Adriano Adami

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Adriano Adami
NascitaPerugia, 11 settembre 1921
MorteSaluzzo, 2 maggio 1945
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia
Bandiera della Repubblica Sociale Italiana Repubblica Sociale Italiana
Forza armataBandiera dell'Italia Regio esercito
Esercito Nazionale Repubblicano
CorpoAlpini
Unità4ª Divisione alpina "Monterosa"
RepartoBattaglione Bassano
GradoTenente
GuerreSeconda guerra mondiale
Campagne
DecorazioniCroce di guerra
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Adriano Adami, noto anche come Pavan (Perugia, 11 settembre 1921Saluzzo, 2 maggio 1945), è stato un militare italiano fascista, tenente nella 4ª Divisione alpina "Monterosa" dell'esercito della Repubblica Sociale Italiana.

Militare nel Regio Esercito e nella Repubblica sociale italiana[modifica | modifica wikitesto]

Nato a Perugia da una famiglia con trascorsi garibaldini, frequentò l'università sino a quando, nel corso della seconda guerra mondiale, si arruolò volontario nel Regio Esercito. Nel 1941 fu destinato al fronte jugoslavo, precisamente in Croazia, con il grado di sottotenente presso la 537ª Compagnia Mitraglieri, venendo decorato con una croce di guerra e un encomio solenne[1]. Tornato a casa in licenza, era ricoverato all'ospedale militare di Perugia per malaria quando il 9 luglio 1943 iniziò l'invasione della Sicilia. L'11 luglio, avendo saputo che il proprio reparto era al fronte, pur ancora ammalato, ottenne di essere dimesso per poterlo raggiungere[2].

Dopo l'8 settembre 1943 rientrò a Perugia e decise di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Seguì quindi l'addestramento a Münsingen della 4ª Divisione alpina "Monterosa", la divisione inviata in Germania per sei mesi per essere addestrata da istruttori tedeschi ed essere armata con materiale della Wehrmacht. Rientrò in Italia inquadrato nel Battaglione Vestone di questa divisione. Fu assegnato al fronte della Garfagnana, ottenendo una medaglia d'argento al valor militare, decorazione non riconosciuta dalla Repubblica italiana, e una Croce di Ferro tedesca di II classe[3]. In seguito fu trasferito in Liguria a Torriglia a presidio delle colline genovesi, dove operò in azioni di controbanda, come nello scontro del 23 ottobre sulle rive del Trebbia. In questa circostanza il tenente Adami vietò[4] al parroco di Loco di comporre le salme di quattro partigiani caduti in combattimento.

A Torriglia, in seguito alla defezione di due compagnie passate con i partigiani del cattolico Aldo Gastaldi detto "Bisagno", il battaglione Vestone del maggiore Paroldo, già sotto organico, si sciolse. Adami si rifiutò di cambiare schieramento e il 4 novembre 1944, insieme con altri ufficiali e a circa 120 alpini, raggiunse Genova per dare l'allarme[5].

L'attività di controbanda in Val Varaita[modifica | modifica wikitesto]

Adami arrivò in Piemonte in seguito al trasferimento della 4ª Divisione alpina "Monterosa" per assicurare le retrovie; il 16 novembre 1944 fu assegnato a questo compito di presidio in Val Varaita, alle dipendenze dirette del maggiore Mario Molinari, comandante del battaglione Bassano. Alla testa di un'unità esigua e ben equipaggiata, si occupava di un ampio territorio del cuneese comprendente i comuni di Sampeyre, Pontechianale, Costigliole Saluzzo, Brossasco, Venasca e Casteldelfino, dove ebbe anche la sua sede. Il suo compito era perlustrare ed assicurare le retrovie, sbarrando le azioni dei partigiani locali che si spingevano fin nei centri abitati. La sua attività consisteva nel cercare principalmente di catturare i capi partigiani[6] attraverso azioni di controbanda: in pratica, soprattutto all'inizio quando ancora non era un viso noto a partigiani e civili, Adami smetteva la divisa ed indossava panni borghesi per cogliere impreparati i partigiani medesimi[7]. La tecnica risultava remunerativa, in quanto non procurava quasi vittime agli attaccanti ma, in compenso, teneva costantemente i partigiani sotto tensione, costretti com'erano a moltiplicare i servizi di guardia e a cambiare spesso le loro posizioni, tanto che furono anche obbligati ad abbandonare temporaneamente la Val Varaita[8].

Le operazioni che coinvolsero Adami iniziarono tra il 18 e il 20 novembre 1944 e si caratterizzarono per un tasso di violenza molto alto sia nei confronti dei partigiani presi prigionieri sia dei civili considerati complici della Resistenza e dei renitenti alla leva. Le azioni di Adami consistettero in numerosi assalti ad automezzi e cariaggi, attività di sminamento dei ponti, rastrellamenti nei territori delle valli Maira e Varaita[9].

A fine febbraio 1945, durante un rastrellamento nella media Val Varaita, Adami catturò il partigiano Enrico Rovera (Monfrin), che fu ferito gravemente. Portato all'ospedale di Saluzzo e già condannato alla fucilazione, Rovera il giorno seguente fu liberato da altri partigiani che nell'azione presero prigioniero l'alpino di guardia Mario Zaborra che fu successivamente fucilato[10].

L'eccidio di Valmala[modifica | modifica wikitesto]

Tra le azioni condotte dalla "banda" Adami, la più grave fu quella nota come "eccidio di Valmala", in bassa Val Varaita. Il 5 marzo 1945, 44 uomini tra truppe ed ufficiali, comandati dal tenente Cavalli (poiché l'Adami, malato, era in attesa a Venasca), si diressero nella zona di Melle-Venasca per svolgere un rastrellamento lungo lo spartiacque tra Val Varaita e Val Maira. La notte fra il 5 e il 6 marzo la "banda Pavan", dopo avere preso degli ostaggi civili e depredato le case nella borgata Chiot, puntò, dietro suggerimento di un informatore, sul vicino Santuario di Valmala, dove si trovava la sede del distaccamento partigiano “Bottazzi” (181ª Brigata Garibaldi) composto da 17 uomini, molti dei quali ancora giovanissimi. I partigiani del Bottazzi sapevano del rastrellamento in corso ma, pensando erroneamente che gli alpini fossero diretti verso l'area di Lemma, furono colti di sorpresa. Nel breve scontro a fuoco che ne derivò caddero sei uomini, di cui uno freddato dopo essersi arreso, mentre due riuscirono a fuggire. Gli altri furono presi prigionieri e picchiati con estrema violenza.Tra questi c’erano tre feriti, che vennero uccisi poco dopo con un colpo alla testa sul piazzale della chiesa. Gli altri superstiti stavano per essere fucilati, quando il sorvolo di aerei alleati consigliò agli alpini della Monterosa di sospendere l'esecuzione. I partigiani caduti furono in tutto nove; con la loro morte venne azzerato l’intero comando della brigata garibaldina. Per garantirsi la ritirata ed evitare imboscate, la "banda" di Adami, che era rimasto a Venasca a causa di un'indisposizione, ritornò a Casteldelfino con il loro comandante, legando sul tetto del camion uno dei partigiani[11].

La vicenda di Valmala ebbe altri strascichi in cui, direttamente o indirettamente, fu coinvolto Adami. Il 7 marzo Pavan raggiunse con alcuni uomini l'eremo di Busca: il guardiano del fabbricato, Lorenzo Giraudo, fu interrogato circa la presenza dei partigiani; picchiato e minacciato di morte, fu obbligato a scavarsi la fossa, ma riuscì a fuggire e a salvarsi. Il 9 marzo, le brigate nere, assieme ad alcuni tedeschi, minacciarono e maltrattarono il parroco di Lemma, don Francesco Demarchi, colpevole di avere celebrato il funerale dei partigiani caduti; i figli del mezzadro del parroco vennero condotti a forza in cimitero per dissotterrare i caduti al fine di accertarsi dell'avvenuta inumazione. Pochi giorni dopo, Adami e la sua squadra rastrellarono la zona intorno a Rossana e Brossasco, interrompendo le funzioni religiose e accanendosi contro il parroco[12].

In risposta alle azioni di Adami, il nuovo comando della 181ª Brigata Garibaldi organizzò, il 28 marzo, un attacco al presidio fascista di Sampeyre, causando la morte di tre militari e il ferimento di altri quattro. Adami, per rappresaglia, minacciò di fucilare prima dodici, poi quattro ostaggi presi a caso tra la popolazione civile. Il parroco di Sampeyre, don Antonio Salomone, e don Michele Lerda di Revello riuscirono ad impedire l’eccidio, intercedendo il primo presso il comandante del presidio colonnello Armando Farinacci, il secondo presso il comando tedesco che aveva sede a Saluzzo[13].

La cattura e il processo[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la metà dell'aprile 1945, di fronte all'imminente crisi generale dell'impianto nazifascista, il battaglione Bassano era in attesa di rendere esecutivo l'ordine di ripiegamento ma, agendo d'iniziativa personale, il 26, il comandante maggiore Molinari si accordò e si arrese ai partigiani a Casteldelfino. Il tenente Adami, avvertito preventivamente delle intenzioni del maggiore Molinari, rifiutò la resa e decise di fuggire verso la Valle Po con alcuni compagni: un altro ufficiale, Osvaldo Grechi, un sottufficiale, Mario Frison, l'ausiliaria Marcella Catrani (compagna di Adami), i sergenti Giuseppe Zecca, Guglielmo Lanza e Giorgio Geminiani[14]. Rifugiatosi in una baita a Crissolo, da dove intendeva dirigersi verso Montoso per scendere in Val Pellice e arrendersi agli americani, Adami e i suoi vennero presi la mattina del 29 aprile, dopo una breve sparatoria, da una squadra di partigiani della 15ª Brigata Saluzzo (11ª Divisione Garibaldi). La squadra partigiana era composta da Antonio Biglia (Remo), vice comandante della 15ª Saluzzo, Giacomo Rey (Diavolo Rosso), comandante di distaccamento, Rolf Ortuer (Tigre), tedesco passato nelle file dei partigiani[15].

Trasportati a Paesana, Adami e i suoi furono rinchiusi nell'edificio scolastico. Alla notizia dell’arrivo dei prigionieri, una folla enorme di uomini, donne, ragazzi si accalcò minacciosa ai cancelli, pronta al linciaggio[16]. I prigionieri, ricevuti i conforti religiosi da don Ghio, parroco di Paesana, furono interrogati da Andrea Bruno, (Santabarbara), comandante della 15ª Brigata Saluzzo. Raccontò don Ghio di avere visto, dopo l'interrogatorio, "[...] aggrappato ai cancelli del giardino, un formicolio di uomini, donne, ragazzi, e oltre la cancellata, altre centinaia di visi stravolti dall’odio, dalla vendetta [...]. Poco dopo Pavan, legato ai polsi, con una corda al collo viene portato in giro, dentro lo steccato, per soddisfare la richiesta della folla che vuole vederlo da vicino e gettargli in faccia tutto il suo disprezzo"[17].

Adriano Adami, a sinistra, Marcella Catrani, Osvaldo Grechi, Vittorio Calabrese e Mario Frison

Il mattino seguente Adami e i suoi furono condotti a Saluzzo, prima alla Castiglia e poi alla caserma Musso. Adami e gli altri prigionieri restarono in carcere cinque giorni prima di essere processati[18]. Il 2 maggio furono sottoposti, nella caserma Musso, al giudizio di un tribunale popolare composto da appartenenti al Comando della 11ª Divisione Garibaldi e della 2ª Divisione Alpina Giustizia e Libertà[19]. L'accusa rivolta ad Adami era: "aver condotto con particolare accanimento e crudeltà la lotta partigiana incendiando case, procedendo al denudamento di donne, maltrattando prigionieri e civili e commettendo crudeltà varie sia nei confronti di partigiani che di borghesi". Adami fu condannato alla "pena di morte mediante fucilazione nella schiena"[20] insieme al maresciallo Frison, al sergente Lanza, al sergente Alongi e al sergente Geminiani. Il maggiore Molinari, l’alpino Venini e l'ausiliaria Catrani furono deferiti al Tribunale del popolo; il sottotenente Grechi, il sergente maggiore Calabrese, il sergente Faneda e il sergente Dalla Palma furono assolti[21].

La fucilazione di Adami e degli altri quattro condannati a morte avvenne all'interno della caserma, la sera del 2 maggio 1945.

Nei giorni successivi, precisamente il 5 maggio, dodici alpini[22], che si erano arresi a Casteldelfino, furono prelevati dalla prigione con la scusa di dover eseguire dei lavori[23] e portati in località Ponte di Valcurta in Val Varaita, dove furono fucilati. Il 7 maggio gli americani, grazie all'intermediazone del sottotenente Capece Galeota Benedetto del Battaglione Bassano - che parlando inglese riuscì ad avvisare gli americani delle intenzioni violente dei partigiani (lui stesso era stato condannato a morte) - presero in consegna tutti i prigionieri, che furono trasferiti al campo di concentramento di Coltano[24]

Sviluppi successivi[modifica | modifica wikitesto]

L'11 gennaio 1949 Andrea Mitolo di Bolzano, ex comandante della 7ª Compagnia del battaglione Bassano, avvocato ed esponente del Movimento Sociale Italiano in Alto Adige, presentò una denuncia collettiva contro numerosi comandanti partigiani, garibaldini e giellini del territorio saluzzese, ipotizzando i reati di omicidio e strage per le esecuzioni (come quella di Adami e dei suoi compagni), avvenute in Valle Varaita dopo la fine del conflitto.

Il Tribunale di Saluzzo, però, il 29 settembre 1950 dichiarò il non luogo a procedere con la motivazione che "Dalle indagini esperite era emerso inequivocabile che si trattava di un'azione di guerra per necessità di lotta contro il tedesco invasore"[25].

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Italiane[modifica | modifica wikitesto]

Croce di guerra al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria

Repubblica Sociale[modifica | modifica wikitesto]

(Non riconosciute dal Regno d'Italia e dalla Repubblica Italiana)

Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria

Straniere[modifica | modifica wikitesto]

Croce di Ferro di II classe - nastrino per uniforme ordinaria

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Si veda Liliana Peirano, Il male assoluto, Mondovì, RA. RA. Edizioni, 2005, p.259 e Marco Ruzzi, Garibaldini in Val Varaita 1943-1945. Tra valori e contraddizioni, Cuneo, ANPI Verzuolo - Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea in Provincia di Cuneo, 1997, p. 49n.
  2. ^ Liliana Peirano, op. cit., pag. 260. L'autrice sottolinea che sul diario clinico di Adami fu riportato: Esce contro il parere del medico, volendo raggiungere la propria Unità nel momento del pericolo.
  3. ^ Liliana Peirano, op. cit., p. 261
  4. ^ Si veda, Franco Gimelli e Paolo Battifora (a cura di), Dizionario della Resistenza in Liguria, Genova, De Ferrari, 2008, p. 71 e Antonio Testa, Partigiani in Val Trebbia, Genova, Stampa AGA, p. 15. Quest'ultimo sottolinea: Comandante del pattuglione appostato di là dal fiume, [Adriano Adami] diede prova di una di quelle prodezze cui indulgevano spesso i fascisti più tristemente noti. A combattimento ormai terminato si recò sul luogo dello scontro e pestò con gli scarponi chiodati la testa dei partigiani caduti, vantandosene poi con i suoi soldati e con la gente del paese che ascoltava esterrefatta.
  5. ^ Mario Bocchio, La guerra civile in Piemonte 1943-1945, vol I, Alla ricerca della verità, Collegno, Roberto Chiaramonte editore, 2003, p. 170
  6. ^ Marco Ruzzi, op. cit., p. 49 e p. 154; Liliana Peirano, op. cit., p. 314
  7. ^ si veda Marco Ruzzi, op. cit., pp . 49-50
  8. ^ Si veda Giorgio Bocca, Storia dell'Italia partigiana, Milano, Oscar Mondadori, 1995, pp. 370-371. Sempre Bocca, all'epoca partigiano in Val Grana e poi in Val Maira, definisce Adami "un ufficiale tanto feroce quanto abile e coraggioso" (op. cit., p. 370).
  9. ^ Per una ricostruzione delle prime azioni della "banda" Adami contro la Resistenza fino a dicembre 1944, si veda Marco Ruzzi, op. cit., pp. 49-58. Per le operazioni nel marzo-aprile 1945, prima dello sbandamento finale delle truppe fasciste, si veda sempre Marco Ruzzi, op. cit., pp. 75-82. Ruzzi afferma anche che "L’impianto antipartigiano dell’Adami è efficace, ma il metodo è spregiudicato perché egli non distingue tra partigiani e civili, fra prigionieri e ostaggi e non rispetta nessuno: tutti i ‘non fascisti’ sono nemici, compresi alcuni suoi sottoposti, arrestati per sospetta collusione con la Resistenza" (op. cit., p. 154).
  10. ^ Sul caso specifico, le versioni non sono coincidenti: cfr. C. Bertolotti, Storia del Battaglione Bassano. Divisione Monterosa. RSI 1943-45, ed. Lo Scarabeo 2007, e M. Ruzzi, op. cit., p. 64.
  11. ^ Per la ricostruzione dei fatti, si veda Marco Ruzzi, op. cit., pp. 66-69. Cfr. anche Andrea Garassino, Si commemora l’uccisione di 9 partigiani a Valmala, «La Stampa - Cuneo», edizione on-line del 7 marzo 2019.
  12. ^ Marco Ruzzi, op. cit., p. 74
  13. ^ Marco Ruzzi, op.cit., pp. 78-79. Cfr. anche Don Antonio Salomone, Ricordi dell’emergenza 1943/45 a Sampeyre, Busca, 1981, pp. 65-67 .
  14. ^ Liliana Peirano, op. cit., p .320. Sui nomi dei sette fuggitivi e, in seguito, catturati a Crissolo non c’è accordo completo tra le fonti; in particolare, sull’identità della donna del gruppo: secondo alcuni, non sarebbe Marcella Catrani, ma un’altra ausiliaria, Elena Fasanella. Cfr. Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti, Milano, Sperling & Kupfer, 2003, p. 123.
  15. ^ Si veda Marco Ruzzi, op. cit., pp. 87-89; in particolare p. 88n. Liliana Peirano, op.cit., pp. 305-306.
  16. ^ "La strada antistante le scuole si riempiva. La cosa si stava mettendo a serio, urla, imprecazioni, una cosa indescrivibile, da far rabbrividire [...] presi le misure di sicurezza, piazzai un mitragliatore sulla porta dell'ingresso dell'edificio e chiusi i cancelli che danno accesso dal cortile alla strada": si veda Antonio Biglia, I miei ricordi, dattiloscritto, p. 15, citato in Marco Ruzzi,op. cit., p.89.
  17. ^ Aggiunse don Ghio: "Per comprendere lo stato d'animo acutissimo, la mente sconvolta di questa folla, bisogna ripensare a tutte le ingiustizie patite, i soprusi sofferti, i danni enormi subiti, le minacce incessanti di disperazioni e di morte, le vittime cadute, il sangue sparso sui monti, sulle piazze, lungo i muriccioli e persino sul greto del Po [...] Tutto ciò a cui si dovette soggiacere, frementi nell’animo invitto, ma in un forzato silenzio […] per circa due anni! A questa folla sembrava giunto il giorno in cui potevasi finalmente dissetare in una giusta vendetta. Bisognava comprendere e compatire". I passi, tratti dal diario del parroco (Giuseppe.Ghio, Pagine memorande di Storia 1943/1944/1945, Paesana, Saluzzo, Tip. Op., 1949, pp. 101-102) sono riportati da Liliana Peirano, op. cit., pp. 310-311.
  18. ^ Anche secondo Liliana Peirano, nei giorni che precedettero il processo, Pavan e i suoi furono torturati e picchiati. La fonte della notizia è Carlo Cocut, Forze armate della RSI sul confine occidentale, Milano, Marvia Edizioni, 2009, p. 126.
  19. ^ Nel dispositivo della sentenza (riportato in Liliana Peirano, Op. cit., p. 321), i membri del Tribunale partigiano sono indicati con i soli nomi di battesimo e precisamente: Gigi (presidente); Francesco, Claudio, Dino e Giorgio (giudici), Pinot (cancelliere). I tentativi finora effettuati di identificazione non hanno ancora portato a risultati attendibili Si è ipotizzato che “Giorgio” potesse essere Giorgio Bocca; altri hanno identificato “Gigi” con il partigiano Luigi Ventre e “Claudio” con il partigiano Claudio Gambolò.
  20. ^ Per la citazione precedente e quest'ultima, si veda Dispositivo della Sentenza, pubblicato in Liliana Peirano, op. cit., p. 321.
  21. ^ Le informazioni sui condannati e gli assolti sono ricavabili sempre dal Dispositivo della Sentenza, pubblicato in Liliana Peirano, op. cit., p. 321. In Marco Ruzzi, op. cit., p. 89, invece i condannati a morte indicati sono invece quattro. Liliana Peirano sostiene anche che l'ausiliaria Marcella Catrani fu sottoposta a torture e stuprata sia durante gli interrogatori prima della sentenza sia nella detenzione successiva durata alcuni mesi (op. cit., pp. 322-323 e 326).
  22. ^ Capitani Aurelio Barbaro, Piero Del Rio e Giuseppe Saba, tenente Cesare Momo, sottotenenti Giuseppe Giardina, Guido Cubadda, Sergio Tongiani e Sergio Cannobio, sergenti maggiori Giancesare Zironi, Orfeo Morgan e Giulio Ravenna, alpino Antonio Lazzarotto. Si veda Marco Ruzzi, op. cit., p. 160n.
  23. ^ C. Bertolotti, Storia del Battaglione Bassano. Divisione Monterosa. RSI 1943-45, ed. Lo Scarabeo 2007; Mario Bocchio,La guerra civile in Piemonte 1943-1945, vol II, Roberto Chiaramonte editore, giugno 2003, pag.129.
  24. ^ Si veda Carlo Cocut, op. cit., Milano, Marvia Edizioni, maggio 2009, pag. 126.
  25. ^ Si veda Marco Ruzzi, op.cit. p. 162n e Liliana Peirano, op.cit., pp. 330-333. La tesi sostenuta da Andrea Mitolo è stata in seguito riproposta da Carlo Cornia, Monterosa. Storia della Divisione Alpina Monterosa della RSI, Udine, Dal Bianco, 1971 e Giorgio Pisanò, Storia delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana, Milano, Edizioni Visto, 1982.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Don Antonio Salomone, Ricordi dell'emergenza 1943/45 a Sampeyre, Busca, Tipolitografia L.C.L., 1981
  • Michele Calandri, Quale "onore e fedeltà" della divisione Monterosa della RSI? Il battaglione Bassano nella valli Maira e Varaita, in Notiziario dell'Istituto Storico della Resistenza in Cuneo e provincia, Cuneo, II semestre 1988, p. 141
  • Giorgio Bocca, Storia dell'Italia partigiana, Milano, Oscar Mondadori, 1995, pp. 370-371
  • Marco Ruzzi, Garibaldini in Val Varaita 1943-1945. Tra valori e contraddizioni, Cuneo, ANPI Verzuolo - Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea in Provincia di Cuneo, 1997
  • Riccardo Assom, Giovani tra le montagne. Testimonianze dei protagonisti della guerra 1939-'45 in val Varaita, Cuneo, L'Arciere, 1999
  • Giampaolo Pansa Il sangue dei vinti, Ed. S&K, Milano, 2003
  • Liliana Peirano Il male assoluto, Mondovì, Ra.Ra. Edizioni, Mondovì, 2006
  • Alessio Ghisolfi - Isacco Levi I Levi di via Spielberg. Isacco Levi tra fascismo e nazismo, Moretta, Edizioni Clavilux, 2005-2007
  • Claudio Bertolotti Storia del Battaglione Alpini Bassano. Divisione Monterosa, RSI 1943-45, Bologna, Ed. Lo Scarabeo, 2007
  • Giampaolo Pansa I Gendarmi della Memoria, Ed. S&K, Milano, 2007

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