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Ururi
comune
Ururi – Stemma
Ururi – Bandiera
Ururi – Veduta
Ururi – Veduta
Scorcio di via Santa Maria
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Molise
Provincia Campobasso
Amministrazione
SindacoLaura Greco (lista civica) dal 4-10-2021
Territorio
Abitanti2 399[1] (31-7-2023)
Comuni confinantiLarino, Montorio nei Frentani, Rotello, San Martino in Pensilis
Altre informazioni
Lingueitaliano, arbëreshë
Fuso orarioUTC+1
Cl. sismicazona 2 (sismicità media)[2]
Cl. climaticazona D, 1 647 GG[3]
Nome abitantiururesi
PatronoSacro Legno della Croce
Giorno festivo3-4 maggio
Cartografia
Ururi – Mappa
Ururi – Mappa
Posizione del comune di Ururi nella provincia di Campobasso
Sito istituzionale

Ururi è un comune italiano di 2 399 abitanti[1] della provincia di Campobasso in Molise, situato su una piccola collina posta a 262 m s.l.m. con 31,4 km² di estensione, e distante circa 60,4 chilometri dal capoluogo Campobasso.

Gli abitanti sono di cultura e lingua arbëreshë, unitamente a numerose altre comunità dell'Italia meridionale, fra cui Campomarino, Portocannone e Montecilfone nella stessa provincia di Campobasso. Il rito bizantino, tipico simbolo di fede cristiana e di identificazione degli arbëreshë, fu soppresso dopo secoli di resistenza e vani tentativi per preservarlo.[senza fonte]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Nel suo feudo sorgeva un Casale denominato "Aurora" ma non è dato conoscere il luogo preciso in cui sorgevano sia il monastero dei monaci benedettini sia il casale.

Nello studio dei documenti antichi, si ritrova una indubbia continuità, tra il "casale Aurora" e il successivo agglomerato abitato di Ururi alla cui denominazione si giunse per gradi dopo alcuni secoli, con una evidente sovrapposizione della nuova denominazione all'antica.

Non vi sono resti di opere murarie che possano indicare in qualche modo il luogo della esistenza antica del monastero e del Casale ma è da supporre che essi sorgessero nella parte più alta dell'attuale abitato di Ururi.

Dunque è da supporre che il luogo fosse proprio là ove oggi è il centro storico del paese, tanto più che il monastero era dedicato a Santa Maria così come la vecchia Chiesa parrocchiale che sorge appunto nel luogo più alto del paese.

Documenti dell'epoca accennano alla presenza nel Casale Aurora, oltre che del monastero, anche di laici, verosimilmente stabilitisi a ridosso del monastero, i quali coltivavano i terreni circostanti. Esisteva dunque un sia pur modesto agglomerato, dedito al lavoro dei campi, e forse in unione con gli stessi monaci.

Nel mese di gennaio del 1074 o 1075 il feudatario normanno Roberto, conte di Loritello, dichiarava di possedere un monastero costruito in tenimento di Larino, nel luogo chiamato Aurora (Aurole) e, con atto per notaio Azzo, donava il tutto alla chiesa Larinese di Maria Vergine e Madre di Dio, per l'anima sua e dei suoi parenti; seguono, nell'atto, le maledizioni per chiunque in avvenire tentasse di sottrarre la donazione alla Chiesa. L'atto è firmato da Guglielmo Vescovo, dal Giudice Falco, da un tale Maraldo Trimarco, mentre il donante feudatario Conte di Loritello vi appone il segno di croce degli illetterati (segno dei tempi nei quali la spada valeva più della penna). Con detta donazione il vescovo di Larino a sua volta succedeva nel feudo Aurora, divenendone il proprietario.[4]

Nei secoli successivi il feudo Aurora e la donazione del conte di Loritello riappaiono in atti e documenti vari. Solo poco prima del 1500 in qualche documento appare per il Casale Aurora anche la denominazione di "Ruri" e talvolta di "Urure".

Il fatto stesso della promiscuità di denominazione fa pensare che quello è il periodo in cui la nuova denominazione si stava affermando sicché il Casale viene indicato tuttora con il nome Aurora, ma sono in uso anche le nuove denominazioni.

A quella data (poco prima del 1500), gli albanesi si erano già stabiliti nel Casale e può quindi darsi che siano stati proprio i nuovi abitanti a dare la nuova denominazione, o per assonanza (Aurora-Urure) o addirittura derivando dalla vecchia denominazione quella più consona alla lingua albanese nella quale ancora oggi, la denominazione è "Rur - Ruri".

Taluno, specie in sede locale, sospetta che la nuova denominazione "Rur, -Ruri" possa derivare o dal latino urere ("bruciare") o dall'albanese uri ("tizzone") con chiaro riferimento ad un incendio che avrebbe distrutto il paese. Non sembra tuttavia possibile richiamarsi a tali denominazioni sia perché si ha notizia di tali eventi in epoca anteriore all'anno 1500 e sia perché tali derivazioni non si spiegherebbero in un ambiente culturalmente povero.

La Strage dei Vardarelli[modifica | modifica wikitesto]

Gli albanesi del Molise, aiutanti dalle importanti famiglie presenti nel territorio, diedero vigore alle bande reazionarie dimostrando la loro indole: quella di non riuscire a sottostare ai soprusi e alle ingiustizie. È in questo clima di disordini sociali che si innesta la "strage dei Vardarelli", banda che vedeva al suo interno diverse componenti sia della Capitanata, sia del Contado del Molise in cui spiccavano anche affiliati arbëreshë. La strage dei Vardarelli per essere compresa a pieno deve essere interpretata come un complotto politico. Il brigantaggio nell’Italia meridionale ha come causa principale la crisi politica. Affermare questa come unica motivazione scatenante sarebbe del tutto riduttivo. Una prova è data dal fatto che il brigantaggio abbia attecchito maggiormente in quelle provincie in cui la popolazione era in una condizione che trasformava il contadino in nullatenente sfruttando, quindi, la sua dipendenza dalla rendita terriera. L’esempio lampante è quello delle terre della Capitanata, i cui i possedimenti terrieri erano raccolti nelle mani di pochissime persone, ed i contadini, invece, condannati alla stregua di vassalli. Pertanto, non è da condannare se non ricompensato delle sue fatiche, i coltivatori vennero allettati dall'ideologia della vita del brigante. In questa condizione sociale, la conseguenza diretta è la creazione di tantissime bande, che costellavano la maggior parte del territorio meridionale, che avevano come minimo comun denominatore l’obiettivo di eliminare, o per lo meno ridurre, il potere assolutistico infastidendo, di conseguenza, anche le più alte sfere dello Stato. In questa situazione, il re Gioacchino Murat emanò norme volte alla repressione del brigantaggio. Il motivo fondamentale che permise da una parte l’acuirsi del fenomeno e dall'altra la vigorosità della sua potenza fu: la mancanza di una polizia diretta che avesse come unico obiettivo la distruzione della fitta rete di collegamenti pervenuti tra le diverse bande. Punto di forza del brigantaggio non era rappresentato dalla sola collaborazione reciproca ma anche dall’aiuto incessante della popolazione che permetteva agli affiliati di sfuggire agli arresti.[5]

Gaetano Meomartino è colui che, insieme al fratello Geremia Antonio, sarà il fautore e capo della banda Vardarelli. Vardàro era il mestiere del loro padre, costruttore di selle per muli e asini fatte di legno e cuoio, e i figli “piccoli vardari” venivano chiamati con il diminutivo di vardarelli. Nel tumultuoso clima politico, Gaetano era uno tra i maggiori sostenitori del ritorno al potere dei Borboni, guidando per questo scopo, una banda composta da circa trecento persone conosciuta come “reggimento Leone Cavalleria”. Nel 1809 venne arrestato ed incarcerato ma riuscì a fuggire, trovando riparo e protezione da Ferdinando di Borbone. Quest’ultimo, dopo aver sconfitto Murat, tornò sul trono di Napoli grazie alla decisione del Congresso di Vienna. L’Italia, che ancora una volta venne posta sotto il giogo delle decisioni delle grandi potenze europee, reagì con la creazione di moti liberali e con la formazione della carboneria. Fatto certo è il ritorno al potere dei Borboni nel 1816 i quali, volendo riottenere il controllo delle province, stabilirono un indulto per coloro che avessero dichiarato la loro presenza delle organizzazioni bandite. I Meomartino, che nel frattempo furono promossi a guardie reali, in seguito a questo indulto, abbandonarono il loro ruolo, instaurando nuovamente una brigata. Il terrore sparso dalla banda Vardarelli si espanse in tutta la Capitanata, nel Molise ed anche nell’Abruzzo. Abili cavallerizzi, riuscirono ad avere sempre la meglio contro gli scontri e le retate dell’esercito borbonico, il quale stremato dalla magra figura decise, nel luglio del 1817, si stringere accordi con la banda:

“In nome della santissima trinità, il trattato seguente è stato scritto giurato e firmato:

Art. 1°. «Sarà concesso perdono ed oblio ai misfatti de’ Vardarelli e loro seguaci.»

Art. 2°. «La comitiva sarà mutata in squadriglia di armigeri.» (Dicesi tra noi comitiva una banda di grassatori, e squadriglia d’armigeri una piccola squadra di genti d’arme stipendiata dal governo a sostegno della pubblica tranquillità).

Art. 3°. «Lo stipendio del capo Gaetano Vardarelli sarà di ducati 90 al mese, di ognuno dei tre sottocapi di ducati 45, di ogni armigero di ducati 30. Sarà pagato anticipatamente ogni mese.»(Erano paghe da colonnelli e da capitani).

Art. 4°. «La suddetta squadriglia giurerà fede al re, in mano di «regio commissario; quindi, obbedirà a generali che comandano nelle province, e sarà destinata a perseguitare i pubblici malfattori in qualunque parte del regno

.«Napoli 6 luglio 1817.»”[6]

Nonostante la banda rispettò con onore gli accordi stipulati, il generale Amato, ostile alla banda, usò la sua influenza presso il Governo inculcando l’idea che la fine delle scorribande corrispondesse alla fine dell’organizzazione Vardarelli. Pertanto, consapevole della presenza di società segrete nei paesi albanesi, si mise in contatto con Nicola Campofreda ed Emanuele Occhionero, residenti rispettivamente il primo in Portocannone e il secondo in Ururi, per elaborare un piano che potesse raggiungere il suo obiettivo. Come tradizione tramanda Ururi, in quegli anni, era travagliata dalla rivalità di due famiglie: i Grimani e gli Occhionero. L’oltraggio avvenne da parte di un comandante delle truppe francesi, ospitato dalla famiglia Grimani, che vedendo la moglie dell’Occhionero, volle a tutti i costi farle visita. Inizialmente il marito fu lusingato ma dopo che il francese ebbe preteso di fare i suoi omaggi alla donna, l’Occhionero si sentì offeso e glielo impedì. Il “malinteso” terminò con uno schiaffo del comandante al capo famiglia. Oltraggiato nell’animo l’Occhionero accusò i Grimani di aver incitato il comandante a porre i suoi omaggi alla moglie.Emanuele Occhinero, nonostante fosse a conoscenza dello spirito di vendetta della famiglia Grimani e non avvisando Gaetano Vardarelli della situazione, per giunta suo compare in quanto gli battezzò la figlia, si rese complice della strage della banda. Il tenente Campofreda, nella notte del 9 aprile 1818, insieme a un gruppo di legionari si nascosero nel palazzo vescovile della piazza, attendendo l’ora giusta per scaricare colpi di fucile sulla banda. L’agguato, di cui il Governo era a favore, si attuò la mattina stessa in cui videro la morte Gaetano, i suoi due fratelli e altri sei componenti della banda. La strage viene vista come un tradimento politico, in quanto i Vardarelli, nonostante fossero parte dell’esercito borbonico, nonostante avessero svolto lavori di rimozione di tutte le bande che soggiogavano il territorio, furono uccisi come traditori. La banda Vardarelli tentò di rimanere in vita ma senza successo. In merito a questa strage la piazza di Ururi venne rinominata “Piazza Vardarelli”.[7]

Simboli[modifica | modifica wikitesto]

Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 27 marzo 1973.[8]

«Di rosso, alla chiesetta d'argento, aperta e finestrata del campo; con la bordura di azzurro, caricata della scritta in lettere capitali d'argento AVRORA. Ornamenti esteriori da Comune.»

Il gonfalone è un drappo rosso.

Monumenti e luoghi d'interesse[modifica | modifica wikitesto]

Chiesa di Santa Maria delle Grazie[modifica | modifica wikitesto]

Chiesa madre

La chiesa madre risalirebbe al 1026, secondo un documento redatto dal vescovo Filippo. Dopo il terremoto del 1456, il feudo di Ururi fu abbandonato e successivamente colonizzato da popolazioni croate d'Oriente. La chiesa nuova fu ricostruita nel 1718, voluta dal vescovo di Larino Carlo Maria Pianetti, e consacrata nel 1730. La struttura ha facciata barocca monumentale scandita in tre settori da cornici, il cui livello si assottiglia, durante l'innalzamento, fino a un triangolo centrale della sommità. Verticalmente scendono paraste con capitelli ionici. I portali sono tre, e il campanile è una torre con cupola tipica delle chiese ortodosse. L'interno originale era a navata unica, poi sdoppiata nel 1812 e trasformata definitivamente in tre ripartizioni nel 1846.Lo stucco bianco è l'elemento che permane, poiché sono scarsi di dipinti, se non quelli delle cappelle laterali. Le volte sono a botte.

Società[modifica | modifica wikitesto]

Evoluzione demografica[modifica | modifica wikitesto]

Abitanti censiti[9]

Etnie e minoranze straniere[modifica | modifica wikitesto]

Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2010 la popolazione straniera residente era di 148 persone. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla loro percentuale sul totale della popolazione residente erano:

Tradizioni e folclore[modifica | modifica wikitesto]

Festa patronale[modifica | modifica wikitesto]

Sacro legno della croce: il 3 maggio a Ururi si svolge la carrese, una caratteristica corsa basso molisana con carri trainati da buoi che percorrono un tragitto di circa 3 km. Attualmente competono 3 carri: i Giovanotti (giallo-rossi), Fedayn (giallo-verdi) e i Giovani (bianco-celesti).

Nell'anno 2019 i carri si sono piazzati nel seguente ordine d'arrivo:

  1. Giovanotti
  2. Fedayn
  3. Giovani

Amministrazione[modifica | modifica wikitesto]

Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune.

Periodo Primo cittadino Partito Carica Note
12 luglio 1988 22 luglio 1990 Luigi Occhionero Partito Comunista Italiano Sindaco [10]
22 luglio 1990 6 maggio 1993 Maria Teresa Marinelli Partito Democratico della Sinistra, Partito Comunista Italiano Sindaco [10]
20 giugno 1993 28 aprile 1997 Nicolino Pierino De Rosa Lista civica Sindaco [10]
28 aprile 1997 14 maggio 2001 Luigi Plescia Centro Cristiano Democratico Sindaco [10]
14 maggio 2001 30 maggio 2006 Luigi Plescia Lista civica Sindaco [10]
30 maggio 2006 26 luglio 2010 Antonio Cocco Lista civica Sindaco [10]
17 agosto 2010 17 maggio 2011 Massimo De Stefano Comm. straordinario [10]
17 maggio 2011 6 giugno 2016 Luigi Plescia Lista civica: Uniti per il bene di Ururi Sindaco [10]
6 giugno 2016 3 ottobre 2021 Raffaele Primiani Lista civica: progetto Ururi Sindaco [10]
4 ottobre 2021 in carica Laura Greco Lista civica: Ururi libera Sindaco [10]

Sport[modifica | modifica wikitesto]

Calcio[modifica | modifica wikitesto]

L'Aurora Ururi è la storica società calcistica del paese, nata nel 1924 e attualmente militante nel Campionato di Eccellenza.

Galleria d'immagini[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Bilancio demografico mensile anno 2022 (dati provvisori), su demo.istat.it, ISTAT.
  2. ^ Classificazione sismica (XLS), su rischi.protezionecivile.gov.it.
  3. ^ Tabella dei gradi/giorno dei Comuni italiani raggruppati per Regione e Provincia (PDF), in Legge 26 agosto 1993, n. 412, allegato A, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, 1º marzo 2011, p. 151. URL consultato il 25 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2017).
  4. ^ A. L. Antinori, Annali degli Abruzzi, vol. VI, Bologna, Forni Editore, 1971, sub anno 1075 sub voce Casauria.
  5. ^ G. Massari, Il brigantaggio nelle province napoletane: Relazione della Commissione d’inchiesta parlamentare letta dal deputato Massari alla Camera del comitato degreto del 3 e 4 maggio 1863, seguita da quella letta dal deputato Castagnola nella tornata segreta del 4 maggio e della legge sul brigantaggio, Napoli, Stamperia dell’Iride, 1863..
  6. ^ Manhes-Mc Farlan, Brigantaggio, Capone, Lecce, 2003..
  7. ^ G. Masciotta, Il Molise dalle origini ai giorni nostri, Volume Quarto, Il Circondario di Larino, Lampo, 1952.
  8. ^ Ururi, su Archivio Centrale dello Stato. URL consultato il 23 dicembre 2022.
  9. ^ Statistiche I.Stat - ISTAT; URL consultato in data 28 dicembre 2012.
  10. ^ a b c d e f g h i j http://amministratori.interno.it/

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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