Antifascismo in Italia

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Voce principale: Antifascismo.
14 Agosto 1944, durante la Guerra di liberazione italiana. Membro della resistenza italiana a Firenze.

L'antifascismo in Italia è l'insieme dei movimenti eterogenei che si contrapposero al regime e alle attività promosse o attuate dal governo fascista di Benito Mussolini tra il 23 marzo 1919 e il 28 aprile 1945, durante il ventennio fascista.

L'antifascismo in Italia fu un fenomeno eterogeneo che coinvolse trasversalmente tutti i ceti e diversi orientamenti politici[1], anche non in modo organizzato, dagli operai fino al personale della pubblica amministrazione, compresi addirittura accademici[2] e ufficiali dell'esercito[3]. Esso si manifestò con varia intensità fin dalla comparsa del movimento fascista: nel gennaio 1925 Mussolini, ormai capo del governo, si assunse la responsabilità dell'omicidio Matteotti, preludendo in modo esplicito all'instaurazione della dittatura, a cui si contrappose in maggio la pubblicazione del Manifesto degli intellettuali antifascisti.

L'antifascismo fino al 1945[modifica | modifica wikitesto]

Primo dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Il simbolo degli Arditi del Popolo, la scure che rompe il fascio littorio

Al termine della prima guerra mondiale, l'Italia fa ben presto esperienza della drammatica depressione economia del 1920–1921. In questo periodo, il movimento antifascista è costituito da una parte dai componenti delle organizzazioni operaie, dai militanti socialisti, comunisti e anarchici (la cui presenza è nettamente maggioritaria), e dai rappresentanti delle organizzazioni liberali. Accanto ad essi erano presenti frange militari, associazioni di reduci della prima guerra mondiale, cattolici e liberali, che poi in parte confluiranno nel Partito d'Azione (seguendo i dettami di Piero Gobetti).

Non trascurabile è l'apporto dei repubblicani e dei popolari. Negli anni venti questi ultimi dettero all'antifascismo capi militari come Vincenzo Baldazzi, poi capo della Resistenza romana per Giustizia e Libertà e il consigliere Ulisse Corazza, che partecipò con una squadra di popolari alla difesa di Parma del 1922. Malgrado comunque inizialmente il partito popolare facesse parte della coalizione di governo di Mussolini, sin dal 1920 realizzò un progressivo allontanamento dal fascismo che, all'indomani del delitto Matteotti, diventò opposizione politica con l'uscita dei popolari (attaccati sempre più spesso dalle squadre fasciste) dalla coalizione di governo.

Durante il periodo immediatamente successivo all'affermarsi del fascismo gli scontri continuarono in molte città, come ad esempio Genova, nelle quali erano attive formazioni di difesa proletaria. La classe operaia espresse personalità di livello sia sotto il profilo intellettuale che militare come Umberto Marzocchi, Lorenzo Parodi, Giuseppe Di Vittorio, Ilio Barontini ed Emilio Canzi. Il Partito Liberale Italiano (PLI), anche se non svolse quasi mai una funzione di grande rilevanza nel panorama politico italiano, non raggiungendo mai un ragguardevole consenso di voti, ebbe, invece, sempre grande prestigio intellettuale e i primi due Presidenti della Repubblica Italiana: Enrico De Nicola e Luigi Einaudi.

A causa dell'eterogeneità politica di chi concepisce l'antifascismo tra i propri principi, nella storia si sono verificati tensioni o scontri tra le diverse anime del movimento.

Nell'immediato primo dopoguerra non compaiono divisioni di rilievo tra gli antifascisti.[senza fonte] Avviene invece una divisione fra gruppi di matrice comunista e libertaria a livelli di impostazione teorica ma, se a livello strategico questo portò a una disorganizzazione militare delle formazioni antifasciste[senza fonte], a livello tattico la collaborazione permaneva al di là dei dissidi ideologici. Da parte sua l'Internazionale, in contrasto con la linea del PCdI, spingeva per un ingresso della squadre militarizzate comuniste nel fronte unito Arditi del Popolo, con lo scopo di conquistare la direzione del movimento.[senza fonte]

Lo spirito collaborativo tattico fra le varie frange delle formazioni di difesa proletaria, nel periodo, traspare dall'intervista a Francesco Leone, comunista e uno dei principali capi degli Arditi del Popolo di Vercelli, comandante partigiano di importanza nazionale, dichiarato Padre Costituente[4], sindacalista e organizzatore delle lotte di emancipazione nel settore risiero. In tale intervista egli racconta che una squadra di anarchici operai coprì i suoi movimenti dopo la partecipazione a un'azione durissima contro i fascisti e a sua insaputa era stato identificato. La squadra anarchica lo seguiva di notte quando rincasava per proteggergli le spalle[5], per cui la situazione espressa precedentemente è collegabile all'ascesa e all'instaurarsi dello stalinismo.[senza fonte]

Opposizione al regime (1924-1945)[modifica | modifica wikitesto]

«Noi rivolgiamo gli occhi alle immagini degli uomini del Risorgimento, di coloro che per l'Italia operarono, patirono e morirono; e ci sembra di vederli offesi e turbati in volto alle parole che si pronunziano e agli atti che si compiono dai nostri avversari, e gravi e ammonitori a noi perché teniamo salda la loro bandiera.»

In vista delle elezioni politiche italiane del 1924, Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (legge Acerbo) che avrebbe dato i due terzi dei seggi alla lista che avesse ottenuto la maggioranza con almeno il 25% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. La Lista Nazionale guidata da Mussolini ottenne la maggioranza assoluta, con il 64,9% dei voti. Le elezioni politiche del 1924, come ha scritto lo storico e senatore comunista Francesco Renda, furono comunque "la prima e ultima legittimazione costituzionale del fascismo".[6]

Giacomo Matteotti

Il 30 maggio 1924, il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la parola alla Camera contestando i risultati delle elezioni.[7] Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso dagli squadristi. L'opposizione rispose a questo avvenimento ritirandosi sull'Aventino (Secessione aventiniana), ma la posizione di Mussolini tenne fino a quando il 16 agosto il corpo decomposto di Matteotti fu ritrovato nei pressi di Roma. Uomini come Ivanoe Bonomi, Antonio Salandra e Vittorio Emanuele Orlando esercitarono allora pressioni sul re affinché Mussolini fosse destituito, Giovanni Amendola gli prospettò scenari inquietanti, ma Vittorio Emanuele III appellandosi allo Statuto Albertino replicò: «Io sono sordo e cieco. I miei occhi e le mie orecchie sono il Senato e la Camera»[8] e quindi non intervenne.

Ciò che accadde esattamente la notte di San Silvestro del 1924 non sarà forse mai accertato; secondo la ricostruzione maggiormente condivisa, compiuta da Renzo De Felice[9], una quarantina di consoli della Milizia, guidati da Enzo Galbiati, ingiunsero a Mussolini di instaurare la dittatura minacciando di rovesciarlo in caso contrario.

Il 3 gennaio 1925, alla Camera, Mussolini recitò il famoso discorso in cui si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti, che preludeva all'avvento della dittatura.[10][11]

Nel maggio 1925, una serie di intellettuali pubblicarono il Manifesto degli intellettuali antifascisti sui quotidiani Il Mondo e Il Popolo.

Il 26 gennaio, nel suo primo e unico intervento da deputato, Gramsci denunciò la doppia componente del fascismo, quella piccolo-borghese alleata e sponsorizzata dall'altra dei grandi proprietari terrieri e industriali[12], e ironizzò pesantemente sull'ex alleato di partito, rievocando il suo passato socialista.[13]

Nel biennio 1925-1926, vennero emanati una serie di provvedimenti liberticidi: vennero infatti sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e il 1º febbraio 1927 fu istituito il Tribunale speciale con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime.

La legge 24 dicembre 1925, n. 2263 cambiò le caratteristiche dello stato liberale: Benito Mussolini cessò di essere presidente del Consiglio, cioè primus inter pares tra i ministri e diventò primo ministro segretario di Stato, nominato dal re e responsabile di fronte a lui e non più al Parlamento; a loro volta i vari ministri furono nominati dal re su proposta del primo ministro e responsabili sia di fronte al re sia di fronte al primo ministro. Inoltre la legge stabilì che nessun progetto potrà essere discusso dal Parlamento senza l'approvazione del primo ministro.

Il 4 febbraio 1926, i sindaci elettivi vennero sostituiti da podestà nominati con regio decreto, mentre gli organi elettivi quali consigli e giunte vennero sostituiti da consulte comunali di nomina prefettizia. La legge 25 novembre 1926, n. 2008 (Provvedimenti per la difesa dello Stato), una delle cosiddette "leggi fascistissime", vietò il ricostituirsi di organizzazioni o partiti disciolti per ragioni di ordine pubblico, anche all'estero, vietò la propaganda contraria al prestigio nazionale e inoltre istituì il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, con lo scopo di reprimere l’opposizione contro lo stato fascista, ovvero tutti i fenomeni antifascisti. Tra le pene previste per gli oppositori dello Stato, questa legge ammetteva la pena di morte[14], reintroducendola così nell'ordinamento italiano dopo la sua abolizione del 1889.

Il 16 marzo 1928, la Camera dei deputati venne chiamata a votare il criterio per il rinnovo della rappresentanza nazionale. Il criterio previde una lista unica di 400 candidati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo su proposta dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro nonché da altre associazioni riconosciute. Gli elettori approveranno o meno tale lista. La riforma passò, quasi senza discussioni, con 216 sì e 15 no. Giolitti fu uno dei pochi a protestare, ma venne messo subito a tacere da Mussolini con la frase: «Verremo da lei a imparare come si fanno le elezioni». Al Senato del Regno le proteste furono leggermente più animate, ma la legge passò con 161 favorevoli e 46 contrari. L'8 dicembre si chiuse così la 28ª legislatura.

Il 24 marzo 1929, il popolo italiano venne chiamato a votare la lista di deputati proposta dal Gran Consiglio del Fascismo: otto milioni e mezzo voterà sì, soltanto 136.000 voterà no, la percentuale dei votanti è dell'89,6%.

Gli antifascisti si riunirono in gran parte nella Concentrazione antifascista di Parigi, oltre che intorno a Benedetto Croce, che scrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti.

Mussolini subirà alcuni attentati, ma riuscirà sempre a sopravvivere.

Repressione del dissenso durante il governo fascista[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Repressione del dissenso nell'Italia fascista.

Repressione dell'opposizione politica[modifica | modifica wikitesto]

Il nuovo codice penale di Alfredo Rocco, redatto nel 1930[15], ampliò e inasprì le pene contro la personalità dello Stato[16], pertanto l'antifascismo divenne reato. Il codice Rocco incluse, come anticipato dalla legge del 1926, anche la pena di morte contro i reati per i delitti politici, oltre che per i delitti comuni[17]. Ottenuto così il controllo dell'apparato statale, il Partito Nazionale Fascista iniziò a usare le forze di polizia per reprimere l'antifascismo. La repressione dell'antifascismo veniva operata da più apparati: da un lato l'OVRA e la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, corpi creati dal fascismo, dall'altro la polizia e i carabinieri. Secondo quanto affermato da Luigi Federzoni in un discorso alla camera il numero di uomini nelle forze di polizia ascese rapidamente a 100.000 uomini.[18]

La repressione dell'antifascismo raggiunse l'apice della sua ferocia durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana, in concomitanza con la durezza dell'occupazione militare tedesca[senza fonte].

Repressione delle voci dissonanti alla politica economica[modifica | modifica wikitesto]

Il fascismo represse anche attività sgradite al governo. Un caso notevole riguardò uno dei maggiori esponenti dell'imprenditoria industriale degli anni venti, il torinese Riccardo Gualino che criticò la politica economica fascista di rivalutazione della Lira sul dollaro (legge Quota 90 del 1927) inviando una lettera a Mussolini in qualità di portavoce del settore tessile: Mussolini non gradì[19]. Nel luglio 1931 Gualino venne infine condannato a cinque anni di confino a Lipari, ufficialmente a causa della sua esposizione finanziaria eccessiva con una banca francese in bancarotta e per avere pertanto leso l'immagine del regime. Gualino ne uscì finanziariamente distrutto[20].

Efficacia della repressione[modifica | modifica wikitesto]

La repressione contro l'opposizione al governo fascista si intensificò a partire dal 1926, cioè alla sua codificazione legislativa. Oltre all'uso di strumenti giuridici punitivi, il governo si avvalse della prevenzione del dissenso tramite controllo territoriale tramite i ras locali, che utilizzarono in modo efficace anche l'introduzione di informatori nei gruppi di opposizione politica (ad esempio nelle sezioni locali dei diversi partiti di opposizione) e la cooptazione di informatori (come lo scrittore Ignazio Silone)[21]. Anche la corrispondenza degli antifascisti era sottoposta a un rigido monitoraggio[22]. Tutte queste azioni furono efficaci nello spegnere le voci di opposizione nel biennio 1926-27, che tuttavia ripresero gradualmente nel corso degli anni trenta, fino ad essere pubblicamente più forti da metà 1937, ovvero con il coinvolgimento italiano nella Guerra di Spagna[22].

Eterogeneità dell'antifascismo durante il regime (1921-1943)[modifica | modifica wikitesto]

Il fenomeno delle opposizioni al regime durò per tutto il periodo del suo governo, e fu trasversale alle diverse componenti politiche della società: azionista, socialista, liberale, repubblicana, comunista, anarchica, cattolica. Ciascuna di queste componenti si scontrò con la repressione attuata dal fascismo nei confronti degli oppositori politici.

In seguito alla persecuzione degli oppositori del fascismo, diversi politici di riferimento dell'antifascismo presero la strada dell'esilio, soprattutto nel biennio 1925-26 a seguito dell'emanazione delle "leggi fascistissime". Nel 1923 il liberale Francesco Saverio Nitti, ex presidente del consiglio, fu il primo di tanti esuli antifascisti, a cui si aggiunsero in seguito Gaetano Salvemini, Luigi Sturzo, Piero Gobetti, Giuseppe Donati, Filippo Turati, Arturo Labriola. Gli oppositori al regime rimasti in Italia venivano dissuasi in vario modo: ad esempio, nel 1928, il commesso postale Luigi Maresca scrisse una semplice lettera di ammirazione a Nitti, dopo la cui intercettazione seguì il licenziamento in tronco[23].

Il poeta Lauro De Bosis fondò l'Alleanza Nazionale per la Libertà, gruppo antifascista che escludeva però i comunisti. De Bosis morì nella caduta in mare del suo aereo, dopo aver lanciato manifesti antifascisti su Roma nel 1931

Un altro gruppo di antifascisti erano gli Arditi del Popolo, come ad esempio il giornalista Ezio Murolo, seguace di D'Annunzio e che partecipò alla nascita stessa degli Arditi. Si oppose al regime con continuità a partire dagli scontri violenti con gli squadristi nel 1921, fino alla condanna al confino: parteciperà infine alle Quattro giornate di Napoli[24].

Tra gli antifascisti vi furono anche i socialisti: ad esempio, l'ex amico di Mussolini Giuseppe Aragno, titolare storico del Caffè Aragno di Roma, subito dopo il delitto Matteotti manifestò aperta ostilità al regime fascista e infine lasciò Roma, finendo i suoi giorni negli Stati Uniti[25].

Un gruppo di antifascisti italiani di diverso orientamento dette vita, durante il loro esilio a Parigi, alla "Concentrazione antifascista" a partire dal 1927.

Nell'agosto 1931 trovò applicazione l'obbligo di adesione al fascismo dei docenti universitari con regio decreto legge 28 agosto 1931 n. 1227: rifiutò l'adesione solo una piccola minoranza, solo 12 su oltre milleduecento, tuttavia significativamente eterogenea come provenienza sociale e orientamento politico dei singoli[26].

Si verificarono anche omicidi contro i sovversivi residenti all'estero per conto del governo fascista. Ben conosciuto è quello di Carlo Rosselli, assassinato nel giugno 1937 con il fratello Nello dal gruppo di estrema destra della Cagoule (è invece una leggenda infondata che del gruppo facesse parte anche François Mitterrand prima di passare all'antifascismo militante).[27] Probabilmente l'omicidio venne ordinato dai servizi segreti fascisti o da Galeazzo Ciano, potente gerarca nonché genero di Mussolini[28].

A partire dall'estate del 1937, dopo l'uccisione dei fratelli Rosselli, si manifesta una crescente insofferenza contro l'intervento militare in Spagna ed è attestato un diffuso malcontento contro il governo fascista, testimoniato da comunicazioni pubbliche e private apertamente critiche contro il regime da parte di diversi settori della società, come operai, tranvieri, ma in alcuni casi perfino di militari[29]. Inoltre, avvennero alcuni arresti per celebrazioni pubbliche inneggianti vittorie repubblicane o comuniste in Spagna.

Nel settembre 1943, le Quattro giornate di Napoli furono uno dei primi episodi rilevanti della Resistenza: esse videro la collaborazione di antifascisti dei diversi orientamenti.

Antifascismo azionista[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Partito d'Azione.

Antifascismo comunista[modifica | modifica wikitesto]

Nel gennaio 1921 nacque a Livorno il Partito Comunista d'Italia, in occasione del I Congresso del Partito Comunista d'Italia.

Nel periodo 1920-1921 nacquero altri due gruppi di ispirazione comunista:

L'opposizione comunista rappresentava una spina nel fianco del regime, perché sostenuta dall'Unione Sovietica e particolarmente tenace. Dopo un anno e mezzo dall'istituzione del Tribunale speciale, il regime aveva incriminato la maggior parte della dirigenza del partito comunista, perfino retroattivamente per fatti compiuti prima dell'entrata in funzione dell'organo[30].

Antifascismo socialista[modifica | modifica wikitesto]

Nel partito socialista (PSI) avvennero ben due scissioni nel biennio 1921-1922:

Nel settembre 1921 il socialista Giuseppe Di Vagno è la prima vittima di omicidio da parte di gruppi fascisti. Nel 1925 Pietro Nenni mise in guardia i socialisti dal non sottovalutare la pericolosità del fascismo e sostenne la necessità di riunire i partiti socialisti per fare fronte comune contro il nascente regime, ma trovò l'opposizione da parte della dirigenza del partito: pertanto, Nenni rassegnò le dimissioni dalla dirigenza PSI nel dicembre 1925 e dalla direzione dell' "Avanti!" nel gennaio 1926.

Il PSU di Filippo Turati fu il primo partito sciolto d'imperio dal regime, il 14 novembre 1925, a causa del fallito attentato a Mussolini da parte del suo iscritto Tito Zaniboni, avvenuto il 4 novembre precedente. Zaniboni era stato a sua volta motivato dal delitto di Giacomo Matteotti, segretario del PSU, ad opera di squadristi nell'ottobre 1924. Il 21 novembre 1926 Turati stesso prese la via dell'esilio su incentivo di Carlo Rosselli, nonostante la sua abitazione fosse sorvegliata a vista dalla polizia; per una parte del tragitto l'auto è guidata dall'imprenditore Adriano Olivetti. A metà del 1927 quasi tutto lo stato maggiore socialista è all'estero[31]; poco prima, in ottobre, era andato in esilio anche uno dei più autorevoli sindacalisti, il socialista Bruno Buozzi, anch'egli aderente al PSU.

Nel 1929 si formò tra gli esuli antifascisti il movimento liberal-socialista Giustizia e Libertà, tra cui emerse Carlo Rosselli come leader.

Nel 1936 lo stesso Carlo Rosselli ritenne le tensioni in Spagna essere più significative del mero livello nazionale: Rosselli fu fautore dell'intervento e intervenne costituendo una "colonna italiana", mentre il "battaglione Garibaldi", costituito anche da forze repubblicane e comuniste, contrastò con successo le truppe inviate da Mussolini in novembre, dando prova dell'efficacia di azioni concrete[31].

Antifascismo liberale[modifica | modifica wikitesto]

Il giovane ideologo liberale Piero Gobetti, fondatore de La Rivoluzione liberale, dopo diverse aggressioni subite da gruppi fascisti morì nel 1926 sulla via dell'esilio per Parigi.

Il giornalista e deputato liberale Giovanni Amendola fu vittima di aggressioni di squadre fasciste a più riprese, fin dal 1923: propose pertanto a Benedetto Croce di redigere un manifesto dell'antifascismo, pubblicato nel 1925. Amendola morì nel 1926 a causa delle ferite riportate in un'aggressione in Toscana ad opera di squadristi.

Capofila dell'antifascismo liberale fu proprio Benedetto Croce, già autore del Manifesto degli intellettuali antifascisti nel 1925. Nel 1938 pubblicò La storia come pensiero e come azione, inno al dovere morale degli intellettuali nei confronti della libertà.

Antifascismo cattolico[modifica | modifica wikitesto]

Il rapporto tra fascismo e cattolicesimo è stato contrastato.[32] Il fascismo si è presentato sin dalla sua nascita come movimento nettamente anticattolico, sia ideologicamente (ad esempio, nello spregio della pace e dei socialmente più deboli[33][34]) che nelle violenze attuate dai gruppi fascisti (ad esempio l'uccisione di Don Minzoni nel 1923), per cui fin dall'inizio si configurò anche un antifascismo di tipo cattolico, guidato principalmente da Don Sturzo. Dopo la salita al potere, Mussolini cambiò radicalmente posizione e cercò un dialogo con la Chiesa[35], sempre più assecondato dalle alte gerarchie, le quali si assestarono su posizioni "lealiste" allo stato: l'antifascismo cattolico pertanto si indebolì e tanti componenti emigrarono come pure lo stesso Sturzo, laddove altri tra cui Alcide de Gasperi tennero un basso profilo dopo gli scontri degli anni precedenti.

La ratifica dei Patti Lateranensi nel 1929 portò anche formalmente ad una distensione con il cattolicesimo, che però non eliminò i contrasti. Infatti, già nel 1931 vi fu la maggiore crisi tra Chiesa e Stato Italiano dal 1870[36]: il gruppo dell'Azione Cattolica, pur riconosciuto dal Concordato, presentandosi come "sociale" fu accusato di costituire in realtà un gruppo di natura politico-sindacale, contravvenendo il divieto dell'associazionismo politico non fascista, per cui venne vietato insieme a tutte le altre organizzazioni cattoliche[37]. A questo fatto, il papa Pio XI rispose duramente con l'enciclica Non Abbiamo Bisogno, in cui difese i Patti Lateranensi e la necessità dell'associazionismo cattolico; infine condannò nettamente il fascismo, definendolo "una vera e propria statolatria pagana"[38].

Questo scontro non portò tuttavia alla rottura con il fascismo, per cui le due istituzioni continuarono ad affiancarsi pur in modo più o meno contrastato, e ambiguo per alcuni aspetti, che portarono i cattolici ad atteggiamenti differenti.[32] Ad esempio, nel maggio 1938 Filippo Andrea VI Doria Pamphili, cattolico ed esponente di una antica famiglia romana, rifiutò di ricevere Hitler nel suo palazzo e nel 1939 scrisse al re chiedendo di evitare la guerra, venendo pertanto condannato al confino. Alcuni cattolici protessero o curarono degli ebrei andando contro le Leggi razziali fasciste, come il medico Emanuele Stablum. Dopo il 1943, vi furono anche i cattolici tra i partecipanti o sostenitori della Resistenza, come ad esempio i presbiteri Giuseppe Morosini, Pasquino Borghi e Primo Mazzolari, o il militare laico cattolico Aldo Gastaldi (nome da battaglia "Bisagno").

Antifascismo repubblicano[modifica | modifica wikitesto]

Il Partito Repubblicano era ostile alla Monarchia e fautore della Repubblica. Nel 1923 venne fondata l'Associazione di reduci Italia libera su iniziativa del repubblicano Randolfo Pacciardi in opposizione alla Associazione Nazionale Combattenti. Come altri partiti antifascisti tentò di riorganizzarsi all'estero, ma faticò ugualmente a trovare una propria linea comune di lotta al Fascismo. Infatti fin dal 1927 si era spaccato tra quanti, come Fernando Schiavetti, sostenevano la necessità di un'alleanza con i socialisti, laddove altri, come Giovanni Conti, promuovevano un'alleanza di tipo interclassista di impronta mazziniana, fermamente contraria all'idea della lotta di classe[21].

Antifascismo anarchico[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Attentati a Benito Mussolini.

I movimenti anarchici, pur non numerosi, ebbero risonanza in diversi attentati a Mussolini, in particolare quello di Gino Lucetti nel settembre 1926, quello di Michele Schirru nel 1931 (rimasto solo una intenzione, ma Schirru fu ugualmente punito tramite fucilazione) e di Angelo Pellegrino Sbardellotto nel 1932.

L'anarchico Camillo Berneri, esule nel 1926, morì nel 1937 nella guerra di Spagna, in uno scontro intestino alle forze antifasciste.

Gruppi di oppositori non collegati a partiti e ideologie politiche[modifica | modifica wikitesto]

Vi furono gruppi sociali e religiosi che, seppur non antifascisti militanti in generale, erano considerati in Italia intrinsecamente nemici dai fascisti o avevano regole di vita del tutto incompatibili col fascismo e quindi, per quest'ultimo, si trovarono oggettivamente nella stessa (o peggiore) posizione degli antifascisti, come gli Ebrei. Sono inoltre testimoniati episodi in cui zingari aiutarono i partigiani:

«Ma mio padre arrivato a Domegliara è riuscito a scendere e a portare con sé mia madre e i miei fratelli ed è rimasto sulle montagne assieme ai partigiani fino alla fine della guerra. Assisteva i partigiani e le mie sorelle più grandi medicavano i partigiani.»

Tra gli oppositori non per motivi politici vanno considerati anche i Testimoni di Geova e gli omosessuali. Sul caso di questi ultimi la situazione è ben illustrata anche se in modo romanzato nel film Una giornata particolare con Marcello Mastroianni e Sophia Loren.

Gruppi antifascisti italiani alla Guerra di Spagna[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1936 i primi gruppi di volontari antifascisti italiani, su iniziativa principalmente di Camillo Berneri e Carlo Rosselli, partirono per Barcellona e costituirono la Colonna Ascaso, anticipando le Brigate Internazionali.[40]

Conflitti intestini all'antifascismo durante gli anni trenta[modifica | modifica wikitesto]

Con la completa presa del potere da parte di Stalin e, soprattutto, con la guerra di Spagna si verificò una frattura cruenta all'interno del movimento antifascista italiano e internazionale tra la frangia stalinista e quella libertaria degli anarco-comunisti e degli azionisti di Giustizia e Libertà. Personaggi simbolo di questa frattura furono Camillo Berneri, Andreu Nin e Pietro Tresso. In tale situazione forti personalità quali Vittorio Vidali, combattente di osservanza moscovita e forse legato ai servizi segreti di Stalin, e Pietro Tresso, contrario invece alla linea stalinista, si trovarono su due sponde opposte della comune lotta antifascista. L'evento emblematico di tale conflitto è indicato con il nome "Giornate di maggio".

Lapide dedicata a Carlo e Nello Rosselli, dettata da Piero Calamandrei, via Giuseppe Giusti, Firenze

La frattura, che si ricomponeva contro i fascisti, perdurò durante la Resistenza. La vicenda che rese più evidente la situazione fu quella di Emilio Canzi, nome di battaglia "Ezio Franchi", comandante unico della XIII zona operativa dell'Appennino Tosco Emiliano e soprannominato il "colonnello anarchico", che subì anche un breve arresto da parte della frangia stalinista, nettamente maggioritaria fra i comunisti della Resistenza italiana (eccezion fatta per alcune brigate come Bandiera Rossa o anarchiche come la Errico Malatesta-Bruzzi[41] di Milano, radicate sul territorio ma non a valenza nazionale). Emilio Canzi poté ritornare al suo posto di comando proprio grazie all'appoggio dell'ala azionista.

Vi furono inoltre alcuni tradimenti, omicidi e spaccature provocate dai servizi segreti fascisti o da personaggi, per amore o per forza cooptati dai servizi stessi, come nel caso di Vittorio Ambrosini e analoghi.[senza fonte]

Recentemente alcuni storici, come Mauro Canali e Mimmo Franzinelli (accreditati di veridicità delle loro ricostruzioni storiche presso il SISDE[senza fonte]), hanno approfondito il periodo in questione. Franzinelli in particolare segue il filone che afferma l'incapacità della dirigenza antifascista postresistenziale di perseguire mandanti ed esecutori di delitti, del "fuoriuscitismo" e dei crimini di guerra, presentando come esempio principale quello dell'omicidio dei fratelli Rosselli, attraversato secondo lo storico da intrecci di magistratura e politica che non portano a condanne.

Altra vicenda è quella di Carlo Tresca, editore del Martello e assassinato sia in quanto avversario del fascismo e della mafia sia per aver tentato di spaccare il fronte antifascista negli USA, ripresa in un libro di Mauro Canali.[42]. La colpa venne addebitata a Vittorio Vidali e stalinista, mentre il mandante presumibilmente dagli ultimi atti desecretati e citati dall'autore fu Vito Genovese, boss mafioso, su incarico del regime fascista. Vito Genovese, a metà degli anni '30, si rifugiò in Italia a causa di un mandato di cattura per omicidio: da opportunista, prima appoggiò il fascismo (costruendo a proprie spese la casa del fascio di Nola, cosa che traspare anche in un interrogatorio della moglie ma la vicenda giudiziaria è stata riaperta) poi (1943) divenne interprete ufficiale del colonnello americano Charles Poletti durante lo sbarco degli alleati in Sicilia.

Antifascismo ed ebrei[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Fascismo e questione ebraica.
Monumento ai soldati ebrei morti nella seconda guerra mondiale per combattere nazismo e fascismo (Ashkelon, Israele)

I rapporti del fascismo con gli ebrei non furono sempre di persecuzione: fino a metà degli anni trenta, infatti, furono diverse le personalità di origine ebraica che ebbero ruoli di primo piano nel regime.[43]. Gli ebrei iscritti al PNF nel 1938 erano poco meno di un terzo del totale degli ebrei italiani[44], mentre gli ebrei nel loro complesso risultavano il gruppo sociale più istruito[dove viene detto?][45]. L'adesione al fascismo, tuttavia, interessò soprattutto i ceti ebrei abbienti[senza fonte].

Viceversa, il contributo all'antifascismo da parte degli ebrei, specialmente a sinistra, fu numericamente rilevante e contò esponenti quali Umberto Terracini, Carlo Rosselli, Pio Donati. Durante la resistenza ebrei italiani combatterono nelle brigate partigiane, soprattutto garibaldine e di Giustizia e Libertà (azioniste), come nel caso di Raffaele Cantoni, senza costituire formazioni autonome: la Brigata Ebraica, attiva in Emilia-Romagna, era una formazione regolare dell'esercito inglese e raccoglieva principalmente militi non italiani. Fra comandanti partigiani ricordiamo Eugenio Calò, Isacco Nahoum, detto Milan[46] e Isacco Levi.[47]

Antifascismo e militari[modifica | modifica wikitesto]

Il Fascismo e i suoi capi politici non sempre erano ben visti dagli esponenti del Regio Esercito, il quale rispondeva direttamente al Re e al quale aveva giurato fedeltà. Il Re poteva infatti contare sul solo controllo dell'esercito per preservare il proprio potere continuamente eroso dal fascismo.[48] Non vi fu, inizialmente, una forte opposizione al fascismo: tuttavia, è documentata, a partire dagli anni trenta, una crescente insofferenza al fascismo anche da parte di ufficiali su diverse questioni.[22] L'esercito regio ebbe poi un ruolo durante la Resistenza, dove alcuni reparti operarono come forze cobelligeranti agli alleati contro il nazifascismo: nel marzo 1944 questi reparti vennero inquadrati nel Corpo Italiano di Liberazione.

A Roma, dopo l'8 settembre 1943 si venne a formare il Fronte militare clandestino su iniziativa di alcuni ufficiali (Antonio Sorice, con guida del colonnello di stato maggiore Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo), in collegamento con le forze armate del Regno del Sud, dove il Re aveva posto la sua sede in Brindisi.

Nel nord, dopo la proclamazione della Repubblica Sociale Italiana il 23 settembre 1943, avvenne la deportazione in Germania di oltre 600 mila militari italiani proprio in quanto fedeli all'autorità regia e non a quella della RSI e di Mussolini[49][50] (un esempio ne è lo scrittore Giovannino Guareschi): questi vengono indicati con l'espressione "internati militari italiani". In questo contesto, nel nord alcuni militari si unirono alle bande partigiane, come Felice Cordero di Pamparato.

Dall'8 settembre 1943 al 1945: la Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Resistenza italiana.

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l'armistizio di Cassabile dell'8 settembre 1943, la situazione politica si differenziò tra la Repubblica Sociale Italiana, istituita al Nord con capitale Salò, e il resto d'Italia, sotto il cosiddetto Regno del Sud con capitale Brindisi. La nascita della Repubblica detta anche di Salò vide improvvisamente il venir meno della rappresentanza dei militari nel Re come capo dell'esercito in quell'area: pertanto, i militari che non riconobbero il nuovo stato presieduto da Mussolini divennero internati militari preda dei comandi tedeschi, con conseguente deportazione nei campi di prigionia tedeschi per i militari ribelli al nuovo ordine statale. Un altro tipo di opposizione fu quella dei partigiani in forma clandestina al di fuori dell'esercito, tipicamente sulle aree di montagna. A Roma si formò il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) per creare un'opposizione allo repubblica a guida nazifascista del Nord. Al sud il regio esercito si oppose pertanto alla presenza tedesca e agì come forza cobelligerante degli Alleati intervenuti nel conflitto (indicato anche come Esercito Cobelligerante Italiano).

Convergenza dell'antifascismo nella Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

Durante la Resistenza confluirono nell'antifascismo tre categorie[51]:

  • i differenti gruppi antifascisti del periodo precedente;
  • giovani cresciuti sotto il regime fascista;
  • ex-fascisti che hanno ripudiato il fascismo.

Come in precedenza, anche durante la Resistenza vi furono antifascisti non di sinistra: ad esempio, il capo partigiano genovese Aldo Gastaldi, popolare con tendenze monarchiche, legato a Paolo Emilio Taviani o formazioni sostanzialmente apolitiche, come la Brigata Partigiana Stella Rossa del comandante Mario Musolesi e la Piccola Banda di Ariano di Gianluca Spinola, che si distinsero anche per efficienza militare. Caso molto singolare poiché al tempo era anche "avanguardia" e "ariete" della brigata partigiana comunista di Spartaco Lavagnini.

Bandiera del Comitato di Liberazione Nazionale
(19431945)

In generale la condanna dell'ideologia nazista da parte del mondo cattolico è netta, come si evince dall'enciclica Mit brennender Sorge (peraltro critica che si appunta, più che sulla natura totalitaria del nazismo, sulla sua irreligiosità e sulle politiche razziali, laddove gli ambienti cattolici tedeschi propendevano storicamente per un razzismo basato sulla limitazione delle libertà civili piuttosto che su una precisa politica persecutoria). Per quanto concerne la posizione nei confronti del fascismo italiano, la posizione non può dirsi altrettanto definita (si ricordi il sostegno dato dai religiosi al nascente fascismo in chiave anti comunista). Solamente in seguito, con il progressivo scalzamento operato dal fascismo nell'educazione dei giovani ai danni del mondo cattolico (nonostante le garanzie presenti nei patti lateranensi) cominciarono a formarsi gruppi di dissenso ad esso. Importante fu la presenza di partigiani di ispirazione cattolica nella resistenza italiana, come ad esempio nelle Brigata Osoppo e Fiamme Verdi, oltre numerosi combattenti non comunisti delle Brigate Garibaldi, nate su specifica indicazione del PCI. A questo proposito si ricorda il legame fra Paolo Emilio Taviani e Aldo Gastaldi. Furono moltissimi anche i preti partigiani. Questi erano impegnati come cappellani di Brigata, in appoggio logistico nelle retrovie e anche come combattenti. Numerosi di essi vennero barbaramente uccisi dai nazifascisti.[52] Perlopiù gli esponenti religiosi erano incaricati di mediare tra partigiani e repubblicani di Salò. Figure emblematiche furono Giovanni Minzoni, precursore ideale di molti preti partigiani, ucciso nella prima fase dell'ascesa al potere del fascismo; Bartolomeo Ferrari, detto "don Berto" a Genova, cappellano-combattente e biografo della Divisione Mingo); Pietro Pappagallo, prete e partigiano, amico della gente ebraica, trucidato dai nazi-fascisti in una rappresaglia (ricordato nel film Roma città aperta, impersonato da Aldo Fabrizi).

Differenze sociopolitiche tra il primo antifascismo e la Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

L'antifascismo degli anni venti voleva una società più egualitaria, più avanzata socialmente di quella nata dalla Resistenza e i tentativi di strutturazione di Soviet e/o governi libertari locali.[senza fonte]

La Resistenza nacque come moto antifascista spontaneo, spesso su posizioni di classe e con nucleo portante le formazioni della sinistra (le Brigate Garibaldi furono una "filiazione" del Partito Comunista, le Giustizia e Libertà del Partito d'Azione, le Brigate Matteotti del Partito Socialista). In questa fase l'antifascismo fu tuttavia gestito strategicamente dalle classi dirigenti che, prefigurando la sconfitta bellica e la fine del fascismo, agirono in vista della strutturazione della società del dopoguerra, quando vi fu un'ampia convergenza dei movimenti antifascisti con il neonato Partito Comunista Italiano (PCI). Il suo vincolo agli equilibri geopolitici nati dalla suddivisione del mondo nei due blocchi filoamericano e sovietico, entrò in contrasto con la formazione di una struttura sociale più progressista di quella italiana.[senza fonte]

Dopo il 1945[modifica | modifica wikitesto]

La mancata defascistizzazione della pubblica amministrazione[modifica | modifica wikitesto]

Già sin dal periodo del Governo Badoglio del 1943 si pose il difficile problema della defascistizzazione della pubblica amministrazione. La defascistizzazione risultò in gran parte inattuata e di fatto inefficace per mancanza di volontà politica[53]. Infatti, gli elementi antifascisti nella pubblica amministrazione, quando presenti, erano stati di volta in volta allontanati nel corso della durata del regime. All'indomani della guerra civile della fine della guerra, la memoria comune nazionale non era ancora pacificata.

L'amnistia Togliatti[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Amnistia Togliatti.

L'amnistia Togliatti fu un provvedimento di condono delle pene proposto dall'allora Ministro di grazia e giustizia Palmiro Togliatti, comprende i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi. Lo scopo esplicito era la pacificazione nazionale dopo gli anni della guerra civile. Vi furono comunque polemiche sulla sua estensione, e il 2 luglio 1946 Togliatti con l'emanazione della circolare n. 9796/110, raccomandò interpretazioni restrittive nella concessione del beneficio.

Il secondo dopoguerra e l'antifascismo in Italia[modifica | modifica wikitesto]

Manifestazione antifascista nell'Italia del secondo dopoguerra

Nei giorni che precedettero la fine della seconda guerra mondiale, il numero di partigiani o comunque di uomini che presero le armi crebbe molto rapidamente, si passò infatti da circa 70 000 uomini a 300 000.[54] Finita la guerra in molti chiesero l'integrazione di tutti i reparti partigiani (o di quelli militarmente più validi) nell'esercito regolare,[senza fonte] prevalse invece la linea del disarmo eseguito fra molti contrasti sotto la direzione del Ministro dell'interno Mario Scelba.

Nel frattempo l'Italia, soprattutto al nord, divenne teatro di violenze generalizzate: da un lato ebbero luogo vendette sia politiche che personali che portarono all'omicidio di decine di migliaia di fascisti e non[senza fonte], dall'altro la liquidazione e il disarmo del movimento partigiano attuata dal governo. Le stime delle vittime delle violenze del periodo si stimano, secondo uno studio di Giorgio Bocca, in 3000 persone a Milano e fra le 12 e le 15 000 in tutta l'Italia del Nord, altre stime fanno ascendere questa cifra fino a 50-70 000 persone o addirittura 300.000 uomini, stima quest'ultima, definita come "una fantasiosa esagerazione" in un documento dell'Amministrazione alleata in Italia.[55] Lo smantellamento dell'apparato resistenziale antifascista avvenne in parte: ad esempio, il Partito Comunista Italiano conservò a lungo un apparato paramilitare dormiente, da usare in caso di reazione fascista.[senza fonte]

Le associazioni partigiane[modifica | modifica wikitesto]

A Roma il 6 giugno 1944 fu costituita l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI)[56] da volontari ed ex militari che avevano preso parte alla guerra partigiana nelle regioni del Centro Italia; dopo la Liberazione essa si diffuse in tutto il Paese, compreso il Sud Italia. Alla data del 5 aprile del 1945, anno in cui venne designata come ente morale, l'ANPI comprendeva unitariamente tutti i partigiani italiani ed era retta da un consiglio formato da rappresentanti delle varie formazioni che avevano operato in tempo di guerra.

Tuttavia, già nel primo Congresso nazionale indetto a Roma nel 1947, fra le varie componenti emersero divergenze in ordine a questioni di politica interna ed estera, che comportarono due scissioni:

Con la fine della guerra fredda, cessate le divergenze sulla politica internazionale e interna, ANPI, FIVL e FIAP, hanno iniziato a organizzare manifestazioni e celebrazioni congiunte della Resistenza.[57]

Dopo l'Assemblea Costituente della Repubblica Italiana[modifica | modifica wikitesto]

Tra il 1948 e il 1954, si contano 148.269 fra arresti e fermi per motivi politici, di cui l'80% vicini ad ambienti comunisti con 61.243 condanne a complessivi 20.426 anni di carcere (18 ergastoli). Gli arresti di ex-partigiani nello stesso periodo sono 1.697, mentre si contano almeno 5.104 feriti di cui 350 da armi da fuoco, un numero imprecisato di contusi e 145 morti in scontri in piazza, cui si aggiungono 19 vittime fra le forze dell'ordine[58].

La Costituzione della Repubblica Italiana vieta la riorganizzazione del partito fascista (XII disposizione finale)

Una situazione particolarmente tesa venne raggiunta all'indomani del ferimento dello stesso Palmiro Togliatti per mano di uno studente siciliano, Antonio Pallante: il Paese si trovò sull'orlo della guerra civile[59], con scontri in piazza e assalti contro la polizia. Si contarono 9 morti e 120 feriti fra le forze dell'ordine e 7 morti e 186 feriti fra i civili, secondo cifre fornite dal ministro dell'interno Mario Scelba.[senza fonte]

Parlando di questo periodo storico lo stesso Scelba disse:

«Nel dopoguerra i pericoli per la sicurezza dello stato venivano dalle organizzazioni paramilitari comuniste che non avevano accettato l'ordine emanato dai governi dei Comitati di Liberazione Nazionale per la consegna delle armi, e anzi le custodivano ben oliate e pronte per l'uso.[senza fonte]»

Nello stesso periodo il ministero dell'interno elaborò dei piani per sventare un eventuale tentativo insurrezionale da parte del partito comunista. Il Paese venne diviso in una serie di grosse "circoscrizioni" formate da più province, con alla testa una specie di prefetto regionale, prosegue Scelba dicendo: ” I superprefetti da me designati avrebbero assunto gli interi poteri dello Stato sapendo esattamente, in base a un piano prestabilito, che cosa fare”[60].

L'intera storia recente italiana è stata dominata dal timore che il Partito Comunista Italiano (il più forte come elettorato a ovest della cortina di ferro) potesse andare al potere, negli anni l'Italia fu quindi teatro di uno scontro sotterraneo fra varie forze, in primo luogo i servizi segreti statunitensi e lo stesso KGB sovietico, contrari alla rottura degli equilibri di Jalta che avevano assegnato l'Italia al blocco occidentale[61].

Genova 1960[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Fatti di Genova del 30 giugno 1960.

«La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli. Sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente

A maggio del 1960 il Movimento Sociale Italiano decise di convocare il suo quinto congresso a Genova, la decisione fu giudicata da più parti provocatoria in quanto dalla città, decorata medaglia d'oro della Resistenza, era partita l'insurrezione del 25 aprile. A peggiorare la situazione intervenne la notizia che ai lavori del congresso avrebbe partecipato anche Carlo Emanuele Basile, prefetto della città durante la RSI[62].

Il futuro presidente Sandro Pertini incitò a contrastare il neofascismo durante i fatti di Genova

Il 6 giugno dello stesso anno, i rappresentanti locali del PCI, Partito Radicale, PSDI, PSI e PRI fecero stampare un manifesto dove esprimevano il disprezzo del popolo genovese nei confronti degli eredi del fascismo[63].

Il 25 giugno, durante un corteo di protesta vi furono alcuni incidenti. Il 28 giugno il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, uno dei maggiori protagonisti della Resistenza antifascista e antinazista, manifestò la propria opposizione al congresso, mentre per il 30 giugno la camera del lavoro cittadina indisse uno sciopero generale dalle 14 alle 20. Verso le 17:30 il corteo che accompagnava lo sciopero cominciò a sciogliersi, mentre in piazza De Ferrari iniziò una vera e propria battaglia che si estese rapidamente in via XX Settembre. Il giorno dopo, quando i gestori del teatro Margherita, dove si sarebbe dovuto tenere il congresso, annunciarono che il teatro non era più disponibile, il comitato centrale missino annunciò l'annullamento del congresso.

Nel frattempo vi erano stati scontri anche a Roma e soprattutto a Reggio Emilia, dove si contarono cinque vittime fra i manifestanti antifascisti.

Golpe Borghese[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Golpe Borghese.

Reggio Calabria 1970[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Fatti di Reggio.

Quando nel 1970 venne istituita la regione Calabria, si aprì il dibattito su quale città dovesse divenirne capoluogo. Malgrado Reggio Calabria venisse considerata da molti capoluogo "storico" della regione e fosse la città più popolata, venne scelta Catanzaro perché sede della Corte d'appello. Tutta la classe politica reggina, ad eccezione del Partito comunista, si schierò contro la decisione del governo. All'interno del direttivo, composto da forze trasversali, era presente anche l'esponente del MSI Ciccio Franco.

Nei mesi successivi gli scioperi e le proteste si fecero sempre più violente, mentre il governo Colombo rifiutò qualunque negoziato e inviò forti contingenti militari verso la città. A Reggio Calabria si viveva un clima semi-insurrezionale, con la creazione di "Repubbliche" formate da vie o quartieri che proclamavano la secessione, si susseguivano attentati dinamitardi, culminati nella bomba che il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro fece deragliare il treno "Treno del Sole", Palermo-Torino, provocando 6 morti e 54 feriti (strage di Gioia Tauro).

Secondo le rivelazioni di Giacomo Lauro un pentito della 'ndrangheta, avvenute nel novembre 1993, alcuni esponenti del Comitato d'azione per Reggio Capitale guidato da Franco, avrebbero commissionato[64] alla 'ndrangheta alcune azioni eversive tra cui il deragliamento del treno di Gioia Tauro, avendo ottenuto finanziamenti da alcuni industriali[65]. Le dichiarazioni del pentito provocarono il coinvolgimento di Fortunato Aloi e del senatore Renato Meduri di Alleanza Nazionale[66] ipotizzando un piano preciso per destabilizzare il paese a partire dal sud, dopo l'inizio da nord della Strategia della tensione (vedi paragrafo successivo).

Manifestazione di protesta in Piazza Maggiore a Bologna, durante la celebrazione dei funerali delle 85 vittime della bomba del 2 agosto 1980, di matrice eversiva, per cui furono condannati alcuni militanti neofascisti come esecutori materiali

Tutti i personaggi coinvolti nell'inchiesta furono però prosciolti in fase istruttoria[67] ad eccezione di Lauro stesso che dopo essere stato inizialmente assolto il 27 febbraio 2001 per mancanza di dolo, nel gennaio 2006, fu condannato per concorso anomalo in omicidio plurimo, reato ormai prescritto[68]. Alcuni mesi dopo 5 giovani anarchici morirono in un misterioso incidente stradale che, secondo dichiarazioni di pentiti[69], avrebbe impedito la consegna di dossier riguardanti i rapporti fra neofascisti e rivoltosi.

Gli anni dell'antifascismo militante e gli anni di piombo[modifica | modifica wikitesto]

Per strategia della tensione viene generalmente riferita ad un periodo storico, individuato nell'arco temporale tra la strage di piazza Fontana del dicembre 1969, e la strage della stazione di Bologna del 1980.

Si caratterizzò per la connivenza di elementi ed organizzazioni legate agli apparati più reazionari della società italiana, alla destra eversiva e massonica, ai settori deviati dello Stato e dei servizi di sicurezza i quali, attraverso la soluzione stragista, l'organizzazione di strutture segrete eversive e la progettazione di colpi di Stato, intesero perseguire i loro obiettivi di condizionamento della vita politica italiana.[70]

A questi rigurgiti di neofascismo si contrappose un forte movimento antifascista, sia legale, sia legato a formazioni della sinistra extraparlamentare sia a formazioni terroristiche di estrema sinistra (cfr. teoria degli opposti estremismi).

Il fenomeno del neofascismo[modifica | modifica wikitesto]

Simbolo antifascista moderno

In Italia, il più importante partito politico di destra fu il Movimento sociale italiano. Sebbene costituito principalmente da ex reduci della Repubblica Sociale Italiana e da ex membri del disciolto Partito Nazionale Fascista, il MSI - anche se a più riprese accusato di ricostituzione del Partito Nazionale Fascista - non fu mai disciolto. Infatti anche non rientrando nel cosiddetto Arco costituzionale fu costantemente presente sulla scena politica italiana, già dalle elezioni politiche in Italia del 1948 elesse sei deputati e un senatore, fino alla sua trasformazione in Alleanza Nazionale nel 1994, che ha dato a sua volta vita a molti movimenti di destra non più dichiaratamente neofascisti (anche se molti movimenti di estrema destra permangono nel panorama politico italiano, seppur minoritari: ad esempio Forza Nuova, il Nuovo MSI, il Movimento Sociale Fiamma Tricolore, Fascismo e Libertà, ecc.)

Alla destra del MSI, a partire dagli anni '60 si formarono anche diversi movimenti extraparlamentari, come Terza Posizione, alcuni dei quali passarono al terrorismo nero, come accadde con Avanguardia Nazionale, i Nuclei Armati Rivoluzionari, Ordine Nero e il gruppo Ordine Nuovo (che si rifaceva al disciolto Centro Studi Ordine Nuovo, un partito extraparlamentare nato da alcuni esponenti delle cosiddette "sinistra missina" e "corrente spiritualista"), i quali stimolarono una nuova fase dei movimenti antifascisti. Il movimento Ordine Nuovo e quello di Avanguardia Nazionale ebbero un provvedimento attivo di scioglimento per la violazione della legge Scelba, che recepiva la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana, ossia il divieto di ricostituire il partito fascista sotto qualsiasi forma.

Accuse di fascismo vengono spesso rivolte, dalla sinistra radicale o da altri, a vari atteggiamenti o dichiarazioni di esponenti di partiti ritenuti conservatori o xenofobi.[71]

Antifascismo in Italia oggi[modifica | modifica wikitesto]

Dalla tradizione dei vari movimenti di sinistra radicale, unita all'anarchismo, al movimento no global e quello dei centri sociali autogestiti, è nato negli anni '90 il gruppo di Antifa (Azione Antifascista) in Italia, che talvolta supporta anche iniziative dell'antifascismo storico e istituzionalizzato, come quelle dei gruppi di ex partigiani dell'ANPI. Si oppone inoltre a cortei di estrema destra. Il fenomeno Antifa è inoltre rintracciabile in alcune tifoserie calcistiche. Alcune di queste sono quelle di Caserta, Cosenza, Livorno, Perugia, Pisa, Ternana e Virtus Verona.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Pavone.
  2. ^ Simonetta Fiori, I professori che dissero no a Mussolini, in La Repubblica, 16 aprile 2000. URL consultato il 15 luglio 2020.
  3. ^ Ad esempio, il capitano Arnaldo Ciaramella e il caporale Giuseppe Bonaventura Tomeo (vd. Aragno, p. 20, Alexander Höbel,"L’antifascismo operaio e popolare napoletano negli anni Trenta Dissenso diffuso e strutture organizzate", Ediesse, 2006, p. 237-238).
  4. ^ Elenco riportato dal segretario generale della camera Grisolia: la Costituzione della Repubblica nei lavori preparativi dell'assemblea costituente, Roma 1970, Vol I-VIII
  5. ^ "Vedi, c'era un gruppo di anarchici. Qui c'era stato Luigi Galleani, che era stato in America e per un certo periodo poi era stato anche qui. Anzi, io credo che questo gruppo di anarchici si chiamasse il gruppo Galleani. E questo gruppo era composto da elementi molto decisi, molto decisi. Ricordo, per esempio, dopo quella lotta lì con i fascisti, io son sempre uscito tutte le sere, nonostante che ci fossero sempre scontri, una volta mi hanno anche sparato da un viale: a pochi metri di distanza non m'hanno preso. Ebbene, questi anarchici, a mia insaputa, dopo questo atto, si distribuivano la notte nei giardini proprio a mia difesa, senza che io neanche lo sapessi", intervista rilasciata a Cesare Birmani storico e studioso antifascismo Archiviato il 17 maggio 2008 in Internet Archive.
  6. ^ Francesco Renda, Storia della Sicilia, III, Sellerio, 2003, p. 1176.
  7. ^ Testo del discorso su Wikisource
  8. ^ Fonte: Luciano Regolo, Il re signore: tutto il racconto della vita di Umberto di Savoia, Simonelli Editore, 1998 - ISBN 88-86792-14-X
  9. ^ Mussolini il fascista. Vol. I: La conquista del potere, 1921-1925, Collana Biblioteca di cultura storica. Einaudi, Torino, 1966.
  10. ^

    «Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.»

  11. ^ Testo del discorso su Wikisource
  12. ^ Simone Neri Serneri (a cura di), 1914-1945. L'Italia nella guerra europea dei trent’anni, Viella Libreria Editrice, 2016.
  13. ^ Luigi Anepeta, La mente pericolosa: Saggio stra-vagante (a partire da Gramsci) sul problema della coscienza critica e del passaggio a un livello di civiltà superiore, Associazione culturale Nilalienum, 2014, p. 30.
  14. ^ Camera dei Deputati, "La legislazione fascista 1922-1928." Roma, Tipografia della Camera dei Deputati (1929).
  15. ^ Entrò in vigore nel 1931.
  16. ^ Sbriccoli, Mario. "Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano." Storia d’Italia 14 (1997): 486-551.
  17. ^ Marinucci, Giorgio, and Emilio Dolcini. Manuale di diritto penale: parte generale. Giuffrè editore, 2012.
  18. ^ Virgilio Ilari, I Carabinieri, Soldiershop Publishing, 2015.
  19. ^ Scarpellini, Emanuela. La stoffa dell'Italia: storia e cultura della moda dal 1945 a oggi. Gius. Laterza & Figli Spa, 2017.
  20. ^ Bonsaver, Guido. Censorship and literature in fascist Italy. University of Toronto Press, 2007.
  21. ^ a b Mancini, 2015.
  22. ^ a b c Aragno.
  23. ^ Aragno, pag. 55.
  24. ^ Aragno, pag. 41-49.
  25. ^ Antonio Tricomi, Antifascismo Popolare 'Un giorno sarà una colpa aver combattuto il regime, su La Repubblica, 13 marzo 2009.
  26. ^ Simonetta Fiori, I professori che dissero no a Mussolini, in La Repubblica, 16 aprile 2000. URL consultato il 24 novembre 2020.
  27. ^ Pierre Péan, Une jeunesse française, François Mitterrand 1934-1947, Fayard 1998, pp. 537-554
  28. ^ Giuseppe Fiori, Casa Rosselli, Einaudi, 1999, pp. 202 e segg.
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  31. ^ a b Alceo Riosa, "Socialismo e valori di libertà", in: La Resistenza italiana, Mondadori, 1975.
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  41. ^ Anarchici e Resistenza: testimonianze su cd commentate da uno storico - Breve sintesi scritta su anarchici e Resistenza
  42. ^ sintesi biografica autore
  43. ^ Per un inquadramento del ruolo degli ebrei durante il regime, si veda: Michele Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista, Feltrinelli, 2007.
  44. ^ Gentile, Saverio. La legalità del male: L'offensiva mussoliniana contro gli ebrei nella prospettiva storico-giuridica (1938-1945). G Giappichelli Editore, 2013.
  45. ^ Giovanni Canzio, Le leggi razziali e il ceto dei giuristi. (PDF), in Diritto Penale Contemporaneo, febbraio 2018, pp. 10-17.
  46. ^ Nahoum Milan, Esperienze di un comandante partigiano, Edizioni La Pietra, Segrate, 1981.
  47. ^ Alessandro Ghisolfi e Isacco Levi, I Levi di via Spielberg, Clavilux editore, 2005. nel testo si fa riferimento anche alle vicende della Valvaraita, dove furono perpetrati numerosi crimini dal battaglione Bassano comandato da Adriano Adami della Divisione Alpina Monterosa battaglione Bassano, che collaborava con i rastrellamenti nazifascisti.
  48. ^ Luigi Goglia, Renato Moro e Fiorenza Fiorentino, Renzo De Felice, studi e testimonianze, Ed. di Storia e Letteratura, 2002, p. 303.
  49. ^ Luca Frigerio, Noi nei lager: testimonianze di militari italiani internati nei campi nazisti (1943-1945), Paoline, 2008, ISBN 9788831533553.
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  52. ^ Dino Messina, Preti morti per la libertà [collegamento interrotto], in Corriere.it, 3 luglio 2008. URL consultato il 14 dicembre 2010.
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  57. ^ Anpi e FIAP depongono fiori al monumento a Bresci
  58. ^ Articolo di Gianni Viola disponibile a questo link
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  60. ^ Antonio Gambino, Storia dell'Italia nel dopoguerra, Laterza, 1975, pp. 473-474.
  61. ^ Giovanni Fasanella, Claudio Sestrieri e Giovanni Pellegrino Segreto di Stato
  62. ^ Nicola Tranfaglia, L'Italia repubblicana in La storia, Mondadori, pag. 307
  63. ^ Indro Montanelli, op. cit., pag. 416
  64. ^ Osservatorio Democratico Archiviato il 22 marzo 2015 in Internet Archive."Giacomo Lauro indicò negli ambienti di Avanguardia Nazionale e del “Comitato d’azione per Reggio capoluogo” gli ispiratori della strage. Accusò Renato Marino, Carmine Dominici, Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e Giovanni Moro, di essere stati “il braccio armato che metteva le bombe e faceva azioni di guerriglia” per conto del “Comitato”, diretto da Ciccio Franco,”".
  65. ^ Osservatorio Democratico Archiviato il 22 marzo 2015 in Internet Archive."Tra i finanziatori indicò il “commendatore Mauro”, “quello del caffè”, e l’imprenditore “Amedeo Matacena”, “quello dei traghetti”. “Davano i soldi” – testimoniò – “per le azioni criminali, per la ricerca delle armi e dell’esplosivo”".
  66. ^ Osservatorio Democratico Archiviato il 22 marzo 2015 in Internet Archive."Nel luglio 1995, per concorso nella strage di Gioia Tauro, furono indagati dalla procura distrettuale di Reggio Calabria, l’armatore Amedeo Matacena, Angelo Calafiore, ex-consigliere provinciale di Reggio Calabria per il Msi- Destra nazionale, l’On. Fortunato Aloi e il senatore Renato Meduri, entrambi di Alleanza nazionale".
  67. ^ Osservatorio Democratico Archiviato il 22 marzo 2015 in Internet Archive."Furono prosciolti tutti in istruttoria".
  68. ^ Osservatorio Democratico Archiviato il 22 marzo 2015 in Internet Archive."Stabilì che il reato di Giacomo Lauro fu di concorso anomalo in omicidio plurimo, ormai estinto per prescrizione".
  69. ^ Cuzzola, F. Cinque Anarchici del sud. Una storia negata, Città del sole edizioni, 2005
  70. ^ Strategia della tensione in Dizionario di storia Treccani
  71. ^ Berlusconi e le vere radici del fascismo

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]