Impero romano d'Occidente

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Template:Stato Storico L'Impero romano d'Occidente iniziò a configurarsi come organismo statuale autonomo alla morte dell'imperatore Teodosio I (395) il quale decise di affidare gli immensi territori, sempre più vulnerabili alla pressione dei barbari, ai suoi due figli: Arcadio, il maggiore, cui fu assegnato il governo della parte orientale dell'Impero e Onorio, il minore, cui spettò la parte occidentale.

Non era certamente nelle intenzioni di Teodosio creare due organismi politici differenziati e completamente indipendenti fra di loro. La sua finalità era piuttosto quella di ricollegarsi, attraverso questa scelta, sia alle tradizioni tetrarchiche, che a quelle post-costantiniane. La divisione doveva cioè rivestire un carattere squisitamente burocratico, amministrativo, o riconducibile al problema della difesa militare. Da allora però, questi due grandi aggregati, ormai strutturatisi in Impero Romano d'Occidente e Impero romano d'Oriente, non si sarebbero più riuniti e avrebbero intrapreso dei percorsi di sviluppo sempre più autonomi fra di loro. L'idea dell'unità restò tuttavia salda nelle coscienze ancora per lungo tempo, e certo non si era ancora spenta quando, nel 476, il re degli Eruli Odoacre, depose l'ultimo cesare d'occidente, Romolo Augusto, e rimise le insegne dell'Impero all'imperatore d'Oriente Zenone. L'Impero romano d'Occidente aveva, e per sempre, cessato di esistere. A mantenere in vita il sacro nome di Roma restò da quel momento, e per quasi un millennio, l'Impero romano d'Oriente, conosciuto anche come Impero bizantino.

Geografia

Superficie e suddivisione

Al momento della morte di Teodosio I e della definitiva divisione dell'Impero in una parte orientale e in una occidentale (395), quest'ultima ereditò la Prefettura delle Gallie e la maggior parte della Prefettura d'Italia, Africa ed Illiria, mentre all'Oriente toccarono la Prefettura d'Oriente e due diocesi illiriche. A sua volta la Prefettura d'Italia era formata da quattro diocesi: Italia (due diocesi), Illiria ed Africa; quella delle Gallie da un pari numero di diocesi: Gallia (due diocesi), Hispania e Britannia. Va messo in evidenza che l'Illiria era stata ripartita fra i due Imperi e che questa divisione fu fonte di continue dispute che iniziarono a profilarsi fin dagli ultimi anni del IV secolo.

La superficie totale dell'area romano-occidentale superava i 2,5 milioni di km² con una popolazione globale difficilmente quantificabile ma che, con ogni probabilità, non doveva essere in alcun modo inferiore ai 25 milioni di abitanti.

Popolazione

Nel secolo successivo in tutto il mondo romano-occidentale si assistette ad una generalizzata flessione demografica dovuta a guerre, carestie ed epidemie. Lo stanziamento di genti barbare in quasi tutte le regioni dell'Europa occidentale e dell'Africa, non riuscì infatti a compensare le perdite che avevano falcidiato la popolazione autoctona. Questi gruppi etnici, generalmente di origine germanica, rappresentarono sempre una quota modesta sul totale delle popolazioni romane o romanizzate, probabilmente non superiore, in termini percentuali, ad un 8% o un 10%.

Per avere un'idea della limitata consistenza numerica di queste tribù barbare, ricorderemo che, quando i Longobardi penetrarono in Italia nella seconda metà del VI secolo, si ritiene che la loro orda fosse composta da circa 120.000 unità ivi compresi anziani, donne e bambini.

Città

A cavallo fra il IV ed il V secolo Roma era ancora la città più popolosa dell'Impero (sia della sua parte occidentale che orientale). Durante il regno di Valentiniano I (364 - 375) si calcola, sulla base delle tessere annonarie distribuite, che l'Urbe dovesse contare non meno di 800.000 abitanti (ma altre fonti danno una cifra anche superiore, vedi riquadro). Questo valore restò pressoché inalterato fino al primo decennio del V secolo e cioè fino al primo sacco da parte dei Visigoti di Alarico (410). Seguì una certa flessione demografica, ma ancora attorno alla metà del V secolo sembra che la popolazione di Roma non fosse inferiore ai 650.000 abitanti [1] Fu soltanto all'indomani del secondo sacco ad opera dei Vandali (455) che Roma perse probabilmente il rango di prima città dell'Impero superata non solo da Costantinopoli, ma anche dalle popolose metropoli d'Oriente (Alessandria, Antiochia e, forse, anche Tessalonica).

Cartagine, con i suoi 150.000-200.000 abitanti (o più) costituiva con ogni probabilità il secondo agglomerato urbano dell'occidente romano. La città, oltre a possedere, da sempre, una netta vocazione commerciale, era posta nel cuore di una ricca regione agricola ed esportava le sue derrate alimentari anche in Oriente. In Africa, altre tre città di medie dimensioni godevano di una certa prosperità: Leptis Magna, culla della dinastia dei Severi, che, dopo un periodo di decadenza, aveva conosciuto una certa ripresa in epoca teodosiana; Timgad, importante centro donatista, e infine Cesarea (oggi Cherchell, in Algeria), che dette i natali a Prisciano, forse il massimo grammatico della tarda latinità.

La città di Aquileia.

Anche l'Italia poteva vantare una serie di centri relativamente popolosi ed economicamente attivi, primo fra tutti Mediolanum (Milano), capitale imperiale durante tutto il IV secolo, ed Aquileia che però fu distrutta dagli Unni attorno alla metà del V secolo. Altre importanti città erano Bononia e Ravenna. Quest'ultima nel 402 divenne capitale dell'Impero Romano d'Occidente e conservò tale rango anche dopo la sua caduta (476).

Nella regione illirica la città più importante e popolosa era forse Salona (nelle immediate vicinanze dell'odierna Spalato), in Dalmazia, con una popolazione di oltre 50.000 abitanti, mentre i due agglomerati di frontiera di origine castrense, Carnuntum ed Aquincum (l'attuale Budapest), conservarono una certa importanza strategica. Entrambi questi centri possedevano due anfiteatri, uno per le guarnigioni di stanza ed uno per la popolazione civile. Carnuntum ci viene descritta da Ammiano Marcellino, nella seconda metà del IV secolo, come una città sonnolenta e degradata, ravvivata però dalla presenza di molti militari accampati nei dintorni o residenti nel centro abitato.[2]

In Iberia aveva avuto un certo sviluppo, nel corso del IV secolo, la città di Hispalis (l'attuale Siviglia), impostasi come il massimo centro della Baetica, mentre Carthago Nova (Cartagena) continuava a costituire il più importante punto di riferimento urbano nell'area mediterraneo-orientale della Diocesi. Non minore importanza rivestivano Tarraco (Tarragona), Osca (Huesca) e Caesaraugusta (Saragozza) nella parte settentrionale della penisola.

Fra le città più importanti e popolose della due diocesi galliche era Augusta Treverorum (Treviri, oggi in Germania), ex capitale imperiale fin da epoca tetrarchica e, ancora agli inizi del V secolo, sede di Prefettura. Arelate (Arles), impostasi da tempo come il più dinamico centro urbano della Gallia Meridionale, era anche divenuta, agli inizi del V secolo, capitale di prefettura. Massimo centro della Gallia centrale era, con ogni probabilità, Lugdunum (Lione).

In Britannia l'unica città di una certa importanza era Londinium, l'odierna Londra, seguita da nuclei urbani di modeste dimensioni, spesso di origine castrense o sviluppatisi su precedenti insediamenti celti (come Calleva Atrebatum, oggi Silchester). Aquae Sulis (Bath) era invece un centro termale noto fin dal I secolo. L'abbandono della Britannia da parte delle guarnigioni romane agli inizi del V secolo determinò la decadenza di tali centri,la quale si protrasse per buona parte dell'alta età media. Londra, restata quasi senza abitanti, dovette essere pressoché rifondata da Alfredo il Grande nel IX secolo.

Estensione e popolazione delle principali città dell'impero[3]
Città Estensione Popolazione
Roma 1800 ettari - (sec. IV) circa 1 milione
Capua 180 ettari circa 70.000
Mediolanum 133 ettari circa 50.000
Bononia 83 ettari circa 30.000
Augusta J. Taurinorum 47 ettari circa 20.000
Verona 45 ettari circa 20.000
Augusta Praetoria 41 ettari circa 20.000
Leptis Magna 400 ettari circa 100.000
Augusta Treverorum 285 ettari circa 50.000
Nemausus 220 ettari circa 70.000
Vindobona 200 ettari circa 60.000
Londinium 140 ettari circa 50.000
Lutetia 55 ettari circa 20.000
Alexandria 900 ettari circa 500.000 - 1 milione
Carthago 300 ettari circa 200 - 300.000
Nova Roma (Costantinopoli) 1400 ettari circa (IV secolo) 500.000 circa

Città fondate o conquistate dai Romani in Italia ( celle con sfondo verde )
Città fondate dai Romani nelle province dell'Impero (celle con sfondo giallo )
Città conquistate dai Romani fuori dall'Europa (celle con sfondo celeste )

Storia

I prodromi della divisione

Un prodromo della divisione "legale" dell'Impero Romano, dopo le divisioni amministrative dei decenni precedenti, si ebbe con l' ascesa al trono di Valentiniano I, creato imperatore a Nicea nel febbraio del 364. Nel mese successivo, Valentiniano associò come augusto il fratello Valente, assegnandogli le terre orientali dell'Impero e tenendo sotto il suo controllo quelle occidentali, chiaro segno dell'importanza che ancora rivestiva all'epoca la città di Roma. Questa divisione assume un'importanza storica fondamentale perché, per la prima volta, anche l'augusto delle province orientali poteva legiferare nell'ambito della propria sfera territoriale.

L'attività governativa di Valentiniano I, tesa a frenare l'avanzata dei barbari che premevano sui confini della Germania, si concretizzò nella costruzione del poderoso limes che andava dal Mare del Nord, in corrispondenza della foce del Reno, alle Alpi Retiche. Valentiniano, come e ancor più dei suoi predecessori, fece frequente ricorso ai foederati nell'esercito, con il conseguente accesso alle magistrature civili e militari di molti Germani e la graduale "barbarizzazione" dei quadri dell'amministrazione, della burocrazia e dell'esercito. Morì nel 375 in Pannonia, a causa di un ictus cerebrale.[4] Suo fratello Valente trovò invece la morte nella battaglia di Adrianopoli il 9 agosto 378. Sant'Ambrogio vide in questa battaglia epocale, che segnò il definitivo declino delle armi romane, un segnale dell'imminente fine del mondo.[5]

Il mondo non terminò ma all'Impero Romano venne inferto un colpo mortale. Graziano, figlio di Valentiniano I e succeduto al padre all'età di sedici anni, non sentendosi in grado di governare l'impero assieme al suo fratellastro Valentiniano II di soli sei anni, nel gennaio del 379 nominò augusto Teodosio I cui affidò le diocesi di Macedonia e Dacia anch'esse minacciate dalle popolazioni dell'est. Teodosio e Graziano furono costretti, a pochi mesi dalla battaglia di Adrianopoli, ad inserire nuovi, massicci contingenti di truppe barbare nell'esercito romano, sia in Pannonia, con il reclutamento di Ostrogoti e Vandali, sia sulla riva destra del Danubio, dove vennero arruolati molti Visigoti. Sul versante religioso, dopo l'ascesa al potere di Teodosio, si venne a produrre un progressivo consolidamento del cristianesimo, culto già all'epoca predominante. Il nuovo augusto ne favorì infatti la diffusione con l'intento di convertirlo in collante dell'Impero (editto di Tessalonica, 380), venendo così a sostituire le antiche credenze e l'arianesimo, ormai apertamente osteggiati o messi al bando.

L'impero romano alla morte di Teodosio (395).

Nel 383, l'esercito di Britannia aveva proclamato Augusto un generale di origine ispana, Magno Massimo. Costui passò con un esercito in Gallia per impadronirsene. Graziano, da Treviri, venne incontro all'usurpatore, ma a seguito delle numerose defezioni che si verificarono fra le sue truppe, ripiegò su Lugdunum, dove morì per mano di un sicario. Magno Massimo ne approfittò per occupare l'Italia e l'Africa. Valentiniano II, temendo per la propria vita, si rifugiò a Tessalonica. Teodosio, che, dopo la morte di Graziano, aveva riconosciuto Magno Massimo come augusto, nel 383 associò all'Impero il figlio Arcadio. Qualche anno più tardi anche Magno Massimo, seguendone l'esempio proclamò suo figlio Flavio Vittore augusto. Con i due giovani si venne a creare una situazione molto complessa: ben cinque persone, fra augusti legittimi e usurpatori, erano, o erano state poste, ai massimi vertici dell'Impero. Tale sovrapposizione di titoli e cariche non durò per lungo tempo. Teodosio sconfisse Magno Massimo ad Aquileia dove il generale ispano si tolse la vita (388). Qualche tempo più tardi anche suo figlio Vittore morì nelle Gallie. Valentiniano II, venne così reintegrato, per opera di Teodosio, nella sua carica di augusto della parte occidentale dell'impero.

Teodosio, vero arbitro politico dell'impero, inviò Valentiniano a Treviri affinché da questa città potesse governare la parte occidentale con l'aiuto di Arbogaste, ma intrighi di corte determinarono probabilmente la morte del giovane imperatore qualche anno più tardi (392). Teodosio, che per tre anni si era mosso fra Roma e Milano, tornò a stabilirsi in oriente, lontano dalle pressioni ed interferenze del vescovo Ambrogio, cui tentava di resistere, mettendo in atto una politica di contenimento nei confronti del potere ecclesiastico. L'eccidio di Tessalonica diede però ad Ambrogio la possibilità di imporre una penitenza all'Imperatore e dal 390 Teodosio fu costretto a ridefinire la sua politica religiosa nei confronti di apostati, pagani ed eretici. Un editto, promulgato il 24 febbraio 391 prevedeva la chiusura di tutti i templi e vietava ogni culto pagano, anche se celebrato in forma privata. La persecuzione sistematica delle credenze non cristiane scatenarono una reazione nei confronti di Teodosio, soprattutto in Italia. Rientrato a Costantinopoli, l'imperatore dovette infatti far fronte alle proteste delle correnti fautrici di un paganesimo ormai al tramonto, che avevano trovato nel retore Flavio Eugenio, uno strenuo difensore. Eugenio era sostenuto non solo da Arbogaste, ma da molti membri della classe senatoriale romana. Dopo la nomina ad augusto anche di Onorio, suo secondogenito, Teodosio si mosse con un esercito verso l'Italia. Nella battaglia del Frigido, non lontano da Aquileia, sconfisse, il 6 settembre 394, le forze di Eugenio ed Arbogaste.

Eliminati i rivali, Teodosio restò unico imperatore ancora per pochi mesi, perché si spense il 17 gennaio 395. Flavio Onorio ereditò la parte occidentale dell'Impero, mentre Arcadio quella orientale. Da questo momento la divisione divenne definitiva ed iniziarono prendere forma due aggregazioni territoriali distinte: un Impero Romano d'Occidente ed un Impero Romano d'Oriente.

Un inizio che è già declino

File:Dittico di Stilicone Monza.jpg
Dittico di Stilicone, Monza, Tesoro del Duomo

Onorio salì al potere all'età di soli 11 anni, e per questo la reggenza dell'Impero venne affidata al generale Stilicone, (prescelto per questo incarico da Teodosio fin dal 393). Stilicone, di origine vandala, si trovò a guidare un Impero debilitato dalle lunghe lotte intestine e dalle tribù barbare di origine germanica che premevano sui suoi confini. Fu costretto ad affrontare subito gravi difficoltà, acuite dalle gelosie e dalla sete di potere degli aristocratici romani dell'epoca che contribuirono ad indebolire ulteriormente la sua posizione. Nel 395 Alarico, re dei Visigoti, che qualche anno prima aveva servito nell'esercito romano sotto il comando di Teodosio I, approfittando della morte di quest'ultimo, oltrepassò il Danubio invadendo l'Impero. A questo proposito va anche detto che i Visigoti erano da tempo sottoposti alla pressione degli Unni che tendevano a sospingere questo, ed altri popoli germanici, oltre il limes romano. Alarico penetrò in Tracia e in Macedonia compiendo saccheggi e scorrerie, venendo però ripetutamente sconfitto (mai però in scontri decisivi) prima da Stilicone, poi dai generali di Arcadio, Imperatore d'Oriente. Quest'ultimo, per sbarazzarsene, nominò il re barbaro governatore di parte dell'Illiria. Qualche anno più tardi Alarico mosse verso l'Italia, superando i primi contrafforti alpini nell'anno 401. Erano iniziate, per l'occidente romano, le invasioni barbariche.

Prime invasioni

Lo stesso argomento in dettaglio: Invasioni barbariche.

Le Invasioni barbariche, che negli ultimi decenni del IV secolo avevano interessato maggiormente la parte orientale dell'Impero (la Tracia nel 378, le diocesi illiriche nel 395-396, entrambi ad opera dei Visigoti), investirono, a partire dai primi anni del secolo successivo, soprattutto la sua parte occidentale. Non soltanto infatti l'Impero Romano d'Oriente era sostanzialmente più solido e disponeva di maggiori risorse finanziarie rispetto a quello d'Occidente, ma aveva trovato la forza di porre in essere, fin dal 400 - 402 una drastica politica di epurazione degli elementi germanici presenti negli alti quadri dell' esercito. Tale epurazione coinvolse, fra gli altri, i due comandanti in capo delle armate d'Oriente, prima il visigoto Gainas, poi l'Ostrogoto Favritta. Due personaggi di dubbia reputazione, soprattutto il primo, che passò gli ultimi mesi della sua vita depredando le ricche province dell'Asia Minore. Motivazioni di indole religiosa, oltreché politica, avevano determinato questa coraggiosa scelta chiaramente tendente ad una "romanizzazione" dell'esercito (sia Gainas che Favritta erano ariani).

In Occidente la situazione era alquanto diversa: pur costituendo le truppe barbare presenti nelle legioni oltre i quattro quinti degli effettivi (in Oriente la proporzione era leggermente inferiore), il loro comando era affidato a un generale germanico di alto profilo, Stilicone. Questi, legato da vincoli di parentela alla famiglia imperiale (l'imperatore Onorio ne aveva sposato la figlia), si sentiva fiero della romanità recentemente acquisita e della fiducia riposta in lui dal grande Teodosio meritata a pieno titolo sui campi di battaglia. Rimuoverlo dall'incarico, facendolo oltretutto assassinare (408), fu non solamente un atto eticamente riprovevole commesso dall'imperatore Onorio, ma una scelta infelice sotto il profilo politico, e disastrosa sotto quello militare. Con Stilicone moriva infatti uno degli ultimi grandi difensori dell' Impero Romano d'Occidente.

Fu infatti Stilicone a ricacciare Alarico ed i suoi Visigoti al di là delle Alpi dopo averlo ripetutamente sconfitto a Pollenzo (402) ed a Verona (403).

Modello della Treviri romana capitale della Belgica I. Rheinisches Landesmuseum Trier

E fu sempre Stilicone ad arginare un' altra pericolosa incursione barbara, integrata soprattutto da Ostrogoti, che desolò alcune regioni dell'Italia centro-settentrionale. A Fiesole, nel 406, gli invasori, guidati da Radagaiso, vennero interamente decimati. In questo stesso anno, il giorno 30 o 31 di dicembre un'orda barbara di straordinarie proporzioni, costituita da Vandali, Alani, Svevi, Burgundi, sospinta verso occidente dagli Unni (e dalla fame) attraversò il Reno e penetrò in Gallia. Ma mentre i Burgundi si stanziarono sulla riva sinistra del Reno per dare vita a un loro regno, Vandali e Svevi, dopo aver messo a ferro e a fuoco le due diocesi galliche, valicarono i Pirenei e raggiunsero nel 409 la Spagna. Gli Svevi costituirono un loro regno nella parte occidentale della penisola (Lusitania) mentre i Vandali si spinsero fin nella Baetica per poi passare, qualche decennio più tardi, nell'Africa romana. Gli avvenimenti di quegli anni non possono essere interpretati solo alla luce delle scelte politiche e militari operate da Stilicone. La difesa della penisola italica si era infatti mostrata efficace ed aveva sottratto solo una quantità limitata di uomini e di risorse alle diocesi galliche. Se la frontiera germanica, dove avvenne l'impatto nel 406, era in quei giorni di dicembre, piuttosto sguarnita, non così si può dire della provincia Belgica I, la cui capitale (e capitale anche della Prefettura delle Gallie), Augusta Treverorum, era una delle città più militarizzate dell'Impero. Nei due anni e mezzo intercorsi fra lo sfondamento del limes (406) e l'entrata dell'orda in Spagna (409), non una sola battaglia campale venne combattuta, né fu posto in essere alcun serio tentativo per arginare l'ondata devastatrice che stava travolgendo l'intera Gallia.

Sacco di Roma (410)

Lo stesso argomento in dettaglio: Sacco di Roma (410).

Nel 403, dopo essere stato ripetutamente sconfitto da Stilicone, Alarico si era ritirato con il suo popolo in Illiria. Successivamente, e in particolar modo a partire dagli anni 406 - 407, a seguito dello sfondamento del limes in Germania, Stilicone tentò di attrarre nuovamente Alarico nell'orbita romana (come aveva già fatto Teodosio I quindici anni prima), per utilizzarlo in Pannonia e nel Norico contro una eventuale penetrazione di altre tribù barbare oltre il Danubio. Furono promesse ad Alarico oro e vettovaglie per il suo popolo e, con ogni probabilità, anche una carica militare e civile che avrebbe in qualche modo ufficializzato queste sue nuove funzioni di rappresentante dell'Impero in Illiria. Tale politica lungimirante, unica possibile in quegli anni, ed attuata da Stilicone non solo nei confronti dei Visigoti di Alarico, ma anche verso altri capi barbari e verso l' elemento germanico presente nell'esercito imperiale, gli costò la vita. Nell'agosto del 408, nella città di Ravenna (dal 402 nuova capitale d'occidentale), l'imperatore Onorio, sobillato da molti membri della classe senatoriale, fece uccidere Stilicone. Con Stilicone moriva l'unico generale capace di poter gestire la grave situazione politica e militare che si era andata creando in occidente. Alarico, venuto a conoscenza del crimine, e inasprito dalle promesse, sembra non mantenute, di Onorio, valicò nuovamente le Alpi e scese fino a Roma. Nei dodici mesi successivi la Città Eterna fu cinta d'assedio per due volte. Si salvò solo dopo avere pagato al capo barbaro un'ingente quantità d'oro ed aver riconosciuto per imperatore un alto funzionario romano imposto da Alarico: il praefectus urbi Prisco Attalo.

Iniziarono da quel momento delle lunghe ed inconcludenti negoziazioni fra Alarico, nominato nel frattempo da Prisco Attalo magister militum, e l'imperatore legittimo Onorio, al sicuro con la corte nella sua capitale, Ravenna. Stanco ed esasperato, Alarico ruppe nella primavera del 410 le trattative, cingendo nuovamente d'assedio Roma. Il 24 agosto del 410, i Visigoti riuscirono a penetrare in città e per tre giorni la sottoposero a saccheggio. Erano ottocento anni che il sacro suolo dell'Urbe non veniva violato da eserciti stranieri. L'avvenimento ebbe vasta risonanza in tutto il mondo romano ed anche al di fuori di esso. L'imperatore d'Oriente Teodosio II proclamò a Costantinopoli tre giorni di lutto, mentre San Girolamo si chiese smarrito chi mai poteva sperare di salvarsi se Roma periva. Sant'Agostino scrisse il suo capolavoro, De civitate Dei, in risposta alle tante voci che si levarono contro i cristiani accusati di aver suscitato contro Roma la giusta punizione delle divinità pagane.

Alarico abbandonò Roma agli inizi dell'autunno, per dirigersi verso l'Italia meridionale. Conduceva con sé come ostaggio, la sorella dell'imperatore Onorio, Galla Placidia, fortunosamente catturata a Roma.

Una fonte tratta dallo scritto di Girolamo (IV- V secolo d.C.) dice:"Ci arriva dall'Occidente una notizia orribile. Roma è invasa.[...] È stata conquistata tutta questa città che ha conquistato l'universo.[...]

Imperatori e usurpatori

Moneta dell'usurpatore Costantino III

Nello stesso periodo (406), le guarnigioni di stanza in Britannia si ribellarono ed elessero propri generali al rango di imperatori in rapida successione: il primo fu Marco, presto ucciso dai suoi stessi soldati, che lo sostituirono con Graziano. Anch'egli però andò incontro alla stessa sorte, poiché si rifiutò di invadere le Gallie quando le tribù barbare varcarono il Reno. Al suo posto venne eletto imperatore Costantino III, il cui regno durò fino al 411.

Attraversata la Manica con un corpo di spedizione (407), invase la Gallia e, sconfitte le orde germaniche, riuscì a rendere più sicure le frontiere sul Reno. Successivamente si scontrò con Saro, uno dei generali di Stilicone, accorso ad affrontare il ribelle su ordine di Onorio. Pochi mesi più tardi Costantino inviò suo figlio Costante nella penisola iberica il quale sconfisse ripetutamente le guarnigioni restate fedeli all'imperatore legittimo. Acquistato il controllo di parte della diocesi hispanica, Costantino pose a capo di quel territorio un suo generale, Geronzio (408). Onorio, da Ravenna, fu costretto a riconoscere l'usurpatore con la speranza che intervenisse in Italia contro i visigoti di Alarico che, alla morte di Stilicone, avevano nuovamente valicato le Alpi e si apprestavano a raggiungere Roma. Costantino non si mosse, preferendo seguire prudentemente dalla Gallia gli sviluppi della situazione.

Ma in concomitanza con l'assedio di Roma, Costantino si venne a trovare in serie difficoltà. Le guarnigioni di Britannia poste sotto il suo comando si erano ribellate ed egli giudicò conveniente riavvicinarsi ad Onorio, facendo atto di sottomissione e offrendo la sua spada contro i Visigoti. Questi accettò l'alleanza, ma Costantino si trovò nell'impossibilità di raggiungere la penisola. I germani, che già da tempo erano dilagati in Gallia, avevano nel frattempo varcato i Pirenei ed erano penetrati nella penisola iberica (409) dove si scontrarono con Geronzio, che riportò su di essi un'effimera vittoria. Ribellatosi all'usurpatore, Geronzio, dopo aver proclamato imperatore un suo funzionario, Massimo, entrò in Gallia dirigendosi verso Arelate, (l'odierna Arles) residenza di Costantino e della sua corte. L'intervento del generale Costanzo (il futuro imperatore Costanzo III ), proveniente dall'Italia, costrinse Geronzio e Massimo ad abbandonare la Gallia e rientrare in Hispania. Costanzo cinse d'assedio Arelate, fece prigioniero Costantino e lo condusse con se a Ravenna, per poi ucciderlo su ordine di Onorio (411). Geronzio si suicidò qualche tempo dopo esser tornato in Spagna, mentre dell'usurpatore Massimo non si seppe, da allora, più nulla.

Nel 410 Alarico, pochi mesi dopo il sacco di Roma, si spense in Calabria, non prima però di aver deposto Prisco Attalo. Gli successe come re dei Visigoti Ataulfo il quale nel 412 si installò nella Gallia meridionale col suo popolo. Nel frattempo le guarnigioni romane del Reno, con la complicità di Burgundi e Alani avevano eletto imperatore un generale, Giovino. Il suo regno nelle Gallie fu breve: Ataulfo, che lo aveva inizialmente appoggiato, si alleò con Onorio e dopo averlo sconfitto lo fece decapitare nel 413. L'anno successivo a Narbo (l'odierna Narbona), il re dei Visigoti poté raccogliere i frutti della sua politica di riavvicinamento alla corte ravennate. Con il tacito consenso di Onorio si unì in matrimonio con Galla Placidia, sorella dell'imperatore e tenuta in ostaggio prima da Alarico, poi da Ataulfo stesso, fin dai giorni del sacco di Roma. Il panegirico in onore degli sposi fu scritto da Prisco Attalo, che aveva seguito il suo popolo d'adozione fin nelle Gallie. Nel 415 Ataulfo si spense nei pressi di Barcellona e Galla Placidia fece ritorno in Italia.

Flavio Onorio morì nel 423, e, subito Giovanni Primicerio, un funzionario romano di oscure origini, fu proclamato imperatore con l'appoggio del senato, ma non venne riconosciuto tale dall'Imperatore d'Oriente Teodosio II. Il precario equilibrio politico dell'Impero venne subito messo in discussione dalla ribellione delle guarnigioni romane di Arles e dalla ostilità di Bonifacio, comes di Africa. Nel 424, Teodosio II elevò al rango di Cesare Valentiniano III, figlio di Galla Placidia, (fuggita a Costantinopoli ancor prima della morte di Onorio) e destituì Giovanni, rifugiatosi a Ravenna. La città venne espugnata, Giovanni catturato e, pochi mesi più tardi, giustiziato. Prima di cadere nelle mani dei generali di Teodosio II, Giovanni inviò un suo giovane generale, Flavio Ezio, in Pannonia, per sollecitare aiuto dagli Unni. L'aiuto gli venne concesso, ma Ezio rientrò in Italia troppo tardi: Giovanni era stato già giustiziato. Poche persone si resero conto che il giovane si sarebbe imposto, negli anni successivi, come il più grande generale del suo tempo.

L'età di Ezio

Flavio Ezio, un latino della Moesia, proveniente da una famiglia di tradizioni castrensi (suo padre, Gaudenzio, aveva per breve tempo ricoperto anche la carica di magister militum), trascorse gran parte della sua prima giovinezza come ostaggio presso le tribù unne stanziate oltre il limes illirico. Tornato in patria, intraprese una brillante carriera militare, imponendosi, poco più che trentenne, come uno dei più giovani e promettenti generali del suo tempo. Nonostante avesse parteggiato apertamente, nel 423-425, per l'imperatore Giovanni, fu nominato, alla morte di questi, magister militum. Con ogni probabilità questa scelta fu determinata dalla presenza in Italia di un nutrito contingente di Unni, che Ezio aveva portato con se per sostenere la causa di Giovanni. Da allora e per una trentina d'anni, Ezio dominò, nonostante l'aspra ostilità della reggente Galla Placidia e dell'imperatore Valentiniano III suo figlio, lo scenario politico e militare dell'occidente romano.

Liberatosi dei suoi rivali, ed in primo luogo del potente comes d'Africa, Bonifacio, che godeva dell'aperto sostegno di Galla Placidia, Ezio fu un ideale prosecutore della politica stiliconiana di avvicinamento alle tribù barbare, da utilizzarsi per il consolidamento dei delicati equilibri interni dell'Impero e per il rafforzamento dell'ormai vacillante potere romano. Quest'ultimo non poteva più essere imposto attraverso forme presupponenti un centralismo ormai inattuabile, ma doveva esso stesso dar vita a un fulcro propulsore ed organizzatore di una confederatio di regni romano-barbarici la quale avrebbe trovato nella superiore autorità imperiale un suo punto di riferimento politico oltreché ideale. Sicuramente era questo un disegno ambizioso, che Ezio perseguì con coerenza ed ostinazione e che portò al riconoscimento di due fra le principali entità statuali germaniche del tempo: quella dei Vandali, nel 435, e quella dei Visigoti,nel 439. La guerra come strumento di castigo o di persuasione, non fu tuttavia infrequente: nel 428 e nel 432 Ezio dovette intervenire per contenere le mire espansionistiche dei Franchi e nel 440-442 le armi romane infransero il sogno di Genserico e dei suoi Vandali di annettersi la Sicilia. Il sovrano barbaro fu invece costretto a cedere ad Ezio la Mauretania e parte della Numidia. Nel 442-443 fu la volta dell'inquieto regno dei Burgundi cui Ezio impose un drastico ridimensionamento territoriale. Tale politica, ferma nel mantenimento di un ordine superiore che da tutti doveva essere rispettato, tendeva nel contempo ad assicurare uno sviluppo pacifico delle varie nazioni che componevano il variegato mosaico etnico dell'occidente.

I frutti di questa lungimirante e generosa politica furono raccolti da Ezio in uno dei momenti più critici vissuti dall'Impero di Occidente. Quando l'orda unna si abbatté a metà del V secolo sulla Gallia, i foederati germanici si unirono, mettendo in campo un esercito imponente che il grande generale condusse alla vittoria. Coloro che si strinsero attorno alle aquile romane e versarono il loro sangue sui Campi Catalaunici non erano più né Franchi né Burgundi, né AlaniGoti, ma solo figli della grande Roma.

Nel settembre del 454, durante un'udienza, Valentiniano III pugnalò mortalmente Ezio su istigazione del prefetto del pretorio Petronio Massimo e di un eunuco, Eraclio. Si era chiusa un'epoca. Con il grande generale era scomparso l'ultimo difensore dell'Impero. Pochi mesi più tardi, due legionari di Ezio vendicarono l'omicidio sopprimendo l'imperatore assassino (455).

Ravenna e Costantinopoli

Con Valentiniano III ebbe luogo un progressivo riavvicinamento fra le due parti dell'Impero, le cui relazioni si erano andate raffreddando durante gli ultimi anni del regno di Onorio. Tale riavvicinamento fu promosso sia dalla reggente Galla Placidia che da Teodosio II, imperatore romano d'Oriente, la cui politica dinastica aveva fortemente condizionato l'ascesa al trono di suo cugino Valentiniano e la deposizione dell'usurpatore Giovanni, che pur contava, ricordiamolo, con l'appoggio di Ezio . Nel 437 Valentiniano III sposò a Thessalonica la figlia di Teodosio II, Licinia Eudossia, e i legami fra i due rami della dinastia teodosiana si rinsaldarono ulteriormente. Nel 438 il Codex Theodosianus, prima grande ricompilazione legislativa di diritto romano, fu promulgato in latino sia in Oriente che in Occidente, ancora percepiti come parti integranti di un'unica grande entità sopranazionale. Il Codex rivestì una particolare importanza per molti regni romano-barbarici del tempo che lo adottarono o si ispirarono ad esso nel plasmare una propria normativa (basti pensare alla celebre Legge romana dei Visigoti). In Italia e in Oriente il Codex fu sostituito, nel secolo successivo, dal ben più celebre Corpus iuris civilis (o Corpus juris civilis) promulgato, sempre in latino, dal grande Giustiniano, e che forse costitusce il maggior contributo di Bisanzio alla costruzione della moderna civiltà occidentale.

Il credito maturato da Teodosio II nei confronti Valentiniano III, suo genero, fu da quest'ultimo saldato negli anni quaranta del secolo, quando la città di Sirmio, con alcuni territori illirici romano-occidentali (oggetto di una contestazione che si trascinava dal 395), furono ceduti all'Oriente.

Attila e gli Unni

Una carica degli Unni

L'entrata sulla scena storica del popolo degli Unni, popolazione di stirpe asiatica la cui origine non è del tutto accertata, avvenne attorno al 370. L'orda si abbatté in un primo tempo sulle popolazione slave e gotiche stanziate all'epoca fra il Dniepr e l'Oder. Queste ultime furono costrette a varcare il limes in massa, scontrandosi successivamente con l'esercito romano ad Adrianopoli (378).

Dopo una iniziale avanzata, gli Unni si arrestarono nelle pianure della Pannonia. Nel 445, dopo l'ascesa al potere di Attila, invasero la parte orientale dell'Impero, che vantava le maggiori ricchezze. L'Illiria fu devastata attorno al 447. Teodosio II cercò di contrastarlo ma fu sconfitto dal sovrano unno, il quale assediò Costantinopoli, pur senza riuscire a conquistarla. Gli Unni iniziarono allora a saccheggiare impunemente la Tracia, la Moesia e la Macedonia, e soltanto dietro pagamento di un tributo annuo e la cessione di alcuni territori al sud del Danubio, l'Imperatore d'Oriente riuscì a liberarsi di Attila.

La situazione precipitò nuovamente durante il regno di Marciano di Bisanzio (450), che si rifiutò di pagare il tributo convenuto. Attila, alla ricerca di uno spazio vitale per il suo popolo, invase allora l'occidente. Nel 451 la marea unna si riversò sulla Gallia, ma si infranse contro lo scoglio rappresentato dal grande Flavio Ezio, che aveva riunito un esercito costituito in massima parte da Visigoti, Franchi e Burgundi. Lo scontro avvenne nei Campi Catalaunici, presso Châlons. L'esito della battaglia fu favorevole alle armi romane, anche se pagato con un alto tributo di sangue. Un anno più tardi il capo barbaro, approfittando di una proposta di matrimonio (o, più probabilmente, di una richiesta d'aiuto) che Onoria, sorella dell'imperatore Valentiniano, gli aveva rivolto, valicò nuovamente le Alpi per reclamare la corona dell'Impero di Occidente, mettendo a ferro e a fuoco l' Italia settentrionale. Dopo aver espugnato e distrutto Milano, Padova ed Aquileia si diresse verso Ravenna, arrestandosi per cause rimaste ignote. Secondo alcune fonti dell'epoca fu lo stesso papa Leone I che, incontrato il sovrano unno nei pressi di Mantova, lo indusse a rientrare in Pannonia, dove era stanziato il suo popolo. Attila si spense pochi mesi più tardi (453).

Regni romano-barbarici

I regni romano-barbarici dopo il 486

Nella prima metà del V secolo si vennero a formare molti dei regni romano-barbarici, che, nei secoli successivi, avrebbero dato vita ad altrettante nazioni dell'Occidente europeo. I Franchi, già presenti nella Gallia nord-orientale in qualità di foederati fin da età costantiniana (o ancor prima), erano, fra tutti i germani, i più profondamente romanizzati. Di religione ariana (ma fra i primi a convertirsi al cattolicesimo nel corso del V secolo), costituivano da tempo il nerbo degli eserciti imperiali che operavano nella regione. Dopo il 406, furono quasi costretti a ridefinire i propri rapporti con Ravenna rivendicando quote di autonomia sempre più ampie che sfociarono nella costituzione di un vero e proprio regno indipendente. Ben presto si sarebbero stanziati anche in Gallia centrale, dando vita ad uno fra i più importanti organismi statuali romano-barbarici presente nella parte occidentale dell'Impero. Anche i Burgundi, che avevano oltrepassato in gran numero il limes nel 406, costituirono un loro regno nelle regione gallica centro-orientale. Questo regno, dopo aver subito dei drastici ridimensionamenti territoriali ad opera del generale Ezio (attorno al 440) passò a formar parte dello stato franco nella prima metà del VI secolo.

Un discorso a parte meritano i Visigoti di Ataulfo che presero il posto (412 - 415), nella Gallia centro-meridionale, di Vandali e Svevi (i quali l'avevano abbandonata nel 409). Anche i Visigoti fecero il loro ingresso nella diocesi ispanica attorno al 415-416 pur mantenendo i loro possessi al di là dei Pirenei. Venne in tal modo a formarsi un potente regno che si estendeva a cavallo fra Hispania e Gallia, ufficialmente riconosciuto, per volontà di Ezio, nel 439. A quel punto Alani e Svevi, furono costretti ad installarsi nelle province più occidentali della penisola (Lusitania e Gallaecia). I Vandali invece, sotto la pressione visigota, raggiunsero la provincia Baetica, nell'estremo sud dell'Hispania romana, e vi si stabilirono per circa un ventennio dandole, secondo l'opinione più diffusa (ma oggi forse la meno accreditata presso gli studiosi, vedi: Al-Andalus) il proprio nome: Vandalicia o Vandalucia (l'odierna Andalusia). Successivamente (428), guidati dal loro re Genserico, traversarono l'attuale stretto di Gibilterra e passarono nell'Africa romana, dove costituirono un regno che, riconosciuto da Valentiniano III nel 442, sopravvisse fino ad età giustinianea.

Anche la Britannia, abbandonata definitivamente dai Romani attorno al 407-409 fu invasa, attorno alla metà del secolo da genti germaniche (Sassoni, Angli e Juti) che dettero vita a molte piccole entità territoriali autonome (Sussex, Anglia orientale, Kent ecc.), spesso in lotta fra di loro.

Sacco di Roma (455)

Lo stesso argomento in dettaglio: Sacco di Roma (455).

La morte di Valentiniano III vide l'estinzione della linea diretta dei discendenti di Teodosio. Per quanto flebile mancò quindi anche il sostegno del concetto dinastico e della sua continuità. Il successore Petronio Massimo, la cui mano stava dietro la morte di Valentiniano III e che ne aveva rapidamente sposato la vedova, restò imperatore per circa due mesi, dal 17 marzo al 31 maggio 455. La notizia dello sbarco di Genserico e dei suoi vandali ad Ostia provocò una sommossa della popolazione romana e la lapidazione dell'Imperatore che stava tentando la fuga.

Genserico e la sua orda marciarono su Roma che, senza nemmeno tentare di difendersi, capitolò il 2 giugno 455. Questa volta il papa Leone I non riuscì a fermare gli invasori. Fu promesso al Sommo Pontefice che sarebbe stato rispettato il patrimonio immobiliare urbano, l'integrità fisica dei cittadini e che il saccheggio avrebbe avuto una durata massima di quindici giorni. Di tali promesse, solo l'ultima venne mantenuta. I Vandali asportarono l'asportabile e il trasportabile fra le ricchezze e le opere d'arte rapinate in città. Non contento, il sovrano barbaro trascinò come ostaggi in Africa anche numerosi personaggi eminenti per ottenerne il riscatto. Fra i prigionieri vi furono l'Imperatrice Licinia Eudossia e le figlie Placidia ed Eudocia. Si disse che Licinia Eudossia avesse lei stessa chiamato Genserico per vendicare l'assassinio del primo marito, mentre la figlia Eudocia sarebbe stata promessa in sposa ad Unerico, figlio di Genserico, con cui effettivamente si unì in matrimonio in terra d'Africa.

Crepuscolo

Alla morte di Petronio Massimo salì al potere Avito un gallo-romano di classe senatoria nominato magister militum da Petronio, acclamato imperatore ad Arelate ed entrato a Roma salutato da un panegirico di Sidonio Apollinare. Avito era intenzionato a intraprendere un'azione contro i Vandali che, nel frattempo, avevano occupato anche Sicilia e Sardegna. Inviso alla classe dirigente romana per la sua gallica estraneità chiese aiuto a Marciano, imperatore d'oriente, che, interessato a ridurre le pretese dell'Occidente sull'area pannonica, lo negò. Avito affidò allora il comando dell'esercito a Ricimero, nipote del re visigoto Vallia che però dopo i primi successi in Corsica si ribellò all'imperatore, lo sconfisse presso Piacenza nel 456 e lo depose. Il vuoto di potere creatosi alimentò le tensioni separatiste nei vari regni barbarici che si stavano formando.

L'Impero romano d'Occidente sotto Maggioriano. Si noti come l'Illirico fosse solo nominalmente sotto il dominio dell'imperatore, mentre il potere effettivo era tenuto dal comes Marcellino; anche la Gallia e parte dell'Hispania erano di fatto, all'inizio del regno di Maggioriano, fuori dal controllo dell'imperatore, in quanto occupate dai Visigoti

Venne nominato imperatore, quindi, Maggioriano che, appoggiato dal Senato, si impegnò per quattro anni in un'attenta e decisa azione di riforma politica, amministrativa e giuridica, riconquistando la Gallia. Allestiti un esercito e una flotta attaccò Genserico in Spagna, ma la sua flotta venne distrutta da dei traditori e, al suo ritorno in Italia, venne assassinato per ordine di Ricimero nell'agosto 461. La morte di Maggioriano significò la definitiva perdita a favore dei Vandali dell'Africa, Sicilia, Sardegna, Corsica e Baleari.

Con la morte di Maggioriano scomparve l'ultimo vero imperatore dell'Occidente. Ricimero, imparentato con le case reali burgunda e visigota, divenne il vero arbitro di questa parte dell'Impero, e per sei anni nominò e depose augusti sulla base delle più impellenti necessità politiche del momento e del proprio tornaconto personale. La dignità imperiale, infangata e vilipesa non era mai caduta così in basso. Nel 467 l'imperatore d'Oriente Leone I tentò di risollevare le sorti dell'impero d'Occidente, con una grande azione congiunta in funzione anti-vandala. Ricimero fu costretto però ad accettare un augusto imposto da Bisanzio: Antemio, il cui regno fu funestato da due tragici avvenimenti: nel 468, una grande flotta congiunta allestita dai due imperi venne annientata dai Vandali, che consolidarono il loro dominio su Sicilia, Sardegna e Baleari; due anni più tardi, in Gallia, il Visigoto Eurico riportò una netta vittoria sull'esercito imperiale nei pressi del Rodano. In questo scontro perse la vita anche uno dei figli di Antemio, Antemiolo.

Le sconfitte subite compromisero i rapporti fra Antemio e Ricimero che, alla testa di due eserciti in massima parte costituiti da barbari (Ostrogoti e Burgundi) si affrontarono alle porte dell'Urbe. Antemio, con l'appoggio del senato, si asserragliò in città che venne cinta d'assedio da Ricimero e Anicio Olibrio, augusto imposto, sembra, da Leone I. Dopo due mesi Roma cadde (472) e per la terza volta dall'inizio del secolo fu sottoposta a saccheggio. Antemio morì e pochi mesi più tardi si spensero anche Ricimero e Olibrio.

Moneta di Romolo Augusto

Il candidato di Olibrio e del suo alleato burgundo Gundobado, il comes domesticorum Glicerio, non venne accettato né da Leone I né dal suo successore, Zenone, che, impose il magister militum di Dalmazia, Giulio Nepote. Questi si recò a Roma per essere incoronato da una messo imperiale nel 474 mentre Glicerio, dopo aver rinunciato ad ogni suo diritto al trono, concluse i suoi giorni come Vescovo nella città di Salona.

Osteggiato dal Senato, nel 475 Nepote dovette subire la rivolta di Oreste, un patrizio romano di Pannonia che una dozzina d'anni prima era stato anche al servizio di Attila. Oreste riuscì ad imporre come imperatore suo figlio Romolo Augusto. Il giovane, sotto la guida del padre, dovette però ben presto fronteggiare una rivolta delle sue truppe provenienti dall'area danubiana e formate da Eruli, Sciri e Rugi. Reclamavano terre da coltivare in Italia Settentrionale, dove erano stanziate. Il rifiuto imperiale scatenò una violenta reazione: i barbari nominarono un coraggioso soldato, Odoacre, come loro duce. Oreste fu da questi ripetutamente sconfitto, poi catturato e decapitato, mentre il piccolo Romolo Augusto, dopo soli dieci mesi di regno fu privato del titolo imperiale e confinato a Baia nella villa che era stata di Lucullo. Malinconica fine per il giovane augusto, ignaro che sarebbe passato alla storia come ultimo imperatore d'Occidente.

Odoacre, consegnò le insegne imperiali a Zenone, riconoscendolo come unico augusto dell'intero orbe romano e conservando per se il titolo di patricius. Acclamato successivamente come re dai popoli barbari che lo avevano sostenuto, divenne, di fatto, il primo sovrano dell'Italia post-romana. Una cesura si era verificata nella storia. Cessava l'Impero romano d'Occidente. Iniziava il Medioevo.

(EN)

«This is the way the world ends
This is the way the world ends
This is the way the world ends
Not with a bang but a whimper

(IT)

«Così è il modo in cui muore il mondo
Così è il modo in cui muore il mondo
Così è il modo in cui muore il mondo
non con uno schianto ma con con un piagnucolio.»

Fine dell'unità d'Occidente

Una politica più accorta e lungimirante avrebbe potuto canalizzare a beneficio dell'Impero le energie umane nuove provenienti dall'Europa settentrionale ed orientale, creando delle forme statuali più evolute che tendessero a conciliare il centralismo romano con le spinte confederali delle genti germaniche. A questo proposito va ricordato che le classi dirigenti barbare riconobbero sempre, o quasi sempre, le autorità romane del tempo, anche se spesso non quelle legittime, data la confusione e la sovrapposizione di poteri che contraddistinsero il V secolo. Capi barbari come Alarico o Ataulfo (e più tardi, lo stesso Teodorico), non chiedevano altro che il godimento, per i propri popoli, dei benefici della civiltà romana, che per essi rappresentava "la civiltà" per antonomasia, l'unica con cui avessero avuto contatti. Alcuni popoli germanici (Franchi, Visigoti) avevano già subito da tempo un graduale processo di romanizzazione ed inviavano i propri figli a combattere nelle armate imperiali dove spesso raggiunsero, come abbiamo visto, i più alti gradi nell'esercito. Stilicone, un generale di origine germanica, ed Ezio, un latino di frontiera, entrambi unicamente ed orgogliosamente romani, seguendo le orme di Teodosio I, profusero ogni loro energia nel vano tentativo di coinvolgere i nuovi immigrati venuti dal nord in quel grande progetto comune che era, o avrebbe dovuto essere, l'Impero. Il loro messaggio non fu recepito dalla classe dirigente romana dell'epoca, ottusa e opportunista, guidata da imperatori (Onorio, Valentiniano III) a cui mancò la capacità e lungimiranza politica di Teodosio. Fallirono, pagando con la vita il proprio coraggio. Dopo la morte di Ezio l'impero si trascinò stancamente verso la sua inevitabile liquidazione e quando anche l'ultimo uomo forte, il barbaro Ricimero, scomparve dalla scena, l'Italia si trasformò in un qualsiasi regno romano-barbarico, perdendo quella sua funzione di garante dell'unità romano-occidentale che fino ad allora aveva rivestito.

Economia e finanze

Moneta di Teodosio I

Alla crisi non solo politica, ma anche finanziaria ed economica del III secolo, vedi:Crisi del III secolo) fece seguito, fin da epoca tetrarchica, una moderata ripresa delle attività produttive che però interessò principalmente la parte orientale dell'Impero. Vari fattori contribuirono a frenare in occidente questa congiuntura economica favorevole, la quale riuscì a presentare una certa consistenza solo in un ristretto numero di aree: Cartagine con l'Africa Proconsolare e Byzacena, parte della Gallia ed alcune zone dell'Italia Annonaria (Italia Settentrionale). Negli anni in cui si iniziò a conformare l'Impero Romano d'Occidente (395 - 400 circa), la sua economia aveva assunto già da tempo delle particolari connotazioni che potrebbero qui trovare la seguente sintesi:

  1. preponderanza assoluta delle attività agropecuarie (agricoltura ed allevamento) su quelle industriali e mercantili. Questo fenomeno, tipico di tutte le economie pre-capitaliste era in Oriente molto meno accentuato;
  2. abnorme sviluppo del latifondo con impiego su larga scala di manodopera servile non sempre di facile reperibilità (nonostante le riforme di Diocleziano tese a vincolarla alla terra). Nel contempo iniziò a manifestarsi una progressiva scomparsa delle piccole e medie unità produttive ed un graduale spopolamento di numerose province;
  3. "nazionalizzazione" di talune importanti industrie manifatturiere che provocò la crisi di alcuni settori produttivi. Questa politica economica fu intrapresa un secolo prima dall'imperatore Diocleziano e mirava ad assicurare una maggiore forma di controllo da parte dello Stato ed una maggiore razionalizzazione degli approvvigionamenti e delle forniture per l'esercito. Il processo interessò soprattutto due fra le più fiorenti attività industriali dell'occidente europeo: quella tessile e quella legata alle armi ed agli equipaggiamenti militari;
  4. stagnazione quasi generalizzata delle attività commerciali, che contrastava con una ben maggiore vivacità dei traffici nella parte orientale dell'Impero. Quest'ultima poteva vantare tradizioni mercantili più antiche le quali poggiavano su uno sviluppo urbano più accentuato che in occidente.

Nonostante la non facile situazione economica, la pressione fiscale, dall'epoca dioclezianea in poi, si andò incessantemente incrementando per poter sostenere i costi di mantenimento, sempre più elevati, di un esercito ormai quasi interamente formato da mercenari e di un apparato burocratico sviluppatosi a dismisura. Le frequenti contrazioni del gettito fiscale e l'impossibilità da parte dello Stato di far fronte alle spese militari ed amministrativo-burocratiche cui si è fatto accenno,costrinse inoltre lo Stato romano,nel corso del IV secolo a ricorrere a nuove emissioni di moneta, responsabili di una spirale inflazionistica refrattaria a ogni tentativo di contenimento (il primo e più celebre dei quali, conosciuto come Editto sui prezzi massimi, fu quello promulgato da Diocleziano nel 301).

Moneta di Onorio, celebrato come gloria Romanorum, "gloria dei Romani"

Durante i regni di Onorio (395 - 423) e di Valentiniano III (425 - 455) la situazione divenne sempre più insostenibile. L'incessante sequela di guerre, carestie, ed amputazioni territoriali sempre più gravi che, già fin dall'inizio del V secolo, flagellarono il mondo romano-occidentale fino a determinarne la caduta definitiva pochi decenni più tardi, prosciugarono del tutto l'erario pubblico, spensero ogni iniziativa individuale, distrussero capitali e ricchezze accumulati da Roma nella sua Storia millenaria.

Va infine segnalata l'irrazionalità con cui molto spesso si gestiva all'epoca il denaro pubblico: alla fine del IV secolo e agli inizi del V lo Stato doveva farsi ancora carico, con ripartizioni gratuite di frumento e di altri generi di prima necessità, di un consistente numero di indigenti, sfaccendati e altri soggetti che conducevano un'esistenza parassitaria. Questo fenomeno, nato in tarda età repubblicana, supponeva un onere non indifferente per le esauste arche pubbliche del tempo. Indicativo a questo proposito è il caso della città di Roma che annoverava fra la sua popolazione residente, nel 367, ben 317.000 aventi diritto a questa forma di mantenimento. È questa una cifra enorme soprattutto se si considera che la popolazione totale di Roma si aggirava sulle 800.000-1.000.000 di unità e che quella dell'Italia (con Sicilia e Sardegna) ruotava attorno ai 6,5 milioni di abitanti. Questa costante emorragia di denaro pubblico, oltre a costituire un pesante gravame per il Tesoro, sottraeva risorse umane e finanziarie allo sviluppo della città di Roma e d'Italia ed alla difesa dell'Europa e dell'Africa romane.

Cultura, arte e pensiero

Rinascimento d'Occidente

A partire dagli ultimi decenni del IV secolo e fino alla deposizione di Romolo Augusto da parte di Odoacre, ed oltre, l'occidente è percorso da fermenti culturali, artistici, religiosi e filosofici che dettero vita a un vero e proprio rinascimento del pensiero romano di espressione latina, che nel secolo e mezzo precedente era stato messo un po' in ombra da quello di lingua greca. Alcuni storici lo definiscono rinascimento teodosiano (o costantiniano-teodosiano), ma c'è chi preferisce definirlo tardo-antico perché non circoscritto al regno di questo imperatore, dilatandosi con il suo ultimo protagonista, il filosofo Severino Boezio, oltre le soglie del VI secolo.

Pensatori e letterati

Alla fine del IV secolo, e per molti secoli a venire, Roma era ancora un prestigioso punto di riferimento ideale non solo per l'Occidente, ma anche per l'Oriente. Si ha quasi l'impressione che la sua perdita di importanza politica, definitivamente sancita già in epoca tetrarchica, le avesse quasi assicurato un ruolo di simbolo "sovranazionale" di Impero al tramonto. Alcuni grandi uomini di cultura di origine greco-orientale sentirono questo richiamo e scelsero il latino come lingua di comunicazione. È il caso dello storico greco-siriano Ammiano Marcellino, che decise, dopo un lungo periodo di militanza come ufficiale dell'esercito, di trasferirsi a Roma, dove morì attorno all'anno 400. Nella Città Eterna scrisse il suo capolavoro Rerum gestarum libri XXXI, pervenutoci in forma incompleta. Quest'opera, serena, imparziale, vibrante di profonda ammirazione per Roma e la sua missione civilizzatrice, costituisce un documento di eccezionale

Il vescovo Ambrogio e l'imperatore Teodosio

interesse, dato il delicato e tormentato momento storico preso in esame (dal 354 al 378, anno della battaglia di Adrianopoli).

Anche l'ultimo grande poeta pagano, il greco-egizio Claudiano (nato nel 375 circa), adottò il latino nella maggior parte dei suoi componimenti (la sua produzione in greco fu senz'altro meno significativa) decidendo di passare gli ultimi anni della sua breve esistenza a Roma, dove si spense nel 404. Spirito eclettico ed inquieto, trasse ispirazione, nella sua vasta produzione tesa a esaltare Roma e il suo Impero, dai grandi classici latini (Virgilio, Lucano, Ovidio ecc.) e greci (Omero e Callimaco). Fra i letterati provenienti dalle province occidentali dell'Impero non possiamo dimenticare il gallo-romano Claudio Rutilio Namaziano, che nel suo breve De reditu (417 circa) rese un vibrante e commosso omaggio alla città di Roma che egli era stato costretto a lasciare per tornare nella sua terra di origine, la Gallia.

L'ultimo grande retore che visse ed operò in questa parte dell'Impero fu il patrizio romano Simmaco spentosi nel 402. Le sue Epistulae, Orationes e Relationes ci forniscono una preziosa testimonianza dei profondi legami, ancora esistenti all'epoca, fra l'aristocrazia romana ed una ancor viva tradizione pagana. Quest'ultima, così ben rappresentata dalla vigorosa e vibrante prosa di Simmaco, suscitò la violenta reazione del cristiano Prudenzio che nel suo Contra Symmachum stigmatizzò i culti pagani del tempo. Prudenzio è uno dei massimi poeti cristiani dell'antichità. Nato a Calagurris in Spagna, nel 348, si spense attorno al 405, dopo un lungo e travagliato pellegrinaggio fino a Roma. Oltre al già citato Contra Symmachum, è autore di una serie di componimenti poetici di natura apologetica o di carattere teologico fra cui una Psychomachia (Combattimento dell'anima), una Hamartigenia (Genesi del Peccato) ed un Liber Cathemerinon (Inni da recitarsi giornalmente).

Agostino d'Ippona nel suo studio. Dipinto di Vittore Carpaccio

Grande svilppo ebbe in Occidente, a cavallo fra il IV e V secolo, il pensiero teologico e filosofico dei padri della chiesa di lingua latina su cui primeggiano tre grandi personalità: sant'Ambrogio (morto nel 397), san Girolamo (347-420) e sant'Agostino (354-430).

Il primo, di Treviri, diede uno straordinario impulso al progressivo affrancamento della Chiesa di Roma dal potere imperiale, grazie anche al rapporto privilegiato che intrattenne con Teodosio I e, alla morte di questi, con il reggente Stilicone. La sua produzione è molto vasta e comprende scritti di carattere esegetico, ascetico e dogmatico, oltre a numerosi discorsi, epistole ed inni. Egli fu infatti il fondatore della innografia in lingua latina di contenuto religioso. San Girolamo, originario di Stridone, città posta fra la Pannonia e la Dalmazia, fu uno dei maggiori eruditi del suo tempo. Fu lui a tradurre il Vecchio Testamento dall'originale ebraico in latino. La sua traduzione, la celebre Vulgata, diffusissima durante tutta l'età medioevale, fu l'unica ad essere riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa durante il Concilio di Trento (1545-1563).

Girolamo è anche ricordato per il De viris illustribus, raccolta di notizie, dati biografici, riflessioni sugli autori cristiani più significativi dei primi quattro secoli dell'era volgare. Nell'Occidente romano visse ed operò infine il filosofo e teologo che probabilmente influenzò maggiormente, insieme a san Tommaso d'Aquino, la storia del Cristianesimo: sant'Agostino.

Nativo di Tagaste, in Numidia, Agostino soggiornò per alcuni anni prima a Roma, poi a Milano, dove ebbe modo di conoscere sant'Ambrogio e ricevere dalle sue mani il battesimo (387). Tornato in Africa, fu ordinato sacerdote (391) e nominato successivamente Vescovo di Ippona. In questa città, assediata dalle orde vandale, Agostino si spense nel 430. Della sua enorme produzione vanno segnalate le Confessiones, capolavoro indiscusso di tutta la memorialistica in lingua latina (redatte nel 397 - 398) e la De civitate Dei nata per difendere i cristiani dalle accuse rivolte ad essi di essere stati i responsabili del sacco di Roma del 410. L'opera si dilatò nel corso degli anni (413 - 427) fino ad includere i temi più svariati (filosofia, diritto, metafisica, ecc.) divenendo una vera e propria Summa Teologica del grande pensatore africano.

Profondamente influenzato da Agostino fu il sacerdote iberico Orosio (attivo fino al 420 circa), che gli fu anche amico oltre che compagno di fede. Orosio scrisse su invito di Agostino le Historiarum adversus paganos libri septem (418) lungo resoconto storico-teologico che da Adamo giunge fino all'anno 417 e che si impernia sul concetto di provvidenza, caro al grande vescovo di Ippona. Subirono la sua influenza anche i galloromani Giovanni Cassiano (360-435 circa) e Claudiano Mamerto (morto attorno al 475)

Lingue

Agostino De Civitate Dei, Folio 1 - New York Public Library

Nella parte occidentale dell'Impero lingua ufficiale e lingua d'uso coincidevano. Il latino si imponeva infatti in ogni ambito della vita pubblica e privata anche se con modalità regionali e provinciali non sempre agevolmente documentabili. La persistenza di alcuni idiomi preromani (di origine soprattutto celta e fenicia) doveva rivestire ancora una certa importanza nelle zone rurali, ma nelle realtà urbane del tempo era molto più limitata. La stessa conoscenza del greco, così diffusa un tempo presso il patriziato, si era andata restringendo, nel corso del IV secolo (o forse ancor prima), agli intellettuali e agli uomini di cultura (letterati, filosofi ecc.) non senza significative eccezioni. Lo stesso Agostino infatti, una delle menti più alte del suo tempo, lamentava la scarsa conoscenza che possedeva della lingua greca. A partire dal 406 circa, l'entrata e lo stanziamento di popolazioni di etnia prevalentemente germanica ruppe la compattezza linguistica di questa parte del mondo romano. Pur tuttavia il latino continuò ad essere l'unica lingua scritta della parte occidentale dell'Impero.

Arte

Con il progressivo affermarsi del Cristianesimo ha inizio, a partire dalla prima metà del IV secolo, la nascita e lo sviluppo di un arte paleocristiana che conoscerà il suo massimo rigoglio in Italia e particolarmente nelle città di Roma, Ravenna e Milano. Questa nuova forma d'arte troverà la sua espressione più alta nella basilica, tipico edificio romano di incontro ed aggregazione della cittadinanza, adibito dai cristiani al culto. Il primo edificio di questo tipo fu, con ogni probabilità, la basilica di San Pietro a Roma, fatta innalzare da Costantino I nel terzo decennio del IV secolo ed interamente ricostruita in età rinascimentale. Sempre del IV secolo a Roma sono le basiliche di San Paolo fuori le mura, Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano e Santa Sabina. A Ravenna, capitale imperiale dal 402, l'attività edilizia fu particolarmente intensa durante tutto il V secolo. Le basiliche di San Giovanni Evangelista (430 circa), di Sant'Agata Maggiore e di Santa Croce sono di questo periodo, come pure il celebre Mausoleo di Galla Placidia ed il Battistero degli Ortodossi (451 - 460).

La Porta Nigra di Treviri in una foto del primo '900

Le decorazioni interne di questi capolavori architettonici ravennati sono ancora permeate dal severo realismo romano e non risentono delle influenze dell'arte bizantina (ancora in gestazione) che inizieranno ad essere percepibili solo in epoca teodoriciana (493 - 526). A Milano, anch'essa capitale imperiale durante il IV secolo, fu edificata la basilica di San Lorenzo (IV secolo, ma con alcune parti, come la cappella di San Sisto, del V secolo) nota per i suoi straordinari mosaici (prima metà del V secolo). Nelle altre province romano-occidentali l'attività artistica sembra abbia subito una battuta di arresto nel corso del IV secolo. Di questo periodo sono due celebrati monumenti della tarda romanità: la basilica di Leptis Magna, fatta innalzare da Costantino I su una anteriore struttura del I secolo e, sempre di età costantiniana, la Porta Nigra di Treviri. Sempre a Treviri che, non dimentichiamolo, fu anch'essa residenza imperiale fin da epoca tetrarchica, si può ancor oggi ammirare la Basilica, conosciuta come "Aula Palatina", poderosa struttura in laterizio del IV secolo.

Religione

Le tombe di Eustachio e Valerio primo e secondo vescovo di Treviri - all'epoca città capitale

La politica di tolleranza e, in molti casi, di aperto sostegno al Cristianesimo inaugurata dall'imperatore Costantino I si consolidò nel corso del IV secolo (con un'unica ed effimera battuta di arresto durante il breve regno di Giuliano). Nel 380 l'imperatore Teodosio I proclamò il Cristianesimo religione ufficiale dell'Impero nella sua formulazione nicena. Sia il paganesimo che l' eresia ariana vennero da quel momento apertamente perseguitati.

Non è facile stabilire la reale consistenza delle comunità cristiane nell'Impero Romano d'Occidente alla vigilia delle invasioni barbariche, ma con ogni probabilità queste rappresentavano oltre la metà della popolazione dei territori che ne facevano parte. Il Cristianesimo era certamente più diffuso in ambito urbano che rurale e, sotto il profilo territoriale, più in prossimità del Mediterraneo (Africa, Hispania orientale e meridionale, Gallia meridionale, Italia, Dalmazia) che nell'Europa Centrale ed Atlantica.

La popolazione della città di Roma era in maggioranza cristiana, ma parte dell'aristocrazia senatoria, appoggiata dalle proprie clientele, continuò a mantenersi fedele, ancora per qualche decennio, ai vecchi culti pagani. La situazione venne a complicarsi nel corso del V secolo, a seguito dello stanziamento di molti popoli di etnia germanica e di religione ariana in gran parte dei territori romano-occidentali. La loro conversione fu in molti casi lenta e non si poté realizzare pienamente prima della fine del VII secolo.

La divisione di questo Impero sulla religione fu una causa delle numerose guerre civili scoppiate in seguito a proteste del popolo.

Note

  1. ^ «...alla metà del V secolo...si può immaginare che il totale della popolazione [di Roma] dovesse essere qualcosa di più dei due terzi di un milione.» Cit. da Arnold H. M. Jones, Il Tramonto del Mondo Antico, Bari, Casa Editrice Giuseppe Laterza & Figli, 1972, CL 20-0462-3, pag. 341-342 (Titolo dell'opera originale: Arnold H. M. Jones The Decline of the Ancient World, Lonmans, Green and Co. Ltd, London 1966)
  2. ^ Cornell, Tim, e John Matthews, Atlante del mondo romano, Istituto Geografico de Agostini, Novara, 1984, p. 142.
  3. ^ Si calcolano dai 250 ai 500 abitanti per ettaro nelle città fondate dai Romani (sfondo verde). Fonte: Dalle città dell'Impero Romano alle campagne dell'Età Medioevale, i cui riferimenti bibliografici sono: reperibili qui
  4. ^ Ammiano Marcellino, Res Gestae a Fine Corneli Taciti, libri xxxi, 30.6.1-6.
  5. ^ Fioramo G.,(a cura di), Storia delle religioni, Cristianesimo, Dal concilio di Nicea a Gregorio Magno, Laterza, Bari, 2005.

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Autori classici

Voci correlate