Francesco Hayez: differenze tra le versioni

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Passato dalla temperie [[neoclassica]] a quella [[romanticismo|romantica]] (della quale è stato il maggiore esponente in Italia), Hayez è stato un artista innovatore e poliedrico, lasciando un segno indelebile nella [[storia dell'arte italiana]] per esser stato l'autore del dipinto ''[[Il Bacio (Hayez)|Il Bacio]]'' e di una serie di magniloquenti ritratti delle più importanti personalità del tempo.
Passato dalla temperie [[neoclassica]] a quella [[romanticismo|romantica]] (della quale è stato il maggiore esponente in Italia), Hayez è stato un artista innovatore e poliedrico, lasciando un segno indelebile nella [[storia dell'arte italiana]] per esser stato l'autore del dipinto ''[[Il Bacio (Hayez)|Il Bacio]]'' e di una serie di magniloquenti ritratti delle più importanti personalità del tempo.


Dopo aver trascorso la giovinezza a Venezia e Roma, si spostò a Milano, dove entrò in contatto con [[Alessandro Manzoni|Manzoni]], [[Giovanni Berchet|Berchet]], [[Silvio Pellico|Pellio]] e [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]], conseguendo numerosissimi uffici e dignità; di quest'ultime, degna di menzione è la cattedra di pittura all'[[accademia di Brera]], conseguita nel 1850.
Dopo aver trascorso la giovinezza a Venezia e Roma, si spostò a Milano, dove entrò in contatto con [[Alessandro Manzoni|Manzoni]], [[Giovanni Berchet|Berchet]], [[Silvio Pellico|Pellio]] e [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]], conseguendo numerosissimi uffici e dignità; di quest'ultime, degna di menzione è la cattedra di pittura all'[[accademia di Brera]], della quale divenne titolare nel 1850.


== Le fonti ==
== Le fonti ==

Versione delle 22:17, 22 feb 2016

Francesco Hayez, Autoritratto a 69 anni (1860); olio su tela, 124×97 cm

«E l'opera sua è la Consacrazione della Vita ...»

Francesco Hayez (Venezia, 10 febbraio 1791Milano, 21 dicembre 1882) è stato un pittore italiano.

Passato dalla temperie neoclassica a quella romantica (della quale è stato il maggiore esponente in Italia), Hayez è stato un artista innovatore e poliedrico, lasciando un segno indelebile nella storia dell'arte italiana per esser stato l'autore del dipinto Il Bacio e di una serie di magniloquenti ritratti delle più importanti personalità del tempo.

Dopo aver trascorso la giovinezza a Venezia e Roma, si spostò a Milano, dove entrò in contatto con Manzoni, Berchet, Pellio e Cattaneo, conseguendo numerosissimi uffici e dignità; di quest'ultime, degna di menzione è la cattedra di pittura all'accademia di Brera, della quale divenne titolare nel 1850.

Le fonti

Frontespizio della prima versione delle Memorie di Hayez, pubblicata nel 1890

La più completa fonte primaria sulla vita e l’attività dell’Hayez sono le Memorie, che egli stesso dettò a intervalli all'amica Giuseppina Negroni Prati Morosini tra il 1869 ed il 1875. Siamo davanti ad un interessante esempio di autobiografia, intenso e ricco di aneddoti, considerazioni personali e note di costume che, abbracciando il periodo compreso tra il 1791 ed il 1838, appare essere «la conclusione di una lunga strategia della costruzione dell'immagine dell'artista quale Hayez si può dire abbia perseguito da sempre».[2] Raffaello Barbiera, assiduo frequentatore sia dell'Hayez che della nobildonna meneghina, lasciò una vivida descrizione delle circostanze che condussero alla redazione dell'opera:[3]

«La contessa Giuseppina lo eccitava [...] a scrivere le sue memorie; ma l'autore del Bacio, aveva, si sa, più facile il pennello che la penna. Un bel giorno, l'amica sua si risolse a scriverle lei quelle ricordanze d'arte e di vita, facendosele dettare a poco a poco dal pittore. E così fu: il vecchissimo artista dalla immacolata canizie, seduto su un seggiolone parlava e la contessa scriveva»

Alla morte dell'amico artista, la Morosini fece dono delle Memorie all'Accademia di Brera il 3 aprile 1890, adempiendo alle volontà espresse dallo stesso Hayez. La genesi editoriale dell'opera si articola in due manoscritti: l'uno integrale, pubblicato come Le mie memorie a Milano nel 1890 con una prefazione di Emilio Visconti Venosta, e l'altro opportunamente rimaneggiato e ritoccato, edito con lo stesso titolo da Fernando Mazzocca nel 1995.[4][N 1]

Biografia

L'infanzia e l'adolescenza

«Nacqui in Venezia il giorno 10 febbraio 1791 nella parrocchia di S. Maria Mater Domini»: è lo stesso Hayez a parlarci della sua nascita, nell'incipit nelle sue Memorie. Mentre sulla fanciullezza dell'artista sono stati versati fiumi d'inchiostro, sulle sue vicende familiari non ci sono pervenute molte notizie: sappiamo che la madre era la muranese Chiara Torcellan, e che il padre Giovanni era un pescatore originario di Valenciennes. In ogni caso, la sua famiglia originaria - che comprendeva altri quattro fratelli - era poverissima, e segnata da vicissitudini e sofferenze: per questo motivo, il piccolo Francesco fu affidato ad un'agiata zia materna di Milano, maritata con Francesco Binasco, disinvolto antiquario e collezionista di opere d'arte.[4]

Francesco Maggiotto, Autoritratto con gli studenti Antonio Florian e Giuseppe Pedrini, 1790. Maggiotto fu uno dei primi precettori del giovane Hayez

Sin d'ora trascorse la fanciullezza e l'adolescenza presso la dimora meneghina degli zii, dai quali ricevette anche una prima educazione: Francesco Binasco, intuendo il precoce talento artistico del nipote, lo introdusse infatti all'esercizio della pittura, con l'auspicio di indirizzarlo nella branca del restauro, così da impiegarlo presso la propria mercatura. Contemporaneamente, il giovane Francesco si accostò alle lezioni di disegno impartite da un certo Zanotti per poi passare, alla morte di quest'ultimo, alla scuola del tardosettecentista veneziano Francesco Maggiotto. Qui, sotto la guida del Maggiotto, acquistò una vasta cultura figurativa e letteraria, divorando libri di carattere mitologico e storico, e avendo modo di studiare alcuni dei grandi maestri veneti del Settecento, da Giovan Battista Tiepolo e Sebastiano Ricci a Francesco Fontebasso e Giovanni Battista Piazzetta. Uno, in particolare, era l'artista prediletto, Gregorio Lazzarini: da quest'ultimo ne ricevette un'impronta profonda, tanto da fondare il proprio stile sulla sua maniera chiara e levigata.[4]

Terminato l'apprendistato presso il Maggiotto, lo zio Binasco decise di valorizzare ulteriormente le doti pittoriche del nipote: fu così che Hayez venne allocato sotto la guida di Filippo Farsetti, che aveva radunato presso il proprio palazzo sul Canal Grande una considerevole raccolta di gessi, tratti dalle statue antiche più famose. Hayez, per l'appunto, dedicò buona parte del suo tempo alla copia dei modelli in gesso della ricca collezione del Farsetti, mentre la sera si recava alla scuola di nudo presso la vecchia Accademia di belle arti di Venezia. Qui strinse amicizia con il pittore Lattanzio Querena, con il quale si interessò allo studio della pittura a colori; il 1° aprile 1805 arrivò addirittura a confermare la propria fama in ascesa, vincendo il primo premio per il disegno di nudo.[4]

Francesco Hayez, Laocoonte (1812); olio su tela, 246x175 cm

L'«alunnato di Roma»

Nel segno di Canova e di Raffaello Sanzio

Quando nel 1806 Venezia cadde nell'orbita francese, divenendo una provincia del neocostituito Regno d'Italia napoleonico, la sede dell'Accademia venne spostata nel complesso della Carità; il conte Leopoldo Cicognara, presidente dell'Accademia dal 1808, darà un impulso che si rivelerà decisivo per la fortuna dell'Hayez. In ogni caso, qui seguì il corso di Teodoro Matteini, al quale venne assegnata la cattedra di pittura di storia. Fu in questi anni, tra l'altro, che Hayez condusse le sue prime esperienze artistiche, realizzando una Adorazione dei magi, dipinta entro il 1809 su commissione dei padri armeni della parrocchiale di Lussingrande (in croato Veli Lošinj), ed un Ritratto della famiglia del pittore.

Sempre nel 1809 l'Hayez partecipò ad un concorso indetto dall'Accademia per l'«alunnato di Roma» risultandone vincitore a pieni voti, e perciò titolare di una borsa di studio e di pittura di durata triennale nella laboriosa officina artistica capitolina.[N 2] Hayez si trasferì nell'Urbe l'ottobre dello stesso anno, accompagnato dal collega Odorico Politi, dallo zio Binasco e, specialmente, da una serie di lettere commendatizie redatte dal conte Cicognara, tese a elogiare caldamente il talento del suo giovane protetto ad Antonio Canova e al cardinale Ercole Consalvi. Era il 28 aprile 1812 il giorno in cui Cicognara, in un'epistola inoltrata all'amico Canova, gli comunicò la sua ambizione di vedere in Hayez un interprete delle ispirazioni nazionali, in grado di dare nuova linfa alla grande pittura italiana: «Oh per Dio che avremo anche noi un pittore; ma bisogna tenerlo a Roma ancora qualche tempo, e io farò di tutto perché vi rimanga».

Trasferitosi a Roma solo dopo aver fatto tappa a Bologna, Firenze e Siena, Hayez ebbe subito modo di presentarsi ad Antonio Canova, detentore all'epoca di numerosissimi uffici,[N 3] che lo accolse molto calorosamente. Con ogni probabilità, la conoscenza diretta col Canova (e col suo collaboratore Antonio D'Este) contribuì ad aprirgli le porte delle maggiori collezioni romane: Hayez fu ai Musei Capitolini e al Museo Chiaramonti, ove poté studiare la statuaria greco-romana ivi raccolta. Per intercessione di Vincenzo Camuccini, inoltre, l'artista ottenne il permesso di recarsi anche alle Stanze Vaticane, dove poté mettersi direttamente a confronto con il plastico pittoricismo delle figure di Raffaello Sanzio. A quest'intensa attività di perfezionamento artistico l'Hayez alternò gli svaghi e le frequentazioni concesse dalla vita di città, ricca di fermenti e suggestioni culturali. Fra i suoi amici romani vi sono le più eminenti personalità artistiche del tempo: Pelagio Palagi, Tommaso Minardi, Dominique Ingres, Bartolomeo Pinelli e Friedrich Overbeck, fra quelli espressamente citati nelle Memorie.[4] Lo stesso pittore ammise più tardi: «dirò che chi mi vedeva allo studio e poi in compagnia avrebbe trovato due uomini ben diversi».[5]

Francesco Hayez, Rinaldo e Armida (1812-1813); olio su tela
Francesco Hayez, Ulisse alla corte di Alcinoo (1814-1815); olio su tela, 381×535 cm

I primi successi

Frattanto, gli entusiastici incoraggiamenti del Canova indussero l'Hayez a partecipare nel 1812 ad un concorso bandito dall'Accademia di Brera per la realizzazione di un'opera d'arte incentrata sull'impegnativo tema classico del Laocoonte. Hayez realizzò una tela dalle solide qualità pittoriche; ciononostante, la giuria lo premiò ex aequo con una ben più modesta opera di Antonio De Antoni, protetto dall'influente Andrea Appiani, membro dell'Accademia meneghina e premier peintre di Napoleone Bonaparte. Si trattò questa di una cocente delusione, ma soprattutto della «prima vera, importante affermazione pubblica dell'Hayez sulla scena nazionale, alla quale fecero seguito altri successi nel giro di pochi anni» (Di Monte). Nell'estate del 1813 mandò all'Accademia di Venezia - a titolo di saggio finale dell'alunnato - la grande tela raffigurante Rinaldo e Armida, permeata di spiriti romantici e coloristici. L'opera, che rappresenta un'intima rielaborazione della lezione veneta di Tiziano Vecellio filtrata attraverso il classicismo canoviano, fu molto gradita agli accademici veneziani, trovando un fervente ammiratore in Cicognara, che così concesse al borsista il quarto anno di alunnato ed un generoso sostegno economico. Hayez coronò le speranze del proprio mentore vincendo il 17 maggio 1813 l'ambito primo premio del concorso del cosiddetto «Mecenate Anonimo» (indetto dall'Accademia di San Luca) con la realizzazione dell'Atleta trionfante.[4] Qui i riferimenti alla statuaria classica e canoviana si fanno ancora più marcati, a prova di come l'artista sia in grado di «selezionare oculatamente i propri referenti figurativi e calibrare specifiche inflessioni stilistiche anche in vista di particolari circostanze» (Di Monte).

Questa fu anche l'epoca del primo amore. Essendo stato accolto da Giuseppe Tambroni, console al servizio del Regno Italico, nell'elegante palazzo Venezia, Hayez ebbe modo di conoscere la giovane figlia sposata del maggiordomo dell'ambasciata, e di instaurarvi una relazione clandestina; l'intera vicenda, quando la cosa si seppe, suscitò un tale scandalo che l'artista venne assalito proditoriamente dal marito della giovane amante. Per sopire questi dissapori, il Canova impose al proprio protégé di lasciare Roma e di recarsi a Firenze, dove però rimase ben poco: già il 17 marzo 1814, Gioacchino Murat, su interessamento del ministro dell'Interno Giuseppe Zurlo, gli commissionò la realizzazione di un quadro, con prezzo e soggetto a discrezione del Cicognara, conferendogli pure un assegno di 50 scudi pontifici mensili per un anno.[4] Con il consenso del Canova, Hayez fece repentinamente ritorno nella città eterna, riprendendo un tema al quale stava già lavorando in precedenza: Ulisse alla corte di Alcinoo, dal sapore squisitamente omerico. Malauguratamente il regno di Murat cadde nel 1815, quando la tela non era ancora stata condotta a termine: ciò malgrado, Ferdinando I si offrì comunque di acquistarla per sistemarla nel museo di Capodimonte, ove è esposta dal 1816.[6]

Piccolo ritratto privato di Vincenza Scaccia, 1816 (17x22,5 cm)[N 4]

L'arrivo in Lombardia

L'intermezzo lagunare

Nel frattempo, Hayez iniziò a frequentare la casa della famiglia Scaccia. Di una dei componenti di quest'ottima famiglia borghese l'artista s'invaghì perdutamente: era costei Vincenza, fanciulla dolce di buoni costumi. Il matrimonio fu celebrato il 13 aprile 1817 nella chiesa di Santa Maria in Via; ma già immediatamente dopo le nozze i novelli sposi lasciarono Roma per recarsi a Venezia. Il distacco dall'Urbe fu voluto dal Cicognara, che chiamò a sé la giovane promessa per rendere omaggio in chiave artistica all'imperatore Francesco I d'Austria in occasione delle sue nozze (le quarte: 1816) con Carolina Augusta di Baviera. Fu quindi in onore alla nuova imperatrice d'Austria che Hayez dipinse la Pietà di Ezechia, raffigurante il noto episodio biblico; quest'opera (oggi andata perduta) venne fatta esporre insieme al Ritratto della famiglia Cicognara, che l'artista realizzò memore dell'ineguagliabile beneficio ricevuto dal proprio protettore.[7]

In ogni caso, durante la permanenza nella città lagunare Hayez e la consorte trovarono temporaneo rifugio presso gli zii Binasco, per poi trasferirsi in casa della sorella del pittore, nell'imminenza di un eventuale ritorno a Roma. Ciò, tuttavia, non accadde: Hayez, infatti, decise di accogliere la proposta fattagli dell'amico Giuseppe Borsato, noto pittore d'ornati, che gli propose di inserirsi nelle vaste imprese decorative da compiersi nelle dimore veneziane e padovane più prestigiose. L'artista accettò con particolare entusiasmo, anche perché vi intravvide la possibilità di migliorare la propria situazione economica. Questo, in effetti, fu un periodo nel quale Hayez venne febbrilmente assorbito nell'attività di decoratore, che lo vide impegnato dal 1818 al 1821. Ben presto, tuttavia, si vide costretto a cessare questa pur lucrosa attività, in quanto poco qualificata dal punto di vista culturale: «quel lavoro era tale da non rendermi contento perché essendo di sola decorazione non potevo fare quegli studi necessari per avanzare nell'arte», scrisse.[8]

Fu in questo momento quindi che l'Hayez si accostò al filone, a lui più congeniale, della pittura di soggetto storico, con la stesura di una tela che sarebbe stata uno degli incunaboli degli straordinari umori ribollenti del Romanticismo: Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri, primo quadro di soggetto storico-medievale della sua produzione pittorica.[9]

L'esordio milanese

Francesco Hayez, Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri (1818-1820); olio su tela, 157,5×131 cm

Per riprendere tra le mani il proprio destino, dedicandosi all'impegnata branca della pittura a tema storico, Hayez comprese che avrebbe dovuto lasciare Venezia e recarsi a Milano, che serbava tracce di un grandissimo fervore artistico che vi accentrò artisti di grande nome, primi tra tutti Andrea Appiani e Giuseppe Bossi, e che trovava espressione nelle promettenti esposizioni di quell'Accademia di Brera che già anni addietro premiò il suo Laocoonte. A Milano, grazie alla conoscenza diretta con Pelagio Palagi, Hayez ebbe contatti con numerosi alfieri della nuova temperie romantica, primi fra tutti Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Ermes Visconti ed Ignazio Fumagalli. Fu proprio per merito di quest'ultimo che Hayez poté esporre il Pietro Rossi all'Accademia di Brera nell'estate del 1820, riscuotendo un grande successo che si rivelerà poi determinante per la sua fortuna a Milano. Hayez da quel momento in poi non sapeva più come rispondere alle commissioni, che gli piovevano da tutte le parti: oltre ai Vespri siciliani, a L'addio di Ettore e Andromaca e all'ossianesco Catmor e Sulmalla, importantissima fu l'esecuzione di una tela raffigurante la tragedia manzoniana del Conte di Carmagnola, realizzata su commissione del conte Francesco Teodoro Arese Lucini. Quest'opera, oltre a valergli le simpatie del Manzoni, lo consacrò promotore di un'arte «impegnata» che, mediante il tema storico, provvedeva al riverbero e al riflesso degli ideali risorgimentali. L'eco che ebbe l'opera fu tale che arrivò anche a Cicognara che, consapevole del lustro che avrebbe dato alla sua Accademia, l'avrebbe voluta a Venezia: Hayez, tuttavia, «non volle e il quadro partì per Milano», dove venne presentato nel 1821, ottenendo un successo furioso. Disilluso, Cicognara fu prodigo di rimproveri nei confronti del «Sig. Francesco Hayez Veneziano», colpevole di non essersi saputo opporre al «desiderio di quei nobili Committenti che vollero arricchire l'Accademia Milanese delle sue produzioni, e ne defraudò in tal modo la Veneta, la quale rimase con desiderio di applaudire il proprio Concittadino, ed inviarlo con una corona di più al luminoso destino».[10]

Hayez si sentì quindi in obbligo di sottolineare che il distacco da Venezia non fu affatto felice, ma fisiologico per imprimere un più decisivo impulso alla propria carriera; in tal senso, fece appello all'autorità del Canova, cui inoltrò questa lettera il 31 luglio 1821:[11]

«Amerei anche poter io stesso raccontargli in necessita ch'io ebbi di spedire prima della esposizione i mite quadri a Milano. Quattro anni ch'io sono in Venezia, e l'ordinazione di una sole testa non l'ho ancora avuta per sostentarmi dove fare il pittore di decorazione, intanto sentivo decantare e i Agricola e i Bezzuoli, ed io ero nell'avvilimento. Credei che fosse necessario di fare a qualunque sacrificio un Quadro (quantunque avessi fatto quello per Vienna)[N 5] per vedere se con un'opera studiata potessi procurarmi una qualche ordinazione. Videro i Veneziani questa mia fatica reggere la ragione, ma non Si mossero, lo vide Lei stesso in Casa Cicognara ella mi fece coraggio e mi parve non restasse scontento, mi lusingò di farlo vedere a quella Sig. Inglese che Si trovava in Venezia. Lo vide questa per mezzo del Cav. Presidente, e dopo aver date delle commissioni in Roma Si contentò solamente nel mio quadro di domandarne prezzo, che quantunque umile, pure non ebbe esito felice, io disperato faccio con Un maggior sacrificio il viaggio a Milano. In Milano sa che un numero di compratori volevano acquistare il mio Pietro Rossi, e quelli che non l'hanno potuto acquistarlo mi hanno dato delle commissioni, dunque i Milanesi e non i Veneziani mi hanno incoraggiato quest'anno a riprodurre nuove fatiche pittoriche, e a Milano dunque ho voluto che siano esposte queste mie produzioni dove il genio di quella popolazione mi fa ancora più sperare della patria mia»

Francesco Hayez, L'ultimo bacio di Giulietta e Romeo (1823)[N 6]

Il fatto che Milano predisponesse di un terreno più fertile ad accogliere il contributo di Hayez è testimoniato da Giuseppe Rovani, che nei suoi Cent'anni - scritti tra il 1859 e il 1864, più di trentacinque anni dopo dell'arrivo dell'artista nella città meneghina - fa dire al protagonista Giulio Baroggi:[12]

«Canova è morto; e tutte le arti si rinnovano. È il momento questo di tirare alla fortuna che passa veloce. Quel diavolo che ha fatto questa musica, ha sfidato il passato che pareva insuperabile, e ha vinto. Tutta Milano è sottosopra; e le ragazze singhiozzano e si tormentano se han le guance rubiconde, perché Ildegonda doveva averle pallidissime; Hayez quest'anno ha trionfato nelle sale di Brera, e, lasciando l'antichità, ha fatto il suo ingresso nel medio evo. Non si parla più d'Appiani, meno di Bossi. Camuccini è un pedante; Benvenuti è convenzionale. Landi e Serangeli fanno pietà; Palagi si arrabatta nel circo per atterrar l'avversario di Venezia; ma non ci riuscirà; or dunque tocca a te a dar le mosse al terremoto; e va pur là, che non sei uomo da perderti nella polvere»

La fuga in Lombardia, se venne sancita dall'esposizione del Pietro Rossi, venne consumata pienamente con il trasferimento definitivo avvenuto nel 1822: proprio in quell'anno, infatti, Hayez fu designato supplente di Luigi Sabatelli, totalmente assorto nell'impegnativa impresa decorativa di Palazzo Pitti, alla cattedra braidense di Storia d'Italia. Hayez, ospitato dall'amico incisore Michele Bisi, divenne rapidamente milanese per vocazione, tanto che non si allontanò mai dalla città meneghina: anche il progetto di fare ritorno a Roma si era fatto ormai remoto, soprattutto alla morte del Canova (avvenuta nel 1822).

In ogni caso, il primo soggiorno a Milano si trattò del «più bel momento» della carriera dell'artista, com'ebbe modo di affermare egli stesso nelle Memorie:[13] in questo periodo, infatti, Hayez si prodigò nella stesura delle principali opere giovanili, gettando le basi per quelli che saranno i temi sviluppati nella tarda maturità. A questi anni risale la grande tela raffigurante L'ultimo bacio di Giulietta e Romeo, realizzata nel 1823 su commissione del collezionista Giovanni Battista Sommariva: nel rappresentare una scena chiave della celebre tragedia shakesperiana, Hayez insiste da una parte sul triste e quanto prossimo commiato dei due amanti perduti, travolti da un amore passionale e letale, e dall'altra su un'attenta ricostruzione d'ambiente filologicamente verificata sulle fonti e ricca di riferimenti letterari.[4]

Francesco Hayez, Autoritratto in un gruppo di amici (1824); olio su tela, 32,5×29,5 cm
Francesco Hayez, Autoritratto con leone e tigre in gabbia (circa 1831); tavola, 51x43 cm

Sono questi motivi che torneranno a dispiegarsi in altre opere sempre di soggetto storico-letterario, come Fiesco si congeda dalla moglie, direttamente ispirata dalla Congiura dei Fieschi di Friedrich Schiller, la teatrale composizione de La congiura dei Lampugnani, esplicitamente desunto dalle Istorie fiorentine di Niccolò Machiavelli, o ancora Maria Stuarda nel momento che sale al patibolo (episodio ancora stavolta tratto dalla Congiura dei Fieschi), che riscosse uno sfolgorante successo sia per il fascino romantico dell'eroina, che per la fortuna che ebbe la tragedia schilleriana in quegli anni.[4]

Al filone di soggetto storico Hayez accostò una copiosa produzione ritrattistica. Fu proprio in questo ambito che ottenne risultati di notevole importanza: travalicando consolidate consuetudini, adottò soluzioni inedite e avveniristiche, che emergono nello «spoglio realismo davidiano» del Ritratto del conte Arese in carcere (1828) e nella «citazione aulica e antiquariale, tintorettesca» del Ritratto di Francesco Peloso (1824). Anche la modesta produzione di autoritratti riflette l'ardito sperimentalismo di Hayez in questi anni, che si raffigurò insieme ai compagni Pelagi, Migliara, Molteni e Grossi (Autoritratto in un gruppo di amici, 1824) o addirittura insieme a due belve ingabbiate (Autoritratto con leone e tigre in gabbia, 1831 circa). Se, insomma, il merito dell'Hayez nella pittura di storia fu quello di infondere nelle proprie tele, rese con un'attenta ricerca tecnica e formale, nodi di significati allegorici, nella ritrattistica egli perseguì un «registro di pacato realismo» ed una «caratterizzazione drammatica, domestica, dei personaggi raffigurati».[14]

La tarda maturità

L'impresa del Salone delle Cariatidi

La magistrale abilità pittorica dell'Hayez gli garantì una certa notorietà anche al di là dei confini italiani, soprattutto in ambito mitteleuropeo: ebbe importanti committenti e mecenati in Maurizio Bethmann, nella famiglia degli Schönborn ed in Guglielmo I di Württemberg, ma specialmente nel principe Klemens von Metternich, che lo incaricò di realizzare sulla volta del Salone delle Cariatidi, l'ambiente più rappresentativo del Palazzo Reale di Milano, un'allegoria ad affresco dell'incoronazione regia dell'Imperatore Ferdinando.[4]

Si trattava questa di una commissione assai importante: per questo motivo, l'Hayez prima di lasciare Milano eseguì una serie di disegni preparatori e li sottopose al giudizio del conte Franz Hartig, detentore del governatorato della Lombardia in quei tempi. Dopo essersi consultato con l'amico Andrea Maffei circa l'iconografia da adottare, partì quindi alla volta di Vienna; Hayez arrivò nella capitale asburgica dopo aver fatto affrettatamente sosta a Venezia e Lubiana, dove incontrò - rispettivamente - l'arciduca Ranieri, viceré del Lombardo Veneto, e Josef Radetzky. Giunto a Vienna, fu ricevuto a corte da Metternich, e qui presentò i disegni al ministro dell'Interno, il conte Franz Anton von Kolowrat, che rilasciò l'autorizzazione definitiva per il compimento del progetto. Terminata la lunga trafila burocratica, Hayez poté finalmente partecipare vivace clima artistico e intellettuale della Vienna ottocentesca, visitando l'Accademia di belle arti locale e frequentando gli atelier di diversi artisti. Nel viaggio di ritorno in Italia fece tappa a Monaco di Baviera, dove incontrò l'architetto Leo von Klenze e gli artisti monacensi di quella scuola, come Ludwig Schwanthaler, Peter von Cornelius e Julius Schnorr von Carolsfeld, alcuni dei quali Hayez non rivedeva dai tempi della gioventù trascorsa a Roma.[4]

Rientrato a Milano, Hayez realizzò immediatamente il cartone e gli abbozzi necessari per l'impresa; tuttavia, per ritardi burocratici e controversie, l'artista non mise subito mano alla decorazione della volta, che - come ricorda egli stesso nelle Memorie - dovette essere portata a compimento in soli quaranta giorni, appena in tempo per la cerimonia d'incoronazione regia, che poté quindi essere celebrata con la cornice artistica dell'Allegoria dell'Ordine Politico di Ferdinando I d'Austria.[N 8] L'affresco piacque molto sia all'Imperatore che al ministro Kolowrat, dai quali fu incaricato di eseguire Vettor Pisani liberato dal carcere (tema dove l'artista sarebbe poi tornato nuovamente) e L'ultimo abboccamento di Iacopo Foscari con la propria famiglia, raffigurante un episodio desunto da un dramma di George Byron - che sarà poi fonte di ispirazione per Giuseppe Verdi - entusiasticamente accolta dal pubblico viennese alla galleria del Belvedere.[16]

Francesco Hayez, Il Bacio (1859); olio su tela, 112×88 cm

Il successo dei grandi temi romantici

Terminata l'impresa decorativa del Salone delle Cariatidi, Hayez inaugurò una fase più matura della propria pittura storica, che ricolmò di suggestioni risorgimentali, a simbolo di un linguaggio pittorico della nazione italiana che, già prima del proclama ufficiale, si vedeva coesa nella propria identità culturale, forte della tradizione del melodramma e della produzione di Alessandro Manzoni. L'inizio di questo cammino - come affermò lo stesso Hayez - fu sancito con la stesura dell'Incontro di Giacobbe ed Esaù (1844) e della monumentale tela raffigurante La sete dei crociati sotto Gerusalemme. La gestazione di quest'ultimo dipinto, iniziata nel 1835 di propria iniziativa e infine rilevata nel 1838 dal re di Sardegna Carlo Alberto, richiese quasi venti anni, tanto che venne inviata a Torino solo nel 1849, per poi venire allocata nella Sala delle Guardie del Corpo al Palazzo Reale, dove è tuttora esposta. Nonostante la critica torinese giudicò freddamente la sua opera, il nuovo re Vittorio Emanuele II la accolse con grandissimo plauso, tanto che insignì l'Hayez dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Nel periodo che richiese la stesura della Sete dei crociati, l'artista realizzò diversi ritratti: significativi quelli ritraenti Alessandro Manzoni (1841), Matilde Juva Branca e Gian Giacomo Poldi Pezzoli.[4]

Si succedettero così, a un ritmo sempre crescente, commissioni prestigiose, incarichi accademici e riconoscimenti ufficiali. Il 18 agosto 1850 divenne titolare della cattedra di pittura all'Accademia braidense, rimasta vacante in seguito alla morte di Luigi Sabatelli, del quale era già stato supplente; nel maggio del 1852 gli fu invece conferito l'Ordine della Croce di Ferro dall'imperatore Francesco Giuseppe. Nel 1860 fu nominato professore onorario dell'Accademia di belle arti di Bologna, e nello stesso anno assunse la presidenza di quella di Milano, in rappresentanza dell'amico Massimo d'Azeglio. Molto numerosa è anche la produzione artistica legata a questo periodo, che ha visto l'esecuzione del Martirio di San Bartolomeo, realizzato nel 1856 per la chiesa parrocchiale di Castenedolo, e del Bacio, celeberrima opera alla quale il nome dell'Hayez è indissolubilmente legato. Dipinto su commissione del conte Alfonso Maria Visconti di Saliceto e presentato a Milano il 9 settembre 1859,[17] Il Bacio raffigura una coppia di due giovani amanti pienamente abbandonati in un intensissimo bacio, che il magistero hayeziano ricolma di ideali patriottici risorgimentali, che ne favorirono il brillante successo; del dipinto, infatti, ne esistono altre tre copie, ciascuna caratterizzata da differenti scelte di colori.[4]

Ultimi anni

Francesco Hayez, La distruzione del tempio di Gerusalemme (1867)

Nel 1861, Hayez - divenuto un uomo ormai vegliardo - decise di lasciare lo studio a Brera e di fare dono del proprio corredo artistico all'Accademia. Sempre in questi anni realizzò due monumentali dipinti, La distruzione del tempio di Gerusalemme ed il Marin Faliero, che destinò come testamento artistico a quell'Accademia veneziana che lo vide inizialmente formarsi. L'anziana età, tuttavia, iniziò a fiaccare le energie creative del pittore, tanto che anche nella ritrattistica decise di dedicarsi ad opere di minor mole: ciò malgrado, realizzò ugualmente dei ritratti destinati a divenire celebri, come quello postumo di Gioacchino Rossini (1870) o, ancora, quello ritraente Massimo d'Azeglio (1864).[4]

L'ambiente coniugale sul quale Hayez aveva instaurato il proprio regime di vita si frantumò nel 1869, allorché lo colpì la morte della moglie Vincenza. In seguito a questo grave lutto, Hayez trascorse gli ultimi anni della sua vita al fianco dell'incantevole Angela Rossi, adottata dall'artista nel 1873.[4]

Hayez infine morì a Milano, il 12 febbraio 1882, sinceramente pianto dai suoi contemporanei.[4]

Note

Esplicative

  1. ^ D'ora innanzi, nel testo si farà riferimento all'edizione delle Memorie del 1995, in quanto riprende la precedente ma in modo più completo, ed al Catalogo ragionato di Hayez edito sempre dal Mazzocca nel 1994.
  2. ^ Oltre ad Hayez, risultarono vincitori dell'«alunnato di Roma» del 1809 anche Giovanni De Min e Vincenzo Baldacci. Si consulti: Di Monte.
  3. ^ Con bolla del 1802, il pontefice Pio VII nominò Canova ispettore generale di tutte le Belle Arti per Roma e lo Stato pontificio, con sovrintendenza ai musei Vaticani e Capitolini e all'Accademia di San Luca. Si consulti, per maggiori informazioni sulle dignità detenute dal Canova: Massimiliano Pavan, CANOVA, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 18, Treccani, 1975. URL consultato l'8 febbraio 2016.
  4. ^ Il ritratto, che coniuga lo stile di Vincenzo Camuccini con la maniera dei Nazareni tedeschi, presenta una larga lacerazione sul viso altrimenti candido della donna. È lo stesso Hayez, nelle sue Memorie, ad additarci i motivi per cui s'è generato lo squarcio:

    «Ma convien dire che la moglie del chiurgo non si fosse dimenticata di me, poiché saputo che io stavo dipingendo il ritratto della mia fidanzata (...) approfittò ch'io abbandonassi per un momento lo studio, ella vi entrò, e con un manico d'un pennello fece un taglio proprio sulla faccia»

    Si consulti: F. Tamanini, Ritratto della moglie Vincenza Scaccia, su lombardiabeniculturali.it, LombardiaBeniCulturali, 2009. URL consultato il 21 febbraio 2016.

  5. ^ Il quadro eseguito «per Vienna» è la Pietà di Ezechia.
  6. ^ Il giornalista Defendente Sacchi diede a questa tela il valore di un simbolo, consacrandola a manifesto della pittura romantica per aver sostituito alla mitologia classica i due giovani amanti shakespeariani:

    «la sua Giulietta [...] è bella, ma bella dell'amor suo, dolce ti piove in core a riguardarla una vaghezza che ti annunzia essere l'ideale de' suoi tempi; Romeo non è l'Antinoo né l'Apollo, eppure è con desio considerato dalla femminile curiosità e ti annunzia il fiore de' prodi e degli amanti»

    Si consulti: Un Bacio per l'Italia. Hayez: la genesi di un capolavoro (PDF), su reality.provincia.milano.it, Milano, Provincia di Milano, 2011. URL consultato il 22 febbraio 2016.

  7. ^ Di seguito si cita un passo delle Memorie di Carolina Zucchi:

    «La prima volta che Francesco infilò sua la lingua tra le gambe ho sentito un brivido corrermi lungo la schiena. Non credevo che quella intrusione nel mio corpo sarebbe stata così piacevole, ma ho scoperto invece di possedere un tesoro nascosto tra le mie gambe, protetto da un fitto boschetto, che celava i miei gioielli segreti come l'aveva chiamati Diderot nel secolo precedente. Ho imparato che tra le mie gambe si nascondeva la fonte del mio piacere, anzi di tante differenti sensazioni, piacevoli e nello stesso tempo sconvolgenti, che bastavano le giuste carezze a suscitare e Francesco sapeva come prendermi e come accendere ii mio desiderio. Sapeva come stimolare le mie labbra calde e umide, ma anche come spingersi fin a fondo ed esplorare la mia femminilità e così per ricambiarlo anch'io volli assaggiare la consistenza e il sapore del suo membro e lo accolsi nella mia bocca. La prima volta ero incerta ed emozionata, ma Francesco mi incoraggiò, appoggiandomi una mano sulla testa e, accarezzandomi dolcemente sui capelli, e cosi presi coraggio e succhiai Ii suo membro grande e turgido»

    Si consulti: Carolina Zucchi, su stilearte.it, 2 marzo 2014. URL consultato il 28 febbraio 2016.

  8. ^ Il Salone delle Cariatidi verrà poi distrutto dai bombardamenti bellici anglo-americani dell'agosto del 1943. Si consulti: Armando Besio, Sala delle Cariatidi, l'ora della rinascita, La Repubblica, 7 marzo 2005. URL consultato il 24 febbraio 2016.

Riferimenti

  1. ^ Un «genio democratico» consacrato da Mazzini, Il Giornale, 8 novembre 2015. URL consultato il 26 febbraio 2016.
  2. ^ Mazzocca, Le mie memorie, p. 12.
  3. ^ Barbiera, p. 58.
  4. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q Di Monte.
  5. ^ Mazzocca, Le mie memorie, p. 85.
  6. ^ Ulisse alla corte di Alcinoo, su cir.campania.beniculturali.it, Segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Campania. URL consultato il 17 febbraio 2016.
  7. ^ Mazzocca, Catalogo ragionato, p. 52.
  8. ^ Mazzocca, Le mie memorie, p. 113.
  9. ^ Mazzocca, Catalogo ragionato, p. 54.
  10. ^ Picotti, p. 19.
  11. ^ Lettera di Francesco Hayez ad Antonio Canova, datata 31 luglio 1821 (Bassano del Grappa, Biblioteca e Museo Civico, Epistolario Scelto Canova, II.83.1571).
  12. ^ Rovani, p. 575.
  13. ^ Mazzocca, Le mie memorie, p. 140.
  14. ^ Catalogo della mostra Hayez di Gallerie d'Italia, Gallerie di piazza Scala (7 novembre 2015 - 21 febbraio 2016).
  15. ^ Carolina Zucchi, su stilearte.it, 2 marzo 2014. URL consultato il 28 febbraio 2016.
  16. ^ Mazzocca, Catalogo ragionato, p. 88.
  17. ^ Cartoline dal Risorgimento, su brera.beniculturali.it, Pinacoteca di Brera. URL consultato il 25 gennaio 2016.

Bibliografia

  • Raffaello Barbiera, Una grande amica di Giuseppe Verdi.
  • Michele Di Monte, HAYEZ, Francesco, collana Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 61, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2004, SBN IT\ICCU\VEA\0181211. URL consultato il 18 febbraio 2015.
  • Fernando Mazzocca, Francesco Hayez: Catalogo ragionato, in Cataloghi ragionati di artisti lombardi dell'Ottocento, Federico Motta Editore, 1994, ISBN 8871790812.
  • Fernando Mazzocca, Francesco Hayez, Le mie memorie, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1995, ISBN 88-7305-486-2.
  • Discorsi letti in occasione della distribuzione de' premj, Picotti, 1821.
  • Giuseppe Rovani, Cento anni: romanzo ciclico, vol. 2, Rechiedei, 1869.

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