Marcella Ficca Monaco

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Marcella Ficca Monaco

Marcella Ficca, coniugata Monaco (19152001), è stata un'antifascista e partigiana italiana, medaglia d'argento al valor militare.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

È attiva come antifascista sin dagli anni trenta, insieme al marito Alfredo Monaco che, nel 1943, aderisce al Partito Socialista Italiano.

Dopo l'occupazione tedesca di Roma, Marcella Monaco svolge attività partigiana in qualità di staffetta, addetta al trasporto di armi e dando asilo ai partigiani ricercati e feriti nella casa di Via della Lungara 28B, situata all'interno di Regina Coeli ed assegnata al marito in quanto medico del carcere.

Tale circostanza, il 24 gennaio 1944, le permette di portare a termine positivamente l'evasione da Regina Coeli di Sandro Pertini, Giuseppe Saragat e di altri cinque prigionieri politici, tutti condannati a morte per attività antifascista (Luigi Allori, Luigi Andreoni, Carlo Bracco, Ulisse Ducci e Torquato Lunedei). L'evasione è ideata e organizzata da Giuliano Vassalli e Peppino Gracceva, comandanti delle formazioni socialiste romane, poi divenuti Brigate Matteotti, con l'aiuto di Massimo Severo Giannini e Ugo Gala e, dall'interno del carcere, Filippo Lupis, Alfredo e Marcella Monaco.

Vassalli e Giannini riescono a impossessarsi dei moduli e dei timbri originali per la scarcerazione, essendo stati dipendenti del Tribunale di Roma sino all'8 settembre e predispongono un falso ordine. I tedeschi sono poi sollecitati ad eseguirlo, proprio grazie a una telefonata di Marcella, che si finge impiegata della questura[1].

Una volta evasi, Pertini e Saragat sono alloggiati transitoriamente in casa Monaco, nell'abitazione del medico di servizio del complesso di Regina Coeli, stante l'imminente scoccare del coprifuoco. Gli altri cinque, invece, provvedono autonomamente[2][3].

Le fasi della brillante operazione sono raccontate dalla stessa Marcella Ficca nel documentario La donna nella Resistenza, girato per la RAI da Liliana Cavani nel 1965.

Ricercata dalle SS, Marcella Monaco entra in clandestinità fino al giorno della Liberazione di Roma, mentre i suoi due figli, Giorgio di sei anni e Fabrizio di due, vengono nascosti presso istituti religiosi extraterritoriali.

Con l'avvento della Repubblica ritorna alla sua attività di moglie e madre.

È deceduta nel 2001 a 86 anni.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

- nastrino per uniforme ordinaria
«Medaglia d'Argento al Valor militare concessa con decreto del Presidente del Consigli dei Ministri il 26 Febbraio 1948 si legge: “L'8 Settembre 1943 si gettava con tutte le sue forze nella lotta contro il nemico, partecipando a rischiose operazioni. Sorpresa durante il trasporto di armi riusciva a fuggire alla cattura e a portare in salvo tutto il prezioso materiale destinato ai compagni che combattevano. Si prodigava nell'assistenza morale e materiale dei detenuti politici senza distinzione di tendenza e di partito. Effettuava e portava a compimento il piano di evasione di sette esponenti del movimento di resistenza (fra cui Sandro Pertini e Giuseppe Saragat n.d.r.) comandando personalmente il gruppo di partigiani destinato a metterlo in esecuzione. La sua casa (abitava con il marito dr. Alfredo Monaco, medico del carcere, dentro Regina Coeli n.d.r) fu sede di Comandi partigiani ed asilo ai compagni ricercati e feriti. Avendo ricoverato un capo partigiano (Peppino Gracceva, capo della Organizzazione Militare Clandestina) gravemente ferito riusciva a sottrarlo, incurante del rischio cui si esponeva, alle ricerche delle S.S. tedesche che avevano circondato la sua abitazione. Perseguitata e ricercata dalla polizia, priva di mezzi di sostentamento e ammalata, continuava nella lotta fino al raggiungimento della vittoria. Fulgido esempio di donna partigiana che, con indomito coraggio, tutto diede per il raggiungimento della libertà e della giustizia di pace fra gli uomini e le Nazioni”.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Marcella Monaco - I protagonisti della Resistenza a Roma, su liceocavour.it. URL consultato il 15 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 22 luglio 2011).
  2. ^ Giuliano Vassalli e Massimo Severo Giannini, Quando liberammo Pertini e Saragat dal carcere nazista Archiviato il 27 settembre 2013 in Internet Archive., Patria Indipendente, Pubblicazione ANPI
  3. ^ Vico Faggi (a cura di), Sandro Pertini: sei condanne, due evasioni, Mondadori, Milano, 1978

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Gianni Bisiach, Pertini racconta, Milano, Mondadori, 1983.
  • Davide Conti (a cura di), Le brigate Matteotti a Roma e nel Lazio, Roma, Edizioni Odradek, 2006, ISBN 88-86973-75-6.
  • Giuliano Vassalli e Massimo Severo Giannini, Quando liberammo Pertini e Saragat dal carcere nazista, in: Patria Indipendente, ANPI.
  • Sandro Pertini, 6 condanne e 2 evasioni, Milano, Mondadori, 1970.
  • Carla Capponi, Con cuore di donna. Il Ventennio, la Resistenza a Roma, via Rasella, Milano, Il Saggiatore, 2009.

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