Trilogia di Berlino

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Il muro di Berlino nel 1988, è visibile una torre di guardia nel settore orientale.

La trilogia di Berlino o trilogia berlinese è costituita da tre album discografici cronologicamente consecutivi pubblicati dal cantautore britannico David Bowie alla fine degli anni settanta: Low (1977), "Heroes" (1977) e Lodger (1979). Furono incisi da Bowie in seguito al suo trasferimento a Berlino ovest alla fine del 1976 e videro l'artista sperimentare con elementi di musica elettronica, krautrock, ambient e world music in collaborazione con il produttore statunitense Tony Visconti e il musicista inglese Brian Eno.

Bowie iniziò a riferirsi ai tre album definendoli una sorta di trilogia incentrata su Berlino durante la promozione di Lodger, sebbene soltanto "Heroes" fosse stato registrato interamente nella città. Ciascun LP raggiunse la Top 5 nel Regno Unito, conquistando il disco d'oro. A posteriori, Bowie avrebbe definito la musica contenuta nei dischi della trilogia, il suo "DNA".[1] Consequence definì la trilogia "art rock tri-perfetto",[2] mentre Rolling Stone scrisse che "[la] trilogia di Berlino resta uno degli esempi più significativi di musica innovativa nell'influente canone dell'artista".[3] La trilogia di Berlino costituisce uno degli esempi più importanti di Art rock all'interno della musica del ventesimo secolo.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Station to Station e The Idiot.
Bowie nei panni del "sottile duca bianco" durante un concerto nel 1976.

A seguito del periodo The Thin White Duke ("sottile duca bianco") e al successo commerciale dei singoli Fame e Golden Years nel 1976, Bowie era ansioso di sfuggire alla cultura della droga di Los Angeles,[4] dove aveva sviluppato una pericolosa e deleteria tossicodipendenza dalla cocaina.[5] Bowie aveva inoltre recentemente ricevuto forti critiche e destato scandalo per dei commenti sul fascismo del quale sembrava auspicare il ritorno.[6] Egli attribuì il suo comportamento destrorso alla tossicodipendenza e al suo precario stato mentale dell'epoca,[7] dichiarando: «Ero fuori di testa, totalmente pazzo».[8] Più avanti avrebbe definito quel periodo come "il più buio della mia vita" e confessò di non aver più nessun ricordo delle sessioni di registrazione per l'album Station to Station, svoltesi a Los Angeles nel 1975 a causa del proprio "astronomico consumo di cocaina".[9] Dato che il consumo smodato di droga stava compromettendo la sua salute fisica e mentale, Bowie corse ai ripari tentando di ridurre l'assunzione di cocaina ed eliminando gradualmente la persona del Thin White Duke, il quale era diventato "un personaggio veramente cattivo".[5] Egli inoltre aggiunse: «Fu un periodo molto pericoloso per me. Ero ai minimi termini sia fisicamente che emotivamente e avevo seri dubbi sulla mia sanità mentale».[10]

155 Hauptstrasse, Berlino Schöneberg, il palazzo a Berlino residenza di Bowie e Iggy Pop dal 1976 al 1978.

Nella seconda metà del 1976, Bowie si trasferì in Svizzera. In terra elvetica, egli iniziò ad esplorare altre forme d'arte, a visitare mostre a Ginevra, e ad effettuare frequenti visite al Brücke-Museum di Berlino, diventando (nelle parole del biografo Christopher Sandford) "un prolifico produttore e collezionista d'arte contemporanea".[11] Si interessò anche alla letteratura e alla musica classica, e successivamente, insieme all'amico Iggy Pop, e alla sua segretaria Corinne "Coco" Schwab, si sarebbe ritirato a Berlino nel tentativo di disintossicarsi e di sfuggire alle luci della ribalta che il suo status di popstar gli imponeva:

«Per molti anni, Berlino fu per me una sorta di rifugio e santuario. È stata una delle poche città in cui ho potuto muovermi in un virtuale anonimato. Stavo andando in rovina; Berlino era economica per vivere. Per qualche motivo, ai berlinesi semplicemente non importava niente di nulla. Beh, certo non di un cantante rock inglese, in ogni caso.[12]»

Mentre divideva un appartamento con Pop e la Schwab nel quartiere di Schöneberg, Bowie si interessò alla scena musicale tedesca, inclusi gruppi quali Kraftwerk e Neu!. Durante i mesi di convalescenza, ascoltò molto l'album Discreet Music (1975) di Brian Eno, del quale apprezzò il minimalismo, e alla fine si incontrò con lui nel 1976[13][14][15] e poco dopo nacque una collaborazione con lo stesso Eno, sotto l'egida del produttore Tony Visconti.[16] Nel 1976 inoltre Bowie coscrisse e produsse il primo album da solista di Iggy Pop, The Idiot (pubblicato nel 1977).[17] In quanto iniziato prima di Low di Bowie, The Idiot di Pop viene spesso considerato l'inizio non ufficiale del periodo berlinese di David Bowie, sebbene i due dischi furono registrati quasi in contemporanea.[18]

1976–77: Low[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Low (David Bowie).
Un sintetizzatore EMS VCS 3, il modello utilizzato da Brian Eno in Low.

L'album Low (1977) venne inciso in un periodo problematico della vita di Bowie, dove oltre che ai problemi di dipendenza da droga ed alcool, dovette confrontarsi con il lento tracollo del suo matrimonio: «C'è una gran quantità di dolore nell'album Low. Quello fu il mio primo tentativo di liberarmi dalla cocaina, e mi causò un sacco di dolore. E mi trasferii a Berlino per farlo. Me ne andai dalla capitale mondiale della coca, [Los Angeles], per approdare nella capitale mondiale dell'eroina. Grazie a Dio, non avevo interesse nell'eroina, quindi non fu uno sbaglio».[19] Tony Visconti fece notare come la parola "low" ("depresso"), scelta come titolo dell'opera, dica molto sia sul conto della musica stessa contenuta nell'album, sia sul "low profile" ("basso profilo") voluto dall'artista, attraverso il quale Bowie voleva adesso mostrarsi al pubblico dopo tanti "eccessi mediatici".[20] Uno dei contributi più innovativi e significativi apportati da Brian Eno alla lavorazione in studio, fu l'implementazione della "tecnica delle 124 carte delle Strategie Oblique" da lui ideata nel 1975 insieme all'artista Peter Schmidt. Le carte venivano girate a caso dai musicisti in studio, che ne ricavavano di volta in volta nuove ed enigmatiche indicazioni su come portare a termine il lavoro. L'album segnò una svolta importante nella carriera di Bowie che passò alla musica elettronica[21] e ambient.[22] La prima facciata dell'LP contiene brevi, concise, e dirette canzoni di pop sperimentale simili a frammenti sonori;[23] mentre invece la seconda facciata è costituita da estesi pezzi principalmente strumentali con largo impiego di sintetizzatori utilizzati in modo non convenzionale.[23] Spesso erroneamente indicato come produttore di Low,[24] Eno fu responsabile di buona parte della direzione musicale generale e della composizione delle tracce della seconda facciata del disco per la quale compose e registrò in solitaria Warszawa mentre Bowie si trovava a Parigi per presenziare a un'udienza in tribunale nella causa legale contro il suo ex-manager Tony De Fries.[25] Parzialmente influenzato dal sound di band quali Kraftwerk e Neu!, Low evidenzia il distaccamento da parte di Bowie nel suo stile di scrittura dai tradizionali stilemi narrativi a un approccio musicale più astratto dove i testi sono sporadici o assenti del tutto in quanto non necessari.[15]

Low e The Idiot furono in gran parte registrati in Francia, e della trilogia di Bowie solo Low e "Heroes" furono effettivamente incisi agli Hansa Tonstudio di Berlino, soprannominati "Hansa by the Wall" per la loro vicinanza con il muro di Berlino che divideva in due la città.[4] Anche se Bowie completò l'album nel novembre 1976, la sua casa discografica si disse alquanto perplessa dalle nuove sonorità e impiegò altri tre mesi per far uscire il disco nei negozi.[26] Le recensioni furono in gran parte negative, nonostante ciò, Low raggiunse la seconda posizione in classifica in Gran Bretagna sorpassando il risultato del precedente Station to Station.

1977–78: "Heroes" e tournée mondiale[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: "Heroes" (album David Bowie) e Stage Tour.
Distretti urbani (Stadtbezirk) di Berlino Ovest

Senza tralasciare l'approccio minimalista e strumentale di Low, il secondo capitolo della trilogia, "Heroes" (1977), incorporò elementi di musica pop e rock in misura maggiore, e Bowie venne raggiunto in studio da collaboratori di Eno come il chitarrista dei King Crimson, Robert Fripp. Come Low, "Heroes" cattura lo "zeitgeist" della Guerra fredda, simbolizzata dalla città divisa di Berlino.[27] Pur mantenendo l'attitudine sperimentale ed incorporando una gran quantità di fonti sonore (rumori di generatori, sintetizzatori, koto, ecc...), l'album si rivelò più accessibile per il grande pubblico e divenne un altro successo, raggiungendo la terza posizione in Gran Bretagna. La title track, anche se all'epoca raggiunse solo la posizione numero 24 nella classifica dei singoli, con il passare del tempo è diventata un classico e, probabilmente, la canzone più celebre di Bowie. Inoltre, nel disco si ritrova musicalmente, attraverso l'uso di vari strumenti etnici come ad esempio il koto (uno strumento della tradizione giapponese) in Moss Garden o le sonorità mediorientali di The Secret Life of Arabia, anche un senso di cosmopolitismo tipico di Berlino ma anche tipico di Bowie, che sarebbe poi esploso in Lodger. Riferendosi alla nascente scena musicale new wave, la RCA Records sponsorizzò "Heroes" con lo slogan "There's Old Wave. There's New Wave. And there's David Bowie" ("C'è la old wave, c'è la new wave. E c'è David Bowie").[15]

Bowie in concerto a Oslo, Norvegia, 5 giugno 1978.

Dopo la pubblicazione di "Heroes" nel 1977, Bowie passò gran parte del 1978 in tour, portando la musica dei primi due album della trilogia di Berlino in giro per il mondo nel corso di 70 concerti in 12 nazioni diverse. All'epoca aveva finalmente risolto i suoi problemi con la droga, e il biografo David Buckley scrisse che questa tournée "fu probabilmente il primo tour di Bowie in cinque anni nel quale egli non fosse stato anestetizzato da copiose quantità di cocaina prima di salire sul palco". Dalle registrazioni del tour del '78, venne ricavato l'album dal vivo Stage, pubblicato nello stesso anno.

1979: Lodger[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Lodger (album).
Brian Eno nel 2011

Fu all'incirca all'epoca di Lodger (1979) che Bowie iniziò a considerare e a definire i suoi precedenti due album come i primi capitoli di una trilogia incentrata sulla città di Berlino e la sua decadenza.[28] Lodger, capitolo finale di questa trilogia, si discosta dal minimalismo e dall'atmosfera ambient dei due precedenti lavori, sancendo un parziale ritorno alla tradizionale forma canzone del periodo pre-Berlino. Registrato tra la Svizzera e New York, il risultato fu un misto di new wave e world music, con influenze da parte di Brian Eno che avrebbe ulteriormente sviluppato queste sonorità insieme a David Byrne con l'album My Life in the Bush of Ghosts del 1981. Alcuni brani furono composti utilizzando le carte delle Strategie Oblique: per Boys Keep Swinging, Eno incoraggiò i musicisti a scambiarsi gli strumenti, Move On ricorre agli accordi di All the Young Dudes suonati al contrario, e Red Money riprende la traccia base di Sister Midnight, pezzo composto in precedenza da Bowie con Iggy Pop per l'album The Idiot.[29] Inizialmente, Lodger fu accolto da giudizi contrastanti, venendo considerato non del tutto all'altezza dei suoi due illustri predecessori, e tacciato di produzione affrettata. L'album, oltre che il termine dell'esperienza berlinese, sancì inoltre la fine della partnership di Bowie con Brian Eno (i due sarebbero tornati a lavorare insieme solamente quindici anni dopo per l'album 1.Outside del 1995).

Lodger raggiunse la quarta posizione in classifica in Gran Bretagna e la numero 20 negli Stati Uniti.[30][31] Verso la fine dell'anno, Bowie e la moglie Angela iniziarono le pratiche per il divorzio, e, dopo mesi di battaglie in tribunale, il matrimonio fu di dichiarato nullo all'inizio del 1980; subito dopo David Bowie si trasferì a New York e il periodo berlinese dell'artista poté dirsi definitivamente concluso.[32]

Dopo la trilogia berlinese Bowie continuerà a comporre musica e a pubblicare dischi riscuotendo anche maggiori successi commerciali, ma con alterna fortuna critica, e non riuscirà più, secondo la maggior parte dei critici, a raggiungere di nuovo quegli straordinari toni artistici concepiti durante quel particolare percorso.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Rory MacLean, Bowie in Berlin: 'He drove round the car park at 70mph screaming that he wanted to end it all', in The Guardian, 13 gennaio 2016.
  2. ^ Ranking: Every David Bowie Album From Worst to Best, su Consequence, 8 gennaio 2016.
  3. ^ Kreps, Daniel. Brian Eno on David Bowie: I Feel a Huge Gap Now, Rolling Stone, 11 gennaio 2016.
  4. ^ a b Frank Mastropolo, The History of David Bowie’s Berlin Trilogy: ‘Low,’ ‘Heroes’ and ‘Lodger’, su Ultimate Classic Rock, 11 gennaio 2016.
  5. ^ a b Hugo Wilcken, Low, New York, Continuum, 2005, p.  24., ISBN 0-8264-1684-5.
  6. ^ Buckley (2000): pp. 289–91.
  7. ^ Carr & Murray (1981): p. 11
  8. ^ Sandford (1997): pag. 158
  9. ^ David Buckley, Strange Fascination – David Bowie: The Definitive Story, 1st, London, Virgin, 1999, pp. 258–75, ISBN 1-85227-784-X.
  10. ^ Bowie's UNCUT interview on Low, su BowieGoldenYears.com. URL consultato il 23 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 28 febbraio 2017).
  11. ^ Sandford (1997): pp. 154–55
  12. ^ David Bowie & Tony Visconti On Berlin, Uncut, marzo 2001
  13. ^ Thomas Jerome Seabrook, Bowie in Berlin: A New Career in a New Town, Jawbone Press, 2008, ISBN 1-906002-08-8.
  14. ^ Eno: I would set up sonic scenarios for David Bowie, su BBC News. URL consultato il 16 giugno 2016.
  15. ^ a b c Roy Carr e Charles Shaar Murray, Bowie: An Illustrated Record, 1981, pp. 91–92.
  16. ^ Sandford, 1997, pag. 149
  17. ^ Kris Needs, The Passenger, in Mojo Classic, 60 Years of Bowie, gennaio 2007, p. 65.
  18. ^ Hugo Wilcken, Low, 2005, pp.  37.–58.
  19. ^ Scott Cohen. "David Bowie", Details magazine, settembre 1991: p.97
  20. ^ BowieGoldenYears (archiviato dall'url originale il 28 febbraio 2017)..
  21. ^ Andrzej Lukowski, Album Review: Low: Live in Chicago, su Drowned in Sound. URL consultato il 29 marzo 2016 (archiviato dall'url originale il 19 marzo 2016).
  22. ^ Frank Mastropolo, The History of David Bowie's Berlin Trilogy: 'Low,' 'Heroes,' and 'Lodger', su Ultimate Classic Rock. URL consultato il 29 marzo 2016.
  23. ^ a b AllMusic.
  24. ^ Nicholas Pegg (2000). The Complete David Bowie: pp.302–306
  25. ^ Hugo Wilcken (2005). Low: pp.113–118
  26. ^ Tobias Ruether, The Man Who Came from Hell, su 032c, Winter 2006–2007, pp. 82–85. URL consultato il 21 luglio 2014.
  27. ^ Pegg, 2004, pp=90–92
  28. ^ Ben Graham, 30-Years On: David Bowie's Lodger Comes In From The Cold Ben Graham , 11 gennaio 2016 00:35, su The Quietis. URL consultato il 6 dicembre 2016.
  29. ^ Carr, Murray, 1981, pag. 102–107
  30. ^ Buckley, 2005, pag. 281
  31. ^ Sandford, 1997, pag. 191–92
  32. ^ Sandford (1997): p. 197

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Buckley, David. Strange Fascination — David Bowie: The Definitive Story, 1999, Londra, Virgin, ISBN 978-0-7535-1002-5
  • Carr, Roy; Murray, Charles Shaar. Bowie: An Illustrated Record, 1981, New York, Avon, ISBN 0-380-77966-8
  • Pegg, Nicholas. The Complete David Bowie, 2000, Londra, Reynolds & Hearn, ISBN 1-903111-73-0
  • Sandford, Christopher. Bowie: Loving the Alien, Time Warner, 1996, ISBN 0-306-80854-4
  • Seabrook, Thomas Jerome. Bowie - la trilogia berlinese, Arcana, 2009, ISBN 978-88-6231-060-4

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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