Lamberto Dini
Lamberto Dini (Firenze, 1º marzo 1931) è un economista e politico italiano, presidente del Consiglio dei ministri dal 17 gennaio 1995 al 18 maggio 1996 e ministro degli affari esteri dal 18 maggio 1996 al 6 giugno 2001.
È stato direttore generale della Banca d'Italia, ministro del tesoro nel primo governo Berlusconi. Alle politiche del 1996, dopo il suo governo tecnico, ha presentato una sua forza politica, Rinnovamento Italiano, che confluì nel 2002 nella Margherita, nelle cui liste è stato eletto in parlamento nel 2001 e nel 2006. Alle politiche del 2008 si è presentato invece nella coalizione di centro-destra con Il Popolo della Libertà.
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Gli inizi[modifica | modifica wikitesto]
Compie studi tecnici brillanti presso l'Istituto tecnico industriale Leonardo da Vinci di Firenze e si laurea nel 1954 in economia e commercio con 110 e lode all'Università degli Studi di Firenze con una tesi in scienza delle finanze. Dopo essersi perfezionato all'Università del Minnesota e del Michigan, entra nel Fondo Monetario Internazionale nel 1959, dove intraprende una fortunata carriera, fino a diventare direttore esecutivo per l'Italia, Grecia, Portogallo e Malta dal 6 luglio 1976 al 15 settembre 1979.
Direttore generale della Banca d'Italia[modifica | modifica wikitesto]
Il 15 settembre 1979 è nominato dal presidente del Consiglio dei ministri Francesco Cossiga direttore generale della Banca d'Italia, con Carlo Azeglio Ciampi nominato governatore.
In quanto direttore generale, Dini è collocato al secondo posto nella gerarchia del direttorio della Banca d'Italia. Tuttavia la circostanza di rappresentare una nomina proveniente dall'esterno, insieme alle non sempre eccellenti relazioni con Ciampi, faranno sì che nel corso del quindicennio trascorso a via Nazionale Dini abbia un ruolo defilato.
Quando il governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi, è nominato presidente del Consiglio dei ministri nell'aprile 1993, il nome di Dini figura al primo posto tra i probabili successori. In realtà, il neopresidente del consiglio Ciampi sarebbe orientato a nominare il vicedirettore generale Tommaso Padoa-Schioppa, ma, a seguito di un compromesso con il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, prevarrà la scelta del secondo vicedirettore Antonio Fazio.
Dal settembre 1993 al giugno 1994 è uno dei vicepresidenti della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI).
Ministro del tesoro[modifica | modifica wikitesto]
Dopo la vittoria di Silvio Berlusconi alle elezioni del marzo 1994, questi lo sceglie come ministro e Dini, capendo che la strada per la poltrona di governatore ormai è chiusa, accetta e si dimette dalla Banca d'Italia. Il 10 maggio 1994 fa il suo ingresso nel governo Berlusconi I come ministro del tesoro.
Governo Dini[modifica | modifica wikitesto]

Dopo le dimissioni di Berlusconi, il 17 gennaio 1995 Dini, incaricato dal presidente Scalfaro di formare un nuovo governo, costituisce un esecutivo composto esclusivamente da ministri e sottosegretari tecnici e non parlamentari (lo stesso Dini non ha mandati elettivi). È sostenuto da PDS, Lega Nord e Partito popolare. Dini mantiene anche ad interim la carica di ministro del tesoro. La finalità del governo è soprattutto quella di traghettare il Paese fino alle elezioni politiche anticipate, che infatti si terranno nell'aprile 1996. Dall'ottobre 1995 al febbraio 1996 tiene anche l'interim del delicato dicastero della giustizia. Il governo resterà in carica fino al 17 maggio 1996 godendo di maggioranze variabili, ma con un graduale attestarsi su una maggioranza di centro-sinistra estesa alla Lega e ad alcuni esponenti del centro moderato.
Con la ricerca del consenso fra i partiti del centro-sinistra e i sindacati, il governo Dini riuscirà nel difficile compito di emanare una riforma delle pensioni. La riforma Dini ha trasformato il sistema pensionistico italiano da un sistema di tipo retributivo ad uno sistema che applica uno schema pensionistico con formula della rendita predefinita sulla contribuzione e sulla crescita e senza patrimonio di previdenza con il metodo di calcolo contributivo a capitalizzazione simulata sulla crescita, avviando la transizione dal modello previdenziale corporativo fascista al modello previdenziale universale.
La lista Dini e Ministro degli Esteri[modifica | modifica wikitesto]


Intanto fonda un suo movimento politico: Rinnovamento Italiano. Nell'aprile 1996 si tengono le elezioni politiche, e Dini, aderendo alla coalizione di centrosinistra dell'Ulivo di Romano Prodi, si presenta con una lista personale: la Lista Dini (formata dal suo Rinnovamento Italiano, dai Socialisti Italiani di Enrico Boselli e dal Patto Segni di Mariotto Segni), che al proporzionale supera lo sbarramento e raggiunge il risultato del 4,3% (più di 1.600.000 voti), eleggendo 8 deputati, da aggiungersi agli eletti nei collegi uninominali. In Parlamento costituiscono il gruppo chiamato Rinnovamento Italiano, con 26 deputati e 11 senatori.
Il 17 maggio 1996 Dini è nominato Ministro degli affari esteri, incarico che manterrà nei quattro governi dell'Ulivo che si succederanno nel corso della XIII Legislatura: Prodi, D'Alema I e II e Amato II. Si dimetterà il 6 giugno 2001, dunque sei giorni prima del passaggio delle consegne tra il secondo governo Amato e il governo Berlusconi l'11 giugno 2001.
Senatore della Repubblica[modifica | modifica wikitesto]
Rinnovamento Italiano confluisce nel progetto de La Margherita. Alle elezioni del maggio 2001, L'Ulivo guidato da Francesco Rutelli è sconfitto da Silvio Berlusconi. Dini è eletto al Senato. Dal febbraio 2002 a luglio 2003 è delegato alla Convenzione di preparazione della bozza della Costituzione Europea. Fino alla fine della legislatura è vicepresidente del Senato.
Nel 2003 fu diffamato da Igor Marini che lo accusò di aver intascato tangenti nell'affare Telekom Serbia.
Alle elezioni politiche del 2006 è rieletto senatore della Margherita. Nel maggio 2006, il suo nome è inserito in una rosa di candidati proposti dalla Casa delle Libertà (centrodestra) per la presidenza della Repubblica.
Il 6 giugno 2006 è eletto Presidente della Commissione Esteri del Senato.
Il 23 maggio 2007 viene inserito tra i 45 membri del Comitato nazionale per il Partito Democratico ma, nella fase costituente del nuovo partito, il 18 settembre, Dini annuncia il suo distacco dal progetto del PD e la costituzione di un soggetto liberaldemocratico che dia spazio a queste ultime istanze.
I Liberaldemocratici[modifica | modifica wikitesto]
Il 1º ottobre 2007 presenta ufficialmente il simbolo del suo nuovo soggetto politico, Liberal Democratici, fondato con Natale D'Amico, Daniela Melchiorre, Giuseppe Scalera ed Italo Tanoni.
In occasione del voto sulla legge Finanziaria del 2008 Lamberto Dini, pur votando la manovra di bilancio, annuncia il suo distacco dalla maggioranza di centrosinistra, auspicando il superamento del Governo Prodi II[1]. Il 24 gennaio 2008, in occasione di un importante passaggio parlamentare di fiducia al Governo Prodi, il senatore Dini, eletto nelle file del centrosinistra, insieme ai Popolari UDEUR di Clemente Mastella, annuncia di votare contro, contribuendo in maniera determinante alla caduta del governo.
Nel PdL[modifica | modifica wikitesto]
L'8 febbraio 2008 annuncia l'adesione dei Liberal Democratici al nuovo partito del Popolo della Libertà, cambiando ancora una volta coalizione (dal centro-sinistra al centro-destra).
Il 10 marzo 2008 viene ufficializzata la sua candidatura al Senato della Repubblica e al seguito dei risultati delle elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008 è eletto nuovamente senatore, ma nelle file del PdL per la circoscrizione Lazio. Il sindaco di Firenze Matteo Renzi lo aveva in precedenza invitato a non ripresentare la sua candidatura in Toscana, dove era già stato eletto parlamentare per tre legislature con i voti del centrosinistra[2].
Il 30 maggio Dini lascia i Liberal Democratici (che rescindono il patto federativo con il PdL) per aderire direttamente al Popolo della Libertà[3]. Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato della Repubblica, resta a palazzo Madama fino al marzo 2013.
Opere[modifica | modifica wikitesto]
- Effetti economici dell'imposizione sulle società, rassegna bibliografica a cura di, Roma, Tip. Failli, 1957.
- Strategia e organizzazione nelle aziende di credito: una metodologia per l'autodiagnosi. Presentazione del volume, Milano, Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e borsa, 1983.
- Presentazione del rapporto Economia e finanza delle imprese italiane nel decennio 1982-1991, Roma, Banca d'Italia, 1993.
- Scritti e conferenze di Lamberto Dini, 7 voll., Roma, Banca d'Italia, 1994.
- Interventi, dichiarazioni, interviste del presidente del Consiglio dei ministri, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, 1995.
- Fra Casa bianca e Botteghe oscure. Fatti e retroscena di una stagione alla Farnesina, Milano, Guerini, 2001. ISBN 88-8335-185-1.
- Il Senato alla Convenzione. luglio 2003, con Filadelfio Basile, Roma, Senato della Repubblica, 2003.
- Oltre la partitocrazia. Liberare la crescita, con Luigi Tivelli, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008. ISBN 978-88-498-2064-5.
Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]
Onorificenze italiane[modifica | modifica wikitesto]
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Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana |
— 9 febbraio 1991[4] |
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Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana |
— 5 gennaio 1982[5] |
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Commendatore dell'Ordine al merito della Repubblica italiana |
«Di iniziativa del Presidente della Repubblica» — 18 maggio 1977[6] |
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Cavaliere di gran croce del Sacro militare ordine costantiniano di San Giorgio (Casa di Borbone - Due Sicilie) |
Onorificenze straniere[modifica | modifica wikitesto]
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Croce di commendatore con placca dell'Ordine al merito della Repubblica di Polonia |
— 1997 |
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Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica di Polonia |
— 2000 |
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Cavaliere di gran croce onorario dell'Ordine di San Michele e San Giorgio (Regno Unito) |
— 2000[7] |
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Cavaliere di gran croce dell'Ordine di Isabella la Cattolica (Spagna) |
— 26 settembre 1998[8] |
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ «Dini boccia Prodi ma il Pd lo isola», da Corriere della Sera, 26 dicembre 2007.
- ^ Appello di Matteo Renzi a Lamberto Dini, su presidente.provincia.fi.it. URL consultato il 13 giugno 2008 (archiviato dall'url originale il 14 aprile 2008).
- ^ Dini: Lascio i Liberal Democratici ed aderisco al progetto PdL Archiviato il 16 luglio 2011 in Internet Archive.
- ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
- ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
- ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
- ^ Sito web del Parlamento britannico
- ^ Bollettino Ufficiale di Stato
Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]
- Governo Berlusconi I
- Governo Dini
- Governo tecnico
- Presidenti del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana
- Riforma Dini
- Rinnovamento Italiano
Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]
Wikiquote contiene citazioni di o su Lamberto Dini
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lamberto Dini
Wikinotizie contiene l'articolo Dini attacca Prodi: «Al Senato non ci sono i numeri per governare», 26 dicembre 2007
Wikinotizie contiene l'articolo Crisi di governo: Dini annuncia il voto contrario, Bossi inneggia alla rivoluzione, 23 gennaio 2008
Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]
- Lamberto Dini, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Lamberto Dini, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Lamberto Dini, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
- (EN) Lamberto Dini, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- Lamberto Dini, su storia.camera.it, Camera dei deputati.
- Lamberto Dini (XIV legislatura della Repubblica Italiana) / Lamberto Dini (XV legislatura della Repubblica Italiana) / Lamberto Dini (XVI legislatura della Repubblica Italiana), su senato.it, Senato della Repubblica.
- Lamberto Dini, su Openpolis, Associazione Openpolis.
- Registrazioni di Lamberto Dini, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.
- Intervista di Claudio Sabelli Fioretti pubblicata su "Sette", su melba.it. URL consultato il 27 dicembre 2006 (archiviato dall'url originale il 2 dicembre 2007).
Controllo di autorità | VIAF (EN) 75895067 · ISNI (EN) 0000 0000 4223 6231 · SBN IT\ICCU\CFIV\048717 · LCCN (EN) no94038228 · GND (DE) 119442175 · WorldCat Identities (EN) lccn-no94038228 |
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