivision il 4º Corpo meccanizzato delle guardie che il generale Malinovskij (comandante del Fronte Meridionale) aveva spinto oltre il Mius a Matvei-Kurgan; continuava audacemente la controffensiva della IV Armata corazzata del generale Hoth. Il 2º Panzerkorps-SS e il 48º Panzerkorps proseguirono fianco a fianco, respingendo verso il Donec la 6. Armata e la 1. Armata delle guardie e rastrellando le sacche di resistenza sovietiche rimaste tagliate fuori senza rifornimenti dalle rapide puntate dei panzer[55].

Verso Char'kov[modifica | modifica wikitesto]

Il 25 febbraio Vatutin dovette finalmente chiedere aiuto allo Stavka: le sue riserve erano esaurite, il nemico avanzava quasi incontrollabile, il 25º Corpo corazzato era praticamente distrutto, la stessa linea del Donec, difesa a Barvenkovo dalle residue forze del generale Popov, era minacciata[36]. La steppa innevata era costellata di caduti e mezzi abbandonati dell'Armata Rossa. L'Alto comando sovietico comprese a questo punto di essere di fronte ad una controffensiva in forze tedesca che minacciava di vanificare completamente tutti i grandiosi piani offensivi previsti. Stalin e i suoi generali tuttavia, decisero, invece di modificare radicalmente la distribuzione delle riserve o rinunciare alla offensiva del fronte del generale Rokossovskij, di non abbandonare ai loro piani offensivi e, ancora fiduciosi sulle possibilità di raggiungere un successo strategico, proseguire con gli attacchi previsti nel settore centrale e settentrionale del fronte orientale e di limitarsi ad insufficienti misure di rafforzamento tattico dello schieramento meridionale.

Le misure adottate prevedevano lo spostamento verso sud della 3. Armata corazzata del generale Rybalko (appartenente al Fronte di Voronež del generale Golikov e al momento in lenta avanzata verso Poltava) per attaccare sul fianco la IV Armata corazzata in marcia verso il Donec[61]. Il piano era ineseguibile con le ridotte forze del generale Rybalko (il 12º e il 15º Corpo corazzato erano scesi a meno di 60 carri armati totali[62]) e a causa della minacciosa presenza sul fianco destro sovietico della terza divisione del Panzerkorps-SS (la Leibstandarte Adolf Hitler) rimasta fino a quel momento di riserva: i risultati di questa manovra sarebbero stati totalmente negativi.

La 'Leibstandarte Adolf Hitler' a Char'kov: il colonnello Fritz Witt, comandante del 1º reggimento granatieri-SS.

Infatti von Manstein, dopo aver completamente sconfitto il raggruppamento offensivo sovietico del generale Vatutin che minacciava le sue retrovie, aveva cominciato immediatamente a riorientare le sue unità corazzate più potenti verso nord per sfruttare la situazione, marciare su Char'kov da sud e riconquistare la grande città ucraina.

Il generale Vasilij Kopcov, comandante del 15º Corpo corazzato, caduto in combattimento durante la Terza battaglia di Char'kov.

Quindi, mentre il 48º Panzerkorps (6. e 17. Panzerdivision) e il 40º Panzerkorps (7. e 3. Panzerdivision e SS Wiking) rastrellavano le ultime sacche di resistenza a ovest del Donec, conquistavano Lozovaja e Barvenkovo (28 febbraio) e marciavano su Izjum[31]; il 2º Panzerkorps-SS del generale Hausser girò a nord per affrontare l'inefficace contrattacco della 3. Armata corazzata sovietica. Il 4 e il 5 marzo le modeste forze di Rybalko vennero attaccate frontalmente dalla Das Reich (40 panzer) e aggirate sui due fianchi dalla 'Leibstandarte' e dalla 'Totenkopf' (170 carri armati)[41]; la Luftwaffe bombardò le colonne sovietiche; la situazione si degradò rapidamente. Il 15º Corpo corazzato venne accerchiato nella sacca di Jeremeievka e, dopo una disperata resistenza, praticamente distrutto; il suo tenace comandante generale Vasilij Kopcov, sarebbe stato trovato morto sul campo di battaglia a poche centinaia di metri dal Quartier generale di Hausser[31]. Il 12º Corpo corazzato e il 6º Corpo di cavalleria delle guardie riuscirono a sfuggire con gravi perdite ripiegando sul fiume Mcha per proteggere Char'kov da sud[63].

Riconquista di Char'kov[modifica | modifica wikitesto]

I duri scontri dentro Char'kov: relitto di un Panzer IV distrutto durante la battaglia nell'abitato.

La situazione del generale Golikov, comandante del Fronte di Voronež, diveniva ora molto pericolosa; il suo fianco sinistro (dopo la sconfitta della 3. Armata corazzata) era scoperto e Char'kov era quasi indifesa da sud; egli, quindi, improvvisò un nuovo raggruppamento per difendere la città ucraina (in attesa delle riserve promesse dallo Stavka), rischierando fronte a sud la 69. e la 40. Armata, che erano in marcia verso ovest, a fianco dei resti dell'armata corazzata di Rybalko[36].

Il feldmaresciallo von Manstein, in un primo momento, aveva previsto una manovra a est del Donec con un ampio movimento aggirante a est di Char'kov, ma per guadagnare tempo dato che il disgelo era imminente e minacciava di intralciare tutte le manovre offensive con mezzi motorizzati, architettò alla fine una manovra meno complicata a ovest del fiume Donec con aggiramento di Char'kov da nord-ovest- Il generale Hoth da parte sua, soddisfatto dai risultati ottenuti, avrebbe preferito interrompere subito l'offensiva[64].

A partire dal 6 marzo, mentre le forze del generale Vatutin completavano il ripiegamento sul Donec e riuscivano a stabilire una nuova linea difensiva sulla riva est del fiume, iniziava la seconda fase della controffensiva tedesca con l'obiettivo di riconquistare Char'kov e sconfiggere il fronte del generale Golikov. Contemporaneamente alla massa delle Waffen-SS radunate a sud, von Manstein aveva raggruppato nel Distaccamento Kempf una nuova concentrazione offensiva (incentrata principalmente sulla potente divisione Grossdeutschland dotata di oltre 100 carri armati del tipo più moderno, tra cui alcuni Tiger[65]) per attaccare in direzione di Borisovka e Belgorod, mentre era previsto che anche il Gruppo d'Armate Centro, al momento impegnato a contenere la intempestiva offensiva di Rokossovskij su Sevsk e Brjansk (iniziata il 25 febbraio) contrattaccasse da nord per minacciare Kursk[66].

Le difese sovietiche erano troppo deboli e quindi incapaci di sostenere il massiccio attacco a sud della città; la IV Armata corazzata attaccò con le tre divisioni del 2º Panzerkorps-SS, appoggiate sulla destra dal 48º Panzerkorps (11. e 6. Panzerdivision). Il fronte sovietico venne sfondato il 7 marzo alla giunzione tra 69. Armata e 3. Armata corazzata, mentre anche la Grossdeutschland, più a ovest, attaccava la 40. Armata costringendola a ripiegare. Le Waffen-SS manovrarono rapidamente (contando su una schiacciante superiorità di mezzi) per aggirare Char'kov da nord e accerchiare dentro la città i resti della 3. Armata corazzata: mentre la Das Reich avanzava lungo la strada maestra da sud, la Leibstandarte e la Totenkopf proseguivano a nord per poi piegare nuovamente a sud-est per raggiungere il Donec e isolare completamente la città[67].

Il 10 marzo iniziava la battaglia per la conquista della città ucraina; la Totenkopf il 13 marzo raggiungeva Čuhuïv sul Donec, respingendo il 1º Corpo di cavalleria delle guardie e completando la manovra di accerchiamento; la Leibstandarte marciò su Różan, mentre la Das Reich entrava nell'abitato da sud, impegnando in duri combattimenti stradali le cospicue forze della 3. Armata corazzata (rinforzate con alcune brigate di riserva) rimaste bloccate dentro l'agglomerato urbano e decise a battersi fino all'ultimo[68].

I panzer delle Waffen-SS entrano a Char'kov.

In questa fase sorse un contrasto tra il generale Hoth, comandante della IV Armata corazzata, intenzionato ad evitare costosi combattimenti dentro la città e quindi desideroso di isolare rapidamente Char'kov per poi inviare le Waffen-SS a nord, e il generale Hausser, apparentemente deciso a affrontare con le sue truppe scelte uno scontro frontale dentro l'abitato[31]. Alla fine, mentre la "Totenkopf" chiudeva l'accerchiamento sul Donec, la ',Das Reich,' (in un primo tempo impegnata dentro la città) sarebbe stata ritirata dalla zona sud-occidentale di Char'kov e impiegata (in cooperazione con la 6. e l'11. Panzerdivision) a rastrellare la sacca delle truppe sovietiche isolate tra i fiumi Donec e Mcha. Alla Leibstandarte Adolf Hitler sarebbe toccato il compito di conquistare concretamente Char'kov combattendo strada per strada contro le truppe sovietiche, disperatamente combattive, asserragliate dentro il nucleo cittadino. Furono tre giorni di furiosi combattimenti urbani che costarono gravi perdite alle due parti e che terminarono il 15 marzo 1943 con la definitiva vittoria delle Waffen-SS di Hitler; le forze sovietiche rimaste bloccate vennero distrutte, solo alcuni gruppi residui della 3. Armata corazzata, guidate dal generale Rybalko, riuscirono, nei giorni successivi, a sfuggire a est del Donec[69].

Le Waffen-SS si erano prese la loro sanguinosa rivincita, anche se pagata a caro prezzo: il Panzerkorps-SS subì quasi 12.000 perdite tra morti e feriti durante la controffensiva (contro circa 87.000 sovietici)[41]) dopo la umiliante ritirata da quella stessa città in febbraio. La propaganda nazista avrebbe naturalmente esaltato la vittoria delle truppe scelte del Terzo Reich, magnificando il valore dei comandanti e delle truppe e proclamando la ritrovata invincibilità della Germania dopo le catastrofi invernali[70]. La gigantesca Piazza principale di Char'kov sarebbe stata ufficiosamente ribattezzata in onore della divisione "Adolf Hitler", protagonista della battaglia dentro la città, Leibstandartenplatz[41].

In realtà la spettacolare riconquista di Char'kov, utile anche per sostenere il morale della popolazione tedesca, sarebbe stata l'ultima importante vittoria del Terzo Reich nella seconda guerra mondiale.

Il saliente di Kursk[modifica | modifica wikitesto]

In realtà la riconquista di Char'kov non segnava affatto la conclusione delle operazioni nel settore centro-meridionale del fronte orientale; al contrario si apriva ora una nuova, incerta, fase strategico-operativa che avrebbe condizionato in modo decisivo lo svolgimento della successiva campagna dell'estate 1943. L'11 marzo Stalin e l'Alto comando sovietico avevano finalmente compreso il rischio che stava correndo lo schieramento sovietico a causa della disfatta successiva dei fronti dei generali Vatutin e Golikov e avevano finalmente preso le decisioni fondamentali per bloccare la controffensiva tedesca e impedire un ulteriore peggioramento della situazione[71].

Considerando ormai compromessa la situazione a Char'kov, l'attenzione dei generali sovietici era concentrata sul rischio di un'ulteriore spinta tedesca verso nord che minacciasse Belgorod e perfino Kursk, in collegamento con una possibile controffensiva anche del Gruppo d'armate Centro, che stava rafforzandosi di fronte alle forze dei generali Rokossovskij e Reiter. C'era il rischio di un catastrofico accerchiamento di tutte le armate di questi due fronti che dalla metà di febbraio si sforzavano di avanzare verso ovest. Un evento del genere avrebbe ribaltato nuovamente la situazione a favore dei tedeschi. Tornarono giornate di estrema tensione per gli alti comandi sovietici e per Stalin; venne ritenuto fondamentale guadagnare tempo, rallentare l'avanzata nemica e affrettare al massimo afflusso delle riserve, eventualmente richiamate da altri fronti che dovevano di conseguenza sospendere immediatamente i loro ambiziosi piani offensivi[72].

I tedeschi rastrellano le sacche di resistenza.

Il generale Rokossovskij, nonostante avesse iniziato la sua offensiva il 25 febbraio 1943 in ritardo rispetto ai piani originali e con solo una parte delle sue forze, aveva ottenuto alcuni importanti successi e, rinforzato dalla nuova 2. Armata corazzata (11º e 16º Corpo corazzato) e da un raggruppamento di cavalleria meccanizzata, era avanzato in profondità per un centinaio di chilometri verso Sevsk e la Desna. Il generale dovette quindi interrompere la sua manovra, che aveva già incontrato notevoli difficoltà a causa dell'arrivo di forze tedesche che avevano contrattaccato le sue punte avanzate, ripiegare in parte sulle posizioni iniziali e inviare con la massima urgenza due delle sue armate migliori verso sud a copertura del suo fianco meridionale, scoperto dal cedimento del fronte del generale Golikov[38].

Quindi, mentre anche le armate del fianco destro di Golikov (60. e 38. Armata), che stavano avanzando verso Sumy e le forze del Fronte di Brjansk di Reiter, venivano arrestate dalle truppe tedesche e passavano sulla difensiva, la 21. e la 64. Armata del Fronte Centrale di Rokossovskij (il vecchio Fronte del Don che aveva vinto a Stalingrado) venivano immediatamente dirottate in aiuto al Fronte di Voronež per coprire gli importanti centri di Obojan e Kursk. Inoltre lo Stavka organizzava anche lo spostamento rapido ferroviario della potente 1. Armata corazzata del generale Katukov (forte di quasi 500 carri armati[62]) dalla regione di Demjansk (dove era schierata come massa d'urto su quel fronte) sempre per rinforzare la difesa della regione di Obojan[39]. L'arrivo di queste forze era previsto per il 21-25 marzo; nel frattempo bisognava guadagnare tempo, difendere aspramente fino all'ultimo Char'kov e soprattutto sbarrare solidamente le direzioni di Volčansk, Borisovka e Belgorod; a questo scopo le forze del generale Golikov sarebbero state rafforzate dal 2º e dal 3º Corpo corazzato delle guardie (con oltre 150 carri armati ciascuno)[73]. Forse Stalin temette veramente una 'Stalingrado tedesca', come avrebbe affermato a posteriori nel suo discorso del 1º maggio 1943[74], e quindi di perdere i vantaggi operativi, militari e morali ottenuti dalla vittoriosa offensiva invernale sovietica.

Truppe corazzate nella neve.

In realtà, probabilmente, il feldmaresciallo von Manstein e l'Alto comando tedesco non nutrivano simili ambiziosi obiettivi; in ragione della insufficienza delle forze disponibili, della contrarietà (o impossibilità) del feldmaresciallo von Kluge a passare immediatamente all'offensiva da nord in direzione di Kursk, ed anche dell'atteso arrivo del disgelo (con conseguente grande difficoltà ad eseguire complesse manovre strategiche su lunghe distanze)[75]. Per il momento, comunque, mentre von Kluge respingeva le pericolose puntate verso Sevsk e Sumy e stabilizzava il suo fronte, ricollegando solidamente il suo fianco destro con il Gruppo d'armate Sud e sbarrando gli accessi a Orël, il feldmaresciallo von Manstein continuò la sua controffensiva in direzione nord impegnando in forze, sulla sinistra del 2º Panzerkorps-SS, il Distaccamento Kempff (costituito con la Großdeutschland e le divisioni di fanteria del Gruppo Raus) in direzione di Borisovka e Tomarovka.

Fin dal 15 marzo, mentre si concludeva la battaglia a Char'kov, questo potente raggruppamento affrontava la 40. e la 69. Armata del fronte di Golikov, respingeva il 5º Corpo corazzato delle guardie e irrompeva in Borisovka. I sovietici contrattaccarono subito con l'arrivo del 3º Corpo corazzato delle guardie e si accesero duri combattimenti tra mezzi corazzati; infine la Grossdeutschland, vinto questo aspro contrattacco, avanzò ancora, raggiungendo il 18 marzo Tomarovka[76]. Nel frattempo sulla destra del Distaccamento Kempff, anche la 4. Panzerarmee del generale Hoth aveva ripreso l'offensiva: il 48º Panzerkorps (6. e 11. Panzerdivision) raggiungeva la linea del Donec superiore e minacciava Volčansk, mentre il 2º Panzerkorps-SS puntava direttamente su Belgorod. Questa importante città era debolmente difesa dalle forze sovietiche, ma era disponibile il potente 2º Corpo corazzato delle guardie (con 170 carri armati) che avrebbe potuto contrattaccare. Alcuni errori tattici fecero fallire questa manovra; la SS Totenkopf coprì il fianco tedesco, mentre la Leibstandarte Adolf Hitler avanzava rapidamente su Belgorod. Il 18 marzo anche Belgorod, dopo una nuova battaglia, cadeva nelle mani delle Waffen-SS del generale Hausser[77].

I sovietici del Fronte di Voronež ripiegarono più a nord per coprire Obojan; fortunatamente erano ora in arrivo le armate di riserva inviate dallo Stavka e, progressivamente, la XXI e la LXIV Armata si schierarono solidamente in difesa, rafforzando lo schieramento difensivo del lato meridionale del cosiddetto "saliente di Kursk". Più indietro stavano arrivando i carri armati della 1. Armata corazzata; i marescialli Georgij Žukov e Aleksandr Vasilevskij arrivarono personalmente sul posto per organizzare e dirigere le truppe; la situazione si stabilizzava, i tedeschi avevano interrotto la loro spinta offensiva e il disgelo rendeva ormai inevitabile una pausa operativa prolungata[78].

Conclusione[modifica | modifica wikitesto]

Il 23 marzo il feldmaresciallo von Manstein interrompeva definitivamente la sua audace controffensiva che si concludeva indubbiamente con rimarchevoli risultati strategici e materiali; nello spazio di circa un mese, facendo un uso magistrale delle sue Panzerdivision, e pur disponendo di scarse truppe di fanteria, l'abile stratega aveva progressivamente sbaragliato le punte offensive sovietiche (apparentemente in vittoriosa avanzata) e con continui rischieramenti 'napoleonici' delle sue forze aveva battuto a gruppi il nemico ottenendo sempre la superiorità numerica e materiale locale[79]. La campagna del febbraio-marzo 1943 rimane una delle più brillanti, dal punto di vista operativo, della seconda guerra mondiale[80].
Le truppe tedesche avevano mostrato grande coesione e capacità di resistenza, nonostante le ripetute sconfitte, e le truppe corazzate, in particolare le Waffen-SS, avevano dimostrato la loro superiorità (quando opportunamente impiegate) anche in inverno. La battaglia si era frammentata in una serie di brevi e improvvisi scontri tra piccoli gruppi di carri armati in cui i panzer tedeschi, più rapidi e più abili, quasi sempre avevano prevalso[81].

Il feldmaresciallo Erich von Manstein, l'abile stratega della controffensiva tedesca.

Moralmente la serie di vittorie di von Manstein portarono un certo sollievo in patria, dopo la catastrofe di Stalingrado (sia a livello di dirigenza nazista, a partire da Hitler, sia a livello di opinione pubblica[82]) e tra i 'satelliti' dell'Asse (terrorizzati da una possibile irruzione incontrollabile dell'Armata Rossa[83]). Materialmente, le perdite inflitte ai sovietici furono pesanti: almeno tre armate (6., 1. delle guardie e 3. corazzata) e quattro corpi corazzati (25., 12., 15. e 4. delle guardie) furono distrutti e numerosi altri reparti furono fortemente indeboliti; il comando tedesco rivendicò circa 900 carri armati nemici distrutti, 15.000 prigionieri (un numero così modesto fu causato dall'insufficienza della fanteria tedesca che permise ai reparti sovietici isolati di sfuggire a piedi) e almeno 50.000 morti[84]. Anche le perdite tedesche, tuttavia, furono notevoli: i sovietici si batterono bene anche in situazioni disperate e non mostrarono cedimenti; le unità corazzate fecero mostra di slancio e coraggio inesauribili[85].

Strategicamente, la controffensiva del feldmaresciallo, indubbiamente impedì un crollo immediato dello schieramento meridionale tedesco e forse dell'intero fronte orientale, ma, a differenza di quello che credeva il feldmaresciallo, non provocò una nuova svolta a favore della Germania né assicurò al Terzo Reich vantaggi operativi decisivi[86]. Al contrario, l'arrivo delle potenti riserve dello Stavka impedì l'immediata marcia su Kursk e la creazione del saliente favorì il concentramento delle forze sovietiche in posizioni difendibili che avrebbero attirato l'esercito tedesco in una vera trappola operativa nella successiva campagna d'estate[87].

Le preoccupazioni non mancarono certamente nel campo sovietico, ma forse Stalin era nel giusto quando parlò di 'Stalingrado tedesca fallita' nella primavera 1943[88]; inoltre le impreviste sconfitte indussero il dittatore ad una maggiore prudenza, spingendolo a prestare sempre più ascolto ai suoi abili consiglieri (soprattutto Žukov e Vasilevskij). Da quel momento Stalin e l'Armata Rossa non avrebbero più tentato offensive generali per concludere la guerra in un colpo solo, ma avrebbero pianificato complesse operazioni combinate, scaglionate nel tempo e nello spazio per ottenere il progressivo logoramento del pericoloso nemico[74]. Una marcia lunga, dura e faticosa verso ovest che, tuttavia, avrebbe permesso la vittoria finale nel 1945.

Char'kov, conquistata il 25 ottobre 1941 nel bel mezzo dell'Operazione Barbarossa e ripresa dai sovietici una prima volta il 16 febbraio 1943, ritornava per il momento in mano tedesca. Questo successo si rivelò tuttavia una vittoria temporanea: il 23 agosto 1943, dopo la sconfitta della Wehrmacht nella Battaglia di Kursk, i russi rientravano definitivamente nella grande città ucraina al termine della duramente contrastata Operazione Rumjancev scatenata dalle forze sovietiche dei generali Vatutin e Konev a partire dal 5 agosto 1943 (la cosiddetta Quarta battaglia di Char'kov[73]); a seguito della nuova offensiva sovietica, i tedeschi non avrebbero mai più rimesso piede a Char'kov.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Glantz 1991, pp. 89 e 153.
  2. ^ Erickson, p. 52.
  3. ^ Glantz 1991, pp. 88-89 e 153.
  4. ^ Bernage, p. 160. Perdite del Panzerkorps-SS, non sono disponibili dati sulle perdite complessive del Gruppo d'armate Don.
  5. ^ Glantz e House, p. 434.
  6. ^ Bernage, p. 160.
  7. ^ Buffetaut, pp. 70-71.
  8. ^ Char'kov (IPA: xaːrkof ascolta[?·info]) oggi Charkiv in Ucraina.
  9. ^ Glantz 1991, pp. 84-85.
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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