Paolo Borsellino

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«Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore solo una volta.»

Paolo Borsellino

Paolo Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940Palermo, 19 luglio 1992) è stato un magistrato italiano, vittima della mafia. È considerato un eroe italiano, come Giovanni Falcone, di cui fu amico e collega.

Biografia

Figlio di Diego Borsellino e Maria Lepanto, Paolo nacque a Palermo nel quartiere popolare La Kalsa, in cui vivevano tra gli altri anche Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta. La famiglia di Paolo era composta dalla sorella maggiore Adele (1938-2011), il fratello minore Salvatore (1942) e l'ultimogenita Rita (1945).

Dopo aver frequentato le scuole dell'obbligo Borsellino si iscrisse al liceo classico "Giovanni Meli" di Palermo. Durante gli anni del liceo diventò direttore del giornale studentesco "Agorà". Nel giugno del 1958 si diplomò con otto in tutte le materie tranne il greco in cui ebbe nove.

L'11 settembre 1958 si iscrisse a Giurisprudenza a Palermo con numero di matricola 2301[1]. Dopo una rissa tra studenti "neri" e "rossi" finì erroneamente anche lui di fronte al magistrato Cesare Terranova, cui dichiarò la propria estraneità ai fatti. Il giudice sentenziò che Borsellino non era implicato nell'episodio. Proveniente da una famiglia con simpatie politiche di destra, nel 1959 si iscrisse al Fronte Universitario d'Azione Nazionale, organizzazione degli universitari missini di cui divenne membro dell'esecutivo provinciale, e fu eletto come rappresentante studentesco nella lista del Fronte Universitario d'Azione Nazionale "Fanalino" di Palermo[2].

Il 27 giugno 1962, all'età di ventidue anni, Borsellino si laureò con 110 e lode con una tesi su "Il fine dell'azione delittuosa" con relatore il professor Giovanni Musotto. Pochi giorni dopo, a causa di una malattia, suo padre morì all'età di cinquantadue anni. Borsellino si impegnò allora con l'ordine dei farmacisti a mantenere attiva la farmacia del padre fino al raggiungimento della laurea in farmacia della sorella Rita. Durante questo periodo la farmacia fu data in gestione per un affitto bassissimo, 120.000 lire al mese[3] e la famiglia Borsellino fu costretta a gravi rinunce e sacrifici. A Paolo fu concesso l'esonero dal servizio militare poiché egli risultava "unico sostentamento della famiglia".

Nel 1967 Rita si laureò in farmacia e il primo stipendio da magistrato di Paolo servì a pagare la tassa governativa.

Il 23 dicembre 1968 sposò Agnese Piraino Leto, figlia di Angelo Piraino Leto, a quel tempo magistrato, presidente del tribunale di Palermo. Dalla moglie Agnese ebbe tre figli: Lucia, Manfredi e Fiammetta.

La carriera da giudice

«L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati.»

Nel 1963 Borsellino partecipò al concorso per entrare in magistratura; classificatosi venticinquesimo sui 171 posti messi a bando[4], con il voto di 57, divenne il più giovane magistrato d'Italia[5]. Iniziò quindi il tirocinio come uditore giudiziario e lo terminò il 14 settembre 1965 quando venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile. Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme ad Emanuele Basile, capitano dei Carabinieri. Proprio qui ebbe modo di conoscere per la prima volta la nascente mafia dei corleonesi[6].

Il 21 marzo 1975 fu trasferito a Palermo ed il 14 luglio entrò nell'ufficio istruzione affari penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con Chinnici si stabilì un rapporto, più tardi descritto dalla sorella Rita Borsellino e da Caterina Chinnici, figlia del capo dell'Ufficio, come di "adozione" non soltanto professionale. La vicinanza che si stabilì fra i due uomini e le rispettive famiglie fu intensa e fu al giovane Paolo che Chinnici affidò la figlia, che abbracciava anch'essa quella carriera, in una sorta di tirocinio[7]. Nel febbraio 1980 Borsellino fece arrestare i primi sei mafiosi tra cui Giulio Di Carlo e Andrea Di Carlo legati a Leoluca Bagarella[8]. Grazie all'indagine condotta da Basile e Borsellino sugli appalti truccati a Palermo a favore degli esponenti di Cosa Nostra si scopre il fidanzamento tra Leoluca Bagarella e Vincenza Marchese sorella di Antonino Marchese, altro importante Boss[8]. Il 4 maggio 1980 Emanuele Basile fu assassinato e fu decisa l'assegnazione di una scorta alla famiglia Borsellino.

Il pool antimafia

File:Falcone e borsellino murales.JPG
Un murales rappresentante i magistrati Falcone e Borsellino (a destra)

In quell'anno si costituì il "pool" antimafia nel quale sotto la guida di Chinnici lavorarono alcuni magistrati (fra gli altri, Falcone, Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, Giovanni Barrile) e funzionari della Polizia di Stato (Cassarà e Montana).

Nel racconto che ne fece lo stesso Borsellino, il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, separatamente, ognuno "per i fatti suoi", senza che uno scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue potesse consentire, nell'interazione, una maggiore efficacia con un'azione penale coordinata capace di fronteggiare il fenomeno mafioso nella sua globalità[7]. Uno dei primi esempi concreti del coordinamento operativo fu la collaborazione fra Borsellino e l'appena "acquisito" Di Lello, che Chinnici aveva voluto e richiesto in squadra: Di Lello prendeva giornalmente a prestito la documentazione che Borsellino produceva e gliela rendeva la mattina successiva, dopo averla studiata come fossero "quasi delle dispense sulla lotta alla mafia". E presto, senza che le note divergenze politiche[9] potessero essere di più che mera materia di battute, anche fra i due il legame professionale si estese all'amicizia personale[7]. Del resto era proprio la formazione di una conoscenza condivisa uno degli effetti, ma prima ancora uno degli scopi, della costituzione del pool: come ebbe a dire Guarnotta, si andava ad esplorare un mondo che sinora era sconosciuto per noi in quella che era veramente la sua essenza[7].

Nel pool andò formandosi una "gerarchia di fatto", come la chiamò Di Lello: fondata sulle qualità personali di Falcone e Borsellino, tributari di questa leadership per superiori qualità - sempre secondo lo stesso collega - di "grande intelligenza, grandissima memoria e grande capacità di lavoro"; ed i colleghi non l'avrebbero discussa, questa supremazia, anche per il timore di essere sfidati a sostituirli[7].

Tutti i componenti del pool chiedevano espressamente l'intervento dello Stato, che non arrivò. Qualcosa faticosamente giunse nel 1982, a prezzo però di nuovo altro sangue "eccellente", quando dopo l'omicidio del deputato comunista Pio La Torre, il ministro dell'interno Virginio Rognoni inviò a Palermo il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, che proprio in Sicilia e contro la mafia aveva iniziato la sua carriera di ufficiale, nominandolo prefetto. E quando anche questi trovò la morte, 100 giorni dopo, nella strage di via Carini, il parlamento italiano riuscì a varare la cosiddetta "legge Rognoni-La Torre" con la quale si istituiva il reato di associazione mafiosa (l'articolo 416 bis del codice penale) che il pool avrebbe sfruttato per ampliare le investigazioni sul fronte bancario, all'inseguimento dei capitali riciclati; era questa la strada che Giovanni Falcone ed i suoi colleghi del pool maggiormente intendevano seguire, una strada anni prima aperta dalle indagini finanziarie di Boris Giuliano (sul cui omicidio investigava il capitano Basile quando a sua volta assassinato) a proposito dei rapporti fra il capomafia Leoluca Bagarella ed il losco finanziere Michele Sindona.

Il 29 luglio 1983 fu ucciso Rocco Chinnici, con l'esplosione di un'autobomba[10], e pochi giorni dopo giunse a Palermo da Firenze Antonino Caponnetto. Il pool chiese una mobilitazione generale contro la mafia. Nel 1984 fu arrestato Vito Ciancimino, mentre Tommaso Buscetta ("Don Masino", come era chiamato nell'ambiente mafioso), catturato a San Paolo del Brasile ed estradato in Italia, iniziò a collaborare con la giustizia.

Buscetta descrisse in modo dettagliato la struttura della mafia, di cui fino ad allora si sapeva ben poco. Nel 1985 furono uccisi da Cosa Nostra, a pochi giorni l'uno dall'altro, il commissario Giuseppe Montana ed il vice-questore Ninni Cassarà[11]. Falcone e Borsellino furono per sicurezza trasferiti nella foresteria del carcere dell'Asinara, nella quale iniziarono a scrivere l'istruttoria per il cosiddetto "maxiprocesso", che mandò alla sbarra 475 imputati. Si seppe in seguito che l'amministrazione penitenziaria richiese poi ai due magistrati un rimborso spese ed un indennizzo per il soggiorno trascorso [12].

Borsellino a Marsala

Borsellino chiese ed ottenne (il 19 dicembre 1986) di essere nominato Procuratore della Repubblica di Marsala. La nomina superava il limite ordinariamente vigente del possesso di alcuni requisiti principalmente relativi all'anzianità di servizio[14].

Secondo il collega Giacomo Conte[15] la scelta di decentrarsi e di assumere un ruolo autonomo rispondeva ad una sua intuizione per la quale l'accentramento delle indagini istruttorie sotto la guida di una sola persona esponeva non solo al rischio di una disorganicità complessiva dell'azione contro la mafia, ma anche a quello di poter facilmente soffocare questa azione colpendo il magistrato che ne teneva le fila; questa collocazione, "solo apparentemente periferica", fu secondo questo autore esempio della proficuità di questa collaborazione a distanza.

Di parere difforme fu Leonardo Sciascia, scrittore siciliano, il quale in un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera il 10 gennaio del 1987, si scagliò contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che "nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso", a conclusione di un'esposizione principiata con due autocitazioni[16]. Si tratta della nota polemica sui cosiddetti "professionisti dell'antimafia". Borsellino commentò (o lo citò) solo dopo la morte di Falcone, parlando il 25 giugno 1992 ad un dibattito, organizzato da La Rete e da MicroMega (rivista)., sullo stato della lotta alla mafia dopo la Strage di Capaci: "Tutto incominciò con quell’articolo sui professionisti dell'antimafia"[17][18].

«Il vero obiettivo del CSM era eliminare al più presto Giovanni Falcone»

«Quando Giovanni Falcone solo, per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il CSM, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli.»

Secondo Umberto Lucentini, uno dei suoi biografi, Borsellino si era invece reso conto della crescente importanza delle cosche trapanesi, e di Totò Riina e Bernardo Provenzano, all'interno della rete criminale Cosa Nostra, che ad esempio intorno a Mazara del Vallo e nel Belice, facevano ruotare interessi notevoli che occorreva seguire da vicino[7].

Verso la fine

Nel 1987, mentre il maxiprocesso si avviava alla sua conclusione[19] con l'accoglimento delle tesi investigative del pool e l'irrogazione di 19 ergastoli e 2.665 anni di pena[20][7], Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute e tutti (Borsellino compreso) si attendevano che al suo posto fosse nominato Falcone, ma il Consiglio Superiore della Magistratura non la vide alla stessa maniera e il 19 gennaio 1988 nominò Antonino Meli; sorse il timore che il pool stesse per essere sciolto.

Borsellino parlò allora in pubblico a più riprese, raccontando quel che stava accadendo alla procura di Palermo. In particolare, in due interviste rilasciate il 20 luglio 1988 a la Repubblica ed a L'Unità, riferendosi al CSM, dichiarò tra l'altro espressamente: "si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all'Ufficio", "hanno disfatto il pool antimafia", "hanno tolto a Falcone le grandi inchieste", "la squadra mobile non esiste più", "stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa". Per queste dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare (fu messo sotto inchiesta)[21]. A seguito di un intervento del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, si decise almeno di indagare su ciò che succedeva nel palazzo di Giustizia.

Il 31 luglio il CSM convocò Borsellino, il quale rinnovò accuse e perplessità. Il 14 settembre Antonino Meli, sulla base di una decisione fondata sulla mera anzianità di ruolo in magistratura, fu nominato capo del pool; Borsellino tornò a Marsala, dove riprese a lavorare alacremente insieme a giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Iniziava in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porvi a capo, nel frattempo Falcone fu chiamato a Roma per assumere il comando della direzione affari penali e da lì premeva per l'istituzione della Superprocura.

Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e l'11 dicembre 1991 vi ritornò come Procuratore aggiunto, insieme al sostituto Antonio Ingroia.

Il cammino segnato

Nel settembre del 1991, la mafia aveva già abbozzato progetti per l'uccisione di Borsellino. A rivelarlo fu Vincenzo Calcara, picciotto della zona di Castelvetrano cui la Cupola mafiosa, per bocca di Francesco Messina Denaro (capo della cosca di Trapani), aveva detto di tenersi pronto per l'esecuzione, che si sarebbe dovuta effettuare o mediante un fucile di precisione, o con un'autobomba. Assai onorato dell'incarico, che gli avrebbe consentito la scalata di qualche gradino nella gerarchia mafiosa, il mafioso attendeva l'ordine di entrare in azione come cecchino qualora si fosse propeso per questa soluzione.

Ma Calcara fu arrestato il 5 novembre e la sua situazione in carcere si fece assai pericolosa poiché, secondo quanto da lui stesso indicato, aveva in precedenza intrecciato una relazione con la figlia di uno dei capi di Cosa Nostra, uno sbilanciamento del tutto contrario alle "regole" mafiose e sufficiente a costargli la vita; se da latitante poteva ancora essere utilizzato per "lavori sporchi", da carcerato invece gli restava solo la condanna a morte emessa dall'organizzazione. Prima che finisse il periodo di isolamento, Calcara decise di diventare collaboratore di giustizia e si incontrò proprio con Borsellino, al quale, una volta rivelatogli il piano e l'incarico, disse: "lei deve sapere che io ero ben felice di ammazzarla". Dopo di ciò, raccontò sempre il pentito, gli chiese di poterlo abbracciare e Borsellino avrebbe commentato: "nella mia vita tutto potevo immaginare, tranne che un uomo d'onore mi abbracciasse"[22].

Il pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso dell'XI scrutinio delle elezioni presidenziali, l'allora segretario del MSI Gianfranco Fini diede indicazione ai suoi parlamentari di votare per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica, che ottenne in quello scrutinio 47 preferenze.

Il 23 maggio 1992 nell'attentato di Capaci persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di Capaci.

«Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninnì Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo.
Mi disse: "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano".»

Il 19 luglio, 57 giorni dopo Capaci, Paolo Borsellino fu ucciso insieme agli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di via D'Amelio.

Una settimana dopo la strage, la giovanissima testimone di giustizia Rita Atria, che proprio per la fiducia che riponeva nel giudice Borsellino si era decisa a collaborare con gli inquirenti pur al prezzo di recidere i rapporti con la madre, si uccise.

Diversi pentiti di mafia ritrattarono alcune accuse precedentemente espresse.

Dichiarazioni e rifiuti

Borsellino rilasciò interviste e partecipò a numerosi convegni per denunciare l'isolamento dei giudici e l'incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. In una di queste Borsellino descrisse le ragioni che avevano portato all'omicidio del giudice Rosario Livatino e prefigurò la fine (che poi egli stesso fece) che ogni giudice "sovraesposto" è destinato a fare.

Alla presentazione di un libro[23] alla presenza dei ministri dell'interno e della giustizia, Vincenzo Scotti e Claudio Martelli, nonché del capo della polizia Vincenzo Parisi, dal pubblico fu chiesto a Borsellino se intendesse candidarsi alla successione di Falcone alla "Superprocura"; alla sua risposta negativa Scotti intervenne annunciando di aver concordato con Martelli di chiedere al CSM di riaprire il concorso ed invitandolo formalmente a candidarsi. Borsellino non rispose a parole, sebbene il suo biografo Lucentini abbia così descritto la sua reazione: "dal suo viso trapela una indignazione senza confini""[24]. Rispose al ministro per iscritto, giorni dopo: "La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento"[25].

La penultima intervista di Borsellino e le sue versioni

Due mesi prima di essere ucciso, Paolo Borsellino rilasciò un'intervista ai giornalisti di Canal+ Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi (21 maggio 1992)[26]. L'intervista mandata in onda da Rai News 24 nel 2000 era di trenta minuti, quella originale era invece di cinquantacinque minuti.

Lenzuoli dedicati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

La trascrizione dell'intervista integrale si trova qui [27]

«All’inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa. Un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all’industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso»

In questa sua ultima intervista Paolo Borsellino parlò anche dei legami tra la mafia e l'ambiente industriale milanese e del Nord Italia in generale, facendo riferimento, tra le altre cose, a indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri.

Alla domanda se Mangano fosse un "pesce pilota" della mafia al Nord, Borsellino rispose che egli era sicuramente una testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia. Sui rapporti con Silvio Berlusconi invece, nonostante esplicitamente sollecitato dall'intervistatore, si astenne da qualsiasi giudizio.

Anche alla luce di quest'intervista e del ruolo di Vittorio Mangano così come descritto da Borsellino (testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia) destò scalpore la dichiarazione di Marcello Dell'Utri, condivisa dal presidente del consiglio dei ministri Silvio Berlusconi riferita a Mangano: egli fu, a modo suo, un eroe[28] [29]

Paolo Guzzanti aveva sostenuto che l'intervista trasmessa da Rai News 24 era stata manipolata, i giornalisti della rete gli fecero causa, ma fu assolto. Vi era corrispondenza tra la cassetta ricevuta ed il contenuto trasmesso, ma non con il video originale. Alcune risposte erano state tagliate e messe su altre domande. Ad esempio, quando Borsellino parla di "cavalli in albergo" per indicare un traffico di droga, non si riferiva ad una telefonata fra Dell'Utri e Mangano come poteva sembrare dalla domanda dell'intervistatore (che faceva riferimento ad un'intercettazione dell'inchiesta di San Valentino, che Borsellino aveva seguito solo per poco tempo), ma ad una fra Mangano e un mafioso della famiglia Inzerillo.[30]

Nel numero de L'Espresso dell'8 aprile 1994 fu pubblicata una versione più estesa dell'intervista[31].

L'intervista, e i tagli relativi alla sua versione televisiva, furono citati anche dal tribunale di Palermo nella sentenza di condanna di Gaetano Cinà e Marcello Dell'Utri:

«Un riferimento a quelle indagini si rinviene nella intervista rilasciata il 21 maggio 1992 dal dr. Paolo Borsellino ai giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. In dibattimento il Pubblico Ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale di quella intervista che, nelle precedenti versioni, aveva subito, invece, evidenti manipolazioni ed era stata trasmessa a diversi anni di distanza dal momento in cui era stata resa, malgrado l’indubbio rilievo di un simile documento.»

Nella sentenza fu poi riportato il brano dell'intervista relativo all'uso del termine "cavalli" per indicare la droga e sulle precedenti condanne di Mangano, in una versione ancora differente rispetto alle due già diffuse, trascritta dal nastro originale. Nella stessa sentenza era poi riportata l'intercettazione della telefonata intercorsa tra Mangano (la cui linea era sotto controllo) e Dell'Utri[33], relativo al blitz di San Valentino, in cui veniva citato un "cavallo", a cui aveva fatto riferimento il giornalista nelle domande dell'intervista a Borsellino.[34]. La sentenza specificava però che:

«Tra le telefonate intercettate (il cui tenore aveva consentito di disvelare i loschi traffici ai quali il Mangano si era dedicato in quegli anni) si inserisce quella del 14 febbraio 1980 intercorsa tra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri.
È opportuno chiarire subito che questa conversazione, pur avendo ad oggetto il riferimento a “cavalli”, termine criptico usato dal Mangano nelle conversazioni telefoniche per riferirsi agli stupefacenti che trafficava, non presenta un significato chiaramente afferente ai traffici illeciti nei quali il Mangano era in quel periodo coinvolto e costituisce il solo contatto evidenziato, nel corso di quelle indagini, tra Marcello Dell’Utri e i diversi personaggi attenzionati dagli investigatori.»

Francobollo commemorativo

La strage di via d'Amelio

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di via d'Amelio.

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove viveva sua madre.

Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo, esplose al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta [35].

Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in una intervista televisiva a Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.

Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto, sconfortato, "Non c'è più speranza...", intervistato anni dopo da Gianni Minà ricordò che "Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell'attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l'abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze"[36].

Via d'Amelio come strage di Stato

via D'Amelio: l'albero che ricorda il luogo dell'uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta

«Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo.»

Nell'introduzione del libro L'agenda rossa di Paolo Borsellino Marco Travaglio scrive:

«Oggi, quindici anni dopo, non è cambiato nulla. L’impressione è che, ai piani alti del potere, quelle verità indicibili le conoscano in tanti, ma siano d’accordo nel tenerle coperte da una spessa coltre di omissis. Per sempre. L’agenda rossa è la scatola nera della Seconda Repubblica. Grazie a questo libro cominciamo a capire qualcosa anche noi»

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, parla esplicitamente di "strage di Stato":

«Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l’assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D’Amelio come una strage di mafia. [...] Hanno messo in galera un po’ di persone - tra l’altro condannate per altri motivi e per altre stragi - e in questa maniera ritengono di avere messo una pietra tombale sull’argomento. Devo dire che purtroppo una buona parte dell’opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa - televisione e giornali - è caduta in questa chiamiamola “trappola” [...] Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente [...] è che questa è una strage di stato, nient’altro che una strage di stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell’opinione pubblica questa verità, una verità tragica perché mina i fondamenti di questa nostra repubblica. Oggi questa nostra seconda repubblica è una diretta conseguenza delle stragi del ‘92»

L'eredità

«Io accetto la... ho sempre accettato il... più che il rischio, la... condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli.
Il... la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in... in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me.
E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare... dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro.»

La figura di Paolo Borsellino, come quella di Giovanni Falcone, ha lasciato un grande esempio nella società civile e nelle istituzioni.

File:Plaque Falcone-Borsellino.gif
Un rosone in bronzo, opera di Tommaso Geraci, commemora insieme Falcone e Borsellino all'aeroporto loro dedicato di Palermo. Nell'iscrizione, si legge: "L'orgoglio della Nuova Sicilia"

Alla sua memoria sono state intitolate numerose scuole e associazioni, nonché (insieme all'amico e collega) l'aeroporto internazionale "Falcone e Borsellino" (ex "Punta Raisi", Palermo) ed un'aula della facoltà di Giurisprudenza all'Università di Roma La Sapienza.

Cinema e televisione

Anche il cinema e la televisione hanno onorato la memoria del magistrato palermitano:

«Un giudice vero fa quello che ha fatto Borsellino, uno che si trova solo occasionalmente a fare quel mestiere e non ha la vocazione può scappare, chiedere un trasferimento se ne ha il tempo e se gli viene concesso. Borsellino, invece, era di un'altra tempra, andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibili.»

Onorificenze

Medaglia d'oro al valor civile - nastrino per uniforme ordinaria
«Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, esercitava la propria missione con profondo impegno e grande coraggio, dedicando ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la proterva sfida lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Nonostante le continue e gravi minacce, proseguiva con zelo ed eroica determinazione il suo duro lavoro di investigatore, ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di giustizia e delle Istituzioni
— Palermo, 19 luglio 1992

Note

  1. ^ Umberto Lucentini, Il mio mal d'Africa, in Paolo Borsellino, 3ª ed., Druento, Edizioni San Paolo, 2006 [2004], pp. 37, ISBN 88-215-4968-2.
  2. ^ "Paolo Borsellino" - Umberto Lucentini - 2003 - Edizioni San Paolo
  3. ^ Il valore di una vita, pag. 35
  4. ^ http://www.sarannomagistrati.it/temi/index.htm
  5. ^ http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=154
  6. ^ www.ansa.it/legalita/static/bio/borsellino.shtml
  7. ^ a b c d e f g La Storia siamo noi - Paolo Borsellino
  8. ^ a b Umberto Lucentini, Hanno ucciso il capitano, in Paolo Borsellino, 3ª ed., Druento, Edizioni San Paolo, 2006 [2004], pp. 57, ISBN 88-215-4968-2.
  9. ^ Borsellino era di destra, Di Lello si definisce "social-comunista".
  10. ^ La prima autobomba usata dalla mafia, secondo Rita Borsellino
  11. ^ Insieme all'agente Roberto Antiochia
  12. ^ Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l'assassinio di G. Falcone e P. Borsellino, pag. 121
  13. ^ Riassunto dal relato di Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, Feltrinelli, 1993 - ISBN 88-07-12010-0
  14. ^ "Notiziario straordinario" n. 17 del 10 settembre 1986 del Consiglio superiore della magistratura:

    «Rilevato, per altro, che per quanto concerne i candidati che in ordine di graduatoria precedono il dottor Borsellino, si impongono oggettive valutazioni che conducono a ritenere, sempre in considerazione della specificità del posto da ricoprire e alla conseguente esigenza che il prescelto possegga una specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare, che gli stessi non siano, seppure in misura diversa, in possesso di tali requisiti con la conseguenza che, nonostante la diversa anzianità di carriera, se ne impone il "superamento" da parte del più giovane aspirante.»

  15. ^ Giacomo Conte (procuratore a Gela), Lo sdegno e la speranza: la lezione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in (a cura di) Franco Occhiogrosso, Ragazzi della mafia: storie di criminalità e contesti minorili, voci dal carcere, le reazioni e i sentimenti, i ruoli e le proposte, FrancoAngeli, 1993 - ISBN 88-204-7972-9
  16. ^ Il testo dell'articolo di Sciascia online (2 pagine)
  17. ^ Una fra le numerose fonti online
  18. ^ Trascrizione intervento
  19. ^ Il 16 dicembre.
  20. ^ Sentenza della Corte di Assise (pres. Alfonso Giordano) poi sostanzialmente confermata 5 anni dopo dalla Corte di Cassazione.
  21. ^ Disse lo stesso Borsellino durante la serata alla Biblioteca Comunale di Palermo il 25 giugno 1992: "per aver denunciato questa verità io rischiai conseguenze professionali gravissime, e forse questo lo avevo pure messo nel conto, ma quel che è peggio il Consiglio superiore immediatamente scoprì quale era il suo vero obiettivo: proprio approfittando del problema che io avevo sollevato, doveva essere eliminato al più presto Giovanni Falcone. E forse questo io lo avevo pure messo nel conto perché ero convinto che lo avrebbero eliminato comunque; almeno, dissi, se deve essere eliminato, l'opinione pubblica lo deve sapere, lo deve conoscere, il pool antimafia deve morire davanti a tutti, non deve morire in silenzio. L'opinione pubblica fece il miracolo, perché ricordo quella caldissima estate dell'agosto 1988, l'opinione pubblica si mobilitò e costrinse il Consiglio superiore della magistratura a rimangiarsi in parte la sua precedente decisione dei primi di agosto, tant'è che il 15 settembre, se pur zoppicante, il pool antimafia fu rimesso in piedi. ". Nello stesso intervento commentò la mancata nomina di Falcone: "Si aprì la corsa alla successione all'ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli."
  22. ^ Relato testuale del pentito in La Storia siamo noi - Paolo Borsellino (fonte per l'intero paragrafo)
  23. ^ "Gli uomini del disonore", di Pino Arlacchi
  24. ^ Umberto Lucentini, Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori, 1994
  25. ^ Fonte per questo paragrafo
  26. ^ Trascrizione dell'intervista
  27. ^ http://www.19luglio1992.org/index.php?option=com_content&view=article&catid=26:in-evidenza&id=2300:paolo-borsellino-lintervista-nascosta#trascrizione
  28. ^ RadioDue
  29. ^ .la Repubblica
  30. ^ http://www.paologuzzanti.it/wp-content/2008/03/sentenza.pdf
  31. ^ trascrizione dell'intervista pubblicata su L'Espresso dell'8 aprile 1994, dal sito di Rai News 24
  32. ^ sentenza dell’11 dicembre 2004, relativa al procedimento contro Marcello Dell'Utri
  33. ^ Rapporto 0500/CAS del 13 aprile 1981 della Criminalpol di Milano.
  34. ^ Trascrizione di un'intercettazione telefonica tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri, sentenza dell’11 dicembre 2004, relativa al procedimento contro Marcello Dell'Utri, pag 483 e seguenti, proveniente dal rapporto 0500/CAS dell’aprile 1981 della Criminalpol di Milano
  35. ^ http://archiviostorico.corriere.it/1992/luglio/21/agente_superstite_vivo_per_miracolo_co_0_9207211793.shtml
  36. ^ Intervista di Minà a Caponnetto
  37. ^ Lirio Abbate, Peter Gomez, I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano, da Corleone al Parlamento, p. 36
  38. ^ L'agenda rossa di Paolo Borsellino
  39. ^ Intervista RAI a Salvatore Borsellino fratello di Paolo Borsellino
  40. ^ Intervista di Minà a Caponnetto

Musica


Bibliografia

  • Maurizio Calvi, Crescenzo Fiore, Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l'assassinio di G. Falcone e P. Borsellino, Dedalo, 1992 ISBN 978-88-220-6137-9
  • Giustizia e Verità. Gli scritti inediti di Paolo Borsellino, a cura di Giorgio Bongiovanni, Ed. Associazione Culturale Falcone e Borsellino, 2003
  • Rita Borsellino, Il sorriso di Paolo, EdiArgo, Ragusa, 2005
  • Umberto Lucentini, Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori 1994, riedito San Paolo 2004.
  • Giammaria Monti, Falcone e Borsellino: la calunnia il tradimento la tragedia, Editori Riuniti, 1996
  • Leone Zingales, Paolo Borsellino - una vita contro la mafia, Limina, 2005
  • Rita Borsellino, Fare memoria per non dimenticare e capire, Maria Pacini Fazzi Editore, 2002
  • Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco, L'agenda rossa di Paolo Borsellino, Chiarelettere, 2007
  • Fondazione Progetto Legalità Onlus in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia, La memoria ritrovata. Storie delle vittime della mafia raccontate dalle scuole, Palumbo Editore, 2005

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