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Lo stesso argomento in dettaglio: Wikipedia:Vaglio/Prima guerra mondiale/2.
Prima guerra mondiale
[[File:WW1 TitlePicture For Wikipedia Article.jpg|frameless|center|260x300px]]In senso orario dall'alto: [[Trincea|trincee]] sul [[Fronte occidentale (prima guerra mondiale)|fronte occidentale]]; un [[Mark I (carro armato)|Mark IV]] britannico in azione; la [[Nave da battaglia|corazzata]] HMS ''Irresistible'' della [[Royal Navy]] affonda dopo aver colpito una [[Mina navale|mina]] nei [[Operazioni navali nei Dardanelli (1914-1915)|Dardanelli]]; soldato britannico con una [[Vickers (mitragliatrice)|mitragliatrice Vickers]] e [[maschera antigas]]; [[Biplano|biplani]] tedeschi [[Albatros D.III]]
Data28 luglio 1914 - 11 novembre 1918
LuogoEuropa, Africa, Medio Oriente, isole del Pacifico, Oceano Atlantico e Indiano
Casus belliAttentato di Sarajevo
EsitoVittoria degli stati Alleati
Modifiche territorialiCrollo degli imperi tedesco, austro-ungarico, ottomano e russo
  • Nascita di diversi stati in Europa e Medio Oriente conseguente alla spartizione dell'Austria-Ungheria e dell'Impero ottomano
  • Spartizione delle colonie tedesche e delle regioni ottomane tra le potenze vincitrici
  • Creazione della Società delle Nazioni.
Schieramenti
Nazioni Alleate:
Serbia
Russia (bandiera) Russia (fino al 1917)
Francia (bandiera) Francia
Belgio (bandiera) Belgio
Regno Unito (bandiera) Impero britannico
Montenegro (fino al 1916)
Giappone (bandiera) Giappone
Italia (bandiera) Italia (dal 1915)
Portogallo (bandiera) Portogallo (dal 1916)
Romania (bandiera) Romania (dal 1916)
Stati Uniti (dal 1917)
Grecia (dal 1917)
Imperi centrali:
Austria-Ungheria
Germania (bandiera) Germania
Impero ottomano (bandiera) Impero ottomano
Bulgaria (bandiera) Bulgaria (dal 1915)
Comandanti
Perdite

Militari morti
5.525.000
Militari feriti
12.990.000
Militari dispersi
4.121.000
Civili morti
3.155.000
Perdite effettive

12.801.000

Militari morti
4.387.000
Militari feriti
8.390.000
Militari dispersi
3.629.000
Civili morti
3.585.000
Perdite effettive

11.601.000
Voci di guerre presenti su Wikipedia

La prima guerra mondiale, per i contemporanei la grande guerra, è la denominazione che venne data al più grande conflitto mai combattuto fino ad allora; questi cominciò il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell'Austria alla Serbia in seguito dell'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914 per concludersi oltre quattro anni dopo, l'11 novembre 1918. Il conflitto coinvolse le maggiori potenze mondiali di allora, divise in due blocchi contrapposti; gli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Impero ottomano e Bulgaria) contro le potenze Alleate rappresentate principalmente da Francia, Gran Bretagna, Impero russo e Italia. Oltre 70 milioni di uomini furono mobilitati in tutto il mondo (60 milioni solo in Europa), in quella che divenne in breve tempo il più vasto conflitto della storia, che causò oltre 9 milioni di vittime tra i soldati e circa 7 milioni di vittime civili dovute non solo agli effetti diretti delle operazioni di guerra, ma anche alla carestia e alle malattie concomitanti il conflitto[1].

Militarmente il conflitto si aprì con l'invasione austro-ungarica della Serbia, e parallelamente, con una fulminea avanzata dell'esercito tedesco in Belgio, Lussemburgo e nel nord della Francia, dove giunse a 40 chilometri da Parigi. In poche settimane il gioco di alleanze formatosi negli ultimi decenni dell'ottocento tra gli stati comportò l'entrata nel conflitto delle maggiori potenze europee e delle rispettive colonie. In pochi anni la guerra raggiunse una scala mondiale, con la partecipazione di molte altre nazioni, fra cui l'Impero ottomano, l'Italia, la Romania, gli Stati Uniti e la Grecia, aprendo così altri fronti di combattimento.

Con la sconfitta tedesca sulla Marna nel settembre 1914 le speranze degli invasori di una guerra breve e vittoriosa svanirono a favore di una logorante guerra di trincea, che si replicò su tutti i fronti del conflitto dove nessuno dei contendenti riuscì a soggiogare le armate nemiche. Determinante per l'esito finale del conflitto mondiale fu l'ingresso degli Stati Uniti d'America e di diverse altre nazioni che, pur non entrando militarmente a pieno regime nel conflitto, grazie agli aiuti economici dispensati agli Alleati, si schierarono contro gli Imperi Centrali facendo pendere definitivamente l'ago della bilancia.

La guerra si concluse definitivamente l'11 novembre 1918, quando la Germania, ultima degli Imperi centrali a deporre le armi, firmò l'armistizio con le forze nemiche. Alla fine del conflitto, i maggiori imperi esistenti al mondo - Impero tedesco, austro-ungarico, ottomano e russo - cessarono di esistere, e da questi nacquero diversi stati che ridisegnarono completamente la geografia dell'Europa.

Origini della guerra

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Lo stesso argomento in dettaglio: Cause della prima guerra mondiale.

Lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 segnò la fine di un lungo periodo della storia europea iniziato nel 1815 con la sconfitta definitiva della Francia napoleonica. La pace europea dell'inizio del XX secolo tuttavia non aveva basi solide: nel corso dei decenni del XIX secolo in Europa vi furono diversi conflitti a carattere limitato[2][3]. Le cause fondamentali del conflitto non rientrano però nell'ambito del conflitto, bisogna risalire innanzitutto al ruolo preponderante della Prussia nella creazione del Reich, alle concezioni politiche di Bismarck, alle tendenze filosofiche prevalenti in Germania e alla sua situazione economica; un insieme di fattori eterogenei che concorsero a trasformare il desiderio dell Germania di assicurarsi sbocchi commerciali nel mondo. Dovremmo quindi analizzare i problemi etnici interni all'Austria-Ungheria e alle ambizioni indipendentiste dei popoli di cui si formava, il timore che la Russia generava oltre frontiera sopratutto nei tedeschi, la paura che tormentava la Francia fin dal 1870 di una nuova aggressione che aveva lasciato un'eredità di animosità tra la Francia e la Germania[4], e infine dovremmo tener conto dell'evoluzione diplomatica della Gran Bretagna da una politica di isolamento ad una politica di attiva presenza in Europa[5].

Sotto la guida politica del suo primo cancelliere, Otto von Bismarck, la Germania assicurò una forte presenza in Europa tramite l'alleanza con l'Impero austro-ungarico e l'Italia e un'intesa diplomatica con al Russia. L'ascesa al trono nel 1888 dell'imperatore Guglielmo II, portò sul trono tedesco un giovane governante determinato a dirigere da sé la politica, nonostante i suoi dirompenti giudizi diplomatici. Dopo le elezioni del 1890, nelle quali i partiti del centro e della sinistra ottennero un grosso successo ed in parte a causa della disaffezione nei confronti del Cancelliere che aveva guidato suo nonno per gran parte della sua carriera, Guglielmo II fece in modo di ottenere le dimissioni di Bismarck[6]. Gran parte del lavoro dell'ex cancelliere venne disfatto negli anni seguenti, quando Guglielmo II mancò di rinnovare il trattato di controassicurazione con la Russia, permettendo invece alla Francia repubblicana l'opportunità di concludere nel 1894 un'alleanza con la Russia[7].

Altro passaggio fondamentale nel percorso verso la guerra mondiale fu la corsa al riarmo navale. Il Kaiser riteneva che solo la creazione di una importante marina militare avrebbe reso la Germania una potenza mondiale. Nel 1897 fu nominato alla guida della marina imperiale l'ammiraglio Alfred von Tirpitz, e la Germania iniziò una politica di riarmo navale che risultò una vera e propria sfida aperta al secolare predominio navale britannico[8], che favorì l'accordo anglo-francese, l'Entente cordiale del 1904 e l'accordo anglo-russo, che chiudeva un secolo di rivalità fra le due potenze nello scacchiere asiatico. La Gran Bretagna tentò inoltre di rafforzare la propria posizione in altre direzioni, alleandosi con il Giappone nel 1902, e nonostante la proposta di Chamberlain di un trattato fra Gran Bretagna, Germania e Giappone per avvantaggiarsi congiuntamente nel Pacifico, la Germania continuò nella sua politica bellicosa attirandosi motivi di attrito con le potenze europee[9]. Da quel momento in poi le grandi potenze europee furono di fatto, anche se non ufficialmente, divise in due gruppi rivali. Negli anni seguenti la Germania, la cui politica aggressiva e poco diplomatica aveva dato il via a una coalizione avversaria, intensificò i rapporti con l'Austria-Ungheria e l'Italia[10].

La nuova divisione in blocchi dell'Europa non era una riedizione del vecchio equilibrio di potenza, ma una semplice barriera tra potenze, una barriera satura di esplosivo. I diversi paesi si affrettarono ad aumentare i loro armamenti, che, nel timore di una deflagrazione improvvisa, vennero messi a completa disposizione dei militari[10]. Il Regno Unito aveva dato il via libera alle pretese della Francia sul Marocco, in cambio del riconoscimento dei propri diritti sull'Egitto, tuttavia questo accordo fra le due principali potenze coloniali violava la precedente convenzione di Madrid del 1880, firmata anche dalla Germania. Ne derivò la crisi di Tangeri del 1905 dove il Kaiser ribadì il ruolo fondamentale della Germania nella politica extra-europea[11].

Ma la prima vera scintilla scoccò nei Balcani nel 1908. Della rivoluzione in Turchia approfittarono la Bulgaria per liberarsi dalla sovranità turca e l'Austria per annettersi le provincie della Bosnia e dell'Erzegovina che già amministrava dal 1879. L'Austria e la Russia si accordarono a cambio dell'apertura alla Russia dei Dardanelli, ma l'Italia considerò tale azione un affronto e la Serbia una minaccia. In Russia poi la perentoria richiesta tedesca di riconoscere la legittimità dell'annessione sotto pena di un'attacco austro-tedesco facilitò la mossa austriaca ma creò non pochi dissapori tra la Russia e le potenze centrali[12].

Altro motivo di attrito fu la crisi di Agadir, dove per indurre la Francia a fare concessioni in Africa, nel giugno 1911 i tedeschi inviarono una cannoniera nel porto di Agadir. Il Cancelliere dello Scacchiere David Lloyd George ammonì la Germania dall'astenersi da simili minacce alla pace, e dichiarò la Gran Bretagna pronta a supportare la Francia. Ciò spense la scintilla, ma acuì il risentimento dell'opinione pubblica tedesca che favorì un'ulteriore ampliamento della marina da guerra. Ciò nonostante, il successivo accordo sul Marocco, allentò i motivi di frizione, ma proprio in quel momento sulla scena europea venne gettata un'altra manciata di polvere da sparo, anche stavolta nei Balcani[13]. La debolezza della Turchia palesata dall'occupazione italiana di Tripoli, incoraggiarono Bulgaria, Serbia e Grecia a rivendicare l'egemonia della Macedonia come primo passo verso l'estromissione della Turchia dall'Europa. I turchi furono rapidamente sconfitti. la quota di bottino assegnata alla Serbia fu l'Albania settentrionale, ma l'Austria che già temeva ambizioni serbe, mobilità le sue truppe. E la sua minaccia alla Serbia trovò la naturale risposta in analoghe misure della Russia. Fortunatamente la Germania si schierò con Gran Bretagna e Francia per scongiurare pericolosi sviluppi. Quando la crisi cessò, la Serbia fu il paese che ne uscì meglio e la Bulgaria fu il paese uscito più malconcio; questo non piacque all'Austria che nell'estate del 1913 propose di attaccare immediatamente la Serbia. La Germania esercitò un freno ai propositi austriaci, ma allo stesso tempo estese il proprio controllo nell'esercito turco, facendo svanire nei russi la speranza di mettere le mani nei Dardanelli[14].

Negli ultimi anni in tutti i paesi europei si moltiplicarono gli incitamenti alla guerra, discorsi e articoli bellicosi, dicerie, incidenti di frontiera, e la Francia promulgò di tre anni la ferma militare per sopperire all'inferiorità numerica rispetto all'esercito tedesco, cosa che aggravò i rapporti con la Germania. La scintilla fatale scoccò a Sarajevo il 28 giugno 1914, la cui vittima, Francesco Ferdinando erede al trono d'Austria-Ungheria, fu forse l'unico austriaco autorevole che fosse amico dei nazionalisti serbi, perchè sognava un impero unito da un legame federativo e non dall'oppressione[15].

La crisi di luglio

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Lo stesso argomento in dettaglio: Attentato di Sarajevo e Crisi di luglio.

Il 28 giugno 1914, giorno di solenni celebrazioni e festa nazionale serba, l'Arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia, recatisi a Sarajevo in visita ufficiale, furono colpiti a morte da alcuni colpi di pistola sparati dal nazionalista diciannovenne serbo Gavrilo Princip. Da questo avvenimento, ne scaturì una drammatica crisi diplomatica che precedette e segnò l'inizio della guerra in Europa[16].

Nei giorni che seguirono, la Germania, convinta di poter localizzare il conflitto, pressò l'alleato austro-ungarico affinché aggredisse al più presto la Serbia. Solo la Gran Bretagna avanzò una proposta di conferenza internazionale che non ebbe seguito, mentre le altre nazioni europee si preparavano lentamente al conflitto. Quasi un mese dopo l'assassinio di Francesco Ferdinando, l'Austria-Ungheria inviò un duro ultimatum alla Serbia che venne rifiutato. Di conseguenza, il 28 luglio 1914, l'Austria-Ungheria dichiarò guerra al Regno di Serbia determinando l'irrimediabile acuirsi della crisi e la progressiva mobilitazione delle potenze europee per il gioco delle alleanze tra i vari stati.

L'Italia, il Portogallo, la Grecia, la Bulgaria, la Romania e la Turchia inizialmente rimasero neutrali, ai bordi del campo di battaglia, ma pronti a entrarvi appena avessero intravisto qualche vantaggio. Alla mezzanotte del 4 agosto erano cinque gli imperi che ormai erano entrati in guerra (Austria-Ungheria, Germania, Russia, Gran Bretagna e Francia)[17], ogni potenza era convinta di aver ragione degli avversari in pochi mesi. Molti ritenevano che la guerra sarebbe finita a Natale del 1914, o tuttalpiù a Pasqua del 1915[18]. Il conflitto che si era aperto con la crisi di luglio sarebbe terminato invece nel novembre del 1918, dopo aver provocato sedici milioni di morti tra militari e civili[1].

Le prime fasi della guerra (1914)

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Lo stesso argomento in dettaglio: Piano Schlieffen e Piano XVII.
Soldati tedeschi durante la partenza verso il fronte, agosto 1914.

Dopo la rottura delle relazioni diplomatiche fra Austria-Ungheria e Regno di Serbia, il governo tedesco, in conseguenza alla mobilitazione generale russa, il 31 luglio dichiarò guerra alla Russia e alla Francia, e mobilitò le proprie truppe in oriente ed occidente. Se la Francia avesse riunito tutto il suo potenziale bellico e dichiarato guerra proprio mentre le armate tedesche avanzavano ad oriente, la Germania avrebbe corso il rischio di trovarsi in serie difficoltà. In ottemperanza al piano Schlieffen, la strategia tedesca mirava a sconfiggere con una "guerra lampo" la Francia e, confidando nella lenta e pesante macchina bellica russa, rivolgere poi tutte le proprie forze ad oriente[19].

Il piano, ideato dal generale Alfred von Schlieffen e completato nel 1905, prevedeva che la Francia fosse attaccata da nord attraverso il Belgio e i Paesi Bassi, così da evitare la lunga linea fortificata alla frontiera francese e consentire all'esercito tedesco di calare su Parigi con un'unica grande offensiva. Schlieffen anche dopo essersi ritirato dall'esercito continuò a lavorare al piano, che aveva sottoposto ad un'ultima revisione nel dicembre 1912, poco prima di morire. Il generale von Moltke, suo successore come capo di Stato maggiore dell'esercito, poco prima dello scoppio del conflitto accorciò il tratto di fronte su cui effettuare l'offensiva escludendone i Paesi Bassi. Secondo il piano, Parigi sarebbe stata occupata, e la Francia soggiogata nel giro di sei settimane, mentre dieci divisioni avrebbero tenuto in scacco i russi ad oriente confidando nella lentezza della mobilitazione delle armate dello zar[20], fino al momento in cui la Germania avrebbe potuto rivolgere tutte le proprie forze contro la Russia[21].

L'invasione di Belgio e Francia

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Lo stesso argomento in dettaglio: Fronte occidentale (prima guerra mondiale).
Il dipinto "Antwerpen" di Willy Stöwer, raffigurante Anversa durante l'assedio tedesco, agosto 1914.
Fanteria francese mentre si appresta a combattere il nemico in avanzata sulla Marna.

A nord il Lussemburgo fu occupato dai tedeschi senza opposizione il 2 agosto, e più a nord, alla frontiera con il Belgio, i tedeschi avanzavano a gran velocità dando corpo all'invasione. La Gran Bretagna non aveva truppe sul continente europeo, e il suo corpo di spedizione al comando di Sir John French, doveva ancora essere radunato, armato e inviato al fronte al di là della Manica. In ottemperanza al piano XVII, il 14 agosto le truppe francesi sconfinarono in Alsazia e Lorena convinte di riscattare le umiliazioni del passato[21].

Quel giorno le forze tedesche iniziarono la battaglia di Liegi andando all'assalto del primo vero ostacolo sul loro cammino: il campo fortificato di Liegi con la sua guarnigione di 35.000 soldati. L'attacco durò più del previsto e solo il 7 agosto la fortezza centrale capitolò[22]. Il 12 agosto l'Austria-Ungheria invase la Serbia, mentre sul fronte occidentale continuavano furiosi i combattimenti sul confine franco-tedesco e soprattutto in Belgio. Dopo la caduta di Liegi la maggioranza dell'esercito belga si mise in ritirata verso ovest, mentre il 25 più a nord i tedeschi bombardarono Anversa con uno Zeppelin, durante le fasi preliminari dell'assedio della città che durò fino al 28 settembre e comportò enormi devastazioni[23]. Lo stesso 12 agosto le avanguardie del corpo di spedizione britannico attraversarono la Manica scortate da 19 navi da guerra. In dieci giorni furono sbarcati 120.000 uomini senza che una sola vita o una sola nave andassero perdute, non avendo la Kaiserliche Marine mai ostacolato le operazioni[24].

Il 20 agosto le truppe tedesche entrarono a Bruxelles. All'estremità meridionale del fronte i francesi, penetrati in Alsazia e vicini alla città di Mulhouse, giunsero a sedici chilometri dal Reno, ma non sarebbero mai andati oltre. Più a nord i francesi penetrati in Lorena furono sconfitti a Morhange e iniziarono a ritirarsi verso Nancy. La città, nonostante la pressione tedesca, resse l'urto grazie ai sacrifici della 2ª armata francese guidata da Édouard de Castelnau[25].

Il 22 agosto iniziò l'avanzata tedesca lungo tutto il fronte; la 5ª armata francese fu cacciata da Charleroi, e cominciò furiosa la battaglia di Mons, battesimo del fuoco per il corpo di spedizione britannico, che resistette con inaspettata tenacia[26]. I tedeschi riuscirono comunque a rompere la resistenza delle forze di French e il 23 iniziarono ad avanzare; quello stesso giorno sia i francesi da Charleroi che i belgi da Namur cedettero alla pressione nemica e iniziarono a ripiegare. Il 2 settembre il governo francese si rifugiò a Bordeaux[27] e le truppe anglo-francesi, avendo appreso che i tedeschi non avrebbero attaccato Parigi puntando verso sud, ma si sarebbero diretti verso sud-ovest contro i britannici, si attestarono sulla Marna, facendone saltare tutti i ponti[28]. Il giorno dopo l'esercito tedesco era a soli 40 km da Parigi[29]. In questa situazione di panico generale – un milione di parigini aveva abbandonato la città[27] - il generale Gallieni, governatore militare di Parigi approntava le difese, avendo a disposizione una nuova armata appena costituita da schierare nel sistema di trincee e fortificazioni che attorniavano la capitale[29]. Tuttavia il 12 settembre, i francesi, con l'aiuto della British Expeditionary Force, bloccarono l'avanzata nemica ad est di Parigi durante la prima battaglia della Marna. Gli ultimi giorni di questa battaglia segnarono la fine della guerra di movimento ad occidente a favore di una logorante guerra di trincea lungo solide postazioni[30].

Il fronte orientale

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Lo stesso argomento in dettaglio: Fronte orientale (prima guerra mondiale).
Fanteria tedesca a Tannenberg.

Gli scontri iniziali a est erano stati contrassegnati più da rapidi mutamenti di fortuna che da vantaggi decisivi per una delle due parti. Il comando austriaco aveva impiegato parte delle sue forze nel vano tentativo di mettere fuori combattimento le forze serbe, e inoltre il suo piano per un'offensiva iniziale diretta a tagliar alla radice la "striscia" polacca, era stato paralizzato dal cattivo funzionamento della parte tedesca della tenaglia. Anzi era la Germania, che schierava la sola 8ª armata con il compito di difendere la Prussia Orientale, a rischiare di essere sopraffatta dalle truppe di Nicola II che mobilitò anzitempo la 1ª e la 2ª armata contro la Prussia, nel tentativo di allentare la pressione tedesca in Francia nei primissimi mesi del conflitto[31]. Dopo una prima serie di sconfitte, il comandante tedesco Maximilian von Prittwitz venne sostituito dal generale in pensione Paul von Hindenburg che nominò suo capo di stato maggiore Erich Ludendorff. I due annientarono i russi a Tannenberg, che a loro volta non si fecero sorprendere dalle armate austro-ungariche in Polonia, a cui dovettero correre in soccorso i tedeschi che con la neonata 9ª armata iniziarono il contrattacco in direzione Varsavia[32].

Il granduca Nicola costituì un'enorme potenziale composto da sette armate, che impegnarono duramente gli Imperi centrali, i quali sfruttando il migliore sistema ferroviario a loro disposizione riuscirono ad arrestare il "rullo compressore" russo e a contrattaccare sulla Vistola, dove due armate russe furono separate dalla penetrazione di Ludendorff, che riuscì a far ripiegare la 1ª armata russa a Varsavia, mentre la 2ª fu quasi accerchiata come capitò a Samsonov a Tannenberg[33]. Nuove forze provenienti da occidente permisero, il 15 dicembre 1914, a Ludendorff di respingere i russi fino alla linea dei fiumi Bzura e Ravka davanti a Varsavia, ma la diminuzione delle provviste e delle munizioni indussero Nicola a ritirare ulteriormente le truppe sulle linee trincerate lungo i fiumi Nida e Dunajec, lasciando al nemico l'estremità della striscia polacca. Anche a est come a ovest le ostilità erano giunte ad un punto morto, con le forze contrapposte attestate su solide linee trincerate; ma qui l'inadeguatezza delle industrie russe non avrebbero potuto sopperire alla guerra come per le forze alleate occidentali[34].

Le invasioni della Serbia

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Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna di Serbia.
Un gruppo di soldati serbi sulla linea del fronte

Benché fosse tecnicamente il luogo dove la guerra aveva preso avvio, il fronte serbo fu relegato ben presto a teatro secondario di un conflitto divenuto ormai mondiale. Con il grosso delle sue forze concentrato in Galizia contro i russi, l'Austria-Ungheria diede avvio all'invasione del territorio serbo il 12 agosto 1914: guidate dal generale Radomir Putnik e supportate anche dalle forze del Regno del Montenegro, le truppe serbe opposero una ostinata resistenza, infliggendo agli austroungarici una sconfitta nella battaglia del Cer (16-19 agosto) ed obbligandoli a ritirarsi oltre frontiera[35]. Dopo una controffensiva serba al confine con la Bosnia, sfociata nell'inconcludente battaglia della Drina (6 settembre - 4 ottobre 1914), gli austroungarici del generale Oskar Potiorek lanciarono una nuova invasione il 5 novembre, riuscendo ad occupare la capitale Belgrado: Putnik fece arretrare lentamente le sue forze fino al fiume Kolubara, dove inflisse una disastrosa sconfitta alle truppe di Potiorek obbligandole ancora una volta alla ritirata; il 15 dicembre 1914 i serbi ripresero Belgrado, riportando la linea del fronte ai confini prebellici[36].

Le offensive austroungariche erano costate all'Impero la perdita di 227.000 uomini tra morti, feriti e dispersi, oltre ad un ampio bottino di armi e munizioni di vitale importanza per il mal equipaggiato esercito serbo; nonostante la vittoria la Serbia ebbe 170.000 caduti durante la campagna, perdite enormi per il suo piccolo esercito ulteriormente aggravate dallo scoppio di una violenta epidemia di tifo (che fece 150.000 vittime tra i civili) e dalla grave carenza di generi alimentari[36].

La guerra in Africa

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Lo stesso argomento in dettaglio: Teatro africano della prima guerra mondiale.
Ascari indigeni ed artiglieri tedeschi delle Schutztruppe in Africa orientale.

Giunta piuttosto in ritardo alla corsa per la spartizione dell'Africa, nel 1914 la Germania disponeva di un numero limitato di possedimenti nel continente: isolati dalla madrepatria dal blocco navale degli Alleati e circondati dai territori dei più ampi imperi coloniali britannico e francese, il loro destino era praticamente segnato fin dall'inizio delle ostilità[37]. La piccola colonia del Togoland (l'odierno Togo) fu rapidamente occupata dalle forze anglo-francesi già entro la fine dell'agosto del 1914, mentre più impegnativa fu la lotta nel vicino Camerun Tedesco: la capitale Buéa fu occupata da truppe coloniali francesi e belghe il 27 settembre 1914, ma favorite dal terreno impervio e dalle piogge tropicali le ultime guarnigioni tedesche non furono costrette a capitolare prima del febbraio del 1916. La guarnigione dell'Africa Tedesca del Sud-Ovest (l'odierna Namibia) dovette sostenere un'invasione da parte delle truppe sudafricane e, benché appoggiata dall'insurrezione di alcuni ribelli boeri contro le autorità britanniche, fu infine costretta alla resa nel luglio del 1915[37].

Molto più lunga fu la lotta nell'Africa Orientale Tedesca (l'odierna Tanzania): al comando di un miscuglio di coloni tedeschi e truppe arruolate tra gli indigeni locali (Schutztruppe), il colonnello Paul Emil von Lettow-Vorbeck intraprese una serie di azioni di guerriglia ed attacchi mordi-e-fuggi ai danni delle colonie confinanti (il Kenya britannico, il Congo belga e il Mozambico portoghese), infliggendo agli Alleati diverse sconfitte[37]. Fu necessario mettere in campo una vasta forza (arrivata a contare, tra soldati e personale ausiliario, quasi 400.000 uomini) per avere ragione delle elusive truppe di Vorbeck ed occupare la colonia: gli ultimi guerriglieri tedeschi, ancora capitanati dal loro comandante, si arresero solo il 26 novembre 1918, dopo essere stati informati dell'avvenuta capitolazione della Germania 15 giorni prima[37].

L'entrata in guerra dell'Impero ottomano provocò insurrezioni da parte delle popolazioni musulmane del Nordafrica contro le autorità coloniali europee: i francesi dovettero sostenere una lunga guerra contro le tribù berbere degli Zayani del Marocco, come pure una rivolta tra i Tuareg del nord del Niger; nella Libia orientale i guerriglieri della confraternita dei Senussi misero in seria difficoltà le guarnigioni italiane, confinandole in pratica al controllo dei soli centri costieri principali, e conducendo anche una serie di attacchi contro le postazioni britanniche in Egitto ma venendo infine respinti[38].

Il dominio dei mari

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Lo stesso argomento in dettaglio: Operazioni navali nella prima guerra mondiale.
Uno squadrone della Grand Fleet britannica.
La sala macchine di un U-Boot tedesco.

Il 29 luglio 1914 la flotta britannica, senza dichiarare la mobilitazione, salpò dalla base di Portland verso la base di guerra a Scapa Flow nelle isole Orcadi che controllavano il passaggio tra la parte settentrionale della Gran Bretagna e la Norvegia. All'inizio delle ostilità la Germania, consapevole dell'inferiorità nei confronti della Grand Fleet britannica, mantenne un atteggiamento attendista, decidendo di evitare uno scontro diretto finchè i loro posamine e i loro sommergibili non avessero indebolito la marina da guerra britannica e diminuito i commerci con le colonie[39]. La geografia della costa nord della Germania favoriva questo tipo di strategia, le coste frastagliate, gli estuari e la protezione assicurata dalle isole - quali Helgoland - costituivano uno scudo molto potente per le basi di Wilhelmshaven, Bremerhaven e Cuxhaven e allo stesso tempo offriva una eccellente base per rapide incursioni nel mare del Nord[40]. Durante il primo anno di guerra la Gran Bretagna si preoccupò quindi di pattugliare il mare del Nord e permettere il trasferimento della forza di spedizione attraverso la Manica; l'unica azione di rilievo fu l'incursione nella baia di Helgoland dove l'ammiraglio Beatty affondò parecchi incrociatori leggeri tedeschi, confermando ai tedeschi la necessità di continuare una tattica difensiva ma allo stesso tempo accelerando l'attività dei sommergibili e dei posamine[41].

la guerra nel Mediterraneo si aprì con un errore destinato ad avere forti conseguenza politiche da parte delle forze Alleate. In quelle acque navigavano due delle navi da guerra più veloci della Kaiserliche Marine, l'incrociatore da battaglia Goeben e l'incrociatore leggero Breslau; ricevuto l'ordine da Berlino di puntare verso Costantinopoli, furono inseguite dalla Royal Navy che però si fece sfuggire l'occasione. Il ministro della Guerra turco, consapevole che acconsentire il passaggio nei Dardanelli alle navi tedesche avrebbe rappresentato un atto ostile nei confronti della Gran Bretagna e avrebbe sospinto la Turchia nell'orbita della Germania, diede il suo assenso all'entrata nello stretto alle due navi tedesche. Per non pregiudicare la neutralità della Turchia, le due navi vennero cedute con un finto atto di vendita alla Turchia, ma a ciò non seguirono atti ostili e le due navi furono ancorate al porto di Costantinopoli[42].

Negli oceani invece la caccia alle unità tedesche fu l'obiettivo principale per le flotte Alleate. La Germania non ebbe il tempo per far uscire le proprie navi da guerra per ostacolare il traffico commerciale degli Alleati, così allo scoppio della guerra i pochi incrociatori all'estero costituirono la spina nel fianco della marina britannica; non era facile conciliare l'esigenza di concentrare le forze nel mare del Nord in vista di un attacco a sorpresa della Germania con la necessità di pattugliare e difendere le rotte marittime dall'India e dai Dominions[43]. Con la distruzione dell'Emden avvenuta il 9 novembre, l'oceano Indiano fu libero dalla minaccia, ma questo successo fu neutralizzato da una grave sconfitta nel Pacifico, nella battaglia di Coronel, dove la divisione incrociatori dell'ammiraglio Cradock fu battuta dagli incrociatori corazzati dell'ammiraglio Maximilian von Spee, lo Scharnhorst e lo Gneisenau[43]. Questo scacco fu prontamente riscattato dall'ammiraglio Doveton Sturdee che alla guida degli incrociatori Inflexible, Invincible e Australia, scendendo dalle isole Fiji, l'8 dicembre 1914 prese alle spalle von Spee nei pressi delle Falkland e ne affondò l'intera divisione tranne il Dresden, distruggendo l'ultimo strumento della potenza navale tedesca negli oceani[43].

Da quel momento in poi la Gran Bretagna e i suoi alleati poterono contare sulla sicurezza delle vie di comunicazione oceaniche per i loro traffici di rifornimenti e truppe, ma poichè le rotte oceaniche devono per forza avere un capolinea sulla terra ferma, la logica mossa tedesca fu quella di incrementare lo sviluppo dell'arma sottomarina che rese gradualmente meno effettiva questa sicurezza[43].

Il Giappone ed il teatro del Pacifico

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Da tempo alleato del Regno Unito, il 23 agosto 1914 il Giappone dichiarò guerra alla Germania, segnando il destino degli sparpagliati possedimenti tedeschi situati nell'area del Pacifico: ai primi di ottobre una squadra navale giapponese salpò alla volta della Micronesia, dove i tedeschi disponevano di una serie di piccole basi, occupando entro la fine del mese le isole Caroline, le Marshall e le Marianne praticamente senza combattere; il 31 ottobre una forza di spedizione nipponica, rinforzata poi anche da un contingente britannico proveniente da Tientsin, pose l'assedio al porto fortificato di Tsingtao, possedimento tedesco in Cina fin dal 1898, obbligando la guarnigione a capitolare il 7 novembre 1914[44]. Il resto delle colonie tedesche fu occupato dai dominion australi del Regno Unito: il 30 agosto 1914 una forza neozelandese occupò senza spargimenti di sangue le Samoa, mentre la Nuova Guinea Tedesca fu occupata dagli australiani nel settembre seguente dopo una breve campagna contro la piccola guarnigione del possedimento; l'ultimo avamposto tedesco, Nauru, cadde in mano australiana il 14 novembre 1914.

La neutralizzazione delle colonie tedesche non esaurì la partecipazione giapponese al conflitto: nel 1917, su richiesta degli Alleati, la Marina imperiale giapponese inviò una squadra di cacciatorpediniere nel Mediterraneo per contribuire alla lotta contro gli attacchi dei sommergibili tedeschi diretti contro il traffico mercantile[45]. Il Giappone non fu la sola nazione asiatica a partecipare al conflitto: dopo un fallito tentativo di colpo di stato sostenuto dalla Germania, la Cina dichiarò guerra agli Imperi centrali nel luglio del 1917, anche se ciò non comportò alcun coinvolgimento militare; il Siam dichiarò guerra alla Germania il 22 luglio 1917 ed inviò un piccolo contingente ad aggregarsi alle truppe britanniche in Francia nel 1918, ottenendo così alcune concessioni dalle potenze europee durante le trattative di pace finali[46].

Il conflitto si allarga (1915)

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I fronti dove si combatteva e quelli dove ci si aspettava di farlo erano ormai numerosi. Tutti i belligeranti iniziarono a impiegare nella guerra tutte le risorse a disposizione, e allo stesso tempo affiorarono le prime voci di opposizione alla guerra in Gran Bretagna, in Germania dove il 1° aprile ebbe luogo una manifestazione organizzata da Rosa Luxemburg, in Francia e Russia[47]. L'Italia, pur restando neutrale, ricercava le migliori garanzie territoriali in cambio del proprio intervento. L'8 aprile 1915 offrirono di allearsi con le potenze centrali in cambio del Trentino, le isole della Dalmazia, Gorizia, Grandisca e il "primato" sull'Albania. Una settimana dopo l'Austria-Ungheria rifiutò le condizioni, e l'Italia fece richieste ancora più gravose con le potenze dell'Intesa, che si dissero disposte ad intavolare delle trattative[48].

Intanto sul fronte del Caucaso, l'avanzata russa provocò il risentimento dei turchi contro la popolazione armena, rea di aver favorito le truppe dello zar. L'8 aprile iniziarono i rastrellamenti e le fucilazioni; iniziò così una vera e propria pulizia etnica. Massacri e deportazioni divennero sistematici, gli appelli ad intervenire alle potenze Alleate come al governo di Berlino furono inutili[49].

Lo stallo e la ricerca di una via d'uscita

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Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra di trincea e Armi chimiche.
Fuoco di sbarramento notturno tedesco durante la seconda offensiva su Ypres.

In seguito all'arretramento tedesco successivo alla Marna, le forze contrapposte tentarono di aggirarsi reciprocamente sul fianco nella cosiddetta "corsa al mare", e in breve estesero il proprio sistema trincerato dal canale della Manica alla frontiera con la Svizzera. I tedeschi puntarono decisi verso le coste e i relativi porti del Belgio e della Francia, i britannici mandarono rinforzi della Royal Naval Division a Ostenda mentre il 3 ottobre i tedeschi, proseguendo la loro avanzata verso il mare del Nord, occuparono Ypres e l'11 iniziarono l'assedio di Lilla[50]. Falliti tutti i tentativi di aggiramento i due schieramenti iniziarono a rafforzare e fortificare le proprie posizioni scavando trincee, camminamenti, rifugi e casematte. Dal mare del Nord alle Alpi, fra uno schieramento e l'altro, si estendeva la terra di nessuno, una fascia di terreno martoriata dalle granate e continuamente contesa da entrambi gli schieramenti rappresenterà fino agli ultimi attacchi Alleati del 1918 la prerogativa del conflitto[51].

Il primo dei numerosi tentativi che gli eserciti contrapposti provarono per uscire da questo stallo, avvenne il 22 aprile 1915, quanto i tedeschi utilizzarono per la prima volta e su vasta scala le armi chimiche, durante il secondo attacco al saliente di Ypres, sperando in tal modo di riprendere quella guerra manovrata che erano stati addestrati a combattere[52]. Iniziò così anche la "guerra dei gas" che costò 78.198 vittime fra gli Alleati mettendone fuori combattimento per un periodo più o meno lungo almeno 908.645, mentre, le stesse forze Alleate, nonostante avessero impiegato nel corso della guerra la stessa quantità di gas dei tedeschi, inflissero ai nemici circa 12.000 perdite e 288.000 intossicati, a dimostrazione della maggiore efficacia nelle tattiche d'impiego tedesche[53].

Tra i mesi di gennaio e febbraio la Germania intensificò la guerra sottomarina dichiarando legittimo attaccare tutte le navi, incluse quelle neutrali, adibite al trasporto di viveri o rifornimenti alle potenze dell'Intesa, giustificando il fatto sostenendo che si trattava di una "rappresaglia" contro il blocco britannico (ossia la massiccia posa di mine nel mare del Nord a novembre 1914) che affamava il suo popolo[54]. Nel frattempo tutti gli eserciti si adoperavano per aumentare le proprie capacità aeree. In Polonia i russi bombardavano ininterrottamente le stazioni ferroviarie tedesche, senza però riuscire a rallentarne l'avanzata. Il 12 febbraio il Kaiser ordinò di condurre una guerra aerea contro l'Inghilterra con l'uso degli Zeppelin, e nello stesso periodo iniziò una pratica che caratterizzò la guerra di trincea per tutto il conflitto sia sul fronte occidentale che in seguito sul fronte italiano; la guerra di mine. Il 17 febbraio i britannici arruolarono alcuni minatori che iniziarono gli studi e le modalità per creare le condizioni per portare la guerra sotto le psotazioni nemiche[55].

L'impero ottomano

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Nel 1914 l'Impero ottomano era ormai in solidi rapporti con la Germania, che da tempo investiva capitali nello sviluppo economico dell'Impero e curava l'addestramento delle sue forze armate[56]. L'influente ministro della guerra Ismail Enver era un filo-tedesco, ma il governo ottomano era ancora diviso sulla scelta di unirsi agli Imperi centrali, nonostante la firma il 1º agosto 1914 di un trattato segreto di natura militare ed economica con la Germania; il sequestro, all'inizio della guerra, da parte dei britannici di due navi da battaglia ottomane in costruzione nei cantieri inglesi provocò forte indignazione a Istanbul, ed i tedeschi ne approfittarono cedendo agli ottomani i due incrociatori Goeben e Breslau sfuggiti alla caccia nemica nel Mediterraneo[56]. Il 29 ottobre 1914 le due navi, ora battenti bandiera turca, bombardarono e posarono mine davanti ai porti russi sul Mar Nero, e gli Alleati replicarono con una dichiarazione di guerra: il 1° novembre navi britanniche attaccarono un posamine turco nel porto di Smirne e il giorno seguente un incrociatore leggero bombardò il porto di 'Aqaba sul Mar Rosso, mentre il 3 novembre vennero presi di mira i forti sui Dardanelli[57].

L'entrata in guerra dell'Impero ottomano aprì nuovi scenari di conflitto in teatri molto distanti l'uno dall'altro: nel Caucaso la Russia si ritrovò a sostenere un difficile secondo fronte di conflitto in un territorio impervio, mentre la presenza ottomana in Mesopotamia e Palestina minacciava due cardini dell'impero coloniale britannico, la raffineria petrolifera persiana di Abadan (vitale per i rifornimenti di carburante della Royal Navy) ed il canale di Suez; fin da subito però le attenzioni britanniche si rivolsero verso il forzamento dello stretto dei Dardanelli, al fine di portare la guerra direttamente nella capitale ottomana[58].

Il forzamento dei Dardanelli
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Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna dei Dardanelli.

Sul fronte orientale, nel 1915 le armate russe erano in grossa difficoltà, sospinte dalle forze ottomane al di là dei confini che la Russia aveva tracciato a spese dei turchi nel 1878. Il granduca Nicola si appellò allora alla Gran Bretagna perché compisse un'azione di disturbo contro la Turchia, costringendola a richiamare a est parte delle sue truppe. I britannici su suggerimento di lord Kitchener e con il fortissimo appoggio di Churchill allora Primo Lord dell'Ammiragliato, proposero di attaccare dal mare i forti turchi nei Dardanelli[59]. L'attacco doveva essere la spallata decisiva all'Impero Ottomano, la cui marina non poteva contrastare in alcun modo quella Alleata, e l'opinione inglese dominante era quella di una campagna breve e violenta che avrebbe portato le truppe di terra a Istanbul. Aprire lo stretto avrebbe portato probabilmente alla resa turca e sicuramente alla possibilità da parte russa di esportare il suo grano. L'unico vero rischio, peraltro ampiamente sottovalutato dagli Alleati, erano i campi minati turchi, dei quali sottovalutavano la estensione e la capacità avversaria di metterne rapidamente in opera di nuovi. Anche gli armanenti dei forti, sebbene antiquati, si sarebbero dimostrati pericolosi per gli attaccanti. Quella che doveva essere una campagna lampo si trasformò in una guerra di posizione con elevatissime perdite umane e che fece emergere in campo turco un importante leader come Mustafà Kemal, all'epoca generale dell'esercito.

Il fronte del Caucaso
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Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna del Caucaso.
Truppe russe in trincea durante la battaglia di Sarıkamış

Le operazioni sul fronte del Caucaso iniziarono fin dai primi giorni di guerra, a dispetto del terreno impervio e del rigido clima invernale: dopo aver facilmente respinto un'offensiva russa in direzione di Köprüköy tra il 2 ed il 16 novembre 1914, le forze della 3ª armata ottomana, guidate dallo stesso ministro della guerra Ismail Enver, lanciarono un massiccio attacco oltre il confine russo in direzione di Kars; la sconfitta patita ad opera dei russi nella seguente battaglia di Sarıkamış (22 dicembre 1914 - 17 gennaio 1915) si trasformò in una disfatta per gli ottomani quando la 3ª Armata cercò di ritirarsi attraverso le montagne innevate, perdendo 90.000 uomini su un totale di 130.000[60].

Alle prese con l'impegnativa situazione del fronte orientale, i russi non furono immediatamente in grado di sfruttare la vittoria e fino a marzo il fronte caucasico rimase stazionario, con solo poche schermaglie tra le due parti; alla ricerca di un capro espiatorio per la disfatta invernale, gli ottomani accusarono la minoranza armena che viveva nelle regioni di confine di connivenza con i russi, ed a partire dal febbraio del 1915 furono avviate deportazioni e massacri ai suoi danni[60]. Gli attacchi degli ottomani provocarono ben presto una aperta rivolta, ed il 19 aprile 1915 i "fedayyin" armeni si impossessarono dell'importante città di Van, resistendo poi all'assedio da parte delle forze ottomane; approfittando dell'occasione i russi lanciarono una massiccia offensiva nel settore orientale del fronte, liberando Van dall'assedio il 17 maggio ma venendo infine bloccati agli ottomani nel corso della battaglia di Malazgirt (10-26 luglio 1915). La controffensiva ottomana portò alla rioccupazione di Van (evacuata dal grosso della popolazione armena) e degli altri territori perduti entro la fine di agosto, e la linea del fronte tornò alla situazione di partenza per la fine dell'anno, con entrambe le forze impegnate a riorganizzarsi[61].

All'inizio del gennaio 1916 i russi lanciarono una massiccia offensiva nel settore occidentale del fronte, cogliendo completamente di sorpresa la 3ª armata ottomana che non si aspettava un attacco in pieno inverno: la vittoria russa nella battaglia di Koprukoy (10-19 gennaio 1916) obbligò gli ottomani ad abbandonare la strategica fortezza di Erzurum ed a ritirarsi verso ovest dopo aver subito pesanti perdite[61]. Appoggiate anche da sbarchi di truppe lungo la costa del Mar Nero, le truppe russe dilagarono nell'Anatolia orientale prendendo l'importante porto di Trebisonda il 15 aprile e spingendosi nell'interno fino alle città di Muş ed Erzincan, dove ottennero una nuova vittoria sugli ottomani tra il 2 ed il 25 luglio 1916; lo sfondamento fu contenuto solo con l'arrivo al fronte della 2ª armata ottomana del generale Mustafa Kemal, composta da truppe richiamate dal settore di Gallipoli, che il 25 agosto riuscì ad infliggere ai russi una sconfitta nella battaglia di Bitlis[61].

Il grosso dei combattimenti cessò alla fine di settembre del 1916, con entrambe le parti alle prese con i disagi causati da un inverno particolarmente duro; la situazione non subì grandi mutamenti nel corso del 1917, con i russi immobilizzati dai disordini in corso in patria e gli ottomani concentrati sul fronte del Medio Oriente contro i britannici[62]; l'armistizio di Erzincan del 5 dicembre 1917 ed il ritiro della Russia dal conflitto posero infine termine alle operazioni nel Caucaso.

La guerra in Medio Oriente
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Lo stesso argomento in dettaglio: Teatro del Medio Oriente della prima guerra mondiale.
Truppe britanniche in Mesopotamia nel 1916

Il 6 novembre 1914 truppe anglo-indiane sbarcarono nella penisola di Al-Faw, oggi in Iraq, dando avvio alla campagna della Mesopotamia; la spedizione era stata voluta per allontanare qualsiasi minaccia ottomana ai possedimenti britannici nella regione del Golfo Persico, e ben presto ottenne diversi risultati: il 21 novembre le forze britanniche presero l'importante porto di Bassora, spingendosi ai primi di dicembre fino a Al-Qurna, il luogo dove il Tigri e l'Eufrate confluivano in un unico fiume, dove sconfissero una forza ottomana[63]. L'occupazione di una solida testa di ponte a Bassora rendeva praticamente inutile continuare la campagna: la minaccia turca al Golfo Persico era sventata, e la Mesopotamia era troppo lontana dalle regioni chiave dell'Impero perché fosse vantaggiosa una sua completa occupazione; tuttavia la debole resistenza offerta dagli ottomani, ulteriormente confermata dal completo fallimento di una loro controffensiva in direzione di Bassora a metà aprile 1915, spinese l'alto comando britannico a continuare l'azione, convinto di poter ottenere altri facili successi[64].

Truppe cammellate ottomane a Be'er Sheva, nel sud della Palestina, nel 1915

Nel settembre del 1915 un contingente anglo-indiano sotto il generale Charles Vere Ferrers Townshend risalì il Tigri fino a prendere l'importante città di al-Kut; benché le linee di rifornimento fossero molto estese, l'alto comando spinse Townshend a proseguire l'avanzata verso la vicina Baghdad, un obiettivo molto più ambito, ma tra il 22 ed il 25 novembre le unità britanniche subirono un arresto nella battaglia di Ctesifonte ad opera delle rafforzate truppe ottomane[64]. Townshend si ritirò sulla base di Kut, dove ben presto rimase tagliato fuori ed assediato; quattro distinti tentativi di soccorrere la guarnigione fallirono miseramente, e dopo cinque mesi di assedio le forze anglo-indiane, ormai alla fame, capitolarono il 29 aprile 1916, lasciando 12.000 prigionieri nelle mani dei turchi[64].

Più a ovest un nuovo fronte fu aperto nel sud della Palestina: l'Egitto era ufficialmente un vassallo ottomano, sebbene ormai fosse politicamente controllato dal Regno Unito fin dal 1880, ed allo scoppio delle ostilità era stato rapidamente occupato da una forza di spedizione britannica, australiana e neozelandese; il canale di Suez rappresentava un punto vitale per gli Alleati, ed i tedeschi fecero pressione sugli ottomani perché progettassero una sua occupazione[63]. L'offensiva di Suez iniziò il 28 gennaio 1915 ma dopo una settimana di scontri le forze ottomane furono respinte, anche per via della difficoltà a mantenere i collegamenti logistici attraverso l'inospitale deserto del Sinai[63]; le forze Alleate si mantennero rigorosamente sulla difensiva fin verso la metà del 1916, quando le continue incursioni ottomane su piccola scala contro il canale convinsero il comandante britannico Archibald Murray a passare all'offensiva: avanzando metodicamente e costruendo strada facendo una ferrovia ed un acquedotto, le forze britanniche si spinsero attarverso la costa settentrionale del Sinai e sconfissero gli ottomani nella battaglia di Romani (3–5 agosto 1916), respingendoli definitivamente oltre la frontiera con la Palestina.

L'Italia entra in guerra

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Lo stesso argomento in dettaglio: Fronte italiano (prima guerra mondiale) e Guerra Bianca.

Dopo l’attentato di Sarajevo, Austria-Ungheria e Germania decisero di tenere all'oscuro delle loro decisioni l'Italia. Ciò in considerazione del fatto che l'articolo 7 della Triplice alleanza avrebbe previsto, in caso di attacco dell'Austria-Ungheria alla Serbia, compensi per l'Italia[65]. Il 24 luglio, Antonino di San Giuliano, ministro degli esteri italiano, prese visione dei particolari dell'ultimatum e protestò con l'ambasciatore tedesco a Roma, dichiarando che se fosse scoppiata la guerra austro-serba sarebbe derivata da un premeditato atto aggressivo di Vienna[66]. La decisione ufficiale e definitiva della neutralità italiana fu presa nel Consiglio dei ministri del 2 agosto 1914 e fu diramata il 3 mattina[67].

La neutralità ottenne inizialmente consenso unanime, tuttavia, il brusco arresto dell'offensiva tedesca sulla Marna inserì i primi dubbi sulla invincibilità tedesca. Macule interventiste andarono formandosi nell'autunno 1914 fino a raggiungere una consistenza non trascurabile appena un anno dopo. Gli interventisti additavano la diminuzione della statura politica incombente sull'Italia se fosse rimasta spettatrice passiva. I vincitori non avrebbero dimenticato né perdonato, e se i vincitori fossero stati gli Imperi Centrali, si sarebbero anche vendicati della nazione che accusavano traditrice di un'alleanza trentennale[68]. Alla fine del 1914 il ministro degli Esteri Sidney Sonnino iniziò le trattative con entrambe le parti per scucire i maggiori compensi possibili, e il 26 aprile 1915 concluse le trattative segrete con l'Intesa mediante la firma del patto di Londra con il quale l'Italia si impegnava ad entrare in guerra entro un mese[69]. Il 3 maggio successivo fu denunciata la Triplice Alleanza e fu avviata la mobilitazione, e il 23 maggio fu dichiarata guerra all'Austria-Ungheria, ma non alla Germania con cui Salandra sperava di non guastarsi del tutto[70].

Il piano strategico dell'esercito italiano, sotto il comando del generale Luigi Cadorna, Capo di Stato Maggiore italiano, prevedeva di intraprendere un'azione offensiva/difensiva per contenere gli austro-ungarici nel loro saliente incentrato sulla città di Trento e sul fiume Adige, che si incuneava nell'Italia settentrionale lungo il lago di Garda, nella regione di Brescia e Verona; concentrando invece lo sforzo offensivo verso est, dove gli italiani potevano contare a loro volta su un saliente che si proiettava verso l'Austria-Ungheria, poco a ovest del fiume Isonzo[71]. L'obiettivo a breve termine dell'Alto Comando italiano era costituito dalla conquista della città di Gorizia, situata poco più a nord di Trieste, mentre quello a lungo termine, ben più ambizioso e di difficile attuazione, se non addirittura "visionario" prevedeva di avanzare verso Vienna passando per Trieste[72]. Sul fronte italiano furono ammassati circa mezzo milione di uomini, a cui in un primo tempo gli austriaci seppero contrapporre soltanto 80.000 soldati, in parte inquadrati in milizie territoriali male armate e poco addestrate.

Il crollo della Serbia

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Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna dei Balcani (prima guerra mondiale).
Soldati bulgari in fase di mobilitazione

Il fronte serbo rimase sostanzialmente stazionario per gran parte del 1915, finché gli eventi non piegarono improvvisamente a favore degli Imperi centrali. Il 6 settembre 1915 lo zar Ferdinando I di Bulgaria portò il suo paese nel campo degli Imperi centrali sottoscrivendo un trattato di alleanza con la Germania: i bulgari avevano da tempo mire espansionistiche sui territori della Macedonia occupati da serbi e greci, ed erano desiderosi di vendicare le sconfitte subite ad opera di questi durante la precedente seconda guerra balcanica[73]. Dopo gli insuccessi del 1914 le forze austroungariche sul fronte serbo erano ora passate sotto il comando del generale tedesco August von Mackensen, e l'11ª Armata tedesca fu ritirata dal fronte orientale per appoggiare il nuovo tentativo di invasione; la situazione della Serbia era aggravata anche dal fatto che gli Alleati non riuscivano a fornirle adeguati aiuti: nel tentativo di sabilire un collegamento diretto, il 5 ottobre 1915 truppe anglo-francesi sbarcarono a Salonicco in Grecia, paese formalmente neutrale ma lacerato dai dissidi tra la fazione pro-Germania (rappresentata dal re Costantino I) e quella pro-Alleati (capitanata dal primo ministro Eleftherios Venizelos)[73].

Il 6 ottobre 1915 von Mackensen diede avvio all'invasione e le forze austro-tedesche attraversarono la Sava penetrando nel nord della Serbia, mentre l'11 ottobre successivo le truppe bulgare si misero in moto attaccando da est: i serbi opposero una dura resistenza nelle regioni montuose dell'interno ma si ritrovarono in forte inferiorità numerica e vennero progressivamente respinti verso sud-ovest; il 22 ottobre i bulgari presero il nodo ferroviario di Kumanovo, tagliando la via di ritirata serba verso sud e bloccando le truppe francesi che risalivano da Salonicco verso nord, poi sconfitte ed obbligate alla ritirata nella successiva battaglia di Krivolak (17 ottobre - 21 novembre)[73]. Le truppe serbe cercarono di arrestare l'avanzata degli Imperi centrali nella regione del Kosovo ma furono nuovamente battute, ed il 25 novembre 1915 il generale Putnik diede ordine alle sue truppe di ripiegare oltre in confine con l'Albania, nella speranza di evacuare ciò che rimaneva dell'esercito serbo dai porti sul mar Adriatico: dopo aver perso migliaia di uomini a causa degli stenti e degli attacchi degli irregolari albanesi, i 150.000 superstiti dell'esercito serbo raggiunsero il mare e furono evacuati da navi Alleate a Corfù da dove, dopo essere stati riorganizzati e riequipaggiati, furono poi destinati al nuovo fronte davanti Salonicco[74].

Si combatte su tutti i fronti (1916)

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Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia dello Jutland.

Da un punto di vista strategico, durante il 1915, le armate tedesche erano rimaste sulla difensiva in occidente. Anche se i battaglioni, i reggimenti e talora anche le divisioni si impegnassero in attacchi con obiettivi limitati, in una più vasta concezione delle cose la Germania si accontentava di tenere il terreno conquistato in Francia e Belgio mentre concentrava le proprie attenzioni ad oriente dove inviò il grosso delle truppe. Questa strategia si sarebbe capovolta nel 1916 quando le potenze centrali avrebbero mantenuto la difensiva ad oriente e cercato di far uscire la Francia dalla guerra[75].

Lo stesso giorno in cui venne sferrato l'attacco al Montenegro, da Gallipoli le ultime truppe britanniche lasciarono capo Helles[76]. Sollevati dalla pressione nemica a Gallipoli i turchi trasferirono in Mesopotamia 36.000 uomini dove la pressione russa del generale Judenič, costrinse i turchi ad arretrare fino ad Erzurum a metà febbraio. Le truppe zariste fecero 5000 prigionieri turchi entrando nella città, e continuarono ad incalzare i turchi verso ovest. Erano vittorie in terre remote, ma almeno peer il momento riuscirono a sollevare il morale delle truppe russe[77].

A febbraio 1916 erano allo studio due piani, uno tedesco ed uno anglo-francese che miravano entrambi alla vittoria sul fronte occidentale: quello tedesco, già in fase di progettazione, mirava alla vittoria di logoramento tramite un attacco massiccio e intenso di logoramento alla piazzaforte di Verdun, e quello anglo-francese atto a sfondare in estate le linee nemiche sulla Somme pianificato per distruggere le difese tedesche con una vera e propria "guerra d'attrito"[78]. I britannici avrebbero tentando di vincere la resistenza tedesca con il peso della propria industria bellica sotto forma di un incessante tiro di artiglieria seguito da un massiccio attacco di fanteria che creasse le condizioni e aprisse ampi varchi per una rapida avanzata in profondità della cavalleria e, forse, per la vittoria definitiva[79].

Da Verdun alla Somme

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Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Verdun e Battaglia della Somme.

I tedeschi andarono all'assalto di Verdun il 21 febbraio 1916 con un bombardamento violento e preciso che martellò per nove ore le linee francesi, distruggendo trinceramenti e linee telefoniche, e impedendo l'arrivo di qualsiasi rinforzo. Cessato l'intenso fuoco d'artiglieria, 140.000 soldati tedeschi attaccarono verso le difese francesi[80], occupando il numero più alto possibile di posizioni nemiche, in vista del massiccio attacco del giorno successivo. In alcuni casi le pattuglie riuscirono perfino a fare prigionieri mentre i ricognitori aerei riportarono di una distruzione di vaste proporzioni nelle linee nemiche[81]. L'attacco tedesco non sortì gli effetti sperati, nonostante ciò il 25 febbraio cadde uno dei simboli di Verdun, fort Douaumont, e Joffre acconsentì alla scelta del suo secondo, il generale Edouard De Castelnau, di inviare immediatamente a Verdun la 2ª armata comandata da Philippe Pétain. De Castelnau ordinò a Pétain di difendere fino alla morte le due rive della Mosa, accettando in pieno la sfida di Falkenhayn che in questo modo poté eseguire in pieno il suo piano di "dissanguamento graduale" dell'esercito francese[82].

Malgrado l'iniziale impeto, l'attacco tedesco tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo rallentò per via del riassetto che Pétain dette alle linee del fronte. Venne deciso di condurre una vasta azione anche sulla riva sinistra della Mosa per alleggerire la riva destra. E proprio sulla riva sinistra, vi era un'altura che aveva una notevole visuale in ogni direzione, il Mort-Homme, la sua conquista avrebbe consentito di dominare anche la successiva altura verso Verdun, il Bois Bourrus[83].

Nei successivi tre mesi le avanzate da entrambe le parti furono minime al costo di perdite gravissime; in maggio i tedeschi si prepararono ad un nuovo assalto che comprendeva l'attacco alle future basi di partenza per l'assalto finale a Verdun, ossia la piazzaforte di Thiaumont, l'altura di Fleury, il forte di Souville e il forte di Vaux, ossia l'estremità nord-est della linea francese[84]. Il 7 giugno cadde fort Vaux, ma quest'ultimo tentativo tedesco di conquistare Verdun fallì con perdite elevate, e da lì a pochi giorni Erich von Falkenhayn dovette fronteggiare l'imponente offensiva anglo-francese sulla Somme[85].

Alle 7:30 del 1º luglio, dopo una settimana di bombardamento preliminare, le truppe anglo-francesi uscirono dalle trincee sulla Somme attaccando su un fronte di 40 chilometri. Il 12 luglio, per conseguenza dei combattimenti in Francia e dell'offensiva Brusilov ad oriente, Falkenhayn interruppe le operazioni offensive a Verdun e trasferì da quel settore alla Somme due divisioni e sessanta pezzi d'artiglieria pesante. Sebbene i combattimenti vi sarebbero continuati sino a dicembre, sarebbero stati i francesi a dettare il corso della battaglia sulle rive della Mosa e lo stato maggiore tedesco avrebbe perso ogni velleità sul fronte di Verdun[86].

Nelle prime due settimane di luglio la battaglia della Somme fu condotta con una serie di azioni su scala ridotta preparatorie per una spallata di maggiore rilievo, ma per l'inizio di agosto, Haig accettò l'idea che la possibilità di effettuare uno sfondamento era del tutto tramontata; i tedeschi «avevano posto rimedio in grande misura alla disorganizzazione» di luglio. Il 29 agosto il capo di stato maggiore tedesco, Erich von Falkenhayn, fu sostituito da Paul von Hindenburg ed Erich Ludendorff, che immediatamente introdussero una nuova dottrina difensiva. Il 23 settembre i tedeschi iniziarono la costruzione della linea Hindenburg. Impegnati in due teatri di scontro, i tedeschi oramai risentivano pesantemente della tattica logorante e caparbia dei britannici sulla Somme e dei contrattacchi di Robert Nivelle a Verdun[87].

Fra il 15 luglio e il 14 settembre, l'inizio della battaglia successiva, la 4ª armata britannica sulla Somme condusse circa 90 attacchi della forza da un battaglione in su, di cui solo quattro per tutti i nove chilometri del proprio fronte. Perdette 82.000 uomini, per un'avanzata di meno di un chilometro: un risultato anche peggiore di quello del 1° luglio[87]. Il 15 settembre i britannici si lanciarono nella battaglia di Flers-Courcelette, dove ci fu il debutto operativo del carro armato[87]. Douglas Haig continuava intanto a sollecitare una pressione «senza soste», e grazie ad una serie di altri piccoli successi alleati nella prima settimana di ottobre i tedeschi ripiegarono su nuove linee difensive più arretrate. Ma i tedeschi avevano dimostrato una forte resistenza, e i limitati successi portati dagli alleati non erano tali da alimentare speranze di uno sfondamento[88]. Il 18 novembre con un ultimo attacco alle trincee verso Grandcourt, che si risolse con un successo limitato, Haig avrebbe «rafforzato la posizione dei rappresentanti britannici» nell'imminente conferenza militare alleata di Chantilly, e l'offensiva della Somme poté così essere sospesa[88].

Nel complesso il guadagno territoriale alleato fu di circa 110 chilometri quadrati e 51 villaggi riconquistati; i tedeschi erano arretrati di circa 7/8 chilometri con notevolissime perdite di uomini e materiali. Da un punto di vista puramente tattico si trattò quindi di una sconfitta tedesca, ma il guadagno alleato fu molto esiguo di fronte all'enorme dispendio di uomini e materiali[89]. Il mediocre risultato tattico e strategico conseguito sulla Somme costò il siluramento del generale Joseph Joffre, sostituito dal "vincitore" di Verdun Robert Nivelle. Le stragi di Verdun e della Somme comunque non cambiarono le strategie inconcludenti dello stato maggiore francese, che avrebbe ripetuto i medesimi errori l'anno seguente portando il proprio esercito a ribellarsi contro i propri superiori in quella serie di ammutinamenti di massa che caratterizzarono il 1917 dell'esercito francese[90].

Combattimenti sull'Isonzo

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Il 15 maggio ebbe inizio la Strafexpedition ("spedizione punitiva"), durante la quale l'esercito italiano venne attaccato tra la val d'Adige e la Valsugana. Nei venti giorni successivi, gli austroungarici conquistarono una posizione dopo l'altra, minacciando di tagliare fuori le truppe italiane sull'Isonzo. Utilizzando le divisioni di riserva, il generale Cadorna riuscì a fermare gli austriaci e riprendere alcune delle posizioni perse, rischiando però che un'ulteriore offensiva nemica sull'Isonzo potesse far perdere ai suoi uomini le poche conquiste ottenute finora sul fronte friulano[91].

Non riuscendo a muovere gli austriaci dal Trentino, Cadorna decise di concentrarsi nuovamente sull'Isonzo. Il 6 agosto le truppe italiane passano all'offensiva, dal Sabotino al mare, raggiungendo e superando l'Isonzo, conquistando Gorizia e costringendo parte della 5ª armata austro-ungarica a ripiegare di alcuni chilometri sul Carso. I nemici però hanno ceduto terreno per posizionarsi su una nuova linea difensiva già pronta, contro la quale si infrasero i nuovi assalti italiani.[92] A settembre e ottobre, hanno inizio altre due battaglie, la settima (14-16 settembre) e l'ottava (10-12 ottobre) battaglia dell'Isonzo, che causarono un ingente numero di vittime e portarono a scarse conquiste territoriali. Errori, condizioni meteo avverse e scarsità di materiali impedirono agli italiani di sfondare le linee e raggiungere Trieste[93]. Il comando italiano, già dopo l'ottava offensiva, voleva dare il via ad un nuovo attacco prima che tutto il fronte fosse bloccato dalla cattiva stagione in arrivo. L'attacco ebbe inizio solo il 31 ottobre; la linea da attaccare in questa operazione era quella passante per Colle Grande-Pecinca-bosco Malo, e possibilmente la linea Dosso Faiti-Castagnevizza-Sella delle Trincee. Il 2 novembre Cadorna decise di sospendere l'attacco per mancanza di rifornimenti anche se gli scontri ripresero comunque il giorno seguente. Nel complesso si avanzò solo di qualche chilometro e le perdite sofferte ammontarono a 39 000 soldati per gli italiani e 33 000 per gli austroungarici.[94]

L'offensiva Brusilov

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Lo stesso argomento in dettaglio: Offensiva Brusilov.

Dopo che a maggio gli austriaci sferrarono una massiccia offensiva contro le posizioni italiane in Trentino, e anche l'Italia si appellò allo zar per diminuire la pressione sul proprio settore. I comandi russi sapevano che non era possibile sferrare nuovi attacchi per assistere gli italiani, data la situazione di truppe e materiali, che andavano radunati e preparati per una prossima decisiva offensiva da compiersi durante la stagione estiva[95]. Solamente il generale Brusilov reagì positivamente alla richiesta, e poiché stava organizzando di attaccare in luglio anticipò l'azione a giugno per cercare di allentare la pressione sull'Italia, costringendo agli austriaci di trasferire truppe da ovest ad est. Il 4 giugno l'offensiva iniziò con un potente tiro d'artiglieria, condotto da 1938 pezzi su un fronte di circa 350 km, dalle paludi di Pripjat' fino alla Bucovina[95]. In pochi giorni i russi sfondarono in vari punti, in otto giorni vennero catturati 2992 ufficiali austriaci e 190.000 soldati, 216 cannoni pesanti, 645 mitragliatrici e 196 obici. Un terzo delle truppe austriache che avevano contrastato l'avanzata erano state fatte prigioniere. Cinque giorni dopo i russi erano a Czernowitz, la città più orientale dell'Austria-Ungheria[96].

Alla fine di luglio la città di Brody, alla frontiera galiziana, cadde in mano russa, che nelle due settimane precedenti avevano catturato altri 40.000 austriaci; ma anche le perdite russe furono pesanti, e nell'ultima settimana di luglio Hindenburg e Ludendorff assunsero la difesa dell'ampio settore austriaco[97]. Ai primi di settembre Brusilov raggiunse le pendici dei Carpazi, ma lì si arrestò per le evidenti difficoltà geografiche, e soprattutto l'arrivo di nuove truppe tedesche da Verdun arrestò la ritirata austriaca e inflisse gravi perdite ai russi. L'offensiva volse al termine, e anche se non fece uscire di scena gli austro-ungarici, questa raggiuse l'obiettivo principale di distogliere importanti forze tedesche dal settore di Verdun e soprattutto di costringere gli austro-ungarici a levare truppe dal settore italiano. Il potenziale russo calò vistosamente, mentre i problemi interni e le carenze di materiali stavano falcidiando le forze russe che dalla fine dell'offensiva di Brusilov, non furono più capaci di sferrare offensive contro gli Imperi centrali[98].

La campagna di Romania

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Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna di Romania.

L'opportunità di scendere in campo con gli Alleati, l'amicizia che Nicolae Filipescu e Take Ionescu alle potenze occidentali e il desiderio di liberare i fratelli della Transilvania oppressi dalla dominazione austro-ungarica, ben più dura di quella che dovettero subire i francesi in Alsazia e Lorena, convinsero l'opinione pubblica romena che l'entrata in guerra avrebbe portato notevoli vantaggi. Tutto ciò unito ai successi dell'avanzata di Brusilov incoraggiarono la Romania a compiere il passo decisivo, che l'avrebbe portata nell'abisso. Qualche possibilità in più la Romania l'avrebbe avuto se fosse scesa in campo prima, quando la Serbia era ancora una forza attiva e la Russia una potenza degna di questo nome. I due anni in più di preparazione avevano raddoppiato il numero di soldati, ma in realtà ne diminuirono l'efficienza; mentre i suoi avversari avevano sviluppato potenza di fuoco ed equipaggiamento, l'isolamento della Romania e l'incapacità dei suoi vertici militari avevano impedito la trasformazione di un esercito composto da uomini armati di baionetta in una forza moderna[99].

Ma l'avanzata romena si risolse con una enorme sconfitta; le lente divisioni che attraversarono i Carpazi, consentirono a Falkenhayn (da poco sostituito al comando supremo da Hindenburg e Ludendorff) di ingrossare le file austro-ungariche con l'invio di divisioni tedesche e bulgare. Questo permise a Ludendorff di arginare i romeni sui Carpazi mentre Mackensen li attaccava da sud-ovest, e il 23 novembre li aggirava superando il Danubio. Nonostante la reazione romena, la forza congiunta di Falkenhayn e Mackensen si dimostrò insostenibile per un esercito obsoleto e mal guidato. Il 6 dicembre gli austro-tedeschi entrarono a Bucarest continuando l'inseguimento di un esercito ormai in rotta[100]. La maggior parte della Romania, con i suoi sterminati campi di grano e i giacimenti petroliferi, era ormai in mano nemica, l'esercito romeno ridotto all'impotenza e gli alleati occidentali subirono un rovescio ben più grande di tutti i vantaggi che avevano sperato di acquisire con l'entrata in guerra della Romania[101].

Stallo nei Balcani

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Lo stesso argomento in dettaglio: Fronte macedone.

Eliminata la Serbia le forze austroungariche invasero il Montenegro ai primi di gennaio del 1916, e nonostante la sconfitta patita nella battaglia di Mojkovac (6-7 gennaio 1916) obbligarono la piccola nazione a capitolare entro la fine del mese[102]. Lanciate all'inseguimento dell'armata serba in ritirata, le forze degli Imperi centrali penetrarono anche in Albania, paese in preda all'anarchia dopo che una rivolta popolare nel settembre del 1914 aveva portato alla dissoluzione del governo centrale[103]: le truppe austro-bulgare occuparono il nord ed il centro del paese entro la fine dell'aprile 1916, ma un corpo di spedizione italiano fu in grado di prendere il controllo delle regioni meridionali, nel tentativo di mantenere il possesso dello strategico porto di Valona[104]. Davanti Salonicco la situazione si era ormai stabilizzata in una lunga guerra di posizione: dopo il fallimento patito nella prima battaglia di Doiran (9-18 agosto 1916), l'armata alleata (comprendente truppe francesi, britanniche, serbe, italiane e russe) dovette subire un'offensiva bulgaro-tedesca lungo il fiume Strimone tra il 17 ed il 27 agosto, riuscendo a contenerla; passate al contrattacco a metà settembre, le forze alleate presero Monastir, nel sud della Serbia, il 19 novembre seguente, guadagnando un po' di terreno ma senza riuscire a spezzare il fronte bulgaro[102].

Gli eventi del 1917

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Il 1917 iniziò per gli Imperi centrali in modo molto favorevole. In ottobre gli austriaci sfondarono sul fronte italiano arrivando alle porte di Venezia e i tedeschi si apprestavano a trasferire 42 divisioni, più di mezzo milione di uomini, dal fronte orientale a quello occidentale, dato che i russi avevano deposto le armi e il 1° dicembre, quando una commissione bolscevica lasciò Pietrogrado per attraversare le linee tedesche a Dvinsk diretta verso la fortezza di Brest-Litovsk dove una delegazione di tedeschi, austriaci, bulgari e turchi li attendeva per intavolare le trattative di pace[105].

Sul fronte occidentale la battaglia della Somme terminò con uno smacco per la Gran Bretagna, e dopo le tre fallimentari offensive Alleate di aprile ad Arras, sul crinale di Vimy e sull'Aisne, in Francia iniziò un periodo di problemi interni alle file dell'esercito con ammutinamenti di massa e frequenti episodi di diserzione. Ad occidente, nonostante i tedeschi cedettero terreno attestandosi sulla Linea Hindenburg, nella primavera del 1917 iniziò a serpeggiare un forte risentimento verso la guerra in seno a molti eserciti, soprattutto quello francese, reduce da oltre due anni di una guerra sanguinosa, che vedeva moltiplicarsi il numero dei disertori. I disordini furono di tale portata che fecero capire all'alto comando francese che i soldati non erano più disposti a sopportare i tormenti di una nuova offensiva: avrebbero tenuto la posizione, ma non sarebbero usciti dalle trincee. Tutto il peso dell'offensiva ricadeva quindi sulle spalle delle forze britanniche, che si sarebbero di lì a poco trovate a sostenere il peso della ripresa dei combattimenti in Francia e nelle Fiandre[106].

La Russia in subbuglio

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Lo stesso argomento in dettaglio: Rivoluzione d'ottobre.

Le enormi perdite della Russia, dovute ai difetti del suo apparato bellico ma che comunque avevano evitato molti sacrifici agli Alleati, aveva minato alle fondamenta la resistenza morale e fisica del suo esercito, al fronte molti ufficiali russi non riuscivano più a mantenere la disciplina[107]. Su tutto il fronte i bolscevichi incitavano gli uomini a rifiutarsi di combattere e a partecipare ai comitati dei soldati per sostenere e diffondere le idee rivoluzionarie. Dal fronte le agitazioni si trasmisero alle città e alla capitale. A Pietrogrado il 3 marzo 1917 scoppiò un violento sciopero negli stabilimenti Putilov, la principale fabbrica di armamenti e munizioni per l'esercito. L'8 marzo gli operai in scioperano erano circa 90.000, il 10 marzo a Pietrogrado fu proclamata la legge marziale, e lo stesso giorno il potere della Duma fu messo in discussione dal Soviet cittadino del principe menscevico Cereteli. Il 12, a Pietrogrado 17.000 soldati si unirono alla folla che protestava contro lo zar, alle 11 del mattino fu dato alle fiamme il tribunale sulla prospettiva Litejnyj e le stazioni di polizia, era cominciata la prima rivoluzione russa[108].

Le offensive britanniche

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Le forze britanniche entrano a Baghdad l'11 marzo 1917.

Per tutto maggio i britannici continuarono gli attacchi: in sei settimane di combattimenti i tedeschi arretrarono dai tre agli otto chilometri su un fronte lungo trentacinque. A metà maggio le truppe al comando di Haig avevano compiuto un'avanzata più consistente di quando, due anni e mezzo prima, era cominciata la guerra di trincea: in poco più di un mese avevano conquistato un centinaio di chilometri quadrati di terreno, catturando oltre 20.000 prigionieri e 252 cannoni pesanti. Il carro armato era ormai diventato parte integrante degli attacchi della fanteria britannica. Il 14 maggio, a Magonza, anche i tedeschi sperimentarono il carro armato, due giorni prima che terminasse la battaglia di Arras[109].

Truppe ottomane schierate nella zona di Gaza.

Il governo britannico desiderava un successo spettacolare per neutralizzare lo scoramento a seguito del fallimento di Nivelle e dello sfacelo in Russia. In Mesopotamia le operazioni si erano praticamente fermate dopo la resa di Kut, con i britannici intenti a migliorare la loro situazione logistica e gli ottomani troppo deboli per scaciarli dalla regione; il nuovo comandante britannico, generale Frederick Stanley Maude, iniziò la sua offensiva il 13 dicembre 1916, risalendo il corso del Tigri con il supporto di una flottiglia di cannoniere fluviali[110]. Il 23 febbraio 1917 i britannici sconfissero gli ottomani nella seconda battaglia di Kut, obbligandoli alla ritirata: incoraggiato dal successo l'alto comando britannico autorizzò Maude a continuare l'avanzata, e l'11 marzo seguente i britannici presero Baghdad, sgombrata dagli ottomani[110]. L'azione britannica proseguì poi verso nord in direzione di Samarra (caduta il 23 aprile), concludendosi alla fine di settembre nei pressi di Ramadi dove gli ottomani subirono una nuova sconfitta; il fronte entrò poi in un lungo periodo di stasi, con entrambi i contendenti concentrati sulla campagna di Palestina[110].

La vittoria britannica nella battaglia di Rafa il 9 gennaio 1917 aveva definitivamente allontanato la minaccia ottomana alla penisola del Sinai, e i comandanti Alleati iniziarono quindi a progettare l'invasione della Palestina. Dopo una lunga preparazione logistica le forze del generale Archibald Murray iniziarono l'offensiva ai primi di marzo del 1917, subendo però una sconfitta nella prima battaglia di Gaza (26 marzo); un secondo tentativo di sfondare la linea difensiva ottomana davanti alla città, anche con il contributo di gas tossici e qualche carro armato, fallì nuovamente il 19 aprile seguente con gravi perdite per i britannici[111]. Nel giugno del 1917 Murray fu rimpiazzato con il generale Edmund Allenby, mentre sul fronte opposto Erich von Falkenhayn giunse nel teatro con un piccolo contingente di specialisti tedeschi per rinforzare lo schieramento ottomano. Dopo lunghi preparativi, l'offensiva britannica iniziò alla fine di ottobre del 1917: una prima vittoria nella battaglia di Beersheba (31 ottobre) consentì ai britannici di aggirare la linea difensiva ottomana, poi crollata dopo la sconfitta nella terza battaglia di Gaza (31 ottobre - 7 novembre)[112]; nonostante il clima invernale ed i contrattacchi ottomani, Allenby proseguì l'avanzata ed il 9 dicembre i reparti britannici occuparono Gerusalemme, un importante obiettivo simbolico, prima di arrestarsi per il peggiorare delle condizioni meteo[113].

La Russia esce dal conflitto

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Lo stesso argomento in dettaglio: Trattato di Brest-Litovsk.

Lo zar fu costretto ad abdicare il 15 marzo 1917 e il governo provvisorio di tendenze moderate si mise alla guida del paese, ma senza successo. A maggio gli succedette un altro governo di tendenze più socialiste capeggiato da Kerensky che nonostante le sempre maggiori richieste di pace non ritirò le truppe dal fronte. Dopo la partenza di Hindenburg e Ludendorff, il comando del fronte orientale passò a Hoffmann, che, con contemperando stretegia militare e politica, paralizzò le forze russe rendendo disponibili truppe tedesche sul fronte occidentale e in minima parte sul fronte italiano[114].

La scintilla scoppiò il 7 novembre quando sopo poco le 22 l'incrociatore Aurora, alla fonda nella Neva annunciò che avrebbe fatto fuoco sul palazzo d'Inverno, e sparò alcuni colpi a salve per dimostrare che non scherzava. All'una di notte il palazzo era occupato dai bolscevichi, Lenin fu eletto presidente del consiglio dei commissari del popolo e governava la capitale russa[115]. Il loquace governo di Kerensky fu spazzato via, i bolscevichi imposero al popolo russo un regime comunista e in dicembre conclusero l'armistizio con la Germania[114]. Le trattative di pace furono complicate, a Lenin serviva tranquillità lungo il fronte per fronteggiare le minacce interne, e allo stesso tempo gli Imperi centrali reclamavano condizioni di resa durissime. I tedeschi si rendevano conto che l'integrità territoriale della Russia si stava velocemente disgregando, così si permisero di richiedere condizioni ancor più dure dopo che il 21 febbraio i bolscevichi accettarono le prime richieste. Il 24 febbraio dopo una tempestosa discussione il comitato centrale accettò senza condizioni le richieste dei tedeschi[116].

La guerra sottomarina indiscriminata

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Sebbene nel dicembre 1916 gli imperi centrali fossero riusciti ad impadronirsi di un importante canale di approvvigionamento con l'occupazione della Romania e l'acquisizione del controllo della regione danubiana, il nulla di fatto con cui si era conclusa la battaglia dello Jütland aveva lasciato agli inglesi il dominio dei mari, permettendo loro di mantenere il blocco navale ai danni della Germania. Il gioco del blocco marittimo britannico era ormai diventato un problema ineludibile, ma d'altro canto i vertici militari erano confidenti che, una volta annientato il blocco, avrebbero potuto risolvere la partita sul fronte occidentale nel giro di pochi mesi; i vertici tedeschi si risolsero per estendere la guerra sottomarina, anche se ciò comportava inevitabilmente la prospettiva del coinvolgimento americano. Il primo febbraio 1917 la Germania formalizzò la cosiddetta guerra sottomarina indiscriminata: da quel momento in avanti ogni nave diretta ai porti dell'Intesa sarebbe stata considerata un bersaglio legittimo; pochi giorni dopo gli Stati Uniti ruppero le relazioni diplomatiche con la Germania[117].

Gli Stati Uniti entrano in guerra

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Nonostante le provocazioni susseguitesi incessantemente per due anni, a partire dall'incidente del Lusitania il presidente Woodrow Wilson si attenne alla sua politica di neutralità, e se il suo eccesso di pazienza irritò molti suoi compatrioti, preparò sicuramente nel miglior modo possibile l'opinione pubblica all'idea di intervento militare. La decisione tedesca della campagna sottomarina indiscriminata fornì una prova sufficiente dell'infondatezza delle speranze di pace di Wilson, e quando a ciò seguì il deliberato affondamento di navi statunitensi e il tentativo di istigare il Messico ad attaccare gli Stati Uniti[118], il presidente Wilson ruppe gli indugi[119]. Il 4 aprile 1917 presidente Wilson presentò al Congresso la proposta di entrare in guerra; il 6 aprile gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. Nessuno dubitava che l'impatto delle truppe statunitensi in Europa fosse potenzialmente enorme; gli Stati Uniti avrebbero addestrato circa un milione di soldati, che a poco a poco sarebbero saliti a tre milioni. Ma l'operazione avrebbe richiesto tempo; ci vorrebbe voluto almeno un anno, o forse più, prima che l'immensa macchina del reclutamento, dell'addestramento, del trasporto al di là dell'Atlantico e del rifornimento in Francia potesse funzionare a pieno regime[120].

In quell'aprile le prospettive per gli Imperi centrali si fecero buie: gli Stati Uniti si apprestavano a diventare belligeranti attivi, la Russia nonostante i disordini interni all'esercito non si era ancora ritirata dalla guerra, le potenze Alleate erano ormai superiori per numero di soldati e risorse. Germania e Austri-Ungheria potevano contare sul solo vantaggio - che comuqnue nessuno avrebbe potuto privargli - delle numerose linee di comunicazione interne; armate, città, fabbriche, reti ferrovie, stradali e fluviali si diramavano in modo complesso all'interno dei due paesi e risultavano inattaccabili per gli Alleati, mentre le linee di comunicazioni tra Gran Bretagna e Francia con gli Stati Uniti erano continuamente minacciate dagli U-Boote[121].

L'Austria-Ungheria ad un soffio dalla vittoria

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Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Caporetto.

Con la linea di fronte austro-ungarica intorno a Gorizia a rischio di collasso a seguito dell'undicesima battaglia dell'Isonzo, i tedeschi decisero di intervenire in aiuto dei loro alleati in modo da alleggerire la pressione italiana. Hindenburg e Ludendorff, comandanti della 3ª armata tedesca, si accordarono con Arthur Arz von Straussenburg per l'organizzazione dell'offensiva combinata[122]. Alle 2:00 in punto del 24 ottobre 1917 le artiglierie austro-germaniche iniziarono a colpire le posizioni italiane dal monte Rombon all'alta Bainsizza alternando lanci di gas a granate convenzionali, colpendo in particolare tra Plezzo e l'Isonzo[123]. Da lì gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni, con l'esercito italiano in preda ad una ritirata caotica, caratterizzata da diserzioni e fughe. Cadorna, venuto a sapere della caduta di Cornino il 2 novembre e di Codroipo il 4, ordinò all'intero esercito di ripiegare sul fiume Piave, sul quale nel frattempo si erano fatti significativi passi avanti nell'impostazione di una linea difensiva grazie agli episodi di resistenza sul Tagliamento. La disfatta di Caporetto provocò il crollo del fronte italiano sull'Isonzo con la conseguente ritirata delle armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, oltre alle perdite umane e di materiale; in due settimane andarono perduti 350.000 soldati fra morti, feriti, dispersi e prigionieri, ed altri 400.000 si sbandarono verso l'interno del paese[124].

La svolta (1918)

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Nonostante fossero sempre state superiori in termini numerici alle potenze centrali, le forze del'Intesa a causa dello spreco di forze e del collasso della Russia, all'inizio del 1918 videro ribaltarsi la situazione; e avrebbero dovuto passare parecchi mesi prima che le forze statunitensi facessero pendere nuovamente l'ago della bilancia a loro favore. Alla conferenza di Rapallo di novembre, fu decisa la costituzione di un consiglio supremo di guerra dove i maggiori esponenti dei governi alleati sarebbero stati affiancati da rappresentanti militari[125]. Di fatto questi ultimi non avevano però il potere esecutivo in quanto i capi di stato maggiore erano subordinati al potere politico e agli interessi economici. Nel frattempo i tedeschi iniziarono a trasferire decine di divisioni da oriente ad occidente, e alla fine di gennaio le divisioni tedesche divennero 177, con altre 30 in arrivo, mentre il potenziale alleato indebolito dalle enormi perdite nel pantano di Passchendaele, scese a 172 divisioni formate da nove invece che dalle solite dodici battaglioni[126].

Erich Ludendorff cogliendo il momento favorevole e cercando di anticipare l'arrivo in forze delle truppe statunitensi, ripose le speranze di vittoria in una nuova fulminea e imponente offensiva ad occidente. Per poter utilizzare tutte le truppe disponibili riuscì ad estorcere una pace definitiva con il governo bolscevico e analoga pace impose alla Romania; inoltre per assicurare per quanto possibile una base economica alla sua offensiva fece occupare gli immensi campi di grano dell'Ucraina, incontrando solo una misera resistenze da truppe cecoslovacche prigioniere dei russi[127].

L'ultimo grande assalto tedesco

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Lo stesso argomento in dettaglio: Offensiva di primavera.

Dal gennaio 1918 truppe statunitensi sbarcavano settimanalmente in Francia, dopo quarantadue mesi e mezzo dall'inizio della guerra la presenza delle truppe di Pershing sul campo di battaglia era un dato di fatto. Il 23 febbraio per la prima volta le truppe statunitensi presero parte ad un'azione a Chevregny insieme ai francesi, con due ufficiali e 24 soldati. Mentre le truppe tedesche dilagavano ad oriente il 21 marzo Ludendorff lanciò una grande offensiva che, in caso di successo, avrebbe consentito alla Germania di vincere la guerra[128].

Le conquiste fatte dai tedeschi durante l'offensiva furono impressionanti per gli standard del fronte occidentale: 90.000 prigionieri catturati, 1.300 cannoni presi, 212.000 soldati nemici morti o feriti e l'intera quinta armata britannica messa fuori combattimento. Le perdite tra i tedeschi furono comunque alte (239.000 tra ufficiali e soldati); alcune divisioni furono ridotte alla metà dei loro effettivi, molte compagnie poterono contare solo 40 o 50 uomini[129]. Ad inizio agosto lo slancio tedesco su tutto il fronte cessò, mentre quasi un milione di soldati americani erano giunti in Francia a dar manforte agli Alleati. Le truppe tedesche erano ad un soffio dalla vittoria, ma esauste e dissanguate dalle enormi perdite smisero di avanzare, anzi, cominciarono lentamente a indietreggiare, in una lenta ritirata che terminò solo l'11 novembre 1918[130].

L'offensiva austro-ungarica

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Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia del solstizio.

Gli austro-tedeschi chiusero il 1917 sul fronte italiano con le offensive sul Piave, sull'Altipiano di Asiago e sul monte Grappa; la ritirata sul fronte del Grappa-Piave però consentì all'esercito italiano, ora in mano ad Armando Diaz, di concentrare le sue forze su di un fronte più breve e soprattutto, con un mutato atteggiamento tattico, più orgoglioso e determinato. Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta. La fine della guerra contro la Russia fece sì che la maggior parte dell'esercito impiegato sul fronte orientale potesse spostarsi a ovest.

L'offensiva austro-ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella cosiddetta battaglia del solstizio, che vide gli italiani resistere all'assalto e infliggere al nemico pesantissime perdite. Gli austro-ungarici, per i quali la battaglia del solstizio era l'ultima possibilità per dare una svolta al conflitto e ribaltarne le sorti, persero le loro speranze[131].

Le controffensive Alleate

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Lo stesso argomento in dettaglio: Offensiva dei cento giorni e Battaglia di Vittorio Veneto.

In luglio il comandante supremo Alleato Ferdinand Foch diede inizio alla prevista controffensiva sulla Marna prodottasi in seguito agli attacchi tedeschi. In agosto il saliente era stato sgomberato, e grazie allo slancio e alla presenza ormai massiccia delle truppe fresche di Pershing gli Alleati continuarono le controffensive. L'8 agosto partì la seconda offensiva, lanciata due giorni dopo la precedente. L'attacco interessò truppe franco-britanniche, e vide l'impiego di 600 carri e 800 aerei; ebbe successo, tanto che Ludendorff definì l'8 agosto come "il giorno nero dell'esercito tedesco" [132]. L'assalto fu il primo di quelli che Foch chiamava "attacchi di liberazione" contro la nuova linea tedesca, che proseguirono il 15 agosto con un nuovo contrattacco sulla Somme, mentre a Parigi si riuniva il neocostituito Consiglio Interalleato per gli approvvigionamenti, che gettò i piani per la continuazione della guerra almeno fino al 1919[133]. Su tutto il fronte gli Alleati continuavano ad avanzare cacciando i tedeschi da Compiègne, Antheuil-Portes, Lassigny, sulla Somme conquistarono Thiepval e bosco Mametz mentre il 27 le truppe tedesche iniziarono ad evacuare le Fiandre abbandonando i territori conquistati quattro mesi prima. Ludendorff aveva optato per una strategia difensiva cercando in tutti i modi di tenere la Linea Hindenburg, ma ormai il morale delle truppe tedesche era a terra. A fine agosto i tedeschi lasciarono l'Aisne sotto i colpi del generale Mangin, ad inizio settembre i canadesi iniziarono i primi assalti alla Hindenburg e il 3 settembre Foch diede l'ordine perentorio di attaccare senza sosta per tutta la lunghezza del fronte occidentale. L'11 agosto gli statunitensi attaccarono Saint-Mihiel che venne conquistata il 13, liberando un saliente in mano nemica da quattro anni[134]. Il 25 settembre iniziò poi la battaglia della Mosa-Argonne a cui parteciparono dieci divisioni americane; le due operazioni insieme valsero la conquista di oltre 500 chilometri quadrati di territorio[135].

Sul fronte italiano l'impero asburgico era ormai a un passo dal baratro, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e soprattutto su quello morale, data l'incapacità della monarchia di farsi garante dell'integrità dello stato multinazionale asburgico, e con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione. L'Italia anticipò ad ottobre l'offensiva prevista per il 1919, impedendo la prosecuzione dell'offensiva[136]. Da Vittorio Veneto il 23 ottobre partì l'omonima offensiva in condizioni climatiche pessime. Gli italiani avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3 novembre, a Villa Giusti, presso Padova l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio; i soldati italiani entrarono a Trento mentre i bersaglieri sbarcarono a Trieste, chiamati dal locale comitato di salute pubblica, che però aveva richiesto lo sbarco di truppe dell'Intesa[137].

Il collasso degli Imperi centrali

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La Bulgaria fuori dal conflitto
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Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Bulgaria nella prima guerra mondiale.

Nei Balcani il 1917 si era chiuso con un'ulteriore situazione di stallo: un'offensiva lanciata tra aprile e maggio dal comandante dell'armata alleata di Salonicco, il francese Maurice Paul Emmanuel Sarrail, si era conclusa con due sconfitte nella seconda battaglia di Doiran e nella battaglia del Crna, obbligando il generale a sospendere le operazioni lungo tutto il fronte; gli Alleati ottennero invece un successo sul piano diplomatico quando il 29 giugno 1917 la Grecia dichiarò guerra agli Imperi centrali, dopo che il filo-tedesco re Costantino I era stato costretto ad abdicare[138]. Entrambe le parti avevano poco interesse a portare avanti grosse operazioni su questo teatro: l'attenzione degli Alleati era diretta principalmente al fronte occidentale, e la Bulgaria era riluttante a continuare la guerra, avendo già occupato tutti i territori cui era interessata e dovendo sopportare una profonda crisi economica ed agricola interna che lasciò intere regioni praticamente alla fame[139].

A metà del 1918 il nuovo comandante delle forze alleate, il francese Louis Franchet d'Esperey, preparò i piani per una risolutiva offensiva lungo tutto il fronte macedone, convinto che la Bulgaria fosse ormai al collasso[138]. Dopo lunghi preparativi l'offensiva scattò il 14 settembre 1918: mentre i reparti britannici e greci attaccavano verso est ottenendo un successo nella terza battaglia di Doiran (18-19 settembre), le truppe francesi, serbe e italiane sfondarono il fronte bulgaro ad ovest dopo la decisiva vittoria nella battaglia di Dobro Pole (15 settembre)[138]. La ritirata provocò il collasso dell'esercito bulgaro, mentre il paese era scosso da tumulti e manifestazioni contro la guerra: il 29 settembre, mentre le forze francesi entravano a Skopje, la Bulgaria accettò l'offerta di un armistizio avanzata dagli Alleati, uscendo ufficialmente dal conflitto il 30 settembre seguente; mentre le forze britanniche proseguivano la marcia verso est in Tracia alla volta di Istanbul, i franco-serbi mossero verso nord raggiungendo il Danubio il 19 ottobre e liberando Belgrado dall'occupazione austroungarica il 1º novembre, giusto due giorni prima che anche l'Austria-Ungheria si arrendesse[138].

La resa dell'Impero ottomano
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Lo stesso argomento in dettaglio: Rivolta araba e Armistizio di Mudros.

Nel teatro del Medio Oriente le forze dell'Impero ottomano stavano ormai cedendo su tutti i fronti. Nella penisola araba, le litigiose tribù locali avevano infine trovato una certa guida unitaria sotto lo sharif Al-Husayn ibn Ali, insorgendo contro la dominazione ottomana; rifornite di armi e munizioni dagli Alleati, e raggiunte da una missione di addestratori britannici capitanati dal colonnello Thomas Edward Lawrence (poi passato alla storia come "Lawrence d'Arabia"), le forze arbabe iniziarono una massiccia campagna di guerriglia contro gli ottomani, prima interrompendo la ferrovia dell'Hegiaz e poi catturando l'importante porto di Aqaba sul Mar Rosso[110]. Gli irregolari arabi di Lawrence si spinsero poi verso nord per appoggiare gli sforzi finali dei britannici in Palestina.

La situazione sul fronte palestinese era rimasta sostanzialmente statica per gran parte del 1918, con l'attenzione degli Alleati concentrata sul fronte occidentale; l'offensiva finale poté iniziare solo il 19 settembre 1918: mentre gli irregolari arabi mettevano in atto azioni diversive ad est per attirare l'attenzione degli ottomani, le forze britanniche del generale Allenby attaccarono da ovest lungo la zona costiera, potendo contare su una netta superiorità numerica, una migliore situazione logistica ed un assoluto dominio del cielo[140]. Le forze Alleate ottennero una decisiva vittoria nella battaglia di Megiddo (19 settembre – 31 ottobre 1918) con una perfetta azione combinata[140]: la fanteria sfondò il fronte ed aprì un varco per la cavalleria che, appoggiata da unità di autoblindo ed attacchi dei bombardieri, inseguì con decisione il nemico impedendogli di attestarsi su nuove posizioni; la ritirata ottomana si trasformò in rotta e le forze Alleate dilagarono verso nord, penetrando in Siria ed occupando Damasco (2 ottobre) ed Aleppo (25 ottobre). In Mesopotamia, ormai un fronte secondario, le preponderanti forze britanniche iniziarono la loro offensiva sul finire di settembre, dilagando nella zona di Mossul - Kirkuk ed ottenendo infine una vittoria decisiva nella battaglia di Sharqat (23 – 30 ottobre 1918)[140].

Ormai in ritirata su tutti i fronti e con il proprio esercito ridotto ad un sesto della forza originaria, all'Impero ottomano non restò altro che trattare la propria resa: il 30 ottobre 1918 i rappresentati dell'Impero siglarono l'armistizio di Mudros, ed il 13 novembre seguente una forza d'occupazione Alleata si installò ad Istanbul.

Il collasso dell'Austria-Ungheria
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Il 28 ottobre l'Austria-Ungheria chiese agli Alleati l'armistizio: l'impero che con tanta baldanza aveva aperto le ostilità contro la Serbia nel 1914 era giunto alla fine del suo percorso politico e militare. Quello stesso giorno gli italiani catturarono 3000 austriaci sul Piave. In serata l'esercito asburgico ricevette l'ordine di ritirarsi[141]. L'impero era al collasso, oramai i diversi movimenti indipendentisti stavano facendo di tutto per sfruttare la situazione. A Praga la richiesta di armistizio provocò una decisa reazione dei cechi; il Consiglio nazionale cecoslovacco si riunì a palazzo Gregor, dove si era costituito tre mesi prima, e assunse le funzioni di un vero e proprio governo, impartendo l'ordine agli ufficiali austriaci nel castello di Hradčany l'ordine di trasferire i poteri, assumendo il controllo della città e proclamando l'indipendenza dello stato ceco. Quella sera le truppe austriache nel castello deposero le armi; senza confini, senza riconoscimento internazionale e senza l'approvazione di Vienna, era nata un'entità nazionale ceca[141]. Sempre quello stesso giorno, il Parlamento croato dichiarò che da quel momento, Croazia e Dalmazia avrebbero fatto parte di uno "Stato nazionale sovrano di sloveni, croati e serbi". Analoghe dichiarazioni pronunciate a Laibach e Sarajevo, legavano queste regioni all'emergente Stato slavo meridionale della Jugoslavia[142].

Il 30 ottobre vennero fatti prigionieri più di 33.000 soldati austriaci, mentre a Vienna, il governo austro-ungarico continuava ad adoperarsi per giungere all'armistizio con gli Alleati[142]. Il 1º novembre Sarajevo si dichiarò parte dello "Stato sovrano degli slavi meridionali". A Vienna e a Budapest era ormai scoppiata la rivoluzione; il giorno precedente il conte Tisza fu ucciso dalle guardie rosse nella capitale ungherese[143]. Il 3 novembre l'Austria firmò l'armistizio che sarebbe entrato in vigore il giorno successivo, mentre a Vienna continuava la rivoluzione rossa. Lo stesso giorno gli italiani entrarono a Trento e la Regia Marina sbarcò a Trieste, mentre sul fronte occidentale gli Alleati accolsero la richiesta formale di armistizio sul fronte francese avanzata dal governo tedesco[137].

La fine ad occidente

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Lo stesso argomento in dettaglio: Armistizio di Compiègne.

La Germania aveva visto il proprio potenziale umano gravemente compromesso da quattro anni di guerra trovandosi poi in gravi difficoltà dal punto di vista economico e sociale. Il 1º ottobre i britannici si apprestavano a superare la Hindenburg lungo il canale di St. Quentin e gli statunitensi a sfondare nelle Argonne; Ludendorff si recò direttamente dal Kaiser per chiedergli di avanzare immediatamente una proposta di pace, dando grossa parte della colpa alle «idee spartachiste e socialiste che avvelenavano l'esercito tedesco»[144]. Le battaglie infuriavano ancora quando il 2 ottobre la prima rivoluzione tedesca scoppiò. Il 4 ottobre il principe Max von Baden telegrafò a Washington per richiedere l'armistizio[145]. La Germania pur essendo nello scompiglio non era precipitata nell'anarchia né aveva deciso di arrendersi: l'8 ottobre Wilson respinse la proposta, e l'11 i tedeschi iniziarono a ritirarsi su tutto il fronte senza però rinunciare a combattere[146].

Ludendorff confidava nel continuare la lotta nella speranza che un'efficace difesa della frontiera tedesca potesse alla lunga smorzare la determinazione degli Alleati. Ma la situazione era oramai sfuggita di mano; il 3 novembre l'alleato austriaco capitolò rendendo vulnerabile il fronte sud-orientale della Germania, la rivoluzione dilagava, alimentata dalla riluttanza del Kaiser ad abdicare. La sola via d'uscita poteva essere raggiunta con un accordo con i rivoluzionari, così il 9 novembre il principe Max lasciò il posto a Ebert, rispondendo implicitamente alle richieste del popolo ed esplicitamente a Woodrow Wilson, di far cadere i capi che avevano portato la Germania alla rovina a favore della Repubblica[147].

L'offensiva dei cento giorni diede il colpo finale, e dopo questa serie di sconfitte le truppe tedesche iniziarono ad arrendersi in numero sempre crescente. Quando finalmente gli Alleati ruppero il fronte tedesco, la monarchia imperiale tedesca giunse al collasso, e i due comandanti dell'esercito, Hindenburg e Ludendorff, dopo aver tentato invano di convincere il Kaiser a combattere ad oltranza, si fecero da parte[148]. Di fronte alla rivoluzione interna e alla minaccia delle forze Alleate ormai in vista del confine tedesco, i delegati tedeschi che si recarono a Compiègne già il 7 novembre, non ebbero altra scelta che quella di accettare le drastiche condizioni armistiziali imposte dagli Alleati. L'armistizio entrò in vigore alle ore 11:00 dell'11 novembre 1918, la guerra era finalmente finita[149].

Lo stesso argomento in dettaglio: Conseguenze della prima guerra mondiale.
I "quattro grandi" alla conferenza di pace di Parigi: da sinistra a destra Lloyd George, Vittorio Emanuele Orlando, Georges Clemenceau, Woodrow Wilson

L'armistizio di Compiègne pose termine alla prima guerra mondiale. Non solo le nazioni sconfitte, ma anche quelle vincitrici si trovarono davanti una situazione disastrosa. I quattro imperi vinti si dissolsero in nuovi Stati e il presidente degli Stati Uniti Wilson si prese la responsabilità di organizzare un nuovo sistema globale, fondato sulla risoluzione delle controversie per vie pacifiche e sull'autodeterminazione dei popoli. In un discorso che tenne davanti al Senato degli Stati Uniti l'8 gennaio 1918 riassunse i suoi propositi in quattordici punti, sui quali vigeva il pensiero che dovesse esserci una «pace senza vincitori», poiché a suo parere una pace imposta avrebbe contenuto il germe di un nuovo conflitto. Il 18 gennaio 1918 iniziò la conferenza di Parigi che vide i quattro paesi vincitori impegnati nel delineare il nuovo "profilo europeo". In base al principio di autodeterminazione dei popoli sorsero direttamente dalle ceneri degli antichi imperi nuovi Stati indipendenti (quali la Cecoslovacchia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni), che si trascinarono dietro nuove tensioni a causa dei loro confini e dell'eterogeneità della loro popolazione.

L'avanzamento tecnologico

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Paradossale immagine in cui si accosta la innovativa tecnologia del carro armato all'uso del piccione quale mezzo di comunicazione con le retrovie, Albert, agosto 1918.
Lo stesso argomento in dettaglio: Evoluzione tecnologica nella prima guerra mondiale.

Gli anni della prima guerra mondiale furono quelli che videro la più rapida accelerazione del progresso tecnologico della storia; se si eccettua l'invenzione della bomba atomica, durante il secondo conflitto mondiale le invenzioni tecnologiche si succedettero con ritmo molto più lento. Nel periodo 1939-1945 gli armamenti, le tattiche e l'organizzazione delle unità militari statunitensi, britanniche, tedesche e sovietiche non subirono sostanziali cambiamenti. Durante la prima guerra mondiale accadde invece che le compagnie di fanteria francesi, tedesche e britanniche nel 1918 fossero completamente diverse da quelle del 1914, sia per quanto riguarda la struttura organica, che per le tattiche e gli armamenti[150]. Nel 1918 i soldati indossavano elmetti d'acciaio, erano dotati di maschere antigas, combattevano muniti di una vasta gamma di armi, e potevano contare nel supporto dei carri armati e delle forze aeree, cose del tutto impensabili solo quattro anni prima. Nel 1914 nessun esercito intuiva ancora che la mitragliatrice leggera sarebbe diventata la principale arma della fanteria, gli aerei lenti e fragili, utilizzati esclusivamente per l'osservazione aerea, sarebbero diventati mezzi veloci, fortemente armati in grado di fornire appoggio tattico alle forze di terra. I soldati anglo-francesi nel 1918 avrebbero poi compiuto le loro più sensazionali avanzate dietro ad un'ondata di carri armati[151].

La guerra aerea

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Lo stesso argomento in dettaglio: Aviazione nella prima guerra mondiale.

Benché l'idea di impiegare gli aeroplani per fini bellici, oltre ai primi tentativi di mettere in pratica questa idea, risalissero a ben prima dello scoppio della prima guerra mondiale, fu in quel conflitto che l'aereo conobbe per la prima volta un impiego significativo, nonostante l'iniziale scetticismo dei comandanti e i limiti tecnici degli apparecchi in servizio all'inizio del conflitto[152].

Nelle prime fasi dei combattimenti il ruolo dell'aeroplano consisté essenzialmente nell'osservare i movimenti delle forze nemiche e nel prendere appunti per fare rapporto agli alti comandi dei vari eserciti. Già in questo ruolo, però, l'impiego dell'aviazione fu proficuo. Durante la statica e logorante fase della guerra di trincea, gli aerei continuarono a fornire agli alti comandi preziose informazioni tattiche, specialmente dopo l'introduzione delle macchine fotografiche a bordo a partire dal 1915; tuttavia, l'aereo cominciò ben presto a essere impiegato anche per colpire soldati e mezzi nemici con attacchi al suolo e bombardamenti tattici, dapprima in via sperimentale con aerei adattati al meglio, poi con sempre maggiore efficacia grazie a sistemi d'arma progettati apposta[153]. Gradualmente il conseguimento della superiorità nello spazio aereo sopra il campo di battaglia divenne un presupposto tattico per la riuscita dell'attacco[154].

Suggestiva immagine in cui uno di primi aviatori lancia a mano una bomba sul bersaglio.

Inizialmente, quando due aerei nemici si incontravano in volo, i rispettivi equipaggi si prendevano reciprocamente a revolverate o si sparavano con delle carabine, sortendo in generale effetti molto limitati; verso la fine del 1914 però, quando la crescente potenza dei motori iniziò a consentirlo, vennero installate sugli aerei le prime mitragliatrici. Fu solo dopo l'adozione di diversi sistemi sostanzialmente inefficienti che, con l'introduzione da parte dei tedeschi di un sistema di sincronizzazione (che permetteva di interrompere il fuoco quando le pale dell'elica passavano davanti all'arma) che nacque l'aereo da caccia nel senso moderno del termine[155].

I neonati caccia iniziarono subito a ingaggiare ricognitori e bombardieri, pur venendo contrastati a loro volta da altri caccia; nasceva così il combattimento aereo, e con esso la figura del pilota militare. Per tutta la prima guerra mondiale intorno ai piloti (e specialmente agli assi) rimase un'aura romantica di cavalleria e sportività, non sempre smentita dai fatti[156].

Per quanto riguardò il bombardamento, la prima guerra mondiale vide principalmente l'impiego tattico dell'aereo, con i mitragliamenti delle trincee e lo sgancio di piccole bombe o razzi da parte di aerei progettati come caccia. Tuttavia, specialmente dopo il 1916, quasi tutte le nazioni belligeranti costruirono e impiegarono aerei per il bombardamento strategico, con effetti (anche psicologici) significativi. Aerei tedeschi, inglesi, russi e italiani eseguirono centinaia di missioni di bombardamento a lungo raggio, colpendo sia le linee di comunicazione e i centri industriali nemici, sia le loro città. Nella prima fase della guerra anche i dirigibili Zeppelin presero parte ad azioni di bombardamento, e in particolare a diversi raid su Londra[157] La guerra accelerò significativamente lo sviluppo della neonata tecnologia aeronautica, e i modelli in servizio nel 1918 erano in generale molto più avanzati di quelli di appena quattro anni prima.

Contribuì in misura determinante alla vittoria alleata, anche dal punto di vista aeronautico, la differente potenza industriale dei paesi belligeranti: gli Alleati produssero 138.685 aerei a fronte dei 53.222 degli Imperi centrali[158].

La guerra navale

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Il cacciasommergibile statunitense SC405 al largo di Brest vicino ad un convoglio il 13 dicembre 1918; sullo sfondo una corazzata statunitense, probabilmente della classe Nevada.

I cambiamenti tecnologici in atto stavano mutando anche il modo di combattere la guerra in mare: i miglioramenti delle tecniche siderurgiche portarono alla produzione di migliori leghe di acciaio, aumentando la qualità e lo spessore delle corazze al punto che l'artiglieria secondaria risultava non più efficace contro di esse. Questo portò a miglioramenti nelle bocche da fuoco nella frequenza di tiro e nel calibro, dando una maggiore prevalenza sull'armamento secondario[159]. Fu introdotto il giroscopio e sistemi centralizzati per il controllo del tiro, che portarono ad ulteriori miglioramenti nell'efficacia delle artiglierie: la gittata utile dei proiettili, fino ad allora limitata a meno di 2.000 metri, passò a 7.000 - 10.000 metri[160]. Ulteriori sviluppi come l'inglese BL 15 inch Mk I, un cannone navale da 15 pollici (381 mm) sviluppato per la classe Queen Elizabeth di navi da battaglia, arrivarono inizialmente ad una gittata utile di 17.900 m a 20° di elevazione, che verrà ancora migliorata solo nel dopoguerra[161]. Anche i tedeschi fecero enormi progressi, ed il loro cannone Langer Max (Max il lungo), che verrà montato sulle loro navi da battaglia della classe Bayern e quindi apparve solo dopo la battaglia dello Jutland, aveva una gittata di 20.400 m con alzo di 16°, limite autoimposto per scelta progettuale ma presto portata a 23.200 m con alzo a 20°[162].

Nell'ambito degli apparati propulsivi, l'invenzione della turbina a vapore nel 1884 e il nuovo massiccio utilizzo del petrolio al posto del carbone come propellente, aumentò notevolmente l'autonomia delle navi e le rese meno visibili al nemico, in quanto il petrolio produceva una minor quantità di fumi di scarico, fecero compiere un notevole balzo in avanti. Le grosse corazzate erano ora capaci di muoversi a velocità ben superiori ai 20 nodi, con le unità minori capaci di superare anche i 25 nodi; le dimensioni delle unità navali iniziarono a crescere notevolmente[160]. L'incremento della velocità ridusse la minaccia per le navi maggiori rappresentata dai sommergibili, un'arma di recente introduzione nell'arsenale navale, molto lenti in immersione e dotati di scarsa autonomia[163]; ciò contribuì anche ad orientare tale arma alla caccia del più lento traffico mercantile, per proteggere i quali si ricorse alla tecnica dei convogli ed ad una massiccia cantierizzazione di unità di scorta e vedette anti sommergibili, appartenenti per esempio alla categoria dei Submarine chasers da 110 piedi (34 m) statunitensi[164], o alle versioni più grandi come i Patrol coastal da 174 piedi (pattugliatori costieri da 53 m).

L'applicazione di controcarene e di reti anti-siluro, diminuì, almeno per le unità di grosso tonnellaggio, la minaccia rappresentata dai siluri e dalle mine navali. La perdita di velocità che tali sistemi comportavano fu compensata dai nuovi sistemi propulsivi. Anche il miglioramento delle tecniche di compartimentazione stagna, in cui i tedeschi si dimostrarono molto capaci[165], incrementò le possibilità di sopravvivenza delle unità da guerra. La radio divenne uno strumento più diffuso sulle unità navali, consentendo migliori comunicazioni degli ordini, mentre verso la fine della guerra iniziarono anche a comparire i primi rudimentali esemplari del sonar, per il rilevamento delle unità sommerse. La HMS Dreadnought fu la prima unità ad entrare in servizio, costruita rispettando tutte le innovazioni tecnologiche che stavano avendo luogo e diede il nome a questa tipologia di navi, altrimenti dette "corazzate monocalibro".

Le nuove armi

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Serventi tedeschi di un lanciafiamme, 1917 circa.

Il maggiore problema per i comandanti degli eserciti in campo dovettero affrontare fin dall'autunno 1914 fu quello di uscire dallo stallo della guerra di trincea. Ciò poteva essere realizzato in due modi: incrementando la potenza di fuoco e cercando allo stesso tempo di accrescere la mobilità delle forze operative. Nell'ottenere maggiore potenza di fuoco, gli antagonisti accrebbero sensibilmente il numero di mitragliatrici, riducendone il peso per consentire rapidi spostamenti dell'arma. Nei quattro anni e tre mesi di guerra la diffusione di mitragliatrici leggere, mortai e granate da fucile ebbe l'effetto di incrementare di cinque volte la capacità di fuoco della fanteria, parallelamente ad un netto incremento di potenza di fuoco delle artiglierie in termini di numero, gittata e calibro[151].

I tedeschi furono i primi ad avvalersi sul campo di battaglia del gas tossico, un mezzo di offesa che avrebbe notevolmente avvantaggiato l'attaccante. Il settore chimico tedesco era il più avanzato d'Europa, ma dopo un primo fallimentare impiego del gas lacrimogeno a Bolimow nel gennaio 1915, con il progredire del conflitto i tedeschi divennero molto abili nella guerra chimica. Dopo l'attacco condotto a Ypres nel 1915, anche gli Alleati cominciarono a sviluppare tale arma senza tuttavia riuscire mai ad eguagliare gli avversari nella tossicità degli aggressivi e nelle loro tecniche d'impiego[166], superiorità che ai tedeschi portò un significativo incremento della capacità di fuoco a tal punto che l'alto comando decise di ricorrervi in tutte le operazioni d'attacco, e a volte, persino in quelle di difesa[167].

Il carro armato contribuì più di qualsiasi altra arma a far pendere l'ago della bilancia a favore degli Alleati: questo riuniva a sè i fattori della mobilità e della potenza di fuoco richiesti per una guerra di movimento. Il non aver considerato, da parte tedesca, il carro armato un'arma importante fino a quando non fu troppo tardi, fu il più grave errore in campo tecnologico dell'alto comando tedesco[167]. Nonostante la poca affidabilità dei primi mezzi, la capacità industriale Alleata promosse un significativo sviluppo della nuova arma, che in breve tempo consentì la produzione di moltissime unità. Mentre il 20 novembre 1917 a Cambrai, gli Alleati poterono contare su ben 476 carri armati britannici che consentirono in poche ore di frantumare le linee tedesche, Ludendorff nel dicembre 1917 aveva a disposizione solamente 20 A7V divisi in tre compagnie[168]. Il ritardo dei tedeschi in questo campo fu incolmabile, tanto che dopo la conclusione del conflitto numerosi ufficiali tedeschi riconobbero che la vittoria Alleata fu dovuta principalmente per l'impiego dei mezzi corazzati[169].

[da inserire: comunicazione sul campo-mezzi blindati e a motore per rifornimenti-mitragliatrici e artiglierie ferroviarie (paris gun)-lanciafiamme]

Crimini di guerra

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Lo stesso argomento in dettaglio: Crimini di guerra tedeschi nella prima guerra mondiale.

Il diritto internazionale umanitario e la convenzione dell'Aia del 1907 furono ripetutamente violate durante il conflitto, e solo la ridotta estensione delle regioni occupate da una potenza avversaria pose un freno alle stragi[170].

I dettami di Carl von Clausewitz, che consigliava una certa pressione sulle popolazioni invase affinché il governo nemico fosse portato ad arrendersi, vennero applicati dall'esercito tedesco quando questo irruppe nel Belgio e nella Francia settentrionale nel primo anno di guerra. Il 22 agosto 1914 il generale Karl von Bülow ammonì gli abitanti di Liegi di non ribellarsi per evitare di subire la stessa sorte dei 110 rivoltosi fucilati ad Andenne, che venne anche data alle fiamme. Casi simili con parecchie centinaia di civili uccisi, presto identificati dalla propaganda franco-belga come lo "stupro del Belgio", si verificarono in altre località belghe come Sambreville, Seilles, Dinant e Lovanio, oltre che nei distretti francesi nord-orientali. I soldati tedeschi, terrorizzati dai franchi tiratori che già li avevano infastiditi durante la guerra franco-prussiana del 1870, e animati da presunte storie di loro commilitoni accoltellati alle spalle o torturati mentre erano feriti e inermi, si ostinarono a combattere con ferocia ogni atto da loro giudicato "illegale". In quasi un mese, vale a dire il tempo che durò l'avanzata in Belgio, i soldati del Reich fecero oltre cinquemila vittime tra i civili. A differenza della seconda guerra mondiale in cui le stragi vennero commesse da appositi reparti, in questo caso i massacri vennero compiuti da unità qualsiasi sparpagliate in tutto l'esercito imperiale[171]. Alle città invase venne spiegato che la Germania non era in grado di fornire adeguate scorte alimentari per via del blocco navale attuato dall'Intesa, e vennero salvate solo dai cibi statunitensi distribuiti dalla Commissione di soccorso guidata dal futuro presidente Herbert Hoover, che si occupò anche dell'oltre mezzo milione di uomini rimasti disoccupati dopo lo spostamento delle fabbriche belghe in Germania, dove vennero inviati anche oltre 60.000 lavoratori coatti e alcune decine di migliaia di loro colleghi volontari. Altri uomini, donne e ragazzi vennero obbligati ai lavori agricoli nelle vicinanze del luogo di coscrizione.[172] Per dividere ulteriormente la popolazione, i tedeschi fecero leva sugli antichi dissapori tra i fiamminghi ed i valloni, arrivando fino a riconoscere il Governo provvisorio delle Fiandre guidato dal fiammingo August Borms[173].

Crimini di guerra vennero compiuti anche dalla marina tedesca. Rispetto alla seconda guerra mondiale dove il processo di Norimberga verificò un solo caso di violazione delle leggi umanitarie da parte di un U-Boot, nei mari dove venne combattuta la prima guerra mondiale vi furono frequenti mitragliamenti di naufraghi e siluramenti di navi ospedale[173].

Genocidio armeno

Genocidi etnici

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Lo stesso argomento in dettaglio: Genocidio armeno.

La prima guerra mondiale ebbe anche dei suoi genocidi. Il più noto è quello armeno, perpetrato dai turchi nel biennio 1915-1916. Essendo l'esercito turco impegnato nel Caucaso contro i russi, le autorità turche decisero di deportare le poco fedeli popolazioni armene che vivevano alle sue spalle in Mesopotamia e Siria, ma centinaia di migliaia di armeni morirono durante le marce per fame, malattia o sfinimento. Dopo la cessazione delle ostilità da parte dell'Impero ottomano, Mustafa Kemal sterminò altre decine di migliaia di armeni per rendere più compatto il ceppo razziale turco[174].

Benché vi fossero meno occasioni per infierire sulle popolazioni nemiche, crimini di guerra furono compiuti anche dalle potenze dell'Intesa. Gli abitanti che abitavano le terre lungo l'Isonzo occupate dagli italiani nel 1915 manifestarono in più di un'occasione i loro sentimenti ostili all'Italia. A Dresenza venne compiuto un attentato, peraltro finito male, contro il generale Donato Etna, e per rappresaglia gli italiani uccisero alcuni abitanti. A Villesse, dopo un attacco della popolazione contro i bersaglieri, vennero fucilati più di cento civili. Da queste terre furono deportati nell'Italia meridionale circa 70.000 abitanti, e lo stesso fece l'Austria-Ungheria con i civili di sentimenti italiani, rumeni o serbi. La Russia invece obbligò le popolazioni tedesche del Volga a trasferirsi in Siberia[175].

Impero ottomano

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Lo stesso argomento in dettaglio: Genocidio degli Assiri e Genocidio dei greci.

Tra il 1914 e il 1920 fu intrapresa dall'Impero ottomano un'azione di sterminio di massa nei confronti dei cristiani della Chiesa assira, della Chiesa ortodossa siriaca, della Chiesa cattolica sira e della Chiesa cattolica caldea durante il governo dei Giovani Turchi: questa operazione passerà alla storia come "genocidio assiro". Sulla vetta di una montagna, il Ras-el Hadjar, centinaia di ragazzi tra i sei e quindici anni vennero sgozzati brutalmente e poi buttati dal precipizio. Questo fu solo uno dei tanti episodi che seguirono e che continuarono a prendere di mira i cristiani assiro-caldeo-siriaci. Nell'aprile del 1915 la stessa sorte toccò agli abitanti del villaggio di Tel Mozilt e di altri 30 paesi in particolare della provincia di Van. Nel marzo 1918 fu infine assassinato il patriarca Mar Shimun XXI Benyami, che era allora la somma autorità religiosa in Assiria. Si valuta che i morti non siano stati meno di 275.000. Nonostante i numeri enormi questo genocidio non ha mai fatto tantissimo scalpore e infatti se ne è discusso per la prima volta al Parlamento europeo solo il 26 marzo 2007[176].

Ben più noto è il cosiddetto genocidio greco che, iniziato nel 1914, si è prolungato sino al 1924. La persecuzione è stata subita da una popolazione greca originaria del Ponto, perciò detta, i greci del Ponto. La ragione anche in questo caso è religiosa, infatti, essendo una delle poche minoranze cristiane in Medio Oriente, soffrirono un terribile massacro da parte degli ottomani che passerà alla storia come genocidio greco. In realtà il termine è stato oggetto di controversie tra la Turchia e la Grecia. Alla Grecia, che ha dichiarato nel 1994 il 19 maggio giornata commemorativa, si associarono vari stati americani, riconoscendolo come genocidio. Le vittime, non solo di morte violenta, ma anche per le conseguenze, dunque malattia e fame, nel giro di sette anni arrivarono a circa 350.000[177].

Lo stesso argomento in dettaglio: Occupazione russa della Galizia.

Circa 200.000 tedeschi che vivevano in Volinia e circa 600.000 ebrei furono deportati dalle autorità russe[178]. Nel 1916, fu inoltre emesso un ordine di espulsione di circa 650.000 tedeschi del Volga a est, ma la rivoluzione russa ne ha impedito l'attuazione[179]. Molti pogrom accompagnarono la rivoluzione del 1917 e la conseguente guerra civile russa, tra i 60.000 e i 200.000 civili ebrei vennero uccisi nelle atrocità in tutto l'Impero russo[180].

L'esperienza dei soldati

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Guerra e ammutinamento

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Nel 1917, dopo quasi tre anni di scontri sanguinosi con risultati modesti, iniziò a serpeggiare nelle file di molti eserciti, un deciso malcontento, che sfocerà tra gli uomini dell'esercito francese il 27 maggio 1917, quando 30 000 soldati francesi ammutinarono, lasciando la prima linea lungo lo Chemin des Dames e portandosi nelle retrovie rifiutandosi di obbedire agli ordini. Questo ammutinamento non fu un evento raro, infatti il fenomeno si estese a circa metà dell'esercito francese, circa 50 divisioni[181]. Il 1° giugno a Missy-aux-Bois un reggimento di fanteria francese si impadronì della città e nominò un "governo pacifista"; per una settimana regnò il caos in tutto il settore francese del fronte mentre gli ammutinati si rifiutavano di tornare a combattere. Le autorità militari agirono tempestivamente, e sotto il pugno di ferro di Pétain cominciarono gli arresti di massa e si insediarono le corti marziali. I tribunali francesi giudicarono colpevoli di ammutinamento 23.395 soldati, di questi, più di 400 furono condannati a morte, 50 fucilati e gli altri inviati ai lavori forzati nelle colonie penali. Contemporaneamente Pétain introdusse miglioramenti, concedendo alle truppe periodi di riposo più lunghi, congedi più frequenti e rancio migliore; dopo sei settimane gli ammutinamenti erano cessati[182].

Sui campi di battaglia viveva uno stridente contrasto, sul fronte occidentale come su quello orientale, alla ferocia dei combattimenti si contrapponevano diserzioni di massa, ammutinamenti e fraternizzazione. A Pietrogrado il governo provvisorio faceva da contrappeso alla volontà dei Soviet favorevoli all'immediata cessazione di ogni ostilità. Ai primi di aprile del 1917 truppe russe fraternizzarono con i tedeschi, ma un'unità di artiglieria fedele al governo sparò sui ribelli, il cui leader, il tenente Haust, arrestò due ufficiali che avevano dato l'ordine di aprire il fuoco. Il 24 aprile i marinai di Kronštadt si schierarono con i bolscevichi, proclamando che non avrebbero rispettato gli ordini del governo; a questo si associarono gli scioperi nell'industria che ridussero la produzione di carbone dell'un quarto rispetto al 1916[183]. Il comandante in capo russo Michail Vasil'evič Alekseev riferì al ministro della guerra che «l'esercito si sta sistematicamente sgretolando»; ai primi di maggio il numero dei disertori in seno all'esercito russo sfiorava i due milioni; nello stesso mese l'intera 120ª divisione russa si rifiutò di raggiungere le trincee, disertando in massa[184]. Per tutta l'estate nelle file russe gli episodi di diserzione andavano aumentando, i primi di settembre ci furono anche degli scontri tra soldati britannici e la polizia militare del campo di Étaples, dove i convalescenti soldati britannici era costretti a marce forzate e un duro riaddestramento alla guerra coi gas. Ciò causò malcontento ma dopo alcuni scontri, il 12 settembre il breve ammutinamento britannico fu risolto. Pochi giorni dopo, a La Courtine - sud di Parigi - una brigata russa schierata ad occidente, issò la bandiera bolscevica e si rifiutò di andare in trincea[185]. Di lì a poco tempo, le sempre più numerose diserzioni tra le file russe cedevano il passo alla rivoluzione; il 3 novembre le truppe russe del fronte baltico gettarono le armi e fraternizzarono col nemico tedesco, il 7 novembre 18 bolscevichi circondarono il palazzo d'Inverno e in poco tempo il governo provvisorio fu spazzato via a favore di un governo bolscevico che come primo atto avviò le trattative di pace con gli Imperi centrali[186].

I prigionieri di guerra vissero generalmente in condizioni pietose. Nell'agosto 1915 i comandi austro-ungarici vennero raggiunti da un ordine che li obbligava a trattare i prigionieri italiani, appartenenti ad una nazione traditrice, più duramente dei prigionieri russi o serbi, considerati avversari "leali". Dei 600.000 italiani finiti in mano austro-ungarica, almeno 120.000 morirono durante la prigionia, di cui circa il 65% per tubercolosi, cachessia o inedia. Sovente i prigionieri italiani vennero mandati al fronte a scavare trincee[187].

L'Impero tedesco occupò i prigionieri "occidentali" nell'industria di guerra, elargendo piccole paghe e un trattamento discreto. Russi e rumeni continuarono invece a soffrire la fame nei campi di prigionia, e forse non più della metà di essi sopravvissero alla guerra[188].

All'inizio del 1916 la Russia aveva sotto controllo 100.000 prigionieri tedeschi e 900.000 austro-ungarici. Questi non furono sottoposti a particolari vessazioni, ma il freddo e privazioni varie ne avevano già uccisi, alla fine dell'anno, 70.000[188].

Corrispondenza dal fronte

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Tra i documenti che ci sono giunti a ricordo della prima guerra mondiale, abbiamo una buona serie di missive che testimoniano la terribile situazione sofferta non solo dai militari, ma anche dai civili dell'epoca. I mittenti sono il più delle volte soldati semplici che tentano in ogni modo di tenersi in contatto con la famiglia. Quindi il momento della consegna della posta era sempre atteso con ansia e gioia ed era forse uno dei pochi pensieri che sollevava il morale dei soldati. La scrittura utilizzata è spesso di difficile comprensione, poiché in dialetto o di scrittura incerta (spesso dovuta alle condizioni improbe) e dunque gli errori di punteggiatura e ortografia erano inevitabili[189].

Inviare e ricevere lettere era sempre difficile per varie ragioni. Innanzitutto bisogna tenere da conto la non scontata difficoltà su come procurarsi carta, penna, inchiostro e francobollo. A causa della scarsità di mezzi di cui disponevano, molti soldati non avevano la possibilità di dare notizie ai propri cari. Ma non era l'unico problema, l'ostacolo più grande era sicuramente rappresentato dalla censura. Spesso inconsapevolmente i soldati erano a conoscenza d'informazioni che minacciavano la sicurezza nazionale e la censura, per evitare la loro divulgazione, interveniva aprendo i documenti, controllando il contenuto e, se ritenuti innocui, richiudeva le buste con le cosiddette "fascette di censura", che recavano la scritta "Verificato per censura". Spesso le lettere venivano fatte passare ma con delle modifiche come cancellazioni con l'inchiostro di china. Vietato era inviare cartoline rappresentanti paesaggi (che potevano rivelare la propria posizione) o utilizzare sistemi criptati di comunicazione quali la stenografia o il codice morse. Sottostava ad ancora più rigidi controlli la posta dei prigionieri di guerra, che veniva controllata più volte sia dalla censura nemica, che da quella del proprio stato[190].

Traumi di guerra

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Supporto e opposizione alla guerra

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Coscrizione e volontari

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[parte sulla coscrizione e volontari da fare]

Dragoni algerini in Belgio nel 1915 durante una carica

Le potenze entrate in guerra reclutarono anche le popolazioni indigene delle colonie per sostenere il proprio sforzo bellico. Mentre la Germania, subito privata del contatto dalle sue colonie, usò le popolazioni locali esclusivamente contro i britannici in Africa, l'Intesa non ebbe limiti nell'arruolare e trasportare gli uomini del suo vasto impero coloniale nelle trincee europee[191]. Durante il conflitto la Francia mobilitò 818.000 coloniali, 449.000 dei quali combatterono nel territorio metropolitano[192]. Più consistente fu invece la risposta del Commonwealth all'appello della Gran Bretagna: Canada, Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa misero a disposizione soldati che vennero poi destinati al fronte occidentale o al Medio Oriente, mentre le truppe di colore, per ragioni climatiche, furono impiegate prevalentemente al di fuori dell'Europa. Nel complesso appartenevano alle colonie britanniche circa il 50% dei soldati (2.747.000) combattenti dall'Impero[192].

Le colonie francesi non opposero molta resistenza alla coscrizione, eccetto alcuni tumulti nel Tonchino e a più gravi rivolte in Algeria nel 1916. Più turbolento fu invece il comportamento delle colonie britanniche. In Sud Africa scoppiò nel 1914 una ribellione dei boeri sedata dai boeri fedeli alla Corona, mentre nell'Impero Anglo-Indiano lo scontento esplose dopo la guerra, nel 1919, con una rivolta nel Punjab, sedata nel sangue con centinaia di vittime tra gli indiani (strage di Amritsar)[193].

Trauma sociale

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Il ruolo degli intellettuali e della stampa

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Iniziando il 10 agosto 1914 con Louis Gillet, futuro occupante di un seggio della Académie française, che "invocava che la Francia diradasse una volta per sempre le nebbie di germanesimo che l'avevano avvolta e che insozzavano il mondo con una patina di volgarità"[194], il mondo intellettuale francese che visse durante la prima guerra mondiale fu pressoché unanime (solo lo scrittore Romain Rolland si discostò dai suoi illustri colleghi) nell'incitare alla guerra contro il nemico e a combattere per la civiltà e la vittoria finale, contro un nemico inferiore di razza (Edmond Perrier, al tempo direttore del Museo nazionale di storia naturale di Francia, affermò che «Il cranio del principe di Bismarck richiama quelli degli uomini fossili di La Chapelle-aux-Saints»[194]) che andava contrastato accorrendo ad arruolarsi (così come invitavano a fare i Nobel per la letteratura Maurice Maeterlinck e Anatole France). Gli scienziati e le scoperte tedesche vennero screditate dal fisico Pierre Duhem, dal zoologo Louis-Félix Henneguy e dal matematico Émile Picard[195]. Henri Bergson affermò che la guerra alla Germania equivaleva a combattere la barbarie; Frédéric Masson, uno studioso di Napoleone, propose di abolire la musica di Richard Wagner per evitare la contaminazione della cultura francese, mentre Action française auspicò la rimozione del tedesco dalle lingue studiate nelle scuole; più di tutti spiccò la figura di Maurice Barrès, acceso nazionalista che arringò il popolo francese scrivendo che Guglielmo II praticava il culto di Odino e depositando presso il Parlamento un progetto di legge che istituiva una festa nazionale dedicata a Giovanna d'Arco. Vi fu anche chi asserì che la lettera "K" dovesse essere cancellata dai dizionari perché troppo tedesca e Beethoven non venne più suonato[196].

Anche i tedeschi, almeno fino al 1915, usarono toni simili. Wilhelm Wundt sostenne che la guerra della Germania contro la Russia era una guerra di civiltà. Nell'ottobre 1914 novantatré tra umanisti, scienziati ed intellettuali tedeschi difesero l'operato dello stato maggiore dell'esercito pubblicando un appello rivolto «alle nazioni civili»[197]. Un mese dopo Thomas Mann scrisse un articolo in cui identificava il militarismo tedesco nella "Kultur", ossia l'organizzazione spirituale del mondo, sostenendo che la pace era un elemento che corrompeva la civiltà, a meno che non fosse stata raggiunta dopo la vittoria della Germania in Europa. Ernst Haeckel invocò sia la sconfitta della Russia che della Gran Bretagna, ed Ernst Lissauer fu premiato per aver composto una "Canzone di odio contro l'Inghilterra" ("Hassgesang gegen England"). Ancora, il Nobel per la chimica Wilhelm Ostwald si disse convinto che la Germania avesse tutte le qualità per meritarsi il predominio in Europa[198].

Dal 1915 i chierici tedeschi, visti i lutti di guerra e influenzati dal gran numero di intellettuali ebrei presenti tra le loro fila, si accostarono ad una maggiore pacatezza, mentre in Francia il nazionalismo intellettuale continuò per tutta la durata della guerra[199]. Questo è verificabile anche guardando alla stampa dei due paesi: in Germania i giornali pubblicarono i comunicati dell'agenzia Havas nonché i bollettini di guerra francesi, che venivano pubblicati anche ne "La Gazette des Ardennes", unico giornale autorizzato di lingua francese nella zona occupata dai tedeschi. Il clima, poi, era in generale più rispettoso: le opere di Molière non vennero mai vietate e il Frankfurter Zeitung, ad esempio, rese gli onori al compositore francese Claude Debussy, morto nel marzo 1918, dedicandogli due colonne di giornale. La stampa francese era invece colma di roboanti quanto esagerati racconti di prima linea, pubblicava solo i comunicati tedeschi favorevoli alla Francia e, soprattutto, era limitata da una forte censura che calò d'intensità solo con la nomina di Clemenceau alla presidenza del consiglio (novembre 1917)[200]. Più libera era invece la stampa britannica, che tuttavia non ebbe il permesso di uscire fuori dalla nazione[195].

La pace e la memoria

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In tutta Europa, su ogni campo di battaglia, in ogni città e paese in lutto, sorsero monumenti; alcuni piccoli, alcuni grandi e altri - pochi - come a Vimy, sulla Somme e a Douaumont, immensi[201]. Parallelamente si alternavano in tutti i campi di battaglia cerimonie e commemorazioni; nell'autunno del 1920 il capo della Commissione imperiale per le tombe di guerra britannica scelse cinque cinque spoglie tra i caduti senza nome sul fronte occidentale, di questi cinque venne affidato al tenete colonnello Henry Williamsil compito di sceglierne uno da inumare a Londra per consentire a centinaia di migliaia di parenti e amici di avere un luogo dove ricordare e pregare per i propri cari dispersi in battaglia. La salma fu scortata per tutto il nord della Francia, poi il feretro salpò per la Gran Bretagna a bordo del cacciatorpediniere Verdun, e l'11 novembre 1920 ebbe luogo a Londra la solenne cerimonia funebre del Milite Ignoto[202]. Una dopo l'altra le tombe del Milite Ignoto vennero inaugurate in tutti i paesi partecipanti al conflitto appena concluso. I tedeschi ne eressero uno a Tannenberg nel 1927 e uno al Neue Wache di Berlino nel 1931, a Parigi venne posizionata la tomba del Milite Ignoto alla base dell'Arco di Trionfo[203], in Italia venne affidata a Maria Bergamas, la madre del volontario irredento Antonio Bergamas disperso in combattimento, la scelta di una salma tra undici bare di soldati non identificati caduti in vari fronti di battaglia. La bara prescelta fu deposta in un carro ferroviario che sfilò in tutta Italia fino a Roma dove il 4 novembre 1921 fu prima deposta nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, per poi essere traslata negli anni trenta al Vittoriano[204].

Su tutti i campi di battaglia nacquero cimiteri di guerra gestiti dalle commissioni di guerra dei diversi paesi, che diventarono meta di pellegrinaggio per chi era alla ricerca di un proprio caro o per commemorare un camerata. Non passò anno senza che si celebrasse qualche toccante cerimonia o si inaugurasse un monumento[205] Queste cerimonie ebbero uno stop durante il secondo conflitto mondiale, dove molti dei campi di battaglia della prima guerra mondiale vennero occupati dai tedeschi, ma dopo la fine del conflitto ripresero e ogni anno si ripetono in tutti i paesi coinvolti nel conflitto.

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