Assedio di Leningrado
| Assedio di Leningrado parte del fronte orientale della seconda guerra mondiale | |||
|---|---|---|---|
| Data | 8 settembre 1941 – 27 gennaio 1944 | ||
| Luogo | Oblast' di Leningrado, Unione Sovietica | ||
| Esito | Vittoria sovietica | ||
| Schieramenti | |||
| Comandanti | |||
| Perdite | |||
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| Circa 1000000 di civili sovietici morti | |||
| Voci di battaglie presenti su Wikipedia | |||
L'assedio di Leningrado (in russo блокада Ленинграда?, blokada Leningrada, in tedesco Leningrader Blockade) avvenne durante la seconda guerra mondiale e si protrasse dall'8 settembre 1941 al 27 gennaio 1944, per un totale di 872 giorni, divenendo l'assedio più lungo di tutta la guerra ed il secondo più lungo dell'età contemporanea[N 1].
La città di Leningrado, già indicata da Adolf Hitler nel Mein Kampf come il caposaldo del bolscevismo, fu uno degli obiettivi prioritari per la Wehrmacht fin dalla pianificazione dell'invasione tedesca dell'Unione Sovietica. Seconda città del paese per popolazione, Leningrado era soprattutto uno dei più importanti centri industriali dell'Unione Sovietica, e la sua vicinanza con la base navale di Kronštadt e i collegamenti con Murmansk la rendevano anche un rilevante obiettivo militare strategico.
Convinto che l'eliminazione sia di Mosca che di Leningrado avrebbero favorito il collasso dell'Unione Sovietica, Hitler decise di includere la città come obiettivo del Gruppo d'armate Nord, chiarendo in diverse direttive preparatorie all'invasione che Leningrado non doveva essere occupata, bensì «isolata ermeticamente» per eliminare la popolazione attraverso la fame e il freddo e, per quanto possibile, ridurre la città «in polvere con attacchi aerei e di artiglieria»[1].
L'assedio inflisse enormi sofferenze alla popolazione di Leningrado, ma non riuscì a piegarne la resistenza. Dopo un primo tragico inverno - superato anche grazie all'apertura di una via di rifornimento attraverso il lago Ladoga - l'assedio andò via via attenuandosi, fino ad essere rotto parzialmente nel gennaio 1943 e definitivamente il 26 febbraio 1944, quando le truppe sovietiche liberarono la città. Durante gli 872 tragici giorni dell'assedio morirono all'incirca un milione di civili, nella maggior parte durante l'inverno 1941-1942, mentre durante i combattimenti attorno alla città l'Armata Rossa soffrì anch'essa circa un milione di perdite, tra morti, feriti e prigionieri. In virtù del suo eroismo e del suo sacrificio, Leningrado fu la prima città dell'Unione Sovietica ad ottenere il titolo di città eroina, conferitole nel maggio 1945 da Iosif Stalin[2].
Premesse
[modifica | modifica wikitesto]In vista di un futuro e sempre più probabile conflitto contro la Germania nazista, Iosif Stalin intraprese alcune mosse per salvaguardare Leningrado, uno dei centri industriali più importanti dell'Unione Sovietica, che garantiva circa il 10% dell'intera produzione industriale sovietica. Dopo il rifiuto della Finlandia di vendere l'istmo careliano confinante con il Distretto militare di Leningrado (Leningradskogo Voennogo Okruga - LVO), nel novembre 1939 Stalin ordinò all'Armata Rossa di impadronirsene con la forza. La cosiddetta guerra d'inverno, iniziata e svolta in modo disastroso per le unità sovietiche, logorò i difensori finlandesi, che nel marzo 1940 concessero la maggior parte dell'istmo, e, in base alle clausole d'armistizio, arretrarono la loro frontiera di circa cento chilometri da Leningrado. Subito dopo Stalin si mosse contro le repubbliche filo-tedesche del baltico, e nel maggio 1940 truppe sovietiche occuparono Estonia, Lettonia e Lituania, che vennero annesse come Distretto militare speciale del Baltico. In prospettiva di garantire la sicurezza a Leningrado da un'eventuale minaccia da ovest, Stalin spostò nel Baltico circa 440 000 uomini suddivisi in tre armate[3].
Nonostante la firma del patto Molotov-Ribbentrop il 23 agosto 1939, che sanciva l'astensione delle due parti da qualunque tipo di aggressione reciproca per dieci anni, il 18 dicembre 1940 Adolf Hitler firmò la direttiva di guerra numero 21, che ordinava la preparazione all'attacco all'Unione Sovietica, l'Operazione Barbarossa[4]. Il 22 giugno 1941 la Wehrmacht diede inizio all'invasione lungo tre direttrici principali con altrettanti gruppi d'armate; il Gruppo d'armate Sud avrebbe invaso l'Ucraina e diretto verso Kiev, il Gruppo d'armate Centro avrebbe puntato a nord delle paludi del Pripjat lungo la direttrice Smolensk-Mosca e il Gruppo armate Nord con l'obiettivo strategico di occupare i paesi baltici, la base navale di Kronštadt e Leningrado, privando così la marina sovietica di ogni base su quel mare[5]. Al comando dell'esperto feldmaresciallo Wilhelm von Leeb, il Gruppo d'armate Nord comprendeva due armate di fanteria, la 16ª del generale Ernst Busch e la 18ª del generale Georg von Küchler, affiancate dalla 4ª Panzerarmee del generale Erich Hoepner. I tedeschi su quel fronte potevano quindi disporre di circa 641 000 uomini, comprese le riserve[6].
Più a nord dello schieramento vi era poi il Fronte finlandese, considerato ausiliario dai tedeschi, e subordinato direttamente all'OKW (Oberkommando der Wehrmacht) e non all'OKH (Oberkommando des Heeres, quest'ultimo responsabile delle operazioni sul fronte orientale). L'obiettivo di questo schieramento era quello di recidere le linee di rifornimento sovietiche che andavano verso i porti di Murmansk e Poljarnij - porti in cui gli alleati avrebbero inviato i loro aiuti all'Unione Sovietica - e allo stesso tempo isolare Leningrado a nord. I tedeschi avevano programmato un'avanzata simultanea ma ausiliaria a fianco dei finlandesi, i quali miravano a recuperare i territori e le risorse perdute nell'aprile 1940[7].
A fianco dei tedeschi, i finlandesi misero in campo due armate: l'Armata Sudorientale, a nord di Leningrado, e l'Armata di Carelia, più a nord. All'estremo nord i tedeschi schieravano il loro corpo d'armata di montagna di stanza in Norvegia, forte di circa 97 000 uomini. In mezzo si apriva un settore intermedio relativamente sguarnito di truppe, coperto dalla 3ª Divisione finlandese e dal 16º Corpo d'armata tedesco. Le operazioni a sud e al centro furono affidate esclusivamente ai finlandesi, come pure l'eliminazione delle forze sovietiche isolate ad Hangö. Complessivamente lungo i circa 1000 chilometri di fronte dal Mar Baltico al Mare di Barents - erano schierati 407 000 uomini che comprendevano all'incirca 150 000 finlandesi, di fronte a 426 000 sovietici dipendenti dal Distretto militare di Leningrado, affidato al tenente generale Markian Popov e destinato a diventare in futuro il Fronte Settentrionale, poi in seguito, Fronte di Leningrado[7].
I piani tedeschi
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Hitler pose come uno degli obiettivi di Barbarossa la città di Leningrado per tre motivi di ordine strategico e simbolico: l'elevata capacità industriale della città, dove erano dislocate enormi fabbriche militari - come le officine Kirov - che da sole rappresentavano circa il 10% del Pil dell'intera Unione Sovietica; la posizione strategica della città dalla quale si poteva controllare il mar Baltico e la base di Kronštadt oltre che e i collegamenti a nord verso il porto di Murmansk e la base navale di Poljarnyj; il significato simbolico della città, vista come il fulcro del bolscevismo.
I tedeschi prevedevano di coprire i 765 km dal confine della Prussia Orientale alla periferia di Leningrado in circa sei-otto settimane e di catturare la città entro la metà di agosto. Originariamente la missione del Gruppo d'armate Nord era la conquista della città con un assalto diretto, ma quando l'avanzata si dimostrò più lenta di quanto previsto, Hitler cominciò a modificare i piani. Il 21 agosto comunicò al capo di stato maggiore dell'esercito Generaloberst Franz Halder che «l'obiettivo più importante prima che sopraggiunga l'inverno non è la conquista di Mosca, ma l’occupazione della Crimea e delle zone industriali e carbonifere del bacino del Donec; inoltre occorre tagliare i rifornimenti di petrolio russo provenienti dal Caucaso. A nord il nostro obiettivo è l'accerchiamento di Leningrado e il congiungimento con i finlandesi», solo allora secondo Hitler si sarebbe potuto sbaragliare le difese sovietiche davanti alla capitale. Secondo il generale Halder, Hitler era ormai ossessionato dall'idea di occupare Leningrado e Stalingrado; egli era persuaso che, cadute queste due "città sacre del comunismo", l'intera Russia sarebbe crollata[8].
Il 30 agosto 1941, Hitler emanò la direttiva n.34 n cui precisava che Leningrado doveva essere accerchiata e si sarebbe dovuto stabilire un contatto con i finlandesi a nord. Sempre più volubile, il 6 settembre il dittatore tedesco emanò la direttiva n.35 in cui esplicava che si sarebbe dovuto evitare un costoso attacco diretto, mentre la 4ª Panzerarmee e l'8º Corpo aereo (Fliegerkorps) sarebbero state trasferite al Gruppo d'armate Centro che si apprestava, dopo molte discussioni tra Hitler e l'Alto comando, ad attaccare Mosca. Dopo aver spostato l'obiettivo prioritario su Leningrado e Kiev, ora Hitler - ondivago fin dall'inizio dell'invasione - ritornava sull'attacco diretto alla capitale. Ciò suggerì a von Leeb che il suo compito sarebbe stato di assediare la città e non conquistarla via terra[9][10].
Il 18 settembre Hitler diramò ordini severi: «Non si deve accettare la capitolazione di Leningrado o di Mosca, nemmeno se venisse offerta. Quale dovesse essere il destino delle due città della popolazione e il problema dei viveri non può né deve essere di nostra competenza. In questa guerra per l'esistenza non abbiamo alcun interesse a salvare anche soltanto una parte della popolazione di questa grande città»[8].
Il 22 settembre l'Oberkommando des Heeres (OKH) emanò la direttiva n.1 1601/41 "Riguardo la futura esistenza della città di Leningrado", in cui si affermava che «[...] il Führer ha deciso di cancellare la città di Pietroburgo dalla faccia della terra. [...] Qualsiasi richiesta che ci venga fatta di assumere noi l’amministrazione della città dovrà essere respinta; il problema della sopravvivenza della popolazione e il problema dei viveri non può né deve essere di nostra competenza. In questa guerra per l'esistenza non abbiamo alcun interesse a salvare anche soltanto una parte della popolazione di questa grande città»[8]. A Leeb fu ordinato di radere al suolo Leningrado con bombardamenti aerei e di artiglieria, mentre l'assedio avrebbe affamato la popolazione fino a costringerla alla resa. Sia Hitler sia i vertici militari si aspettavano che la città si sarebbe arresa entro la primavera del 1942[11].
Le difese sovietiche
[modifica | modifica wikitesto]Prima della guerra il Distretto militare di Leningrado non era responsabile della difese delle direttrici a sud e a ovest della città, che erano responsabilità del Distretto militare del Baltico; era invece impegnato a difendere la Carelia[12]. Le principali formazioni sovietiche impegnate nell'assedio furono la 42ª e la 55ª Armata e il gruppo operativo della Neva (Nevskaja Operativskaja Gruppa - NOG) che in seguito diventò la 67ª Armata, mentre la 23ª Armata era posizionata sul fronte careliano[13].

Leningrado e Kronštadt erano protette da un'impressionante catena di batterie costiere e fortificazioni, alcune delle quali in grado di appoggiare la difesa terrestre. La base navale di Kronštadt era dotata di batterie che andavano da 152 a 304 mm, ma le postazioni più pericolose per i tedeschi erano quelle posizionate a Oranienbaum armate con cannoni binati da 355 mm. Nei pressi erano presenti anche i cannoni ferroviari TM-1-12 da 356 mm e TM-1-180 da 180 mm, nonché i treni armati Baltiec e Za Rodinu, la batteria di Šepelov con cannoni binati da 355 mm e il forte Pulkovo con due binati da 203 mm. Le batterie sovietiche potevano colpire obiettivi lontani come Krasnoe Selo a circa 30 chilometri a sud-ovest di Leningrado, il che spiega la sopravvivenza della guarnigione sovietica di Oranienbaum per tutta la durata dell'assedio[14].
All'inizio dell'assedio fece la sua parte anche la Flotta del Baltico (Krasnoznamennyj Baltijskij Flot - KBF) al comando dell'ammiraglio Vladimir Tribuc, che collaborò con le batterie navali e costiere per appoggiare le forze di terra, ma che con il minamento del golfo di Finlandia e la carenza di combustibile non ebbe più possibilità di movimento. In pratica le navi più grandi rimasero immobilizzate e operò, solo sporadicamente, con naviglio sottile. In ogni caso nel settembre 1941 la flotta sparò oltre 25 000 proiettili, che contribuirono al rallentamento delle operazioni tedesche nel loro balzo verso la città. Durante l'assedio la flotta fornì oltre 125 000 marinai per combattere in unità terrestri, in buona parte per mantenere la testa di ponte di Oranienbaum e la strada gelata sul lago Ladoga. Sul lago Ladoga era presente anche la Flottiglia Ladoga, costituita nel 1939 per appoggiare le operazioni contro la Finlandia, ma che si dimostrò una forza logistica essenziale per mantenere in vita Leningrado nel primo inverno, e che continuò a rifornire la città durante tutto l'assedio, nonostante gli attacchi della Luftwaffe[15]
L'assedio
[modifica | modifica wikitesto]Inizia il blocco
[modifica | modifica wikitesto]Il 9 luglio 1941 Pskov - a 350 chilometri da Leningrado - cadde in mano tedesca. Il tenente generale Markian Popov, comandante del Distretto di Leningrado, tentò di allestire una nuova linea difensiva lungo il fiume Luga, mentre il Partito Comunista, su iniziativa di Andrej Ždanov, mise a disposizione circa 30 000 volontari civili per la costruzione delle opere da campo, e grazie ad un appello patriottico, circa 160 000 volontari andarono a formare otto divisioni della milizia popolare (Divisij Narodgono Opolčenje - DNO). Grazie a queste unità, prima Popov e poi il suo successore il generale Kliment Vorošilov, riuscirono a rallentare per quasi un mese l'avanzata di von Leeb, fino a quando i tedeschi il 16 agosto sfondarono la linea difensiva lungo il fiume Luga, e il 20 agosto interruppero la linea ferroviaria Mosca-Leningrado all'altezza di Čudovo[16].
Nelle ultime due settimane di agosto le postazioni difensive attorno alla città furono travolte una dopo l'altra dalle armate tedesche, e l'ultimo collegamento ferroviario verso sud fu interrotto a Mga il 30 agosto. Da nord il 10 luglio le forze finlandesi iniziarono l'offensiva in Carelia costringendo la 23ª Armata a ritirarsi in disordine, spingendosi fino alla vecchia frontiera sovietico-finlandese - a circa cento chilometri da Leningrado - che venne raggiunta il 2 settembre. Nel frattempo a est della città le forze finlandesi e tedesche si muovevano per chiudere il cerchio intorno alla città. A seguito della decisione di Hitler di distruggere Leningrado attraverso l'artiglieria e i bombardamenti, e, alla fine, prenderla per fame, a settembre iniziarono le operazioni per isolare la città dal resto del mondo. Dopo un'altra settimana di combattimenti, i reparti avanzati tedeschi arrivarono a circa dieci chilometri dal cuore della città, e il 4 settembre caddero nel centro di Leningrado le prime granate di artiglieria, mentre due giorni più tardi ci fu il primo bombardamento aereo[17][18].

L'8 settembre la fanteria tedesca, dopo aver preso Sinjavino, raggiunse l'abitato di Šlissel'burg a est di Leningrado, tagliando così l'ultimo collegamento terrestre della città con l'esterno, ormai del tutto circondata[19]. Quel giorno l'Oberkommando der Wehrmacht (OKW) - l'alto comando dell'esercito tedesco - trasmise l'annuncio: «Il cerchio di ferro attorno a Leningrado è stato chiuso»[20].
Sempre in quell'8 settembre il dittatore sovietico Iosif Stalin inviò il generale Georgij Konstantinovič Žukov a Leningrado per studiare la crisi, e come prima cosa il generale si recò all'Istituto Smol'nyj dove si era riunita una seduta del Comitato militare sotto il comando di Vorošilov, quest'ultimo inviato in agosto da Stalin per cercare di resistere all'invasione tedesca. Dopo essere tornato a Mosca per riferire la situazione a Stalin, Žukov venne rimandato a Leningrado e nominato comandante al posto di Vorošilov con l'ordine di difendere Leningrado fino all'ultimo respiro. Assieme a Ždanov, Žukov diede un nuovo impulso all'evacuazione della città, e a fine mese riuscirono a sflollare in tutto 636 000 persone, ma i piani per evacuare un altro mezzo milione di persone furono vanificati dall'avanzata tedesca. Tra gli uomini rimasti fu organizzata una milizia operaia forte di 36 000 operai male addestrati e mal equipaggiati ma decisi a difendere le loro case. Leningrado fu riempita di fortificazioni rudimentali, barricate, fossati anticarro e trincee, mentre le case e le fabbriche furono circondate da sacchi di sabbia e protezioni in legno, con i tram e gli autobus utilizzati come barriere fisse e riempiti di sabbia[21].
Il 13 settembre Žukov sostituì il comandante della 42ª Armata Fedor Ivanov, reo di non aver fermato l'offensiva dell'armata panzer di Erich Hoepner, con il suo protetto, il generale Ivan Fedjuninskij. Successivamente Žukov tentò di contrattaccare i tedeschi per dare respiro alla città, ordinando alla debole 8ª Armata, che dalla Lituania era arretrata combattendo fino ai sobborghi di Leningrado, di riprendere Krasnoe Selo, ma i tedeschi riuscirono a travolgere la 42ª Armata e raggiungere il golfo di Finlandia vicino a Peterhof il 16 settembre. L'8ª Armata era adesso isolata a Oranienbaum, e il suo comandante fu rimosso, così Žukov si rivolse alla 54ª Armata di Grigorij Kulik, che aveva ricevuto due nuove divisioni, e ordinò di attaccare i tedeschi a Sinjavino, le alture appena fuori Šlissel'burg, e togliere l'assedio a Leningrado[22]. Le forze sovietiche erano però allo stremo e fortemente sotto organico, così le forze di Kulik, nonostante l'impiego delle sue migliori unità, vennero facilmente fermate dai tedeschi. La prima, di quelle che saranno quattro offensive verso Sinjavino, era stata fermata, mentre dall'altro lato della Neva l'unità di nuova formazione Gruppo operativo Neva, nel tentativo di ricongiungersi alla 54ª Armata, aveva miracolosamente conquistato una piccola testa di ponte che venne però circondata e distrutta dalla 122ª Divisione tedesca[23].

Rifiutando di accettare l'evidenza, Žukov ordinò un nuovo contrattacco in direzione Pulkovo senza riuscire ad impedire ai tedeschi del XLI Corpo motorizzato di prendere Puškin. Žukov inviò anche parecchie compagnie di carri KV-1 che attaccarono più volte i tedeschi attorno a Puškin, appoggiata da tutta l'artiglieria rimasta e dai cannoni della Flotta del Baltico. I combattimenti misero a dura prova le esauste unità di Erich Hoepner, che non riuscirono a conquistare definitivamente Pulkovo e le sue alture con la 1ª Divisione panzer. Dopo aver ricevuto l'approvazione per una breve pausa dall'OKH, la 4. Panzerarmee di Hoepner, dopo aver subito circa 3 500 perdite tra il 9 e il 16 settembre e catturato oltre 25 000 sovietici, il 18 settembre iniziò a lasciare le postazioni alla 18ª Armata di Küchler e Leeb ordinò alle forze rimaste di organizzare linee d'assedio attorno alla città. La 18ª Armata avrebbe tenuto l'assedio attorno alla testa di ponte di Oranienbaum e Leningrado, mentre la 16ª Armata avrebbe tenuto il fronte a est di Leningrado, lungo il fiume Volchov; tuttavia i disperati contrattacchi sovietici a Pulkovo e Kolpino - entrambi obiettivi che Leeb intendeva conquistare - impedirono ai tedeschi di avvicinarsi a Leningrado quanto voluto, e lasciarono al comando sovietico preziosi trampolini di lancio per future controffensive[24].
Il 25 settembre la linea del fronte si stabilizzò e poi si fermò, la battaglia di Leningrado si era trasformata di fatto in un assedio che nessuno sapeva quanto sarebbe durato. Il blocco della città era completo, e l'unico accesso possibile era attraverso il lago Ladoga, in cui non erano disponibili abbastanza imbarcazioni per rifornire la città, e che in breve tempo sarebbe ghiacciato. Rimasero intrappolati nella città oltre 3,3 milioni di persone compresi i soldati di tre armate, la 23ª, la 42ª e la 55ª, mentre l'8ª rimase bloccata nel saliente di Oranienbaum, per un totale di 20 divisioni e oltre 300 000 soldati. Gli abitanti rimasti a Leningrado avevano scorte per poco più di venti giorni. Nel frattempo Stalin concentrò la propria attenzione su Mosca, dove il Gruppo d'armate Centro di Fedor von Bock, stava preparando l'operazione Tifone per catturare la capitale sovietica, così le forze sovietiche a Leningrado smisero temporaneamente i loro tentativi di forzare l'accerchiamento[25][26].
Il primo inverno (1941-1942)
[modifica | modifica wikitesto]Fin dall'inizio del blocco iniziarono i tentativi di rifornire la città attraverso il lago Ladoga, ma la Luftwaffe frustrò i tentativi iniziali della flottiglia Ladoga di far arrivare cibo e rifornimenti in città, affondando tra ottobre e novembre 24 chiatte su 31 e sei battelli a vapore. In base agli ordini di Hitler di prendere la città per fame, i tedeschi cominciarono a colpire insistentemente fabbriche, centrali e vie di comunicazione con l'artiglieria. Nel mentre l'aviazione sganciava bombe incendiarie contro la città; l'8 settembre vennero distrutti i depositi Badaev, dove erano immagazzinate ingenti scorte alimentari: finirono bruciate 3 000 tonnellate di farina e 2 500 di zucchero. L'incendio del Badaev portò Dmitrij Pavlov, il capo dei servizi annonari, a stoccare le provviste in varie zone della città senza concentrarle[27]. In breve tempo in città iniziarono a scarseggiare il cibo e il carburante, il che provocò la chiusura della maggior parte delle centrali elettriche cittadine; i bombardamenti distrussero i sistemi di distribuzione di elettricità e acqua, facendo collassare il sistema idraulico, minacciando quindi la salute pubblica e rendendo più difficile combattere gli incendi causati dai bombardamenti tedeschi. Le macerie delle case distrutte rimanevano sulle strade e non venivano rimosse, i trasporti pubblici si fermarono e le linee telefoniche private furono interrotte[28].
A settembre vennero distribuite le tessere annonarie a circa 2,8 milioni di persone, lasciando almeno mezzo milione di persone senza alcun diritto; il razionamento assegnava a operai e soldati mezzo chilo di pane adulterato al giorno e mezzo chilo di carne a settimana, mentre il resto della popolazione doveva sopravvivere con 250 grammi di pane al giorno. In novembre le scorte alimentari toccarono il fondo; operai e soldati avevano appena 250 grammi di pane, mentre i civili 125, così la popolazione accorse ad ogni espediente per sopravvivere: ai più deboli venivano rubate le tessere annonarie, venivano mangiati uccelli, cani, gatti e cavalli, venivano cucinate zuppe con colla e cuoio, e quando i parenti morivano i corpi venivano nascosti per poter continuare a usufruire della razione di pane[29]. I leningradesi morivano a migliaia per la fame, il freddo e le malattie, tanto che si è stimato che in pieno inverno morissero fino a 4/5000 persone al giorno, fatto che mandò velocemente in crisi il sistema di registrazione dei morti della città. I cadaveri venivano abbandonati in cumuli in appositi punti di raccolta, in modo che appena possibile fossero sepolti in fosse comuni. La fame divenne un problema così grave che esistono diversi resoconti che raccontano come in alcuni casi si verificarono episodi di cannibalismo, un fenomeno di cui è impossibile verificarne l'ampiezza, ma che ormai è sicuro che si verificò[30].

Mentre la popolazione moriva di stenti, le autorità tentarono di mantenere una parvenza di vita organizzativa; le fabbriche furono tenute in funzione per quanto possibile per produrre equipaggiamenti per i difensori della città. Da luglio a dicembre vennero prodotti 1100 carri armati e veicoli da combattimento, 10 000 mortai e tre milioni di granate, in parte spediti oltre le linee per la difesa di Mosca. Ma in dicembre le fabbriche furono quasi tutte chiuse per mancanza di carburante, elettricità, acqua e materia prima, e la produzione si interruppe fino a marzo. Gli operai più specializzati furono trasportati in aereo in altre fabbriche fuori da Leningrado per continuare a lavorare[30].
Fu durante questo primo inverno che il compositore Dmitrij Šostakovič scrisse la prima stesura della sua Settima Sinfonia, poi conosciuta nel mondo come la Sinfonia di Leningrado. Ma tutta la scena artistica leningradese si mobilitò nel tentativo di tenere alto il morale della popolazione tenendo aperti tetri e facendo suonare le orchestre, mentre i curatori dell'Ermitage misero in sicurezza metà dei 2,5 milioni di oggetti conservati al museo, evacuandoli in treni piombati a Sverdlovsk negli Urali, prima che i bombardamenti tedeschi bloccarono la ferrovia e il resto della collezione dovette essere nascosta in cantine e rifugi sotterranei, dove per tutto l'inverno circa duemila tra artisti, scrittori, accademici e insegnanti, continuarono a lavorare[31].

Quasi certamente la maggior parte della popolazione di Leningrado sarebbe morta di stenti entro la primavera se non si fossero fatti sforzi disperati per rifornire la città attraverso l'unica falla nel blocco tedesco: il lago Ladoga. All'inizio solo pochi e piccoli battelli e chiatte riuscirono a superare gli attacchi della Luftwaffe e compiere la traversata fino al porticciolo di Osinovezckiy,posto vicino al villaggio Ladozhskoe Ozero dove vi era una ferrovia che collegava a Leningrado, consegnando però quantitativi insignificanti per il fabbisogno della città. Quando nei primi di novembre il lago ghiacciò l'unica possibilità rimasta fu quella di allestire una strada sul ghiaccio, che divenne presto famosa come la "Strada della Vita" (Doroga žizni)[31].
Il 20 novembre le prime slitte trainate da cavalli riuscirono a compiere la traversata, ma per gli animali lo sforzo era troppo grande e molti morivano durante la traversata, così il 22 novembre si tentò con gli autocarri, ma lo spessore del ghiaccio era ancora insufficiente e molti mezzi sprofondarono. Solo alcuni veicoli riuscirono nella traversata, confermando quindi la fattibilità dell'impresa. Si decise allora di costruire una strada sul ghiaccio di circa 29 chilometri che dal villaggio di Kabona arrivava a Ladozhskoe Ozero, dove la strada lasciava il passo alla ferrovia che portava alla città. In appena 14 giorni la strada venne ultimata, ma in molti tratti il ghiaccio era troppo sottile per sopportare il peso degli autocarri a pieno carico, così la maggiorparte venivano caricati a metà o meno. Nel mese di dicembre venivano trasportate in media appena 361 tonnellate al giorno, ossia 1/7 della quantità necessaria per sfamare la popolazione. Le scorte cittadine erano ormai finite, ma quello stesso mese Ždanov e l'ammiraglio Nikolaj Kuznetsov, rappresentante dello Stavka di Leningrado, dopo un'ispezione lungo la strada destituirono il generale responsabile, ordinarono riparazioni e miglioramenti, stabilirono carichi standard, promisero laute ricompense agli autisti e fecero allestire tende mediche lungo il percorso per soccorrere le persone colpite da congelamenti e incidenti[32][33].
Il 24 dicembre le autorità annunciarono che la razione quotidiana di pane per la maggior parte dei leningradesi sarebbe aumentata di circa 70 grammi e quella degli operai di circa 140 grammi[34]. L'aumento delle razioni fu forse una iniziativa avventata mentre i flussi di rifornimento erano ancora incostanti, ma servì a risollevare enormemente il morale della popolazione, e venne deciso in concomitanza con un'offensiva sovietica che spinse indietro la linea del fronte tedesco nei pressi di Tichvin, dove i sovietici ripresero il controllo della ferrovia principale che conduceva al lago Ladoga[34].
Le autorità sovietiche continuarono a lavorare per mantenere aperta e ampliare l'unica via di rifornimento a Leningrado. Si costruirono altre cinque strade sul ghiaccio, vennero arruolate migliaia di donne come sentinelle e infermiere lungo la ferrovia e il percorso, e in gennaio, quando lo spessore del ghiaccio raggiunse quasi un metro, il flusso di autocarri verso la città crebbe enormemente, tanto che fu possibile far passare attraverso la strada ghiacciata perfino le autoblindo[33]. In quel mese i rifornimenti raggiunsero le 2000 tonnellate al giorno, le razioni vennero ulteriormente aumentate e gli autocarri che all'andata trasportavano viveri, al ritorno trasportavano migliaia di abitanti di Leningrado verso l'interno. In quattro mesi vennero evacuati circa mezzo milione di abitanti[34].
Il fronte si stabilizza
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Il 6 ottobre Žukov lasciò il fronte di Leningrado a Fedjuninskij, il quale due settimane dopo fu messo al comando della 54ª Armata venendo sostituito dal generale Michail Chozin. Questi si concentrò subito sul potenziamento delle difese della 42ª e 55ª Armata, le cui divisioni erano ridotte ad appena 2/3000 uomini, e sul migliorare la coordinazione fra le armate di terra e le forze aeree e della flotta del Baltico, che poteva ancora contare sui cannoni delle corazzate Marat e Oktjabr'skaja Revoljucija armate ognuna con pezzi da 305 mm, e gli incrociatori pesanti Kirov e Maksim Gor'kij, oltre ad altre unità minori[35].
Benché Chozin e Ždanov fossero riusciti a rafforzare le difese della città e a compiere alcune sortite offensive che permisero di mettere in sicurezza la linea del fronte, non poterono fare granché per attenuare gli effetti dell'assedio sulla popolazione e sulle truppe. Se in città morivano di stenti migliaia di civili al giorno, anche al fronte nell'inverno 1941-1942 morirono di fame almeno 12 400 soldati e oltre 62 000 risultavano troppo deboli e ammalati per essere efficienti. Le divisioni erano ridotte in media al 30% dell'organico e dato che tutti i cavalli vennero macellati, ben presto la 42ª e la 55ª Armata persero mobilità[36].

Con il Gruppo armate Nord privo della maggior parte delle forze corazzate e del supporto aereo, quindi inabile ad irrompere in città, il fronte si stabilizzò e i combattimenti diminuirono di intensità. L'unica sortita offensiva tedesca fu diretta il 16 ottobre verso il nodo ferroviario di Tichvin, che venne conquistato l'8 novembre. Ciò mise ancora più in difficoltà il sistema logistico sovietico verso Leningrado, e lo Stavka si organizzò subito per riconquistare la città con un attacco concentrico delle esauste 52ª e 54ª armata rafforzate da due divisioni provenienti dall'estremo oriente e dalla 4ª Armata di Kirill Mereckov, il quale prese il comando delle operazioni per l'occasione. Gli attacchi iniziarono il 12 novembre e si protrassero fino al 4 dicembre, quando Mereckov lanciò il decisivo assalto; l'8 dicembre Hans-Jürgen von Arnim, comandante del XXXIX. Panzerkorps, fu costretto ad abbandonare la città ripiegando sul Volchov perdendo l'8ª e la 12ª divisione Panzer. Di fatto il Gruppo armate Nord rimase privo di riserve mobili. Dopo la riuscita riconquista di Tichvin, lo Stavka riorganizzò le forze in questo settore e creò il Fronte del Volchov, sotto il comando di Mereckov[37].
Nel frattempo la guerra di sterminio intrapresa dalle forze armate tedesche in Unione Sovietica proseguì parallela alle operazioni belliche. Con l'arrivo della neve l'SS-Einsatzgruppe A al comando dell'SS-Brigadeführer Franz Walter Stahlecker, che seguiva da vicino il Gruppo d'armate Nord, stabilì il proprio comando presso Krasnogvardejsk, non lontano dal Quartier Generale della 18ª Armata tedesca (AOK 18) a Siverskaja. Nei due mesi successivi l'Einsatzgruppe A assassinò almeno 1389 civili a Krasnogvardejsk e altri 800 a Puškin, mentre il 20 dicembre 1940 fu il XXVIII Corpo della 18ª Armata a richiedere l'intervento dell'Einsatzgruppe A per occuparsi delle circa 240 internate in un manicomio situato a 20 chilometri a nord di Ljuban', a riprova del diretto coinvolgimento della Wehrmacht nella guerra di sterminio a est[N 2]. I registri del comando dell'armata tedesca riportano anche nei dettagli le operazioni di deportazione di 4 300 civili dai sobborghi di Leningrado nel marzo 1942, che vennero inviati in Germania come lavoratori coatti. Questa azioni contro i civili determinarono anche la nascita dei primi gruppi partigiani alle spalle della 18ª Armata, che però non ebbero molto peso almeno fino al 1943[38].
Combattimenti attorno alla città (1942)
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Il successo sovietico a Tichvin galvanizzò lo Stavka, ma fece sopravvalutare ai vertici militari le reali capacità offensive dell'Armata Rossa nel settore di Leningrado. Stalin ordinò affrettatamente a Mereckov di effettuare una offensiva verso Kiriši e Velikij Novgorod per travolgere la 16ª Armata tedesca per poi avanzare di circa 100 chilometri fino a Siverskaja, con l'obiettivo di liberare Leningrado dall'assedio. A metà dicembre iniziarono ad arrivare i rinforzi provenienti dalla riserva siberiana e brigate di fucilieri provenienti dal distretto militare del Volga, fornendo alle forze del Fronte di Volchov di Mereckov - almeno sulla carta - 4 armate (tra cui la neocostituita 59ª Armata) per 32 divisioni, benché di fatto le unità soffrissero di una grossa mancanza di artiglieria, carburante e munizioni, che avrebbero reso molto difficile avere la meglio contro un nemico trincerato e protetto da un terreno poco agevole[39].
Da parte loro i tedeschi, dopo l'arretramento da Tichvin, si attestarono appena oltre il fiume Volchov: la 18ª Armata di Küchler teneva il corridoio Sinjavino-Mga con il XXVIII Corpo, mentre il I e il XXXIX corpo motorizzato tenevano il saliente di Kiriši; la 16ª Armata di Busch presiedeva il Volchov tra Čudovo e Novgorod con il XXXVIII Corpo. Il grosso problema per le forze tedesche era la mancanza di riserve sia perché inviate in altre zone del fronte sia a causa del logorio portato dall'inverno russo[40].
La battaglia per Ljuban'
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Mereckov progettò di utilizzare la nuova 59ª Armata del generale Ivan Galanin per penetrare nel fronte tenuto dal XXXVIII Corpo a sud di Čudovo, e una volta effettuato lo sfondamento, lasciare il campo alla neocostituita 2ª Armata d'assalto del generale Grigorij Lipmanovič Sokolov per proseguire fino all'obiettivo principale, la città di Ljuban'. Nel frattempo la 4ª Armata di Ivanov e la 54ª di Fedjuninskij avrebbero attaccato il saliente di Kiriši da entrambi i lati per accerchiare le forze tedesche e la 52ª avrebbe attaccato verso Novgorod. L'8ª Armata di Bondarev del Fronte di Leningrado avrebbe invece attaccato in direzione Mga. Merenchov era cosciente che l'offensiva era troppo ambiziosa, ma dopo essere sopravvissuto alle prigioni dell'NKVD, per la paura di essere nuovamente arrestato dalla polizia segreta sovietica il 4 gennaio fece partire l'offensiva[41].
Dopo appena due giorni di combattimenti i comandi sovietici capirono che l'attacco della 54ª Armata verso Kiriši era già fallito, così si decise di lanciare all'attacco principale del Fronte del Volchov con gli attacchi multipli della 4ª, 52ª e 59ª Armata. Anche queste unità, sprovviste di artiglieria sufficiente, con un trascurabile supporto aereo e con solo 24 lanciarazzi multipli Katjuša, fallirono il loro attacco in molti punti. Solo i fanti di Galanin riuscirono a creare una piccola testa di ponte oltre il Volchov, che lo Stavka volle utilizzare per lanciare all'attacco la 2ª Armata d'assalto. Il 7 gennaio partì l'attacco con le truppe di Solokov che si batterono accanitamente, ma dopo tre giorni di scontri inconcludenti la manovra fallì[42].
A questo punto lo Stavka ordinò una temporanea sospensione degli attacchi per permettere alle forze sovietiche di riorganizzarsi e sostituire Sokolov con Klykov. Mereckov cercò in ogni modo di aumentare il numero di pezzi d'artiglieria disponibili, ma lo Stavka ordinò di riprendere gli attacchi entro il 13 gennaio, con la 59ª e la 2ª Armata che rinnovarono gli assalti a sud di Spasskaja Polist'. Questo secondo attacco portò a qualche piccolo risultato positivo: dopo quattro giorni di combattimenti le due armate riuscirono a penetrare fra la 126ª e 215ª Divisione di fanteria tedesca a Mjasnoj Bor (un villaggio a 35 km a nord del lago Il'men'), mentre la 54ª di Fedjuninskij conquistò Pogost'. Fra il 17 e il 23 gennaio la 59ª e la 2ª Armata continuarono i loro attacchi verso Mjasnoj Bor facendo scarsi progressi contro le ben posizionate truppe tedesche, che potevano contare sugli efficacissimi semoventi d'artiglieria StuG III, che in quei giorni vennero armati con nuovi proiettili ad alto potenziale, ora in grado di distruggere i carri KV-1 e T-34, che fino ad allora sfruttavano una corazzatura che gli aveva molto ben protetti dal tiro controcarro tedesco[43].

Cosciente della fragilità delle proprie posizioni e con scarsissime riserve disponibili, Leeb accennò a Hitler la possibilità di ripiegare dal Volchov, e questi per tutta risposta il 16 gennaio lo sollevò dal comando e lo sostituì con Küchler, mentre la 18ª Armata passò al comando del generale Georg Lindemann. In quei giorni il Gruppo d'armate Nord stava vivendo un momento di grossa crisi con le forze sovietiche che continuavano a spingere al costo di gravi perdite nella breccia di Mjasnoj Bor. Küchler spostò quindi ogni unità disponibile a bloccare la penetrazione sovietica, utilizzando la legione SS belga appena giunta al fronte, reparti del genio e battaglioni di polizia. Cedendo alle pressioni dello Stavka, Mereckov inviò nella breccia anche il XIII Corpo di cavalleria, e alcuni reparti d'assalto avanzarono fino a 75 chilometri in profondità, ma grazie al fallimento dell'attacco della 4ª Armata sovietica su Kiriši, Küchler potè spostare la 291ª Divisione a protezione della breccia e quindi di Ljuban', e creò una forza difensiva formata dalla 285ª Divisione di sicurezza, dalla II brigata delle SS e da un Kampfgruppe della 20ª Divisione di fanteria motorizzata per tenere le estremità meridionali e occidentali del saliente. Poiché anche il fronte di Leningrado appariva tranquillo, il generale tedesco distaccò anche la 58ª Divisione di fanteria e una divisione di polizia delle SS, che vennero inviate sul fronte del Volchov e ordinò al suo stato maggiore di progettare un attacco a tenaglia per accerchiare la 2ª Armata sovietica[44].
I combattimenti continuarono senza grossa intensità fino al 12 febbraio, quando la 2ª Armata d'assalto catturò due capisaldi tedeschi a sud di Spasskaja Polist' allargando la breccia a 14 chilometri di larghezza, e Mereckov volle ulteriormente rafforzare l'armata fino all'equivalente di quindici divisioni in attesa di sferrare l'attacco decisivo. Il 15 marzo Fedjuninskij lanciò un nuovo attacco verso Pogost', che aprì una breccia nelle difese della 269ª Divisione di fanteria tedesca, riuscendo ad avanzare di 22 chilometri verso Ljuban'. Per un attimo le due ganasce della tenaglia costituite dalla 2ª Armata d'assalto e dalla 54ª si trovarono distanti appena 35 chilometri, minacciando di accerchiare 8 divisioni tedesche. A peggiorare la situazione del Gruppo d'armate Nord fu l'attacco condotto dal Fronte nord-occidentale contro la 16ª Armata a sud del lago Il'men' che l'8 febbraio consentì alle truppe sovietiche di accerchiare 96 000 soldati tedeschi a Demjansk e 5 000 a Cholm[45].
La distruzione della 2ª Armata sovietica
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Nonostante le forze di Mereckov fossero in vista di una possibile vittoria, il 15 marzo 1942 Küchler lanciò l'offensiva denominata operazione "Raubtier". La 58ª Divisione appoggiata dalla divisione di polizia delle SS e dagli Stuka della Luftflotte 1 colpirono la base della penetrazione sovietica presso Mjasnoj Bor. Il 20 marzo la tenaglia tedesca si chiuse e oltre 50 000 fanti della 2ª Armata d'assalto e della 54ª Armata sovietica vennero fatti prigionieri, mentre i tentativi di soccorso di Mereckov fallirono anche a causa del rapido disgelo accompagnato da forti piogge che lasciarono in pratica intransitabile gran parte del terreno su cui si trovavano le forze sovietiche intrappolate. Mereckov ordinò quindi a tutto il Fronte di Volchov di mettersi sulla difensiva, e lo Stavka lo sollevò dall'incarico preferendogli Chozin, al quale venne ordinato di correre in soccorso delle forze intrappolate. Il 20 aprile il generale Andrej Vlasov si trasferì in aereo nella sacca della malridotta 2ª Armata d'assalto, trovando una situazione critica, con unità ridotte al 30% degli effettivi e scorte di munizioni e viveri ridotte al minimo[46].
Dapprima i tedeschi si limitarono a bersagliare le forze sovietiche intrappolate col fuoco d'artiglieria, tuttavia Chozin riuscì ad organizzare diverse sortite di soccorso che consentirono a molti soldati di sfuggire all'accerchiamento, per cui Küchler ordinò a Lindemann - ora responsabile di tutta la battaglia - di annientare la 2ª Armata d'assalto. Il 30 maggio il I e XXXVIII Corpo attaccarono chiudendo definitivamente ogni via di fuga per le truppe sovietiche, e dopo un ultimo fallimentare tentativo di aprirsi un varco fra le linee tedesche il 5 giugno, la 2ª Armata si disgregò definitivamente. I tedeschi presero circa 32 000 prigionieri tra i quali lo stesso generale Vlasov e nelle settimane successive eliminarono le ultime piccole sacche di resistenza, mettendo definitivamente fine all'esistenza della 2ª Armata[47]. La catastrofe fu seguito da un altro evento disastroso per i sovietici: il generale Vlasov, apparentemente profondamente demoralizzato e deluso dopo la disfatta sul Volchov e la cattura il 12 luglio 1942, avrebbe defezionato passando al nemico e organizzando negli anni successivi reparti di militari russi collaborazionisti con i tedeschi[48].
Stalin sollevò Chozin e rimise al comando Mereckov, mentre Leonid Govorov fu messo al comando del Fronte di Leningrado che fino a poche settimane prima era sotto gli ordini di Chozin. Dall'inizio dell'offensiva verso Ljuban' il 7 gennaio ai primi di luglio 1942 il Fronte di Volchov subì all'incirca 403 000 perdite, di cui quasi 150 000 caduti o prigionieri, mentre i risultati sul campo furono trascurabili, e privò lo Stavka dell'opportunità di riprendere l'offensiva sui fronti di Leningrado e Volchov per parecchi mesi. L'unico successo per i soldati sovietici fu l'aver creato un piccolo saliente nelle linee tedesche nei pressi di Pogost', rendendo quello di Kiriši in mano tedesca vulnerabile ad un attacco a tenaglia. Mereckov difatti attaccò nel settore tre volte tra luglio e agosto, ma fallì ogni volta. Ciò provoco comunque forti perdite fra le forze tedesche, facendo capire a Küchler che se non fosse passato all'offensiva prima o poi, gli attacchi sovietici avrebbero logorato le sue truppe fino ad un punto di non ritorno[49].
Le scelte operative tedesche
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Dopo l'insuccesso sovietico a Ljuban' i tedeschi cominciarono a riconsiderare l'opportunità di impegnare il Gruppo d'armate Nord per un'ampia operazione d'assedio. Il Führer il 5 aprile emanò la Direttiva n.41 in cui oltre a definire i piani generali dell'operazione Blu, ribaltò la decisione precedente di assediare Leningrado, con l'ordine invece di conquistare la città appena si avessero avuto forze a sufficienza[50].
Il 4 luglio terminò l'assedio di Sebastopoli e si rese quindi disponibile l'11ª Armata di Erich von Manstein per un rischiaramento a nord. Hitler decise che quattro divisioni di Manstein e l'artiglieria pesante dell'armata fossero spostate sul fronte di Leningrado. Alla luce di questo cambio di programma Küchler elaborò tre operazioni: l'operazione Bettelstab diretta contro la testa di ponte di Oranienbaum; l'operazione Moorbrand diretta contro il saliente di Pogost'; l'operazione Nordlicht - la più importante - che mirava a conquistare la città. Il 23 luglio Hitler emanò la Direttiva n.45, in cui precisava che Leningrado doveva essere conquistata entro settembre, raccomandando di concludere le prime due operazioni per liberare le truppe per l'operazione principale[51].
Le difficoltà logistiche consentirono al quartier generale di Mainstein di arrivare solo il 27 agosto, e le quattro divisioni cominciarono ad arrivare alla spicciolata poco dopo. Hitler ordinò che fosse Mainstein a condurre l'operazione Nordlicht, con Küchler che avrebbe tenuto il fronte sul fiume Volchov rinforzato da due divisioni da montagna e la 250ª Divisione di volontari spagnoli. Le due operazioni minori vennero accantonate e Manstein modificò il piano originario di Nordlicht, preferendo una manovra avvolgente all'assalto diretto progettato da Küchler. Nella sua nuova versione, l'operazione Nordlicht prevedeva l'assalto di cinque divisioni verso il saliente di Pulkovo per poi isolare il saliente di Kolpino e in seguito dare l'assalto per superare la Neva. Una volta stabilite sufficienti teste di ponte la 12ª Divisione panzer e quattro divisioni di fanteria avrebbero attaccato oltre il fiume per far ripiegare la 55ª Armata sovietica con una manovra avvolgente verso nord, in direzione della linea ferroviaria Leningrado-Osinovezckiy, in modo tale da tagliare le linee di rifornimento sovietiche che dal Lago Ladoga scendevano lungo la ferrovia verso Leningrado[52].
I sovietici tentano di rompere l'assedio
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Venuti a conoscenza dei preparativi tedeschi, lo Stavka si decise a rompere l'assedio prima che i tedeschi mettessero in moto il loro piano. Dopo la disastrosa offensiva di Ljuban' fu ordinato a Mereckov di ricostituire la 2ª Armata d'assalto con i superstiti e nuovi rimpiazzi, e nel frattempo cominciò la pianificazione di una nuova offensiva. Mereckov e il comandante del Fronte di Leningrado Govorov si accordarono per un attacco a tenaglia diretto verso Sinjavino, con Govorov che avrebbe oltrepassato la Neva e Mereckov avrebbe attaccato il lato orientale del corridoio, che andava da Lipki, sul Lago Ladoga, a Miškino, tenuto dal XXVI Corpo tedesco del generale Albert Wodrig, che potè utilizzare i rinforzi concessi da Kûchler e i capisaldi edificati dai sovietici durante i primi mesi dell'invasione tedesca, con le forti posizioni nel boschetto Kruglaja e sulle alture di Sinjavino[53].
Quando il servizio d'informazioni sovietico apprese che Manstein era in viaggio verso Leningrado, fece pressioni sui comandanti sovietici affinché iniziassero l'offensiva il prima possibile. Alle 2:10 del 27 agosto Mereckov lanciò quindi la seconda offensiva di Sinjavino, con l'8ª Armata del generale Filipp Starikov nei pressi della località di Gajtolovo[54], vicino alla linea di separazione tra la 223ª e la 227ª Divisione del XXVI Corpo tedesco. L'attacco non riuscì ad intaccare le difese nei pressi del bosco Kruglaja e aprì solo piccoli varchi nonostante un vantaggio di 4:1 riguardo le forze in campo e un enormemente superiore ammassamento di artiglieria. Il giorno successivo iniziarono ad arrivare i rinforzi tedeschi con tre divisioni di fanteria e alcuni carri armati Tiger del Pz.Abt. 502, mentre i carri della 124ª Brigata corazzata sovietica lanciati all'attacco nel tentativo di ribaltare la situazione a Gajtolovo, rimasero impantanati in una palude a causa della scarsissima conoscenza del terreno da parte degli ufficiali sovietici. Questo e altri errori tattici frustarono gli attacchi delle forze di Starikov; Mereckov decise quindi di inviare poco a poco la 2ª Armata per rinforzare l'attacco[55].

Sull'altro lato della tenaglia fin dal 26 agosto Govorov riuscì a portare truppe oltre la Neva, rioccupando la vecchia testa di ponte "Cinque copechi" (Nevsky Pyatachok, aperta a settembre 1941 nel tentativo di tenere aperti i collegamenti tra Leningrado e il Fronte di Volchov), senza avanzare ulteriormente. Il 31 agosto Starikov tentò l'ultimo attacco avanzando fino ad appena cinque chilometri dalle forze di Govorov, ma i contrattacchi tedeschi del 2 settembre e la mancata avanzata delle stesso Govorov fecero tornare la situazione ad uno stallo, proprio mentre Manstein si apprestava a contrattaccare[56].
Quando divenne chiaro che l'offensiva sovietica era ad un punto morto, Hitler ordinò a Manstein di assumere il comando delle operazioni e bloccare la penetrazione sovietica il più rapidamente possibile. Messo al comando di tutte le forze a disposizione nel settore più le unità che via via arrivavano dalla Crimea, Manstein attaccò il 10 settembre per tagliare la base del saliente sovietico. Respinto l'attacco, il 21 il feldmaresciallo tedesco lanciò un potente attacco a tenaglia con quattro divisioni del XXVI e XXX Corpo, che in quattro giorni si collegarono vicino Gajtolovo riuscendo così ad intrappolare il grosso dell'8ª Armata e parte della 2ª d'assalto[54]. Subito dopo l'accerchiamento delle truppe di Starikov, il 26 settembre la 55ª Armata tentò di attraversare la Neva dalla testa di ponte "Cinque copechi" e da un'altra testa di ponte più a sud, ma il contrattacco della 12ª Divisione panzer bloccò i sovietici e la 55ª si ritirò al di là della Neva. Manstein catturò almeno 12 500 soldati sovietici e bloccò definitivamente l'avanzata delle forze di Mereckov, che in totale assieme al Fronte di Leningrado, subirono circa 113 674 perdite, circa il 59% delle forze impegnate, mentre il Gruppo d'armate Nord tra agosto e settembre subì circa 26 000 perdite[57].
A quel punto Manstein richiese almeno 10 000 rimpiazzi per riorganizzarsi e procedere per scatenare l'operazione Nordlicht, ma l'OKH poco dopo ordinò al feldmaresciallo e alla sua 11ª Armata di riprendere la via verso sud, dove Manstein avrebbe preso il comando del Gruppo d'armate Don, creato per fermare l'offensiva sovietica in corso dal 19 novembre e soccorrere le truppe della 6ª Armata accerchiate nella sacca di Stalingrado dal 23 novembre[58]. Di fatto l'offensiva sovietica non riuscì ad aprire un varco tra le linee tedesche e a far terminare l'assedio, ma ebbe successo nello sventare l'operazione Nordlicht, salvando così Leningrado[59].
L'assedio si attenua (1942-1943)
[modifica | modifica wikitesto]La primavera del 1942 aveva portato sollievo ai leningradesi: arrivarono viveri, carburante, munizioni, attrezzi per riprendere la produzione industriale e bellica, vennero assegnati appezzamenti di terreno per coltivare, furono riaperti alcuni ristoranti municipali che fornivano pasti caldi e gli alunni tornarono nelle scuole. Quella primavera iniziarono inoltre ad arrivare in città casse alimentari provenienti dagli Stati Uniti grazie al Lend-Lease Act. Nell'estate lo scioglimento del lago Ladoga consentì di rifornire la città con imbarcazioni, mentre sul fondo del lago venne posata una condotta che faceva affluire carburante in città e una che faceva arrivare elettricità[60]. In estate si arrivò a scaricare in città oltre 150 000 tonnellate di approvvigionamenti al mese, e si lavorò alacremente per stipare carbone, legna, cibo e carburante in vista dell'inverno. I tedeschi - nel frattempo impegnati a contenere l'offensiva sovietica verso Ljuban' - con pochi mezzi a disposizione tentarono di bombardare le navi in transito sul lago, ma ebbero ben poco successo[61]. Nonostante il miglioramento delle condizioni di vita, durante l'estate i tassi di mortalità rimasero molto elevati perché molti cittadini uscirono dal primo inverno denutriti e indeboliti da mesi di stenti e malattie. Le evacuazioni di popolazione dalla città, ma soprattutto il milione di cittadini morti durante il primo inverno, lasciarono una popolazione molto meno numerosa (vennero sfollati 539 000 civili e ne rimasero circa 700 000 assieme a 420 000 soldati), permettendo di aumentare decisamente le razioni giornaliere di cibo[62].
Grazie al miglioramento delle condizioni di vita per i cittadini e al lavoro di stoccaggio di rifornimenti, Leningrado affrontò il secondo inverno in condizioni migliori rispetto al tragico primo inverno dell'assedio. Ad aiutare i leningradesi fu anche il clima, dato che l'inverno 1942-1943 fu meno rigido del precedente, con il gelo che arrivò verso fine novembre lasciando libero il transito alle imbarcazioni attraverso il Ladoga fino al 7 gennaio, consentendo quindi un ulteriore trasporto di grandi quantità di materiali e viveri. Inoltre quando il lago ghiacciò, grazie all'esperienza accumulata, le autorità seppero gestire meglio fin da subito il trasporto attraverso la via di ghiaccio, organizzando gli invii di materiale, soprattutto militare, in modo più efficiente[60].
A rendere più sopportabile l'assedio per i civili di Leningrado vi fu anche una decisione strategica dell'Alto comando dell'esercito tedesco, che il 14 ottobre ordinò al Gruppo d'armate Nord di mettersi sulla difensiva per l'inverno. La città rimaneva isolata, bombardata dagli attacchi aerei e d'artiglieria e dipendente dalle precarie vie di comunicazione attraverso il lago, che era sotto il tiro dell'artiglieria tedesca, ma si era preparata risolutamente ad affrontare un nuovo inverno[60].
L'8 novembre 1942 il governo sovietico dette risalto al venticinquesimo anniversario della Rivoluzione russa tenendo dei festeggiamenti allo Smol'nyj, dove fu trasmesso alla radio un discorso di Stalin, il quale annunciò che ben presto si sarebbe fatta «festa per le strade» riferendosi all'imminente controffensiva di Stalingrado. Quella sera lo stesso leader sovietico chiamò Govorov, al quale venne ordinato di dare il via alla quinta offensiva[N 3] che doveva rompere il blocco. Il 2 dicembre lo Stavka attribuì all'offensiva il nome in codice Iskra ("scintilla")[N 4], che sarebbe consistita in un attacco poderoso e simultaneo dei fronti di Leningrado e Volchov, coordinato dal generale Georgij Žukov, che venne inviato a Leningrado per l'occasione[63].
Il primo successo sovietico
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Dopo la seconda oggettiva di Sinjavino i due schieramenti rimasero quasi tre mesi sulla difensiva, con lo Stavka concentrato soprattutto sui combattimenti che si stavano svolgendo attorno a Stalingrado. Tuttavia Govorov e Mereckov lavoravano sui piani di un'offensiva congiunta da scatenare nuovamente contro il corridoio di Sinjavino. Govorov riorganizzò il Gruppo Operativo Neva trasformandola nella 67ª Armata al comando del generale Michail Duchanov, che venne rafforzata con unità di fucilieri e batterie d'artiglieria, mentre Mereckov ricevette cinque divisioni fucilieri, una brigata del genio, tre brigate sciatori e molte brigate di artiglieria, che utilizzò per ricostituire per la seconda volta la 2ª Armata d'assalto. Il 9 gennaio arrivò al fronte anche Žukov, che si posizionò nel quartier generale della 2ª Armata d'assalto, la più a nord di quelle del Fronte di Volchov. I comandi decisero di lanciare l'offensiva nei primi giorni di gennaio, con la Neva abbastanza ghiacciata da poter essere attraversata con i carri armati, e decisero di coordinarsi in maniera simultanea in modo tale da non permettere ai tedeschi di spostare le riserve alla bisogna[64].
Dall'altro lato dello schieramento la 18ª Armata di Lindemann teneva ancora saldamente il saliente di Sinjavino con il XXVI Corpo d'armata, ma le riserve disponibili erano scese ulteriormente (la 12ª Divisione panzer ad esempio fu aggregata al Gruppo d'armate Centro). Il XXVI Corpo ora al comando del generale Ernst von Leyser poteva schierare a difesa della Neva la sola 170ª Divisione rafforzata con un reggimento di granatieri della 227ª Divisione, mentre a est poteva schierare il resto di quest'ultima, la 1ª e la 223ª Divisione a difesa delle strade d'accesso a Mga e Sinjavino[65].
Alle 9:30 del 12 gennaio 1943 il Fronte di Leningrado e quello di Volchov iniziarono l'attacco con un tiro d'artiglieria di un'intensità mai vista su quel fronte, che terminò alle 11:45 con una violentissima bordata di centinaia di lanciarazzi multipli[66]. Pochi minuti prima della fine del bombardamento le divisioni di Duchanov iniziarono a superare la Neva lungo i dodici chilometri tra Šlissel'burg e Dubrovka, trovando una forte resistenza tedesca, che fu vinta nella zona di Mar'ino, dove i sovietici riuscirono a sfondare e a mettere al sicuro una testa di ponte larga cinque chilometri e profonda tre, che consentì ai genieri di creare ponti utili a far passare i pesanti carri T-34. Dall'altro lato dello schieramento la 2ª Armata d'assalto di Vladimir Romanovskij attaccò con sei divisioni su un fronte di dieci chilometri trovando svariati capisaldi costruiti attorno ai quartieri operai che bloccarono l'avanzata sovietica. Poiché il fronte principale sembrava tenere, Leyser inviò rinforzi verso la 170ª Divisione allo scopo di eliminare la testa di ponte creata dalla 67ª Armata, ma il contrattacco tedesco nonostante un iniziale successo, alla fine fallì e la testa di ponte venne rinforzata[67].

Sul fronte di Romanovskij l'avanzata era lenta e Žukov fece pressioni su Mereckov affinché le cose progredissero più rapidamente. Vennero quindi impiegate le riserve della 2ª Armata che ingaggiarono quattro giorni di violenti combattimenti con i difensori tedeschi, mentre dall'altro lato le forze di Duchanov uscirono dalla testa di ponte e circondarono Šlissel'burg da sud, ingaggiando quindi i tedeschi verso nord-est in direzione della 2ª Armata d'assalto. Romanovskij avanzava lentamente, ma la distanza fra le due armate andava accorciandosi, fino al 18 gennaio, quando i due fronti sovietici riuscirono a ricongiungersi presso il Quartiere operaio n.1. Quello stesso giorno Žukov venne nominato Maresciallo dell'Unione Sovietica[68].
Pur avendo intrappolato in una sacca circa 8 000 soldati del Kampfgruppe Hübner, i sovietici, ormai allo stremo, non riuscirono a evitare la fuga dei tedeschi, che lasciarono sul campo armamento pesante, compresi cinque carri Tiger. Nel frattempo Lindemann riuscì a districare gran parte delle sue forze e organizzare una nuova linea difensiva sulle alture di Sinjavino, che venne rinforzata nei giorni successivi da altre tre divisioni tedesche, mentre le forze sovietiche mollarono definitivamente la presa a fine gennaio[69]. L'operazione Iskra rappresentò il primo vero successo sovietico - per quanto limitato - sul fronte di Leningrado, aprendo uno stretto ma importantissimo corridoio terrestre verso la città assediata. L'operazione costò molto in termini di vite umane: le forze sovietiche avevano perso in totale 115 082 uomini, di cui 33 940 morti e dispersi, mentre il XXVI Corpo tedesco aveva sofferto 8 905 perdite, di cui 1630 morti. Nel corridoio largo appena 8-10 chilometri i genieri sovietici iniziarono subito a costruire una ferrovia, che fu messa in servizio il 6 febbraio 1943, nonostante fosse tenuta sotto tiro dall'artiglieria tedesca. L'utilizzo di tale ferrovia fu fin da subito difficile e precario, ma rappresentò il primo chiaro segnale che il blocco attorno alla città stava indebolendosi[70].
Ulteriori tentativi di sfondamento
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Dopo la vittoriosa operazione Iskra e l'imminente resa della 6ª Armata di Paulus a Stalingrado, per Stalin e Žukov sembrò il momento adatto per lanciare un'offensiva generale invernale. Žukov progettò una grandiosa operazione di accerchiamento, nota come operazione Stella Polare (Operatsia Polyarnaya Zvezda) contro il Gruppo d'armate Nord: l'8 febbraio i fronti di Leningrado e Volchov avrebbero attaccato simultaneamente la 18ª Armata di Lindemann per attirare a nord le riserve tedesche, mentre più a sud si sarebbe svolto lo sforzo principale, con il maresciallo Semën Timošenko che, il 15 febbraio, avrebbe attaccato con le sei armate del Fronte Nordoccidentale il saliente di Demjansk, per poi avanzare a nord-est verso Luga. Žukov prevedeva che questa offensiva avrebbe intrappolato il grosso della 16ª e 18ª Armata tedesca in una gigantesca sacca a sud di Leningrado[71][72].
Il 10 febbraio la 55ª Armata del Fronte di Leningrado attaccò gli avamposti spagnoli della divisione "Azul" nei pressi di Krasnyj Bor, mentre la 54ª Armata del Fronte di Volchov attaccò in direzione Mga la 96ª Divisione di fanteria tedesca. Nonostante la condizione di assoluta superiorità materiale, le forze sovietiche furono mandate in combattimento ancora duramente provate dalle perdite subite durante l'operazione Iskra, e il balzo iniziale fu fermato in tre giorni dalle truppe di Lindemann. Il generale tedesco fu ancora in grado di spostare un numero sufficiente di riserve dai settori più tranquilli del fronte, riuscendo a neutralizzare l'offensiva sovietica e a impedire alle linee tedesche di spezzarsi. A rendere più difficile la situazione dei tedeschi, il 12 febbraio la 67ª e la 2ª Armata d'assalto si unirono all'offensiva, lanciando attacchi rispettivamente verso Gorodok e Sinjavino. La 2ª Armata non riuscì a fare progressi mentre dopo sei giorni di intensi combattimenti la 67ª Armata catturò Gorodok[73].
Nel complesso l'offensiva aveva intaccato in vari punti le difese tedesche, ma solo a prezzo di notevoli perdite; inoltre i tedeschi riuscirono ad anticipare le mosse di Žukov evacuando anticipatamente il saliente di Demjansk il 19 febbraio, accorciando così il fronte della 16ª Armata, impedendo all'attacco di Timošenko di sfondare a sud del lago Il'men e a impedire l'accerchiamento. Žukov, insoddisfatto del risultato ordinò a Govorov e Mereckov di compiere un nuovo tentativo a marzo, nel tentativo di aprirsi la strada verso Mga e ricollegarsi al Fronte Nordoccidentale, ma l'attacco preparato in fretta e senza adeguata pianificazione fallì, e dopo aver subito circa 150 000 perdite in totale, il 2 aprile lo Stavka ordinò ai due fronti di fermarsi e passare alla difensiva[74].
La lotta per le alture di Sinjavino
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Dopo il fallimento dell'operazione Stella Polare l'attenzione dell Stavka si concentrò quasi esclusivamente sulla situazione che si stava sviluppando attorno a Kursk, permettendo ai fronti di Leningrado e Volchov di passare alla difensiva per quasi quattro mesi, permettendo ai due Fronti di riorganizzare le forze e progettare nuove offensive estive. Dopo la importantissima vittoria a Kursk, lo Stavka permise a Govorov e Mereckov ad iniziare limitate manovre per diminuire la pressione sulla linea ferroviaria aperta grazie all'operazione Iskra e preparare il terreno per porre termine in modo definitivo all'assedio[75].
I due generali progettarono l'ennesimo attacco simultaneo contro le alture di Sinjavino con la 67ª Armata che avrebbe attaccato da ovest e l'8ª da est. L'azione iniziò alle 04:30 del 22 luglio 1943, una settimana dopo la fine degli scontri a Kursk, ma gli attacchi vennero fermati dai tedeschi; ciononostante lo Stavka ordinò che l'offensiva continuasse a ritmo ridotto fino al 22 agosto, quando ne autorizzò la sospensione. I due generali sovietici progettarono un nuovo attacco per settembre, ma questa volta con obiettivi limitati e un uso più attento delle forze. Il 30º Corpo fucilieri della Guardia dell'67ª Armata, al comando del generale Nikolaj Simonjak, avrebbe sferrato un assalto diretto contro le alture di Sinjavino da nord, con il supporto da gran parte dell'artiglieria e dall'aviazione del Fronte di Volchov, mentre l'8ª Armata avrebbe compiuto un attacco d'appoggio da est[76].
L'attacco di Simonjak prese alla sprovvista Lindemann, sorpreso dal violento fuoco d'accompagnamento in luogo della solita preparazione d'artiglieria da due ore che caratterizzava da tempo le offensive sovietiche in quel settore. La rapidità dell'attacco sovietico non permise a Lindemann di organizzare la difesa, e il generale tedesco si rassegnò alla perdita delle alture, creando una linea difensiva poco più a sud. Dopo quattro giorni di offensiva e circa 70 000 perdite, lo Stavka sospese l'operazione. La conquista delle alture di Sinjavino fu uno dei pochi successi tattici sovietici nel settore, e ridusse molto la minaccia dell'artiglieria tedesca alla linea ferroviaria che portava a Leningrado. Era ormai un dato di fatto che il blocco tedesco alla città era ridotto a livello nominale e il Gruppo d'armate Nord non era più in grado di lanciare offensive di grosse dimensioni, tanto che Küchler cominciò a concentrarsi sul miglioramento delle mosse difensive invece che sulla ripresa dell'assedio. Per accorciare il fronte e disporre di qualche riserva, il 1º ottobre ottenne il permesso da Hitler di abbandonare il saliente di Kiriši, liberando così le quattro divisioni del 29º Corpo. Fu anche autorizzata la creazione di una linea difensiva denominata "Panther", che correva da Narva a Pskov e Ostrov, e che avrebbe portato la 18ª Armata a potersi ritirarsi su questa linea in caso di sfondamento sovietico a Leningrado[77].
Attorno alla città il resto del 1943 fu abbastanza tranquillo, con i sovietici che si organizzarono per porre fine all'assedio e i tedeschi che si preparavano a difendersi. Dopo la resa dell'Italia, ad ottobre gli spagnoli ritirarono la 250ª Divisione, indebolendo ulteriormente le forze di Lindemann, che ad inizio 1944 si trovavano a dover difendere un fronte molto ampio - che si estendeva dalla testa di ponte di Oranienbaum a Mga e poi a sud verso Novgorod sul lago Il'men - con appena venti divisioni di fanteria inquadrate in sei corpi d'armata[78].
L'ultimo inverno (1943-1944)
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Anche se il cerchio venne spezzato nel gennaio 1943, fu solo dopo aver assunto nell'estate l'iniziativa strategica a Kursk che i sovietici si trovarono nelle condizioni di poter avanzare su un fronte esteso, e solo così si sarebbe potuta liberare Leningrado. Per quasi tutto il 1943 l'attenzione dell'OKW fu indirizzata nel contenimento delle offensive sovietiche a sud del fronte orientale volte a liberare l'Ucraina, mentre a nord lo Stavka si preparò ad effettuare una grande operazione con il Fronte di Volchov e di Leningrado che si prepararono all'operazione Novgorod-Luga, parte dell'offensiva generale Leningrado-Novgorod, in cui i due fronti avrebbero unito le loro forze al 2º Fronte del Baltico per respingere definitivamente i tedeschi dalle strade di Leningrado ad inizio 1944[79].
Per fortuna dei sovietici, i finlandesi non si dimostrarono mai troppo decisi a conquistare Leningrado come i loro alleati, tanto che dopo l'inizio dell'operazione Barbarossa, il governo di Helsinki si limitò a rioccupare la linea Mannerheim e altri territori conquistati da Mosca nel 1940. Da allora però si erano dimostrati poco interessati a ulteriori avanzate, e questo atteggiamento, unito al ritiro delle riserve tedesche andate a combattere in Ucraina, rese alla fine del 1943 la 18ª Armata tedesca molto vulnerabile[80]. I tedeschi d'altro canto non credevano che i sovietici sarebbero stati in grado di sferrare un attacco su larga scala, ma erano convinti che i sovietici avrebbero continuato ad attaccare "a scaglioni", come accaduto durante i mesi precedenti. Hitler forte di questa sicurezza ordinò a Küchler di resistere ad oltranza, ma il generale comandante del Gruppo d'armate Nord preparò comunque piani di ritirata con basi di rifornimento arretrate in Estonia[81].
Sul piano politico, per Stalin avere forze nemiche a pochi chilometri dalla seconda città dell'Unione Sovietica, iniziava ad essere inaccettabile per una nazione che stava ormai vincendo la guerra. Lo Stavka il 12 ottobre approvò quindi un piano generale per un attacco generale da effettuarsi nel gennaio 1944, anche nel timore che i tedeschi potessero ritirarsi dalla zona con le forze intatte[81]. Per evitare un ennesimo assalto frontale, lo Stavka progettò il trasferimento della 2ª Armata nella testa di ponte di Oranienbaum per un attacco a tenaglia contro la 18ª Armata. Per tutto novembre 1943 le forze sovietiche si trasferirono in gran segretezza su convogli notturni formati da piccole chiatte scortate da dragamine e guardacoste, in modo tale da non allertare i tedeschi con l'utilizzo di unità da guerra, facendo credere di star evacuando la popolazione civile. In realtà a Oranienbaum vennero trasferite cinque divisioni, 600 cannoni e diverse unità corazzate[82].
Parallelamente i comandi tedeschi indebolirono gradualmente il Gruppo d'armate Nord, trasferendo varie unità di veterani in altri settori del fronte e privandola di gran parte dei mezzi corazzati; perfino il Pz.Abt. 502 e i suoi Tiger vennero inviati più a sud a supporto della 16ª Armata. Privo di parte dei mezzi corazzati, di supporto aereo e di fanteria esperta, le forze di Küchler divennero di fatto una grande formazione di difesa statica, mentre le risorse sovietiche nella regione aumentavano con un costante afflusso di rinforzi e materiali[83].
L'assedio finisce
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Il piano operativo di Govorov prevedeva che la 2ª Armata d'assalto attaccasse dalla testa di ponte di Oranienbaum e si collegasse alla 42ª Armata del colonnello generale Ivan Masilennikov, che avrebbe attaccato verso ovest da Leningrado verso Krasnoe Selo; sperava che questa azione attirasse le forze tedesche indebolendo così il settore sul Volchov. Mereckov avrebbe quindi attaccato con l'8ª, la 54ª e la 59ª Armata, per fare irruzione contro il fianco destro indebolito della 18ª Armata tedesca. Dato il notevole vantaggio materiale, Govorov e Mereckov si aspettavano un rapido crollo tedesco e una veloce avanzata verso la linea "Panther" prima che venisse occupata saldamente dai tedeschi[84].
Il 14 gennaio 1944, dopo una preparazione d'artiglieria di circa un'ora, la 2ª Armata sovietica iniziò ad avanzare rallentata dalla nebbia e dalle nevicate intermittenti. Il giorno dopo, effettuato lo sminamento e dopo che l'attenzione dei tedeschi si concentrò su Oranienbaum, il resto del fronte di Leningrado di Govorov si unì all'attacco, e così fece il fronte di Volchov di Mereckov più a sud attorno a Novgorod[82]. Nonostante il grande impiego di forze, l'avanzata sovietica durante l'operazione Novgorod-Luga fu lenta e incerta, molto diversa dalle brillanti vittorie sovietiche nel settore sud del fronte orientale: numerosi comandanti sovietici avevano trascorso la guerra dentro e fuori Leningrado, e non avevano potuto acquisire l'esperienza nelle offensive in profondità che avevano acquisito i loro colleghi. Le tattiche usate dai subalterni di Govorov erano troppo lineari e frontali, la fanteria veniva dispersa senza adeguato supporto di unità corazzate, le quali al contrario rimasero troppo spesso inattive, e a volte utilizzate in modo confuso, usando gravi perdite agli attaccanti constretti ad assaltare le forti opere difensive tedesche, che venivano superate solo al costo di gravi perdite. Durante gli scontri fu per la prima volta fondamentale nel settore l'appoggio dei partigiani sovietici, i quali coordinandosi con il comando di Govorov, riuscirono in diverse occasioni a danneggiare le linee di comunicazione a nord del nodo ferroviario di Pskov, impedendo così lo spostamento delle riserve tedesche nelle varie zone del fronte[82].
In ogni modo il 20 febbraio l'Armata Rossa era ormai penetrata in profondità nelle linee tedesche, costringendo gli uomini di Lindemann e Küchler a ritirarsi per evitare l'accerchiamento; evitato anche grazie alla scarsa coordinazione delle forze sovietiche. Quando divenne evidente che Küchler si stava ritirando fino alla linea "Panther", il 29 gennaio Hitler lo sollevò dall'incarico sostituendolo con il generale Walter Model; questi tentò di organizzare una difesa a riccio attorno a Narva e Luga, e di lanciare piccoli contrattacchi per arginare la marea sovietica, ma col solo risultato di rinviare l'inevitabile. Luga cadde il 12 febbraio e il 17 Model cominciò il ripiegamento generale verso la linea "Panther". Il 26 febbraio, Leningrado fu ufficialmente dichiarata libera dopo 880 giorni d'assedio[2][85].
In quarantasette giorni di combattimenti i fronti di Leningrado e Volchov erano avanzati di circa trecento chilometri, subendo in totale circa 77 000 perdite contro le 37 000 del Gruppo d'armate Nord[86]. In febbraio lo Stavka sciolse il fronte di Volchov, assegnando le sue forze al fronte di Leningrado di Govorov e al 2º Fronte del Baltico di Popov. A fine febbraio i tedeschi riuscirono a ritirarsi a ovest di Luga e del lago Il'men sulla nuova linea "Panther" che correva dal lago Peipus a Vicebsk. Per il momento l'Estonia e la Lettonia restavano fuori dalla portata delle truppe sovietiche. Con Leningrado salva e le forze tedesche in ritirata, il governo finlandese cominciò a cercare una via d'uscita dal conflitto: Helsinki si unì a Bucarest nell'invio di segnali diplomatici agli Alleati[87].
Analisi e conseguenze
[modifica | modifica wikitesto]La liberazione di Leningrado si affiancò alle offensive sovietiche che in quattro mesi avevano liberato l'Ucraina e la Crimea, ed effettuato incursioni in Bielorussia. Due dei migliori capi operativi di Hitler, von Manstein e von Kleist persero il comando, mentre sedici divisioni tedesche furono spazzate via e altre sessanta furono ridotte a dimensioni minime. Fu il Gruppo d'armate Centro tedesco che si sobbarcò l'onere di inviare divisioni di rinforzo nelle varie zone del fronte, rimanendo al contempo in un settore di relativa stabilità durante la fine del 1943 e la primavera del 1944. Ma con la liberazione dell'Ucraina e la fine dell'assedio ad una delle città più importanti dell'Unione Sovietica, Stalin e lo Stavka si prepararono ad affrontare una volta per tutte le forze tedesche del Gruppo d'armate Centro per aprirsi la strada verso il cuore della Germania[88].
I combattimenti attorno a Leningrado misero in luce l'importanza primaria della logistica per far sopravvivere la città all'assedio, con agli sforzi profusi per creare e mantenere operative le strade sul ghiaccio sul Lago Ladoga, per mantenere aperte le vie marittime attraverso il Golfo di Finlandia per rifornire la testa di ponte di Oranienbaum e nella creazione delle strade di tronchi create nei dintorni di Tichvin per attraversare le zone paludose con i rifornimenti[89]. Fondamentali alla sopravvivenza della città vi furono però anche gli sforzi indirizzati al sostentamento dell'aspetto morale e politico della popolazione leningradese e dell'opinione pubblica. Ingente fu l'impegno per il controllo politico e di sicurezza esercitato dall'NKVD grazie al quale - secondo lo storico Chris Bellamy - non sarebbero sopravvissuti né la città né l'intero paese. Si trattò di un controllo che diede i suoi frutti nell'azione di controspionaggio e raccolta informazioni che permise allo Stavka di anticipare in diverse occasioni le mosse tedesche, e che diede alla popolazione la sensazione di avere ancora alle spalle un partito e un governo forti e in grado di lottare contro l'invasore. Partito che riuscì a risollevare il morale della popolazione tenendo in vita le componenti morali, scientifiche e artistiche della città: utilizzando ad esempio le competenze scientifiche per inventare nuovi tipi di alimenti e creare una rete di tubature sotto il lago per pompare carburante verso la città; oppure utilizzando gli artisti per allestire spettacoli sinfonici, come la presentazione al mondo della Settima Sinfonia di Šostakovič anticipata da un poderoso tiro di artiglieria coordinato con la messa in onda della sinfonia[90].
Da parte tedesca l'assedio di Leningrado fu un fallimento strategico e politico, dato che la città non venne distrutta né materialmente né simbolicamente, ma anzi, pur nella sua atrocità, l'assedio divenne agli occhi del mondo uno stupefacente esempio delle capacità di sopportazione, resistenza e ingegnosa inventiva del popolo sovietico[91][89]. Da un punto di vista operativo l'esercito tedesco riuscì a isolare tre armate sovietiche per oltre due anni, costringendone altre sei a sferrare ripetuti e sanguinosi attacchi per liberare la città. Nel gennaio 1944 l'Armata Rossa schierava ben sessanta divisioni nella zona di Leningrado contro le venti tedesche; forze che non poterono essere utilizzate altrove.

Nonostante le enormi sofferenze inflitte alla popolazione, le truppe tedesche non riuscirono mai a spingere i difensori di Leningrado oltre il punto di rottura; anzi, non sembra che la 18ª Armata o la Luftflotte 1 tentarono mai delle azioni risolutive per schiacciare la città definitivamente. I bombardamenti d'artiglieria e aerei furono sì un tormento per la popolazione, ma non rappresentarono un vero e proprio sforzo per "radere al suolo" la città come ordinato da Hitler. Neppure i collegamenti creati attraverso il lago Ladoga furono bersagliati con la dovuta energia dai tedeschi, i quali disturbarono le operazioni sovietiche ma non riuscirono mai a farle cessare; difatti col passare del tempo le vie sul ghiaccio crebbero di numero e i rifornimenti sovietici aumentarono costantemente. Similmente la 18ª Armata non riuscì ad eliminare la testa di ponte di Oranienbaum neppure anche quando Küchler nell'esatte 1942 ebbe forze a sufficienza per attaccare, lasciando quindi ai sovietici un importante trampolino di lancio che al momento opportuno venne abilmente sfruttato[92]. A dispetto degli errori operativi, a livello tattico le truppe tedesche si dimostrarono comunque molto abili, e i successi difensivi contro forze preponderanti furono notevoli, soprattutto a Sinjavino, dove per quasi due anni respinsero molteplici attacchi infliggendo gravose perdite[93].
Il comportamento operativo dei sovietici a Leningrado fu altalenante: nel 1941-'42 fu ostacolato dalle ingerenze di Stalin, ansioso di togliere rapidamente l'assedio alla città anche al costo di grandi perdite. Spesso i comandanti venivano costretti a utilizzare troppo presto le riserve, cosicché non poterono sfruttare gli uomini per allargare metodicamente le breccie create lungo la linea del fronte ed per eliminare di volta in volta i capisaldi tedeschi. Tuttavia i comandi sovietici impararono in fretta e la loro efficienza aumentò nel corso della guerra, anche perché Stalin capì di doversi affidare maggiormente ai miliari di professione. Mereckov e Govorov appresero dai loro fallimenti, e quando fu concesso loro di organizzare le offensive con tempo e risorse adeguati, gli attacchi divennero sempre più decisivi ed efficaci[94].
Perdite
[modifica | modifica wikitesto]Anche se non si determinerà mai con precisione, i civili morti furono probabilmente un milione. La commissione d'inchiesta straordinaria sui crimini di guerra nazisti, che presentò le sue conclusioni ai processi di Norimberga, stimò che l'assedio fosse costato la vita a circa 642000 civili, ma questa cifra rappresenta il minimo ipotizzabile. Altre stime collocano le perdite di civili tra le 800000 e il milione. La cifra di 800000 è stata ricavata confrontando la popolazione prebellica di Leningrado — 2500000 abitanti — con quella risultante al dicembre 1943 — 600000 abitanti — e tiene conto del milione di sfollati e dei 100000 soldati di leva dell'Armata Rossa; invece, la cifra di un milione comprende i circa 642000 morti durante l'assedio ed i 400000 morti o dispersi durante le fasi di evacuazione della città.[95]
Il numero delle vittime militari fu quasi altrettanto ingente: alla fine della guerra una cauta stima ufficiale sovietica stimò che i combattimenti nella regione di Leningrado fossero costati all'Armata Rossa 1017881 tra morti, catturati o dispersi e 2418185 feriti o ammalati, per un totale di 3437066 perdite. Questa cifra rappresentò circa il 12% del totale delle perdite subite dall'Armata Rossa durante il corso della guerra[95]. Si stima dunque che il numero totale dei militari e dei civili sovietici morti durante l'assedio di Leningrado e i combattimenti attorno alla città è compreso tra 1,6 e 2 milioni di persone[96].
Memoria
[modifica | modifica wikitesto]Fin dagli anni cinquanta nacquero una serie di monumenti commemorativi, memoriali e musei sia a Leningrado che nei luoghi dove si svolsero i combattimenti. Musei, bunker, trincee sono numerosi sia in città che nei suoi dintorni. Nel 1975, in occasione del 30º anniversario della fine della seconda guerra mondiale, nel cuore della città venne eretto un grande memoriale alle vittime situato in Ploščad' Pobedy (piazza della Vittoria), che divenne sede delle commemorazioni ufficiali. Con forma circolare per ricordare l'accerchiamento; al centro è posto un obelisco di 48 metri e intorno raffigurazioni di soldati e marinai, scene di vita e disperazione quotidiane.
Sempre nel centro di Leningrado venne costruito il Museo Memoriale, con molti oggetti risalenti al periodo, mentre al Cimitero di Piskarëvskoe, divenuto cimitero/memoriale, vennero sepolti in fosse comuni circa 420 000 civili e 50 000 soldati, e al suo ingresso vennero incise le parole della poetessa leningradese Ol'ga Berggol'c:
Non possiamo enumerare i valorosi
Che giacciono sotto il granito eterno,
Ma coloro che questa pietra onora,
Nessuno dimentichi, nulla sia dimenticato.»
Con questa poesia Ol'ga Berggol'c parlava del milione di morti o anche più dell'assedio di Leningrado, ma l'ultimo verso divenne anche un simbolo che venne poi inciso su tutti i monumenti commemorativi della grande guerra patriottica[97].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- Esplicative
- ^ Dopo quello di Sarajevo che perdurò per 1426 giorni, dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996
- ^ Fu lo stesso generale Küchler a richiedere l'intervento delle SS in quanto la presenza delle internate poteva secondo lui minare la salute delle truppe tedesche. Vedi: Forczyk, p. 63.
- ^ In ordine cronologico, nel settembre 1941 ci fu la prima offensiva verso Sinjavino, in dicembre i sovietici attaccarono i tedeschi e conquistarono Tichvin, agli inizi del 1942 ci fu l'offensiva verso Ljuban' e in autunno ci fu la seconda offensiva verso Sinjavino.
- ^ Il nome faceva riferimento al giornale bolscevico clandestino con il quale l'esiliato Lenin comunicava le direttive alle cellule più lontane del partito. Vedi: Iskra, su treccani.it. URL consultato il 13 settembre 2025.
- Bibliografiche
- ^ Bellamy, pp. 415-416.
- ^ a b Forczyk, p. 144.
- ^ Forczyk, pp. 9-10.
- ^ Overy, p. 80.
- ^ Bellamy, da p. 217 a p. 220.
- ^ Bellamy, p. 220.
- ^ a b Bellamy, p. 221.
- ^ a b c Shirer, Cap. XXIV. La corrente cambia direzione.
- ^ Forczyk, p. 19.
- ^ Bellamy, p. 306.
- ^ Forczyk, pp. 19-20.
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- ^ Glantz/House, p. 287.
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- ^ Forczyk, p. 145.
- ^ Forczyk, pp. 145-146.
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- ^ Forczyk, pp. 146-147.
- ^ a b Glantz, p. 179.
- ^ Glantz, p. 180.
- ^ Bellamy, pp. 474-475.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Chris Bellamy, Guerra assoluta. La Russia sovietica nella seconda guerra mondiale, Torino, Einaudi, 2010 [2007], ISBN 978-88-06-19560-1.
- John Erickson, Storia dello Stato maggiore sovietico, Milano, Feltrinelli, 1963 [1961], ISBN non esistente.
- Robert Forczyk, Leningrado 1941-1944. L'epico assedio, Gorizia, LEG, 2023 [2010], ISBN 979-12-5521-086-3.
- David M. Glantz e Jonathan M. House, La grande guerra patriottica dell'Armata Rossa 1941-1945, Gorizia, LEG, 2019, ISBN 978-88-6102-485-4.
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- William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Milano, Einaudi, 2014, ISBN 978-88-0622-079-2.
- Richard Overy, Russia in guerra 1941-1945, Milano, Il Saggiatore, 2003 [1997], ISBN 88-515-2090-9.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Assedio di Leningrado nella cultura popolare
- Assedio di Sebastopoli (1941-1942)
- Cronologia della seconda guerra mondiale sul fronte orientale
- Germania nella seconda guerra mondiale
- Hungerplan
- Monumento agli eroici difensori di Leningrado
- Offensiva del Baltico
- Unione Sovietica nella seconda guerra mondiale
Altri progetti
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Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Siege of Leningrad, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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