Utente:Martin8/Sandbox5

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«Egli trasse i suoi cori
dall’imo gorgo dell’ansante folla.
Diede una voce alle speranze e ai lutti.
Pianse ed amò per tutti.»

Giuseppe Verdi fotografato nel 1876 da Étienne Carjat

Giuseppe Fortunino Francesco Verdi (Le Roncole, 10 ottobre 1813Milano, 27 gennaio 1901) è stato un compositore italiano autore di melodrammi che fanno parte del repertorio operistico dei teatri di tutto il mondo. È considerato uno dei più celebri compositori italiani di tutti i tempi.

Firma di Verdi

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Giovinezza e formazione[modifica | modifica wikitesto]

Giuseppe Verdi nacque nelle campagne della bassa parmense, a Le Roncole, frazione di Busseto, il 10 ottobre 1813 da Carlo, oste e rivenditore di generi alimentari, e Luigia Uttini, filatrice. I due coniugi avevano già avuta una figlia, che era però morta giovane e non sana di mente[1].

La casa natale a Roncole Verdi

Nonostante la scarsità di mezzi e la poca conoscenza in materia, il padre gli regalò una vecchia spinetta, degli inizi del XVII secolo, che fece mettere a posto da un tale Stefano Cavalletti, il quale aggiunse un cartellino, sul quale scrisse una sorta di profezia:

«Da me Stefano Cavalletti fu fato di nuovo questi saltarelli e impenati a corame e vi adatai la pedagliera che ci ho regalato; come anche gratuitamente ci ho fato di nuovo li detti saltarelli, vedendo la buona disposizione che il giovanetto Giuseppe Verdi di imparare a suonare questo istrumento, che questo mi basta per essere del tutto soddisfatto. Anno Domini 1821[2]»

Ben presto venne affidato alle cure del suo primo maestro Pietro Baistrocchi, organista de Le Roncole, che lo introdusse alla musica. Il giovane Verdi a soli dodici anni era già in grado di accompagnare le funzioni in chiesa[3].

Nella vicina Busseto continuò la sua formazione culturale. Studiava al ginnasio, dove insegnava il canonico Pietro Seletti, e musica dal modesto compositore Ferdinando Provesi. Verdi era finanziato e sostenuto dall'agiato commerciante Antonio Barezzi, che era anche un appassionato di musica, nonché flautista della Società Filarmonica di Busseto, che presiedeva. Barezzi, notando le inclinazioni del giovane, lo invitò a casa propria, gli offrì un alloggio e gli diede la possibilità di scrivere musica per la Società, per lo più musica sacra o pezzi per banda. A sedici anni Verdi non vinse il concorso come organista a Soragna[3] e il 14 maggio 1841 Barezzi presentò domanda di ammissione all'esame per entrare nel prestigioso conservatorio milanese. La grande speranza del protettore e del "partito" da lui capeggiato era quella di vedere il loro giovane promettente al posto di organista di Busseto e per questo Barezzi spinse Carlo Verdi ad avanzare una proposta di borsa di studio a Milano per il figlio al Monte di Pietà e di Abbondanza. Non avendo sortito alcun effetto, la richiesta fu fatta direttamente alla duchessa Maria Luigia e il 14 gennaio 1932 venne approvata. Verdi venne dunque ammesso alla prova, ma non la superò. Questa è una parte significativa del verbale redatto il 2 luglio 1832 dal presidente della commissione Francesco Basily:

«il Sig.r angeleri Maestro di Pianoforte trovò, che il sud.o Verdi, avrebbe bisogno di cambiare posizione della mano, locché disse, attesa l'età di 18 anni si renderebbe difficile; ed in quanto alle composizioni che presentò come sue, sono perfettamente d'accordo col sig.r Piantanida Maestro di contrappunto, e Vice-Censore, che applicandosi esso con attenzione e pazienza alla cognizione delle regole del contrappunto, potrà dirigere la propria fantasía che mostra di avere, e quindi riuscire plausibilmente nella composizione.[4]»

Ritratto di Antonio Barezzi

L'unico voto favorevole che ricevette fu quello del celebre violinista e violista Alessandro Rolla, che si preoccupò di non lasciar cadere il tutto in questo giudizio ingiusto e frettoloso, affidando Verdi alle lezioni private di Vincenzo Lavigna, allora maestro al cembalo alla Scala. In questo frangente Verdi si discosterà sempre più dalle vicende bussetane, entrando sempre più in profondità nell'enorme centro musicale di Milano. Divenne un assiduo frequentatore del teatro alla Scala, ebbe modo di conoscere spiccate personalità dell'epoca, come Pietro Massini, allora direttore della Società Filarmonica di Milano, e nel 1834, per un caso fortuito, venne invitato a dirigere questa stesso corpo strumentale come Maestro al Cembalo ne La Creazione di Haydn, come da lui stesso riferito in una lettera del 19 ottobre 1879 a Giulio Ricordi[5].

Le diatribe paesane per il posto di organista divisero la popolazione in codini (cattolici e sostenitori di Giovanni Ferrari) e coccardini (laici e sostenitori di Verdi), ma alla fine si risolsero con la vittoria dei secondi e la tanto desiderata (dai bussetani) nomina di Verdi. Nel 1836 il giovane musicista si sposò con la figlia del suo protettore, Margherita Barezzi, e colse l'occasione per partire alla volta di Milano. Qui gli venne offerto un libretto di Antonio Piazza da musicare: il Rochester, od Oberto, Conte di San Bonifacio. Quando Verdi si accorse che gli eventi avevano preso la piega giusta, il 6 febbraio 1939 diede le sue dimissioni dall'incarico di organista a Busseto (suscitando l'ira dei compaesani) e si trasferì con la moglie a Milano[6]. L'opera andò in scena il 17 febbraio dello stesso anno, ebbe un buon successo e ottenne quattordici repliche. Verdi, anni dopo, si mostrerà alquanto misurato nel giudicare questo suo debutto:

«Oberto di San Bonifacio ebbe dunque un esito non grandissimo, ma abbastanza buono[7]»

La crisi e il Nabucco[modifica | modifica wikitesto]

Ritratto di Giuseppina Strepponi (1835 ca.), oggi conservato al Museo teatrale alla Scala, Milano.

«Rincasai e con un gesto quasi violento, gettai il manoscritto sul tavolo, fermandomisi ritto in piedi davanti. Il fascicolo cadendo sul tavolo stesso si era aperto: senza saper come, i miei occhi fissano la pagina che stava a me innanzi, e mi si affaccia questo verso:

«Va, pensiero, sull'ali dorate»[8]»

Incoraggiato da questo successo, Verdi firmò un contratto dell'impresario della Scala Bartolomeo Merelli per un'opera buffa e due serie. Il 5 settembre 1840 subì il clamoroso fiasco di Un giorno di regno e, già provato dalla morte prematura dei suoi due figli (Virginia, 12 agosto 1838, e Icilio, 22 ottobre 1839) e della giovane moglie (20 giugno 1841), cadde in un enorme sconforto. La rinascità arrivò grazie a Merelli che, una sera, lo trascinò a forza nel suo ufficio in teatro e gli consegnò un libretto di Temistocle Solera, che trattava il tema della sottomissione degli ebrei da parte di Nabuccodonosor. Verdi, però, ancora scosso dalla tragedia familiare, ripose il libretto senza neanche leggerlo, senonché, così vuole la leggenda, una sera per spostarlo gli cadde per terra e si aprì, caso volle proprio sulle pagine del Va, pensiero e quando Verdi lesse il testo del famoso brano rimase colpito e alla fine musicò tutto il libretto[9]. Lo spettacolo andò in scena col titolo di Nabucco, fu un successo colossale e fu replicata per cinquantasette sere. Con Nabucco iniziò la parabola ascendente di Verdi. Sotto il profilo musicale l'opera presenta ancora un impianto belcantistico, in linea con i gusti del pubblico italiano del tempo, ma teatralmente è un'opera riuscita, nonostante la debolezza e alcune ingenuità del libretto. Lo sviluppo dell'azione è rapido, incisivo, e tale caratteristica avrebbe contraddistinto anche la successiva, e più matura, produzione del compositore. Alcuni personaggi, come Nabucodonosor e Abigaille, sono fortemente caratterizzati sotto il profilo drammaturgico, così come il popolo ebraico, che si esprime in forma corale, unitaria e che forse rappresenta il protagonista vero di questa prima, significativa, creazione verdiana. Il celebre coro Va, pensiero finì col divenire una sorta di canto doloroso o inno contro l'occupante austriaco, e si diffuse rapidamente in Lombardia e nel resto d'Italia. Verdi divenne di colpo celebre e Merelli gli offrì un contratto in bianco per tre altre opere, che firmò per seimilaottocento lire austriache[10]. La prima di queste fu I Lombardi alla prima crociata, che andò in scena l'11 febbraio 1843 e fu un altro trionfo.

Gli anni di galera[modifica | modifica wikitesto]

«Dal Nabucco in poi non ho avuto, si può dire, un'ora di quiete. Sedici anni di galera![11]»

Francesco Maria Piave

Nel 1844, all'inizio dei sedici anni da lui successivamente definiti "di galera", cominciò la collaborazione con un altro teatro italiano, La Fenice di Venezia, e con il poeta Francesco Maria Piave. La prima opera che nascerà da questa nuova coppia sarà Ernani. Tratta dall'omonimo dramma di Victor Hugo, Ernani fu concepito da Verdi fin dall'estate del 1843. Musicato nell'inverno successivo, andò in scena il 9 marzo 1844, con un buon successo, nonostante la cattiva esecuzione[12]. La vicenda, ricca di colpi di scena e incentrata su un triplice amore, diede la possibilità a Verdi di approfondire la caratterizzazione di alcuni personaggi dal punto di vista drammaturgico e di iniziare ad affrancarsi dall'ingombrante influsso dei grandi compositori italiani dei primi decenni dell'Ottocento: Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti.

Sarà seguito nel giro di pochi anni da alcune opere che scrisse in questo clima di febbrile attività (I due Foscari, Giovanna d'Arco, Alzira, Attila, Macbeth, I masnadieri). Con la prima della Giovanna d'Arco, avvenuta il 15 febbraio 1845, Verdi non concederà più prime rappresentazioni di sue opere alla Scala sino al 1887 con Otello[12]. Dopo l'Alzira, di cui lo stesso compositore dirà "era proprio brutta"[13], Verdi si concentrò sull'Attila. Anche se inizialmente il libretto dovesse essere affidato a Solera, questi si tirò indietro per motivi politici e di cuore[13], poi pose rimedio all'inconveniente Piave. Durante la stesura della partitura l'autore soffrì di numerosi dolori reumatici, per lo più dovuti allo stress, e sarà assistito dal compaesano Emanuele Muzio. Costui, anch'egli protetto da Barezzi, fu l'unico allievo di Verdi, nonché suo assistente e factotum, e gli sarà spesso vicino. L'Attila venne rappresentato alla Fenice di Venezia il 17 marzo 1846 ed ebbe un buon successo.

«L'Attila ebbe esito lietissimo. [...] Li amici miei vogliono che questa sia la migliore delle mie opere; il pubblico quistiona: io credo che non sia inferiore a nissuna delle altre mie. Il tempo deciderà[14]»

Nel 1847 il compositore fu occupato dalla stesura di due opere: I Masnadieri e Macbeth. Composte per due impresari differenti, ebbero esiti differenti. Da una parte I Masnadieri fecero fiasco (22 luglio 1847), forse in particolare dovuto dal libretto, scritto da Andrea Maffei, ottimo letterato ma pessimo librettista[15]. Dall'altra il Macbeth fu un trionfo (14 marzo 1847), forse perché Verdi ci si dedicò con più attenzione, scegliendo, ad esempio, con meticolosità gli interpreti, come Marianna Barbieri-Nini (Lady Macbeth), adattissima al ruolo perché nota tra l'altro per la sua intelligenza e per la sua bruttezza[15]. Sempre nel 1847 Verdi si occupò di un rifacimento de I Lombardi alla prima crociata per l'Opéra parigina dal titolo di Jerusalem, che andò in scena il 26 novembre. Il 1848 fu l'anno dei moti popolari e de Il corsaro, composto in fretta per Trieste e andato in scena il 25 ottobre, e de La battaglia di Legnano, che il 27 gennaio 1849 fece furore per i suoi riferimenti patriottici. Tra il 1849 e il 1850 Verdi scrisse due opere che riveleranno un evoluzione nella concezione operistica dell'autore: la Luisa Miller, tratta da un dramma di Schiller e andata in scena al Teatro San Carlo di Napoli l'8 dicembre 1849, e lo Stiffelio (poi Aroldo), tratto da una "pièce" di Souvestre e Bourgeois e andato in scena a Teatro Grande di Trieste il 16 agosto 1850. Verdi cominciò infatti ad affrontare temi più intimistici, fino allora sconosciuti all'opera, come ad esempio quello del divorzio, nello Stiffelio[16].

La trilogia popolare[modifica | modifica wikitesto]

La critica è concorde nell'affermare che l'apogeo della produzione verdiana è da identificarsi nelle tre opere che conclusero gli "anni di galera". La "trilogia popolare" (o "italiana") è costituita da Rigoletto, Il trovatore e La traviata e rappresenta una maturità musicale e drammatica che Verdi aveva già sperimentato nelle dodici opere composte dal 1843 ad allora. Il critico Massimo Mila parla di "Prima Perfezione"[17].

Rigoletto[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Rigoletto.
Giuseppe Verdi ai tempi della trilogia popolare

I prodromi di Rigoletto risalgono al 1850, un anno prima della sua rappresentazione (11 marzo 1851). In marzo Verdi riceve dalla presidenza del teatro "La Fenice" di Venezia la proposta di una nuova opera[18]. Verdi è interessato da un dramma teatrale di Victor Hugo, Le Roi s'amuse e invita Piave a fare presto nella ricerca di qualcuno che lo potesse sostenere in questa impresa. Rigoletto si rivelò, infatti, una dura battaglia che Verdi e Piave dovettero condurre contro la censura e una società "prude e ipocrita"[19]. Il soggetto si rivelò subito molto difficile da "vendere" e forse troppo all'avangurdia[18]. Rappresentato a Parigi nel 1832, venne proibito dopo appena una recita. Se il pubblico parigino non era riuscito a sostenere questi temi, come avrebbe mai potuto quello in Italia, paese sotto il giogo straniero, tormentato dalla censura austriaca e oggetto dell'influenza della Chiesa cattolica, sopportare, ad esempio, la scena di una seduzione da parte di un sovrano perverso praticamente a sipario aperto[20]?

Il titolo, evidentemente ironico, doveva essere cambiato e Verdi propendeva per La Maledizione, riferendosi a quella lanciata da Vallier (Monterone, nell'opera) in cui ne vedeva la morale[19]. Piave, in realtà, non condivideva questa preferenza, ma ben presto fu la censura a dare ragione al poeta. Non si può affatto affermare che il lavoro cominciò sotto un astro favorevole[21]. Il 21 novembre 1850, appena cinque giorni dopo la presentazione del libretto, la censura proibì tutto deplorando

«che il poeta Piave ed il celebre Maestro Verdi non abbiano saputo scegliere altro campo per far emergere i loro talenti, che quello, di una ributtante immoralità ed oscena trivialità, qual è l'argomento del libretto intitolato La Maledizione[21]»

Ben presto, però, come spesso avveniva, i censori tornarono sui loro passi; Piave sapeva come trattarli e iniziò a sostenere, affiancato dalla presidenza de la Fenice spossanti trattative. Le richieste della censura ne rivelarono la cieca ottusità, ma fu anche grazie a questa cecità che possiamo ora leggere uno dei passi che meglio rivelano la drammaticità e il realismo dello stile verdiano[21].

«Osservo infine che s'è evitato di fare Triboletto brutto e gobbo!!! Un gobbo che canta? Perché no!... Farà effetto? Non lo so; ma se non lo so io non lo sa, ripeto, neppure chi ha proposto questa modificazione. Io trovo appunto bellissimo rappresentare questo personaggio estremamente difforme e ridicolo, ed interamente appassionato e pieno di amore. Scelsi appunto questo soggetto per tutte queste qualità e questi tratti originali, se si tolgo, io non posso più farvi musica. Se mi si dirà che le mie note possono stare anche con questo dramma, io rispondo che non comprendo queste ragioni, e dico francamente le mie note o belle o brutte che siano non le scrivo mai a caso e che procuro sempre di darvi carattere»

Alla fine Verdi uscì ancora una volta vittorioso dal suo scontro con la censura e l'opera venne felicemente rappresentata l'11 marzo 1851. Massimo Mila afferma in uno dei suoi studi verdiani che il compositore di Busseto con Rigoletto, arrivò alla "conquista dell'unità drammatica"[22].

Il trovatore[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Il trovatore.

I primissimi anni cinquanta furono un periodo nevralgico non solo per la produzione, ma anche per la vita stessa del musicista. Nel 1847 era iniziata una vera e propria relazione con la Strepponi e Verdi, da buon agricoltore legato alla sua terra, aveva comprato la proprietà di Sant'Agata, vicino a Busseto[23]. L'aria, però, si rivelò ben presto irrespirabile, la convivenza dei due amanti divenne fonte di numerosi pettegolezzi paesani, alimentati dalle vicende giovanili della Strepponi, che aveva avuto due figli, poi non riconosciuti dal padre. Questa "ipocrisia moralista" era soffocante per Giuseppina Strepponi, che, ormai finita come soprano e come madre, vedeva in Verdi il suo salvatore, per il quale coverà eterna riconoscenza[23].

In giugno il compositore soffrì la morte dell'amatissima madre, mentre con il padre, che si era da poco ammalato gravemente, i rapporti continuarono a essere incrinati, soprattutto per la tendenza di quest'ultimo di "ficcare il naso" negli affari del figlio[23]. Verdi dovette soffrire un altro lutto in quell'anno: Salvatore Cammarano, autore di quattro libretti per Verdi, morì, lasciando incompiuto il III atto e tutto da scrivere il IV della trilogia: Il trovatore[N 1]. Il libretto venne completato da Leone Emanuele Bardare, caldamente raccomandato da Francesco de Sanctis. L'opera, tratta dall'omonimo dramma di Antonio García Gutiérrez che, appena ventitreenne, nel 1832 aveva ottenuto un trionfale successo, nonostante i vari contrattempi, tra cui l'immancabile censura, venne terminata[23]. Una lunga maturazione di più di un anno la coinvolse e, terminata intorno ai primi di dicembre del 1852, venne alla fine rappresentata il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma e conobbe uno strepitoso successo[24].

La traviata[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: La traviata.
Cartellone della rappresentazione de La Traviata del 6 marzo 1853

«La Traviata, ieri sera, fiasco. La colpa mia o dei cantanti?... Il tempo giudicherà»

È così, con tombale concisione, che Verdi annuncia a Muzio l'infausto esito dell'ultima opera della trilogia, registrato il 6 marzo 1853. alla Fenice di Venezia. Si potrebbe affermare che La traviata venne data alla luce in modo esattamente contrario a quello dei due precedenti capolavori.

A lungo maturata e poi scritta di getto, come era solito fare Verdi, l'opera ebbe meno problemi di produzione, ma l'esito fu proprio inglorioso. La traviata, tratta dalla Dame aux camèlias di Alexandre Dumas, venne subito "tacciata d'immoralità e turpitudine", non tanto dalla censura, ma soprattutto dal pubblico stesso[25]. Questo pubblico, però, quello veneziano, fu lo stesso che, il 6 maggio 1854, ora al Teatro San Benedetto, la accolse trionfalmente[26]. Verdi, in una lettera al De Sanctis del 26 maggio, concludeva freddamente:

«Tutto quello che esisteva per la Fenice esiste ora pel S. Benedetto. Allora fece fiasco: ora fa furore. Concludete voi!!!»

Con La traviata si conclude un periodo frenetico della vita di Verdi. Dopo esser sopravvissuto a questi "sedici anni di galera" il compositore poté finalmente dedicarsi con calma e meditazione a tutte le opere che seguiranno[27]. Secondo Mila, adesso, all'alba dei quarant'anni, termina la "giovinezza di Verdi". Ora, al massimo delle proprie capacità e reduce da questo lungo e faticoso "tirocinio", il compositore potrà avviarsi, approfittando nuovamente del Mila, verso una "seconda perfezione"[28].

L'esperienza parigina[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Les vêpres siciliennes.

Due anni separano La traviata da I vespri siciliani. Rappresentato il 13 giugno 1855 in occasione dell'Esposizione universale parigina, Les vêpres siciliennes fu la prima opera alla quale Verdi si dedicò con calma e meditata applicazione dopo il Rochester e Nabucco[29]. A dispetto del trionfo col quale venne abbracciata dai francesi (50 recite) l'opera non è considerata tra le migliori del compositore di Busseto ed egli stesso non ne era pienamente convinto e forse non la scrisse neanche volentieri[29]. Le ragioni sono da ricercare per lo più nel libretto. Questo venne redatto da un celebre poeta, Eugène Scribe, che non aveva alcuna intenzione di farsi trattare come un Piave o un Cammarano, sempre docili e pronti nei confronti del compositore. Ne derivò un testo non congeniale a Verdi e soggetto agli influssi della grand opéra francese, dunque, tendente allo spettacolare piuttosto che che al contenuto[30][31].

Così, tutti gli studi fatti da Verdi per creare vere emozioni e personaggi umani finirono sopraffatti da tutti quelli che vengono considerati luoghi comuni verdiani (sommosse, vendette, congiure, amor paterno, di patria etc...)[32]. In effetti, si assiste a una involuzione della produzione verdiana, dovuta, però, non al compositore, ma all'atmosfera parigina, troppo lontana dall'umanità e solidarietà verdiane. È certo, tuttavia, che:

«[...] dopo aver dato vita a caratteri così concretamente umani come Rigoletto, Azucena e Violetta, Verdi si trovava qui a dover lavorare con fantocci convenzionali, privi d'un reale sviluppo interiore che la musica potesse incarnare»

Opere liriche[modifica | modifica wikitesto]

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Onorificenze italiane[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere dell'Ordine Civile di Savoia - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria

Onorificenze straniere[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere di III classe dell'Ordine di Medjidié - nastrino per uniforme ordinaria
Commendatore dell'Ordine Imperiale di Francesco Giuseppe - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di Gran Croce della Legion d'onore - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere della Legion d'Onore - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere dell'Ordine di San Stanislao - nastrino per uniforme ordinaria
— San Pietroburgo, novembre 1862[34]
Cavaliere dell'Ordine Pour le Mérite (classe di pace) - nastrino per uniforme ordinaria
  • Cittadinanza onoraria di Parma con medaglia d'oro (5 aprile 1872), per mano del sindaco Alfonso Cavagnari

Note[modifica | modifica wikitesto]

Note al testo
  1. ^ Verdi rimase molto colpito della prematura morte del poeta, che, pur avendo avuto con lui qualche discussione riguardo al Il trovatore, ammirava profondamente, prova ne è che invece de 500 ducati di onorario per il libretto, egli stesso ne inviò 600 alla vedova. Tintori, p. 164.
  2. ^ L'Onorificenza gli venne consegnata nella sua villa di Sant'Agata per mano dell'editore francese delle sue opere, incaricato dall'allora presidente della Repubblica Francese, Luigi Napoleone Bonaparte.
Fonti
  1. ^ Tintori, p. 21.
  2. ^ Dal sito ufficiale della casa di riposo Verdi di Milano
  3. ^ a b Tintori, p. 22.
  4. ^ Tintori, p. 24
  5. ^ Porzio, p. 10
  6. ^ Tintori, p.25
  7. ^ Mila, p.177
  8. ^ Porzio, p. 17
  9. ^ Tintori, pp. 26-27
  10. ^ Tintori, p. 28
  11. ^ Porzio, p. 44
  12. ^ a b Tintori, p. 29.
  13. ^ a b Tintori, p. 30.
  14. ^ Porzio, p. 144
  15. ^ a b Tintori, p. 32.
  16. ^ Tintori, p.33
  17. ^ Mila, p. 459
  18. ^ a b Tintori, p. 146.
  19. ^ a b Tintori, p. 151.
  20. ^ Tintori, p. 152
  21. ^ a b c Mila, pp. 460-461.
  22. ^ Mila, p. 467
  23. ^ a b c d Tintori, p. 35.
  24. ^ Mila, p. 485
  25. ^ Mila, p. 496
  26. ^ Tintori, p. 175
  27. ^ Tintori, p. 180
  28. ^ Mila, p. 501
  29. ^ a b c Tintori, p. 35.
  30. ^ Tintori, p. 37
  31. ^ Tintori, p. 181
  32. ^ Mila, p. 30
  33. ^ a b Scheda del senatore Giuseppe Verdi
  34. ^ a b c Vedasi qui
  35. ^ Giuseppe Verdi | Vita e Opere | Aida
  36. ^ Vedasi qui
  37. ^ Vedasi qui

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Massimo Mila, Verdi, a cura di Piero Gelli, Milano, Rizzoli, 2012, ISBN 978-88-17-06043-1.
  • Lettere (1835 - 1900) Oscar Classici Mondadori, Milano, a cura di Michele Porzio. ISBN non esistente
  • Giampiero Tintori, Invito all'ascolto Verdi, 1983ª ed., Milano, Mursia, ISBN 978-88-425-4142-4.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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