Paolo Borsellino: differenze tra le versioni

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Disambiguazione – Se stai cercando l'omonima fiction televisiva, vedi Paolo Borsellino (miniserie televisiva).

«Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo.»

Paolo Emanuele Borsellino

Paolo Emanuele Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940Palermo, 19 luglio 1992) è stato un magistrato italiano, assassinato da Cosa nostra e con il consenso di parti deviate dello stato italiano, nella strage di via D'Amelio assieme ai cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio[2]), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

L'insegna della casa in cui è nato Paolo Borsellino

Assieme al collega e amico Giovanni Falcone, Paolo Borsellino è considerato una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale.

Biografia

Origini e formazione

Borsellino durante la Prima Comunione.

Figlio di Diego Borsellino (1910 - 1962[3]) e di Maria Pia Lepanto (1910 - 1997[4]), Paolo Emanuele nacque a Palermo il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare della Kalsa, dove, durante le tante partite a calcio nel quartiere, conobbe Giovanni Falcone, più grande di lui di otto mesi. La famiglia di Paolo era composta dalla sorella maggiore Adele (1938 - 2011[5]), dal fratello minore Salvatore (1942) e dall'ultimogenita Rita (1945 - 2018).

Dopo aver frequentato le scuole dell'obbligo Paolo si iscrisse al liceo classico "Giovanni Meli" di Palermo. Durante gli anni del liceo diventò direttore del giornale studentesco "Agorà". L'11 settembre 1958 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Palermo con numero di matricola 2301[6]. Dopo una rissa tra studenti simpatizzanti di destra e sinistra, finì erroneamente in tribunale dinanzi al magistrato Cesare Terranova, cui dichiarò la propria estraneità all'accaduto. Il giudice sentenziò che Borsellino non fosse implicato nell'episodio. Proveniente da una famiglia con simpatie politiche di destra nel 1959 si iscrisse al Fronte Universitario d'Azione Nazionale, organizzazione degli universitari missini, di cui divenne membro dell'esecutivo provinciale e fu eletto come rappresentante studentesco nella lista del FUAN "Fanalino" di Palermo[7]. Il 27 giugno 1962, all'età di ventidue anni, Borsellino si laureò con 110 e lode con una tesi su "Il fine dell'azione delittuosa" con relatore il professor Giovanni Musotto.[8] Pochi giorni dopo, a causa di una malattia, suo padre morì all'età di cinquantadue anni. Borsellino si impegnò, allora, con l'ordine dei farmacisti a mantenere attiva la farmacia del padre fino al raggiungimento della laurea in farmacia della sorella Rita. Durante questo periodo la farmacia fu data in gestione per un affitto bassissimo, 120 000 lire al mese[9] e la famiglia Borsellino fu costretta a gravi rinunce e sacrifici. A Paolo fu concesso l'esonero dal servizio militare di leva poiché egli risultava "unico sostentamento della famiglia".

Nel 1967 Rita si laureò in farmacia e il primo stipendio da magistrato di Paolo servì a pagare la tassa governativa. Il 23 dicembre 1968 sposò Agnese Piraino Leto (1941 - 2013[10]), figlia di Angelo Piraino Leto (1909 - 1994[11]), a quel tempo magistrato, presidente del tribunale di Palermo. Dalla moglie Agnese ebbe tre figli: Lucia (1969), Manfredi (1971) e Fiammetta (1973).[12]

L'ingresso nella magistratura

Nel 1963 Borsellino partecipò a un concorso per entrare nella magistratura italiana; classificatosi venticinquesimo sui 171 posti messi a bando.[13], con il voto di 57, divenne il più giovane magistrato d'Italia[14] Incominciò quindi il tirocinio come uditore giudiziario e lo terminò il 14 settembre 1965 quando venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile.[15] Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme a Emanuele Basile, capitano dell'Arma dei Carabinieri.

Nel 1975 Borsellino venne trasferito presso l'Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo[16]. Nel 1980 continuò l'indagine sui rapporti tra i mafiosi di Altofonte e Corso dei Mille cominciata dal commissario Boris Giuliano (ucciso nel 1979), lavorando sempre insieme con il capitano Basile[17][18]. Intanto tra Borsellino e Rocco Chinnici, nuovo capo dell'Ufficio istruzione, si stabilì un rapporto, più tardi descritto dalla sorella Rita Borsellino e da Caterina Chinnici, figlia del capo dell'Ufficio, come di "adozione" non soltanto professionale. La vicinanza che si stabilì fra i due uomini e le rispettive famiglie fu intensa e fu al giovane Paolo che Chinnici affidò la figlia, che abbracciava anch'essa quella carriera, in una sorta di tirocinio[19].

Il 4 maggio 1980 il capitano Basile venne assassinato e fu decisa l'assegnazione di una scorta alla famiglia Borsellino.

L'esperienza del pool antimafia

Borsellino insieme a Giovanni Falcone e Antonino Caponnetto
Lo stesso argomento in dettaglio: Pool antimafia.

Chinnici istituì presso l'Ufficio istruzione un "pool antimafia", ossia un gruppo di giudici istruttori che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso e, lavorando in gruppo, essi avrebbero avuto una visione più chiara e completa del fenomeno mafioso e, di conseguenza, la possibilità di combatterlo più efficacemente. Diminuiva inoltre il rischio che venissero assassinati da Cosa Nostra con lo scopo di riseppellire i segreti scoperti. Chinnici chiamò Borsellino a fare parte del pool insieme con Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Il 29 luglio 1983 Chinnici rimase ucciso nell'esplosione di un'autobomba insieme a due agenti di scorta e al portiere del suo condominio. Pochi mesi dopo giunse a Palermo da Firenze il giudice Antonino Caponnetto nominato al suo posto.

Nel racconto che ne fece lo stesso Borsellino, il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, e separatamente, senza che avvenisse scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue, cosa che avrebbe potuto consentire una maggiore efficacia nell'esercizio della azione penale il cui coordinamento avrebbe consentito di fronteggiare meglio il fenomeno mafioso nella sua globalità.[19] Uno dei primi esempi concreti del coordinamento operativo fu la collaborazione fra Borsellino e Di Lello, che Caponnetto aveva voluto e richiesto in squadra: Di Lello prendeva giornalmente a prestito la documentazione che Borsellino produceva e gliela rendeva la mattina successiva, dopo averla studiata come fossero "quasi delle dispense sulla lotta alla mafia". Del resto era proprio la formazione di una conoscenza condivisa uno degli effetti, ma prima ancora uno degli scopi, della costituzione del pool: come ebbe a dire Guarnotta, "si andava ad esplorare un mondo che sinora era sconosciuto per noi in quella che era veramente la sua essenza"[19]. Le indagini del pool si basarono soprattutto su accertamenti bancari e patrimoniali, vecchi rapporti di polizia e carabinieri ma anche su nuovi procedimenti penali, che consentirono di raccogliere un abbondante materiale probatorio; nello stesso periodo Falcone incominciò a raccogliere le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, la cui attendibilità venne confermata dalle indagini del pool: il 29 settembre 1984 le dichiarazioni di Buscetta produssero 366 ordini di cattura mentre il mese successivo quelle di Contorno altri 127 mandati di cattura, nonché arresti eseguiti tra Palermo, Roma, Bari e Bologna[20].

Il periodo all'Asinara e il maxiprocesso di Palermo

Lo stesso argomento in dettaglio: Maxiprocesso di Palermo.

Per ragioni di sicurezza, nell'estate 1985 Falcone e Borsellino furono trasferiti insieme con le loro famiglie nella foresteria del carcere dell'Asinara per scrivere l'ordinanza-sentenza di 8000 pagine che rinviava a giudizio 476 indagati in base alle indagini del pool.[22] Per tale periodo, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria italiana richiese poi ai due magistrati un rimborso spese e un indennizzo per il soggiorno trascorso.[23] Intanto il maxiprocesso di Palermo che scaturì dagli sforzi del pool cominciò in primo grado il 10 febbraio 1986, presso un'aula bunker appositamente costruita all'interno del carcere dell'Ucciardone a Palermo per accogliere i numerosi imputati e numerosi avvocati.[24], concludendosi il 16 dicembre 1987 con 342 condanne, tra cui 19 ergastoli[25]

La casa in cui Falcone, Borsellino e le loro famiglie vissero durante il soggiorno all'Asinara

La nomina a procuratore a Marsala

Il 19 dicembre 1986 Borsellino chiese e ottenne di essere nominato Procuratore della Repubblica a Marsala. La nomina superava il limite ordinariamente vigente del possesso di alcuni requisiti principalmente relativi all'anzianità di servizio[26].

Secondo il collega Giacomo Conte[27] la scelta di decentrarsi e di assumere un ruolo autonomo rispondeva a una sua intuizione per la quale l'accentramento delle indagini istruttorie sotto la guida di una sola persona esponeva non solo al rischio di una disorganicità complessiva dell'azione contro la mafia, ma anche a quello di poter facilmente soffocare questa azione colpendo il magistrato che ne teneva le fila; questa collocazione, "solo apparentemente periferica", fu secondo questo autore esempio della proficuità di questa collaborazione a distanza.

Di parere difforme fu Leonardo Sciascia, scrittore siciliano, il quale in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 10 gennaio del 1987, si scagliò contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che "nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso", a conclusione di un'esposizione principiata con due autocitazioni[28]. Si tratta della nota polemica sui cosiddetti "professionisti dell'antimafia". Borsellino commentò (o lo citò) solo dopo la morte di Falcone, parlando il 25 giugno 1992 a un dibattito, organizzato da La Rete e da MicroMega, sullo stato della lotta alla mafia dopo la Strage di Capaci: "Tutto incominciò con quell'articolo sui professionisti dell'antimafia"[29][30].

In seguito a due puntate della trasmissione RAI di Corrado Augias Telefono giallo trasmesso su Rai Tre, durante il suo periodo a Marsala si occupò anche del caso della Strage di Ustica, e del caso del triplice rapimento e omicidio di tre bambine avvenuto nel 1971 a Marsala, noto con il nome di Mostro di Marsala, che riapri nel 1989, casi trattati tutte e due dalla trasmissione del giornalista Augias.

«Il vero obiettivo del CSM era eliminare al più presto Giovanni Falcone»

«Quando Giovanni Falcone solo, per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il Consiglio Superiore della Magistratura, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli.»

La fine del pool e la stagione dei veleni

Nel 1987, mentre il maxiprocesso di Palermo si avviava alla sua conclusione, Antonino Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute e tutti (Borsellino compreso) si attendevano che al suo posto fosse nominato Falcone, ma il Consiglio Superiore della Magistratura non la vide alla stessa maniera e il 19 gennaio 1988 nominò Antonino Meli; sorse il timore che il pool stesse per essere sciolto.

Paolo Borsellino e Leonardo Sciascia, in occasione conviviale il 25 gennaio 1988, riconciliati dopo la polemica sui "professionisti dell'antimafia"

Borsellino parlò allora in pubblico a più riprese, raccontando quel che stava accadendo alla Procura della Repubblica di Palermo. In particolare, in due interviste rilasciate il 20 luglio 1988 a la Repubblica e a L'Unità, riferendosi al CSM, dichiarò tra l'altro espressamente: "si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all'Ufficio", "hanno disfatto il pool antimafia", "hanno tolto a Falcone le grandi inchieste", "la squadra mobile non esiste più", "stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa". Per queste dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare (fu messo sotto inchiesta)[31]. A seguito di un intervento del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, si decise almeno di indagare su ciò che succedeva nel palazzo di giustizia.

Il 31 luglio il CSM convocò Borsellino, il quale rinnovò accuse e perplessità. Il 14 settembre Antonino Meli, sulla base di una decisione fondata sulla mera anzianità di ruolo in magistratura, fu nominato capo del pool; Borsellino tornò a Marsala, dove riprese a lavorare alacremente insieme con giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Cominciava in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porvi a capo, nel frattempo Falcone fu chiamato a Roma per assumere il comando della direzione affari penali e da lì premeva per l'istituzione della Superprocura.

Nel settembre 1990 intervenne alla festa nazionale del Fronte della Gioventù a Siracusa, insieme al parlamentare regionale del MSI Giuseppe Tricoli, e agli allora dirigenti giovanili Gianni Alemanno e Fabio Granata[32].

Gli attentati progettati e il trasferimento a Palermo

Nel settembre del 1991, cosa nostra aveva già abbozzato progetti per l'uccisione di Borsellino. A rivelarlo fu il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, mafioso di Castelvetrano a cui il suo capo Francesco Messina Denaro aveva detto di tenersi pronto per l'esecuzione, che si sarebbe dovuta effettuare mediante un fucile di precisione o con un'autobomba[33]. Tuttavia Calcara fu arrestato il 5 novembre e la sua situazione in carcere si fece assai pericolosa poiché, secondo quanto da lui stesso indicato, aveva in precedenza intrecciato una relazione con la figlia di uno dei capi di Cosa Nostra, uno sbilanciamento del tutto contrario alle "regole" mafiose e sufficiente a costargli la vita; se da latitante poteva ancora essere utilizzato per "lavori sporchi", da carcerato invece gli restava solo la condanna a morte emessa dall'organizzazione. Prima che finisse il periodo di isolamento, Calcara decise di diventare collaboratore di giustizia e si incontrò proprio con Borsellino, al quale, una volta rivelatogli il piano e l'incarico, disse: "lei deve sapere che io ero ben felice di ammazzarla". Dopo di ciò, raccontò sempre il pentito, gli chiese di poterlo abbracciare e Borsellino avrebbe commentato: "nella mia vita tutto potevo immaginare, tranne che un uomo d'onore mi abbracciasse"[34].

Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e nel marzo 1992 vi ritornò come procuratore aggiunto, insieme con il sostituto procuratore Antonio Ingroia.[16]

Elezione del Presidente della Repubblica e Capaci

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di Capaci.

Il pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso dell'XI scrutinio delle elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1992, l'allora segretario del MSI Gianfranco Fini diede indicazione ai suoi parlamentari di votare per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica, che ottenne in quello scrutinio 47 preferenze[35]. Al sedicesimo scrutinio (avvenuto dopo la strage di Capaci) fu eletto Oscar Luigi Scalfaro.

Il 23 maggio 1992, in un attentato dinamitardo sull'autostrada A29 all'altezza di Capaci, persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Dichiarò, citando Ninni Cassarà:

«Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo.
Mi disse: "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano"

Le dichiarazioni sul ruolo della politica

«L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. e NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati.»

Borsellino rilasciò interviste e partecipò a numerosi convegni per denunciare l'isolamento dei giudici e l'incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. In una di queste Borsellino descrisse le ragioni che avevano portato all'omicidio del giudice Rosario Livatino e prefigurò la fine (che poi egli stesso fece) che ogni giudice "sovraesposto" è destinato a fare.[36]

Alla presentazione di un libro[37] alla presenza dei ministri dell'interno e della giustizia, Vincenzo Scotti e Claudio Martelli, nonché del capo della polizia Vincenzo Parisi, dal pubblico fu chiesto a Borsellino se intendesse candidarsi alla successione di Falcone alla "Superprocura"; alla sua risposta negativa Scotti intervenne annunciando di aver concordato con Martelli di chiedere al CSM di riaprire il concorso e invitandolo formalmente a candidarsi. Borsellino non rispose a parole, sebbene il suo biografo Lucentini abbia così descritto la sua reazione: "dal suo viso trapela una indignazione senza confini"[38]. Rispose al ministro per iscritto, giorni dopo: "La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento"[39].

La penultima intervista

Il 21 maggio 1992, due giorni prima della strage di Capaci e poco meno di due mesi prima di essere ucciso, Paolo Borsellino rilasciò un'intervista ai giornalisti di Canal+ Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi.[40]

Il giornalista Fabrizio Calvi mentre intervista Paolo Borsellino il 21 maggio 1992, due giorni prima della strage di Capaci

«All'inizio degli anni settanta, Cosa Nostra cominciò a diventare un'impresa anch'essa. Un'impresa nel senso che attraverso l'inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all'estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all'industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo da poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso»

In questa sua ultima intervista Paolo Borsellino parlò anche dei legami tra cosa nostra e l'ambiente industriale milanese e del Nord Italia in generale, facendo riferimento, tra le altre cose, a indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri. Alla domanda se Mangano fosse un "pesce pilota" della mafia al Nord, Borsellino rispose che egli era sicuramente una testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia. Sui rapporti con Silvio Berlusconi invece, benché esplicitamente sollecitato dall'intervistatore, si astenne da qualsiasi giudizio, poiché coperto dal segreto istruttorio.

C'era chi non aveva interesse che questa intervista venisse diffusa e diventasse popolare in Italia, tanto che viene anche indicata come "L'intervista nascosta".[41], la quale venne acquisita eccezionalmente nel 2000 da Rai News 24, dopo un fortunoso ritrovamento del nastro da parte della famiglia Borsellino, e fu proposta per essere trasmessa in vari programmi e telegiornali RAI di prima e seconda serata, incontrando però la ritrosia dei vari conduttori che non vollero trasmetterla (fu poi trasmessa solo sul canale satellitare Rai News 24 il 19 settembre 2000 alle ore 23).

La strage di via D'Amelio e la morte

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di via D'Amelio.
Via D'Amelio dopo l'attentato a Borsellino del 19 luglio 1992

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita. Alle 16:58 una Fiat 126 imbottita di tritolo, che era parcheggiata sotto l'abitazione della madre, detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina[42].

L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.[43]

Il 24 luglio circa 10 000 persone parteciparono ai funerali privati di Borsellino (i familiari rifiutarono il rito di Stato: la moglie Agnese infatti accusava il governo di non aver saputo proteggere il marito, e volle una cerimonia privata senza la presenza dei politici), celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, disadorna e periferica, dove il giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa. L'orazione funebre fu pronunciata da Antonino Caponnetto, il vecchio giudice che aveva diretto l'ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi». Pochi i politici: il presidente Scalfaro, Francesco Cossiga, Gianfranco Fini, Claudio Martelli. Il funerale è commosso e composto, interrotto solo da qualche battimani. Qualche giorno prima, i funerali dei 5 agenti di scorta si erano svolti nella Cattedrale di Palermo, ma all'arrivo dei rappresentanti dello Stato (compreso il neo Presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro), una folla inferocita sfondò la barriera creata dai 4000 agenti chiamati per mantenere l'ordine, mentre la gente, strattonando e spingendo, gridava: "Fuori la mafia dallo Stato". Il Presidente della Repubblica venne tirato fuori a stento dalla calca, venne spintonato anche il capo della polizia.[44]

La salma è stata tumulata nel Cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo.

Le dichiarazioni e l'ultima intervista

Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in un'intervista televisiva con Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.

Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto, sconfortato, "Tutto è finito...", intervistato anni dopo da Gianni Minà ricordò che "Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell'attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l'abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze"[45].

Riguardo l'ultima intervista concessa dal magistrato italiano, nel numero de L'Espresso dell'8 aprile 1994 fu pubblicata una versione più estesa dell'intervista[46].

L'intervista, e i tagli relativi alla sua versione televisiva, furono citati anche dal tribunale di Palermo nella sentenza di condanna di Gaetano Cinà e Marcello Dell'Utri:

«Un riferimento a quelle indagini si rinviene nella intervista rilasciata il 21 maggio 1992 dal Dott. Paolo Borsellino ai giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. In dibattimento il Pubblico Ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale di quella intervista che, nelle precedenti versioni, aveva subito, invece, evidenti manipolazioni ed era stata trasmessa a diversi anni di distanza dal momento in cui era stata resa, malgrado l'indubbio rilievo di un simile documento.»

Paolo Guzzanti aveva sostenuto che l'intervista trasmessa da Rai News 24 era stata manipolata, i giornalisti della rete gli fecero causa, ma fu assolto. Vi era corrispondenza tra la cassetta ricevuta e il contenuto trasmesso, ma non con il video originale. Alcune risposte erano state tagliate e messe su altre domande. Ad esempio, quando Borsellino parla di "cavalli in albergo" per indicare un traffico di droga, non si riferiva a una telefonata fra Dell'Utri e Mangano come poteva sembrare dalla domanda dell'intervistatore (che faceva riferimento a un'intercettazione dell'inchiesta di San Valentino, che Borsellino aveva seguito solo per poco tempo), ma a una fra Mangano e un mafioso della famiglia Inzerillo.[48]

Nella sentenza Dell'Utri fu poi riportato il brano dell'intervista relativo all'uso del termine "cavalli" per indicare la droga e sulle precedenti condanne di Mangano, in una versione ancora differente rispetto alle due già diffuse, trascritta dal nastro originale. Nella stessa sentenza era poi riportata l'intercettazione della telefonata intercorsa tra Mangano (la cui linea era sotto controllo) e Dell'Utri[49], relativo al blitz di San Valentino, in cui veniva citato un "cavallo", a cui aveva fatto riferimento il giornalista nelle domande dell'intervista a Borsellino.[50]. La sentenza specificava però che:

«Tra le telefonate intercettate (il cui tenore aveva consentito di disvelare i loschi traffici ai quali il Mangano si era dedicato in quegli anni) si inserisce quella del 14 febbraio 1980 intercorsa tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri.
È opportuno chiarire subito che questa conversazione, pur avendo ad oggetto il riferimento a “cavalli”, termine criptico usato dal Mangano nelle conversazioni telefoniche per riferirsi agli stupefacenti che trafficava, non presenta un significato chiaramente afferente ai traffici illeciti nei quali il Mangano era in quel periodo coinvolto e costituisce il solo contatto evidenziato, nel corso di quelle indagini, tra Marcello Dell'Utri e i diversi personaggi all'attenzione degli investigatori.»

La versione dell'ultima intervista a Borsellino venne mandata in onda da Rai News 24 nel 2000 era di trenta minuti, quella originale era invece di cinquantacinque minuti. La trascrizione dell'intervista integrale è stata pubblicata sul sito web 19luglio1992.org.[51]

Il dibattito sulla strage di Stato

Diversi autori hanno parlato della strage di via D'Amelio come strage di stato:

Via D'Amelio: l'albero che ricorda il luogo dell'uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta

«Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo.»

Nell'introduzione del libro L'agenda rossa di Paolo Borsellino Marco Travaglio scrive:

«Oggi, quindici anni dopo, non è cambiato nulla. L'impressione è che, ai piani alti del potere, quelle verità indicibili le conoscano in tanti, ma siano d'accordo nel tenerle coperte da una spessa coltre di omissis. Per sempre. L'agenda rossa è la scatola nera della Seconda Repubblica. Grazie a questo libro cominciamo a capire qualcosa anche noi»

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, parla esplicitamente di "strage di Stato":

«Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l'assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D'Amelio come una strage di mafia. [...] Hanno messo in galera un po' di persone - tra l'altro condannate per altri motivi e per altre stragi - e in questa maniera ritengono di avere messo una pietra tombale sull'argomento. Devo dire che purtroppo una buona parte dell'opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa - televisione e giornali - è caduta in questa chiamiamola “trappola” [...] Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente [...] è che questa è una strage di stato, nient'altro che una strage di stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell'opinione pubblica questa verità, una verità tragica perché mina i fondamenti di questa nostra repubblica. Oggi questa nostra seconda repubblica è una diretta conseguenza delle stragi del ‘92»

Il Gip di Caltanissetta, Alessandra Bonaventura Giunta, ritiene che la trattativa stato mafia ci sia stata e che Paolo Borsellino fu ucciso perché secondo il boss Totò Riina, ostacolava questa trattativa,[55]:

«"deve ritenersi un dato acquisito quello secondo cui a partire dai primi giorni del mese di giugno del 1992 fu avviata la cosiddetta 'trattativa' tra appartenenti alle istituzioni e l'organizzazione criminale Cosa nostra".»

dopo aver interrogato Salvino Madonia, il capomafia che ha partecipato alla riunione di Cosa nostra nella quale i mafiosi decisero l'avvio della strategia stragista[56].

Nel 2012 in base ad alcune dichiarazioni rilasciate dal colonnello dell'Arma dei Carabinieri Umberto Sinico, sentito come testimone, si può stabilire che Borsellino non solo era a conoscenza di essere nel mirino di cosa nostra, ma che preferiva che non si stringesse troppo la protezione attorno a sé, così da evitare che l'organizzazione scegliesse come bersaglio qualcuno della sua famiglia.[57]

In occasione della ricorrenza dei 25 anni dalla strage di via D'Amelio Fiammetta Borsellino, ultimogenita del magistrato Paolo, in un'intervista dice:

«Ai magistrati in servizio dopo la strage di Capaci rimprovero di non aver sentito mio padre nonostante avesse detto di voler parlare con loro. Dopo via D'Amelio riconsegnata dal questore La Barbera la borsa di mio padre pur senza l'agenda rossa, non hanno nemmeno disposto l'esame del DNA. Non furono adottate le più elementari procedure sulla scena del crimine. Il dovere di chi investigava era di non alterare i luoghi del delitto. Ma su via D'Amelio passò la mandria di bufali.[58]»

La zia Rita Borsellino ribadisce l'autorevolezza di queste affermazioni dicendo:

«Fiammetta ha l'autorevolezza per dire queste cose, anche perché fino adesso non ha mai detto niente, per cui quello che dice è Vangelo. La ricerca della verità si fa sempre.[58]»

Riconoscimenti e influenza

Francobollo commemorativo

«Io accetto la... ho sempre accettato il... più che il rischio, la... condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli.
Il... la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in... in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me.
E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare... dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro.»

Alla memoria del magistrato italiano furono intitolate numerose scuole e associazioni, nonché (insieme all'amico e collega) l'aeroporto internazionale "Falcone e Borsellino" (ex "Punta Raisi", Palermo), l'aula principale (aula I) della facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza - Università di Roma e l'aula del consiglio comunale della città di Castellammare di Stabia.

Lenzuola dedicate a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

La facoltà universitaria di giurisprudenza dell'Università degli Studi di Brescia intestò una delle sue aule più suggestive di Palazzo dei Mercanti ai giudici Falcone e Borsellino. Dal 2011, l'aula delle udienze della Corte d’Appello di Trento è dedicata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.[59][60]. A Torino il Palazzo di Giustizia si trova tra via Giovanni Falcone e via Paolo Borsellino.

«Un giudice vero fa quello che ha fatto Borsellino, uno che si trova solo occasionalmente a fare quel mestiere e non ha la vocazione può scappare, chiedere un trasferimento se ne ha il tempo e se gli viene concesso. Borsellino, invece, era di un'altra tempra, andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibili.»

Teatro, cinema, televisione

Anche il teatro, il cinema e la televisione hanno onorato la memoria del magistrato palermitano. Tra i più rilevanti:

Onorificenze

Medaglia d'oro al valor civile - nastrino per uniforme ordinaria
«Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, esercitava la propria missione con profondo impegno e grande coraggio, dedicando ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la proterva sfida lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Nonostante le continue e gravi minacce, proseguiva con zelo ed eroica determinazione il suo duro lavoro di investigatore, ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di giustizia e delle Istituzioni.»
— Palermo, 19 luglio 1992

Note

  1. ^ Nicola Gratteri, Antonio Nicaso, La mafia fa schifo, Mondadori, 2011 - ISBN 88-520-2117-5
    Visualizzazione limitata su Google Libri: La mafia fa schifo, su books.google.it, Edizioni Mondadori.
  2. ^ Pier Giorgio Pinna, Storia di Emanuela morta in divisa a ventiquattro anni, su ricerca.repubblica.it, la Repubblica, 21 luglio 1992. URL consultato il 5 febbraio 2019 (archiviato il 12 giugno 2018).
  3. ^ Il valore di una vita
  4. ^ È morta la madre di Borsellino, il giudice ucciso in via D'Amelio
  5. ^ Giuseppe Del Buono, É morta Adele, la sorella maggiore di Paolo Borsellino, su ilquotidianoitaliano.com, Il Quotidiano Italiano, 5 maggio 2011. URL consultato il 5 febbraio 2019 (archiviato il 10 marzo 2016).
  6. ^ Umberto Lucentini, Il mio mal d'Africa, in Paolo Borsellino, 3ª ed., Druento, Edizioni San Paolo, 2006 [2004], pp. 37, ISBN 88-215-4968-2.
  7. ^ "Paolo Borsellino" - Umberto Lucentini - 2003 - Edizioni San Paolo
  8. ^ Paolo Borsellino, Il fine dell'azione delittuosa. Tesi di laurea di Paolo Emanuele Borsellino. Anno accademico 1961-1962, Milano, Giuffrè Editore, 2011, ISBN 978-88-14-15759-2, OCLC 848924710. URL consultato il 19 luglio 2016.
  9. ^ Il valore di una vita, pag. 35
  10. ^ Morta Agnese, moglie di Paolo Borsellino
  11. ^ Archivio biografico comunale Palermo Archiviato il 4 novembre 2012 in Internet Archive.
  12. ^ Ciro Pellegrino, È morta Agnese Borsellino, su fanpage.it, 5 maggio 2013. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato il 4 marzo 2016).
  13. ^ Temi assegnati - Saranno Magistrati
  14. ^ La Storia siamo noi - Paolo Borsellino Archiviato il 27 novembre 2007 in Internet Archive.
  15. ^ Paolo Borsellino fu ucciso dalla mafia con 5 agenti della sua scorta nella strage di via D'Amelio, su ilsole24ore.com, Il Sole 24 ORE, 16 luglio 2015. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato il 22 luglio 2015).
  16. ^ a b Paolo Borsellino in Enciclopedia Treccani
  17. ^ ' UCCISE IL CAPITANO BASILE' PER RIINA È IL CARCERE A VITA - La Repubblica.it
  18. ^ Umberto Lucentini, Hanno ucciso il capitano, in Paolo Borsellino, 3ª ed., Druento, Edizioni San Paolo, 2006 [2004], pp. 57, ISBN 88-215-4968-2.
  19. ^ a b c La Storia siamo noi - Paolo Borsellino
  20. ^ Giuseppe Cerasa, Un altro pentito parla, 56 arresti, su ricerca.repubblica.it, la Repubblica, 26 ottobre 1984. URL consultato il 5 febbraio 2019 (archiviato il 15 luglio 2018).
  21. ^ Riassunto dal relato di Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, Feltrinelli, 1993 - ISBN 88-07-12010-0
  22. ^ Falcone sfuggiva ai mafiosi, lo Stato presentava il conto Corriere della Sera, 17 giugno 1992
  23. ^ Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l'assassinio di G. Falcone e P. Borsellino, pag. 121
  24. ^ Palermo è una città blindata, i giudici temono l'isolamento - La Repubblica.it
  25. ^ I giudici hanno creduto a Buscetta - La Repubblica.it
  26. ^ "Notiziario straordinario" n. 17 del 10 settembre 1986 del Consiglio superiore della magistratura:

    «Rilevato, per altro, che per quanto concerne i candidati che in ordine di graduatoria precedono il dottor Borsellino, si impongono oggettive valutazioni che conducono a ritenere, sempre in considerazione della specificità del posto da ricoprire e alla conseguente esigenza che il prescelto possegga una specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare, che gli stessi non siano, seppure in misura diversa, in possesso di tali requisiti con la conseguenza che, nonostante la diversa anzianità di carriera, se ne impone il "superamento" da parte del più giovane aspirante.»

  27. ^ Giacomo Conte (procuratore a Gela), Lo sdegno e la speranza: la lezione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in (a cura di) Franco Occhiogrosso, Ragazzi della mafia: storie di criminalità e contesti minorili, voci dal carcere, le reazioni e i sentimenti, i ruoli e le proposte, FrancoAngeli, 1993 - ISBN 88-204-7972-9
  28. ^ Leonardo Sciascia, I professionisti dell'antimafia, su italialibri.net, ItaliaLibri, 2 luglio 2007. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato il 24 giugno 2001).
  29. ^ Una fra le numerose fonti online
  30. ^ Trascrizione intervento Archiviato il 17 luglio 2010 in Internet Archive.
  31. ^ Disse lo stesso Borsellino durante la serata alla Biblioteca Comunale di Palermo il 25 giugno 1992: "per aver denunciato questa verità io rischiai conseguenze professionali gravissime, e forse questo lo avevo pure messo nel conto, ma quel che è peggio il Consiglio superiore immediatamente scoprì quale era il suo vero obiettivo: proprio approfittando del problema che io avevo sollevato, doveva essere eliminato al più presto Giovanni Falcone. E forse questo io lo avevo pure messo nel conto perché ero convinto che lo avrebbero eliminato comunque; almeno, dissi, se deve essere eliminato, l'opinione pubblica lo deve sapere, lo deve conoscere, il pool antimafia deve morire davanti a tutti, non deve morire in silenzio. L'opinione pubblica fece il miracolo, perché ricordo quella caldissima estate dell'agosto 1988, l'opinione pubblica si mobilitò e costrinse il Consiglio superiore della magistratura a rimangiarsi in parte la sua precedente decisione dei primi di agosto, tant'è che il 15 settembre, se pur zoppicante, il pool antimafia fu rimesso in piedi. ". Nello stesso intervento commentò la mancata nomina di Falcone: "Si aprì la corsa alla successione all'ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli."
  32. ^ Eduardo Di Blasi, Un “destro” da Rauti a Borsellino, in Il Fatto Quotidiano, 27 luglio 2010 (archiviato dall'url originale il 1º agosto 2012).
  33. ^ Umberto Rosso, ' Cosi' quel sicario mi abbraccio' e disse: lei doveva morire', su ricerca.repubblica.it, la Repubblica, 7 maggio 1992. URL consultato il 5 febbraio 2019 (archiviato il 4 marzo 2016).
  34. ^ Relato testuale del pentito in La Storia siamo noi - Paolo Borsellino (fonte per l'intero paragrafo)
  35. ^ 20 maggio: I parlamentari del MSI votano Paolo Borsellino alle elezioni per la Presidenza della Repubblica. La replica di Borsellino non si fa attendere: "Avevo già appreso la notizia - ribatte il Procuratore aggiunto con una dichiarazione al Gr1 - perché il mio vecchio compagno di scuola nonché amico, l'onorevole Guido Lo Porto, mi aveva telefonato dicendo che il Msi aveva l'intenzione di candidarmi e domandandomi se io gradivo una votazione del genere"... cifr. Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L'agenda rossa di Paolo Borsellino, Chiarelettere
  36. ^ Trecce di uomini - Paolo Borsellino pag. 11
  37. ^ "Gli uomini del disonore", di Pino Arlacchi
  38. ^ Umberto Lucentini, Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori, 1994
  39. ^ e Paolo rifiuto' il posto di Falcone Corriere della Sera, 16 gennaio 1994
  40. ^ Video dell'intervista
  41. ^ Testo dell'intervista
  42. ^ Mafia strikes one more from its enemy hit list. John Phillips. The Times (London, England), Monday, July 20, 1992; pg. 10; Issue 64389.
  43. ^ l'agente superstite: " vivo per miracolo" Corriere della Sera, 21 luglio 1992
  44. ^ In ricordo di Paolo Borsellino da giovanicislcatania.wordpress.com, 19 luglio 2012.
  45. ^ a b Intervista di Minà a Caponnetto
  46. ^ trascrizione dell'intervista pubblicata su L'Espresso dell'8 aprile 1994, dal sito di Rai News 24
  47. ^ sentenza Archiviato il 28 settembre 2007 in Internet Archive. dell'11 dicembre 2004, relativa al procedimento contro Marcello Dell'Utri
  48. ^ (PDF)Scansione della sentenza Archiviato il 24 novembre 2011 in Internet Archive.
  49. ^ Rapporto 0500/CAS del 13 aprile 1981 della Criminalpol di Milano.
  50. ^ Trascrizione di un'intercettazione telefonica tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri, sentenza Archiviato il 28 settembre 2007 in Internet Archive. dell'11 dicembre 2004, relativa al procedimento contro Marcello Dell'Utri, pag. 483 e seguenti, proveniente dal rapporto 0500/CAS dell'aprile 1981 della Criminalpol di Milano
  51. ^ Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, su 19luglio1992.org. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2017).
  52. ^ Lirio Abbate, Peter Gomez, I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano, da Corleone al Parlamento, p. 36
  53. ^ L'agenda rossa di Paolo Borsellino
  54. ^ Intervista RAI a Salvatore Borsellino fratello di Paolo Borsellino[collegamento interrotto]
  55. ^ Svolta su via D'Amelio, 4 arresti. Il Gip: Borsellino ucciso perché ostacolava la trattativa tra Stato e mafia. Tiscali. Cronaca. 8 marzo 2012.
  56. ^ Il generale Subranni, su ricerca.repubblica.it, la Repubblica, 10 marzo 2012. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato il 4 novembre 2014).
    «Dice Subranni: «Le notizie di stampa sulla strage Borsellino, con riferimento alle accuse a me rivolte, sono totalmente false e in sede giudiziaria, ove necessario, fornirò ampie e incontrovertibili prove in tal senso»»
  57. ^ "Borsellino sapeva di morire ma scelse di sacrificarsi", su palermo.repubblica.it, la Repubblica, 3 febbraio 2012. URL consultato il 5 febbraio 2012 (archiviato il 13 febbraio 2018).
  58. ^ a b Le accuse della figlia di Borsellino. Rita: 'Sue parole Vangelo', su ansa.it, ANSA, 19 luglio 2017. URL consultato il 3 febbraio 2019 (archiviato il 22 ottobre 2018).
  59. ^ Targa per i magistrati, «Trentino», 22 maggio 2011, 17
  60. ^ L'aula della corte d'appello intitolata ai giudici Falcone e Borsellino, «L'Adige», 22 maggio 2011, 15

Bibliografia

  • Agnese Borsellino e Salvo Palazzolo, Ti racconterò tutte le storie che potrò , Feltrinelli, Milano 2013 ISBN 978-88-07-07030-3
  • Maurizio Calvi, Crescenzo Fiore, Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l'assassinio di G. Falcone e P. Borsellino, Dedalo, 1992 ISBN 978-88-220-6137-9
  • Giustizia e Verità. Gli scritti inediti di Paolo Borsellino, a cura di Giorgio Bongiovanni, Ed. Associazione Culturale Falcone e Borsellino, 2003
  • Rita Borsellino, Il sorriso di Paolo, EdiArgo, Ragusa, 2005
  • Umberto Lucentini, Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori 1994, riedito San Paolo 2004.
  • Giammaria Monti, Falcone e Borsellino: la calunnia il tradimento la tragedia, Editori Riuniti, 1996
  • Leone Zingales, Paolo Borsellino - una vita contro la mafia, Limina, 2005
  • Rita Borsellino, Fare memoria per non dimenticare e capire, Maria Pacini Fazzi Editore, 2002
  • Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco, L'agenda rossa di Paolo Borsellino, Chiarelettere, 2007
  • Fondazione Progetto Legalità Onlus in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia, La memoria ritrovata. Storie delle vittime della mafia raccontate dalle scuole, Palumbo Editore, 2005.

Voci correlate

Altri progetti

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19 dicembre 1986- 5 marzo 1992
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Collegamenti esterni

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