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Storia delle ferrovie in Italia: differenze tra le versioni

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La vicenda della "Ferdinandea" (come venne chiamata in onore dell’imperatore austriaco che vide i suoi primi passi) arrivò a una conclusione solo nel [[1878]], ad annessione del Veneto già avvenuta, quando fu completato il collegamento diretto fra Treviglio e Coccaglio che eliminava la deviazione per Bergamo, peraltro non prevista nel progetto iniziale dell'opera, stilato dall’ing. [[Giovanni Milani]] nel 1838.
La vicenda della "Ferdinandea" (come venne chiamata in onore dell’imperatore austriaco che vide i suoi primi passi) arrivò a una conclusione solo nel [[1878]], ad annessione del Veneto già avvenuta, quando fu completato il collegamento diretto fra Treviglio e Coccaglio che eliminava la deviazione per Bergamo, peraltro non prevista nel progetto iniziale dell'opera, stilato dall’ing. [[Giovanni Milani]] nel 1838.


Sul numero di agosto del 1836 di ''Biblioteca Italiana'', l'ingegner [[Giuseppe Bruschetti]] pubblicò il [[s:Progetto della strada di ferro da Milano a Como|progetto della linea Milano-Como]] che aveva avuto come promotore iniziale Zanino Volta, ingegnere e figlio del molto più noto [[Alessandro Volta|Alessandro]]. Il progetto generò un'accanita discussione fra il progettista stesso e [[Carlo Cattaneo (patriota)|Carlo Cattaneo]], che ne rilevò decine di manchevolezze<ref>[[s:Sul progetto di una strada di ferro da Milano a Como]]</ref>. Ad ogni modo i tentativi di Volta non ebbero successo e il progetto, per certi versi, confluì in quello della [[ferrovia Milano-Monza]].
Sul numero di agosto del 1836 di ''Biblioteca Italiana'', l'ingegner Giuseppe Bruschetti pubblicò il [[s:Progetto della strada di ferro da Milano a Como|progetto della linea Milano-Como]] che aveva avuto come promotore iniziale Zanino Volta, ingegnere e figlio del molto più noto [[Alessandro Volta|Alessandro]]. Il progetto generò un'accanita discussione fra il progettista stesso e [[Carlo Cattaneo (patriota)|Carlo Cattaneo]], che ne rilevò decine di manchevolezze<ref>[[s:Sul progetto di una strada di ferro da Milano a Como]]</ref>. Ad ogni modo i tentativi di Volta non ebbero successo e il progetto, per certi versi, confluì in quello della [[ferrovia Milano-Monza]].


Quest'ultima era stata inaugurata nel [[1840]] ed era lunga poco più di 12&nbsp;km<ref>[[s:Inaugurazione della strada ferrata da Milano a Monza|Inaugurazione della strada ferrata da Milano a Monza]]</ref>; l'imperatore d'Austria ne aveva concesso il privilegio alla ditta Holzhammer di [[Bolzano]], guidata dal finanziere [[Johann Putzer von Reibegg]].<ref>Da precisare che "privilegio" non significava "favore" ma corrispondeva al termine, in italiano corrente, "monopolio". La costruzione di altre linee ferroviarie e strutture simili nelle vicinanze della ferrovia "privilegiata" o che confluissero in questa era quindi soggetta a limitazioni e prelazioni.</ref>
Quest'ultima era stata inaugurata nel [[1840]] ed era lunga poco più di 12&nbsp;km<ref>[[s:Inaugurazione della strada ferrata da Milano a Monza|Inaugurazione della strada ferrata da Milano a Monza]]</ref>; l'imperatore d'Austria ne aveva concesso il privilegio alla ditta Holzhammer di [[Bolzano]], guidata dal finanziere Johann Putzer von Reibegg.<ref>Da precisare che "privilegio" non significava "favore" ma corrispondeva al termine, in italiano corrente, "monopolio". La costruzione di altre linee ferroviarie e strutture simili nelle vicinanze della ferrovia "privilegiata" o che confluissero in questa era quindi soggetta a limitazioni e prelazioni.</ref>


Questi primi progetti e prime realizzazioni misero in moto altri progetti, come la Venezia–Trieste, prolungamento della [[ferrovia Meridionale|linea proveniente da Vienna]]; il progetto per una Milano-Piacenza, che verrà conglobato nella concessione della Ferrovia dell’Italia Centrale; il previsto collegamento fra la "Ferdinandea" e Mantova portò all’idea della linea Mantova-Borgoforte anch’essa da prolungarsi fino a Reggio Emilia dove sarebbe confluita nella "Centrale". Si stesero binari anche verso il Ticino nella previsione di dover collegare Milano con Torino, capitale del [[Regno di Sardegna]].
Questi primi progetti e prime realizzazioni misero in moto altri progetti, come la Venezia–Trieste, prolungamento della [[ferrovia Meridionale|linea proveniente da Vienna]]; il progetto per una Milano-Piacenza, che verrà conglobato nella concessione della Ferrovia dell’Italia Centrale; il previsto collegamento fra la "Ferdinandea" e Mantova portò all’idea della linea Mantova-Borgoforte anch’essa da prolungarsi fino a Reggio Emilia dove sarebbe confluita nella "Centrale". Si stesero binari anche verso il Ticino nella previsione di dover collegare Milano con Torino, capitale del [[Regno di Sardegna]].

Versione delle 23:42, 23 lug 2015

La storia delle ferrovie in Italia ebbe inizio con l'apertura di un breve tratto di linea ai piedi del Vesuvio, la Napoli-Portici di poco più di sette chilometri, che venne inaugurata il 3 ottobre 1839.[1]

La nascita delle ferrovie negli Stati preunitari

L'inaugurazione della Stockton-Darlington, prima linea ferroviaria commerciale, avvenuta nel 1825, accese entusiasmi e progetti in tutta Europa, per l'utilizzo di quello che si era rivelato subito essere un formidabile mezzo di trasporto al servizio sia delle persone sia dell'industria e del commercio.

A differenza di altri stati come il Regno unito o la Francia, in Italia lo sviluppo venne frenato da fattori negativi quali l’accidentata orografia della penisola e, soprattutto, la divisione politica e l’influenza politica straniera che indirizzava la scelta di percorsi e di tecnologia secondo interessi diversi da quelli delle popolazioni che la struttura doveva servire. Un esempio: la scelta di collegare Bologna con Pistoia, oltre alle diatribe economiche e campanilistiche fra Pistoia a Prato, derivò dalla volontà dell’Austria di unire il Regno Lombardo Veneto con il porto di Livorno, considerato strategico per un veloce spostamento di uomini e materiali a supporto della marina imperiale che non possedeva basi sul Tirreno[2].

Regno delle Due Sicilie

In Italia, il primo tronco ferroviario, costruito a doppio binario da Napoli a Granatello di Portici (km 7,640), venne inaugurato il 3 ottobre 1839 dal re Ferdinando II di Borbone. Il 1º agosto 1842 la ferrovia aveva raggiunto Castellammare di Stabia e due anni dopo Pompei e Nocera (circa 40 km)[3] ma lo sviluppo successivo non fu altrettanto celere, la via ferrata si fermò, in direzione Nord, a Sparanise (circa 48 km) e, in direzione Sud, a Salerno (circa 55 km) e tale rimase fino all'unità. Nel 1846 il governo borbonico aveva rilasciato anche la concessione per il prolungamento della ferrovia da Nocera fino a San Severino e ad Avellino[4] e all'epoca si proponevano già collegamenti verso Bari, con diramazioni per Brindisi, a Sud, e per Foggia, a Nord[5]. Oltre alla strada ferrata fu avviata la realizzazione di un complesso industriale che rimase all'avanguardia per anni in Italia[6]. Nel 1840 fu promossa la realizzazione dell'Opificio di Pietrarsa, più ampio e in posizione più felice del preesistente Opificio Meccanico, ubicato nel Castel Nuovo (meglio noto come Maschio Angioino). Nel 1845 iniziò la costruzione di locomotive (all'inizio ne furono fabbricate sette utilizzando componenti inglesi del medesimo modello della locomotiva inglese acquistata nel 1843).[7] Venne avviata, nello stesso stabilimento, anche una scuola per macchinisti ferroviari e navali. Nonostante gli interessanti progetti in cantiere, alla data del 1860 la rete ferroviaria del Regno assommava a soli 128 km di ferrovie utilizzate. Negli ultimi anni di vita del Regno (dopo il 1855) vennero approvati dal governo borbonico vari progetti di ampliamento della rete ferroviaria: al momento dell'annessione ne erano state completate 60 miglia (circa 110 km) ma questi nuovi tratti non erano ancora utilizzati.[8]

Regno Lombardo-Veneto

I primi progetti ferroviari, nel Regno soggetto all'Impero Austriaco, si concretizzarono il 2 settembre 1835 quando la Camera di Commercio di Venezia prese in esame la proposta di Sebastiano Wagner, commerciante, e Francesco Varé, ingegnere, entrambi veneziani, di una linea ferroviaria che unisse le due capitali del Regno: Milano e Venezia. Considerata all’epoca un’impresa di dimensioni epiche per la sua lunghezza e per la necessità del ponte sulla laguna, la costruzione della Ferrovia Milano-Venezia iniziò il suo cammino, cosparso di insidie e complicazioni anche di carattere internazionale[9][10]. Fra feroci polemiche, atti giudiziari, interventi politici anche presso la corte di Vienna la realizzazione procedette faticosamente; nel 1842 venne inaugurato il tratto Padova-Mestre di 29 km, e nel 1846 i tratti Milano-Treviglio di 32 km, il tratto Padova-Vicenza di 30 km e il ponte sulla laguna per Venezia. Nel 1854 venne aperto il tratto tra Verona e Coccaglio, nell'ottica di collegare il Veneto con Milano passando per Bergamo[11].

Le ferrovie della penisola italiana alla proclamazione del Regno d'Italia (17 marzo 1861)

La vicenda della "Ferdinandea" (come venne chiamata in onore dell’imperatore austriaco che vide i suoi primi passi) arrivò a una conclusione solo nel 1878, ad annessione del Veneto già avvenuta, quando fu completato il collegamento diretto fra Treviglio e Coccaglio che eliminava la deviazione per Bergamo, peraltro non prevista nel progetto iniziale dell'opera, stilato dall’ing. Giovanni Milani nel 1838.

Sul numero di agosto del 1836 di Biblioteca Italiana, l'ingegner Giuseppe Bruschetti pubblicò il progetto della linea Milano-Como che aveva avuto come promotore iniziale Zanino Volta, ingegnere e figlio del molto più noto Alessandro. Il progetto generò un'accanita discussione fra il progettista stesso e Carlo Cattaneo, che ne rilevò decine di manchevolezze[12]. Ad ogni modo i tentativi di Volta non ebbero successo e il progetto, per certi versi, confluì in quello della ferrovia Milano-Monza.

Quest'ultima era stata inaugurata nel 1840 ed era lunga poco più di 12 km[13]; l'imperatore d'Austria ne aveva concesso il privilegio alla ditta Holzhammer di Bolzano, guidata dal finanziere Johann Putzer von Reibegg.[14]

Questi primi progetti e prime realizzazioni misero in moto altri progetti, come la Venezia–Trieste, prolungamento della linea proveniente da Vienna; il progetto per una Milano-Piacenza, che verrà conglobato nella concessione della Ferrovia dell’Italia Centrale; il previsto collegamento fra la "Ferdinandea" e Mantova portò all’idea della linea Mantova-Borgoforte anch’essa da prolungarsi fino a Reggio Emilia dove sarebbe confluita nella "Centrale". Si stesero binari anche verso il Ticino nella previsione di dover collegare Milano con Torino, capitale del Regno di Sardegna.

Nel 1859 fu inaugurato il tratto Verona–Bolzano della linea ferroviaria del Brennero; Bolzano fu poi collegata a Innsbruck nel 1867.

Regno di Sardegna

La prima richiesta di studio di un tracciato ferroviario nel Regno di Sardegna si ha nel 1826 quando alcuni affaristi genovesi, i signori Cavagnari, Pratolungo e Morro, avanzarono la proposta di unire Genova con il Po, senza aver alcun seguito.[15] Il Piemonte, dopo l'abortito progetto, non vide un grande fervore ferroviario. L'ingegnere lombardo Luigi Tatti, già nel 1837 aveva delineato le principali tratte ferroviarie necessarie in Italia in una corposa "nota 1" di "L'architetto delle strade ferrate"[16] dove Torino vi aveva la parte principale; e Carlo Ilarione Petitti di Roreto, nobile intellettuale sabaudo, aveva sottoposto ad attenta analisi l’intera questione ferroviaria italiana[17], eppure, come ci segnalano gli "Annali universali di statistica": Al principio del 1848 non eravi colà in esercizio un solo chilometro di strada.[18] Però non tutto era rimasto fermo e le cose, una volta iniziate, procedettero velocemente. Tanto è vero che gli stessi Annali ammettevano che,

«il paese in cui più fiorente è l'industria delle strade ferrate, e che si è lasciato indietro finora tutti gli altri Stati d'Italia, è il Piemonte.»

[19]

Il 18 luglio 1844, con le Regie Lettere Patenti n° 443 il re Carlo Alberto dispose la costruzione della ferrovia Torino-Genova via Alessandria, attraverso il crinale appenninico, che richiese la costruzione della galleria di valico dei Giovi, lunga 3265 metri, il cui scavo fu effettuato interamente a mano e che venne inaugurata il 18 dicembre 1853[20] e attivata il 16 febbraio 1854[21]; seguiva l'apertura di altri tronchi in Piemonte che, nel 1859, aveva così collegato tra loro le frontiere svizzere e francesi con quella austriaca del Lombardo-Veneto.

A differenza di altri Stati dove la progettazione era affidata all'impresa privata, a volte totalmente straniera (la Napoli–Portici era un progetto del francese Bayard e francesi erano anche i capitali[22]), nel Regno di Sardegna l’impulso lo aveva dato lo Stato.

«Nel 1848, a Torino, una Commissione incaricata di studiare le ferrovie dello Stato Sardo riferirà, con il relatore Protasi, indicando l'opportunità di costruire tre linee di cui […] La prima verso Milano, una seconda linea doveva attraversare lo Stato in verticale; e la terza doveva andare "Da Alessandria agli Stati Pontificii, passando per Tortona, Voghera, Piacenza, Parma, Reggio e Modena".»

[19]

Dietro impulso del conte di Cavour, allo scopo di liberarsi dal monopolio inglese nel settore, nel 1853 venne fondata a Sampierdarena l'Ansaldo, industria meccanica che dall'anno successivo avrebbe avviato anche la fabbricazione di locomotive e materiale ferroviario.

Stato Pontificio

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia delle ferrovie pontificie.
Ricostruzione del vagone cappella in servizio per il pontefice sulla linea della società Pia-Latina

Nello Stato Pontificio, fino alla morte di papa Gregorio XVI - che aveva definito "Satana su rotaie"[23] la prima ferrovia del Regno delle due Sicilie - nulla si era deciso. Si intravedevano, però, progetti scoordinati e tendenti a sopperire a carenze locali più che a realizzare una rete organica.

«Il 1º maggio 1842, l'Ing. Pietro Pancaldi, come usava allora, legge una "memoria" (oggi diremmo che tenne una conferenza) presso la Società Agraria della Provincia di Bologna. La memoria porta il titolo: "Idea di progetto di una supposta strada ferrata nella Provincia di Bologna".»

La memoria verrà pubblicata nel 1844.[24][25] Il 1º agosto dello stesso 1844 si formò un gruppo di dieci "caratanti"[26][27] che comprendeva fra gli altri lo stesso Pancaldi, due marchesi Pizzardi, un "certo" Gioachino Rossini, un capitano Ganzoni e un ingegnere Scarabelli, che risulteranno i promotori dell’iniziativa. Il 25 settembre successivo il gruppo presentò alla corte papale il progetto che una strada ferrata che doveva snodarsi "da Ancona al confine modenese". Il progetto non ebbe seguito.

L'elezione del nuovo papa, Pio IX, a metà del 1846, sbloccò la situazione; questi infatti nominò una Commissione per le Strade Ferrate dello Stato di Sua Santità e costituì una società nazionale per lo sviluppo e la costruzione delle ferrovie che diede inizio dopo qualche anno alla costruzione di alcune linee nel centro Italia, come la ferrovia Roma-Frascati in servizio dal 1856, la ferrovia Roma-Civitavecchia in servizio dal 1859 e, molto più tardi, la ferrovia Pio Centrale tra Roma ed Ancona, così chiamata in onore del papa, inaugurata il 29 aprile 1866. È necessario ricordare però che già dal 1851 era iniziata - con alterne vicende e per la tratta di competenza - la costruzione della Strada Ferrata dell'Italia Centrale[28][29] e il 21 luglio 1859 fu inaugurata la linea Piacenza-Bologna di cui 25 chilometri circa, dal confine con il Ducato di Modena nei pressi di Castelfranco Emilia a Bologna, erano in territorio papalino. Della stessa Strada Ferrata dell'Italia Centrale era inoltre in costruzione[30](e inaugurata da Vittorio Emanuele II nel 1864) la tratta della Porrettana che, da Bologna fino oltre Porretta Terme, correva anch'essa nel territorio dello Stato Pontificio. Infine, è necessario precisare che nel 1861 il neonato Regno d'Italia tenne a battesimo la linea Bologna-Ancona che naturalmente aveva visto i lavori iniziare quando ancora regnava il pontefice.

Granducato di Toscana

Nel 1838 anche il Granduca di Toscana aveva autorizzato un consorzio privato per la costruzione della linea Leopolda tra Livorno, Pisa e Firenze.

Lo stesso argomento in dettaglio: Ferrovie toscane.

Nella seconda metà del XIX secolo il Granducato di Toscana vantava una rete ferroviaria molto organica (la terza per estensione in Italia) ed estesa 225 km: la linea Leopolda Firenze-Pisa-Livorno; la linea Maria Antonia Firenze-Prato-Pistoia; la Pisa-Lucca e la Centrale Toscana fra Empoli-Siena. In tale periodo venne iniziata la costruzione della Pistoia-Lucca e lo studio dei collegamenti Firenze-Chiusi e Firenze-Bologna attraverso il valico dell'Appennino, per inserire Firenze nella direttrice ferroviaria nord-sud dell'Italia.

Ducato di Lucca

Carlo Ludovico di Borbone autorizzò la costruzione di tre linee ferroviarie verso Aulla, Pisa e Pistoia. Nel 1845 fu inaugurata la linea internazionale Lucca - Pisa. La Stazione di Lucca sorse fuori dalle mura del centro antico e fu progettata da Giuseppe Pardini ed Enrico Pohlmeyer. Il progetto della linea per Pistoia fu completato solo dopo l'annessione di Lucca alla Toscana (1847) integrandosi con la Ferrovia Maria Antonia che da Firenze portava a Lucca per Prato e Pistoia. Le vicende dinastiche, legate all’assorbimento del ducato nel granducato di Toscana, fecero ritardare la costruzione della linea per Aulla che sarà realizzata con la Ferrovia Pontremolese completata nel 1892.

Ducato di Modena

Stretto fra il Lombardo Veneto e lo Stato Pontificio il ducato poteva solo seguire le vicende politiche –e ferroviarie- straniere. Poiché lo Stato Pontificio, come si è visto, restò ferroviariamente immobile fino all’avvento di Pio IX il duca di Modena era interessato ad un collegamento attraverso l’Appennino che portasse la ferrovia da Modena a Lucca e da lì al Tirreno. Se il progetto poteva aiutare l’economia delle vallate montane interessate (come accadde a quelle poi attraversate dalla Porrettana), le condizioni economiche del piccolo Stato non permettevano la realizzazione di un tracciato tanto impegnativo. La svolta ferroviaria per il ducato avvenne nel 1851 con la Convenzione del 1º maggio la cui Concessione[31] diede vita alla Strada Ferrata dell'Italia Centrale. Il ducato era interessato per la tratta dal fiume Enza, confine con il Ducato di Parma e il confine con lo Stato Pontificio all'altezza di Castelfranco Emilia (che allora si chiamava Forte Umberto ed era compreso nelle terre del Papa).

Ducato di Parma

Analoga situazione si era a venuta a creare per questo ducato. Il fatto che i duchi fossero strettamente legati alla famiglia imperiale austriaca non facilitò lo sviluppo ferroviario del ducato, tutt'altro. Nondimeno

«Fino dal febbraio dell'anno 1842 alcuni ingegneri milanesi ottennero dal governo di Parma di poter fare in quel ducato gli occorrenti studi tecnici pella costruzione di una strada ferrata che dal regno Lombardo-Veneto per Piacenza, Parma conducesse al Modenese.»

[32]

«le richieste degli "ingegneri milanesi" arrivarono addirittura alla Corte Sabauda. Chiedevano al re di Sardegna di attivarsi per spingere i duchi di Parma a dare il via alla costruzione delle linee. Situazione piuttosto paradossale che dei sudditi austriaci si appoggiassero al "nemico" re di Sardegna per ottenere delle concessioni su un territorio ossequente gli Asburgo.»

Finalmente con il decreto del 10 gennaio 1848 che prolungava di sei mesi i termini di quello del 15 dicembre 1847 (N. 4554-4393), il nuovo duca di Parma concedeva

«agli ingegneri milanesi Deluigi Giuseppe, Lejnati Baldassarre, Caccianino Salvatore, Minuti-Cereda Carlo, e Pasetti Francesco la permissione di fare, uniformandosi alle leggi ed ai regolamenti relativi che vegliano nei nostri Stati, e sottoponendosi in valida forma a qualsiasi risarcimento a cui le loro operazioni dessero causa, gli studj localj necessari alla formazione del progetto tecnico pe' tratti della strada ferrata da Parma al confine Estense, e da Piacenza al confine Sardo, i quali tratti si congiungeranno colla strada ferrata già decretata, da Piacenza a Parma.»

Come si vede, solo "studj locali" e "progetto tecnico". Ma era già un inizio. I lavori cominceranno, come per il Ducato di Modena, con la citata convenzione dei "Cinque Eccelsi Governi" del 1º maggio 1851. Sempre a Parma, il "16 novembre il duca di Parma mosse e trasportò le prime zolle del tratto di ferrovia da Parma al Po per Colorno" (dove sorge la famosa reggia…).

La congiunzione del ducato con il Tirreno comportava, invece, due grosse difficoltà: l’essere troppo strategicamente vicina ai confini del Regno di Sardegna, storico avversario e nemico degli Asburgo, e il divieto assoluto del Duca di Modena –interessato a una ferrovia che utilizzasse solamente il suo territorio- ad attraversare i suoi domini attorno a Massa-Carrara. Con ciò, per il Ducato di Parma la strada per Pisa e Livorno era preclusa. Si aprì solamente, a riprova delle limitazioni poste dalla divisione politica della Penisola, con l’unificazione dell’Italia.

Riepilogo delle costruzioni del primo decennio

Quadro cronologico delle linee ferroviarie attivate nella penisola italiana tra 1839 e 1848 (La tabella è solo indicativa; riporta i dati desunti dal testo indicato)[33]
Data di apertura Tratta di linea Lunghezza km Km totali alla fine dell'anno giorno inaugurazione o apertura
1839 Napoli-Portici 8 8 3 ottobre
1840 Milano-Monza 13 21 18 agosto
1841 - - 21 - (nessuna nuova apertura)
1842 Testa Ponte Laguna-Padova 33 54 13 dicembre
1843 Napoli-Caserta (via Acerra) 33 87 20 dicembre
1844 Livorno-Pisa
Torre A.-Castellammare
Portici-Torre A.
Capua-Caserta
18
7
12
12
136 14 marzo
19 maggio
19 maggio
26 maggio
1845 Pisa-Pontedera 20 156 19 ottobre
1846 Venezia-Testa Ponte Laguna
Padova-Vicenza
Milano-Treviglio
Napoli-Nola
Lucca-San Giuliano
San Giuliano-Pisa
4
30
30
33
15
6
274 13 gennaio
13 gennaio
17 febbraio
3 giugno
29 settembre
15 novembre
1847 Pontedera-Empoli 26 300 21 giugno
1848 Firenze-Prato
Firenze-Empoli
Lucca-Altopascio
Altopascio-San Salvatore
Torino-Moncalieri
San Salvatore-Pescia
18
29
14
5
9
4
379 3 febbraio
10 giugno
11 giugno
16 luglio
24 settembre
26 dicembre

Alcune considerazioni

La difficile situazione geopolitica del territorio italiano, le difficoltà connesse alla provenienza dei finanziamenti (spesso frutto di accordi trasversali tra stati e banchieri esteri) facevano si che le previsioni non coincidessero con le realizzazioni; a volte si davano per complete tratte e linee ancora in nuce o parzialmente realizzate. Tali motivazioni (ed altre) sono alla base delle grandi discordanze esistenti sull'effettivo ammontare dei chilometri di linee realizzate nel periodo pre-unitario. Un indicazione di massima mostra che alla vigilia dell'unità d'Italia la rete piemontese (al di qua delle Alpi) assommava già a oltre 800 km[34](cui andrebbero aggiunti, secondo alcune fonti almeno 50 km in costruzione e detratti circa 30 km di tratte comuni)[35], quella del Lombardo-Veneto a oltre 500 km, quella Toscana a oltre 300 km[36][37][38], quella del Regno delle Due Sicilie a poco più di 120 km[8][39][40][41] mentre quella dello Stato Pontificio aveva 101 km in esercizio; si aggiungevano a queste le tratte ferroviarie ricadenti o realizzate negli altri stati più piccoli.

La Sicilia avrà la sua prima, brevissima, ferrovia solo nel 1863 con la Palermo-Bagheria.

Gli ostacoli che ritardarono in Italia il progresso del settore ferroviario sono quindi ascrivibili solo in parte alle condizioni orografiche ma anche a quelle politiche ed economiche; lo sviluppo delle linee ferroviarie nei singoli Stati fu diverso perché diverse erano motivazioni, esigenze e politiche economiche, ciascuno lo realizzò con sistemi e mezzi differenti. Le ferrovie, di cui alla fine fu compresa l'importanza sul piano militare, vennero poi utilizzate per questo scopo in maniera decisa e decisiva. Si rivelarono infatti determinanti nella sconfitta di Carlo Alberto a Peschiera del Garda perché proprio con la ferrovia affluirono ingenti truppe austriache e in breve tempo, e nella sconfitta austriaca di Palestro e Magenta perché le truppe francesi di rinforzo arrivarono rapidamente con la Torino-Milano e stabilirono un campo di scontro lungo la massicciata, usata come trincea.

Le ferrovie nell'Italia unificata

Alla sua costituzione, nel 1861, il Regno d'Italia si trovava in possesso di una rete ferroviaria dello sviluppo complessivo di km 2035 (2.189 secondo altri[42]); di questa soltanto il 18% era di proprietà dello Stato ed il 25% in sua gestione diretta[34] il restante 75% era ripartito in ben 22 società private[43] delle quali un buon numero a capitale prevalentemente straniero. L'insieme delle linee, per i motivi sopra esposti, non costituiva una rete organica e dal punto di vista della gestione versava in uno stato di reale confusione in quanto coesistevano ben 22 società private con regimi, regole e concessioni differenti; vi erano linee di proprietà statale, esercite dallo Stato stesso, linee di proprietà privata ed esercite da società a capitale privato e linee di proprietà privata ma con esercizio affidato allo Stato[44].

Il ponte sul Po inaugurato nel 1865

Nel suo breve periodo dittatoriale Giuseppe Garibaldi, a Napoli, aveva decretato anche la costruzione a spese dello Stato di linee ferroviarie per 987 km[34] complessivi. Per congiungere l'ex rete pontificia alle ferrovie del vecchio regno borbonico, sia sul versante tirrenico che adriatico[45] incaricò la "Società Adami e Lemmi", la cui concessione era stata poi ratificata dal Governo d'Italia[46]. Poco tempo dopo, il neocostituito governo italiano revocò la convenzione, trasferendo l'atto concessorio alla Società Vittorio Emanuele (a capitale prevalentemente francese) contemporaneamente al riscatto da parte dello Stato[47] della concessione della rete piemontese[34]. In questi frangenti il conte Pietro Bastogi, con l'appoggio della Cassa di Commercio e Industria di Torino e il concorso di altri banchieri raccolse un capitale di 100 milioni di lire e nel 1862 assunse la concessione[48] delle ferrovie meridionali preventivate con la legge del 21 agosto dello stesso anno[49]. La società si costituì a Torino il 18 settembre 1862 come Società italiana per le strade ferrate meridionali con presidente il Bastogi e vice presidenti il barone Bettino Ricasoli ed il conte Giovanni Baracco. La Società per le strade ferrate meridionali fu la prima grande azienda ferroviaria d'Italia con sede direzionale a Firenze. Il patrimonio sociale era stato formato da italiani e con capitali italiani; i suoi titoli azionari vennero anche quotati in Borsa. Nel giugno del 1862 era stata anche firmata la convenzione per la ferrovia Adriatica da Ancona ad Otranto. La società portò a termine la costruzione della grande Stazione Centrale di Napoli, i cui primi progetti risalgono al 1860, completata nel 1867 con la grande copertura in ferro e vetro dell'ingegnere napoletano Alfredo Cottrau[50].

Alla fine del 1864 la situazione era la seguente: vi erano 566 km di linee esercite direttamente dallo Stato, 502 km ripartite tra 14 piccole società dell'Alta Italia, 743 km della Società lombarda e dell'Italia centrale, 293 km della Società Livornese, 224 km della Maremmana, 171 km della Centrale Toscana, 383 km delle ferrovie Romane, 482 km delle Meridionali e appena 32 km della Vittorio Emanuele per un totale di 3396 km con progetti per ulteriori 3281 km da costruire dei quali ben 1.127 km erano di competenza della Società Vittorio Emanuele[51] che ne aveva la concessione per costruirli in Calabria e Sicilia.

Era necessario creare un sistema organico e razionale delle ferrovie anche perché per connettere le varie linee, costruite in gran parte con un'ottica localistica, era stato necessario impegnare ingenti risorse statali che nel decennio successivo all'unificazione avevano raggiunto i 451 milioni di lire del tempo a cui andavano aggiunti 127 milioni di interessi sui titoli garantiti delle società ferroviarie e 413 milioni di sussidi chilometri erogati[52]. Il 14 maggio 1865 venne emanata la legge n° 2279, detta la Legge dei grandi gruppi, voluta dall'allora ministro Stefano Jacini, dei Lavori Pubblici, e da Quintino Sella delle Finanze; con essa lo Stato si prononeva di porre ordine nel caotico sistema che fino ad allora aveva caratterizzato la costruzione e la gestione delle ferrovie: Veniva innanzitutto definita la distinzione netta tra ferrovie pubbliche e ferrovie private analizzandone l'uso e la destinazione. Venivano definite le norme per la costruzione e l'esercizio non prevedendo più sovvenzioni statali ma solo prestiti con interesse. Le concessioni dovevano essere rilasciate per legge stabilendo i rapporti in caso di riscatto anticipato o di termine della concessione e infine la partecipazione dello Stato agli utili oltre una certa soglia base[53]. Ciò per favorire lo sviluppo ferroviario e industriale e per accorpare le numerose ma piccole società ferroviarie, esistenti soprattutto al nord ove la rete era più estesa, affidando poi le linee principali a cinque società concessionarie:[54]

In seguito a ciò i lavori di allacciamento tra i tronchi esistenti e la costruzione di nuove linee iniziarono a creare una caratteristica di rete in un certo qual modo organica, anche se oltremodo tortuosa e spesso palesemente irrazionale.

La ferrovia del Moncenisio

Un esempio fu in Piemonte (1866) l'autorizzazione alla costruzione con capitali privati britannici della ferrovia del Moncenisio a sistema Fell con terza rotaia, in concorrenza con il costruendo Traforo del Frejus, scommettendo gli investitori su un prolungamento dei lavori. Si ottenne così con la Mont Cenis Railway Company un collegamento ferroviario in anticipo di alcuni anni sul tunnel del Frejus (dal 1868 al 1871), superando difficoltà tecniche non indifferenti per valicare a 2000 metri il Colle del Moncenisio, ma il bilancio dell'operazione, per quanto di tecnica ferroviaria suggestiva, fu negativo e la ferrovia "a cremagliera" fu immediatamente superata dai vantaggi della nuova linea Torino-Modane, con quota di valico a 1300 metri circa. Solo la SFAI aveva avute linee in gran parte già pronte e in grado di produrre utili e dal 1867 anche le ferrovie ex-austroungariche del Veneto acquisite in seguito alla terza guerra di indipendenza. Le altre società, le "Romane" e le "Meridionali" dovevano ancora costruirne quasi la metà mentre la "Vittorio Emanuele" e le ferrovie Sarde avevano quasi tutto da costruire. Il sistema entrò quasi subito in crisi[56] anche in seguito all'impegno economico sostenuto nella guerra del 1866; alla fine dell'anno erano in esercizio solo 5.258 km di linee con 79,2 milioni di lire di prodotto annuo lordo[57] data la grave crisi di tutta l'economia italiana. Le società, "Vittorio Emanuele" e "Strade Ferrate Romane" si ridussero in stato fallimentare rendendo necessario l'intervento dello Stato per proseguire i lavori e per rilevarne poi l'esercizio.[54] Solo le "Meridionali" avevano, alla fine del 1866, messo in esercizio l'Adriatica da Ancona a Brindisi realizzando il primo grande itinerario ferroviario nord-sud attraverso la penisola. Gli atti della prima legislatura del Regno d’Italia scrivevano: Fra non molto il porto di Brindisi, rinato a vita nuova, vedrà giungere nel suo seno la Valigia delle Indie, sicuro indizio che il commercio del mondo sarà tratto una seconda volta nei nostri mari. Or pochi giorni (24 maggio) mercé la grande operosità spiegata dalla Società delle Meridionali, malgrado gli ostacoli di ogni specie che ebbe a superare spingevasi la locomotiva fino al porto di Brindisi.[58]. Entro il 1866 era divenuto possibile attraversare tutta la penisola italiana da Torino a Lecce e andare da Milano Centrale a Roma via Perugia-Terni. In Sicilia si andò per ferrovia da Palermo a Trabia[59].

Dal 1870 alla statizzazione delle principali ferrovie italiane

Le ferrovie della penisola italiana nel 1870

Nel 1870 erano in funzione poco più di 6.000 km di linee ferrate e iniziava l'allacciamento con alcune delle reti estere; nel settembre del 1871 il traforo del Cenisio rendeva possibile l'instradamento sul territorio italiano della "Valigia delle Indie" sottraendola all'itinerario di Marsiglia[60] Nello Stato Pontificio Roma era collegata con Frascati, Civitavecchia, Terni e Cassino (via Velletri), e modeste stazioni facevano da capolinea di queste linee. Al 1872 esistevano, in Italia, poco meno di 7.000 km di linee ferroviarie complessivamente, il cui esercizio veniva assicurato da 4 Società principali per un complesso di 6.470 km:

Altre linee erano divise tra varie Società minori, linee secondarie nelle quali il fine sociale era nettamente prevalente rispetto a quello economico.

Con l'unificazione ricevettero impulso nuove costruzioni ferroviarie; l'attivazione del tratto di linea Orte-Orvieto (1875) completò la linea diretta tra Roma e Firenze, accorciando il più lungo percorso precedente, via Foligno-Terontola.

Nel 1875 il governo Minghetti-Spaventa fece un primo tentativo di riscatto delle linee concesse per riunirle in un solo organo di gestione, ma il Parlamento respinse la proposta e provocò la caduta del governo. Intanto venivano accumulate forti passività soprattutto da quelle linee secondarie che non avevano traffici consistenti di viaggiatori e di merci. Queste linee presto determinarono il fallimento del regime delle concessioni.

Nello stesso periodo nel resto d’Europa si affermava la tendenza ad affidare l'esercizio delle ferrovie alla gestione diretta dello Stato, dato il fatto che le società concessionarie, perseguendo fini esclusivamente economici, trascuravano quelli sociali lasciando così completamente sprovviste di comunicazioni le zone depresse.

L'intervento dello Stato italiano fu tuttavia caratterizzato da quella lentezza burocratica che ha sempre accompagnato la maggior parte degli interventi statali dal 1861 ad oggi. Solo con le leggi del 1878 e del 1880 si decise di assumere l'esercizio delle linee gestite dalla Società dell'Alta Italia e da quella delle Strade Ferrate romane, che presentavano un gravissimo deficit, pur costituendo la parte più importante dell'intera rete ferroviaria italiana.[64]

L'emanazione nel 1879 della Legge Baccarini, così chiamata dal suo promotore, Alfredo Baccarini, Ministro dei Lavori Pubblici del IV Governo Depretis pose le premesse per uno sviluppo più pianificato delle costruzioni ferroviarie stabilendone le priorità e i metodi di finanziamento[65]. In seguito ad essa prese impulso una serie di realizzazioni ferroviarie in tutte le parti del paese; venne avviata la costruzione di ferrovie dette "complementari" per circa 6.000 km di percorsi e ciò ebbe l'effetto di promuovere anche lo sviluppo delle costruzioni nazionali di locomotive e rotabili ferroviari. Nel 1885 la produzione nazionale di locomotive era in grado di soddisfare circa i 2/3 della domanda (mentre prima la maggior parte di esse proveniva dall'estero[66]).

Convenzioni del 1884: le ferrovie sotto il regime delle convenzioni

Neanche la legge del 1865, con tutte le sue buone intenzioni, aveva potuto far fronte alla carenza di capitali italiani, che aveva determinato il massiccio afflusso di capitali stranieri, inglesi, belgi in parte investimenti diretti di grandi banchieri, in parte frutto di collocamenti presso la Borsa parigina[67]; la Casa Rotschild di Parigi e di Vienna ebbe un ruolo significativo nella creazione e gestione di grandi società anonime i cui titoli azionari e obbligazionari erano quotati alla Borsa di Parigi. Questo gruppo intervenne anche in Italia, raccogliendo capitali anche sulla Borsa di Milano. La presenza di gruppi esteri suscitava il sospetto che agli investimenti ferroviari si unissero interessi industriali per la vendita di locomotive e altre attrezzature. Secondo alcuni critici poi vennero finanziate ferrovie in zone minerarie o commercialmente utili agli interessi stranieri più che a quelli nazionali.[68]. Permanendo le difficoltà gestionali di molte aziende ferroviarie fu approntata una Commissione parlamentare d'inchiesta; le proposte e le conclusioni di tale commissione, pur se poco coerenti, si pronunciarono a favore dell'esercizio privato e furono per la maggior parte accolte. Il 23 aprile 1884 pertanto furono stipulate, per la durata di 60 anni (suddivisi in tre periodi di 20 anni ciascuno) apposite Convenzioni tra lo Stato e tre Società private che furono approvate il 6 marzo 1885. In seguito all'emanazione della "legge sulle convenzioni" n.3.048 del 27 aprile del 1885 le linee venivano ripartite in senso longitudinale (rispetto al paese) e assegnavano alla Società Italiana per le strade ferrate meridionali l'esercizio della rete gravitante sull'Adriatico (Rete Adriatica) e alle Società per le Strade Ferrate del Mediterraneo e Società per le Strade Ferrate della Sicilia, rispettivamente, l'esercizio della rete gravitante sui mar Ligure, Ionio e Tirreno (Rete Mediterranea) e la rete siciliana (Rete Sicula)[69]. Rimanevano fuori dalle convenzioni le ferrovie sarde e alcune altre piccole reti private.

Le linee concesse alle tre grandi società, distinte in principali e secondarie, avevano uno sviluppo complessivo di km 8640 così ripartiti:

  • la "Rete Adriatica" comprendeva 4.379 km di ferrovie delle quali una parte erano proprietà delle stesse "Meridionali" in quanto da esse costruite in precedenza,
  • la "Rete Mediterranea" rilevava 4.171 km di ferrovie di varia provenienza e
  • la "Rete Sicula" avrebbe gestito 1.100 km di ferrovie isolane in parte ancora da costruire e il futuro Traghettamento nello Stretto di Messina[70].

Il nuovo ordinamento prevedeva che la vigilanza sulle costruzioni e sull'esercizio, venisse assunta dal Ministero dei lavori pubblici, a mezzo di un Ispettorato Generale delle Ferrovie. Precedentemente questa era esercitata da un Regio Commissariato Generale.

Lo Stato però non riuscì a risanare la difficile situazione economica della rete; ciò paralizzava lo sviluppo riflettendo i propri effetti negativi anche sul turismo. Il regime delle convenzioni, presentato nel 1885 come rimedio ai mali delle ferrovie, contribuì invece ad aggravarli lasciando allo Stato una pesante eredità.

Le Società furono costrette a mantenere in vita linee la cui passività superava i proventi forniti dalle linee a maggior traffico e assorbiva quasi per intero i contributi dello Stato. I proventi che le Società potevano assicurare allo Stato, attivi per le reti principali e passivi per quelle secondarie, erano nettamente inferiori all'onere sostenuto dallo Stato per la costruzione e l'esercizio delle ferrovie che superava i trecento milioni di lire all'anno. Le strade ferrate, intanto, non cessavano di svilupparsi e avevano raggiunto i 10.524 km[71]. Gli ultimi anni del XIX secolo e i primi del successivo videro i primi esperimenti di trazione elettrica in Italia volti soprattutto a ridurre le spese di esercizio delle società ferroviarie. Nel 1898 il ministro dei Lavori Pubblici, ingegner Giulio Prinetti, istituì una commissione tecnica (denominata Commissione Nicoli-Grismayer) che, studiato il problema, incaricò le due maggiori compagnie ferroviarie dell'epoca, la Mediterranea e l'Adriatica, di eseguire studi ed esperimenti per la scelta del sistema più adatto di trazione elettrica. I primi esperimenti furono quelli con automotrici ad accumulatori (1899) sulla Milano-Monza[72] e sulla Bologna-San Felice, e quelli a corrente continua a 650 volt a terza rotaia sulle linee varesine, della Rete Mediterranea[73]. Sulle linee della Valtellina ebbe luogo un esperimento destinato ad avere risonanza mondiale; furono le prime in Italia e nel mondo ad impiegare la corrente alternata trifase ad alta tensione per la trazione dei treni[74]. Il 15 ottobre 1902 infatti ebbe inizio l’esercizio sulla Lecco-Colico-Chiavenna e sulla Colico-Sondrio con linee elettriche aeree a 3.600 volt, 15  Hz.[75]

La nascita delle Ferrovie dello Stato

Lo stesso argomento in dettaglio: Statalizzazione delle ferrovie.

Il XX secolo iniziava con una situazione precaria del sistema "privatistico" delle ferrovie italiane; la carenza di investimenti da un lato e la scarsa remuneratività di molti settori dell'esercizio dall'altro aveva spinto le società ad un sempre maggiore sfruttamento dei lavoratori il cui impegno travalicava spesso ogni ragionevole limite. Sempre più accese manifestazioni sindacali spinsero molti settori dell'opinione pubblica e della politica a chiedere la rescissione delle "Convenzioni". Alla fine del 1898 era stata istituita una "Commissione parlamentare di studio per il riordino delle strade ferrate" le cui conclusioni concordavano sull'ovvia constatazione che per il loro valore strategico le ferrovie non potevano ulteriormente essere lasciate in mano a gruppi finanziari privati. Il Regio decreto n.250 del 15 giugno 1905 istituiva l'"Amministrazione autonoma delle Ferrovie dello Stato" allo scopo di affidarle la gestione della rete fino ad allora gestita dalle precedenti compagnie[76]. Il riscatto delle reti delle predette società avvenne il 1º luglio del 1905, con l'entrata in vigore della legge 137 del 22 aprile 1905 sul riordino delle ferrovie detta anche "legge Fortis". Lo Stato assunse quindi la gestione diretta di 10.557 km di linee (di cui 9.868 già di sua proprietà), denominandola rete delle "Ferrovie dello Stato". L'anno dopo, con la confluenza della rete SFM rimasta, l'estensione della Rete di Stato raggiunse i 13.075 km, di cui 1.917 a doppio binario[77]. La struttura dell'amministrazione ferroviaria statale venne definita nel luglio del 1907 per mezzo di apposita legge per l'esercizio da parte dello Stato delle ferrovie non concesse all'industria privata[78]).[79]

Le Ferrovie si organizzano sotto la direzione di Riccardo Bianchi

Una locomotiva a vapore del gruppo FS 640

Direttore Generale dell'Azienda F.S. venne designato l'ingegnere piemontese Riccardo Bianchi, che era stato già Direttore generale della Rete Sicula. Questi univa alle qualità di tecnico di grande valore anche grande capacità amministrativa.[80] Bianchi fu coadiuvato, fino al 1907, da un Comitato di amministrazione e poi da un Consiglio di amministrazione, sotto la presidenza del Ministro dei Lavori Pubblici.

L'organizzazione della nuova rete si presentò molto gravosa. Le condizioni degli impianti fissi e del materiale rotabile ereditati dalle cessate società erano pessime; si rendeva necessario coordinare i regolamenti di esercizio ed unificarli, elaborare il nuovo inquadramento funzionale e disciplinare per il personale che proveniva da Società differenti e con differenti regolamenti. Fu creata una Direzione Generale, con 13 Servizi Centrali e 2 Ispettorati Generali, con Sede in Roma; alla periferia vennero istituite 8 Direzioni Compartimentali[81].

Il problema più urgente era quello del materiale di trazione e rimorchiato. All'atto della creazione delle F.S., il parco locomotive a vapore era costituito di 2.664 unità, 738 delle quali con più di 30 anni di vita; le carrozze — a 2 o 3 assi — erano 6.985, anch'esse vecchie di più di 30 anni; i carri merci ammontavano a 52.778, un quinto dei quali con 40 o più anni di vita. Il primo provvedimento preso per fronteggiare la situazione fu, fra il 1905 ed il 1906, l'ordinativo per la costruzione di 567 locomotive, di 1.244 carrozze e 20.623 carri[76]. Per tamponare l'emergenza vennero acquisite 50 locomotive a vapore inglesi usate di concezione antiquata ma robuste ed affidabili che costituirono poi il gruppo 380 FS. Nel 1906 veniva aperto al traffico il tunnel del Sempione (e con esso l'importantissima direttrice di traffico verso la Svizzera e il centro Europa) che si avvaleva, per l'esercizio nella lunghissima galleria, dei risultati più che soddisfacenti della trazione trifase sulle linee Valtellinesi i quali diedero inoltre luogo a tutta una serie di progetti di locomotive a corrente alternata trifase e alla progressiva elettrificazione di buona parte delle linee del Piemonte e della Liguria e di alcune importanti direttrici come la Porrettana e la linea del Brennero.

Sotto la guida dell'ing. Bianchi le F.S. si misero rapidamente in grado di rispondere alle maggiori esigenze pubbliche. Fra le altre iniziative prese, l'attivazione sulle principali linee del segnalamento semaforico (e graduale soppressione dei « dischi girevoli »), l'impianto delle prime cabine di Apparati Centrali Idrodinamici di manovra degli scambi e dei segnali (in sostituzione dei più antichi apparati centrali Saxby ), dovuti all'ing. Bianchi, la creazione o l'ammodernamento di grandi stazioni per viaggiatori e per merci, costruzione di nuovo e più moderno materiale rotabile (fra cui le prime carrozze a carrelli).

La direzione Bianchi durò 10 anni, ma poco dopo la sostituzione con l'ing. De Cornè, le F.S. furono coinvolte nella prima guerra mondiale (24 maggio 1915 - 4 novembre 1918) che richiese un gravoso impegno organizzativo e successivamente di ricostruzione delle infrastrutture danneggiate dalle azioni belliche; le Ferrovie dovettero riorganizzarsi per far fronte ai nuovi compiti, aumentati nelle dimensioni tecniche e commerciali,[82] anche per effetto dell'acquisizione di nuove linee (ex-austriache), diversamente attrezzate, e di personale con differenti regolamentazioni.
L'avvento del fascismo produsse importanti cambiamenti.

Le Ferrovie dello Stato nel periodo fascista

Automotrice Fiat ALn 56 a "completa aderenza" in arrivo nella stazione di Paola

Nel 1922 venne sciolto il Consiglio di Amministrazione e imposto un Commissario Governativo; nel 1924 venne costituito il Ministero delle Comunicazioni, il Ministro divenne il capo delle FS e il consiglio di amministrazione solo un organo consultivo. Le nuove costruzioni passarono invece al Ministero dei Lavori Pubblici a cui sono rimaste fino a tempi recenti[83].

Il periodo dal 1920 al 1939 fu uno dei più importanti e densi di grandi lavori e perfezionamenti agli impianti fissi di linee e stazioni, nuove applicazioni tecniche, di mezzi di trazione più potenti e veloci, di materiale trainato più moderno e confortevole, di nuovi sistemi di esercizio (Dirigenza Centrale e Dirigenza Unica)[84].

Fra le maggiori realizzazioni compiute, dopo l'assetto generale della Rete (arricchita di altri 400 km di linee, col riscatto delle Ferrovie Reali Sarde) conseguito ai primi anni del dopoguerra, vi fu l'attivazione delle importanti direttissime Roma-Napoli e Firenze-Bologna. La nuova ferrovia, che dalla capitale conduceva verso il Meridione, ridusse di un'ora e mezzo i tempi di percorrenza sul vecchio tratto via Cassino. Ma in particolar modo la seconda costituì un motivo di vanto per il "fascismo costruttore"; la difficile linea, fra le due città dell'Italia Centrale attraversando gli Appennini con una galleria che al tempo era la seconda più lunga del mondo dopo il Traforo del Sempione, testimoniava l'impegno del regime in uno sforzo straordinario nel campo delle opere pubbliche.[85]

Venne inoltre dato l'avvio all'elettrificazione a corrente continua a 3000 V, che poi soppianterà il sistema a corrente trifase, adottato specialmente sulle linee liguri-piemontesi, alla estensione del blocco elettrico manuale ed alle prime applicazioni di quello automatico, alla introduzione dei segnali luminosi e dei primi apparati centrali elettrici a leve singole, alla nuova costruzione o all'ammodernamento di numerose stazioni (Milano Centrale, Milano Smistamento, Roma Ostiense, Napoli Mergellina, Roma Termini ecc.)[86].

Progressi venivano fatti tanto nel settore delle locomotive a vapore, gradualmente destinato a cedere il posto alla trazione elettrica, che del materiale rimorchiato; in particolare, la comparsa dei mezzi leggeriautomotrici termiche ed elettriche (1933) che dava un nuovo apporto all'ammodernamento dei mezzi di trazione, e quello del materiale viaggiatori, con l'adozione delle carrozze a cassa metallica e l'estensione dei carrelli[87].

Sotto la guida tecnica dell'ingegner Giuseppe Bianchi e la direzione gestionale del Commissario Straordinario Edoardo Torre, nominato nel 1923 per l'esercizio provvisorio, dopo lo scioglimento del Consiglio di Amministrazione alla fine del 1922, venne sviluppata la prima generazione di locomotive elettriche, subito seguita dalle prime automotrici termiche e dalle elettromotrici rapide che ebbero grande successo e contribuirono a posizionare lo Stato fascista tra le potenze economiche ed industriali dell'epoca.
Il parco dei carri merci subiva importanti trasformazioni, con lo sviluppo di traffici interni ed internazionali, e l'impiego di materiale refrigerante per l'esportazione dei prodotti ortofrutticoli.

Il periodo d'oro delle Ferrovie

Una locomotiva tipo 981, del 1922, per ferrovie a cremagliera

Le velocità assolute e quelle commerciali dei treni venivano sensibilmente aumentate, con lo sviluppo del materiale leggero (gli elettrotreni tra Roma e Milano impiegavano 5 ore e 38' a coprire i 629 km del percorso), gli orari si perfezionavano con l'introduzione dei primi treni colleganti, senza trasbordo, importanti centri del Nord con altri del Sud d'Italia (nel 1928 vennero istituite le prime comunicazioni dirette tra Napoli-Roma-Torino e Milano e viceversa). Il 6 dicembre 1937 un elettrotreno ETR 200 (con a bordo dei tecnici francesi invitati), viaggiò sulla Roma-Napoli alla velocità di 201 km/h nel tratto fra Campoleone e Cisterna (leggenda vuole che alla guida vi fosse Benito Mussolini, ma è, per l'appunto, una leggenda: il treno era condotto dal macchinista Cervellati[88]).

Il 20 luglio 1939, sul percorso Firenze-Milano, nel tratto fra Pontenure e Piacenza l'ETR 212, condotto dal macchinista Cervellati toccò i 203 km/h, stabilendo il primato mondiale per la categoria e dando inizio vero e proprio e con trent'anni di anticipo all'alta velocità ferroviaria.[89]

Il decennio a cavallo degli anni venti e trenta vide in opera un grande impegno del regime fascista nello sviluppo dei trasporti ferroviari ma riportò indietro le condizioni di lavoro del personale aumentando le ore di lavoro e diminuendo i salari.[90]. Una quasi maniacale ricerca della puntualità fece nascere il detto che durante il fascismo i treni arrivavano in orario[91][92]. Ma è vero che ai mezzi moderni e alle linee ancora poco affollate era unita una disciplina durissima per i macchinisti che operavano in condizioni di lavoro molto pesanti, con orari prolungati e rispondevano economicamente, tramite multe e sanzioni, dei ritardi dei treni anche se a volte non dipendenti da loro.

Nel settore organizzativo venivano introdotte variazioni e modifiche: l'Azienda ferroviaria passava dalla giurisdizione del Ministero dei Lavori Pubblici (al quale rimase una Direzione Generale delle Nuove costruzioni ferroviarie) a quella del nuovo Ministero dei Trasporti marittimi e ferroviari.

Nel 1938 la Direzione Generale risultava articolata su 7 Servizi Centrali (6 con sede a Roma, e quello del Materiale e Trazione, con sede a Firenze) e vari Uffici centrali, il Controllo viaggiatori e bagagli, a Firenze, ed il Controllo merci a Torino); alla periferia 14 tra Compartimenti e Delegazioni.

I Direttore Generali che seguirono all'ingegner De Cornè dal febbraio 1920 al 1939-1940 furono gli ingegneri Crova, Alzona (per poco più di 1 anno), Oddone e Velani. A questo punto però scoppiò la guerra che costituì il periodo più triste per le Ferrovie Italiane, e per tutto il Paese, col suo orrore e le sue devastazioni.

Dal secondo dopoguerra agli anni settanta

Automotrice Breda ALn 556 in servizio presso L'Aquila

L’immediato dopoguerra trovava la Rete distrutta al 60% dagli eventi bellici e intere linee risultavano inagibili; il parco rotabili sconvolto e distrutto per oltre il 70%[93]. Molte delle nuove locomotive elettriche erano state danneggiate e andavano sostituite o riparate in maniera radicale. Grazie anche all'aiuto del Piano Marshall si riuscì — con pochi mezzi finanziari (e scarsa fiducia di governi e di opinione) a superare lentamente la situazione. Ricostruita gran parte della Rete — sia pure imperfettamente — giorno per giorno ripresero a circolarvi i treni carichi di uomini e cose. La scarsa attenzione al problema della ricostruzione e la miopia dei politici non permisero tuttavia, ora che si sarebbe potuto, di rimediare alle incongruenze della conformazione della rete che erano retaggio del passato, correggendo tracciati non più funzionali, costruendone di interamente nuovi: si preferì far presto e riattivare tutto il possibile[87].

La ricostruzione

Rappresentante delle Ferrovie dello Stato (che avevano intanto assunto la denominazione di Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato[94]) in questa fase della ricostruzione fu il Direttore Generale ingegnere Giovanni Di Raimondo. Dall'esercizio 1957-58 in poi la dirigenza dell'amministrazione fu tenuta dai Direttori Generali Rissone, Renzetti e Fienga. Cominciava intanto un nuovo ciclo di intensa attività ferroviaria, con lo scopo di liberare la rete dalle ultime conseguenze della guerra e avviarla a rapida rinascita. Nella struttura organizzativa vennero creati due nuovi Servizi (Sanitario e Affari Generali), e nel 1963 la giurisdizione del Ministero dei Trasporti venne estesa all'Aviazione Civile.

Nel campo tecnico le F.S., proseguivano nelle opere di ripristino, e alla costruzione di nuovi impianti nelle linee, raddoppio della fondamentale Battipaglia-Reggio Calabria, quadruplicamenti, infrastrutture, stazioni e depositi, rafforzamento dell'armamento, estensione del segnalamento luminoso e del blocco, introduzione degli Apparati Centrali a itinerari, ampliamento dell'elettrificazione delle linee a corrente continua a 3.000 Volt e inizio della trasformazione di quelle a corrente trifase.

Ammodernamenti e nuove costruzioni vennero realizzati anche nel campo dei mezzi di trazione: si assistette ad una progressiva diminuzione delle locomotive a vapore e alla crescita del numero di quelle elettriche e Diesel, alla costruzione di carrozze, materiale automotore e dei carri.

Con gli anni Cinquanta cominciò la costruzione di carrozze unificate europee e nacquero i primi esperimenti di interoperabilità tra le diverse linee ferroviarie nazionali, che culminarono nella creazione dei cosiddetti treni TEE (Trans Europ Express).

Una locomotiva circola su un percorso di attraversamento stradale urbano nei primi anni '60.

Si crearono più moderne navi traghetto per l'attraversamento dello Stretto di Messina e, nel 1961, iniziava analogo servizio tra il continente e la Sardegna, aggiungendo ai traffici tradizionali di viaggiatori e di merci quello delle automobili a seguito del viaggiatore. Il trasporto merci tramite cabotaggio (trascurando il trasporto fluviale, in quanto poco rilevante), misurato sulla base di una percorrenza media stimata di 500 km, supera i trasporti su ferrovia[95].

In tale periodo, tuttavia, l'estensione complessiva della rete ferroviaria cominciò una progressiva diminuzione della sua estensione complessiva (a differenza di quanto avvenne con la rete stradale). Osserva infatti il professor Vincenzo Leuzzi, direttore dell'Istituto dei Trasporti della Sapienza di Roma:

«Se lo sviluppo della rete stradale è stato intenso, quello della rete ferroviaria è stato addirittura negativo, per la chiusura dell'esercizio di tronchi secondari gestiti da aziende private in concessione. Dal 1955 al 1972 la rete F.S. è passata, infatti da una estensione di 16.717 Km di linee a 16.084 Km mentre la rete in concessione è passata da 5.323 Km a 3.937. La densità al 1972 si è ridotta complessivamente a Km 0,067 per Km². Anche all'estero si sono verificate nello stesso intervallo di tempo, delle riduzioni fra le quali notevoli quelle di oltre 10.000 Km effettuate nel Regno Unito in Francia e nella Repubblica Federale Tedesca. Confrontando la densità della rete ferroviaria italiana con quella di altre reti si nota che essa è praticamente uguale a quella della rete francese, alquanto inferiore a quella inglese (0,087 Km/Km²) e molto inferiore a quella della rete della R.F.T. (1,2 Km/Km²).»

Un primo piano quinquennale, studiato ed attuato dall'Azienda tra il 1957 ed il 1962, pianificava i pochi mezzi finanziari erogati. Nel 1961, con la programmazione del Piano decennale di riclassamento, adeguamento e potenziamento della Rete F.S. veniva decisamente affrontata sotto tutti i suoi aspetti l'ulteriore sistemazione della rete; poté essere finanziato per 1500 miliardi di Lire e realizzato tra il 1962 ed il 1972; nel periodo iniziava la costruzione della nuova linea Direttissima Firenze-Roma, con ulteriore finanziamento di 220 miliardi di lire.

Il fervore del rammodernamento, progetti di alta velocità

Unità di estremità ETR 252 Arlecchino a Santhià.

A quel tempo con i mezzi di trazione e il materiale rimorchiato disponibile le velocità massime dei treni in circolazione sulle linee principali non superavano i 160 km/h, (sia per l'inadeguatezza dell'armamento che per i mezzi frenanti esistenti).

Le Ferrovie dello Stato elaborarono un programma che prevedeva la costruzione di materiale ad alta velocità: vennero costruite 4 locomotive E.444 prototipo con velocità massima di 180 km/h; una di queste in una corsa a scopo sperimentale lungo la Roma-Napoli, con 6 veicoli rimorchiati, l'8 novembre 1967 raggiunse i 207 km/h. Intanto un treno di elettromotrici ALe 601 in un esperimento dell’ottobre 1968 raggiunse i 240 km/h[96]. Alla stessa epoca venne potenziato il parco dei mezzi leggeri esistenti, 6 elettrotreni ETR 220, 4 ETR 250 Arlecchino, 3 ETR 300 Settebello vennero trasformati e messi in grado di viaggiare a 200 km/h[97], mentre 39 elettromotrici Ale 601, con rimorchi, vennero autorizzate a velocità massima di 180 km/h e 26 potenziate e trasformate per i 200 km/h.

Alla fine del 1970, le FS prevedevano di disporre di un parco di 53 locomotive E.444 atte alla velocità massima di 200 km/h per poter effettuare treni di carrozze su linee con blocco automatico a correnti codificate, impostati in orario a 160 km/h e con velocità massima di 200 km/h.

Per garantire l'arresto dei convogli nello spazio di frenatura previsto di 2.700 m venne implementato l'uso della frenatura elettrica reostatica del mezzo di trazione al di sopra dei 160 km/h e con la frenatura meccanica, sussidiata da quella elettrica, dai 160 km/h all'arresto.

Oltre a ciò, vennero condotti perfezionamenti al freno convenzionale esistente e al sistema di freno a dischi per il materiale rimorchiato.

Il Servizio Trazione delle FS mise allo studio nuovi tipi di locomotive, elettromotrici e materiale rimorchiato, destinati a consentire la effettuazione di convogli velocissimi. Si mise in cantiere il progetto di una locomotiva E.666 (primo esempio di locomotore con rodiggio Co-Co e 6000 kW) per trainare, a 200 km/h, convogli di elevata composizione e con frenatura elettrica reostatica da 200 a 30 km/h.

Intanto, avvenivano importanti progressi, nella sistemazione delle linee, come l'installazione di dispositivi per la ripetizione in macchina dei segnali, l’adozione di nuove tecniche di esercizio e nello studio di moderni treni con gli esperimenti di rotabili a pendolamento attivo il cui prologo fu, nel 1967, una relazione dell'ingegner Camposano, vicedirettore del Servizio Materiale e Trazione delle Ferrovie dello Stato, presentata a Genova a un convegno internazionale di tecnici dei trasporti, in cui proponeva la realizzazione di un treno ad assetto variabile. A seguito di vari contatti con il professor Franco Di Majo della FIAT Divisione Materiale Ferroviario, alla fine dello stesso anno era pronto un progetto di massima[98].

Nel maggio del 1970 le FS stanziarono i fondi per lo sviluppo e la costruzione dell'ETR.401, un prototipo che sarebbe dovuto diventare il capostipite di un nuovo gruppo di elettrotreni ad assetto variabile[98] ma la crisi economica dei primi anni settanta e le incertezze politiche portarono al ridimensionamento del programma. L'ETR.401, primo treno rapido al mondo ad a pendolamento attivo ad entrare in servizio commerciale nel 1976, rimase un esemplare unico[99]; già all'inizio del 1976, si erano diffuse voci di un ridimensionamento del progetto a non più di due o tre elettrotreni[100].

Le Ferrovie dello Stato rinunciarono agli ordinativi per la costruzione di ulteriori unità in seguito al mutato orientamento della politica dei trasporti in Italia che, contraria a progetti per l'alta velocità, preferì destinare gli investimenti occorrenti ad altri settori. Con una certa miopia non venne intravista la grande potenzialità di sviluppo offerta dal convoglio, nato non tanto per essere veloce quanto come rotabile capace di innalzare la velocità media su linee tortuose ma commercialmente interessanti per ammodernare le quali, altrimenti, sarebbero stati necessari onerosi investimenti per rettifiche ed aggiornamenti tecnologici. Rimasto esemplare unico venne sottoutilizzato e fatto circolare su linee secondarie.

Il 25 giugno 1970, intanto, si apriva la storia della Direttissima Firenze-Roma, la prima vera linea ad alta velocità della rete italiana e la prima del genere in Europa. Si dava il via ai lavori della nuova linea partendo dall'opera di maggiore spicco: il viadotto sul Paglia, di 5.375 metri di lunghezza, il più lungo viadotto ferroviario d'Europa. Il 24 febbraio 1977 fu una data storica: venne inaugurato ufficialmente il primo tratto di 138 km da Roma Termini a Città della Pieve. Era una tappa fondamentale della storia delle Ferrovie italiane, prime in Europa ad avere una linea ad alta velocità,[101]ma sarebbe stato presto dimenticata a causa dei successivi rallentamenti dei lavori imposti da mille ostacoli soprattutto di natura politica e la linea completa verrà attivata solo nel 1992. L'ammodernamento delle linee esistenti negli anni Settanta non aveva però la sola velocità come priorità, ma anche l'esigenza di una maggiore capacità, dal momento che le linee attuali erano giunte a saturazione (ad esempio, nel caso della Roma-Cassino-Caserta)[95].

La "pendolarizzazione" delle ferrovie

Una ALn 668 serie 1000 a Santhià

Uno dei problemi più urgenti era rappresentato dall'obsolescenza generale del materiale rotabile ormai inadeguato allo standard qualitativo richiesto.

Il Piano interventi straordinari del 1975 lo affrontò mediante un massiccio ordinativo all'industria ferroviaria[102]. Tuttavia, i mutati orientamenti politici e di pianificazione dei governi di allora, dirottarono gli interventi verso il settore del trasporto pendolare, costringendo al rallentamento i programmi di velocizzazione della rete; così al posto di mezzi di trazione e di materiale rimorchiato veloci, vennero ordinate ulteriori 160 locomotive del tipo E.656, 80 complessi di elettromotrici dei tipi Ale 801 e Ale 940, 120 Automotrici del gruppo 668-1000, 35 locomotive diesel del gruppo D.345 e 215 da manovra dei gruppi 214, 225 e 245.

Per quanto riguarda il materiale per viaggiatori vennero commissionate 530 carrozze del tipo X e 100 del tipo Z, oltre a 300 unità del tipo a piano ribassato e pilota nBz e npBDz e 100 tra bagagliai (Dz) e postali (UMIz). Completava il piano l'ordinazione di 7000 carri merce dei vari tipi. Erano anche questi interventi utili ma si esagerò con il materiale per pendolari producendone un inutile esubero.

Gli anni della trasformazione

Locomotiva FS E.656

Il periodo a cavallo tra anni settanta e ottanta fu per le ferrovie uno dei più controversi e difficili. Nonostante fossero stati fatti degli investimenti notevoli questi vennero dispersi a pioggia in una miriade di lavori interminabili e spesso inutili (un esempio eclatante fu il lunghissimo viadotto di Castagnole delle Lanze per rettificare il tracciato di una linea a scarso traffico che di lì a qualche tempo sarà inclusa tra i rami secchi). E non solo. Tale indirizzo, di natura essenzialmente politica ma senza un'ottica di programmazione razionale, finì col mortificare soprattutto i principali programmi di sviluppo e ammodernamento della rete fondamentale. E vennero congelati anche i programmi di costruzione delle linee nuove, che se fatte allora, avrebbero alleggerito proprio quelle tradizionali favorendo automaticamente la circolazione dei treni pendolari e locali nel resto della rete. Un esempio la linea a monte del Vesuvio che, progettata all'inizio degli anni ottanta con lo scopo di alleggerire il traffico nell'intasatissimo nodo di Napoli ha visto la luce solo qualche anno fa. Si teorizzava che le ferrovie dovessero essere, fondamentalmente, dei mezzi di trasporto di massa a carattere pendolare e suburbano ma la dispersività degli interventi e l'irrazionale programma di costruzione di nuovi rotabili portò a fenomeni di esubero in certi settori e di carenza in altri facendo perdere l'occasione propizia alle industrie italiane di punta del settore, dato che il loro maggior committente erano proprio le F.S., preparandone la definitiva uscita di scena nei successivi anni Novanta[103].

Le tecnologie sviluppate nei mezzi di trazione e le avveniristiche tecniche di pendolamento attivo non trovarono più spazio nelle commesse determinando presto l'uscita dal mercato di molte di esse per perdita di competitività. I preziosi brevetti dei carrelli pendolanti, sviluppati da Fiat Ferroviaria, finirono acquisiti dai francesi di Alstom, e molti storici costruttori italiani ridussero le proprie attività o scomparvero dal mercato. Ciò, in seguito, sarebbe stato pagato duramente dall'industria ferroviaria nazionale con l'unificazione dei mercati europei.

Il 1985 è l'anno in cui cessa definitivamente l'amministrazione autonoma FS che, con la legge 210[104] del 17 maggio viene trasformata in "Ente Ferrovie dello Stato" sotto la vigilanza del Ministero dei Trasporti[83].

Nel 1992 l'"Ente ferrovie" viene trasformato in una Società per Azioni con unico azionista (al 100%) lo Stato, attraverso il Ministero del Tesoro, che tuttavia dovrà trasferirle, questa volta in concessione, le attività già svolte. Il periodo successivo vedrà costituirsi, sulle ceneri della vecchia Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, una miriade di società con finalità ed intenti perfino estranei all'attività ferroviaria vera e propria[105].

La nuova fase organizzativa dovette misurarsi con la Direttiva 440/91/CEE, che stabiliva la separazione amministrativa tra il gestore della rete e il gestore del servizio. Venne scorporata quindi l'infrastruttura ferroviaria, cioè il complesso degli impianti e delle linee ferroviarie, dalla gestione dei servizi, in ossequio al principio della liberalizzazione del mercato, in analogia a quanto avviene nel trasporto su strada, nel quale l'infrastruttura viaria permette la circolazione di vettori diversi. Con un certo ritardo, rispetto alla Direttiva venne emanato, nel 1998, il DPR 277 in seguito al quale nacque la Divisione Infrastruttura e, l'anno successivo, le tre "Divisioni", Divisione Passeggeri, DTR e Cargo, trasformando nel contempo il vecchio "Servizio Materiale e Trazione" (con sede a Firenze) in Unità Tecnologie Materiale Rotabile (UTMR)[105].

Per quanto riguarda il trasporto locale, assegnato alle regioni dalla legge n°59 del 1997, apposite società regionali, provinciali o consortili si iniziarono a costituire a macchia di leopardo, determinando in alcuni casi situazioni di rapido sviluppo e in altri situazioni di inaccettabile ritardo con conseguenze non facilmente quantificabili nel tempo[106].

In attuazione del processo di trasformazione il 1º giugno 2000 avvenne la nascita di Trenitalia, società a cui venne attribuita l'attività di trasporto ferroviario di persone e di merci assieme alla dotazione di rotabili e di personale di condotta e di scorta dei treni; all'interno di questa fu mantenuta la ripartizione delle "Divisioni", passeggeri, cargo e trasporto regionale. L'anno successivo, il 2001, divenne operativa RFI, la società proprietaria delle infrastrutture[107]. Nello stesso anno divenne operativo il "CESIFER"[108] di RFI, un ufficio apposito per il rilascio della certicazione di sicurezza ferroviaria, indispensabile per la circolazione di rotabili e personale sulla rete ferroviaria e iniziò a concretizzarsi la possibilità di usufruire delle infrastrutture nazionali previa certificazione pagamento di un canone e assegnazione di tracce orario, da parte di soggetti diversi da quelli tradizionali.[109]

Locomotiva elettrica EU43 di Rail Traction Company

Con il decreto legislativo n. 162 del 10 agosto 2007 (che recepiva le raccomandazioni contenute nella direttiva europea 2004/49/CE relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie) il "Cesifer" è stato demandato alla nuova Agenzia Italiana per la Sicurezza delle ferrovie divenuta operativa dal 16 giugno 2008[110].

Dopo la quasi automatica certificazione dal 2000 di Ferrovie dello Stato S.p.A. e Trenitalia S.p.A. sono aumentate, di anno in anno, le imprese Ferroviarie autorizzate a circolare nella rete RFI (previo possesso del Certificato di Sicurezza)[111].

Lo stesso argomento in dettaglio: Imprese ferroviarie italiane.

La scelta dell'alta velocità

L'inizio del secolo XXI è caratterizzato dalla ripresa, in Italia, del programma e dello sviluppo delle linee ad alta velocità e dei principali collegamenti internazionali. La scelta progettuale viene definita ad "alta velocità/alta capacità" e identifica linee con caratteristiche atte anche al trasporto pesante e merci speciale con interconnessioni frequenti al resto della rete ferroviaria classica. Avviene anche il passaggio definitivo dall'alimentazione elettrica a corrente continua a 3.000 volt a quella a corrente alternata a 25 kVolt, una scelta epocale che rende le nuove linee più versatili ed interoperabili.

ETR 500 "Frecciarossa" delle Ferrovie italiane; il nome Frecciarossa è stato dato in occasione dell'entrata in servizio della nuova linea ad alta velocità Milano-Bologna, nel dicembre 2008

La prima linea veloce in Italia (e la prima messa in progetto in Europa) era stata la Direttissima tra Firenze e Roma (254 km), ma costruita a tratte nel lungo arco di tempo tra il 1970 e il 1992 era rimasta un caso isolato; solo all'approssimarsi del nuovo secolo si ebbe la rapida ripresa delle costruzioni di linee veloci. Il programma della RFI S.p.A. del Gruppo FS S.p.A., attuato sia direttamente che tramite la controllata TAV S.p.A., previde le linee alta velocità-alta capacità (AV-AC) lungo le direttrici Torino-Trieste e Milano-Salerno, di cui è già in funzione la maggior parte[112]. Venne anche operata la scelta, (prima in Europa per le linee AV), dell'avanzato sistema ERTMS di 2º livello per incrementare la sicurezza e migliorare la gestione della circolazione dei treni; mentre nel resto della rete tradizionale fu estesa l'applicazione dei sistemi SCC e SCMT.

Sono in corso di finanziamento o costruzione: la Voghera/Novi Ligure-Genova ed i collegamenti internazionali con Lione (Galleria di base Torino Lione), Innsbruck (Galleria di base del Brennero) e Lubiana (ferrovia AV "Trieste-Lubiana").

La linea ad alta capacità tra Salerno e Reggio Calabria (ed il suo successivo proseguimento tramite il ponte sullo Stretto di Messina in Sicilia, con la tratta "Messina-Catania-Palermo") sono ancora in fase di progettazione. Altri progetti riguardano il potenziamento dell'asse Napoli-Bari ad alta capacità[113]

Il programma di servizio ad alta velocità di Trenitalia ha visto inizialmente un ampio uso di rotabili a cassa oscillante ("Pendolino") con il grosso del trasporto sulle nuove linee AV/AC svolto dagli ETR 500 politensione. È stata ripresa l'antica denominazione di "Freccia" per indicare i treni veloci creando le nuove categorie Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca.

Gli anni 2000 e la nascita delle private

Gli inizi degli anni duemila sono stati caratterizzati dalla cosiddetta liberalizzazione, cioè dalla possibilità che più imprese ferroviarie possano effettuare servizi sulla rete. Tale liberalizzazione tuttavia riguarda i servizi ma non l'infrastruttura rimasta di proprietà e gestita da un soggetto unico, RFI, di fatto monopolista. Sull'infrastruttura, in seguito alle autorizzazioni ottenute, hanno però iniziato a transitare treni di soggetti diversi, a volte concorrenti altre volte con accordi di complementarità[114]. Nel settore del trasporto merci, soprattutto di tipo specializzato o a treno completo si è assistito alla nascita di numerose imprese a partire dal 2001, prima in assoluto Ferrovie Nord Milano Cargo, poi Ferrovie Nord Cargo, ramo di Ferrovie Nord Milano Esercizio, che ha di fatto interrotto il monopolio delle Ferrovie Statali effettuando il primo treno merci "privato" da Melzo a Zeebrugge in Belgio il 25 settembre 2001, un treno combinato trainato dal locomotore Skòda E630-03; successivamente l'impresa a capitale privato RTC Rail Traction Company operante sull'asse del Brennero; mentre è rimasta carente la concorrenza ai servizi viaggiatori di Trenitalia da parte dei soggetti privati. Unica eccezione la NTV, ma nel settore dell'alta velocità. La società, fondata nel 2006 da Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle, Gianni Punzo e Giuseppe Sciarrone in vista della liberalizzazione del settore ferroviario, nel gennaio 2008 modificava il suo assetto societario con l'ingresso di Intesa Sanpaolo e, nell'ottobre dello stesso anno, della Société nationale des chemins de fer français (SNCF). Nel marzo 2011, NTV denunciava un tentativo di ostruzionismo da parte di Rete Ferroviaria Italiana (RFI)[115], azienda del gruppo Ferrovie dello Stato e gestore della rete ferroviaria italiana. Ma il 19 ottobre dello stesso anno otteneva dall'Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie (ANSF) il certificato di sicurezza per poter accedere alle linee ad alta velocità italiane e ad alcune ad esse afferenti[116]. Il 28 aprile 2012 iniziava l'attività sulla relazione Milano Porta GaribaldiNapoli Centrale[117].

Il tentativo di dare origine a un trasporto pendolare o a lunga distanza effettuato da Arenaways[118][119][120][121] è invece andato incontro al fallimento a causa di molteplici motivazioni tra cui la difficoltà ad ottenere da RFI "tracce orario" e itinerari ritenuti convenienti[122].

In atto, fino al 2014, la "liberalizzazione delle ferrovie" in Italia ha prodotto, oltre all'operatore interamente privato NTV, pochi esempi di circolazione di treni viaggiatori di altri soggetti, solo apparentemente privati,[123] ma in realtà collegati ad enti regionali o locali o da essi dipendenti, su tratte di interesse prettamente locale o pendolare.

Note

  1. ^ Lucio Villari, Nove minuti che fecero una storia - 1839-1989: I centocinquantanni delle Ferrovie Italiane., in Voci della rotaia, numero speciale 8/9, Roma, Ferrovie dello Stato, 1989.
  2. ^ Gallio, 2009, p. 25
  3. ^ Turchi, 1989, p. 6
  4. ^ Decreto e capitoli di concessione perché la strada ferrata da Napoli a Nocera sia prolungata per Sanseverino ad Avellino
  5. ^ Di una grande strada a rotaie di ferro nel Regno di Napoli
  6. ^ (it en) Giorgio Stagni, La storia antica: le Officine di Pietrarsa, su miol.it, marzo 2008. URL consultato il 16 settembre 2014. Lingua sconosciuta: it en (aiuto)
  7. ^ Il museo nazionale ferroviario di Pietrarsa (PDF), Ferrovie dello Stato. URL consultato il 16 settembre 2014.
  8. ^ a b Francesco Ogliari, Storia dei trasporti italiani, vol. 21.
  9. ^ Cenni relativi alla scelta della migliore linea per una_strada ferrata da Milano a Venezia
  10. ^ Tre nuovi progetti per la strada ferrata da Milano a Venezia
  11. ^ Angelo Ponzetti:La prima corsa di prova sul tronco di ferrovia Coccaglio-Bergamo-Treviglio
  12. ^ s:Sul progetto di una strada di ferro da Milano a Como
  13. ^ Inaugurazione della strada ferrata da Milano a Monza
  14. ^ Da precisare che "privilegio" non significava "favore" ma corrispondeva al termine, in italiano corrente, "monopolio". La costruzione di altre linee ferroviarie e strutture simili nelle vicinanze della ferrovia "privilegiata" o che confluissero in questa era quindi soggetta a limitazioni e prelazioni.
  15. ^ Luigi Ballatore, Storia delle ferrovie in Piemonte, editrice Il Punto, 2002.
  16. ^ Luigi Tatti, L'architetto delle strade ferrate ovvero saggio sui principi generali dell'arte di formare le strade a ruotaje di ferro di Eduardo Biot altro dei sovraintendenti all'esecuzione della strada ferrata da Santo Stefano a Lione, Milano, Angelo Monti, 1837, ISBN non esistente.
  17. ^ Carlo Ilarione Petitti, Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse, Capolago, Tipografia e Libreria Elvetica, 1845.
  18. ^ Annali universali di statistica, economia pubblica, geografia, storia, viaggi e commercio, serie II, vol. 17, Milano, 1848, p. 95, ISBN non esistente.
  19. ^ a b Gallio, 2009, p. 54
  20. ^ Bruno Bonazzelli (Zeta-Zeta), cap.26, in Un po' di storia sul Mastodonte dei Giovi, Como, HO Rivarossi, 1958, p. 13.
  21. ^ Rivista Marittima, Ministero della Marina, 1904, p. 154, ISSN no (WC · ACNP).
  22. ^ art. 1 del Decreto di autorizzazione (s:Decreto di autorizzazione a costruire la strada di ferro Napoli-Nocera
  23. ^ Rizzo Sergio, Come il «Satana su rotaia» ha unito (e disunito) l'Italia, Corriere della Sera, 22 maggio 2010, p. 19. URL consultato il 2 luglio 2014.
    «Ecco cos'era, per il Pontefice, quel mostro di ferro che il 3 ottobre 1839 ansimò sbuffando sui sette chilometri da Napoli a Portici: «Satana su rotaia».»
  24. ^ Memorie lette nelle adunanze ordinarie della Società Agraria della Provincia di Bologna, vol. 1, Bologna, 1844, pp. 213-232.
  25. ^ Gallio, 2009, p. 46
  26. ^ Prima di costituire una società non si potevano emettere azioni per cui si creava un "Comitato" (o altro nome) in cui i partecipanti si impegnavano economicamente con "offerte" o "promesse di azione" dette anche "carati". Questi carati in caso di costituzione della società sarebbero stati trasformati in azioni. Dei carati non si poteva -in teoria- fare commercio; cosa permessa, invece, alle azioni).
  27. ^ Atti ed Annunzj della Camera di Commercio e d'Industria della Provincia di Pavia, numero 1, anno 4, 22 gennaio 1855.
  28. ^ Concessione della strada ferrata centrale italiana
  29. ^ Capitolato della strada ferrata Centrale italiana
  30. ^ Capitolato annesso alla Convenzione in data 25 giugno 1860 stipulata tra i Ministri di S. M. il Re Vittorio Emanuele II pei Lavori Pubblici e pelle Finanze, e la Società anonima delle strade ferrate lombardo-venete e dell'Italia Centrale
  31. ^ Concessione della strada ferrata centrale italiana e relativo Capitolato Capitolato della strada ferrata Centrale italiana
  32. ^ Gallio, 2009, p. 53.
  33. ^ Cesare Columba, Strade ferrate, stazioni, territorio (1839-1848), in La Tecnica Professionale, n. 11/12, Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani, 1989, pp. 685-695.
  34. ^ a b c d Ippolito, 1988, p. 85
  35. ^ Il citato testo di Antonio Cappelletti riporta una lunghezza di, 807 km + 50 km ancora in costruzione ad aprile del 1859
  36. ^ Guido Pescosolido, Unità nazionale e sviluppo economico in Italia 1750-1913, pp. 142-143, Roma, ed. Nuova Cultura, 2014: riporta al 1861, 809 km (Piemonte), 610 (Lombardo-Veneto), 332 (Toscana), 126 (Due Sicilie)
  37. ^ Stefano Maggi, Ferrovia e identità nazionale, in Tutto Treno, n. 248, gennaio 2011, p. 24.
  38. ^ Alla rete realizzata dal Granducato di Toscana si era aggiunta quella costruita dal Ducato di Lucca, dal 4 ottobre 1847 confluitavi assieme ai territori, portando il totale dell'area a 332 km
  39. ^ Cappelletti, p. 14
  40. ^ Isidore Sachs, L'Italie: ses finances et son développement économique depuis l'unification du royaume, 1859-1884, d'après des documents officiels, p. 950 (in Gallica), su gallica.bnf.fr. URL consultato il 10 luglio 2015.
  41. ^ Alcune fonti riportano solo 99 km di linee in esercizio al 1860, ma la sommatoria delle singole linee esercite entro il 1859 corrisponde al dato indicato di 128 km; non viene conteggiata inoltre in tale dato la linea Battipaglia-Eboli di 6 km già costruita dall'impresa Melisurgo che nei documenti ufficiali "risulta" costruita dalla "Meridionale" e inaugurata alcuni anni dopo
  42. ^ Maggi, 2002, p. 20
  43. ^ I. Sachs, L'Italie, ses finances et son developpement èconomique depuis l'unification du royaumme, Paris, Guillarmin, 1885, ISBN non esistente.
  44. ^ Maggi, 2002, pp. 24-25
  45. ^ Vita di Garibaldi, in allegato al volume 2, Napoli, Stabilimento tipografico Perrotti, 1862.
  46. ^ Raccolta Ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, vol. 1, 1861.
  47. ^ Il carteggio Cavour-Nigra, collana la liberazione del Mezzogiorno, IV, pp. 328 e 378. (citato in IppolitoAmici e maestri) mostra le perplessità di Cavour riguardo all'operazione, perché sembra che la ditta Vittorio Emanuele non avesse i requisiti (le intuizioni di Cavour non erano infondate; la Vittorio Emanuele non riuscì a portare avanti i suoi programmi di costruzione e si avviò al fallimento scaricando l'onere dei completamenti delle linee siciliane e calabresi sullo Stato)
  48. ^ Turchi, 2006, pp. 12-14
  49. ^ s:L. 21 agosto 1862, n. 763, concedente al conte Bastogi la costruzione e l'esercizio di ferrovie nelle Provincie Meridionali e nella Lombardia
  50. ^ Antonella Marciano, Architettura e dibattito critico sulla Stazione Centrale di Napoli fra Otto e Novecento in Costruttori di opifici/Millwrights, a cura di G.E. Rubino, Napoli, Giannini Editore, 2005.
  51. ^ Annali dell'economia italiana, 1982, p.162
  52. ^ Maggi, 2002, p. 21
  53. ^ Crispo, Le ferrovie italiane, Milano, 1940, pp. 82-83.
  54. ^ a b Ippolito, 1988, pp. 86-90
  55. ^ a b Lavadas e Luoni, 2011, p. 13
  56. ^ Lavadas e Luoni, 2011, p. 14
  57. ^ Annali dell'economia italiana, 1982
  58. ^ Leopoldo Galeotti (a cura di), La Prima Legislatura del regno d'Italia, Firenze, Le Monnier, 1865, ISBN non esistente.
  59. ^ Maggi, 2002, p. 22
  60. ^ Maggi, 2002, pp. 23-24
  61. ^ Il Politecnico: repertorio mensile di studi applicati alla prosperità e coltura sociale, vol. 26, Milano, Amministrazione del Politecnico, Tipografia Zanetti, 1865, pp. 58-61.
  62. ^ Turchi, 2006, p. 13
  63. ^ Alessandro Crisafulli, Il sistema ferroviario siciliano e l'inchiesta Borsani-Bonfadini, collana Ingegneria ferroviaria, 55 n. 7, Ingegneria ferroviaria, 2000, pp. 461-472.
  64. ^ Mario Cirillo, Vicende ed evoluzione delle ferrovie italiane, in La tecnica professionale, Roma, CIFI, 1969.
  65. ^ s:L. 29 luglio 1879, n. 5002, per la costruzione di nuove linee di completamento della rete ferroviaria del Regno
  66. ^ Maggi, 2002, p. 24
  67. ^ Maggi, 2002, p. 25
  68. ^ R. Romeo, Nord e Sud, in Ippolito, p. 89, luglio/agosto 1948.
  69. ^ Legge 27 aprile 1885, n. 3048
  70. ^ Maggi, 2002, pp. 28-29
  71. ^ Tiberi, 1989, p. 627
  72. ^ Regio Ispettorato generale delle strade ferrate, 1899, p. 60
  73. ^ Regio Ispettorato generale delle strade ferrate, 1899, p. 61
  74. ^ Regio Ispettorato generale delle strade ferrate, 1899, p. 63
  75. ^ Turchi, 1999, pp. 10-16
  76. ^ a b Lavadas e Luoni, 2011, p. 19
  77. ^ Turchi, 2006, pp. 13-14
  78. ^ Maggi, 2002, p. 30
  79. ^ L'articolo 1 della legge del 1907 recitava: «lo Stato esercita direttamente, per mezzo di una amministrazione autonoma, le ferrovie da esso costruite o riscattate e quelle concesse all'indistria privata che, per effetto di leggi precedenti, esso deve esercitare o di cui venga a scadere la concessione; nonché la navigazione attraverso lo stretto di Messina»
  80. ^ Franco Bonelli, Riccardo Bianchi, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 10, Roma, Biagio-Boccaccio, Istituto della Enciclopedia italiana, 1968, pp. 169-173.
  81. ^ Tiberi, 1989, pp. 629-630
  82. ^ Tiberi, 1989, p. 630
  83. ^ a b M. Buzzoli, Ferrovie fra stato e privati, collana VdR 1839-1939: i centocinquant'anni delle ferrovie italiane, p. 34.
  84. ^ Lavadas e Luoni, 2011, pp. 20-21
  85. ^ Cesare Columba, Da Firenze a Bologna bucando l'Appennino in, VdR 1839-1939: i centocinquant'anni delle ferrovie italiane, pp. 26-28.
  86. ^ Tiberi, 1989, pp. 630-631
  87. ^ a b Lavadas e Luoni, 2011, p. 21
  88. ^ Cornolò, 1979
  89. ^ Andrea Giuntini, Il mito della velocità e la retorica del regime, collana Il Treno.
  90. ^ A.Minonne, Volti della rotaia. in VdR 1839-1939: i centocinquant'anni delle ferrovie italiane, p. 40.
  91. ^ Stuart Joseph Woolf, L'Italia repubblicana vista da fuori: 1945-2000, il Mulino, 2007, p. 144.
    «Era un segno della nuova efficienza del regime fascista che i treni fossero puntuali»
  92. ^ Gian Franco Venè, Mille lire al mese.Vita quotidiana della famiglia nell'Italia fascista, Milano, Mondadori, 1988, pp. 239-240.
    «da Milano al Mar Ligure il biglietto costava [...] compensato dall'efficienza, rapidità e puntualità del servizio»
  93. ^ Tiberi, 1989, p. 631
  94. ^ Giorgio Stagni, La riforma delle ferrovie - Dalle FS a Trenitalia, cronaca di vent'anni di trasformazioni, su miol.it. URL consultato il 16 settembre 2014.
  95. ^ a b Vincenzo Leuzzi, "I trasporti in Italia", in: Italy. Parlamento. Camera dei deputati. Segretariato generale, ed. Ambiente e informatica: problemi nuovi della società contemporanea. Vol. 16. Servizio studi, legislazione e inchieste parlamentari, 1974. Questo volume costituisce la prima pubblicazione edita dal Servizio Studi, Legislazione e Inchieste Parlamentari edito dalla Camera dei Deputati su temi tecnici e scientifici di interesse del dibattito parlamentare, come riportato nella presentazione di Sandro Pertini.
  96. ^ Cornolò, 1987, p. 17
  97. ^ Cornolò, 1979, pp. 14-16
  98. ^ a b Garzaro, Nascimbene, Elettrotreno, p. 4.
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