Filippo Turati

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Filippo Turati

Deputato del Regno d'Italia
Durata mandato10 giugno 1895 –
14 novembre 1925
LegislaturaXIX, XX, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXV, XXVI, XXVII
Gruppo
parlamentare
Socialista
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoPSI (1892-1922)
PSU[1] (1922-1930)
PSI (massimalista) (1930-1932)
Titolo di studioLaurea in giurisprudenza
UniversitàUniversità di Bologna
ProfessioneAvvocato, giornalista

«Le libertà sono tutte solidali. Non se ne offende una senza offenderle tutte»

Filippo Turati (Canzo, 26 novembre 1857Parigi, 29 marzo 1932) è stato un politico, giornalista e politologo italiano, tra i primi e più importanti leader del socialismo italiano e tra i fondatori, a Genova nel 1892, dell'allora Partito dei Lavoratori Italiani (che diventerà, nel 1893 a Reggio Emilia, Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, avendo ancora questo nome al convegno di Imola nel 1894 e, nel 1895 con il congresso di Parma, Partito Socialista Italiano).

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

I primi anni[modifica | modifica wikitesto]

Ritratto giovanile di Filippo Turati

Figlio di Pietro, un alto funzionario statale di idee conservatrici e altoborghesi, e di Adele De Giovanni, il giovane Filippo nacque e visse i suoi primi anni a Canzo, una piccola cittadina vicino a Como. Canzo era descritta all'epoca come «fuor di dubbio, una delle più ricche, svegliate e patriottiche fra le grosse borgate del contado lombardo» e i suoi abitanti come dotati di «quel criterio politico, che, sgraziatamente, non si trova con troppa frequenza negli altri grossi centri della campagna lombarda»[3]. Di questo paese Turati dirà più tardi: «lui m'arrise umano e sempre uguale»[4]. Studiò quindi al liceo classico Ugo Foscolo di Pavia e sin da giovanissimo collaborò con delle riviste d'orientamento democratico e radicale. Frequenta poi stagionalmente l'università di Bologna, per laurearsi in giurisprudenza e diventare avvocato nel 1877, ritornando però regolarmente nel suo paese natale, dove si dedica anche all'approfondimento letterario[5].

L'anno successivo si trasferì definitivamente a Milano, dove conobbe note figure intellettuali quali il politico di ispirazione mazziniana-repubblicana Arcangelo Ghisleri e il filosofo psicologo Roberto Ardigò. Qui iniziò anche una carriera di pubblicista e critico letterario.

Anna Kuliscioff[modifica | modifica wikitesto]

Anna Kuliscioff a Firenze (1908)

La linea politica di Turati fu determinata sia dallo stretto rapporto con gli ambienti operai milanesi, sia dalle idee di ispirazione marxista della sua compagna ucraino-russa Anna Kuliscioff, che conobbe intorno al 1882-1884. Quest'ultima, separata da poco dal marito (il politico socialista Andrea Costa), si legò poi sentimentalmente a Turati. Rimasero assieme fino alla morte di lei nel 1925.

Persona di grande temperamento e intelligenza, fu tra le prime donne, assieme a Maria Montessori, a esercitare l'attività di medico, recandosi tra l'altro anche nei quartieri più poveri di Milano, dove veniva chiamata la "dottora dei poveri". Le idee politiche di fondo di Turati e di Anna coincidevano, poiché entrambi si ispiravano alla idee socialiste e alla dottrina marxista e la Kuliscioff ebbe una grande influenza su Turati.

Anna Kuliscioff fu un'importante dirigente del Partito Socialista Italiano[6]. Si impegnò fortemente nelle lotte per la limitazione dell'orario di lavoro delle donne e dei fanciulli: elaborò una proposta di legge a tutela del lavoro minorile e femminile che, presentata dai parlamentari socialisti, venne approvata nel 1902 come legge Carcano, dal nome di Paolo Carcano, Ministro delle Finanze durante il Governo Zanardelli, che ne fu il proponente a livello governativo. Fu sostenitrice delle iniziative per introdurre in Italia il voto alle donne, anche in polemica con Turati[7], e il divorzio. A Milano, in piazza Duomo, sotto i portici che danno ingresso alla Galleria Vittorio Emanuele, una targa ricorda la casa dove visse insieme a Turati.

Il Partito Operaio Italiano[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1886 Turati sostenne apertamente il Partito Operaio Italiano, che era stato fondato a Milano nel 1882 dagli artigiani Giuseppe Croce e Costantino Lazzari, per poi fondare nel 1889 la Lega Socialista Milanese, ispirata a un socialismo non dogmatico e che rifiutava pubblicamente l'anarchia.

Inno dei lavoratori (info file)
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Versione strumentale, esecuzione di Zenone Mattei

In questo contesto Filippo Turati scrisse, nei primi mesi del 1886, l'Inno dei Lavoratori[8], su sollecitazione di Costantino Lazzari; fu pubblicato da La Farfalla (n. 10, 7 marzo 1886, Milano) e subito dopo dall'organo del Partito operaio italiano, Il Fascio operaio (a. IV, n. 118, 20 e 21 marzo 1886, Milano). La musica fu composta dal maestro Amintore Claudio Flaminio Galli; la prima esecuzione pubblica avvenne a Milano il 27 marzo 1886 nel salone del Consolato operaio in via Campo Lodigiano, a opera della Corale Donizetti.

La rivista Critica Sociale[modifica | modifica wikitesto]

La rivista Critica Sociale

Nel 1891 Turati fondò la rivista Critica Sociale, che diresse dall'inizio fino al 1926, al momento del suo espatrio clandestino in Francia. Nella sua direzione di fatto fu affiancato dalla sua compagna Anna Kuliscioff (che, in quanto donna e per di più straniera, non poteva avere responsabilità nella direzione di un periodico), che trasformò il salotto della loro casa a Milano, Portici Galleria n. 23, nella redazione della rivista, dove, tra mucchi di giornali e plichi di libri, Anna e Filippo lavoravano insieme.

In quel salotto c'era un piccolo divano verde dove la Kuliscioff riceveva i visitatori a ogni ora del giorno: personaggi della cultura, della politica milanese, persone più umili come le “sartine”, che trovavano in Anna un'amica e una confidente, e i collaboratori della rivista, che annoverava i più importanti intellettuali dell'epoca, quali Luigi Majno, Ersilia Majno Bronzini e Ada Negri.

Il 1º gennaio 1893 "Critica Sociale", che aveva pienamente accettato il programma del Partito dei Lavoratori Italiani approvato nell'agosto del 1892 al Congresso di Genova, cambiò il sottotitolo della testata da Rivista di studi sociali, politici e letterari in Rivista quindicinale del socialismo scientifico e incominciò ad affrontare tutti i gravi problemi pubblici degli anni novanta (scandali bancari, repressione dei Fasci siciliani, guerra di Abissinia, moti popolari per il pane) con articoli di forte denuncia.

In occasione dei moti di Milano, il 7 maggio 1898 la rivista venne sequestrata. A seguito dell'arresto e della condanna del suo direttore le pubblicazioni furono interrotte fino alla scarcerazione di Turati dopo più di un anno; la rivista ritornò in edicola il 1º luglio 1899. Anche Anna Kuliscioff venne arrestata con l’accusa di reati di opinione e di sovversione. A dicembre venne scarcerata per indulto.

La fondazione del Partito Socialista Italiano[modifica | modifica wikitesto]

Al congresso operaio italiano, tenutosi a Milano il 2 e 3 agosto 1891, Turati si presentò con l'obiettivo "di voler creare entro un anno un partito che unisse i lavoratori italiani", preannunziato il 18 giugno in un articolo nel numero unico del giornale Lotta di classe, che diventerà poi un periodico diretto formalmente da Camillo Prampolini, ma di fatto guidato dalla coppia Turati-Kuliscioff. Turati inoltre collaborò, non senza contrasti, con il periodico La Martinella, organo dei socialisti toscani, diretto a Colle di Val d'Elsa da Vittorio Meoni.

Le intenzioni di Turati, di creare un organismo in cui confluissero tutte le organizzazioni popolari, operaie e contadine, si concretizzarono nel congresso di Genova del 1892, in cui nacque il Partito dei Lavoratori Italiani, divenuto poi nel 1893 "Partito Socialista dei Lavoratori Italiani" e nel 1895 Partito Socialista Italiano, una formazione politica d'impronta classista e militante, che utilizzava anche la lotta parlamentare per raggiungere obiettivi di crescita dei diritti dei lavoratori.

Il gradualismo di Turati e l'età giolittiana[modifica | modifica wikitesto]

Nonostante Francesco Crispi tentasse di bandire tutte le organizzazioni di sinistra, Turati - eletto deputato nel giugno 1896 - si fece fautore di un'apertura all'area repubblicana mazziniana e a quella radicale, nel tentativo di dare una svolta democratica al governo.

Il 1º marzo 1899 fu dichiarato decaduto dal mandato parlamentare e messo agli arresti con l'accusa d'aver guidato i moti di Milano; fu poi condannato a ben 12 anni di reclusione. Fu comunque scarcerato nel 1899 grazie a un'amnistia e poi rieletto alle elezioni suppletive e fece ostruzionismo contro il governo reazionario di Luigi Pelloux.

1900 - cartolina di propaganda del PSI per le elezioni politiche - Filippo Turati è l'ultimo in basso a destra

Nel 1901, in sintonia con le sue istanze "minimaliste" (il cosiddetto programma minimo, che si poneva come obiettivi parziali riforme, che i socialisti riformisti intendevano concordare con le forze politiche moderate o realizzare direttamente se al governo), Turati appoggiò (ministerialismo) prima il governo liberale moderato presieduto da Giuseppe Zanardelli e successivamente (1903) quello di Giovanni Giolitti, che nel 1904 approvò importanti provvedimenti di legislazione sociale (leggi sulla tutela del lavoro delle donne e dei bambini, infortuni, invalidità e vecchiaia; comitati consultivi per il lavoro; apertura verso le cooperative).

A causa, però, della politica messa in atto da Giolitti che favoriva solo gli operai meglio organizzati, la corrente di sinistra del PSI, capeggiata dal rivoluzionario Arturo Labriola e dall'intransigente Enrico Ferri, mise in minoranza la corrente di Turati nel congresso svoltosi a Bologna nel 1904.

La corrente gradualista tornò a prevalere nel congresso del 1908 in alleanza con gli integralisti di Oddino Morgari; negli anni seguenti Turati rappresentò la personalità principale del gruppo parlamentare del PSI. In questa veste si ritrovò come l'interlocutore privilegiato di Giolitti, che stava allora perseguendo una politica di attenzione alle emergenti forze di sinistra.

La guerra di Libia del 1911 provocò però una frattura irrimediabile tra il governo giolittiano, fautore dell'impresa coloniale, e il PSI, in cui peraltro stavano di nuovo prevalendo le correnti massimaliste.

Il massimalismo socialista e il declino di Turati[modifica | modifica wikitesto]

Costantino Lazzari
Mussolini, direttore dell'Avanti!

Nel 1912, con il XIII congresso del Psi di Reggio Emilia, la corrente di sinistra interna rivoluzionario-massimalista capeggiata da Benito Mussolini conquistò la maggioranza nel Partito, ottenendo conseguentemente l'espulsione degli esponenti della destra interna moderato-riformista Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi, Angiolo Cabrini e Guido Podrecca (che diedero poi vita al Partito Socialista Riformista Italiano, e che alle elezioni politiche del 1913 conseguì il 3,9% dei voti), eleggendo alla segreteria nazionale del Partito il rivoluzionario Costantino Lazzari e lo stesso Mussolini quale direttore dell'Avanti!.

Il potere dei massimalisti si consolidò nel successivo XIV congresso del PSI di Ancona dell'aprile 1914, che vide la rielezione a segretario di Costantino Lazzari e un grande successo personale di Mussolini, al quale i congressisti tributarono una mozione di plauso per i successi di diffusione e di vendite del giornale del partito. Venne inoltre approvata la mozione di Mussolini e Zibordi circa l'incompatibilità tra adesione al PSI e alla Massoneria, con l'immediata espulsione di quanti non lasciavano subito la Massoneria. Ciò provocò una grave emorragia di iscritti, specie tra i più anziani, in quanto affiliati alle logge dal periodo risorgimentale, o tra chi proveniva dall'esperienza dei partiti e movimenti repubblicani, per lo più attestati sulle posizioni gradualiste e riformiste di Turati.

Dopo l'espulsione di Mussolini dal PSI a seguito del suo voltafaccia interventista sulla partecipazione dell'Italia alla Grande Guerra, Turati sostenne convintamente la posizione del PSI contraria alla guerra e per la neutralità dell'Italia, pur nella formulazione un po' ambigua del "né aderire, né sabotare" di Costantino Lazzari, soluzione di compromesso dovuta alla scelta di tanti socialisti di presentarsi volontari per il fronte o, comunque, di combattere una volta richiamati alle armi.

Dopo la disfatta di Caporetto del 1917, convinto che in quel momento la difesa della patria in pericolo fosse più importante della lotta di classe, Turati, nel corso di un applauditissimo discorso alla Camera, dichiarò l'adesione del PSI allo sforzo bellico italiano; questa posizione gli valse accuse di opportunismo e social-sciovinismo da parte di Lenin.[9][10]

La "profezia" di Turati al Congresso di Livorno del 1921[modifica | modifica wikitesto]

I delegati davanti al Teatro Goldoni di Livorno il 15 gennaio 1921, giornata inaugurale del XVII Congresso del Partito Socialista Italiano

Nel dopoguerra, dopo la Rivoluzione d'ottobre e l'instaurazione del governo dei Soviet in Russia, il PSI si spostò sempre più su posizioni rivoluzionarie, anche su pressione di Lenin, che impose ai partiti socialisti e socialdemocratici europei l'adesione ai 21 punti da lui dettati.

Il rifiuto della componente massimalista del PSI, guidata dal segretario Costantino Lazzari e dal nuovo direttore dell'Avanti!, Giacinto Menotti Serrati, di aderire a questa imposizione, che avrebbe comportato l'immediata espulsione dei riformisti, maggioritari nel gruppo parlamentare, determinò, nel corso del XVII congresso socialista di Livorno del gennaio 1921, l'uscita dal PSI della componente comunista, guidata da Amadeo Bordiga, che diede vita al Partito Comunista d'Italia, legato direttamente a Mosca.

Turati intervenne al Congresso nel pomeriggio del 19 gennaio, dimostrando il profondo dissenso ideologico che lo separava dai comunisti: egli dichiarò il suo netto rifiuto di ogni soluzione rivoluzionaria violenta[11] e s'impegnò in una strenua difesa del riformismo socialista e della sua «opera quotidiana di creazione della maturità delle cose e degli uomini», che sarebbe sopravvissuta al «mito russo»:[12][13]

«Ciò che ci distingue non è la generale ideologia socialista - la questione del fine e neppure quella dei grandi mezzi (lotta di classe, conquista del potere ecc.) - ma è la valutazione della maturità della situazione e lo apprezzamento del valore di alcuni mezzi episodici.

Primo fra questi la violenza, che per noi non è, e non può essere, programma, che alcuni accettano pienamente e vogliono organizzare [commenti], altri accettano soltanto a metà (unitari comunisti o viceversa).

Altro punto di distinzione è la dittatura del proletariato, che per noi, o è dittatura di minoranza, e allora non è che dispotismo, il quale genererà inevitabilmente la vittoriosa controrivoluzione, o è dittatura di maggioranza, ed è un evidente non senso, una contraddizione in termini poiché la maggioranza è la sovranità legittima, non può essere la dittatura.

Terzo punto di dissenso è la coercizione del pensiero, la persecuzione, nell'interno del Partito, dell'eresia, che fu l'origine ed è la vita stessa del Partito, la grande sua forza salvatrice e rinnovatrice, la garanzia che esso possa lottare contro le forze materiali e morali che gli si parano di contro.

Ora tutti e tre questi concetti si risolvono poi sempre in un solo: nel culto della violenza, sia esterna sia interna, e hanno tutti e tre un presupposto, nel quale è il vero punto di divergenza tra noi: la illusione che la rivoluzione sia il fatto volontario di un giorno o di un mese, sia l'improvviso calare di un scenario o l'alzarsi di un sipario, sia il fatto di un domani e di un posdomani del calendario; e la rivoluzione sociale non è un fatto di un giorno o di un mese, è il fatto di oggi, di ieri e di domani, è il fatto di sempre, che esce dalle viscere stesse della società capitalista, del quale noi creiamo soltanto la consapevolezza, e così agevoliamo l'avvento; mentre nella rivoluzione ci siamo; e matura nei decenni, e trionferà tanto più presto, quanto meno lo sforzo della violenza, provocando prove premature e suscitando reazioni trionfatrici ne deriverà ed indugierà il cammino. Ond'è che per noi gli scorcioni sono sempre la via più lunga, e la via, che altri crede più lunga, è stata e sarà sempre la più breve. La evoluzione si confonde nella rivoluzione, è la rivoluzione stessa, senza sperperi di forze, senza delusioni e senza ritorni. (...)

Questo culto della violenza, che è un po' negli incunaboli di tutti i partiti nuovi, che è strascico di vecchie mentalità che il Socialismo marxista ha disperse, della vecchia mentalità insurrezionista, blanquista, giacobina, che volta a volta sembra tramontata e poi risorge di nuovo, e a cui la guerra ha ridato un enorme rigoglio, non può essere di fronte alla complessità della lotta sociale moderna, che una reviviscenza morbosa ed effimera.

Organicamente la violenza è propria del capitalismo, non può essere del socialismo.

È propria delle minoranze che intendono imporsi e schiacciare le maggioranze, non già delle maggioranze che vogliono e possono, con le armi intellettuali e coi mezzi normali di lotta, imporsi per legittimo diritto.

La violenza è il sostitutivo, è il preciso contrapposto della forza. È anche un segno di scarsa fede nella idea che si difende, di cieca paura delle idee avversarie. È, insomma, in ogni caso, un rinnegamento, anche se trionfi per un'ora, poiché apre inevitabilmente la strada alla reazione della insopprimibile libertà della coscienza umana, che ben presto, diventa controrivoluzione, che diventa vittoria e vendetta dei comuni nemici. (...)

Con la violenza che desta la reazione, metterete il mondo intero contro di voi. Questo è il nostro pensiero di oggi, di ieri, di sempre, ma sopra tutto in periodo di suffragio universale: quando voi tutto potrete se avete coscienza e, se no, nulla potrete ad ogni modo. Perché voi siete il numero e siete il lavoro, e sarete i dominatori necessari del mondo di domani a un solo patto: che non mettiate, con la violenza, tutto il mondo contro di voi.

Ecco il tondo del solo nostro dissenso, che è di oggi come di ieri, nel quale sempre insorgemmo e ci differenziammo. E quando Terracini ci dice, credendo coglierci in contraddizione: lanci la prima pietra chi in qualche momento, nel Partito, non fece appello alle violenze più pazze, io posso francamente rispondergli: eccomi qua! quella pietra io posso lanciarla [applausi vivissimi].

Sì, a noi può dolere che questa mostruosa fioritura psicologica di guerra ci divida fra noi, ci allontani tutti quanti dalla mèta, ci faccia perdere anni preziosi, facendo involontariamente il massimo tradimento al proletariato, che noi priviamo di tutte le enormi conquiste che potrebbe oggi conseguire, sacrificandolo alle nostre divisioni ed alle nostre impazienze, suscitando tutte le forze della controrivoluzione.

Si, noi lottiamo oggi troppo spesso contro noi stessi, lavoriamo per i nostri nemici, siamo noi a creare la reazione, il fascismo, ed il partito popolare.

Intimidendo ed intimorendo, proclamando (con suprema ingenuità anche dal punto di vista cospiratorio) l'organizzazione dell'azione illegale, vuotando di ogni contenuto l'azione parlamentare che non è già l'azione di pochi uomini, ma dovrebbe essere, col suffragio universale, la più alta efflorescenza di tutta l'azione, prima di un partito, poi di una classe; noi avvaloriamo e scateniamo le forze avversarie che le delusioni della guerra avevano abbattute, che noi avremmo potuto facilmente debellare per sempre. (...)

Le vie della storia non sono facili. Noi possiamo cercare di abbreviarle con sincerità, sdegnosi di popolarità, facilmente accettate a prezzo di formule ambigue. E questo noi facciamo e faremo, e con voi e fra voi, o separati da voi, perché è il nostro preciso dovere. Noi saremo sempre col Proletariato che combatte la sua lotta di classe. (...)

Fu unicamente il culto di alcune frasi isolate da comizio (la violenza levatrice della nuova storia" e somiglianti), avulse dal complesso dei testi, e ripetute per accidia intellettuale che, in unione alle naturali ribellioni del sentimento, velò a troppi di noi il fondo e la realtà della dottrina marxista. Quel culto delle frasi, in odio al quale Marx amava ripetere che egli, per esempio, "non era marxista", e anche a me - di cento cubiti più piccolo - a udire le scemenze di certi pappagalli, accadde di affermare che io non sono turatiano [Ilarità].

Perché nessuna formula - neanche quella di Mosca - sostituirà mai il possesso di un cervello, che, in contatto coi fatti e con le esperienze, ha il dovere di funzionare. (...)

Sul terreno pratico, quarant'anni o poco meno di propaganda e di milizia mi autorizzano ad esprimervi sommariamente un'altra convinzione. Potrei chiamarla (se la parola non fosse un po' ridicola) una profezia, facile profezia e per me di assoluta certezza. Vi esorto a prenderne nota. Fra qualche anno - io non sarò forse più a questo mondo - voi constaterete se la profezia si sia avverata. Se avrò fallito, sarete voi i trionfatori.

Questo culto della violenza, violenza esterna od interna, violenza fisica o violenza morale - perché vi è una violenza morale, che pretende sforzare le mentalità, far camminare il mondo sulla testa (...), e che è ugualmente antipedagogica e contraria allo scopo - non è nuovo (...), nella storia del socialismo italiano, come di altri Paesi. E il comunismo critico di Marx e di Engels ne fu appunto la più gagliarda negazione.

Ma, per fermarci all'arretrata Italia, che, come stadio di evoluzione economica, sta, a un dipresso, di mezzo fra la Russia e la Germania, la storia dei nostri Congressi, che riassume in qualche modo le fasi del Partito, (...) quella storia dimostra a chiare note come cotesta lotta fra il culto della violenza che pretende di imporsi col miracolo ed il vero socialismo che lo combatte, è stata sempre, nelle più diverse forme, a seconda dei momenti e delle circostanze, il dramma intimo e costante del partito socialista.

Ma il socialismo, in definitiva, fu sempre il trionfatore contro tutte le sue deviazioni e caricature. (...) nella storia del nostro partito l'anarchismo fu rintuzzato, il labriolismo finì al potere, il ferrismo, anticipazione, come ho detto, del graziadeismo [nuova ilarità], fece le capriole che sapete, l'integralismo stesso sparì e rimase il nucleo vitale: il marcio riformismo, secondo alcuni, il socialismo, secondo noi, il solo vero, immortale, invincibile socialismo, che tesse la sua tela ogni giorno, che non fa sperare miracoli, che crea coscienze, sindacati, cooperative, conquista leggi sociali utili al proletariato, sviluppa la cultura popolare (senza la quale saremo sempre a questi ferri e la demagogia sarà sempre in auge), si impossessa dei Comuni, del Parlamento, e che, esso solo, lentamente, ma sicuramente, crea con la maturità della classe, la maturità degli animi e delle cose, prepara lo Stato di domani e gli uomini capaci di manovrarne il timone. (...)

La guerra doveva rincrudire il fenomeno. La lotta sarà più dura, più tenace e più lunga, ma la vittoria è sicura anche questa volta. (...)

Fra qualche anno il mito russo, che avete il torto di confondere con la rivoluzione russa, alla quale io applaudo con tutto il cuore (Voce - Viva la Russia!) .... il mito russo sarà evaporato ed il bolscevismo attuale o sarà caduto o si sarà trasformato. Sotto le lezioni dell'esperienza (...) le vostre affermazioni d'oggi saranno da voi stessi abbandonate, i Consigli degli operai e dei contadini ( e perché no dei soldati?) avranno ceduto il passo a quel grande Parlamento proletario, nel quale si riassumono tutte le forze politiche ed economiche del proletariato italiano, al quale si alleerà il proletariato di tutto il mondo.

Voi arriverete così al potere per gradi… Avrete allora inteso appieno il fenomeno russo, che è uno dei più grandi fatti della storia, ma di cui voi farneticate la riproduzione meccanica e mimetistica, che è storicamente e psicologicamente impossibile, e, se possibile fosse, ci ricondurrebbe al Medio evo.

Avrete capito allora, intelligenti come siete [ilarità], che la forza del bolscevismo russo è nel peculiare nazionalismo che vi sta sotto, nazionalismo che del resto avrà una grande influenza nella storia del mondo, come opposizione ai congiurati imperialismi dell'Intesa e dell'America, ma che è pur sempre una forma di imperialismo.

Questo bolscevismo, oggi - messo al muro di trasformarsi o perire - si aggrappa a noi furiosamente, a costo di dividerci, di annullarci, di sbriciolarci; s'ingegna di creare una nuova Internazionale pur che sia, fuori dell'Internazionale e contro una parte di essa, per salvarsi o per prolungare almeno la propria travagliata esistenza; ed è naturale, e non comprendo come Serrati se ne meravigli e se ne sdegni, che essa domandi a noi, per necessità della propria vita, anzi della vita del proprio governo, a noi che ci siamo fatti così supini, e che preferiamo esserne strumenti anziché critici, per quanto fraterni, ciò che non oserà mai domandare né al socialismo francese né a quello di alcun altro paese civile. Ma noi non possiamo seguirlo ciecamente, perché diventeremmo per l'appunto lo strumento di un imperialismo eminentemente orientale, in opposizione al ricostituirsi della Internazionale più civile e più evoluta, l'Internazionale di tutti i popoli, l'Internazionale definitiva.

Tutte queste cose voi capirete fra breve e allora il programma, che state (...) faticosamente elaborando e che tuttavia ci vorreste imporre, vi si modificherà fra le mani e non sarà più che il vecchio programma.

Il nucleo solido, che rimane di tutte queste cose caduche, è l'azione: l'azione, la quale non è l'illusione, il precipizio, il miracolo, la rivoluzione in un dato giorno, ma è l'abilitazione progressiva, libera, per conquiste successive, obbiettive e subiettive, della maturità proletaria alla gestione sociale. Sindacati, Cooperative, poteri comunali, azione parlamentare, cultura ecc., ecc., tutto ciò è il socialismo che diviene.

E, o compagni, non diviene per altre vie. Ancora una volta vi ripeto: ogni scorcione allunga il cammino; la via lunga è anche la più breve... perché è la sola. E l'azione è la grande educatrice e pacificatrice. Essa porta all'unità di fatto, la quale non si crea con le formule e neppure con gli ordini del giorno, per quanto abilmente congegnati, con sapienti dosature farmaceutiche di fraterno opportunismo. Azione prima e dopo la rivoluzione - perché dentro la rivoluzione - perché rivoluzione essa stessa. Azione pacificatrice, unificatrice. (...)

Ond'è, che quand'anche voi avrete impiantato il partito comunista e organizzati i Soviet in Italia, se uscirete salvi dalla reazione che avrete provocata e se vorrete fare qualche cosa che sia veramente rivoluzionario, qualcosa che rimanga come elemento di società nuova, voi sarete forzati, a vostro dispetto - ma lo farete con convinzione, perché siete onesti - a ripercorrere completamente la nostra via, la via dei social-traditori di una volta; e dovrete farlo perché è la via del socialismo, che è il solo immortale, il solo nucleo vitale che rimane dopo queste nostre diatribe. E dovendo fare questa azione graduale, perché tutto il resto è clamore, è sangue, orrore, reazione, delusione; dovendo percorrere questa strada, voi dovrete fino da oggi fare opera di ricostruzione sociale.

Io sono qui alla sbarra, dovrei avere le guardie rosse accanto... [Si ride], perché, in un discorso pronunziato il 26 giugno alla Camera: Rifare l'Italia!, cercai di sbozzare il programma di ricostruzione sociale del nostro paese. Ebbene, leggetelo quel discorso, che probabilmente non avete letto, ma avete fatto male [Ilarità]. Quando lo avrete letto, vedrete che questo capo di imputazione, questo corpo di reato, sarà fra breve il vostro, il comune programma. [Approvazioni].

Voi temete oggi di ricostruire per la borghesia, preferite di lasciar crollare la casa comune, e fate vostro il "tanto peggio, tanto meglio!" degli anarchici, senza pensare che il "tanto peggio" non dà incremento che alla guardia regia ed al fascismo. [Applausi].

Voi non intendete ancora che questa ricostruzione, fatta dal proletariato con criteri proletari, per se stesso e per tutti, sarà il miglior passo, il miglior slancio, il più saldo fondamento per la rivoluzione completa di un giorno. Ed allora, in quella noi trionferemo insieme.

Io forse non vedrò quel giorno: troppa gente nuova è venuta che renderà aspra la via, ma non importa.

Maggioranza o minoranza non contano. Fortuna di Congressi, fortuna di uomini, tutto ciò è ridicolo di fronte alle necessità della storia.

Ciò che conta è la forza operante, quella forza per la quale io vissi e nella cui fede onestamente morrò uguale sempre a me stesso.

Io combatterei per essa. Io combatterei per il suo trionfo: e se trionferà anche con voi, è perché questa forza operante non è altro che il socialismo.

Evviva il Socialismo!»

Amadeo Bordiga

L'intervento di Turati fu particolarmente applaudito anche dai massimalisti[14][15]: ciò avrebbe spinto successivamente il segretario del partito Egidio Gennari a sottolineare che i riformisti, che hanno sempre rappresentato un pericolo perché non si sono mai tenuti fedeli alla disciplina, «nel partito sono molti di più che non si credeva»[16].

Il consenso riscosso da Turati fece commentare alla sua compagna Anna Kuliscioff come il leader riformista «da accusato e quasi condannato» fosse «diventato trionfatore del congresso»[17].

Nonostante ciò, la componente riformista venne comunque emarginata; prevalsero nel PSI le spinte pseudorivoluzionarie della maggioranza massimalista che, inebriata dalla Rivoluzione d'ottobre, ma priva di iniziativa, non vedeva i pericoli della reazione che provocava.

Turati contestato da ogni parte[modifica | modifica wikitesto]

Turati era attaccato da tutti: dai comunisti, che già allora lo consideravano un "traditore" della classe operaia per non aderire alle indicazioni che venivano dalla Russia sovietica; dai fascisti e infine dagli esponenti massimalisti del suo stesso partito.

Anche un amico come Camillo Olivetti nel 1922 scrisse sulla rivista settimanale Tempi Nuovi, da lui finanziata, un articolo che dava di Turati un duro giudizio politico, anche se mitigato da attestazioni di stima personale:

«Conosco Turati da trent'anni e gli sono amico. È una brava persona, il che, trattandosi di un uomo politico, non è piccolo elogio. Non è uomo di azione: in lui lo spirito critico predomina e senza renderlo scettico, lo rende qualche volta perplesso nelle decisioni e gli fa piuttosto preferire le soluzioni dilatorie a quelle risolutive. Se non fosse stato così nel marzo del 1894, dopo le giornate di Adua, e forse sulle prime giornate di maggio del 1898 avrebbe potuto promuovere un moto che avrebbe portato a profondo rivolgimento politico e sociale (più politico che sociale) nel Paese, moto che, io credo sarebbe stato allora salutare. Invece ebbe paura di assumersi una responsabilità e nicchiò quando sarebbe stato necessario essere pronti e audaci: alla folla che domandava la parola eccitatrice e guidatrice egli preferì rivolgere la frase dilatoria che non fu sufficiente a trattenere l'impeto, ma ne smorzò il vigore sì da impedire una possibile vittoria, dar agio alla reazione di trionfare se pur per breve tempo. Così tutta la sua tattica in relazione con le tendenze e con l'azione del partito socialista è improntata ad un'indecisione che è in fondo dovuta al suo animo intimamente onesto e non settario, come quello della maggior parte dei suoi colleghi, ma che lo rende inadatto a capeggiare un partito che, come è stato e condotto e reclutato in questi ultimi anni, deve essere un partito di azione e forse di rivoluzione se vuol vivere. La sua azione come uomo parlamentare è stata nefasta: di lui si può dire il contrario di quello che Goethe fa dire a Mefistofele: "Egli è l'uomo che pensa il bene e fa il male". [...] Io giudico il Turati certamente un uomo di grande ingegno, grande coltura e animo retto, ma mancante di energia e capacità di coordinare il fine che si propone, ai mezzi e agli uomini che si hanno a disposizione ed all'ambiente in cui si opera.»

Nel 1926 Camillo Olivetti e il figlio Adriano contribuirono a organizzare, con Ferruccio Parri e Carlo Rosselli, l'espatrio di Turati in Francia.

La nascita del Partito Socialista Unitario[modifica | modifica wikitesto]

Giacomo Matteotti

La sera del 3 ottobre 1922, pochi giorni prima della Marcia su Roma di Mussolini (27-31 ottobre 1922), il XIX Congresso del Partito Socialista Italiano espulse infine i riformisti di Turati dal partito, con l'accusa di aver violato il divieto di collaborazione con i partiti borghesi, in quanto Turati si era presentato alle consultazioni del re per la costituzione del nuovo governo, che videro il fallimento di un nuovo ministero Giolitti e l'incarico al senatore Luigi Facta.

La mozione massimalista di Giacinto Menotti Serrati e Fabrizio Maffi prevalse di stretta misura, per 32.106 voti contro 29.119[18]. Rassegnato, Turati così espresse il rammarico degli esponenti della mozione riformista: «Noi ci separiamo da voi: o, forse più esattamente (non vi sembri una sottigliezza), voi vi separate da noi. Comunque ci separiamo. Accettiamo l'esito della votazione.» Terminò con queste parole: «Accomiatiamoci al grido augurale di "Viva il socialismo!", auspicando che questo grido possa un giorno - se sapremo esser saggi - riunirci ancora una volta in un'opera comune di dovere, di sacrificio, di vittoria!.»[19]

Tessera del PSU del 1922

Turati diede quindi vita, insieme a Giacomo Matteotti, Giuseppe Emanuele Modigliani e Claudio Treves, al Partito Socialista Unitario, di cui Matteotti fu nominato segretario[20]. Treves assunse la direzione de La Giustizia, che venne trasferita da Reggio Emilia a Milano e divenne l'organo ufficiale del nuovo partito. Nelle file del PSU confluirono oltre i due terzi del gruppo parlamentare socialista[18].

La risposta al discorso di Mussolini del 16 novembre 1922[modifica | modifica wikitesto]

Il 16 novembre 1922 alla Camera dei deputati Mussolini presentò il suo governo, a seguito dell'incarico ricevuto dal re Vittorio Emanuele III dopo la marcia su Roma, e pronunciò arrogantemente un famoso discorso in cui affermò:

«[...] Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli [...] potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto [...].»

Gli rispose il giorno dopo, unico in una platea di oppositori silenti, forse sbigottiti dalla violenza verbale del discorso del futuro duce, il vecchio Turati, che pronunciò un discorso, altrettanto duro e veemente, di condanna del leader fascista e di denuncia dell'ignavia dei parlamentari delle altre forze politiche, poi divenuto noto con il titolo "Il Parlamento è morto" o "Il bivacco della Camera"[21][22]

Affermò Turati:

«[...] La Camera non è chiamata a discutere e a deliberare la fiducia; è chiamata a darla; e, se non la dà, il Governo se la prende. È insomma la marcia su Roma, che per voi è cagione di onore, la quale prosegue, in redingote inappuntabile, dentro il Parlamento. Ora, che fiducia può accordare una Camera in queste condizioni? Una Camera di morti, di imbalsamati, come già fu diagnosticata dai medici del quarto potere? [...] Si ebbe l'impressione di un'ora inverosimile, di un'ora tolta dalle fiabe, dalle leggende; quasi direi un'ora gaia (sic!) dopo che, dicevo, il nuovo Presidente del Consiglio vi aveva parlato col frustino in mano, come nel circo un domatore di belve - oh! Belve, d'altronde, deh quanto narcotizzate! - e lo spettacolo offerto delle groppe offerte allo scudiscio e del ringraziamento di plausi ad ogni nerbata [...]»

Riferendosi poi alla richiesta di Mussolini di modificare la legge elettorale per garantire alla lista più votata un enorme premio di maggioranza (che diverrà poi la cosiddetta "Legge Acerbo", dal nome del parlamentare fascista che la propose), il che avrebbe comportato il rinvio della data delle elezioni per consentire l'approvazione della nuova legge, disse:

«So bene, onorevoli colleghi, che la cagione del compromesso — che sarà breve, e quindi inutile, che la Camera inutilmente accetterà — è che le elezioni turbano molti interessi personali, e di gruppi, e di camarille, e da troppi rettori quindi si innalza il grido: averte a me calicem istum. Anche perché non sono molti i quali credano — oh, certo a torto; ma la gente è tanto diffidente ! — che le elezioni, sotto il dominio vostro, dati i precedenti che vi condussero al Governo, assicureranno la libertà elettorale, ossia saranno vere elezioni [...]»

Una voce all'estrema destra: «Vi piacerebbero quelle del 1920!»

Turati: «Non le abbiamo fatte noi.»

Giunta: «Le faremo col manganello!» (Vivi rumori — Commenti alla estrema sinistra — Vivaci proteste del deputato Salvadori che abbandona l'Aula — Applausi alla estrema sinistra — Commenti) [..]

Turati:

«[...] Voi avete parlato [...] anche del suffragio universale come di un giocattolo, che si deve pur concedere a questo stupido e impaziente bambino che è il popolo, perché se ne balocchi a sazietà [...]. Per noi — a differenza e in contrasto diametrale con ciò che voi avete proclamato — per noi codini e "lamentevoli zelatori del supercostituzionalismo" il suffragio universale, libero, rispettato, efficace (e con ciò diciamo anche la proporzionale non adulterata, senza cui il suffragio è un inganno e una sopraffazione); per noi il suffragio universale, malgrado i suoi errori, che soltanto esso può correggere, è la sola base di una sovranità legittima; — ma che dico legittima ? — di una sovranità che possa, nei tempi moderni, vivere, agire, permanere […] Indire subito le elezioni, risparmiandosi la farsa di questa convocazione della Camera, era il vostro dovere! Né noi avevamo ragione alcuna di temerle [...]. Ma ciò, lo comprendo perfettamente, vi faceva perdere tempo [...]»

Mussolini: «Naturale!»

Turati:

«[...] e voi avete molta fretta. [...] Chiedete i pieni poteri [...] anche in materia tributaria; il che significa che abolite il Parlamento, anche se lo lasciate sussistere, come uno scenario dipinto, per il vostro comodo. Gli chiedete di svenarsi. Vi obbedirà [...]»

Le elezioni del 1924 e l'assassinio di Matteotti[modifica | modifica wikitesto]

Il simbolo del Partito Socialista Unitario alle elezioni politiche del 1924
18 agosto 1924 - i deputati socialisti unitari Enrico Gonzales, Filippo Turati e Claudio Treves alla Quartarella per rendere onore alla salma di Matteotti

Nelle successive elezioni politiche del 1924 il PSU si presentò autonomamente, risultando più votato (5,9%) rispetto alle liste dei socialisti massimalisti di Serrati (4,9%) e dei comunisti (3,8%). Il 10 giugno 1924 il segretario del PSU, l'on. Giacomo Matteotti, venne rapito e ucciso da alcuni squadristi.

A seguito del delitto commesso dai fascisti, Turati cercò, assieme ai rappresentanti delle altre forze democratiche di opposizione, di ottenere dal re la destituzione di Mussolini da Capo del governo, magari con il ritorno all'esecutivo dell'anziano Giolitti. Stante l'appoggio del monarca al capo fascista, partecipò, come gli altri parlamentari di opposizione, alla secessione dell'Aventino.

L'ammirazione per Pier Giorgio Frassati[modifica | modifica wikitesto]

L'8 luglio 1925, quattro giorni dopo la morte di Pier Giorgio Frassati – il cui funerale a Torino aveva manifestato una fama di santità – Turati scrisse su La giustizia, giornale del suo partito, un elogio spassionato di quel «giovane ricco»[23], che «confessava la sua fede con aperta manifestazione di culto, concependola come una milizia, come una divisa che si indossa in faccia al mondo, senza mutarla con l’abito consueto per comodità, per opportunismo, per rispetto umano» e che «disfidava i facili scherni degli scettici, dei volgari, dei mediocri, partecipando alle cerimonie religiose, facendo corteo al baldacchino dell’Arcivescovo in circostanze solenni»[24]. Parole che fecero scalpore, dal momento che, in quanto marxista, Turati era ritenuto da tutti dover essere anche ateo e ostile alla religione.

Lo scioglimento d'imperio del PSU[modifica | modifica wikitesto]

Il PSU di Turati fu, forse, il partito più perseguitato dal regime fascista. Oltre alla barbara uccisione del suo segretario Matteotti, fu il primo a essere sciolto d'imperio, il 14 novembre 1925, a causa del fallito attentato a Mussolini da parte del suo iscritto Tito Zaniboni, avvenuto il 4 novembre precedente.

Tuttavia, già il 26 novembre 1925 si costituì un triumvirato, composto da Claudio Treves, Giuseppe Saragat e Carlo Rosselli che, il 29 novembre successivo, ricostituì clandestinamente il PSU come Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).

Peraltro, quasi un anno dopo, nella notte tra il 19 e il 20 novembre 1926, Treves e Saragat furono costretti a espatriare clandestinamente in Svizzera, grazie all'organizzazione di Rosselli e Parri che, per questo e per aver programmato la fuga dall'Italia di Turati e Pertini, verranno arrestati e prima reclusi in carcere, poi inviati al confino a Lipari.

La fuga in Francia[modifica | modifica wikitesto]

A un anno dalla morte della sua amata Anna Kuliscioff e deluso dal consolidamento del regime fascista, anche Turati, su pressione dei suoi compagni, decise di lasciare l'Italia. Le motivazioni della fuga di Turati le raccontò Sandro Pertini a Sergio Zavoli in un'intervista nel programma Rai Nascita di una dittatura del 1972[25]:

Sandro Pertini nei primi anni venti del XX secolo

«Noi volevamo giustamente, Carlo Rosselli, Parri, Bauer, che Turati andasse all'estero, perché se rimaneva in Italia, come rimasero poi Malatesta e Costantino Lazzari, davano l'impressione all'estero, agli osservatori stranieri, che in Italia una libertà c'era ancora, se potevano vivere liberamente uomini come Filippo Turati, l'anarchico Malatesta, Costantino Lazzari[26]... E poi anche per questa ragione noi volevamo che Filippo Turati andasse all'estero, per far sentire di fronte all'opinione pubblica straniera la protesta di tutti gli italiani che giacevano sotto la dittatura fascista...»

Ferruccio Parri
Carlo Rosselli

Nel 1926, dopo aver inutilmente richiesto la concessione del passaporto,[27] il 21 novembre lasciò nottetempo la propria abitazione, ormai da tempo sottoposta a sorveglianza dalla polizia, rifugiandosi in casa di amici a Varese[28].

Dopo aver scartato l'ipotesi iniziale di una fuga via terra in Svizzera come Treves e Saragat (data l'età e le condizioni di salute dell'anziano leader socialista), si decise infine di farlo espatriare clandestinamente via mare. Il 12 dicembre 1926, a bordo di un motoscafo, l'Oriens, il gruppo dei transfughi salpò da Savona e giunse a Calvi in Corsica[29]. Riferirà Turati[28]:

«Con un mare indiavolato, con le onde che riempivano il brevissimo motoscafo, con il cielo senza stelle, con una bussola folle navigammo a lungo, senza essere certi della rotta...»

Così ha raccontato l'avventuroso episodio l'altro protagonista della fuga, Sandro Pertini:[30]

«[…] Dopo le leggi eccezionali l'Italia era diventata un gigantesco carcere e noi dovevamo fare in modo che Filippo Turati, che consideravamo la persona più autorevole dell'antifascismo, potesse recarsi all'estero e da lì condurre la lotta, accusando davanti al mondo intero la dittatura fascista.»

«Fui io a consigliare la fuga per mare con un motoscafo che sarebbe partito dalla mia Savona. Rosselli e Parri temevano che il litorale ligure fosse troppo sorvegliato. Ma io decisi di andare a Savona, in bocca ai miei nemici, e lì incontrai due esperti marinai, De Bova e Oxilia, ai quali va la mia gratitudine: essi mi confermarono che era possibile raggiungere la Corsica con un motoscafo capace di tenere l'alto mare. L'8 dicembre, eludendo ogni vigilanza, si riesce a condurre Turati nella mia città. Turati rimase nascosto con me a Quiliano, vicino a Savona, in casa di un mio caro amico, Italo Oxilia. Dormivamo nella stessa stanza, Turati soffriva d'insonnia e passava le ore discorrendo con me della triste situazione creata dal fascismo e della necessità della sua partenza, ma anche dello strazio che questa partenza rappresentava per il suo animo.»

12 dicembre 1926 - Lorenzo De Bova, Filippo Turati, Carlo Rosselli, Sandro Pertini e Ferruccio Parri a Calvi, in Corsica, dopo la fuga in motoscafo da Savona

Alle prime luci dell'alba l'Oriens giunse in vista della costa corsa, non sul lato di Bastia come previsto, ma dalla parte opposta. I fuggiaschi, sfiniti, sbarcarono a Calvi, attirando subito l'attenzione della gendarmeria del porto. Alla richiesta rivolta al comandante dell'imbarcazione di identificarsi, si fece avanti Turati. Il suo nome bastò a rendere i gendarmi cordiali e premurosi. Il locale circolo repubblicano non appena apprese la notizia dello sbarco di una personalità così autorevole si affrettò a improvvisare una cerimonia di benvenuto. Nonostante la terribile notte appena trascorsa, Turati non si sottrasse, in un impeccabile francese tenne un breve discorso di ringraziamento: descrisse l'Italia in catene, inneggiò alla lotta per la libertà e salutò con riconoscenza la libera terra di Francia[31].

Ricordò Pertini[30]:

«[…] Il Governo e i socialisti francesi ci diedero subito la loro solidarietà e il benvenuto. Molti giornalisti arrivarono a Calvi da Bastia e pubblicarono imprudentemente la notizia che Turati era arrivato in Francia con Carlo Rosselli e Ferruccio Parri. Pernottammo a Calvi, Turati voleva indurre Rosselli a restare con noi, a non far ritorno in Italia, ma vane furono le nostre insistenze. Così la mattina dopo il motoscafo ripartiva con Oxilia, De Bova, Boyancè e il giovane meccanico del motoscafo Ameglio. Con essi erano anche Parri e Rosselli. L'addio fu straziante. Ci abbracciammo senza pronunciare parola cercando di trattenere la profonda commozione. Rosselli toglie il tricolore che avevamo issato a bordo, e lo agita. È l'estremo saluto della Patria per Turati ed anche per me. Turati con gli occhi pieni di lacrime mi disse: "Io sono vecchio, non tornerò più vivo in Italia". Rimanemmo sul molo finché potemmo vedere i nostri compagni.»

Il giorno seguente, dopo che il governo francese aveva accolto la loro richiesta di asilo politico, Turati e Pertini si imbarcarono sul postale per Nizza; Rosselli, Parri e il resto dell'equipaggio dell'Oriens fecero invece rotta per l'Italia. I giornali francesi, al contrario di quelli italiani che relegarono la notizia a un trafiletto nelle pagine più interne, diedero grande risalto alla fuga di Turati[31].

Il processo di Savona[modifica | modifica wikitesto]

Tra gli organizzatori della fuga di Turati e Pertini vi furono Camillo e Adriano Olivetti, Ferruccio Parri e, grande stratega, Carlo Rosselli.

Ferruccio Parri e Carlo Rosselli[32] vennero arrestati al loro rientro in Italia dalla Corsica, mentre l'Oriens attraccava al pontile Walton di Marina di Carrara. Il loro aspetto lacero e trasandato dopo giorni di navigazione attirò l'attenzione della polizia, che li scambiò per dei complici del bandito Pollastri. Invano cercarono di far credere che stessero rientrando da una gita turistica; fu sufficiente un controllo con la questura di Milano per scoprire che nei loro confronti era stato emesso un mandato di cattura per la complicità nella sfortunata fuga di Ansaldo e Silvestri. A questa accusa si aggiunse poi quella relativa all'espatrio clandestino di Turati. Per il primo reato furono prosciolti, per il secondo furono invece rinviati a giudizio. Le indagini dell'OVRA e della polizia portarono anche all'arresto degli altri complici.

Il processo fu celebrato dalla Corte di Assise di Savona nel settembre del 1927. I magistrati membri del collegio giudicante, Pasquale Sarno, Giovannantonio Donadu e Angelo Guido Melinossi, in un estremo sussulto di indipendenza della magistratura ordinaria rispetto al potere esecutivo, decisero di negare la natura "politica" dell'espatrio di Turati, il che permise loro di non dichiararsi incompetenti per i reati contestati agli organizzatori della fuga di Turati e ai loro complici, evitando così che essi dovessero comparire dinanzi al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, istituito nel novembre del 1926 per reprimere gli oppositori del regime.

I giornalisti furono ammessi alle udienze, ma la censura di regime fece sì che nelle pagine di cronaca giudiziaria dei quotidiani nazionali comparissero resoconti in cui gli imputati venivano descritti come dei comuni criminali, omettendo ogni accenno al significato politico della loro impresa. Le appassionate denunce pronunciate in aula da Parri e da Rosselli contro il fascismo vennero ridotte, da giornali pur autorevoli come "La Stampa", a generiche e impacciate affermazioni «che vorrebbero giustificare la violazione della legge commessa dagli imputati.»

I savonesi riuscirono comunque a trovare il modo di esprimere la loro indignazione verso il regime. Nonostante la modesta capienza dell'aula, il pubblico, dì tutti i ceti sociali, partecipò numeroso e non esitò a manifestare con mormorii di approvazione e applausi il proprio sostegno agli imputati. La calorosa partecipazione del pubblico e soprattutto la tempra morale di Rosselli, di Parri e dei loro avvocati trasformarono il processo in un atto di accusa contro il fascismo e le sue leggi liberticide, che si erano spinte sino a negare uno dei diritti più elementari dei cittadini come quello di espatriare. La giornalista inglese Barbara Barclay Carter, inviata dal Manchester Guardian, osservò: «Non è lui, Rosselli, l'imputato, ma tutto il fascismo, che egli inchioda alla sbarra»[31].

Il Tribunale di Savona condannò Ferruccio Parri, Carlo Rosselli, De Bova e Boyancè a dieci mesi di carcere[33]: una sentenza, rispetto alle previsioni, particolarmente mite: Rosselli, avendo già scontati otto mesi di reclusione, avrebbe potuto essere presto libero, ma le nuove leggi speciali permisero alla polizia di infliggergli altri 3 anni di confino, da scontare a Lipari. Anche Turati e Pertini vennero condannati in contumacia a dieci mesi per espatrio clandestino. Italo Oxilia fu condannato al confino in contumacia[34] e gli venne confiscata la casa e il terreno a Quiliano lasciatigli in eredità dal padre.

L'esilio e la morte[modifica | modifica wikitesto]

Raccontò ancora Pertini:[30]

«... La mattina dopo ci imbarcammo sul traghetto per Nizza e di lì proseguimmo per Parigi dove trovammo Nenni, Modigliani, Treves e tanti altri. Turati mi offrì la sua assistenza economica, ma io rifiutai e decisi di guadagnarmi da vivere facendo i lavori più umili.»

Nei primi tempi del suo soggiorno parigino il grande vecchio del socialismo italiano fu conteso dalla stampa di sinistra. In un'intervista rilasciata all'organo radicale "Oeuvre", negò di aver lasciato Milano perché la sua vita fosse in pericolo: «Non avrebbero osato toccare il vecchio Turati. Solo che avevo nell'ingresso di casa mia poliziotti in continuazione (...). Alla fine mi sono sentito soffocare. Non ne potevo più di vivere così. È per questo che sono partito». Alla domanda se prevedesse di poter rientrare in patria in tempi brevi rispose: «Ho lasciato laggiù i miei, la mia casa, i miei libri. È stato uno sradicamento. L'ho fatto, rassegnato a non vederli sicuramente più»[31].

Turati con Claudio Treves e Carlo Rosselli (in piedi) in esilio a Parigi nel 1932

Turati s'inserì nella colonia dei rifugiati antifascisti italiani di Parigi. Qui svolse un'intensa attività politica, rimanendo, sino alla morte, il faro dell'antifascismo democratico italiano[35]. Turati, pur sconfitto e invecchiato, non perse mai la sua grandezza d'animo e la visione lucida del dramma che l'Italia e la classe operaia stavano vivendo. Fu l'anima del suo partito che, nel 1927, assunse la denominazione di Partito Socialista Unitario dei Lavoratori Italiani (PSULI).

Nell'aprile 1927 fu uno dei fondatori della Concentrazione Antifascista, che raggruppava tutti i movimenti e i partiti antifascisti italiani in esilio a Parigi, con l'autoesclusione dei comunisti, ligi alla dottrina sovietica del socialfascismo. Collaborò a vari giornali: tra gli altri, il quindicinale Rinascita socialista, organo del PSLI, diretto dall'amico e compagno di partito Claudio Treves e il settimanale La Libertà, organo della Concentrazione Antifascista.

S'impegnò, assieme a Giuseppe Saragat, nell'unificazione socialista in esilio: il 19 luglio 1930, in occasione del XXI Congresso socialista, tenutosi in esilio a Parigi, la maggioranza del PSI, guidata da Pietro Nenni, abbandonò definitivamente l'ala massimalista guidata da Angelica Balabanoff e si riunificò con il PSULI, assumendo assieme la denominazione di "Partito Socialista Italiano - Sezione dell'I.O.S - Internazionale Operaia Socialista". Organo del partito fu il "Nuovo Avanti!".

Filippo Turati e Bruno Buozzi a Parigi

Inoltre, pure convinto della necessità di una solidarietà fra tutte le forze antifasciste, continuò a denunciare il carattere totalitario e liberticida del comunismo sovietico. Filippo Turati si spense nella capitale francese il 29 marzo 1932, in casa di Bruno Buozzi.

Ai suoi funerali parteciparono tutti gli esponenti antifascisti italiani in esilio in Francia (con l'esclusione dei comunisti che, anzi, in omaggio alla dottrina del cosiddetto "socialfascismo" imposta da Mosca, gli dedicarono epitaffi definendolo "traditore" dei lavoratori) e i rappresentanti dei partiti socialisti e socialdemocratici europei, oltre a una grande marea di popolo.

Lapide commemorativa di Filippo Turati sulla sua casa natale a Canzo

In sua memoria fu dedicata la tessera del PSI del 1933.[36] Turati venne cremato, ma le sue ceneri, assieme a quelle di Claudio Treves, furono riportate in Italia soltanto il 10 ottobre 1948 e tumulate al Cimitero Monumentale di Milano, accompagnate da un'imponente manifestazione di autorità e popolo.[37][38][39]

Il pensiero politico[modifica | modifica wikitesto]

Karl Marx nel 1875

Filippo Turati si definiva marxista, ma interpretava la dottrina di Marx in maniera non dogmatica: l'emancipazione del proletariato costituisce l'obiettivo, ma si deve mirare a ottenerla attraverso le riforme. Tutto ciò che può portare a un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori è buono, anche se calato dall'alto; il socialismo è la stella polare della società, ma sino al suo avvento è bene cooperare con il capitalismo. Vi sono situazioni in cui la cooperazione non va rifiutata dai socialisti, le riforme possono essere più positive della contrapposizione di classe; vi sono tanti socialismi, che possono e devono adeguarsi ai vari stati e alle varie epoche.

Quello di Turati era un socialismo che rifiutava ogni suggestione del tutto e subito. Turati era, comunque, un socialista a tutti gli effetti, perché aveva come obiettivo il trasferimento della proprietà dei mezzi di produzione in mano pubblica, ma in maniera graduale. Il proletariato non si può emancipare di colpo, non si può credere nell'"illuminazione" rivoluzionaria: non rivoluzione, ma evoluzione graduale.

Foto di Filippo Turati, con dedica: "Se non ci ingegneremo a fare in modo che il "sole dell'avvenire" proietti alcuni dei suoi raggi per illuminare e riscaldare il presente, saremo simili ai preti che, promettendo ai poveri il paradiso, garantiscono intanto ai privilegiati il regno della terra" (19 gennaio 1907)

Il tempo del socialismo è un lungo tempo storico fatto di mediazione e di ragionevolezza: il proletariato raggiungerà la maturità attraverso le riforme; il riformismo è lo strumento per arrivare alla consapevolezza e deve abituare il proletariato alla sua futura evoluzione. Compiti del riformismo sono quelli di educare le coscienze, di creare reale solidarietà tra le classi subalterne.

Per Turati, se il proletariato è ancora immaturo, la rivoluzione sarebbe dannosa: il massimalismo significa contestazione, non migliora la condizione del proletariato, non è detto che porti a dei risultati evocare una selvaggia lotta di classe; anzi, tale lotta di classe porterebbe alla distruzione dell'economia, costringendo il proletariato a una miseria ancora più cruda.

In un suo brano del 1900 egli spiega la sua concezione di "rivoluzione": «ogni scuola che si apre, ogni mente che si snebbia, ogni spina dorsale che si drizza, ogni abuso incancrenito che si stradica, ogni elevamento del tenore di vita dei miseri, ogni legge protettiva del lavoro, se tutto ciò è coordinato ad un fine ben chiaro e cosciente di trasformazione sociale, è un atomo di rivoluzione che si aggiunge alla massa. Verrà il giorno che i fiocchi di neve formeranno valanga. Aumentare queste forze latenti, lavorarvi ogni giorno, è fare opera quotidiana di rivoluzione, assai più che sbraitare pei tetti la immancabile rivoluzione che non si decide a scoppiare»[40].

Turati era un pensatore pacifista: la guerra non può risolvere alcun problema. Era avversario del fascismo, ma anche fortemente critico nei confronti della rivoluzione sovietica, che riteneva un fenomeno geograficamente limitato e non esportabile e che non faceva uso di intelligenza, libertà, e civiltà.[senza fonte].

Per Turati il fascismo non era solo mancanza di libertà, ma una minaccia per l'ordine mondiale: egli individuava elementi comuni tra fascismo e bolscevismo perché entrambi ripudiavano i valori del parlamentarismo. In quest'ottica, vale la pena di fare un pezzo di strada assieme al liberalismo per difendere la libertà.[senza fonte].

Condanne e riabilitazioni[modifica | modifica wikitesto]

Togliatti e altri dirigenti comunisti a una riunione del Comintern

La sua visione del socialismo fu, per i tempi, moderna e democratica, ma dovette confrontarsi con la violenza verbale e talvolta anche fisica dei militanti del Partito Comunista d'Italia contro i socialisti gradualisti, spregiativamente definiti socialfascisti, traditori della classe operaia da combattere, in ossequio alla concezione sancita fino al 1935 dal Comintern e conseguentemente adottata dai comunisti italiani.

Così Palmiro Togliatti, su "Lo Stato Operaio" dell'aprile 1932, mentre si trovava rifugiato a Mosca, dedicò a Turati un feroce necrologio:[41]

«TURATIANA In tutto quello che la stampa socialdemocratica ha detto su Filippo Turati, sulla sua vita e sulle sue opere, e, particolarmente, nella leggenda che essa mette in giro, secondo la quale Turati sarebbe il capo, il maestro, il messia del movimento operaio e della lotta di classe in Italia, vi è solamente questo di vero: che nella persona e nella attività di Turati si sommarono e toccarono una espressione completa di tutti gli elementi negativi, tutte le tare, tutti i difetti che sin dalle origini viziarono e corruppero il movimento socialista italiano, che lo fecero deviare dagli obiettivi rivoluzionari del movimento operaio, che lo condannarono al disastro, al fallimento, alla rovina. Per questo la sua vita può ben essere presa come un simbolo, e come un simbolo è la insegna del tradimento e del fallimento. Tradimento degli interessi, delle aspirazioni, degli ideali di classe del proletariato. Una vita intera spesa per cercar di fare argine alla lotta di classe rivoluzionaria e al suo corso inesorabile, per tentar di porre un freno allo sviluppo della azione autonoma della classe operaia per la propria emancipazione. Una intera vita politica spesa per servire i nemici di classe del proletariato, per servirli nel seno stesso del movimento operaio. […] E qui bisogna sfatare un'altra leggenda, quella di Turati onesto, addirittura sincero e così via. Turati fu tra i più disonesti dei capi riformisti, perché fu tra i più corrotti dal parlamentarismo e dall'opportunismo. La sua attività fu un veicolo continuo di corruzione parlamentare nelle file del movimento operaio. Il suo metodo di mantenersi alla testa del partito era quello di un corruttore. Tutte le risorse del parlamentarismo e dell'opportunismo vennero da lui adoperate per rimanere, di fatto, a capo del Partito socialista e del movimento operaio italiano anche quando la grande massa non solo degli iscritti, ma dei lavoratori senza partito era contro di lui e spingeva il partito in un'altra direzione. La sua abilità di parlamentare incarognito si piegò alle distinzioni più sottili, alle più perfide soluzioni di compromesso. […] L'ultimo episodio di politica turatiana fu l'Aventino, e fu, esso pure, tradimento e fallimento. Rifugiato all'estero, il suo atteggiamento e i suoi scritti erano diventati cose miserande, esercitazioni letterarie vuote, tronfie, ridicole. Era tagliato fuori del tutto dalla comprensione della situazione presente, rimasticava i luoghi comuni della mistica democratica e la sua ostilità alla Rivoluzione russa, aspettava - ma non era in grado di fare niente altro - che gli si offrisse nuovamente il destro di rendere servizio attivo, in prima linea, per la causa dell'ordine. […] Filippo Turati fu nemico acerrimo del nostro partito e noi fummo e rimaniamo suoi acerrimi nemici, nemici di tutto ciò che il turatismo è stato, ha fatto, ha rappresentato. Bisogna che le masse lavoratrici italiane siano liberate, e liberate per sempre, e a fondo, di questa roba. Bisogna che anche quelle parti di esse che sono ancora legate a questo passato di fallimento e di tradimento imparino a giudicarlo con spregiudicatezza, a respingerlo da sé. Occorre, perciò, una lotta ideologica e politica spietata.»

Umberto Terracini

Nel 1982, in occasione del 50° della morte di Turati in esilio, e in parallelo alla crescente crisi del sistema sovietico, si aprì finalmente un dibattito storico politico su scala nazionale che investì la sinistra ed ebbe eco sui grandi organi di stampa e in televisione. In un'intervista per il TG2 del 25 marzo 1982, uno dei protagonisti della scissione comunista del 1921, Umberto Terracini, non esitò a individuare nelle frasi e nelle parole dell'intervento di Turati al Congresso di Livorno «un'anticipazione certamente intelligente e, direi, quasi miracolosa, profetica di una realtà che in tempi successivi venne poi maturando e che sta sboccando a lidi più concreti proprio nel corso di questa nuova epoca preannunciata.» Una giudizio analogo fu pronunciato da un'altra grande protagonista del Congresso di Livorno: la senatrice Camilla Ravera.[40]

La dichiarazione di Terracini fu ascoltata con grande emozione dal Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che ebbe a dichiarare:[42]

«Ho visto Terracini, coraggiosamente alla televisione: "E allora secondo lei", gli ha chiesto l’intervistatore, "aveva sbagliato Turati?" "No, Turati aveva visto giusto, disse una verità allora, dobbiamo riconoscerglielo. Aveva ragione Turati e avevamo torto noi".»

La circostanza è stata confermata da Valdo Spini:[43]

«Per lui - e me lo riaffermò più volte - sentire Umberto Terracini, cioè un personaggio che a Livorno, nel 1921, la scissione comunista l'aveva fatta in prima persona, affermare che a Livorno aveva invece avuto ragione Turati, costituiva un motivo di autentica commozione e di speranza.»

La dichiarazione di Terracini non piacque allo storico Paolo Spriano, incaricato dal PCI di intervenire sulla questione: in un articolo su "L'Unità" del 28 marzo 1982, dal titolo "O con Turati o contro Turati?", scrisse[44]:

«... Per colpa di Jaruzelski (e di chi per lui), [Turati – N.d.E.] è stato ributtato nella mischia, la mischia sulla rivoluzione d'Ottobre e sulla sua residua forza propulsiva. E l'atmosfera infuocata del congresso del livornese teatro Goldoni, della scissione del 1921, si rappresenta di nuovo su un palcoscenico più grande, con un finale pirandelliano: l'accusatore di allora, il grande combattente comunista Umberto Terracini, darebbe ora ragione all'antagonista.[…] Confessiamo invece di non avere lo spirito del penitente — o del pentito, come si dice oggi — dinanzi alle ragioni o ai torti della scissione di Livorno. Turati fu allora estremamente incerto e oscillante sulle questioni della prospettiva. Condivideva con la gran parte del vecchio gruppo dirigente socialista, politico e sindacale, la convinzione che il moto generale — diciamo pure la forza propulsiva della rivoluzione d'Ottobre —, che aveva conquistato gran parte della classe operala italiana, fosse soltanto un'infatuazione passeggera (qui […] il suo limite). […] La corrente di Turati arrivò al congresso di Livorno con soltanto l'8% dei voti. Perché era ridotta a una minoranza così esigua? Perché il socialismo italiano andò sgretolandosi così rapidamente, si spaccò nel 1922, e la CGL si ridusse a poca cosa nel giro di un paio d'anni? Sono le questioni reali della sconfitta storica del movimento operaio italiano nella sua struttura e nelle sue anime tradizionali — riformista e massimalista — che non si possono eludere in una riflessione vera, libera da strumentalismi. Che cosa sarebbe divenuto il movimento operaio italiano, allora, nel ventennio della dittatura fascista, alla sua caduta, senza che si fosse affermata e avesse tenuto duro l'avanguardia comunista, prima quella «falange d'acciaio» di cui parlava Gramsci, poi un partito che si radicava con la Resistenza nelle stesse masse popolari che avevano animato il partito socialista del primo ventennio del secolo? Era, del resto, pensabile che un movimento così ricco di combattività come quello italiano, nel 1920 e nel 1921, rimanesse estraneo all'attrazione della prima rivoluzione socialista del secolo? Livorno è questo, non si cancella, né si ripudia.»

Spriano comunque ebbe la bontà di dichiarare che il giudizio espresso da Togliatti all'indomani della morte in esilio di Turati fu "francamente ingiusto, schematico", aggiungendo che:

«Certo, oggi […] possiamo guardare alle ragioni di Turati senza spirito di setta. La sua fiducia nella democrazia, la sua convinzione che «il socialismo che diviene», cioè un grande movimento popolare di emancipazione, non si realizza «da un giorno all'altro», né si proclama con una forzatura volontaristica, ma è un processo storico lungo e complesso, le rivendichiamo come un patrimonio acquisito.»

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • Il delitto e la questione sociale. Appunti sulla questione penale, Milano, Quadrio, 1883.
  • Lo Stato delinquente, Milano, Amministrazione della Plebe, 1883.
  • Strofe, Milano, Quadrio, 1883.
  • Socialismo e scienza. A proposito di un nuovo libro di N. Colajanni, Como, Tip. Fratelli Giorgetti, 1884.
  • Il canto dei lavoratori. Inno del Partito operaio italiano. Poesia di Filippo Turati con musica, Milano, Tip. Fantuzzi, 1889.
  • Le 8 ore di lavoro. Sunto stenografico della conferenza pronunciata in Milano nel Teatro della Canobbiana il 1º maggio 1891, Milano, Tip. degli Operai, 1891.
  • Questo non fu che il rendiconto, più o meno fedele, di un discorso d'occasione, s.l., s.n., 1891.
  • Il dovere della resistenza. Agli operai metallurgici di Milano. Seguito dall'Inno dei meccanici di F. Fontana, Milano, Uffici della Critica sociale, 1892.
  • La moderna lotta di classe, Milano, Critica Sociale, 1892.
  • Il canto dei lavoratori. Inno del Partito socialista dei lavoratori italiani. Con musica, Zurigo, a cura della Sezione del Partito, 1893.
  • Rivolta e rivoluzione, Milano, Critica Sociale, 1893.
  • Il diritto di riunione. Discorso pronunziato alla Camera dei deputati il 13 marzo 1900, discutendosi i provvedimenti politici del Ministero Pelloux; La risposta alla Corona. Discorso del 3 luglio 1900, Milano, Critica Sociale, 1900.
  • L'azione politica del Partito socialista. I criterii generali, Milano, Critica sociale, 1910.
  • Alla Camera che muore e al paese che sorge! L'ultimo discorso del Gruppo socialista alla Camera dei deputati nella XXIV legislatura. Tornata del 28 settembre 1919. Dal resoconto stenografico, Milano, Libreria editrice Avanti!, 1919.
  • Agli elettori del collegio di Milano. Il programma. Elezioni politiche 16 novembre 1919, Milano, Uffici di Critica sociale, 1919.
  • Rifare l'Italia! Discorso pronunciato alla Camera dei deputati il 26 giugno 1920 sulle comunicazioni del governo (Ministero Giolitti), Milano, Lega nazionale delle cooperative, 1920.
  • Abbasso la violenza! Abbasso la morte! Parole dette al Teatro del popolo di Milano la sera del 2 aprile 1921, in commemorazione delle vittime della bomba al Teatro Diana. (Di su le cartelle stenografiche), Milano-Firenze, Edizioni della Critica sociale-Bemporad, 1921.
  • Ciò che l'Italia insegna, Paris, I.O.S. Partito socialista italiano, 1933.
  • Discorsi parlamentari di Filippo Turati, 3 voll., Roma, Tipografia della Camera dei deputati, 1950.
  • Carteggio, con Anna Kuliscioff, 6 voll., Torino, Einaudi, 1977.
  • Socialismo e riformismo nella storia d'Italia. Scritti politici 1878-1932, Milano, Feltrinelli, 1979.
  • Filippo Turati. Scritti e discorsi 1878-1932, Guanda, Milano 1982.
  • Anna Kuliscioff. 1857-1925, a cura di Matteo Matteotti, Roma, Opere nuove, 1984.
  • Il socialismo italiano, Milano, M&B Publishing, 1995. ISBN 88-86083-36-X.
  • Lo Stato delinquente. Delitto, questione sociale, corruzione politica. Scritti di sociologia (1882-1884), Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1999.
  • Amore e socialismo. Un carteggio inedito, con Anna Kuliscioff, Milano, La nuova Italia, 2001. ISBN 88-221-3965-8.
  • Lettere dall'esilio, a cura di Bianca Pittoni, Milano, Pan Editrice, 1968.
  • Bibliografia degli scritti. 1881-1926, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2001. ISBN 88-87280-78-9.

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

L'archivio di Turati è attualmente conservato in blocchi distinti presso:

  • l'Istituto di studi sociali di Amsterdam
  • la Società Umanitaria di Milano
  • la Biblioteca municipale di Forlì
  • l'Archivio di Stato di Forlì[45].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ In seguito ridenominato Partito Socialista Unitario dei Lavoratori Italiani (PSULI)
  2. ^ Dal discorso alla Camera dei Deputati, Roma, 15 luglio 1923
  3. ^ Giovanni Biffi, La Ghita del Carrobbio, Milano 1863.
  4. ^ Filippo Turati, "Canzo", in: Cuore, 1883. Precedentemente aveva già scritto un altro sonetto intitolato "A Canzo mio paese nativo", cfr. Ministero Beni Culturali, Archivio Turati.
  5. ^ Ministero Beni Culturali, Archivio Turati.
  6. ^ Cfr. Proletariato femminile e Partito socialista: relazione al Congresso nazionale socialista 1910, Milano, Critica sociale, 1910.
  7. ^ Cfr. A. Kuliscioff, F. Turati Il voto alle donne: polemica in famiglia per la propaganda del suffragio universale in Italia, Milano, Uffici della critica sociale, 1910.
  8. ^ Questo il testo dell'Inno: Su fratelli, su compagne, / su, venite in fitta schiera: sulla libera bandiera / splende Il Sol dell'Avvenir. / Nelle pene e nell'insulto / ci stringemmo in mutuo patto, / la gran causa del riscatto / niun di noi vorrà tradir. / rit.: Il riscatto del lavoro / dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoro / o pugnando si morrà. / O vivremo del lavoro / o pugnando, pugnando si morrà, / o vivremo del lavoro / o pugnando si morrà. / La risaia e la miniera / ci han fiaccati ad ogni stento / come i bruti d'un armento / siam sfruttati dai signor. / I signor per cui pugnammo / ci han rubato il nostro pane, / ci han promesso una dimane: la dima si aspetta ancor. / rit. / L'esecrato capitale / nelle macchine ci schiaccia, / l'altrui solco queste braccia / son dannate a fecondar. / Lo strumento del lavoro / nelle mani dei redenti / spenga gli odii e fra le genti / chiami il diritto a trionfar. / rit. / Se divisi siam canaglia, / stretti in fascio siam potenti; / sono il nerbo delle genti / quei che han braccio e che han cor. / Ogni cosa è sudor nostro, / noi disfar, rifar possiamo; / la consegna sia: sorgiamo / troppo lungo fu il dolor. / rit. / Maledetto chi gavazza / nell'ebbrezza dei festini, / fin che i giorni un uomo trascini / senza pane e senza amor. / Maledetto chi non geme / dello scempio dei fratelli, / chi di pace ne favelli / sotto il piè dell'oppressor. / rit. / I confini scellerati / cancelliam dagli emisferi; / i nemici, gli stranieri / non son lungi ma son qui. / Guerra al regno della Guerra, / morte al regno della morte; / contro il dritto del più forte, / forza amici, è giunto il dì. / rit. / O sorelle di fatica / o consorti negli affanni / che ai negrieri, che ai tiranni / deste il sangue e la beltà. / Agli imbelli, ai proni al giogo / mai non splenda il vostro riso: un esercito diviso / la vittoria non corrà. / rit. / Se eguaglianza non è frode, / fratellanza un'ironia, / se pugnar non fu follia / per la santa libertà; / Su fratelli, su compagne, / tutti i poveri son servi: / cogli ignavi e coi protervi / il transigere è viltà. / rit. /
  9. ^ Lenin, Stato e rivoluzione, Lotta Comunista, 2007, p. 132.
  10. ^ Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, Lotta Comunista, 2006, pp. 93-99.
  11. ^ Spriano, p. 112.
  12. ^ Sotgiu, pp. 54-56.
  13. ^ Il testo integrale dell'intervento di Turati al XVII Congresso è scaricabile dal sito del Circolo "Rosselli" di Milano
  14. ^ Spriano, p. 113.
  15. ^ La Questione Italiana..., p. 15.
  16. ^ Sotgiu, p. 60.
  17. ^ Turati, Kuliscioff, p. 422, citati in Spriano, p. 113.
  18. ^ a b Cfr. Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano, vol. I, Einaudi, Torino, 1967, p. 223-224.
  19. ^ Cfr. "Critica Sociale", anno XXXII, n. 20, 16-31 ottobre 1922, p. 308-311
  20. ^ Cfr. Gaetano Arfé, Storia del socialismo italiano (1892-1926), Einaudi, 1965, Torino, p. 312.
  21. ^ cfr. "Il Parlamento è morto". Discorso pronunziato alla Camera dall'on. Filippo Turati il giorno 17 novembre 1922 sulle Comunicazioni del Governo, in "Critica Sociale", a. XXXII, n. 22, 16-30 novembre 1922, p. 339-349.
  22. ^ Vedi anche Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Discorsi, XXVI legislatura, Tornata del 17 novembre 1922, pp. 8425-8435.
  23. ^ Qui Turati fa riferimento all'episodio dell'incontro di Gesù con il giovane ricco, narrato nel vangelo secondo Matteo, 19,16-30, nel vangelo secondo Marco, 10,17-27, e nel vangelo secondo Luca, 18,18-30.
  24. ^ Suoreadoratrici.com | Una vita verso l'alto. Nel seguito dell'articolo, Turati definisce anche il Frassati come un uomo «che crede, e opera come crede, e parla come sente, e fa come parla», riprendendo alcune delle parole che nella liturgia cattolica sono usate nel rito di ordinazione sacerdotale: Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo.
  25. ^ riprodotta in Il riformismo di Filippo Turati, puntata de Il tempo e la storia del 25 maggio 2016 con il prof. Giovanni Sabbatucci, visibile nel sito web di Rai Storia
  26. ^ all'epoca segretario del PSI.
  27. ^ Grazia Ambrosio, Cinquant'anni fa la fuga di Turati in Corsica, in La storia illustrata n° 229, dicembre 1976, pag. 76: "Dopo aver richiesto inutilmente il passaporto al governo fascista, il 21 novembre il leader socialista lasciò la propria abitazione milanese abbandonando carte, libri..."
  28. ^ a b Cfr. Il riformismo di Filippo Turati, puntata de Il tempo e la storia del 25 maggio 2016 con il prof. Giovanni Sabbatucci, visibile nel sito web di Rai Storia
  29. ^ Cfr. Antonio Martino, Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura, Gruppo editoriale L'espresso, Roma, 2009.
  30. ^ a b c Cfr. Centro Culturale Sandro Pertini - Biografia
  31. ^ a b c d Cfr. Roberto Poggi, Dossier: La fuga di Turati, ultima modifica 9 maggio 2017, nel sito web Aneddotica Magazine[collegamento interrotto], pubblicato sotto una Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International (CC BY-NC-SA 4.0).
  32. ^ Cfr. Commissione di Milano, ordinanza del 15.12.1926 contro Carlo Rosselli (accusato di «Intensa attività antifascista; tra gli ideatori del giornale clandestino "Non mollare" uscito a Firenze nel 1925; favoreggiamento nell'espatrio di Turati e Pertini»). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. III, p. 238
  33. ^ Cfr. Antonio Martino, Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Filippo Turati nelle carte della R. Questura di Savona in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, n.s., vol. XLIII, Savona 2007, pp. 453-516.
  34. ^ Cfr. Commissione di Genova, ordinanza del 25.1.1927 contro Italo Oxilia (accusato di «Attività antifascista, concorso nell'espatrio clandestino di Turati e Pertini») In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. II, p. 756
  35. ^ Vedi L'antifascismo in esilio [1]Il tempo e la storia
  36. ^ La tessera PSI del 1933 Archiviato il 24 giugno 2016 in Internet Archive.
  37. ^ CinecittaLuce, Tornano in Italia: le ceneri di Turati e Treves., 15 giugno 2012. URL consultato il 6 luglio 2017.
  38. ^ 80º Anniversario dalla morte di Filippo Turati, su angelipress.com. URL consultato il 25 maggio 2016 (archiviato dall'url originale il 30 giugno 2016).
  39. ^ Comune di Milano, App di ricerca defunti Not 2 4get.
  40. ^ a b Cfr. [2] Archiviato il 1º dicembre 2016 in Internet Archive.Giuseppe Averardi, "Filippo Turati 70 anni dopo", in "Ragionamenti di Storia", rivista on-line di storia contemporanea edita dalla Fondazione Modigliani.
  41. ^ Cfr. "Turatiana" di Palmiro Togliatti in "FILIPPO TURATI 70 ANNI DOPO", in "Ragionamenti di Storia", rivista on-line di storia contemporanea edita dalla Fondazione Modigliani Archiviato il 19 settembre 2021 in Internet Archive.
  42. ^ Cfr. "La scissione fra Partito Socialista e Partito Comunista – Sandro Pertini", in Aliunde, blog di Lucia Senesi.
  43. ^ Cfr. il suo intervento del 20 marzo 2012 al convegno “Sandro Pertini: dalla Resistenza al Quirinale”, organizzato dalla Presidenza della Camera dei deputati con la collaborazione dell'Associazione “Sandro Pertini Presidente”.
  44. ^ Cfr. Paolo Spriano, "O con Turati o contro Turati?", in "L'Unità" del 28 marzo 1982[collegamento interrotto]
  45. ^ Cf. A. Dentoni-Litta, L’archivio Turati. Ricomposizione di un archivio frazionato: problematiche e metodologie, ne Il futuro della memoria. Atti del convegno internazionale di studi sugli archivi di famiglie e di persone, Capri, 9-13 settembre 1991, II, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali 1997, pp. 584-593.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Maurizio Punzo, L'esercizio e le riforme, L'ornitorinco, Milano 2012
  • Carteggio Turati-Ghisleri, a cura di Maurizio Punzo, Manduria, Lacaita, 2000.
  • Filippo Turati e i corrispondenti italiani, vol. I (1876-1892), a cura di Maurizio Punzo, Manduria, Lacaita, 2002 - 605 pagine
  • Filippo Turati e i corrispondenti italiani, vol. II (1893-1898), a cura e con introduzione di Maurizio Punzo, Manduria, Lacaita, 2008.
  • Filippo Turati e i corrispondenti italiani, vol. III (1899-1906), a cura e con introduzione di Maurizio Punzo, Manduria, Lacaita, 2010.
  • Filippo Turati. Bibliografia degli scritti 1881-1926, a cura di Paola Furlan, Manduria, Lacaita, 2001.
  • Filippo Turati e i corrispondenti italiani nell'esilio (1927-1932), tomo I: 1927-1928, a cura di S. Fedele, Manduria, Lacaita, 1998;
  • Maurizio Degli Innocenti, Filippo Turati e la nobiltà della politica. Introduzione ai carteggi. I corrispondenti stranieri, Manduria, Lacaita, 1995.
  • Filippo Turati e i corrispondenti stranieri. Lettere 1883-1932, a cura di D. Rava, Manduria, Lacaita, 1995.
  • P. Passaniti, Filippo Turati giuslavorista. Il socialismo nelle origini del diritto del lavoro, Manduria, Lacaita, 2008.
  • Antonio Martino, Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura, Roma, Gruppo editoriale L'espresso, 2009.
  • R. Monteleone, Turati, Torino, 1987.
  • F. Catalano, Turati, Milano, 1982.
  • A. Schiavi, Esilio e morte di Filippo Turati, Roma, 1956.
  • Carlo Silvestri, Turati l'ha detto. Socialisti e Democrazia Cristiana, Rizzoli, 1946.
  • N. Valeri, Turati e la Kuliscioff, Firenze, 1974.
  • Leo Valiani, Gli sviluppi ideologici del socialismo democratico in Italia, Roma, 1956.
  • B. Vigezzi, Giolitti e Turati. Un incontro mancato, Milano, 1976.
  • Gaetano Salvemini, I partiti politici milanesi nel XIX secolo, Mursia ISBN 978-88-425-4842-3
  • Critica Sociale, Milano, marzo 1982, anno XCI, n.3, numero dedicato ai cinquant'anni dalla morte di Turati

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Segretario del Partito Socialista Italiano Successore
Carlo Dell'Avalle 1895 - 1896 Enrico Ferri
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