Lettera aperta a L'Espresso sul caso Pinelli

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La lettera aperta a L'Espresso sul caso Pinelli, menzionata anche come appello contro il commissario Calabresi, è un documento pubblicato il 13 giugno 1971 dal settimanale L'Espresso, con cui numerosi politici, giornalisti e intellettuali chiesero la destituzione di alcuni funzionari, ritenuti artefici di gravi omissioni e negligenze nell'accertamento delle responsabilità circa la morte di Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra mentre era in stato di fermo presso la questura di Milano, nell'ambito delle indagini sulla strage di piazza Fontana condotte dal commissario Luigi Calabresi.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La lettera formula una serie di accuse a persone che avrebbero condizionato, a vario titolo, l'iter processuale in favore del commissario Calabresi, partendo dal presupposto che Pinelli fosse stato ucciso e che sussistesse una responsabilità di Calabresi in merito alla sua morte. Tali persone erano:

  • il giudice del tribunale di Milano, Carlo Biotti, che avrebbe dovuto pronunciarsi sul procedimento per diffamazione promosso da Calabresi nei confronti di Lotta Continua e che, prima di essere ricusato su iniziativa della difesa di Calabresi, aveva chiesto con forza la riesumazione del corpo di Pinelli;
  • Michele Lener, avvocato di Calabresi;
  • Marcello Guida, questore di Milano all'epoca della morte di Pinelli, il quale, nella prima conferenza stampa relativa alla morte dell'anarchico, aveva sostenuto la tesi del suicidio a causa dell'implicazione dell'attivista nella strage di piazza Fontana[1];
  • Giovanni Caizzi e Carlo Amati, magistrati milanesi che indagarono sulla morte di Pinelli.

Il 10 giugno 1971, la lettera fu inizialmente sottoscritta da dieci firmatari: Marino Berengo, Anna Maria Brizio, Elvio Fachinelli, Lucio Gambi, Giulio A. Maccacaro, Cesare Musatti, Enzo Paci, Carlo Salinari, Vladimiro Scatturin e Mario Spinella. La lettera aperta fu pubblicata sul settimanale L'Espresso il 13 giugno, a margine di un articolo di Camilla Cederna intitolato Colpi di scena e colpi di karate. Gli ultimi incredibili sviluppi del caso Pinelli. Il titolo si ispirava all'ipotesi, emersa da alcune prime indiscrezioni sulle ferite ritrovate sul corpo di Pinelli e sostenuta da Lotta Continua e da diversi ambienti extraparlamentari, che la defenestrazione di Pinelli fosse stata causata da un colpo di karate. Le settimane successive, il 20 e il 27 giugno, la lettera venne ripubblicata, con l'adesione di centinaia di personalità del mondo politico e intellettuale italiano, fino a giungere a 757 firme.

Il linguaggio usato nella lettera, caratteristico di quegli anni di aspri e violenti scontri ideologici[2], era particolarmente diretto e accusatorio, al punto che successivamente, in tempi e modi diversi, alcuni dei firmatari rividero le loro posizioni. Norberto Bobbio, ad esempio, in una lettera aperta indirizzata ad Adriano Sofri pubblicata su la Repubblica il 28 marzo 1998, parlò apertamente di «orrore» nel rileggere quelle parole, distinguendo tuttavia il «merito» del comunicato, sul quale non intese ritrattare, e il «linguaggio»[3][4]. Altri, invece, come Paolo Mieli[5] e Carlo Ripa di Meana[6], ritrattarono la sottoscrizione dell'appello, Ripa di Meana asserendo che fra le «conseguenze» dell'appello stesso rientrasse l'omicidio Calabresi, avvenuto circa un anno dopo. Giampaolo Pansa, il quale invece declinò l'invito a firmare l'appello, affermò che la lettera costituì «un avallo al successivo assassinio di Calabresi»[7]. Folco Quilici e Oliviero Toscani[8] negarono invece di avere mai sottoscritto l'appello. Eugenio Scalfari ha scritto nel 2017 di aver detto in precedenza alla vedova di Calabresi che «quella firma era stata un errore»[9].

Circa vent'anni dopo la pubblicazione del documento, L'Europeo intervistò alcuni firmatari chiedendo se non avessero rinnegato quell'adesione: nessuno se ne ricordava più[10][11]. Salvatore Samperi disse che «ognuno ha il diritto di sostenere che bisogna prendere le armi, senza che questo significhi prenderle», Giulio Carlo Argan sostenne di non ricordare nulla e di non volerne più parlare, mentre la Ginzburg disse «non so cosa si vuole da me, non ho niente da dichiarare». Domenico Porzio dichiarò: «Eravamo giovani e scatenati»; Saverio Vertone osservò, in un commento, che all'epoca Porzio doveva avere almeno 45 anni e non era mai stato un esaltato[12].

Il testo integrale[modifica | modifica wikitesto]

«Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice. Chi doveva celebrare il giudizio, Carlo Biotti, lo ha inquinato con i meschini calcoli di un carrierismo senile. Chi aveva indossato la toga del patrocinio legale, Michele Lener, vi ha nascosto le trame di una odiosa coercizione.

Oggi come ieri – quando denunciammo apertamente l'arbitrio calunnioso di un questore, Michele Guida[13], e l'indegna copertura concessagli dalla Procura della Repubblica, nelle persone di Giovanni Caizzi e Carlo Amati – il nostro sdegno è di chi sente spegnersi la fiducia in una giustizia che non è più tale quando non può riconoscersi in essa la coscienza dei cittadini. Per questo, per non rinunciare a tale fiducia senza la quale morrebbe ogni possibilità di convivenza civile, noi formuliamo a nostra volta un atto di ricusazione.

Una ricusazione di coscienza – che non ha minor legittimità di quella di diritto – rivolta ai commissari torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici indegni. Noi chiediamo l'allontanamento dai loro uffici di coloro che abbiamo nominato, in quanto ricusiamo di riconoscere in loro qualsiasi rappresentanza della legge, dello Stato, dei cittadini.»

Elenco dei firmatari[modifica | modifica wikitesto]

Segue l'elenco dei 757 firmatari della lettera[14] in ordine alfabetico.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Si veda il dossier a cura del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, contenente gli articoli Colpo di scena: un fermato si uccide in questura del Corriere della Sera, Clamoroso colpo di scena nelle indagini sui terroristi e Gesto rivelatore da La Notte del 16 dicembre 1969, e l'articolo Improvviso dramma in questura: l'anarchico Pinelli si uccide del settimanale Epoca.
  2. ^ Michele Brambilla, Sofri, intellettuali divisi su Bobbio, in Corriere della Sera, 13 febbraio 1998. URL consultato il 23 maggio 2010 (archiviato dall'url originale il 3 dicembre 2015).
  3. ^ Norberto Bobbio, Non dobbiamo chiedere scusa per piazza Fontana, in la Repubblica, 28 marzo 1998. URL consultato il 13 marzo 2009.
  4. ^ Adriano Sofri 43 anni – Piazza Fontana, un libro, un film.
  5. ^ Paolo Mieli, Attenti alle firme in calce agli appelli e ai manifesti, in Corriere della Sera, 3 luglio 2002. URL consultato il 6 febbraio 2014 (archiviato dall'url originale il 13 maggio 2013).
  6. ^ Firmai contro Calabresi, chiedo scusa, in la Repubblica, 13 agosto 2007. URL consultato il 13 marzo 2009.
  7. ^ Giampaolo Pansa, Perché non sono finito tra gli ottocento che linciarono Calabresi, in Il Riformista. URL consultato il 29 ottobre 2010 (archiviato dall'url originale il 22 maggio 2009).
  8. ^ Niente di personale, condotta da Antonello Piroso, 5 dicembre 2010.
  9. ^ Eugenio Scalfari, Il commissario Calabresi e quella firma del 1971, in Repubblica.it, 20 maggio 2017. URL consultato il 20 maggio 2017.
  10. ^ La Storia d'Italia di Indro Montanelli – 10 – Piazza Fontana e dintorni, su dailymotion.com. URL consultato il 20 novembre 2015.
  11. ^ Angela Marino, L'omicidio di Luigi Calabresi, il commissario che diventò 'Martire della giustizia', su fanpage.it, Fanpage, 7 aprile 2017. URL consultato il 26 novembre 2017.
  12. ^ Indro Montanelli e Mario Cervi, L'Italia degli anni di piombo, Milano, Rizzoli, 1991.
  13. ^ La persona a cui il testo fa riferimento è Marcello Guida, questore di Milano, chiamato erroneamente Michele.
  14. ^ L'Espresso, 27 giugno 1971, p. 6.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]