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Gruppo di fuoco di Brancaccio[modifica | modifica wikitesto]

Mappa della città di Palermo, in rosso l'unità di primo livello di Brancaccio-Conte Federico

Il gruppo di fuoco di Brancaccio o gruppo di fuoco dei Graviano è stato un gruppo di fuoco legato a Cosa Nostra, nato nel quartiere palermitano di Brancaccio.

Ogni mandamento ha il proprio gruppo di fuoco, che è formato dai migliori killer provenienti dalle cosche di quel mandamento.[1][2] Il gruppo di fuoco di Brancaccio nacque a fine anni ottanta ed era il gruppo dell'omonima cosca. Ufficialmente tutti i primi killer del gruppo capeggiato dai fratelli Graviano facevano parte del gruppo di fuoco di Ciaculli. Solo nel 1990, in seguito dell'arresto di Giuseppe Lucchese, il gruppo di fuoco diventò il gruppo ufficiale del mandamento di Brancaccio. Come per quello di Ciaculli, esso era formato da uomini d'onore provenienti dalle quattro cosche che componevano il mandamento: Ciaculli, Brancaccio, Roccella e Corso dei Mille.[3]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Contesto[modifica | modifica wikitesto]

Fino al 1985, il quartiere di Brancaccio, faceva parte del potente mandamento di Ciaculli. Secondo i pentiti Francesco Marino Mannoia e Pino Marchese, nel 1985 il boss di Ciaculli, Giuseppe "Pino" Greco, venne ucciso a colpi di pistola da Giuseppe Lucchese e da Vincenzo Puccio in una villa tra Bagheria e Ficarazzi, su ordine di Salvatore Riina.[4] Dopo la morte di Greco, il mandamento si tramutò in Brancaccio-Ciaculli, dall'unione delle due omonime famiglie più potenti del mandamento, e il nuovo capo divenne Vincenzo Puccio, capo della cosca di Ciaculli e del legato gruppo di fuoco.[3]

Giuseppe Lucchese[modifica | modifica wikitesto]

Il regno di Puccio durò molto poco, nell'ottobre del 1986 venne arrestato e il mandamento passò, anche se non ufficialmente[N 1], al boss Giuseppe Lucchese, capo del gruppo di fuoco di Ciaculli e legato alla famiglia di Ciaculli.[5][6] Con Lucchese alla guida del mandamento, in poco tempo, emersero due nuove figure provenienti dalla famiglia di Brancaccio. Formalmente combinati dal capo della cosca, Pino Savoca, i fratelli Graviano[N 2], Giuseppe e Filippo, incominciarono ad acquisire potere all'interno del mandamento e della cosca di Brancaccio.[6] Il 29 settembre 1987, un gruppo di sicari, guidati da Giuseppe Lucchese e composto da: Giovanni Drago, Antonino e Lorenzo "Renzino" Tinnirello e da un giovane Giuseppe Graviano, pupillo di Lucchese, si ritrovarono lungo la statale per Bagheria, fra il mare e la campagna.[6] Il loro obbiettivo era uno dei superkiller più fidati di Riina, Mario Prestifilippo, la Cupola aveva deciso di eliminarlo perché temeva che potesse vendicare Pino Greco, suo grande amico e suo parente.[7] Quando Renzino diede il segnale, i killer, nascosti dietro ad un abbeveratoio, si affiancarono con la loro auto a Prestifilippo, che viaggiava in motorino, e fecero fuoco. Il primo a sparare fu Giuseppe Graviano, seguito da Antonino Tinnirello. Mentre il superkiller giaceva a terra in una pozza di sangue, Lucchese scese di corsa dalla moto e, con la sua calibro 38, sparò tre colpi sul corpo senza vita di Prestifilippo.[6]

Durante una riunione mafiosa avvenuta nell'aprile del 1989 vicino a Villa Serena, sulla circonvallazione, alla quale parteciparono vari vertici dei mandamenti di Palermo[N 3], Salvatore Riina decise di eliminare il boss Vincenzo Puccio.[8] In rappresentanza del mandamento di Brancaccio-Ciaculli erano presenti Giuseppe Lucchese, reggente del mandamento, Giuseppe Graviano, Giovanni Drago, Renzino Tinnirello e Francesco Tagliavia.[8] Puccio si trovava in carcere dall'ottobre del 1986 e secondo Riina stava tramando contro i Corleonesi e i suoi alleati. Il capo dei capi ordinò a Drago di comunicare ai compagni di cella di Puccio, Giuseppe e Antonino Marchese, di eliminare il boss di Ciaculli, e ordinò a Lucchese di occuparsi, lui e i suoi killer, degli altri "traditori".[9] L'11 maggio 1989 Vincenzo Puccio venne ucciso dai compagni di cella e, meno di un'ora dopo, nel Cimitero dei Rotoli di Palermo, venne ucciso a colpi di pistola, anche il fratello Pietro Puccio.[9][10][11] Il 5 luglio dello stesso anno venne ucciso per strada a Palermo un terzo fratello di Puccio, Antonino.[12] Dopo la morte di Puccio, Lucchese divenne a tutti gli effetti capo del mandamento di Brancaccio-Ciaculli.

L'8 marzo 1990 venne arrestato a Palermo, in corso Calatafimi, Giovanni Drago, killer del gruppo di fuoco di Ciaculli e uomo d'onore legato alla famiglia di Brancaccio.[13][2] A seguito del primo arresto di Filippo Graviano, avvenuto il 21 agosto 1985 a Casteldaccia, Giovanni Drago, combinato da Vincenzo Buccafusca nel 1986, divenne un fedelissimo di Giuseppe Graviano.[14][15] Secondo lo stesso Drago, divenuto collaboratore di giustizia nel dicembre del 1992, durante il periodo di detenzione di Filippo Graviano, Giuseppe Graviano gestiva la cosca di Brancaccio e il relativo gruppo di fuoco coadiuvato dallo stesso Drago. Dopo aver finito di scontare la condanna del maxiprocesso, il 21 agosto 1990 Filippo Graviano uscì dal carcere e riprese il suo ruolo all'interno della cosca affiancando il fratello.[16]

Grazie all'aiuto di Francesco Marino Mannoia, divenuto collaboratore di giustizia nel 1989, il 1º aprile 1990 venne arrestato a Palermo, dopo nove anni di latitanza, il boss di Ciaculli Giuseppe Lucchese.[17] A succedergli come reggenti del mandamento, saranno Filippo e Giuseppe Graviano.

Fratelli Graviano[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Famiglia Graviano e Bombe del 1992-1993.

Con l'arresto di Giuseppe Lucchese, Riina nominò i fratelli Graviano come i reggenti del mandamento di Brancaccio-Ciaculli che, per volere del boss corleonese, il quartiere di Brancaccio ne divenne la nuova e unica sede.[16][18] Sotto la loro reggenza il gruppo di fuoco di Ciaculli confluì in quello della cosca di Brancaccio, formato dai più fedeli killer dei Graviano. Il nuovo gruppo di fuoco era formato da: Antonino "Nino" Mangano, capo della cosca di Roccella e coordinatore sul campo, Cristofaro "Fifetto" Cannella, Salvatore Benigno, Cosimo Lo Nigro, Vittorio Tutino, Salvatore Grigoli, Gaspare Spatuzza, Francesco Giuliano, Pepuccio Barranca, Francesco Tagliavia, Renzino Tinnirello e Antonino Tinnirello.[19][20][21]

Via D'Amelio[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di via D'Amelio.

Durante una riunione a Castelvetrano avvenuta a fine 1991, Salvatore Riina e altri componenti della Cupola, decisero i loro futuri obbiettivi, iniziando così la stagione delle stragi.[22]

Maurizio Costanzo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Attentato di via Fauro.

Dopo Falcone e Borsellino, il primo della lista era divenuto Maurizio Costanzo, che insieme a Michele Santoro aveva condotto, nel settembre del 1991, una maratona televisiva contro la mafia, trasmessa a reti unificate su Rai 3 e Canale 5. La maratona fu dedicata a Libero Grassi, un imprenditore tessile siciliano assassinato nell'agosto del 1991 per essersi rifiutato di pagare il pizzo e per aver denunciato pubblicamente i mafiosi.[23]

Nel febbraio del 1992, un commando composto da mafiosi di Brancaccio e di Trapani (Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori, Renzino Tinnirello, Fifetto Canella e Francesco Geraci) arrivò a Roma per eliminare Giovanni Falcone, l'allora Ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli e il giornalista Maurizio Costanzo.[24] L'esplosivo e le armi per gli attentati erano arrivati a febbraio dalla Sicilia, nascosti in un'intercapedine del camion di Giovanbattista Consiglio, un mafioso di Mazara del Vallo.[23] Il commando però non riuscì a rintracciare i primi due obbiettivi, così decisero di occuparsi di Maurizio Costanzo. Una sera Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro si recarono al teatro Parioli e assistettero al Maurizio Costanzo Show.[25] Tuttavia, Riina ordinò a Sinacori di sospendere tutto e di tornare in Sicilia perché "avevano trovato cose più importanti giù". Dopo l'arresto di Salvatore Riina (15 gennaio 1993), i boss legati al clan corleonesi continuarono la strategia stragista.

Nel maggio del 1993, alcuni killer di Brancaccio tornarono nella Capitale per occuparsi del presentatore televisivo. L'esplosivo era già a Roma ed era stato nascosto, durante la spedizione dell'anno precedente, in viale delle Alzavole 20.[22] Il commando di killer, tutti del gruppo di fuoco di Brancaccio, era formato da Pepuccio Barranca, Salvatore Benigno, Gaspare Spatuzza, Francesco Giuliano, Cosimo Lo Nigro e Fifetto Cannella, responsabile della spedizione. Il commando soggiornò da un uomo di fiducia di Matteo Messina Denaro che abitava a Roma, Anronio Scarano, soprannominato Saddam, un usuraio e spacciatore di origini calabresi.[26][27] Il 13 maggio i killer rubarono una Fiat Uno e la portarono in un garage fornito da Scarano presso il centro commerciale "Le Torri", a Tor Bella Monaca. Lì Benigno e Lo Nigro si occuparono di riempire l'auto con l'esplosivo e di preparare il telecomando. La stessa sera, l'auto venne collocata in via Fauro.[26][28] La sera seguente, Maurizio Costanzo e la sua compagna Maria De Filippi, dopo aver concluso una puntata del suo show al teatro Parioli, salirono su una Mercedes blu guidata da Stefano Degni. L'auto, seguita da una Lancia Thema con a bordo due guardie del corpo del presentatore, Fabio De Palo e Aldo Re, imboccò via Ruggero Fauro, una lunga e stretta strada parallela a viale dei Parioli. Alle 21.35, mentre la Mercedes stava svoltando per via Umberto Boccioni, ci fu una enorme esplosione che provocò un cratere largo circa tre metri e profondo quaranta centimetri. I due conduttori e gli agenti della scorta rimasero illesi o lievemente feriti. I feriti totali furono ventiquattro e le macchine colpite furono più di sessanta.[29] Quella sera i killer di Brancaccio si aspettavano la solita Alfa Romeo 164 sulla quale il giornalista viaggiava abitualmente, ma quel giorno Costanzo diede all'autista serata libera e il sostituto era arrivato con una Mercedes blu. Quando Benigno vide passare la Mercedes, esitò un attimo prima di premere il bottone del telecomando che fece esplodere la Uno imbottita di quasi cento di nitroglicerina, tritolo, T4 e pentrite.[30][26] Giuseppe Graviano non tollerò il fallimento del commando, per questo motivo estromise Fifetto Cannella, ritenuto responsabile del fallimento, da tutte le altre operazioni.[31]

Il 22 maggio 1993 venne arrestato il boss Francesco Tagliavia, detto Ciccio e soprannominato il Gioielliere, capo della cosca di Corso dei Mille e importante uomo d'onore del mandamento di Brancaccio.[32][33][34][35] Tagliavia era latitante dal 1989, da quando il pentito Francesco Marino Mannoia lo incluse tra i componenti del sanguinario gruppo di fuoco di Ciaculli.[32][36] Ciccio Tagliavia, accusato di aver commesso 26 omicidi tra il 1988 e il 1989, fu tra gli esecutori materiali della strage di via D'Amelio e fu uno dei mandanti delle bombe di Firenze, Milano e Roma e del fallito attentato di via Fauro.[35]

Via dei Georgofili[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di via dei Georgofili.

Milano[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di via Palestro.

Roma[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Attentati alle chiese di Roma.

Don Pino Puglisi[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Pino Puglisi.

Il 29 settembre 1990 don Giuseppe Puglisi venne nominato nominato parroco della chiesa di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio. Il quartiere, regno indiscusso dei fratelli Graviano, era in un completo stato d'abbandono da parte dello Stato e delle istituzioni.[37] Don Puglisi avviò quindi una campagna di risanamento e rinnovamento del quartiere, riuscendo a prendere sotto la propria protezione ragazzi e bambini che, senza il suo aiuto, sarebbero stati inevitabilmente risucchiati dal mondo mafioso. Nel 1992 venne nominato direttore spirituale presso il seminario arcivescovile di Palermo e il 29 gennaio 1993 inaugurò a Brancaccio il centro Padre Nostro per la promozione umana e la evangelizzazione.[37]

BAGARELLA

Il 29 giugno 1993, all'una di notte, due uomini dei fratelli Graviano, Salvatore Grigoli, Gaspare Spatuzza e lo specialista in raid incendiari Vito Federico, si recarono, armati di bottiglie piene di benzina, in uno dei grandi condomini di via Azolino Hazon.[38] I tre uomini di Brancaccio, una volta dentro, salino di corsa le scale. Il primo si fermò al quinto piano, il secondo al settimo piano e l'ultimo al decimo piano. Il loro compito era quello di incendiare le porte di casa di tre persone, Pino Martinez, Giuseppe Guida e Mario Romano, impegnate con il parroco Pino Puglisi in un percorso di riscatto del quartiere. In quel periodo il parroco e il Comitato intercondominiale[N 4] avevano iniziato, tramite piccoli gesti, ad accendere i riflettori su quella parte di città dimenticata dalla politica e dalla società civile.[38] Dopo aver incendiato le tre porte, i tre emissari dei Graviano uscirono dal palazzo scapparono con una Fiat Uno rubata e su uno scooter guidato da un complice. Giuseppe Graviano affidò ai tre uomini un altro compito, dare fuoco a una tabaccheria in piazza dei Signori siccome il titolare non voleva pagare il pizzo. Questo per i padrini di Brancaccio era un chiaro segnale di ribellione da parte dei cittadini del quartiere.[39] Il giorno dopo don Pino durante l'omelia della messa domenicale disse con parole accorate: "Vorrei capire quali sono i motivi che vi spingono ad ostacolare chi sta operando per tentare di realizzare a Brancaccio una scuola media, un distretto socio-sanitario, una società migliore per tutti i nostri figli. Parliamone, discutiamone... chi usa la violenza non è un uomo; chi si macchia di atroci delitti è simile alle bestie".[39]

MANCA OMICIDIO

Giuseppe Di Matteo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Omicidio di Giuseppe Di Matteo.

Il 13 o 14 novembre 1993, i boss Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro e Leoluca Bagarella convocarono Giovanni Brusca, soprannominato 'u verru e capo del mandamento di San Giuseppe Jato, a Misilmeri. [40]I tre boss volevano mettere in difficoltà il padrino jatino siccome, nell'estate del 1992, aveva ricevuto l'ordine di uccidere Balduccio Di Maggio ma perse tempo permettendogli di fuggire nel Nord Italia. Di Maggio venne arrestato nel gennaio del 1993 e decise di divenire collaboratore di giustizia.[41] Aiutò il capitano Ultimo ad individuare Totò Riina e Salvatore Biondino, i quali vennero arrestati il 15 gennaio 1993.[42] Dal mandamento di Brusca provenivano i più importanti pentiti di quel periodo, da Balduccio Di Maggio a Santino Di Matteo e dal 25 novembre 1993 anche Gioacchino La Barbera. Anche Bagarella si trovava in difficoltà, suo cognato Pino Marchese, fratello di sua moglie Vincenzina, era stato il primo pentito legato al clan dei corleonesi. Anche suo cugino Giovanni Drago era divenuto un collaboratore di giustizia.[40] Ma i boss di Brancaccio e Castelvetrano non avevano nulla da perdere, così decisero di dover rapire e uccidere un parente di uno dei pentiti, per farlo tacere e per evitarne di nuovi. Fu proprio il Graviano a suggerire la vittima: il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di Santino Di Matteo, soprannominato Mezzanasca e uomo d'onore di Altofonte. Da qualche mese Mezzanasca stava facendo importanti dichiarazioni sulla strage di Capaci.[43] Tramite Nino Mangano, Giuseppe Graviano convocò i suoi più fidati killer del gruppo di fuoco di Brancaccio. Il gruppo era formato da Salvatore Grigoli, Gaspare Spatuzza, Francesco Giuliano, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone e Fifetto Cannella.[44] Quest'ultimo venne nominato dai Graviano garante per lo scambio del ragazzo con gli uomini di Giovanni Brusca.[45] I killer, per non farsi riconoscere, si procurarono parrucche, baffi finti, un lampeggiante e palette simili a quelle in dotazione alle forze dell'ordine.[46] Giuseppe Di Matteo frequentava il maneggio dei fratelli Vitale, Nicolò e Salvatore (l'ultimo era uomo d'onore della famiglia di Roccella), situato a Villabate. Il cavallo del ragazzo, quello della foto che fece il giro del mondo, glielo regalò Giuseppe Graviano in persona, pagandolo 35 milioni di lire.[47]

Il 23 novembre 1993 il killer, camuffati con parrucche e occhiali da sole, si diressero al maneggio dei Vitale. Fu Fifetto Cannella a comunicare al gruppo che il figlio di Santino Di Matteo era arrivato al galoppatoio.[48] Giuseppe si stava cambiando, quando arrivarono i killer di Brancaccio con addosso delle pettorine con scritto "Polizia di Stato". Salvatore Grigoli disse al ragazzo di andare con loro, che lo avrebbero portato dal padre.[49][48] Le due auto dei killer, una Fiat Croma, sulla quale c'era il piccolo Giuseppe, e una Fiat Uno, si diressero verso l'autostrada per Agrigento. Uscirono al primo svincolo e, verso le sei di sera, arrivarono in un villino di Misilmeri dove li stava attendendo Salvatore Benigno, soprannominato 'u Picciriddu.[50] I killer fecero entrare il ragazzo dentro la casa e si misero ad aspettare Brusca. Brusca comunicò a Graviano che non era al corrente del rapimento e che non era pronto, così Graviano ordinò a Cannella di portarglielo. Dopo due ore dall'arrivo a Misilmeri, i killer fecero salire il piccolo Di Matteo su un furgoncino. Il piccolo furgone, preceduto dalla Fiat Uno e seguito dalla Reanult Clio di Benigno, imboccò l'autostrada per Catania. Il convoglio uscì allo svincolo di Buonfornello, prese la Ss 113 in direzione Messina e si fermò poco dopo.[51] Cannella scese dalla Uno e salì su una Peugeot parcheggiata ai margini della carreggiata. Il convoglio ripartì e dopo alcuni chilometri raggiunse una casa di campagna. Mentre le altre vetture si fermarono, la Peugeot continuò per un centinaio di metri. Cannella scese dall'utilitaria francese e si avvicinò a Giovanni Brusca, che gli stava venendo incontro. I due si misero a parlare, e dopo un po' il killer di Brancaccio tornò al convoglio. Due uomini di Brusca dopo avergli messo in testa un passamontagna con i buchi per gli occhi in corrispondenza della nuca, fecero scendere il piccolo Di Matteo dal Fiorino e lo portarono nel capannone adiacente la casa di campagna. Giuseppe venne legato a una rastrelliera attaccata al muro da Benedetto Capizzi e Michelino Traina.[51] Giuseppe Di Matteo venne tenuto prigioniero da Giovanni Brusca e, dopo 779 giorni, l'11 gennaio 1996 venne strangolato e sciolto nell'acido da Enzo Salvatore Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo.[52]

Stadio Olimpico di Roma[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma.

Arresto[modifica | modifica wikitesto]

Dopo tre mesi di intercettazioni e pedinamenti, una delle fonti dei Carabinieri comunicò che l'uomo che stavano controllando, un infermiere di nome Salvatore Spataro, si sarebbe diretto a Milano. Il 26 gennaio 1994 i carabinieri seguirono l'infermiere che, con la moglie e i due figli, prese un treno dalla stazione centrale di Palermo per il capoluogo lombardo. Alcuni agenti palermitani si diressero con un aereo nel Nord Italia e avvertirono i loro colleghi del nucleo operativo di Milano del loro arrivo.[53] La famiglia Spataro viaggiava con un'altra famiglia, quella di Giuseppe D'Agostino, cognato dell'infermiere. L'obbiettivo principale dei carabinieri era Spataro, non erano a conoscenza che D'Agostino era un uomo molto legato ai fratelli Graviano e a Fifetto Cannella.[54] Alle tre di pomeriggio del 27 gennaio, i militari individuarono ad una fermata del taxi Spataro e D'Agostino, in compagnia di Giuseppe Graviano e della sua compagna, Bibiana Galdi. Decisero di non intervenire, ma di pedinarli. Dopo aver fatto compere tra i negozi più costosi della città, il boss di Brancaccio e la sua compagna presero un taxi che si fermò al ristorante Gigi il Cacciatore, in via Procaccini.[55] I carabinieri circondarono l'edificio e si misero in attesa, mentre alcuni di loro, in borghese, presero posto nel ristorante. I militari individuarono tre uomini, D'Agostino e il Graviano, con relative donne, ma non capirono chi fosse il terzo uomo. Arrivato l'ordine da Palermo, incominciò il blitz. Contemporaneamente vennero arrestati anche Spataro e moglie che si trovavano in un albergo.[55] La carta d'identità del terzo uomo presente a tavola era intestata ad un certo Filippo Mango. I tre uomini vennero accompagnati in caserma e al Graviano venne data la possibilità di fare una telefonata. Chiamò la madre e dopo un po' disse ai militari: "Chiami mio fratello nell'altra stanza, così anche lui può parlare al telefono". Grazie a Giuseppe Graviano, i carabinieri individuarono in Filippo Mango il fratello del boss di Brancaccio, Filippo Graviano, e capirono che la compagna del terzo uomo, era Francesca Buttitta.[55]

Nino Mangano[modifica | modifica wikitesto]

CAMERA DI MORTE-IDI DI MARZO (GdF di Mangano e GdF di Bagarella)

Dopo l'arresto di Filippo e Giuseppe Graviano, ci fu una corsa all'interno del mandamento per il "trono" di Brancaccio. I pretendenti sostituti dei Graviano erano: Cristofaro "Fifetto" Cannella, Giorgio Pizzo e Antonino "Nino" Mangano, soprannominato 'u Signuri e coordinatore sul campo del gruppo di fuoco di Brancaccio.[56] Per questo motivo, alle riunioni riguardanti questioni legate al mandamento, si presentavano tutti e tre. Dopo alcuni mesi, fu Leoluca Bagarella a nominare ufficialmente Mangano come reggente del mandamento di Brancaccio.[57][58] Nino Mangano era capo della cosca di Roccella e fedelissimo dell'allora capo di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella.[59][20] Sotto la reggenza di Mangano il gruppo di fuoco era formato dai seguenti killer: Salvatore Grigoli, Gaspare Spatuzza, Francesco Giuliano, Pepuccio Barranca, Luigi Giacalone, Fifetto Cannella, Cosimo Lo Nigro, Salvatore Faia, Salvatore Benigno, Giovanni Ciaramitaro, Vittorio Tutino, Renzino Tinnirello, Giorgio Pizzo, Pasquale Di Filippo e Pietro Romeo.[60][20][21]

Secondo il pentino Tony Calvaruso, autista del capo dei capi dal 1993 al 1995, Bagarella non vedeva di buon occhio i fratelli Graviano, siccome invece di stare a Palermo con gli altri boss, andavano a Milano a divertirsi.[61] Per questo motivo creò un gruppo di fuoco suo, parallelo a quello di Brancaccio. Questo gruppo, che lui stesso chiamava "catenaccio", comprendeva alcuni componenti del gruppo di fuoco capeggiato dai Graviano, come Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro e il loro successore alla guida del mandamento, Nino Mangano. I "traditori" si fingevano fedeli al gruppo di Brancaccio, ma in realtà rispondevano al capo corleonese. Sempre secondo Calvaruso, Bagarella mise un uomo di fiducia all'interno di gruppo di fuoco di Brancaccio, Pasquale Di Filippo, che vantava un rapporto di parentela con il boss corleonese.[58] Oltre a Di Filippo, nel febbraio del 1994, entrò a fare parte del gruppo di fuoco un altro killer di Cosa Nostra, Pietro Romeo, soprannominato 'u Petruni.[20][21]

Il 2 febbraio 1994, grazie alle dichiarazioni dei pentiti Gaspare Mutolo, Giuseppe Marchese, Francesco Marino Mannoia e Giovanni Drago (divenuto collaboratore di giustizia nel dicembre del 1992), iniziò l'operazione Golden Market che si concluse con 76 mandati di cattura nei confronti di numerosi professionisti palermitani (medici, avvocati ed impiegati di banca) e numerosi mafiosi.[62] Tra gli uomini di Brancaccio alla quale venne notificata un'ordinanza di custodia cautelare carceraria c'erano: Giuseppe Graviano, Antonino e Lorenzo Tinnirello, Fifetto Cannella, Francesco Tagliavia, Gaspare Spatuzza e Vittorio Tutino.[63][64] A parte Graviano, arrestato pochi giorni prima, tutti gli altri si diedero alla latitanza.

Attentato a Contorno[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Salvatore Contorno.

MANCA ATTENTATO A CONTORNO


Il 3 giugno 1994 venne arrestato a Palermo il killer Luigi Giacalone, soprannominato Barbanera.[65][66] Giacalone era in compagnia di Antonio Scarano, spacciatore calabrese legato a Matteo Messina Denaro, i due vennero arrestati per possesso di armi e sostanze stupefacenti.[67] I vertici di Cosa Nostra, per paura che i due potessero pentirsi, inviarono a Roma Francesco Giuliano e Pietro Romeo per spostare l'esplosivo che avevano i killer di Brancaccio avevano seppellito dopo il fallito attentato a Contorno. L'esplosivo, che sarebbe servito per futuri attentati, venne spostato di circa trecento metri.[67] Al momento dell'arresto, venne trovato nel covo di Giacalone un foglio sul quale c'erano dei nomi in codice, essi corrispondevano ai nomi dei componenti del gruppo di fuoco di Brancaccio.[68] Giacalone partecipò agli attentati di via Palestro, alle chiese di Roma e al fallito attentato allo stadio Olimpico e agli omicidi Di Matteo e Puglisi.[69]

Il 27 agosto 1994 venne arrestato a Trabia dopo cinque anni di latitanza Lorenzo Tinnirello, detto 'u Turchiceddu.[70] Era stato inserito nella lista dei latitanti di massima pericolosità. Tinnirello, oltre ad aver partecipato a decine di omicidi, ebbe un ruolo fondamentale all'interno della preparazione e dello svolgimento della strage di via D'Amelio.[71]

Arresto[modifica | modifica wikitesto]

Il 21 giugno 1995 venne arrestato a Palermo, da agenti della DIA, Pasquale Di Filippo.[72] Gli agenti, che sorvegliavano da giorni il suo nascondiglio situato a Misilmeri, non riuscirono ad arrestare un altro killer del gruppo di fuoco, Salvatore Grigoli, che in quei giorni si nascondeva con Di Filippo. A causa dell'interferenza di una cimice posta nel nascondiglio, che incominciò a trasmettere su frequenze diverse da quelle impostate, Grigoli riuscì a scappare prima che la DIA potesse irrompere per arrestarlo.[73] Dopo aver appreso del pentimento del fratello Emanuele, killer legato al gruppo di fuoco di Ciaculli, Paquale Di Filippo decise di pentirsi, iniziando collaborare con lo Stato, indirizzando la DIA verso il capo di Cosa nostra Leoluca Bagarella.[72] Il 24 giugno 1995 Leoluca Biagio Bagarella venne arrestato a Palermo e, a distanza di poche ore, venne arrestato anche Nino Mangano, irreperibile da tempo anche se ancora non formalmente latitante.[59][74] Nel covo di Mangano gli agenti della DIA trovarono un libro mastro, dove erano indicati traffici di droga, estorsioni, spese correnti, incarichi affidati e portati a termine oltre alle entrate e alle uscite economiche.[56] Di Filippo fu come un fiume in piena per l'organizzazione, fece i nomi dei killer di don Pino Puglisi e aiutò gli inquirenti a decifrare il libro mastro di Mangano, permettendo di svelare tutti i nomi e cognomi dei componenti del gruppo di fuoco di Brancaccio dato che, nel registro di Mangano, erano tutti indicati con dei soprannomi.[56][75]

Gaspare Spatuzza[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l'arresto di Mangano, Gaspare Spatuzza, soprannominato u Tignusu, divenne il reggente del mandamento di Brancaccio.[76][77][78] Ufficialmente fino a quel momento non era ancora stato "punciutu", ovvero non era ancora stato formalmente affiliato a Cosa Nostra. Venne formalmente combinato dal boss trapanese Matteo Messina Denaro. Tuttavia i fratelli Graviano affidarono a Pietro Tagliavia, padre di Ciccio Tagliavia, la cassa del mandamento. Spatuzza rimase deluso della decisione presa dai padrini di Brancaccio, ma si accontentò di guidare l'importante ala militare del mandamento e il relativo gruppo di fuoco.[79]

Decaduta[modifica | modifica wikitesto]

Il 1995 fu l'annus horribilis per il gruppo di fuoco di Brancaccio. Le rivelazioni che stava facendo Pasquale Di Filippo, arrestato il 21 giugno 1995, obbligarono tutti i killer del gruppo a darsi alla latitanza. Di Filippo permise agli inquirenti di scovare molti covi, sequestrare armi ed esplosivo e soprattutto svelò molti segreti del gruppo di fuoco. Il 1º luglio venne arrestato a Palermo Giorgio Pizzo, soprannominato Topino[65], uno degli esecutori materiali della strage di via dei Georgofili e cassiere della cosca di Brancaccio.[80][81][82] Il 7 luglio venne arrestato Pietro Carra, proprietario di una ditta di autotrasporti in via Messina Marine, nel quartiere Brancaccio.[83] Carra, grazie a Peppuccio Barranca, divenne un collaboratore del gruppo di fuoco dei Graviano e fece parte di un gruppo, con a capo Francesco Giuliano, dedito alle estorsioni e alle rapine.[84] Insieme a Cosimo Lo Nigro si occupò di portare a Roma, con i suoi camion, alcuni carichi di hashish.[85] Carra si occupò anche di trasportare nel "Continente" l'esplosivo che venne utilizzato per gli attentati di Firenze, Milano e Roma nel 1993.[86] l'11 luglio venne arrestato a Palermo Vittorio Tutino, soprannominato Mariuccio u bieddu.[87][64] Tutino, oltre ad essere stato uno dei più fidati killer di Giuseppe Graviano, partecipò all'attentato al giudice Borsellino e alla stagione delle bombe.[88] Il giorno dopo venne arrestato a Misilmeri un altro killer del gruppo di fuoco di Brancaccio, Salvatore Benigno, soprannominato 'u Picciriddu.[87] Benigno ebbe un ruolo molto importante nel rapimento del piccolo Di Matteo e nello svolgimento delle stragi del 1993, in particolare fu l'uomo che il 14 maggio 1993 azionò il telecomando collegato all'autobomba posta in via Fauro.[89][90] Il 14 novembre venne arrestato a Bagheria un altro killer del gruppo di fuoco, Pietro Romeo.[91] Subito dopo il fermo, Romeo decise di collaborare con lo Stato e, la stessa sera, indirizzò gli agenti della polizia di Stato verso alcuni killer del gruppo di fuoco di cui conosceva il nascondiglio e verso altri covi e arsenali.[92] Quella sera vennero arrestati Salvatore Faia, soprannominato il Gobbo, Francesco Giuliano, soprannominato Olivetti e Cosimo Lo Nigro, soprannominato Bingo.[93][75] Francesco Giuliano e Cosimo Lo Nigro furono tra i protagonisti della stagione delle bombe del 1992-1993 e gli esecutori materiali della strage di via dei Georgofili. Romeo indirizzò gli inquirenti verso un quarto covo, quello di Gaspare Spatuzza, ma riuscì a scappare.[92] Romeo confermò tutto quello che Di Filippo stava dicendo in quei mesi, e contribuì a decifrare il libro mastro di Nino Mangano.[56] Il 23 dicembre venne arrestato un altro killer del gruppo di fuoco, Giuseppe Barranca detto Pepuccio e soprannominato Ghiaccio.[56] Barranca, oltre ad essere stato un fidato killer di Giuseppe Graviano, fu tra i principali protagonisti della stagione delle bombe.[94]

Il 23 febbraio 1996 venne arrestato Giovanni Ciaramitaro, soprannominato 'u Pacchiuni, gregario del gruppo di fuoco di Mangano e uomo di fiducia di Francesco Giuliano.[95][65] Subito dopo l'arresto decise di collaborare con lo Stato, indicando agli inquirenti il nascondiglio dei fratelli Garofalo, situato a Palermo, in via Giuseppe Li Bassi.[96]

Il 14 aprile 1996 venne arrestato Agostino Trombetta. Trombetta fece parte di un gruppo dedito alle estorsioni e alle rapine formato da Francesco Giuliano, che ne era il capo, Pietro Romeo, Salvatore Faia, Giovanni Ciaramitaro e altri.[97][98] Il gruppo, che dal 1991-1992 si occupò esclusivamente di estorsioni, affiancò spesso il gruppo di fuoco di Brancaccio, in quanto componenti del gruppo di Giuliano appartenevano anche a quello dei Graviano. Trombetta ebbe importanti rapporti di amicizia e collaborazione con i killer di Brancaccio, tra cui Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Luigi Giacalone, Salvatore Grigoli, Cosimo Lo Nigro e altri.[99] Subito dopo l'arresto decise di collaborare con lo Stato, indirizzando gli inquirenti verso armi che appartenevano a Spatuzza. Nella borsa in cui erano custodite le armi v’erano, tra l’altro, delle fotografie riproducenti le figlie del boss. Trombetta, siccome era uno stretto collaboratore di Spatuzza, cercò di portare gli inquirenti verso il boss di Brancaccio. Ma il superkiller dei Graviano percepì il pericolo e non si presentò all'incontro.[100]

Il 23 aprile 1996[N 5] venne arrestato dalla Criminalpol in località Santa Flavia, tra Palermo e Bagheria, Fifetto Cannella, soprannominato Castagna.[101][65] Cannella, superkiller e uomo di fiducia di Giuseppe Graviano, fu tra gli esecutori materiali della strage di via D'Amelio e delle bombe di Milano e Roma.[102] Ebbe anche un importante ruolo all'interno del sequestro di Giuseppe Di Matteo, Cannella fu il garante del Graviano durante lo scambio del ragazzo tra gli uomini di Brancaccio e quelli di Giovanni Brusca.[45]

Il 20 novembre 1996 gli inquirenti individuarono, grazie al pentito Vincenzo Di Bona, il covo di Gaspare Spatuzza. I carabinieri però ritardarono l'irruzione di un paio di ore siccome erano in attesa degli uomini del GIS provenienti da Roma. Quando i mastini del GIS entrarono nell'appartamento, il killer di Brancaccio non c'era. Spatuzza, insospettito da alcuni movimenti in zona, si diede alla fuga portandosi con sé il lanciamissili Rpg 18 che aveva ereditato da Nino Mangano. I carabinieri però trovarono il suo arsenale privato. In una intercapedine sotto il pavimento trovarono fucili, pistole, mitragliette Uzi e Skorpion, bombe a mano, espolosivi, giubbotti antiproiettile e molto altro.[103]

Arresto e fine[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1997 lo Stato aveva messo a ferro e fuoco il mandamento di Brancaccio. Dopo l'arresto dei fratelli Graviano, il mandamento era stato a poco a poco decimato. In tre anni erano stati arrestati quasi tutti i latitanti e gli uomini d'onore, e con loro un paio di centinaia di persone tra sicari, affiliati e altro.[104] Per quanto riguarda il gruppo di fuoco di Brancaccio, mancavano all'appello ancora quattro killer: Salvatore Grigoli, latitante dal 1995; Antonino Tinnirello, latitante dal 1989, Giovanni Garofalo, latitante dal 1995 e il nuovo reggente, Gaspare Spatuzza, latitante dal 1994.

Il 19 giugno 1997 venne arrestato, dopo due anni di latitanza, uno degli ultimi killer del gruppo di fuoco rimasti liberi, Salvatore Grigoli, soprannominato 'u Cacciaturi.[105][106] Grigoli collaborò durante la preparazione della strage di via dei Georgofili e fu l'esecutore materiale dell'omicidio di don Pino Puglisi. Fece anche parte del commando di killer che rapirono Giuseppe Di Matteo. Dopo il suo arresto decise di collaborare con lo Stato aiutando i Carabinieri a far arrestare Gaspare Spatuzza.[107] Pochi giorni dopo l'arresto di Grigoli, venne arrestato Antonino Tinnirello, soprannominato Madonna.[5][108] Tinnirello, uno degli ultimi killer liberi del gruppo di fuoco di Ciaculli, presenziò a vari omicidi "eccellenti" di mafia, tra cui quello di Mario Prestifilippo.[6] Era latitante dal 1989.[108]

Il 2 luglio 1997 vennero arrestati a Palermo i fratelli Garofalo, Giovanni e Pietro Paolo.[109] I due fratelli erano molto vicini a Gaspare Spatuzza e lo incontravano spesso durante la sua latitanza.[110] Giovanni Garofalo, soprannominato Culo di paglia, si occupava di rapine, estorsioni e contrabbando.[65][111] Iniziò a contrabbandare sigarette, per poi passare allo spaccio di droga. Garofalo vendeva cocaina alle persone più importanti di Palermo: professionisti, manager e politici.[112] Grazie a questa attività fece tante conoscenze influenti, tanto che Nino Mangano e Leoluca Bagarella gli commissionarono più volte di intraprendere rapporti con avvocati, medici, imprenditori e politici a loro nome.[113] Nel libro mastro sequestrato a Mangano, c'era un'intera pagina dedicata agli incarichi che Culo di paglia svolse in quei anni per conto dei due boss.[114]

Subito dopo l'arresto, Giovanni Garofalo decise di collaborare. Disse agli inquirenti che avrebbe dovuto incontrarsi con il reggente di Brancaccio all'ospedale Cervello di Palermo. Poche ore dopo degli agenti della polizia andarono all'incontro con Gaspare Spatuzza. Il boss, insospettito per il ritardo di Garofalo, decise di andarsene, ma mentre stava percorrendo a bordo della sua Citroën il viale che conduceva verso l'uscita, due automobili gli arrivarono incontro. I poliziotti, siccome il boss viaggiava spesso con una mitraglietta Uzi, incominciarono a sparare per evitare che potesse difendersi. Quando Spatuzza, che in quel momento era disarmato, capì che quelli erano poliziotti e non killer inviati per ucciderlo, decise di arrendersi.[110]

Con l'arresto di Spatuzza, tutti i killer del gruppo di fuoco di Brancaccio vennero ufficialmente arrestati. Si concluse quindi la stagione di terrore e sangue che il gruppo di fuoco dei Graviano creò per quasi dieci anni.

Gaspare Spatuzza deciderà, dopo undici anni di carcere, di pentirsi nel giugno del 2008, facendo importantissime rivelazioni sul gruppo di fuoco di Brancaccio, sulla stagione delle bombe e in particolare smontò le dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino sulla strage di via D'Amelio.[115][116][117]

Leadership storica[modifica | modifica wikitesto]

Boss[modifica | modifica wikitesto]

Killer[modifica | modifica wikitesto]

Nella lista sono elencati i più importanti killer del gruppo di fuoco di Brancaccio.[N 6]

Gregari[modifica | modifica wikitesto]

Nella lista sono elencati alcuni importanti gregari del gruppo di fuoco di Brancaccio. Alcuni di loro svolsero anche il ruolo di killer, affiancando quelli del gruppo di fuoco.[N 6]

Estorsioni e rapine[modifica | modifica wikitesto]

Nella lista sono elencati alcuni dei componenti del gruppo dedito a rapine e alle estorsioni.[N 6] Questo gruppo affiancava il gruppo di fuoco di Brancaccio.[119]

Pentiti[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni
  1. ^ In realtà Lucchese era sottocapo del mandamento, dopo l'arresto di Puccio prese il comando della cosca di Ciaculli e divenne reggente del mandamento. Dopo l'omicidio di Puccio, avvenuto nel 1989, divenne ne ufficialmente capo.
  2. ^ In realtà i fratelli sarebbero quattro, Benedetto, Filippo, Giuseppe e Nunzia. Ma con "Fratelli Graviano" si fa riferimento a Filippo e Giuseppe, in quanto considerati i più famigerati e potenti.
  3. ^ I vertici presenti alla riunione erano: Antonino Madonia di Resuttana; Raffaele Ganci della Noce; Giuseppe Lucchese di Brancaccio-Ciaculli; Pietro Aglieri e Carlo Greco di Santa Maria di Gesù; Salvatore Cancemi di Porta Nuova e Michelangelo La Barbera di Boccadifalco. (Palazzolo, p. 68.)
  4. ^ Comitato intercondominiale di Via Hazon, nato nel 1990 e operante sino al 1996. (Un comitato nel nome di Puglisi)
  5. ^ a b Secondo (Sabella, p. 54) il 24 aprile 1996.
  6. ^ a b c A causa di fonti contradditorie o non complete essa può risultare parziale. Quelli riportati sono i componenti ufficializzati dai vari processi susseguiti negli anni.
  7. ^ a b Soprannome utilizzato da Mangano e Giuseppe Graviano nelle lettere che si scambiavano i due boss per comunicare, dato che Graviano era in carcere dal gennaio 1994. (Sentenza di primo grado, 1998, pp. 1074-1076).
  8. ^ Anche se molto vicino ai killer del gruppo di fuoco di Brancaccio, non ne fece mai formalmente parte. (Sentenza di primo grado, 1998, p. 630) Viene comunque inserito nella lista siccome molti investigatori, a causa della sua vicinanza con i killer e alla sua collaborazione con loro, lo considerano un componente del gruppo di fuoco di Mangano. (Sabella, pp. 12, 40 e 54.)
  9. ^ Ufficialmente killer del gruppo di fuoco di Ciaculli, compare nella lista in quanto fedelissimo dei fratelli Graviano e di Giuseppe Lucchese, anche se non fece mai parte del gruppo di Brancaccio, in quanto venne arrestato prima di Lucchese.
  10. ^ In Sentenza di primo grado, 1998, p. 1002: "Nei confronti di Benigno Salvatore fu emessa misura cautelare per la strage di via Fauro in data 12-7-95. All’epoca, Benigno era già detenuto, perché, pochi giorni prima, era stato sottoposto a fermo da parte del PM di Palermo (per altri reati)". Dubbi sulla precisione della data dell'arresto. L'arresto avvenne comunque in periodo di tempo che va da fine giugno al 12 luglio 1995.
Fonti
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  11. ^ Bolzoni e D'Avanzo, p. 191.
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]