Amarone della Valpolicella

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Amarone della Valpolicella
Bottiglie di Amarone
Dettagli
StatoBandiera dell'Italia Italia
Resa (uva/ettaro)12,0 t
Resa massima dell'uva40,0%
Titolo alcolometrico
naturale dell'uva
11,0%
Titolo alcolometrico
minimo del vino
14,0%
Estratto secco
netto minimo
28,0 g/l
Riconoscimento
TipoDOCG
Istituito con
decreto del
30/11/2011  
Vitigni con cui è consentito produrlo
  • Corvina (sinonimi: Cruina) 45% - 95%;
  • Corvinone che può sostituire il precedente nella misura massima del 50%;
  • Rondinella: 5% - 30%
[senza fonte]

L'Amarone della Valpolicella è un vino rosso passito secco a DOCG[1] prodotto esclusivamente nella Valpolicella in provincia di Verona.

Zona di produzione

Vitigni con cui è consentito produrlo

  • Corvina (sinonimi: Cruina) dal 45% al 95 %;
  • Corvinone che può sostituire il precedente nella misura massima del 50%;
  • Rondinella dal 5 % al 30 % .
  • Altri vitigni a bacca rossa non aromatici, ammessi alla coltivazione per la provincia di Verona fino ad un massimo del 15% con un limite del 10% per ogni singolo vitigno;
  • Altri vitigni classificati autoctoni italiani, a bacca rossa, ammessi alla coltivazione per la Provincia di Verona per il 10% totale.

Il disciplinare di produzione vigente ha raccolto le sollecitazioni dei tecnici modificando l'uvaggio precedente che era prevalentemente di uve Corvina (40-70%), Rondinella (20-40%), e Molinara (5-25%).

Caratteristiche organolettiche

  • colore: rosso granato;
  • odore: caratteristico, accentuato;
  • sapore: pieno, vellutato, caldo;
  • zuccheri residui massimo 12 g/l se il titolo alcolometrico effettivo è del 14% vol.; tale misura si innalza per titoli alcolometrici effettivi superiori

Sentori olfattivi: frutta matura, confettura di amarena e di lamponi. In quelli più invecchiati si possono percepire anche sentori di muschio e di catrame, quest'ultimo in gergo tecnico detto di goudron.

Grado alcolico: la gradazione minima prevista è di 14º. I più potenti possono raggiungere anche i 17º.

Informazioni sulla zona geografica

La zona di produzione della denominazione copre l'intera fascia pedemontana della provincia di Verona estendendosi dal lago di Garda fino quasi al confine con la provincia di Vicenza. Anche se la zona è costituita da una serie di vallate e di colline che entrano nella pianura disegnando la "forma di una mano", possono individuarsi alcune caratteristiche comuni e proprie della Valpolicella dove il clima ed il suolo hanno un ruolo fondamentale. Grazie alla protezione della catena montuosa dei Lessini a Nord, alla vicinanza del lago di Garda e all'esposizione a sud dei terreni collinari e di fondovalle, il clima in cui cresce la vigna di "Amarone della Valpolicella" è complessivamente mite e non troppo piovoso avvicinandosi soprattutto nella bassa collina e nel fondovalle a quello "Mediterraneo". La piovosità non eccede se non durante l'inverno e la media annua oscilla fra gli 850 ed i 1000 mm. I suoli della Valpolicella sono costituiti sia dalla disgregazione di formazioni calcareo-dolomitiche che da basalti, che da depositi morenici e fluviali di origine vulcanica e per questo presentano aspetti di variabilità, determinando un diverso apporto idrico alla vite nei vari stadi di sviluppo e crescita dell'apparato fogliare e poi durante la fase di maturazione dell'uva. I terreni a vigneto "Valpolicella" hanno esposizioni diversificate a seconda dell'altitudine a cui crescono che può arrivare sino ai 500 s.l.m., ed in base ai versanti collinari che occupano.[1]

Cenni storici

Il nome di questo rosso veronese strutturato, Amarone, deriva dalla parola “amaro”, adottata per distinguerlo dal dolce del Recioto della Valpolicella da cui ebbe, seppure involontariamente, origine. Infatti, il recioto è il corrispondente (per zona, uvaggio e tipologia) dell'amarone, ma è un passito dolce a differenza di quest'ultimo che è sempre passito seppur secco.

Il nuovo epiteto Amarone per indicare il Recioto Amaro o Recioto Secco nasce nella primavera del 1936 nella Cantina sociale Valpolicella, al tempo con sede presso Villa Mosconi ad Arbizzano di Valpolicella, ad opera del capocantina Adelino Lucchese, palato e fiuto eccezionali che, grazie al fortunato ritrovamento di una botte di recioto dimenticata in cantina e spillando il Recioto Amaro dal fusto di fermentazione, uscì in una esclamazione entusiastica: “Questo non è un Amaro, è un Amarone”. Il capocantina aveva regalato alla Valpolicella la parola magica e il direttore Gaetano Dall'Ora la usò subito in etichetta. La Cantina Sociale di Negrar nell'ingresso attuale ostenta giustamente una lettera di spedizione del 1942 con descrizione di “Fiaschetti di Amarone 1938”. Praticamente il recioto, messo in botte e poi dimenticato, continuò a fermentare fino a diventare secco. Gli zuccheri si sono così trasformati tutti in alcol e hanno fatto perdere la dolcezza al vino, al quale, in contrapposizione a quello che avrebbe dovuto essere, è stato dato il nome di Amarone. Fatta la scoperta, non è che l'Amarone fu subito perfetto. Anzi, a volte veniva fuori per combinazione, per fortuna, ancora dolce ma con un sapore finale di mandorla, magari risultato di una partita di Recioto in cui la fermentazione era sfuggita al controllo del produttore.

Di "vino amaro" si parlava fin dai tempi di Catullo nel Carme n. 27 (49 circa a.C.) reclama “calices amariores” (bicchieri più amari). Ma ben altri documenti ne danno testimonianza.

Cassiodoro, nei primi anni del V secolo, ricerca l'Acinatico della Valpolicella, rosso e bianco per la mensa del re ostrogoto Teodorico: si ritiene che fosse un "recchiotto amaro", scrive G. B. Peres nel 1900, opinione coincidente con quella del Panvinio, che nell'Acinàtico di Cassiodoro riconosce il Rètico di Augusto[2] e del Sarayna (1543) che parla dei vini della Valpolicella "neri, dolci, racenti e maturi".

Tracce della predilezione per questo vino e per le uve che lo producono si ritrova anche nell'Editto di Rotari che stabiliva pene molto severe per chi arrecava danno alle viti e multe salate per chi rubava i grappoli. Per gli anni successivi al 1000 d.C. vi è traccia di alcuni atti d'acquisto e vendita di vigneti nella zona di produzione di "Amarone della Valpolicella", anzi il vino è considerato al pari del denaro per pagare i diritti feudali. Nei secoli successivi prosegue la presenza di "Amarone della Valpolicella" nei documenti ufficiali e negli scritti degli umanisti. Un estimo del 1503 attesta che la zona di produzione di "Amarone della Valpolicella" era una valle ricca e famosa grazie ai suoi vini. Fama che è continuata sino all'epoca illuministica quando Scipione Maffei in un importante testo ha proposto la dizione "amaro" per indicare il vino «d'una grazia particolare prodotto in Valpolicella».

Ma forse più di ogni altro vale il giudizio emesso da assaggiatori francesi a Parigi nel 1845 su una partita di vino "Rosso Austero Costa Calda" di San Vito di Negrar vecchio di 11 anni: "Supremo vino d'Italia... preferibile a diversi Bordeaux ed Hermitage".

Molti altri scrittori e studiosi si sono interessati a questo vino nei secoli successivi per arrivare alle prime analisi organolettiche su questo vino riportate nel bollettino della stazione agraria sperimentale di Verona della fine del 1800. I primi esemplari di bottiglie di "Amarone" senza etichetta arrivarono solo nei primi anni del Novecento per un uso familiare o destinati agli amici.

Per trovare la prima etichetta e il primo documento di vendita dobbiamo arrivare al 1938, ma venne ufficialmente commercializzato a partire dal 1953 da parte della cantina Bolla[3], anno di messa in commercio dell'Amarone fatto per scelta e non per fortuna. Ottenne subito un grande successo, anche se presso un pubblico contenuto di appassionati come era e rimane la produzione di questo vino, che copre il 10% di tutta la produzione dei vini del territorio, dominati dal Valpolicella e dal Valpolicella Superiore, rossi giovani e profumati, spesso da bere subito, freschi e gustosi.

Nel 1968 si è giunti all'approvazione ufficiale del primo disciplinare di produzione e al riconoscimento della DOC. Allo scopo di tutelare l'identità delle diverse tipologie inserite nella denominazione "Valpolicella", "Valpolicella Ripasso", "Recioto della Valpolicella" e "Amarone della Valpolicella", il 24 marzo 2010 sono stati adottati appositi decreti ministeriali con i quali le quattro tipologie sono state rese autonome. Il successo di "Amarone della Valpolicella" ha attraversato indenne i secoli, arrivando fino ad oggi come testimoniato dall'attenzione che continuano a tributargli giornalisti ed esperti di vino, che ne riconoscono la peculiarità inserendolo nelle più importanti guide enologiche come Buoni Vini d'Italia Touring Club, Vini d'Italia Gambero Rosso, Veronelli, Luca Maroni, Espresso, Enogea, Wine Enthusiast.[1]

Metodo di produzione

Sono ammessi solo vigneti collinari. Per i nuovi impianti e i reimpianti la densità non può essere inferiore a 3.300 ceppi/ha. Le forme di allevamento consentite sono a spalliera o a pergola veronese inclinata. È vietata ogni pratica di forzatura, ma è consentita l'irrigazione di soccorso.

L'esperienza che serve per portare al giusto appassimento le uve destinate a questo prezioso vino è molto elevata. L'appassimento è fondamentale, tanto che qualcuno ha definito questa fase una seconda vendemmia. Le uve, sane e perfettamente mature non solo sulla buccia ma anche internamente, sono selezionate già al momento della raccolta, nelle prime due settimane di ottobre, scegliendo i grappoli spargoli, con gli acini non troppo vicini tra loro, in modo che lascino circolare l'aria. Queste piccole “pepite” scure sono distribuite in un unico strato sui plateaux, ampie cassette di legno, sempre più spesso sostituite da plastica traforata, per l'aerazione e per garantire una più rapida lavabilità dopo l'uso.

I plateaux sono impilati nei fruttai, locali aerati in genere sopra le abitazioni e le cantine. Posizione utile per chi deve girare e controllare periodicamente le uve e poi lavorarle in fretta, al momento giusto.

I fruttai devono essere in posizioni in cui sia consentita una costante aerazione, controllata da finestre opportunamente predisposte, dove la temperatura possa cambiare con gradualità e dove non ci siano ristagni di umidità. Per questo certe cantine storiche sono costruite su dossi e fianchi di colli in posizioni a volte improbabili, al di fuori delle regole di praticità spicciola. A volte era la posizione del fruttaio a decidere la collocazione dell'intero edificio. Per far fronte ad un appassimento corretto, per tenere sotto controllo temperatura, aerazione, umidità, che non sono costanti ma variano man mano che all'esterno il clima cambia per via dell'inverno che si avvicina, molti produttori hanno ritenuto opportuno termocondizionare i loro fruttai.

Tutte le fasi, insomma, sono tenute sotto controllo da apparecchiature, soprattutto per evitare attacchi di muffe e inizi di marciume, e in sostanza per modificare eventuali condizioni sfavorevoli e riportare il processo di appassimento sulla retta via.

L'appassimento dura circa 120 giorni, ma anche qualcuno di più o di meno, secondo la percentuale d'acqua contenuta in origine nelle uve. È l'acqua infatti a sparire dagli acini per via dell'appassimento, lasciando quasi intatti gli zuccheri. La più evidente conseguenza visibile di questa fase, oltre all'avvizzimento degli acini, è la perdita di peso dei grappoli che varia secondo il tipo di uva: dal 35 al 45% per la Corvina e dal 27 al 40% per la Rondinella, quella dunque che “dimagrisce” di meno. Finito l'appassimento l'uva viene pigiata ed inizia una lenta fermentazione a bassa temperatura, anche per 30/50 giorni. Questo serve a fare in modo che gli zuccheri, per effetto dei lieviti, si trasformino in alcol. Se tutti gli zuccheri vengono fermentati, il vino potrà definirsi Amarone (da disciplinare di produzione, il residuo zuccherino consentito è di un massimo di 1,1 grammo per litro).

Le uve messe ad appassire non possono essere vinificate prima del 1º dicembre. (La data varia in funzione dell'annata, l'inizio della pigiatura viene deciso ogni anno in funzione della maturità iniziale dell'uva e del grado di appassimento raggiunto)

Si richiede un invecchiamento minimo di due anni con decorrenza dal 1º gennaio successivo alla vendemmia.

Tutte le operazioni di appassimento delle uve, vinificazione, stagionatura e imbottigliamento, debbono essere effettuate nella zona DOCG.

Abbinamenti consigliati

Perfetto con i cibi dell'autunno e dell'inverno, come brasati, stracotti, spezzatini, arrosti, soprattutto di selvaggina. Grande rosso che può essere accompagnato a piatti "importanti" quali selvaggina e carni arrosto, e anche a salumi, formaggi stagionati e ai piatti tipici della tradizione quale "pasta e fasoi" e lo stesso risotto all'Amarone. Anche bevuto da solo è un degno finale di un pasto serale o può essere il compagno di una piacevole meditazione.

Servizio: in ampi bicchieri, in modo da dare ai profumi la possibilità di evolversi con l'ossigenazione del vino. Temperatura di servizio ideale dai 18 ai 20 °C.

Le Denominazioni

  • l'Amarone della Valpolicella riceve la denominazione "Classico" se prodotto nella sottozona comprendente i comuni di Fumane, Marano di Valpolicella, Negrar, San Pietro in Cariano, Sant'Ambrogio di Valpolicella facenti parte della Valpolicella classica
  • l'Amarone della Valpolicella può portare in etichetta la dicitura "Valpantena" se prodotto nella specifica sottozona prevista dal disciplinare.
  • l'Amarone della Valpolicella con o senza la menzione della zona, può essere inoltre definito "Riserva" se presenta un estratto non riduttore minimo di 32,0 g/l ed è stato sottoposto ad un periodo minimo di invecchiamento di almeno 4 anni a partire dal 1º novembre dell'anno della vendemmia.

Altri vini della Valpolicella

Note

  1. ^ a b c DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DEI VINI A DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA “AMARONE DELLA VALPOLICELLA” (PDF), su cittadelvino.it, Mipaaf Sezione Qualità e Sicurezza Vini DOP e IGP. URL consultato il 13 aprile 2019 (archiviato il 25 febbraio 2017).
  2. ^ Gaio Svetonio Tranquillo, descrivendo le abitudini di Augusto (Le vite dei dodici Cesari vol. I; cap. 77) dice che: «Et maxime delectatus est Raetico, neque temere interdiu bibit». «E particolarmente gli piaceva il vino retico, ma raramente ne beveva durante il giorno».
  3. ^ Italian Wines and Spirits, 26 febbraio 2004 Archiviato il 4 marzo 2016 in Internet Archive.

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

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