Repressione del dissenso nell'Italia fascista

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Voce principale: Antifascismo.

La repressione del dissenso nell'Italia fascista indica l'attività posta dal regime fascista in Italia durante il ventennio tesa a reprimere qualunque manifestazione di dissenso o comunque contraria al regime e alla sua ideologia.

Il contesto storico e la fascistizzazione delle istituzioni[modifica | modifica wikitesto]

La situazione del periodo del primo dopoguerra si può trarre anche da un'intervista con Giuseppe Di Vittorio di Felice Chilanti[1]:

«non bastava più contro di loro la testimonianza del padrone, sacra fino a quel giorno per i marescialli dei carabinieri e spesso per i giudici del tribunale; e non erano più soli a difendersi, con le testimonianze della povera gente che i marescialli dei carabinieri e spesso i giudici del tribunale consideravano prive di ogni valore giudiziario nei confronti della testimonianza del padrone che era necessariamente la verità»

Riguardo al periodo fra le due guerre particolarmente significativo è il seguente scritto tratto dal sito internet del Ministero dell'Interno[2]:

«Emblematica della commistione di ruoli tra Milizia, polizia e Ceka e dell'esistenza quindi di strutture parallele a quelle ufficiali, era la circostanza che Emilio De Bono, primo capo della Polizia fascista, fosse al tempo stesso comandante della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.»

Le premesse alla completa fascistizzazione dei corpi e degli organi di repressione dello Stato sotto il regime fascista sono chiarite poi nel discorso dello stesso Benito Mussolini, tenuto il 26 maggio 1927:[3]

«Veniamo alla Polizia. Fortunatamente, gli Italiani stanno liberandosi dei residui lasciati nei loro spiriti dai ricordi delle dominazioni straniere: asburgiche, borboniche, del granducato, per cui la Polizia rappresentava una funzione odiosa, abominevole, da evitare. Signori! è tempo di dire che la Polizia va, non soltanto rispettata, ma onorata. Signori: è tempo di dire che l'uomo, prima di sentire il bisogno della cultura, ha sentito il bisogno dell'ordine. In un certo senso si può dire che il poliziotto ha preceduto, nella storia, il professore, perché se non c'è un braccio armato di salutari manette, le leggi restano lettera morta e vile. Naturalmente ci vuole il coraggio fascista per parlare in questi termini.
L'onorevole Luigi Federzoni ha lasciato una legge di Pubblica Sicurezza. Abbiamo in Italia 60.000 carabinieri, 15.000 agenti di polizia, 5.000 metropolitani, 10.000 appartenenti alle Milizie, diremo così, tecniche: la Milizia Ferroviaria, la Portuale, la Postelegrafonica, la Stradale; tutte Milizie e Polizie che compiono un servizio regolare, perfetto ed utile. Poi abbiamo la Milizia Confinaria e finalmente la Milizia Forestale. Io calcolo che il regime ha un complesso di 100.000 uomini come forza di Polizia. È un numero imponente.
Bisogna epurare la Polizia, specie quella in borghese. Io non ho voluto aumentare il numero delle divise, non ho voluto cioè che i 15.000 agenti in borghese avessero la divisa.
Ma quando la polizia è in borghese e non controllabile attraverso l'uniforme, deve essere scelta, cioè deve essere composta di cittadini irreprensibili, zelanti e silenziosi. Tutti coloro che non hanno questi attributi, io li mando a spasso senza pietà. Così, in questi mesi, ho allontanato sette questori, quattro vice-questori, venti commissari, sei commissari aggiunti, cinque vice-commissari, ed ho fatto una rapida pulizia, ho dato un colpo di «ramazza» in quella Questura di Milano che non mi è mai piaciuta. Sono in corso altri 52 collocamenti a riposo di funzionari e di 37 impiegati del gruppo C. Ma questo è il principio dell'epurazione. Dovrà essere continuata.

Poi bisogna dare i mezzi alla Polizia. La delinquenza moderna è avanzatissima, come progresso! Conosce la chimica, la fisica, la balistica, adopera tutti i mezzi più veloci. La Polizia italiana aveva ancora le vecchie automobili, che col rumore della loro incomposta ferraglia si annunziavano di lontano al delinquente, che faceva in tempo a fuggire. Abbiamo portato le autovetture della Questura da 161 a 611. Tutti i comandi di legione dei carabinieri hanno un'automobile. Altrettanto dicasi di tutti i comandi di legione della Milizia volontaria. La polizia dispone oggi, quindi, di 774 autovetture, di 290 camions, di 198 motocicli, di 48 natanti e motoscafi, e di 12.000 biciclette.»

Il fascismo attuò una serie di riforme nei confronti delle varie forze dell'ordine operanti nel paese, nel 1922 fu costituita la Milizia volontaria per la Sicurezza Nazionale sciogliendo il Corpo delle Guardie Regie di pubblica sicurezza e il corpo degli agenti investigativi che furono assorbiti nei Carabinieri salvo poi nel 1923 ricostituire il Corpo degli agenti di pubblica sicurezza che riprendeva se non altro la tradizione dei disciolti corpi, in parte anche per riguadagnare il consenso presso le forze dell'ordine, molto abbassato dallo scioglimento precedente (che aveva collateralmente minato anche l'armonia interna fra i carabinieri, nei quali erano stati indiscriminatamente versati gli ex-poliziotti). La MVSN assorbì il Corpo delle guardie forestali creando la Milizia nazionale forestale. Nel ventennio quindi venne a crearsi una diarchia tra le varie forze dell'ordine, che ebbe nel 1943 non poche ripercussioni sulla fine del regime; fedeli al sovrano erano i Reali Carabinieri e la Regia Guardia di Finanza, mentre erano fedeli al Duce la MVSN, il Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza e l'Ovra, la polizia politica segreta.

Il contributo dell'Arma dei Carabinieri[modifica | modifica wikitesto]

All'Arma dei Carabinieri fu affidata la repressione del dissenso politico e lo sviluppo di un imponente sistema di spionaggio interno. Dal 1931 al 1938 partirono 3.940 proposte di assegnazione al confino, 4.468 proposte di ammonizione sempre per motivi politici.[senza fonte]

Mussolini tuttavia non si fidava appieno dell'esercito, nel quale vi erano state grosse defezioni di soldati postisi al fianco dell'ala anarco-bolscevico-sovversiva degli Arditi di Trieste poi confluiti negli Arditi del Popolo insieme ai legionari dell'Impresa di Fiume, e dei Bersaglieri di Ancona. A disturbare Mussolini era stato anche il familiarizzare fra soldati e rivoltosi nella difesa di Parma del 1922. Né Mussolini poteva fidarsi delle associazioni di reduci e dei loro legami con settori militari, in cui vi erano personalità monarchiche antifasciste, incluso Pietro Badoglio[6].

Fra il personale rimosso nelle circostanze indicate da Mussolini nel suo discorso, vi erano anche Guido Jurgens (per i fatti di Sarzana), capitano dei carabinieri; Federico Fusco (vedi Difesa di Parma del 1922), prefetto di Parma; Vincenzo Trani, ispettore generale di pubblica sicurezza, a cui è stato poi dedicato il film tratto dal libro Un poliziotto per bene di Luigi Faccini[7].

La citazione che segue, da Renzo De Felice, testimonia quanto Mussolini riuscì a rendere efficace quanto aveva programmato (vedi anche fascismo e questione ebraica):

«Ma si macchiano di complicità con i nazisti pure le prefetture, la polizia e i carabinieri (alcune prefetture e comandi ci mettono uno zelo veramente incredibile, fatto al tempo stesso di fanatismo, di sete di violenza, di rapacità). È un fatto ormai accertato che i 4.210 ebrei deportati dopo l'Ordine n. 5, siano stati arrestati quasi tutti dalle autorità italiane.»

Gli altri corpi di polizia[modifica | modifica wikitesto]

Correlazioni fra l'operato dei corpi di polizia e le azioni del nascente antifascismo sono testimoniate dal libro di Angelo Tasca Nascita e avvento del fascismo - Il fascismo. Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia (Edizioni Avanti!, Milano, 1968), ristampa di un volume pubblicato nel 1921 sempre dalle Edizioni Avanti! che successivamente si occuperanno anche del libro che illustra la rivolta popolare antifascista del 30 giugno 1960 di Genova.

Per quanto riguarda gli altri corpi di polizia, mentre se i carabinieri, seppur in maniera minoritaria parteciparono alla Resistenza, durante il susseguirsi degli eventi per quanto riguarda gli altri corpi di polizia l'asservimento al regime fascista fu totale, escludendo pochi casi ormai ben documentati. Giovanni Palatucci, probabilmente venduto ai nazisti da qualche suo collega (si evince dalla sua storia), ebbe contatti con la Resistenza solo per organizzare la fuga di ebrei nel suo umanissimo e rischiosissimo lavoro che portò alla salvezza di migliaia di appartenenti alla gente ebraica.

«..... L'operazione stata organizzata dal tenente della polizia fascista di Roma, Maurizio Giglio, in realtà agente dell'OSS (servizio segreto americano, Office of Strategic Service) con la radio ricetrasmittente operante da un barcone sul Tevere [...][8]»

Ettore Troilo, nel dopoguerra, la cui rimozione da prefetto di Milano per i suoi contatti con la Resistenza di matrice azionista, provocherà una sommossa. Mentre nella fase dell'ascesa del fascismo ci saranno i casi dell'ispettore generale Vincenzo Trani e del prefetto Federico Fusco, uomini assolutamente non di sinistra ma non graditi al fascismo per la loro applicazione imparziale delle leggi, che verranno epurati.

Il corpo di polizia, sviluppatissimo durante il fascismo, annovererà al suo interno le più tristemente note bande di torturatori (che operavano nelle altrettanto tristemente note ville tristi): erano affiliate alla pubblica sicurezza dalla banda Koch, il cui capo fu appunto eliminato dai carabinieri, alla banda Collotti e alla banda Carità ai torturatori della Casa dello studente di Genova o al tristemente noto a Genova prefetto Carlo Emanuele Basile con i suoi "editti" di deportazione di operai e tecnici in Germania.[9]

«Agli operai un ultimo avviso del Capo della Provincia

Le misure delle autorità in caso di sciopero bianco o di allontanamento dal lavoro Lavoratori

c’è un vecchio proverbio che dice: Uomo avvisato è mezzo salvato. Vi avverto che qualora crediate che uno sciopero bianco possa essere preso dall’Autorità come qualcosa di perdonabile, vi sbagliate, questa volta. Sia che incrociate le braccia per poche ore, sia che disertiate il lavoro, in tutte e due i casi un certo numero di voi tratti a sorteggio verrà immediatamente, e cioè dopo poche ore, inviato, non in Germania, dove il lavoratore italiano è trattato alla medesima stregua del lavoratore di quella Nazione nostra alleata, ma nei campi di concentramento dell’estremo Nord, a meditare sul danno arrecato alla causa della Vittoria: di una Vittoria da cui dipende la redenzione della nostra Patria disonorata non dal suo popolo eroico ma dal tradimento di pochi indegni.

Il capo della Provincia Carlo Emanuele Basile»

«[senza fonte] Il prefetto fascista di Genova, Basile, attuò la deportazione in massa degli operai liguri dopo i grandi scioperi che schierarono la classe operaia quasi senza defezioni dalla parte del movimento di liberazione. La presenza di formazioni partigiane alle spalle dello schieramento tedesco, sui monti dell'Appennino e le Alpi Marittime appena fuori, ma anche dentro le città, rese difficile ai tedeschi la difesa sia dal mare che dalla terra e li fece vivere come in stato di assedio.[10]»

  • Risultano deportati, infatti circa duemila operai genovesi in vari lager austriaci e tedeschi;di cui 1220 presso il Campo di concentramento di Mauthausen[11], con presenza pure di tecnici e ingegneri, fra cui Mario Magonio, genovese soprannominato Il Burattinaio di Mauthausen,[12] che al momento dell'arresto faceva l'operaio ai cantieri Ansaldo di Genova, e "incominciò" il mestiere di burattinaio proprio nel campo di concentramento per alleviare un po' il peso della prigionia dei compagni.

L'ex prefetto Carlo Emanuele Basile, nel dopoguerra sarà, per la sua presenza a Genova onde presiedere il congresso missino, una delle cause scatenanti la rivolta antifascista di Genova del 30 giugno 1960.

Per tale vicenda di Genova scriverà Sandro Pertini nella presentazione del libro A Genova non si passa di Francesco Gandolfi (edizioni Avanti!! del 1960), libro dedicato alla rivolta antifascista di Genova:

«È Genova che ha riaffermato come i valori della Resistenza costituiscano un patronato sacro,inalienabile della Nazione intera e che chiunque osasse calpestarli si troverebbe contro tutti gli uomini liberi, pronti a ristabilire l'antica unità al di sopra di ogni differenza ideologica e di ogni contrasto politico.»

Repressione delle critiche alle singole decisioni governative[modifica | modifica wikitesto]

Il fascismo represse anche le critiche su singoli aspetti dell'attività di governo e non risparmiò l'alta società del tempo. Ad esempio, uno dei massimi esponenti dell'imprenditoria degli anni venti, Riccardo Gualino, pur non avendo posizioni antigovernative, criticò la politica economica fascista di rivalutazione della lira sul dollaro (Quota 90) e per questo nel 1931 venne condannato al confino.

Gli omicidi Rosselli e Schiavi[modifica | modifica wikitesto]

Sull'uccisione di Carlo e Nello Rosselli è interessante produrre questo estratto: [senza fonte]

«Nei pressi della cittadina francese, i due fratelli cadono nell'agguato teso loro da alcuni sicari del gruppo filofascista La Cagoule e sono massacrati a colpi di arma da fuoco e coltellate; mandanti del duplice omicidio, Mussolini e suo genero Galeazzo Ciano, alcuni ufficiali del SIM (Servizio Informazioni Militari), come ha provato l'istruttoria giudiziaria condotta a Roma nel 1944-45.[13]»

Fra gli organizzatori sarà implicato anche Mario Roatta, protagonista di una rocambolesca e inspiegabile fuga, nel dopoguerra, della prigione.

E ancora, il metodo utilizzato contro Lea Schiavi ricorda il complotto ordito nel 1937 nell'ambito del Ministero degli Esteri (Galeazzo Ciano) e del SIM (il colonnello dei carabinieri Santo Emanuele) per togliere di mezzo Carlo Rosselli. Anche in quel caso, subito dopo l'assassinio, fonti fasciste tirano in campo inesistenti responsabilità sovietiche, in cui è implicato il colonnello dei carabinieri Santo Emanuele.

Tra i personaggi più influenti nel campo delle operazioni internazionali spicca la figura del colonnello dei carabinieri Ugo Luca, veterano nel campo delle operazioni coperte, attivo sin dalla grande guerra nei servizi speciali e specialista del Medioriente.

Profondamente turbata dalla visione delle persecuzioni razziali, decide di opporsi, per quanto le è possibile, alla guerra dell'Asse. A Bucarest conosce l'americano Winston Burdett, corrispondente della Columbia Broadcasting Corporation, col quale si fidanza e avvia un'attività informativa in favore degli angloamericani.

La donna lavora per la Transradio Press, con lo spirito di una combattente contro i nazifascisti; attivista del Movimento Libera Italia (Free Italy Movement), ne diviene propagandista nei circoli dell'emigrazione.

Il SIM accredita (per l'omicidio di Lea Schiavi) una matrice sovietica, ma le autorità russe smentiscono categoricamente ogni loro coinvolgimento. Prende forza la tesi dei mandanti italiani, ovvero del controspionaggio in combutta con elementi della rappresentanza diplomatica di Ankara: il principale indiziato è il colonnello Ugo Luca, "addetto commerciale" dell'ambasciata d'Italia in Turchia.

Il 21 aprile 1945 Burdett si reca a Roma e denunzia alla magistratura l'ufficiale dei carabinieri; costui, alla presenza del funzionario dell'ambasciata di Ankara Lauro Laurenti, avrebbe "per ben due volte dichiarato che egli era personalmente responsabile per avere, in seguito ad istruzioni pervenutegli da Roma, organizzato l'assassinio di Lea Schiavi, notoria antifascista".

Inoltre i nuovi mezzi di comunicazione facilitano la repressione a danno dell'antifascismo:

«Grazie pure all'utilizzo dei sistemi di comunicazione, allora rappresentati da radio e giornali. Tuttavia di fronte al levigato linguaggio burocratico con cui prefetti, questori, podestà, carabinieri, direttori didattici, presidi e semplici impiegati pubblici trattavano le pratiche razziali, si avverte un senso di disagio, acuito dal fatto che solo una manciata di decenni ci separa da quel periodo.[14]»

Invece, per quanto riguarda l'avvento del fascismo[15]

«Per quanto riguarda la marcia su Roma, nonostante le precedenti acquiescenze e connivenze, le forze armate (e i Carabinieri in primo luogo) avrebbero eseguito l'ordine del re. Quattro fucilate avrebbero riprodotto in grande quanto accaduto durante i fatti di Sarzana ed avrebbero risparmiato molti lutti.»

Va ricordato che carabinieri, al comando del capitano Guido Jurgens, e Arditi del Popolo impartirono una pesante sconfitta agli squadristi fascisti calati per dare una lezione ai sovversivi della roccaforte spezzina. Altrettanto chiaro è il giudizio su Benito Mussolini sul metodo usato per la presa del potere, si legge sempre nel sito web dei Carabinieri[16]:

«Il colpo di Stato mussoliniano è da manuale: infiltrazione graduale di apparati statali con simpatizzanti; creazione di un movimento politico; riuscita dimostrazione di forza; progressiva e rapida occupazione dello Stato. Nessuno spargimento di sangue, paralisi della classe dirigente, neutralità dei reparti non amici, cattura dell'opinione pubblica. Nei mesi seguenti viene operata la fascistizzazione della vita pubblica e privata dell'Italia in un crescendo di leggi liberticide e sempre più invadenti...
Ma mano a mano che il regime venne affermandosi, quei progetti che erano tesi a creare una polizia al servizio del partito (fascista) e delle autorità si fecero palesi. All'inizio della sua scalata al potere, pur affidando alla sola Arma dei Carabinieri il servizio di polizia, sciogliendo la "Guardia Regia" e facendo confluire nell'Arma il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza e i 12.000 uomini del "Ruolo Specializzato" - regio decreto 31 dicembre 1922 - il fascismo preparò l'attuazione di tale disegno.»

Sempre dal sito dell'Arma si trae anche un'informazione su come componenti della chiesa si fossero organizzate in modo militare contro il sovvertivismo[17]

«Il fenomeno della reazione armata all'insurrezionalismo "rosso" fu spontaneo. L'idea di aggregarsi per reagire non nacque dai "Fasci". All'inizio del 1919 il cardinale di Milano, Andrea Carlo Ferrari, formò un gruppo di giovani ardimentosi che prese il nome di Avanguardia Cattolica. Il motto "O Cristo o morte" dava la misura della drammaticità della situazione, specie nel milanese, roccaforte socialista. A partire dall'autunno del 1920, nacquero le Squadre d'Azione dei Fasci. Lo squadrismo, scrive Francesco Perfetti, «fu un fenomeno a sé, che pesò in maniera determinante sul fascismo e sul suo sviluppo, anche per una acquisita dimensione mitica». Roberto Vivarelli così ne descrive la composizione: «... nelle prime formazioni squadriste erano certamente confluiti uomini ai margini della delinquenza, avventurieri [...] di questa componente i Fasci manterranno a lungo il segno e, tuttavia, essa diventerà, ben presto, secondaria [...] L'obiettivo che i Fasci si prefissero fu quello di una sistematica occupazione del territorio, spazzando via le forze avversarie, organizzazioni sindacali e amministrazioni locali, attraverso incursioni (spedizioni punitive) che miravano alla devastazione di sedi e all'intimidazione. Tutto ciò era in gran parte il frutto di uno spontaneo consenso, che accompagnò il sorgere della reazione fascista per più di una ragione ...».»

Anche in colonia la situazione era di repressione verso qualunque ideologia non fosse conforme al fascismo[18]:

«Sotto il titolo: "1925 - Inizio attacchi repressivi del regime fascista agli studenti biblici":
Dal gennaio 1925, il potere di Mussolini era ormai ben saldo e il processo di fascistizzazione delle istituzioni e della società in quest'anno, si delineava in maniera netta, più che prima. Una delle sue prime preoccupazioni del Duce, fu quello del riassetto delle forze di polizia e più in generale dei corpi armati.
Nel campo delle forze di Polizia (qui quello che ora più ci interessa) si avvertì l'esigenza di creare uno strumento proprio che fosse fedele allo Stato fascista piuttosto che allo Stato di diritto e che si caratterizzasse come un corpo esclusivamente poliziesco repressivo. L'arma dei carabinieri aveva ben svolto un ruolo repressivo durante tre anni di transizione, ma dalla polizia il fascismo voleva molto di più: una presenza effettiva capillare nella società, il controllo totale della vita pubblica e privata di tutti i cittadini. Non solo repressione, quindi, ma anche vigilanza di prevenzione. Per raggiungere quest'obiettivo era necessario un corpo alle dirette dipendenze del Ministro dell'Interno, (di Mussolini, quindi, che ricoprì ad Interim la carica una prima volta dal 31.12.1922 al 17.6.1924 [dal 17.6.1924 al 6.11.1926 il dicastero venne retto da Luigi Federzoni] e una seconda la più lunga e la più importante dal 6.11.1926 al 25.7.1943 quando fu arrestato) che avesse notevole celerità e mobilità nell'intervento.»

E ancora[19]

«Le squadre fasciste avevano armi, mezzi di trasporto, il tacito consenso di Carabinieri e Polizia per cui fu possibile per loro avere il sopravvento anche sui lavoratori più sovversivi come lo erano i contadini dell'Oltrepò Pavese ...»

I campi di internamento[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Campi per l'internamento civile nell'Italia fascista.

Va considerato anche che un certo numero di campi concentramento italiani furono retti o ebbero la partecipazione di carabinieri. Particolare importanza ha il periodo in cui i campi di concentramento italiani furono allestiti. Di certo, otto campi di concentramento fascisti e/o nazifascisti furono retti da carabinieri[20]:

«C'erano in questo campo 4000 persone, che in maggio, come risulta sempre da questi documenti della Censura, erano stati picchiati dai carabinieri con "botte da orbi" perché "quando hanno saputo che abbiamo perso la Tunisia, si sono messi tutti a gridare "Viva la Russia

Una testimonianza, quella di Slavko Malnar[21]

«La situazione più difficile e vergognosa è stata quando dovevamo tutti assieme spogliarci nudi per la doccia; non osavo alzare gli occhi da terra. Posso solo immaginare come fosse penoso per le mamme e gli altri adulti. Le ragazze provavano a tenere le mutandine, ma i carabinieri gliele strappavano di dosso. Alla doccia seguente non c'era più bisogno perché quelle strappate erano l'unico paio che avevano avuto.»

Secondo studi recenti fra i campi di internamento che ebbero la partecipazione dei carabinieri vi furono anche quelli di Campagna, in provincia di Salerno, ovvero i campi denominati Campo San Bartolomeo e Campo della Concezione[22]:

«L'8 giugno erano già dislocati a Campagna - per svolgere il servizio di vigilanza - 12 carabinieri, di cui due sottufficiali, e 15 agenti di Pubblica Sicurezza, compreso un sottufficiale ed escluso il funzionario che non era ancora giunto da Lampedusa.
[...]
Con un telegramma datato 8 settembre 1939 l'allora Prefetto Bianchi, pur facendo presente al Ministero dell'Interno che esistevano diverse località idonee alla costituzione di colonie per confinati comuni nella provincia di Salerno, propose Campagna.
Anche a Sassoferrato i reclusi erano "affidati" ai carabinieri che non risultano in relazione al campo comunque presente ma per la vigilanza ai lavori forzati.»

E ancora[23]:

«La maggior parte degli internati, come si evince dalla corrispondenza, era definita "allogena" della Venezia Giulia (di altra stirpe diversa dallo Stato Nazionale in cui si trova) ed alcuni sono stati utilizzati per la realizzazione dell'acquedotto di Arcevia. La vigilanza dei Campo era stata affidata ad una postazione fissa di Carabinieri (4 carabinieri più un sottufficiale).»

Sui lager della Toscana dimenticati[24]:

«Lo storico Enzo Collotti sta per pubblicare due volumi con il contributo della Regione Lager toscani dimenticati e Gli ebrei erano raccolti qui [...] C´erano campi a Bagno a Ripoli, Civitella e altri. Ma se ne parla poco.»

Riguardo alla situazione nel Mezzogiorno d'Italia[25]:

«Lo storico tedesco Gerhard Schreiber, nel suo ultimo lavoro, riconduce gli eccidi nazisti nel Sud al rancore accumulato contro gli italiani dopo il "tradimento" del 25 luglio, sottolineando le gravi responsabilità non solo delle SS ma anche degli ufficiali dell'esercito regolare tedesco, che agirono per "spirito di vendetta". Ma la colpa non fu solo dei tedeschi. In uno studio sulla Resistenza nel Sud, uscito di recente, Aldo De Jaco documenta che anche alcuni ufficiali e carabinieri italiani favorirono la politica delle stragi oppure non vi si opposero in alcun modo.»

Per quanto riguarda la generalità dell'immediato dopoguerra dall'analisi di Mario Coglitore, autore del libro "La notte dei gladiatori, omissioni e silenzi della Repubblica", (Calusca edizioni, Padova 1992) scrive:

«Diamo un rapido sguardo alla situazione delle forze di Polizia negli anni '50: su 64 prefetti di primo grado, 64 prefetti non di primo grado e 241 prefetti, soltanto due non erano di provenienza fascista; di 135 questori e 139 vicequestori, soltanto 5 avevano avuto rapporti con la Resistenza; e, infine, su 603 commissari, commissari aggiunti e vicecommissari, solo 34 erano stati in contatto con i partigiani.»

Un caso collegato alla situazione sopradescritta è quello relativo al prefetto Ettore Troilo, ad esempio, cioè la successiva epurazione dai corpi di polizia di coloro che avevano avuto legami e/o erano stati appartenenti alla Resistenza. Interessante risulta altresì quanto scrive il sito dei bersaglieri in merito alle mancate epurazioni di fascisti e facili amnistie all'interno degli organi di polizia e dei servizi:[26]

«È vero che parallelamente iniziò la riorganizzazione delle forze di polizia,da cui furono esclusi quasi tutti gli ex partigiani, soprattutto comunisti, insomma cominciò il ritorno all'ordine.»

«Una violenta campagna di stampa costrinse i servizi a cambiare nome, accusando il generale Orlando di complicità nella fuga. Ma nel dopoguerra, (siamo ancora nel 45) nel corso di un processo che si celebrò a Roma, la verità venne a galla, con la certificazione della responsabilità diretta del duce ed anche quella del maresciallo Pietro Badoglio nell'assassinio dei fratelli Rosselli. Badoglio, che continuava a godere di forti appoggi, riuscì però ad uscire indenne dalla losca storia, e a pagare - se così si può dire - fu soltanto il generale Mario Roatta, l'unico a finire sul banco degli imputati. Comunque per poco. Incredibilmente, proprio alla vigilia del verdetto egli riuscì infatti a fuggire dal carcere-ospedale e a svanire nel nulla, sottraendosi ad una pena (ergastolo) che - secondo una consueta tradizione tutta italiana - gli verrà in seguito amnistiata. Mario Roatta è morto a Roma nel 1968.Del complesso personaggio, in rete, si possono ritrovare indifferentemente accuse di genocidio e salvacondotti morali. Per quanto riguarda le accuse di genocidio, il personaggio non risulta abbia mai trascorso un giorno di carcere (effettivo). Per quanto riguarda il salvacondotto morale un gruppo di Ebrei lo ringrazia pubblicamente e personalmente per aver capito che consegnare gli ebrei ai tedeschi avrebbe danneggiato il prestigio degli italiani, con gravi ripercussioni nel rapporto con le popolazioni occupate. Da qui la scelta di internarli[...][27][28]»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Fonte: Rassegna.it Archiviato il 28 settembre 2007 in Internet Archive., dalla vita di Giuseppe Di Vittorio a cura di Felice Chilanti
  2. ^ Fonte: Interno.it Archiviato il 3 maggio 2010 in Internet Archive.
  3. ^ Conosciuto come Discorso dell'Ascensione, riportato in Il regime fascista per la grandezza d'Italia - discorso pronunciato il 26 maggio 1927 alla Camera dei Deputati, Roma, Libreria del Littorio, 1927
  4. ^ Fascismo. Primi elementi di un'inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia Milano, 1921, Società editrice Avanti!
  5. ^ Si riferisce all'opera lirica I maestri cantori di Norimberga.
  6. ^ Fonte: Romacivica.net Archiviato il 29 settembre 2007 in Internet Archive.
  7. ^ Fonte: Comune.sarzana.sp.it Archiviato il 27 settembre 2007 in Internet Archive.
  8. ^ Copia archiviata, su romacivica.net. URL consultato il 17 settembre 2007 (archiviato dall'url originale il 29 settembre 2007).
  9. ^ anpimarassi.it - anpimarassi Resources and Information. This website is for sale!
  10. ^ da istituto storico Resistenza [collegamento interrotto]
  11. ^ La prigionia
  12. ^ Il Burattinaio di Mauthausen
  13. ^ Fonte: [collegamento interrotto] Storia900bivc.it] a cura di Mimmo Franzinelli
  14. ^ Fonte: Centro Imolese Documentazione Resistenza Antifascista e storia contemporanea Archiviato il 27 settembre 2007 in Internet Archive.
  15. ^ Articolo tratto dal sito dell'arma http://www.regioesercito.it/articolivari/carabinieri/arma_1.htm
  16. ^ Fonte: Carabinieri.it
  17. ^ Fonte: Carabinieri.it Archiviato il 30 settembre 2007 in Internet Archive.
  18. ^ Fonte: Triangoloviola.it
  19. ^ Fonte: Comune.cigognola.pv.it
  20. ^ Fonte: Gonarsmemorial.org Archiviato il 14 maggio 2006 in Internet Archive. - Memoria del campo di concentramento di Gonars, provincia di Udine - e Info sul campo di concentramento di Gonars
  21. ^ Fonte: Testimonianza di Slavko Malnar Archiviato il 28 settembre 2007 in Internet Archive.
  22. ^ Istituto Palatucci, su istitutopalatucci.it. URL consultato il 13 settembre 2007 (archiviato dall'url originale il 31 gennaio 2010).
  23. ^ Fonte: Israele Urbis Sassoferrato
  24. ^ Fonte: Ucei.it Archiviato il 27 settembre 2007 in Internet Archive.
  25. ^ Fonte. Argoeditrice.it - Aldo de Jaco, La Resistenza al sud nel 1943
  26. ^ Vedasi circolo Papini, la democrazia apparente di Mario Coglitore Archiviato il 15 settembre 2007 in Internet Archive.
  27. ^ Centro di Orientamento Sociale fondato da Aldo Capitini Archiviato il 28 settembre 2007 in Internet Archive.
  28. ^ la corsa infinita Mario Roatta è uno dei mandanti dell'omicidio di Carlo Rosselli.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]