Pietro Scaglione

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Pietro Scaglione

Pietro Scaglione (Palermo, 2 marzo 1906Palermo, 5 maggio 1971) è stato un magistrato italiano, assassinato da Cosa nostra.

Con decreto del Ministero della Giustizia del 1991, previo parere favorevole del Consiglio Superiore della Magistratura, Pietro Scaglione fu riconosciuto "magistrato caduto vittima del dovere e della mafia".[1] Il Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'Interno, ha conferito al magistrato ucciso, con decreto del 9 giugno 2022, la Medaglia d'oro al merito civile alla memoria con la seguente motivazione: " Magistrato assurto ai più alti incarichi, sempre impegnato nella lotta alla criminalità organizzata, perse la vita in un agguato, unitamente all'Appuntato del Corpo degli Agenti di Custodia Antonio Lorusso, mentre era in auto, a seguito di colpi d'arma da fuoco. Straordinario esempio di senso del dovere e di spirito di sacrificio. 5 maggio 1971. Palermo". È sepolto nel Cimitero dei Cappuccini di Palermo.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

L'ingresso e la carriera nella magistratura[modifica | modifica wikitesto]

Dopo essere entrato in magistratura nel 1928 e dopo avere esordito in aula come pubblico ministero negli anni quaranta, Scaglione indagò sulla banda Giuliano e sulla strage di Portella della Ginestra[2]. Negli anni '50 preparò inoltre dure requisitorie contro gli assassini del sindacalista Salvatore Carnevale, ucciso nel 1955, negli anni del latifondismo e delle lotte contadine per la redistribuzione delle terre. La parte civile della famiglia Carnevale fu rappresentata dal futuro presidente della Repubblica, il socialista Sandro Pertini, e dagli avvocati Francesco Taormina e Nino Sorgi, anche loro socialisti. Si contrapposero ad un altro futuro presidente della Repubblica, il democristiano Giovanni Leone, difensore degli imputati (i campieri della famiglia aristocratica Notarbartolo). L'impianto accusatorio della Procura di Palermo (supportato dalla parte civile) fu, però, vanificato da altre corti.[3] Alla fine, dopo un lungo iter giudiziario tra assoluzioni e condanne in vari tribunali italiani, la Corte di Appello di Santa Maria di Capua Vetere condannò i campieri della principessa Notarbartolo all'ergastolo, accogliendo le intuizioni di Scaglione, Pertini, Sorgi e Taormina.

Il pomeriggio del 6 febbraio del 1954, nel carcere dell’Ucciardone a Palermo, il bandito Gaspare Pisciotta, ex esponente di primo piano della banda Giuliano, chiese di parlare con un magistrato: quello di turno in quel giorno era il Sostituto Procuratore Scaglione. Il colloquio tra i due durò a lungo e prende evidentemente una piega inattesa: Scaglione promise a Pisciotta di tornare in seguito con un cancelliere per verbalizzarne le dichiarazioni (una diversa rappresentazione dei fatti venne segnalata in un articolo di stampa dell'epoca che riportò, invece, come Pisciotta non fece alcuna dichiarazione in quanto avrebbe voluto parlare esclusivamente con il magistrato ma quest'ultimo avrebbe fatto presente che la legge imponeva la presenza di un cancelliere per la relativa verbalizzazione)[4].

In una lettera pubblicata in data 9 marzo 2018 dalla rivista Tessere con il titolo "Una precisazione sul ruolo del magistrato Scaglione", i familiari del procuratore assassinato scrissero: "Non è rispondente al vero la circostanza secondo cui il magistrato Scaglione non avrebbe verbalizzato le dichiarazioni di Pisciotta. Nel 1954, infatti, il dott. Pietro Scaglione, allora sostituto procuratore generale, previo incarico del dirigente dell’ufficio, si recò in carcere, per interrogare il detenuto Pisciotta, assistito da un segretario; il predetto Pisciotta si rifiutò però di rendere qualsiasi dichiarazione in quanto voleva «parlare a quattro occhi con un magistrato» senza la presenza di altre persone e senza alcuna documentazione delle sue dichiarazioni; il sostituto Scaglione allora gli fece presente che le norme di legge imponevano la presenza del segretario e la documentazione mediante verbale delle dichiarazioni; il Pisciotta rispose che, eventualmente dopo un periodo di riflessione, avrebbe richiamato il magistrato per rendere dichiarazioni. Questa è la ricostruzione dell’episodio come risulta dagli atti e dalle cronache giornalistiche dell’epoca (v. anche Riccardo Longone, «Pisciotta annunciò al magistrato gravissime rivelazioni», in “l’Unità” 14 febbraio 1954, pag. 1)".

Qualche giorno dopo, Pisciotta morì in carcere avvelenato con la stricnina e Scaglione fu il magistrato incaricato dell’istruttoria dell’omicidio, che si concluse con il rinvio a giudizio di un agente di custodia e di Filippo Riolo, boss mafioso di Piana degli Albanesi; nella sua requisitoria, Scaglione sottolineò il movente mafioso di quell'omicidio (“…tutto conclama che la soppressione del Pisciotta è un caratteristico delitto di vendetta ordito dalla mafia […] ponendosi così apertamente contro le leggi sovrane dell’omertà, il Pisciotta finì con l’irritare, oltre ogni limite di ragionevole sopportazione la suscettibilità della mafia e dei mafiosi”)[4]. Il processo si concluse tuttavia con l’assoluzione degli imputati con la formula dubitativa dell’insufficienza di prove[5].

Diventato Procuratore capo della Procura di Palermo nel 1962, Scaglione inquisì Salvo Lima, Vito Ciancimino ed altri politici locali e nazionali. Secondo la testimonianza del giornalista Mario Francese, ucciso nel 1979, Pietro Scaglione «fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni».[6]

Le inchieste giudiziarie e il volontariato[modifica | modifica wikitesto]

Scaglione indagò sulla strage di Ciaculli del 1963 e, grazie alle inchieste condotte dall'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo (guidato da Cesare Terranova) e dalla Procura della Repubblica (diretta da lui stesso) «le organizzazioni mafiose furono scardinate e disperse», e fu sciolta la Commissione provinciale di Cosa nostra, come si legge nella Relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia del 1976.[1]

Pietro Scaglione era impegnato anche nel volontariato e divenne Presidente del Consiglio di Patronato per l'assistenza alle famiglie dei carcerati e degli ex detenuti, promuovendo, tra l'altro, la costruzione di un asilo nido; per queste attività sociali, gli fu conferito dal Ministero della giustizia il Diploma di primo grado al merito della redenzione sociale, con facoltà di fregiarsi della relativa medaglia d'oro.

L'agguato a Palermo e la morte[modifica | modifica wikitesto]

Lapide commemorativa posta sul luogo dell'attentato

La mattina del 5 maggio 1971 Scaglione, mentre percorreva via dei Cipressi a Palermo a bordo di una Fiat 1500 nera guidata dall'agente di custodia Antonino Lorusso, venne bloccato da un'altra automobile da cui uscirono due o tre persone che fecero fuoco con pistole calibro 9 e 38 Special, freddando all'istante Scaglione e il suo autista[7][8].

Le reazioni alla morte[modifica | modifica wikitesto]

La relazione di minoranza della Commissione Parlamentare Antimafia – redatta nel 1976 dal deputato del Movimento Sociale Italiano Giorgio Pisanò – alimentò polemiche sull'uccisione del magistrato. Pisanò sostenne che sulla figura del procuratore Scaglione e del presidente del tribunale Nicola La Ferlita, pesavano forti sospetti di avere favorito la fuga del boss mafioso Luciano Leggio nel 1969[9].

Tuttavia, il Csm e l'autorità giudiziaria di Firenze, sin dal 1971, avevano già escluso qualsiasi responsabilità del procuratore Scaglione nella fuga e nella latitanza del boss Luciano Liggio. La magistratura accertò che Scaglione assunse sempre «numerose e rigorose iniziative giudiziarie» a carico di Luciano Liggio e di altri boss.[10]

Le indagini sull'assassinio[modifica | modifica wikitesto]

Le prime indagini sul delitto si concentrarono sul boss Gerlando Alberti (mafioso del rione Danisinni che operava prevalentemente a Milano)[11], che era stato visto a Palermo nei giorni dell'omicidio da un confidente del capitano Giuseppe Russo, il barista Vincenzo Guercio, che scomparve nel nulla qualche tempo dopo[12][13][14]. La sparizione di Guercio fu all'origine del cosiddetto "Rapporto dei 114" del giugno 1971 (Albanese Giuseppe + 113), redatto congiuntamente da Polizia e Carabinieri guidati dall'allora colonnello Carlo Alberto dalla Chiesa e dal commissario Boris Giuliano, il quale denunciava centinaia di mafiosi per associazione a delinquere[13][14][15]; il Rapporto, citando l'omicidio del procuratore Scaglione insieme alla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro (16 settembre 1970) e gli attentati dinamitardi contro enti e uffici pubblici di Palermo (31 dicembre 1970), affermava che questi fatti "non hanno precedenti nelle manifestazioni criminose dell'Isola perché appaiono talmente aberranti da far ritenere che si agitino o si occultino a monte degli esecutori materiali grossissimi interessi ai quali non sarebbero estranei ambienti e personaggi legati al mondo politico ed economico-finanziario e che, in forma più o meno occulta, hanno fatto ricorso, dal Dopoguerra in poi, a sodalizi di mafia per conseguire iniziali affermazioni nei più svariati settori."[16].

Nel 1974 il mafioso Benedetto La Cara, uno dei denunciati nel "Rapporto dei 114" perché appartenente alla banda di Gerlando Alberti[13], scrisse un memoriale per l'Autorità Giudiziaria nel quale affermava che "Scaglione è stato ucciso da killer assoldati da alcuni deputati siciliani della DC e dell'MSI in combutta con un alto magistrato e alcune frange di carabinieri e poliziotti[17][18].

Lo scrittore Pier Paolo Pasolini (ucciso nel 1975 a Roma) collegò l’uccisione di Scaglione con la scomparsa di De Mauro e con l’omicidio del Presidente dell’Eni Enrico Mattei ("impegnato in una politica filoaraba e terzomondista").[19]

Nel 1984 il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta dichiarò al giudice Giovanni Falcone che Scaglione era «un magistrato integerrimo e spietato persecutore della mafia» e il suo omicidio era stato organizzato ed eseguito da Luciano Leggio e dal suo vice Salvatore Riina con l'approvazione di Giuseppe Calò (capo del rione Danisinni in cui avvenne il delitto) per danneggiare il loro avversario Gaetano Badalamenti poiché il procuratore Scaglione voleva riesaminare la posizione processuale dei Rimi di Alcamo, parenti di Badalamenti[8][20][21]. Nel 1987 il collaboratore Antonino Calderone dichiarò sempre al giudice Falcone che l'omicidio di Scaglione faceva parte di una serie di azioni eversive attuate da esponenti mafiosi in seguito al fallito Golpe Borghese, in cui si potevano inquadrare anche la sparizione del giornalista De Mauro, le bombe esplose a Palermo nel Capodanno 1971 e il ferimento del deputato missino Angelo Nicosia[22][23]. Nel 1992, durante un'audizione della Commissione Parlamentare Antimafia, Buscetta confermò le dichiarazioni di Calderone ed aggiunse nuovi particolari rispetto alle precedenti dichiarazioni, affermando che «Luciano Liggio stabilì di sua volontà di creare un clima di tensione nell'ambiente politico per preparare il colpo di Stato (il Golpe Borghese). Ognuno prese le sue mosse su quale fosse il politico da colpire […] L'obiettivo di Luciano Liggio fu il procuratore Scaglione»[24]. Motivazione ulteriore e più plausibile per il suo assassinio viene rintracciata nel fatto che il giorno successivo il procuratore Scaglione era atteso in tribunale a Milano per testimoniare sulla telefonata compromettente di Antonino Buttafuoco (commercialista) all'avvocato Vito Guarrasi poco dopo il rapimento di Mauro De Mauro, telefonata che avrebbe incastrato l'avvocato consulente in Sicilia del potentissimo presidente dell'ENI, Eugenio Cefis.[25]

Tuttavia nel gennaio 1991 il giudice istruttore di Genova Dino Mattei, che si occupava delle indagini, dichiarò di non doversi procedere nei confronti dei presunti responsabili dell'omicidio del procuratore Scaglione (Gaetano Fidanzati, Gerlando Alberti e il figlio, Salvatore Riina, Luciano Leggio, Pippo Calò, Francesco Scaglione, Pietro D'Accardio e Francesco Russo) in quanto «non è stato possibile individuare nei confronti di questi imputati gli elementi convincenti di accusa, come ad esempio il rinvenimento delle armi usate o testimonianze dirette, che giustifichino il passaggio alla fase dibattimentale»[8].

Il 12 ottobre 1994, nel carcere di Memphis, il maresciallo Antonino Lombardo insieme al collega Mario Obinu incontrò il boss Gaetano Badalamenti per cercare di ottenere la sua collaborazione e quindi di riportarlo in Italia per testimoniare al processo per il delitto Pecorelli. Badalamenti ammise innanzitutto di aver fatto parte di Cosa Nostra e di aver ricoperto ruoli di vertice e ha ricordato che a seguito dell’omicidio Scaglione, egli, unitamente ad altri mafiosi confinati, venne convocato in questura a Messina, dove, ad espressa richiesta di notizie sull’omicidio da parte del vice questore Angelo Mangano, rispose di essere a conoscenza del fatto che quel morto era stato voluto da persone ben più altolocate del Mangano stesso. Tale risposta, composta e precisa, gli sarebbe costata sei mesi e sei giorni di isolamento. Tuttavia il rimpatrio e la collaborazione di Badalamenti non ebbero seguito, limitandosi soltanto a queste timide ammissioni.[26][27][28]

La pista corleonese, anticipata da Tommaso Buscetta, ha trovato successivo riscontro nelle intercettazioni ambientali delle conversazioni svoltesi in carcere, il 31 agosto 2013, tra Salvatore Riina e il detenuto Alberto Lo Russo, acquisite agli atti nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Nel corso di questi colloqui, Riina indica Bernardo Provenzano come uno degli esecutori del delitto, aggiungendo «Al Procuratore Scaglione lo abbiamo ammazzato, stava andando al cimitero a trovare la moglie e ci spararono. Tun, tun, tun. Allora i Procuratori morivano così»[29].

Le testimonianze di Pietro Grasso, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.[modifica | modifica wikitesto]

Nel libro la Mafia Invisibile, il superprocuratore antimafia Pietro Grasso (intervistato da Saverio Lodato) si occupa ampiamente dell'omicidio Scaglione affermando, tra le altre cose: «Ricordo le prime campagne di delegittimazione sulla figura del magistrato. Ricordo che circolarono certe voci per gettare ombre sulla sua attività: calunnie poi categoricamente smentite dalle indagini successive. Scaglione aveva sempre tenuto un atteggiamento coerente e rigoroso nei confronti di una criminalità che allora era ancora difficilmente decifrabile come mafiosa».[30]. Il giudice Giovanni Falcone,a sua volta, scrisse: «L'uccisione di Pietro Scaglione, Procuratore della Repubblica di Palermo, aveva comunque lo scopo di dimostrare a tutti che Cosa nostra non soltanto non era stata intimidita dalla repressione giudiziaria, ma che era sempre pronta a colpire chiunque ostacolasse il suo cammino»[31]. Il Procuratore Paolo Borsellino, in una intervista del 1987, affermò: «A partire dagli anni settanta la mafia condusse una campagna di eliminazione sistematica degli investigatori che intuirono qualcosa. Le cosche sapevano che erano isolati,che dietro di Loro non c'era lo Stato e che la loro morte avrebbe ritardato le scoperte. Isolati,uccisi quegli uomini furono persino calunniati. Accadde così per Scaglione...».[32].

Influenza culturale[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b http://www.antimafiaduemila.com/content/view/27928/48/[collegamento interrotto]
  2. ^ Quando la mafia uccise il procuratore Pietro Scaglione, mio nonno, su Famiglia Cristiana. URL consultato il 16 settembre 2021.
  3. ^ Scaglione, De Mauro e il Golpe Borghese. Un intrigo politico lungo 40 anni (archiviato dall'url originale il 4 dicembre 2008).
  4. ^ a b Pietro Scaglione sul sito ufficiale del CSM, su csm.it.
  5. ^ La Sicilia del bandito Giuliano - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 16 settembre 2021.
  6. ^ Copia archiviata, su antimafiaduemila.com. URL consultato il 26 dicembre 2010 (archiviato dall'url originale il 23 novembre 2010).
  7. ^ Capitolo III. La mafia urbana (PDF), in Relazione finale della Commissione Parlamentare Antimafia VI LEGISLATURA.
  8. ^ a b c OMICIDIO SCAGLIONE SONO STATI PROSCIOLTI TUTTI GLI IMPUTATI - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 9 febbraio 2021.
  9. ^ on. Giorgio Pisanò, Mafia, politica e poteri pubblici attraverso la storia di Luciano Leggio (PDF), in Relazione di minoranza della Commissione Parlamentare Antimafia VI LEGISLATURA.
  10. ^ Processo De Mauro, parla la famiglia del magistrato Scaglione (archiviato dall'url originale il 17 giugno 2016).
  11. ^ VECCHI E NUOVI PEZZI DA NOVANTA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 12 febbraio 2021.
  12. ^ GLADIO, MASSONI, COSCHE NEL ' GIALLO' DE MAURO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 10 febbraio 2021.
  13. ^ a b c Allegato n. 2 Cenni biografici su Gerlando Alberti (PDF), Documenti della Commissione Parlamentare Antimafia - VI LEGISLATURA.
  14. ^ a b Capitolo IV. Le ramificazioni territoriali della mafia (PDF), Relazione finale della Commissione Parlamentare Antimafia - VI LEGISLATURA.
  15. ^ Relazione della Commissione Parlamentare Antimafia- VI LEGISLATURA (PDF).
  16. ^ Rapporto di denunzia contro Albanese Giuseppe + 113 (PDF)., p. 24.
  17. ^ Ferruccio Pinotti, Antonio Scaglione: «l’omicidio di mio padre era legato al golpe Borghese e al caso De Mauro», su Corriere della Sera, 12 maggio 2020. URL consultato il 10 febbraio 2021.
  18. ^ Mario Francese, Liggio il processo se lo fuma, in Giornale di Sicilia, 8 aprile 1978.
  19. ^ A 49 anni dall'assassinio mafioso del procuratore Pietro Scaglione, ricordiamo il "magistrato integerrimo", su cittanuove-corleone.net. URL consultato il 18 dicembre 2021.
  20. ^ E LEGGIO SPACCO' IN DUE COSA NOSTRA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 9 febbraio 2021.
  21. ^ Ordinanza contro Michele Greco+18 per gli omicidi Reina-Mattarella-La Torre (PDF).
  22. ^ Interrogatorio del collaboratore di giustizia Antonino Calderone (PDF).
  23. ^ E UN ALTRO PENTITO RIBADISCE LE ACCUSE 'VI RIVELO I RAPPORTI MAFIA - P - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 9 febbraio 2021.
  24. ^ Testimonianza di Tommaso Buscetta dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia - IX Legislatura
  25. ^ Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti, Introduzione, in Steimetz, Giorgio, "Questo è Cefis", Terza edizione, Milano, Effigie, 2014, p. XXI.
  26. ^ Le confidenze di don Tano - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 25 ottobre 2022.
  27. ^ Bruno De Stefano, La seconda visita negli USA, in I boss che hanno cambiato la storia della malavita, 1ª ed., Roma, Newton & Compton, 2018, pp. 90-94, ISBN 9788822720573.
  28. ^ Bruno De Stefano, Le visite negli USA, in I boss che hanno cambiato la storia della malavita, 1ª ed., Roma, Newton & Compton, 2018, pp. 86-90, ISBN 9788822720573.
  29. ^ Il Corriere della Sera, 1º settembre 2014, p. 17
  30. ^ Lodato-Grasso, La mafia invisibile. La nuova strategia di Cosa Nostra, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001, p. 91 ss.
  31. ^ G. Falcone, Interventi e proposte, Sansoni editore,1994,p.310.
  32. ^ in L'Ora, 2 febbraio 1987,p. 10.
  33. ^ Il contesto | Leonardo Sciascia, su Adelphi Edizioni. URL consultato il 21 febbraio 2021.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Enrico Bellavia, Un uomo d'onore, BUR Rizzoli, Milano, 2010, ISBN 978-88-17-03895-9
  • Attilio Bolzoni; Giuseppe D'Avanzo, Il capo dei capi. Vita e carriera criminale di Toto Riina, BUR saggi, Milano, 2007, ISBN 978-88-17-01924-8
  • Vincenzo Ceruso, Uomini contro la Mafia. Da Giovanni Falcone a Paolo Borsellino, da Libero Grassi a Carlo Alberto Dalla Chiesa: storia degli uomini in lotta contro la criminalita organizzata, Newton & Compton, Roma, 2008, ISBN 978-88-541-1323-7
  • Riccardo De Sanctis, Delitto al potere. Controinchiesta, Samonà e Savelli, Roma, 1972
  • John Dickie, Cosa nostra. Storia della mafia siciliana, traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti, Laterza, Bari, 2005, ISBN 88-420-7273-7
  • Piero Grasso; Saverio Lodato, La mafia invisibile. La nuova strategia di Cosa nostra, Mondadori, Milano, 2001, ISBN 88-04-49569-3
  • Giuseppe Carlo Marino - Pietro Scaglione, L'Altra Resistenza. Storie di eroi antimafia e lotte sociali in Sicilia. Paoline 2014.
  • Giuseppe Carlo Marino, Storia della mafia. Dall'Onorata società a Cosa nostra, sull'itinerario Sicilia-America-mondo, la ricostruzione critica di uno dei più inquietanti fenomeni del nostro tempo e delle eroiche lotte per combatterlo, Newton & Compton, Roma, 1999, ISBN 88-8289-007-4
  • Giuseppe Lo Bianco - Sandra Rizza, Profondo Nero. Mattei, De Mauro, Pasolini. Un'unica pista alle origini delle stragi di stato. Edizioni Chiarelettere 2020.
  • Mafia. L'atto d'accusa dei giudici di Palermo, a cura di Corrado Stajano, Editori riuniti, Roma, 1986, ISBN 88-359-2954-7
  • Stefania Pipitone L'ORA delle battaglie. Indole ribelle di un piccolo quotidiano che cambiò il modo di fare giornalismo. Mohicani Edizioni, Palermo, 2015.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]