Tiroidite di Hashimoto: differenze tra le versioni

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Istologicamente possono essere distinte due varianti:
Istologicamente possono essere distinte due varianti:
# <em>Variante ossifila: </em>si caratterizza per la prevalenza di cellule ossifile, e per una prevalenza dell’infiltrazione linfocitaria con formazione di follicoli;
# Variante ossifila:<em> </em>si caratterizza per la prevalenza di cellule ossifile, e per una prevalenza dell’infiltrazione linfocitaria con formazione di follicoli;
# <em>Variante fibrosa:</em> la fibrosi è prevalente, e per tanto ha una maggior probabilità che si sfoci in ipotiroidismo. Questa forma raggiunge la sua massima espressione nel mixedema idiopatico dell’adulto.
# Variante fibrosa: la fibrosi è prevalente, e per tanto ha una maggior probabilità che si sfoci in ipotiroidismo. Questa forma raggiunge la sua massima espressione nel mixedema idiopatico dell’adulto.
Il meccanismo eziopatogenetico alla base delle due forme sembra essere, però, lo stesso.<ref name=":26" />
Il meccanismo eziopatogenetico alla base delle due forme sembra essere, però, lo stesso.<ref name=":26" />


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L'aggiunta della [[liotironina]] alla levotiroxina è una strategia suggerita come misura per controllare meglio i sintomi, ma non c'è stata nessuna conferma da studi al riguardo<ref name=":1" /><ref name=":2">{{Cita web|autore = Ali J Chakera, Simon HS Pearce, and Bijay Vaidya|url = http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3267517/|titolo = Treatment for primary hypothyroidism: current approaches and future possibilities|accesso = |editore = |data = }}</ref>. Nel 2007, la ''British Thyroid Association'' ha dichiarato che la terapia combinata con T<sub>4</sub> e T<sub>3</sub> ha portato ad un più alto tasso di effetti collaterali e a nessun vantaggio rispetto alla somministrazione di solo T<sub>4</sub><ref name=":1" /><ref name=":3">{{Cita web|autore = |url = http://www.british-thyroid-association.org/Guidelines/Docs/Armour_nov_07.pdf|titolo = Amour thyroid and combined thyroxine / tri-iodothyronina as thyroid hormone replacement|accesso = |editore = |data = }}</ref>.<nowiki> </nowiki>Allo stesso modo, le linee guida statunitensi scoraggiano la terapia combinata proprio per mancanza di prove certe, anche se riconoscono che alcuni casi abbiano tratto beneficio da questo approccio<ref name=":0" />. A causa della sua breve [[Emivita (farmacologia)|emivita]], la liotironina deve essere assunta più frequentemente<ref name=":0" />.
L'aggiunta della [[liotironina]] alla levotiroxina è una strategia suggerita come misura per controllare meglio i sintomi, ma non c'è stata nessuna conferma da studi al riguardo<ref name=":1" /><ref name=":2">{{Cita web|autore = Ali J Chakera, Simon HS Pearce, and Bijay Vaidya|url = http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3267517/|titolo = Treatment for primary hypothyroidism: current approaches and future possibilities|accesso = |editore = |data = }}</ref>. Nel 2007, la ''British Thyroid Association'' ha dichiarato che la terapia combinata con T<sub>4</sub> e T<sub>3</sub> ha portato ad un più alto tasso di effetti collaterali e a nessun vantaggio rispetto alla somministrazione di solo T<sub>4</sub><ref name=":1" /><ref name=":3">{{Cita web|autore = |url = http://www.british-thyroid-association.org/Guidelines/Docs/Armour_nov_07.pdf|titolo = Amour thyroid and combined thyroxine / tri-iodothyronina as thyroid hormone replacement|accesso = |editore = |data = }}</ref>.<nowiki> </nowiki>Allo stesso modo, le linee guida statunitensi scoraggiano la terapia combinata proprio per mancanza di prove certe, anche se riconoscono che alcuni casi abbiano tratto beneficio da questo approccio<ref name=":0" />. A causa della sua breve [[Emivita (farmacologia)|emivita]], la liotironina deve essere assunta più frequentemente<ref name=":0" />.


L'assunzione di liotironina risulta necessaria statisticamente in un 15% di pazienti<ref>{{Cita web|autore = Fondazione IBSA|url = http://www.fondazioneibsa.org/papers/papers_della_fondazione_IBSA_II_gubbio.pdf|titolo = Novità per l’ipotiroidismo|accesso = |editore = |data = }}</ref>, nel caso di:
L'assunzione di liotironina risulta necessaria statisticamente in un 15% di pazienti<ref>{{Cita web|autore = Gullo D1, Latina A, Frasca F, Le Moli R, Pellegriti G, Vigneri R.|url = http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21829633|titolo = Levothyroxine monotherapy cannot guarantee euthyroidism in all athyreotic patients.|accesso = |editore = |data = }}</ref>, nel caso di:
* Diminuita traformazione del T<sub>4</sub> nel metabolita attivo T<sub>3</sub>, a seguito di un deficit della funzione [[desiodasi|desiodasica]] o di altre anomalie del metabolismo degli ormoni tiroidei: un esempio potrebbe essere l'eccessiva produzione di [[rT3|rT<sub>3</sub>]], un metabolita inattivo che occupa i siti [[Recettore (biochimica)|recettoriali]] del T<sub>3</sub> impedendo il legame di quest'ultimo<ref name=":30" />;
# Diminuita traformazione del T<sub>4</sub> nel metabolita attivo T<sub>3</sub>, a seguito di un deficit della funzione [[desiodasi|desiodasica]] o di altre anomalie del metabolismo degli ormoni tiroidei: un esempio potrebbe essere l'eccessiva produzione di [[rT3|rT<sub>3</sub>]], un metabolita inattivo che occupa i siti [[Recettore (biochimica)|recettoriali]] del T<sub>3</sub> impedendo il legame di quest'ultimo<ref name=":30" />;
* [[Sindrome di Refetoff]], un raro disordine immunologico caratterizzato da resistenza generalizzata o ipofisaria agli ormoni tiroidei<ref name=":29">{{Cita web|autore = Vincenzo Piazza|url = http://www.vincenzopiazza.it/file_pdf/Sindrome_di_Refetoff.pdf|titolo = SINDROME DA RESISTENZA AGLI ORMONI TIROIDEI (THR) o SINDROME DI REFETOFF|accesso = |editore = |data = }}</ref><ref name=":30">{{Cita libro|autore = Raul Vergini|titolo = Curare in maniera naturale l'Ipotiroidismo|anno = |editore = |città = }}</ref>;
# [[Sindrome di Refetoff]], un raro disordine immunologico caratterizzato da resistenza generalizzata o ipofisaria agli ormoni tiroidei<ref name=":29">{{Cita web|autore = Vincenzo Piazza|url = http://www.vincenzopiazza.it/file_pdf/Sindrome_di_Refetoff.pdf|titolo = SINDROME DA RESISTENZA AGLI ORMONI TIROIDEI (THR) o SINDROME DI REFETOFF|accesso = |editore = |data = }}</ref><ref name=":30">{{Cita libro|autore = Raul Vergini|titolo = Curare in maniera naturale l'Ipotiroidismo|anno = |editore = |città = }}</ref>;
* Forme di [[pseudoresistenza]] agli ormoni tiroidei<ref name=":29" />;
# Forme di [[pseudoresistenza]] agli ormoni tiroidei<ref name=":29" />;
L’insufficiente produzione di T<sub>3 </sub>non può essere appropriatamente corretta incrementando la dose di L-T<sub>4</sub>, poiché l’effetto inibitorio degli elevati livelli di T<sub>4</sub> sulla Desiodasi 2<ref>{{Cita web|autore = Fondazione IBSA|url = http://www.fondazioneibsa.org/papers/papers_della_fondazione_IBSA_II_gubbio.pdf|titolo = Novità per l’ipotiroidismo|accesso = |editore = |data = }}</ref>, aumenterebbe ulteriormente lo sbilanciamento nel rapporto fra fT<sub>3</sub> e fT<sub>4</sub> circolanti.
L’insufficiente produzione di T<sub>3 </sub>non può essere appropriatamente corretta incrementando la dose di L-T<sub>4</sub>, poiché l’effetto inibitorio degli elevati livelli di T<sub>4</sub> sulla Desiodasi 2<ref>{{Cita web|autore = Fondazione IBSA|url = http://www.fondazioneibsa.org/papers/papers_della_fondazione_IBSA_II_gubbio.pdf|titolo = Novità per l’ipotiroidismo|accesso = |editore = |data = }}</ref>, aumenterebbe ulteriormente lo sbilanciamento nel rapporto fra fT<sub>3</sub> e fT<sub>4</sub> circolanti.


==== Estratto di tiroide animale ====
==== Estratto di tiroide animale ====
La somministrazione di estratto animale, più comunemente da suini<ref name=":1" />, di tiroide essiccata è una terapia di combinazione, contenente forme di T<sub>4</sub> e T<sub>3</sub><ref name=":1" />. Contiene inoltre [[calcitonina]], T<sub>1</sub> e T<sub>2</sub>; questi elementi non sono presenti nei farmaci sintetici. Questo approccio una volta rappresentava il trattamento fondamentale, ma ad oggi esso non è supportato da sufficienti prove al riguardo<ref name=":2" /><ref name=":1" />. La ''British Thyroid Association'' e le linee guida professionali statunitensi ne scoraggiano l'uso<ref name=":0" /><ref name=":3" />.
La somministrazione di estratto animale, più comunemente da suini<ref name=":1" />, di tiroide essiccata è una terapia di combinazione, contenente forme di T<sub>4</sub> e T<sub>3</sub><ref name=":1" />. Contiene inoltre [[calcitonina]], T<sub>1</sub> e T<sub>2</sub>; questi elementi non sono presenti nei farmaci sintetici. Questo approccio una volta rappresentava il trattamento fondamentale, ma ad oggi esso non è supportato da sufficienti prove al riguardo<ref name=":2" /><ref name=":1" />. La ''British Thyroid Association'' e le linee guida professionali statunitensi ne scoraggiano l'uso<ref name=":0" /><ref name=":3" />.

Le argomentazioni a sfavore dell'uso dell'estratto di tiroide animale includono:
* La maggiore variabilità del contenuto di ormone da lotto a lotto rispetto ai lotti di ormone sintetico


==== Ipotiroidismo subclinico ====
==== Ipotiroidismo subclinico ====

Versione delle 15:36, 20 mar 2015

Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.
Tiroidite di Hashimoto
Specialitàendocrinologia
Classificazione e risorse esterne (EN)
ICD-9-CM245.2
ICD-10E06.3
OMIM140300
MeSHD050031 e C20.111.809.500
MedlinePlus000371
eMedicine120937
Sinonimi
Tiroidite cronica autoimmune
Eponimi
Hakaru Hashimoto
Hakaru Hashimoto

La tiroidite di Hashimoto o tiroidite cronica autoimmune, descritta per la prima volta dallo specialista Hakaru Hashimoto nel 1912[1], il quale descrisse il caso clinico di quattro donne nelle quali la tiroide appariva notevolmente ingrandita, istologicamente trasformata in tessuto linfoide e diede a tale affezione il nome di "struma linfomatoso"[2]. In queste pazienti non si riscontravano inizialmente segni di ipotiroidismo o altre alterazioni. Più di 40 anni dopo si rilevarono in analoghi pazienti con tale disordine anticorpi antitiroide e attualmente si riconosce nella malattia primariamente descritta da Hashimoto il quadro della tiroidite cronica autoimmune[3]. Tale definizione non è comunque universalmente accettata[4]. Alcuni autori considerano la diagnosi istologica di tiroidite autoimmune, classificabile in due entità separate: tiroidite linfocitica se è presente il solo infiltrato linfocitario e tiroidite di Hashimoto se sono presenti oltre all'infiltrato, anche l'atrofia, la fibrosi della ghiandola e le modificazioni eosinofile delle cellule tiroidee[5].

È tra le più comuni e frequenti patologie tiroidee, la prima causa di ipotiroidismo primario, specie nelle aree geografiche a scarso apporto iodico. Qualora si prendano in considerazione anche le forme asintomatiche, caratterizzate dall’esclusiva positività anticorpale, esse sembrano costituire in assoluto la più frequente tireopatia, soprattutto se si considerano le aree non iodio-carenti.

La patologia è tendenzialmente sottodiagnosticata, e viene rilevata nel corso di visite o esami clinici effettuati per altre ragioni.

Spesse volte viene diagnosticata l'ipofunzione della ghiandola tiroidea senza mai che si indaghi la componente autoimmune. Questa componente risulta fondamentale soprattutto nelle diagnosi in soggetti eutiroidei, nei quali non sono ancora presenti alterazioni dei valori ormonali. La variante Hashimoto è quindi assai sottostimata, e si tende a considerarla comunemente tiroidite. A conferma di ciò, è possibile osservare il trend di ricerca dei termini Hashimoto e Ipotiroidismo su Google, nel quale prevale nettamente la ricerca del termine Ipotiroidismo rispetto al termine Hashimoto[6].

Fisiopatologia

I meccanismi del danno d’organo sono complessi e comprendono la partecipazione dell’immunità umorale e di quella cellulo-mediata.[7]

La malattia è organo-specifica, a patogenesi autoimmune, caratterizzata morfologicamente da una cronica infiltrazione linfocitaria e da frequente evoluzione verso l’ipotiroidismo. Le cellule infiammatorie predominanti nel tessuto tiroideo sono linfociti T CD4 helper. Il meccanismo di attivazione dei linfociti non è noto, ma si pensa possa avvenire a seguito di microchimerismo molecolare da parte di agenti esogeni, o per attivazione diretta di molecole presenti sulla superficie cellulare del tireocita. Una volta attivato, il linfocita produce diverse citochine che perpetuano e rendono cronico il processo infiammatorio autoimmune. Questo processo, unitamente all’infiltrazione linfocitaria, comporta una riduzione della sintesi degli ormoni tiroidei causata dalla distruzione apoptotica dei tireociti. Si determinano così, al contempo, una riduzione della capacità di organificare lo iodio intratiroideo e un rilascio di iodioproteine (tireoglobulina) da parte dei tireociti lisati.[8][9] A sostegno della tesi del microchimerismo, sono stati trovati nel siero di individui affetti segni di recenti infezioni batteriche o virali[10][11] e anticorpi contro retrovirus[12], ma l'ipotesi che un agente infettante precipiti la condizione di attivazione delle cellule T non è ancora del tutto accettata[13]. I tre antigeni target per la risposta immune sono la tireoglobulina,proteina di deposito degli ormoni tiroidei, la perossidasi tiroidea, enzima limitante nella sintesi di T3 e T4 e il recettore per il TSH[14].

La positività degli autoanticorpi circolanti anti-tireoperossidasi (anti-TPO) presenti nel 90-100% dei casi[7] (oltre che nell'anemia perniciosa, nell'artrite reumatoide, nel lupus eritematoso sistemico e nella sindrome di Sjogren), e anti-tireoglobulina (anti-TG) presenti nell'80-90% dei casi[7], sottende la patogenesi autoimmune e, al tempo stesso, ha un fondamentale significato diagnostico. Raramente è possibile osservare fasi transitorie di iperfunzione (tireotossicosi), legate a rapida progressione del danno parenchimale[15][16] con dismissione di ormone preformato, o a fasi di ipersecrezione mediate da anticorpi stimolanti il recettore del TSH (anti-TS) dette hashitossicosi[17]. Possono occasionalmente comparire anche anticorpi bloccanti il recettore del TSH (anti-TB)[18], responsabili della variante relativa al mixedema idiopatico (o morbo di Gull). Anticorpi stimolanti e bloccanti (gruppo anti-TSHR) si riscontrano nel 10-20% dei casi di tiroidite di Hashimoto[7][18]. Soltanto nel 40% di tali pazienti in trattamento con tiroxina nei quali tali anticorpi scompaiono, si ripristina l’eutiroidismo suggerendo che solo nel 5-10% dei casi le immunoglobuline anti-recettore per il TSH causano l'ipotiroidismo nella tiroidite cronica autoimmune[19]. In casi rari si è riscontrata un'evoluzione dall'ipotiroidismo all'ipertiroidismo dovuta al cambiamento degli anticorpi verso i recettori del TSH da bloccanti a stimolanti[17].

Il meccanismo umorale tuttavia sembra avere un ruolo di secondo piano; infatti, a differenza di quanto accade in vitro, gli anti-TPO sembrano incapaci di produrre un danno al tireocita in vivo. A conferma di ciò, questi attraversano la placenta dalla madre senza provocare alcun danno alla tiroide fetale, a differenza degli anti-TB che riescono a bloccare transitoriamente anche la tiroide fetale, suggerendo l'ipotesi che giochino un ruolo di primaria importanza nella patogenesi delle tiroiditi autoimmuni.[17]

Eziopatogenesi e anatomia patologica

Un ruolo importante nella genesi della patologia è giocato dall'apporto iodico: la prevalenza della patologia è più alta nei paesi con maggiore apporto come gli Stati Uniti ed il Giappone[20]. Nei paesi con iodo-deficienza la supplementazione iodica aumenta del 40% la prevalenza di infiltrazione linfocitica della tiroide e degli autoanticorpi nel giro di 1-5 anni.[8]

È dimostrata una correlazione significativa tra la patologia e alcuni antigeni di istocompatibilità (HLA-DR5 e CTLA-4)[17][9]. L'alta prevalenza di tiroidite autoimmune nei pazienti con sindrome di Down e con malattia di Alzheimer ha focalizzato l'attenzione sul cromosoma 21, ma ancora altri disordini genetici sarebbero alla base della patologia autoimmune tiroidea poiché anche nella sindrome di Turner il 50% delle pazienti è affetto da tiroidite[9].

Trattamenti con citochine (Interleuchina 2 o interferone) possono precipitare la comparsa della patologia, soprattutto in soggetti predisposti.[17]

Non ci sono invece evidenze dirette che alcune infezioni giochino un ruolo negli esseri umani; tuttavia, negli animali diverse infezioni virali possono precipitare una tiroidite autoimmune. Si è visto inoltre che in pazienti con pregressa tiroidite subclinica si può sviluppare a lungo termine una disfunzione autoimmune tiroidea, come se un insulto di tipo infettivo sia necessario per precipitare l’autoimmunità tiroidea in soggetti predisposti.[17] A tal proposito, ricerche suggeriscono un ruolo potenziale dell'herpesvirus umano 6 (probabilmente la variante A) nello sviluppo o nell'attivazione della patologia.

Fattori ambientali prevenibili, inclusi il già citato elevato apporto di iodio, carenza di selenio, alcuni farmaci (amiodarone o litio)[9] e il tabagismo[21] sono implicati nello sviluppo della malattia in individui geneticamente predisposti.[22]

Il grado di infiltrazione linfocitaria correla con il livello di anticorpi circolanti. La colloide è spesso sparsa. Si osserva fibrosi, soprattutto nelle tiroiditi di vecchia data, e obliterazione dei follicoli tiroidei. Frequente è la rottura della membrana basale follicolare e la distruzione dei tireociti, mentre le restanti cellule epiteliali, patognomoniche della tiroidite cronica, sono solitamente più grandi della norma, chiare e mostrano la presenza di strutture ossifile nel citoplasma.[17]

Istologicamente possono essere distinte due varianti:

  1. Variante ossifila: si caratterizza per la prevalenza di cellule ossifile, e per una prevalenza dell’infiltrazione linfocitaria con formazione di follicoli;
  2. Variante fibrosa: la fibrosi è prevalente, e per tanto ha una maggior probabilità che si sfoci in ipotiroidismo. Questa forma raggiunge la sua massima espressione nel mixedema idiopatico dell’adulto.

Il meccanismo eziopatogenetico alla base delle due forme sembra essere, però, lo stesso.[17]

Clinica

La definizione generale di tiroidite cronica autoimmune comprende le seguenti varianti morfologiche e cliniche:

  • Tiroidite di Hashimoto propriamente detta, caratterizzata da gozzo diffuso con o senza ipotiroidismo;
  • Tiroidite autoimmune asintomatica ad impronta atrofica, definita dalla positività autoanticorpale, in assenza di gozzo o di ipotiroidismo conclamato;
  • Mixedema idiopatico, che si manifesta con ipotiroidismo conclamato, in assenza di gozzo, con anticorpi spesso negativi.

L'evoluzione in senso ipofunzionale è imprevedibile nel singolo soggetto, poiché può manifestarsi in qualsiasi fase della malattia: talora rappresenta la manifestazione di esordio, ma più frequentemente compare in pazienti con positività anticorpale nota da anni. In molti casi, alla comparsa di segni e sintomi conclamati di ipofunzione segue una fase di ipotiroidismo subclinico definito dall'elevazione isolata dell'ormone tireostimolante (TSH), con normalità degli ormoni tiroidei, in pazienti spesso asintomatici.

La progressione classica consta quindi di tre fasi:

  1. Eutiroidismo;
  2. Ipotiridismo subclinico;
  3. Ipotiroidismo conclamato permanente.

In generale, è stato stimato che i pazienti con anticorpi positivi e/o ipotiroidismo subclinico vadano incontro ad ipotiroidismo conclamato con una frequenza del 2-4% all'anno. La presenza di anticorpi e TSH elevato è fortemente predittiva di un successivo sviluppo di franco ipotiroidismo[8][9].

anti-TPO Rischio
1:100 - 1:200 23%
1:490 - 1:800 33%
1:800 53%
anti-TPO TSH Rischio per anno Rischio nei venti anni successivi
Negativi 6 U/mI 2,6% 35%
Positivi 0,5 - 4,2 U/ml 2,1% 27%
Positivi 6 U/mI 4,3% 55%

Sebbene l'incidenza nelle donne sia di 3,5 casi per 1000 abitanti l’anno, contro gli 0,8 casi degli uomini, la progressione verso l'ipotiroidismo conclamato resta più frequente negli uomini, mentre nelle donne la frequenza aumenta in età superiore a 45 anni. La presenza in gravidanza degli autoanticorpi anti-tireoperossidasi aumenta la probabilità di tiroidite post-partum del 10-33%.[17] La patologia ha una prevalenza del 5-15% nelle donne e dell'1-5% negli uomini[23]. Circa il 9% dei soggetti sviluppa una tiroidite autoimmune prima dei 45 anni, dopo tale età, si è visto che l'incidenza aumenta notevolmente e il 51% delle diagnosi viene fatta fra i 45 ed i 64 anni[23][24].

Nel paziente da lungo tempo affetto da tiroidite cronica i disturbi clinici avvertiti sono quelli tipici dell’ipotiroidismo, salvo rare manifestazioni di tireotossicosi o hashitossicosi. Del tutto eccezionale (1-5% dei casi) è la presenza di esoftalmo simile ad oftalmopatia di Graves[25].

Spesso la patologia è associata ad altre malattie autoimmunitarie organo-specifiche quali anemia perniciosa, malattia di Addison, ipoparatiroidismo autoimmune, diabete mellito di tipo 1, gastrite cronica atrofica autoimmune, vitiligine, miastenia grave, cirrosi biliare primitiva, porpora trombocitopenica idiopatica, menopausa precoce, malattia celiaca, ipofisite linfocitaria e sindrome di Sjogren. Questo fenomeno può essere una semplice associazione di patologie autoimmuni o può configurare un quadro più complesso di sindrome polighiandolare autoimmune di primo o secondo tipo.[26]

Il volume tiroideo può essere aumentato nella maggior parte dei casi, altrimenti normale o ridotto nella forma atrofica[17]. Frequente è infatti la comparsa di gozzo, talora con aree pseudo-nodulari, che insorge solitamente in modo graduale, indolente, senza provocare disturbi al paziente, e sebbene lo sviluppo di atrofia tiroidea dovrebbe essere il risultato finale della distruzione autoimmune della ghiandola, la progressione del gozzo verso lo stato atrofico non è di così comune riscontro. La presenza di uno o più noduli, identificabili ecograficamente, può richiedere approfondimento citologico, per escludere una eventuale patologia neoproduttiva concomitante.[8] A tal proposito, le tiroiditi croniche hanno un maggior rischio di sviluppo di neoplasie quali il carcinoma differenziato della tiroide e il linfoma, pertanto va sempre sospettato lo sviluppo di una neoplasia tiroidea in un paziente con tiroidite cronica, in cui in corso di terapia sostitutiva si osserva la comparsa di un nodulo o se il volume ghiandolare aumenta rapidamente. Va ricordato però che la presenza di tiroidite di Hashimoto è un fattore prognostico favorevole in un paziente con carcinoma papillifero.[17]

Segni e sintomi

Considerando le tiroiditi autoimmuni nel loro insieme, si può dire che il quadro obiettivo-sintomatologico è assai variabile nei singoli soggetti, dall’assoluta asintomaticità, alla presenza di gozzo di variabili dimensioni, con o senza ipotiroidismo. Spesso la malattia ha un inizio lento, che causa difficoltà nel percepire i primi sintomi.[27]

Inizialmente è possibile che si verifichi una prevalenza dei sintomi dell'ipertiroidismo. Occasionalmente si assiste a decorsi con valori ormonali fluttuanti, in cui il paziente passa da una iperfunzione a una ipofunzione, e viceversa. I sintomi sono causati dalla variazione dei livelli ormonali a seguito della distruzione a seguito del processo immunitario.

Bisogna tener conto che la maggior parte dei pazienti di Hashimoto dopo un'adeguata sostituzione tiroidea non mostrano nessun sintomo del processo autoimmune.[28]

Alterazioni dei valori ematici

Temperatura corporea

Capelli

  • Perdita di capelli e di peli sul viso e nelle sopracciglia esterne;[30]
  • Pattern maschili di calvizia;[30]
  • Capelli radi, crespi, secchi e fragili;[30]

Pelle

  • Acne;[30]
  • Pelle ruvida, secca, squamosa, ispessita, pallida e lievemente giallastra;[29]

Occhi

Testa e collo

Fatica e sonno

Muscoli, articolazioni e tendini

Mani e piedi

Modifiche del peso

  • Aumento[29] e molto più raramente perdita di peso;[30]

Digestione

Pressione arteriosa e frequenza cardiaca

Alterazioni ginecologiche

Feritilità, sessualità e gravidanza

Respiro

  • Sensazione di mancanza di respiro e senso di oppressione al petto;[30]
  • Aumento del russare;[30]

Alterazioni neuropsichiche

Condizione nel bambino

  • Ritardo o difetto della crescita.[30]

La più tipica manifestazione anatomoclinica dell'ipotiroidismo conclamato è rappresentata da un'estesa infiltrazione dei tessuti di mucopolisaccaridi, di acido ialuronico e di condroitinsolfato B, per ridotta velocità di degradazione di questi composti. L'infiltrazione a livello cutaneo causa il sintomo più tipico dell'ipotiroidismo, denominato mixedema, un edema evidente soprattutto al volto (facies mixedematosa), alle mani e ai piedi. L'infiltrazione mixedematosa interessa anche le sierose fino al versamento conclamato, più evidente a livello pericardico, delle corde vocali (da cui la voce rauca e profonda) e della parete intestinale (da cui la stipsi). La condizione di stipsi è causata anche da un rallentato assorbimento intestinale del glucosio.[29]

Oltre alla stipsi, altre manifestazioni possono essere rilevate a carico dell'apparato digerente; l'appetito è scarso, ma il peso tende ad aumentare; frequente è l'ipocloridria fino all'acloridria gastrica, spesso associata a difettoso assorbimento di vitamina B12. L'assorbimento intestinale di tutte le sostanze è ritardato. È spesso presente anemia normocromica (da ridotta secrezione di eritropoietina), microcitica iposideremica (da ridotto assorbimento di ferro o da metrorragie) o megaloblastica macrocitica (per lo più da ridotto assorbimento della vitamina B12).[29] I pazienti con anemia sideropenica hanno una probabilità di diagnosi di celiachia del 5%.[34]

Sono presenti marcate anomalie cardiovascolari rappresentate da bradicardia, cardiomegalia (dovuta a dilatazione e a versamento pericardico), e caratteristiche alterazioni elettrocardiografiche (bassi voltaggi, onde T diffusamente appiattite e invertite, intervallo P-R prolungato). Questi fenomeni sono in parte attribuibili all'infiltrazione mixedematosa del miocardio e in parte alla riduzione degli effetti diretti degli ormoni tiroidei a livello cardiaco e alla riduzione di quelli dovuti a una minore sensibilità miocardica alle catecolammine, per diminuzione del numero di recettori adrenergici.[29] Si rietiene inoltre che nell'ipotiroidismo vi sia un'aumentata incidenza di aterosclerosi coronarica, favorita dall'ipercolesterolemia[35]. Il deficit di tiroxina si traduce in un effetto inotropo e cronotropo negativi, con conseguente riduzione della portata e della frequenza cardiaca, aumento delle resistenze vascolari periferiche, con riduzione della pressione differenziale e della perfusione tissutale.[36] La bradicardia non è più il sintomo cardinale dell’ipotiroidismo, molti ipotiroidei hanno frequenza normale, anche se negli ultimi anni sono state documentate aritmie sopraventricolari non pericolose, e paradossalmente si osservano extrasistoli e tachicardia ventricolare che scompaiono quando si somministra la terapia con tiroxina: la correlazione è ancora ignota[37].

Anche l'apparato riproduttivo è interessato; nelle donne sono molto comuni i disturbi mestruali (menorragie, metrorragie, amenorrea e oligomenorrea)[29], causati da alterazioni del TSH che incidono dulla secrezione di TRH, il quale a sua volta esercita un'azione di stimolo sulla secrezione di prolattina che, unitamente alla ridotta clearance metabolica della prolattina stessa tipica del soggetto ipotiroideo, può determinare iperprolattinemia e galattorrea, che regrediscono rapidamente con l'inizio della terapia sostitutiva con ormone tiroideo. Si riscontra inoltre riduzione della fertitlità e tendenza all'aborto[38]. Nell'uomo si osserva una riduzione della libido, con impotenza e talora oligospermia[29].

A carico dell'apparato muscolare è da segnalare l'atteggiamento miotonico, con allungamento della fase di contrazione e soprattutto della fase di rilasciamento muscolare che è possibile notare nel rallentamento della fase di contrazione e di decontrazione[29] del riflesso achilleo.[37]

La cute è secca per ridotta secrezione sudoripara e sebacea, pallida per vasocostrizione periferica e spesso per concomitante anemia, grigio-giallastra per accumulo di carotene.[29]

Si osserva un rallentamento globale di tutti i processi metabolici, con riduzione marcata del consumo di ossigeno e della produzione di calore. Questo si traduce clinicamente con una riduzione del metabolismo basale, estrema sensibilità al freddo, ipotermia e aumento del peso, nonostante si assuma una quantità di cibo normale o ridotto[29]. In alcuni soggetti, nonostante l'ipofunzione e un adeguato o aumentato apporto nutrizionale, si sono verificate perdite di peso[30]. Con una perdita di peso poco chiara si dovrebbe approfondire la presenza di malattie intestinali (celiachia, colite ulcerosa) concomitanti alla tiroidite. A volte può essere riscontrata ipoglicemia reattiva (un calo della glicemia dopo un pasto ricco di carboidrati, con sintomi come sonnolenza e ansietà).[39]

Alterazioni metaboliche sono rappresentate da una ridotta velocità di sintesi e, ancor più, di degradazione delle proteine con bilancio positivo dell'azoto. Questo meccanismo è in parte responsabile delle elevate concentrazioni plasmatiche di molti enzimi (creatinfosfochinasi, latticodeidrogenasi e transaminasi). Nel diabetico ipotiroideo si osserva aumentata sensibilità all'insulina per il rallentato catabolismo dell'insulina esogena. L'ipotiroidismo è caratterizzato da ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, e aumento delle betalipoproteine, prevalentemente per ridotta degradazione di queste sostanze.[29]

A livello neuropsichico è presente un rallentamento di tutte le funzioni intellettive, con apatia, turbe della memoria e torpore (che può arrivare alla letargia)[29]. Non rare sono le vere e proprie psicosi a sfondo maniacale. L'encefalopatia di Hashimoto è molto rara e può manifestarsi anche con nessuna alterazione del livello di ormoni tiroidei.[32] Rientrano nella condizione attacchi epilettici, tremore, allucinazioni e altri sintomi psichiatrici[30]. Spesso sono rilevabili elevati livelli di anti-TPO[32].

Alterati livelli di cortisolo a seguito di stress possono incidere sulla trasformazione della T4 in T3.[40]

In età evolutiva, accanto ai segni periferici della carenza tiroxinica, compaiono anche i segni di un deficit staturale ed intellettivo che sono tanto maggiori quanto più precocemente è comparsa la patologia.[36]

Diagnosi

Dati i sintomi non specifici dell'ipotiroidismo iniziale, la tiroidite di Hashimoto è spesso confusa con depressione, ciclotimia, sindrome da stanchezza cronica, fibromialgia e, meno frequentemente, con un disturbo d'ansia.

La diagnosi è spesso ottenuta rilevando livelli elevati di anticorpi anti-perossidasi (anti-TPO) e anti-tireoglobulina (anti-TG) nel siero[41], tuttavia l'assenza di anticorpi circolanti contro la tiroidite è anche possibile nel 10% dei casi[42]. La rilevazione dell'ormone stimolante la tiroide (TSH), del T4 libero e del T3 libero possono aiutare ad ottenere una diagnosi più accurata[41]. In caso di terapia ormonale sostitutiva è consigliabile rimandare l'assunzione dell'ormone a dopo il prelievo ematico[43]. Indagini del siero di secondo livello prevedono la rilevazione di anticorpi verso il recettore del TSH (anti-TSHR), anticorpi anti-cellule parietali gastriche e anticorpi anti-isola pancreatica[26].

All'esame vi è spesso la presenza di gozzo non doloroso al tatto; altri sintomi, come il mixedema periorbitale, dipendono dallo stato di progressione della patologia. All'inizio della valutazione il paziente può presentare fasi di iperfunzione causate da tireotossicosi[17][44]; tali fasi possono riscontrarsi anche nel caso di patologie concomitanti o durante un ricovero ospedaliero[41]. Persino durante il trattamento, con un'incidenza del 10-20%, è possibile assistere a fasi di ipersecrezioni causate invece da hashitossicosi (mediate da anticorpi anti-TS)[42].

Vi sono una serie di scale di valutazione dei sintomi di ipotiroidismo che forniscono un certo grado di obiettività, ma tuttavia sono uno strumento limitato per la diagnosi[41][36].

Range del TSH nell'adulto e nel bambino

L'American Thyroid Association considera il range di normalità del TSH compreso tra 0,5 e 2,5 mU/L, tuttavia molti laboratori di analisi in Italia esibiscono range molto più ampi (tra 0,5 e 4,5 mU/L). Bisogna considerare che la distribuzione dei valori del TSH nell'ambito della popolazione può variare molto. La maggior parte degli individui tende ad avere valori compresi in un intervallo medio (verosimilmente tra 1,5 e 2,5 mU/L), mentre sempre meno individui avranno valori più distanti, sia verso il basso (tra 0,5 e 1,5 mU/L) che verso l'alto (tra 2,5 mU/L e 4,5 mU/L). Pochi individui, addirittura, potrebbero avere valori inferiori a 0,5 mU/L o superiori a 4,5 mU/L pur avendo una funzione tiroidea perfettamente normale. I valori del TSH si distribuiscono infatti con una classica modalità a campana (curva gaussiana) per un ampio intervallo di valori. Per questo motivo, il valore del TSH va correttamente interpretato anche alla luce degli altri parametri ormonali, anticorpali, ecografici e clinici, così da giungere alla più corretta definizione diagnostica.[45]

Gli intervalli di riferimento di FT3, FT4 e TSH sono stati rilevati anche su pazienti pediatrici, su un totale di 342 bambini (111 maschi e 231 femmine) che erano negativi per gli anticorpi antitiroidei (anti-TPO e anti-TG) e privi di anomalie all'esame ecografico della tiroide. Questi sono stati divisi in 6 gruppi di età[46]:

4-6 anni 7-8 9-10 11-12 13-14 15
TSH (μU/mL) 0,62-4,90 0,53-5,16 0,67-4,52 0,62-3,36 0,54-2,78 0,32-3,00
T4 (ng/dL) 1,12-1,67 1,07-1,61 0,96-1,60 1,02-1,52 0,96-1,52 0,95-1,53
T3 (pg/mL) 2,91-4,70 3,10-5,10 3,10-4,87 2,78-4,90 2,77-4,59 2,50-4,64
TSH T4 Interpretazione
Normale Normale Funzione tiroidea normale
Elevato Basso Ipotiroidismo conclamato
Elevato Normale Ipotiroidismo subclinico

Ipotiroidismo subclinico

Tra gli individui con ipotiroidismo subclinico, una percentuale svilupperà ipotiroidismo manifesto ogni anno. In coloro con anticorpi anti-perossidasi rilevabili ciò avviene nel 4,3% dei casi, mentre in coloro senza anticorpi rilevabili si verifica nel 2,6% dei casi[41]. Quelli con ipotiroidismo subclinico e anticorpi anti-perossidasi rilevabili che non richiedono un trattamento dovrebbero eseguire un test di funzionalità tiroidea ripetuto più frequentemente (ad esempio annualmente) rispetto a coloro che non hanno anticorpi[47].

Ecografia

Ecografia alla tiroide in un caso di tiroidite di Hashimoto.

Una diagnosi di ipotiroidismo privo, alla palpazione, di noduli o masse rilevabili all'interno della ghiandola tiroidea, non necessita di imaging tiroideo[47]. La presenza di anticorpi anti ioduro perossidasi rende più probabile che i noduli tiroidei siano causati da tiroidite autoimmune[41].

L'ecografia tiroidea conferma la diagnosi già fatta con le indagini di laboratorio. Gli aspetti ecografici comunemente ritrovati nelle tiroiditi sono quelli di un'aspecifica ipoecogenicità e disomogeneità del parenchima ghiandolare, un ingrandimento diffuso in caso di gozzo e una riduzione del volume tiroideo nelle forme atrofiche[48].

Scintigrafia tiroidea

L'esame scintigrafico e la captazione possono indurre in errore poiché possono aversi dei quadri simili a quelli ritrovati nel morbo di Graves, nel gozzo multinodulare e nel nodulo autonomo. La captazione del radionuclide è caratteristicamente normale o elevata nei pazienti con tiroidite autoimmune con gozzo, persino in presenza di ipotiroidismo, mentre nelle tiroiditi subacute o silenti la captazione è bassa.[48]

Agoaspirato citologico

L'agoaspirato è indicato nei casi in cui all'esame clinico e all'ecografia ci sia il sospetto di carcinoma, poiché alcuni reperti citologici come la presenza di strutture papillari potrebbero essere falsamente interpretati come carcinoma papiIlifero e venire inviati quindi alla chirurgia. Alcune difficoltà possono insorgere nel porre la diagnosi differenziale fra tiroidite e linfoma ad alto grado. La presenza di linfociti monomorfi può infatti far pensare ad un linfoma, ma appropriati studi di immunoistochimica per valutare la natura clonale dell'infiltrato, biopsie con aghi meno sottili e addirittura biopsie a cielo aperto possono poi dirimere ogni dubbio.[48]

Trattamento

Terapia ormonale sostitutiva

Levitiroxina (T4 sintetico)

Formula chimica della levotiroxina.

La terapia dell'ipotiroidismo si basa sulla somministrazione di ormone tiroideo, con lo scopo di ristabilire e mantenere una condizione di eutiroidismo, normalizzando le concentrazioni sieriche di TSH e T4 libero. Il trattamento avviene mediante somministrazione di tiroxina sintetica a lunga durata d'azione, nota come levotiroxina (L-tiroxina, L-T4)[41][49]. Nei giovani e nelle persone con ipotiroidismo manifesto, una dose completa può essere assunta immediatamente. Negli anziani e in coloro che soffrono di malattie cardiache, si raccomanda una dose iniziale più bassa per evitare una sovraintegrazione e il rischio di complicanze[41][50].

Pazienti sani, minori di 40 anni Pazienti sani, tra i 40 e i 60 anni Pazienti sani, maggiori di 60 anni Pazienti cardiopatici
Inizio terapia 75-100 μg/giorno 50 μg/giorno 12,5-25 μg/giorno 12,5-25 μg/giorno
Aggiustamenti Dopo 2, 3 mesi fino a TSH normale 25 μg ogni 3 settimane fino a TSH normale 25 μg ogni 4 settimane fino a TSH normale 12,5-25 μg/giorno ogni 6/8 settimane fino a TSH normale

Nel paziente adulto le dosi di T4 con cui iniziare un trattamento sostitutivo, oscillano tra 1 µg/kg/giorno, nel caso dell’ipotiroidismo sub-clinico, e 1,6 µg/kg/giorno, nel caso dell’ipotiroidismo conclamato, soprattutto se il paziente è tireoprivo[51]. Nell'anziano le dosi si attestano ad 1,3 µg/kg/giorno[9]. Tuttavia la posologia va adattata sulla base dei valori di TSH raggiunti, con l’obiettivo terapeutico di riportarli nei limiti della norma. L’obiettivo terapeutico, una volta iniziata la terapia sostitutiva, dovrebbe essere quello di mantenere il TSH nel range di 0,5-2 μU/ml.[51]

I livelli ematici di tiroxina e di TSH libero vengono monitorati per determinare se la dose sia sufficiente. Questo viene fatto da 4 a 8 settimane dopo l'inizio del trattamento o quando vi è un cambiamento del dosaggio della levotiroxina. Una volta che il dosaggio adeguato è stato stabilito, i test possono essere ripetuti dopo 6 e poi 12 mesi, salvo se si presenta un cambiamento dei sintomi[41].

L'ormone deve essere assunto a stomaco vuoto, almeno 30 minuti prima o quattro ore dopo dell'assunzione di cibi, farmaci (ad esempio gli antiacidi), integratori (specialmente calcio e ferro) e caffè, al fine di garantirne un adeguato assorbimento.[52]

La sospensione del farmaco può essere pericolosa per la sopravvivenza.[53]

Dissoluzione e assorbimento della compressa

La T4 ha una lunga emivita, per cui basta una sola somministrazione giornaliera, ma il dosaggio è influenzato da molteplici fattori. Insolubile in acqua, nella forma nativa attraversa le membrane cellulari per diffusione passiva e per meccanismo attivo nelle cellule bersaglio. Nelle formulazioni farmaceutiche è necessario renderla idrosolubile mediante salificazione, trasformazione che richiede l’ambiente acido gastrico per riportarla alla forma nativa. Tutte le condizioni che modificano il pH gastrico possono alterarne l’assorbimento. Alcune condizioni sono fisiologiche, come i pasti; altre patologiche, come la presenza di gastrite cronica atrofica autoimmune o infezione da Elicobacter pylori; altre ancora iatrogene, come la somministrazione di antiacidi, inibitori della pompa protonica, o H2 antagonisti.

L’assorbimento della T4 è la conseguenza del passaggio del farmaco dalla sede di somministrazione al circolo sistemico, mediante 2 processi:

  1. Dissoluzione: cioè il passaggio dalla forma solida alla disciolta. Il processo di dissoluzione può rappresentare un fattore limitante l’assorbimento. I fattori che alterano questo passaggio (superficie della compressa esposta, solubilità del prodotto e pH gastrico) possono determinare alterazioni nell’assorbimento. Al contrario, la formulazione liquida non presenta la necessità di questo passaggio.
  2. Permeazione: cioè il passaggio del farmaco disciolto attraverso la mucosa intestinale. La quota di T4 assunta viene assorbita per il 21% nel duodeno, per il 45% nel digiuno e per il restante 34% nell’ileo.

Tra i fattori che alterano il fabbisogno giornaliero della T4 vanno considerate le interazioni farmacologiche, come l’utilizzo contemporaneo di 2 o più farmaci, che alterano l’effetto terapeutico o peggio possono provocare gravi effetti indesiderati.

I farmaci che tendono ad alterare il T4 possono agire mediante diversi meccanismi[52]:

Riduzione dell'acidità gastrica PPI

Sucralfato

Idrossido di magnesio

Calcio carbonato

Ipocloridia

Riduzione dell'assorbimento Solfato ferroso

Colestiramina

Resine a scambio ionico

Chelanti dei fosfati

Aumento del catabolismo Carbamazepina

Fenitoina

Fenobarbitale

Aumento del legame con le proteine plasmatiche Estrogeni

Raloxifen

Liotironina (T3 sintetico)

Formula chimica della liotironina.

L'aggiunta della liotironina alla levotiroxina è una strategia suggerita come misura per controllare meglio i sintomi, ma non c'è stata nessuna conferma da studi al riguardo[49][54]. Nel 2007, la British Thyroid Association ha dichiarato che la terapia combinata con T4 e T3 ha portato ad un più alto tasso di effetti collaterali e a nessun vantaggio rispetto alla somministrazione di solo T4[49][55]. Allo stesso modo, le linee guida statunitensi scoraggiano la terapia combinata proprio per mancanza di prove certe, anche se riconoscono che alcuni casi abbiano tratto beneficio da questo approccio[41]. A causa della sua breve emivita, la liotironina deve essere assunta più frequentemente[41].

L'assunzione di liotironina risulta necessaria statisticamente in un 15% di pazienti[56], nel caso di:

  1. Diminuita traformazione del T4 nel metabolita attivo T3, a seguito di un deficit della funzione desiodasica o di altre anomalie del metabolismo degli ormoni tiroidei: un esempio potrebbe essere l'eccessiva produzione di rT3, un metabolita inattivo che occupa i siti recettoriali del T3 impedendo il legame di quest'ultimo[57];
  2. Sindrome di Refetoff, un raro disordine immunologico caratterizzato da resistenza generalizzata o ipofisaria agli ormoni tiroidei[58][57];
  3. Forme di pseudoresistenza agli ormoni tiroidei[58];

L’insufficiente produzione di T3 non può essere appropriatamente corretta incrementando la dose di L-T4, poiché l’effetto inibitorio degli elevati livelli di T4 sulla Desiodasi 2[59], aumenterebbe ulteriormente lo sbilanciamento nel rapporto fra fT3 e fT4 circolanti.

Estratto di tiroide animale

La somministrazione di estratto animale, più comunemente da suini[49], di tiroide essiccata è una terapia di combinazione, contenente forme di T4 e T3[49]. Contiene inoltre calcitonina, T1 e T2; questi elementi non sono presenti nei farmaci sintetici. Questo approccio una volta rappresentava il trattamento fondamentale, ma ad oggi esso non è supportato da sufficienti prove al riguardo[54][49]. La British Thyroid Association e le linee guida professionali statunitensi ne scoraggiano l'uso[41][55].

Le argomentazioni a sfavore dell'uso dell'estratto di tiroide animale includono:

  • La maggiore variabilità del contenuto di ormone da lotto a lotto rispetto ai lotti di ormone sintetico

Ipotiroidismo subclinico

Vi sono poche prove se vi sia un beneficio dal trattamento dell'ipotiroidismo subclinico (definito come TSH tra i 2,5 e i 10 mIU/l) e se questo compensa i rischi correlati. Un ipotiroidismo subclinico non trattato sembra però essere associato ad un modesto aumento del rischio di malattia coronarica[60]. Una review sistematica del 2007 non ha trovato alcun beneficio dalla sostituzione dell'ormone tiroideo ad eccezione di "alcuni parametri dei profili lipidici e della funzionalità ventricolare sinistra"[61].

Noduli

L’utilizzo della terapia soppressiva con tiroxina si fonda sull’assunto che il TSH sia un fattore trofico tiroideo e che pertanto la sua soppressione possa rallentare o bloccare la crescita del tessuto tiroideo. L’efficacia della terapia dipende dall’entità della soppressione del TSH e tende a scomparire dopo la sua sospensione, con ritorno del gozzo al volume originario. Non esiste unanimità di vedute sull’efficacia di tale terapia in quanto una serie di lavori ha dimostrato la tendenza alla stabilità nel tempo (con follow-up prolungati fino a 15 anni) dei noduli tiroidei. Anche la riduzione spontanea dei noduli è stata dimostrata in una cospicua percentuale di casi. Studi controllati randomizzati (non tutti contro placebo) non hanno dimostrato una significativa differenza nel grado di riduzione volumetrica dei noduli tra i gruppi in trattamento e i gruppi di controllo. Fa riflettere sull’effettiva utilità della terapia il fatto che la riduzione volumetrica dei noduli nei gruppi in trattamento fosse significativa rispetto al volume basale, ma non significativa quando paragonata alle modificazioni insorte spontaneamente nei gruppi di controllo. In alcuni studi la risposta alla terapia risulta diversa in base alle caratteristiche dei noduli, con maggiore riduzione nei noduli colloidocistici rispetto a quelli iperplastici o fibrotici. Esistono studi controllati randomizzati (alcuni in doppio cieco contro placebo) più recenti e diverse meta-analisi in cui si dimostra l’efficacia della tiroxina nel ridurre il volume dei noduli e nel prevenire la formazione di nuove lesioni. Nella maggior parte di questi studi la misurazione della riduzione volumetrica viene effettuata ecograficamente e non più palpatoriamente come nei primi studi pubblicati. Nel complesso i risultati positivi con la terapia soppressiva riguardano solo una percentuale di pazienti trattati.[62]

Gozzo

Durante la terapia, nel 50-90% dei casi, vi è una riduzione del volume e della consistenza del gozzo, sia per la normalizzazione dl TSH, sia per la riduzione dell’infiltrazione linfocitaria. Si assiste, solitamente, anche ad una riduzione del titolo anticorpale. Il trattamento con levotiroxina è consigliato, quindi, nel caso di gozzo che comprime la strutture adiacenti. Questo trattamento è efficace se il gozzo è di recente riscontro, mentre potrebbe dare scarsi risultati in un gozzo di vecchia data in cui si è già instaurato un certo grado di fibrosi irreversibile. Sebbene si tratti di una patologia autoimmune, il trattamento steroideo è sconsigliato per via degli effetti collaterali e in quanto non associato ad un reale vantaggio terapeutico. Il trattamento chirurgico, invece, va intrapreso quando i sintomi compressivi permangono nonostante la terapia sostitutiva con o quando vi è il sospetto di neoplasia.[63]

Gravidanza

Alle donne con ipotiroidismo noto che affrontano una gravidanza, si raccomanda che i livelli sierici di TSH siano strettamente monitorati. La levotiroxina deve essere utilizzata per mantenere i livelli di TSH entro il range normale per il primo trimestre. Il range normale per il primo trimestre è inferiore a 2,5 mIU/L e per il secondo e per il terzo trimestre è inferiore a 3,0 mIU/L[49][41]. Il trattamento deve essere guidato dai livelli di totali di tiroxina e non da quelli di tiroxina libera. I risultati dovrebbero essere interpretati secondo il range di riferimento appropriato per quella fase della gravidanza[41]. La dose di levotiroxina abituale solitamente deve essere aumentata dopo che la gravidanza è confermata[41][50].

Le donne con anti-TPO che cercano di rimanere incinte (naturalmente o tramite procreazione assistita) possono richiedere la supplementazione di ormone tiroideo, anche se il livello di TSH è normale; ciò è particolarmente vero se in passato hanno avuto aborti o ipotiroidismo[41]. L'assunzione di levotiroxina integrativa può ridurre il rischio di parto pretermine e la possibilità di incorrere in aborto spontaneo, soprattutto se si considera che anche una lieve disfunzione tiroidea senza sintomi, presente all'inizio della gravidanza, aumenta notevolmente il rischio di aborto e parto con bambino nato morto[64]. Tale raccomandazione è più forte nelle donne in gravidanza con ipotiroidismo subclinico e che sono anti-TPO positive, in considerazione del rischio di ipotiroidismo manifesto. Se viene presa la decisione di non procedere al trattamento, si raccomanda un attento monitoraggio della funzionalità tiroidea (ogni 4 settimane nelle prime 20 settimane di gravidanza). Se non si è anti-TPO positive, il trattamento per l'ipotiroidismo subclinico non è attualmente raccomandato[41].

La prevalenza di anticorpi anti-tiroide tra i pazienti eutiroidei infertili è stata del 10,5%, simile a quella riportata nelle donne eutiroidee tra i 18 e i 45 anni. I pazienti positivi a gli inticorpi anti-tiroide che non hanno ricevuto alcun trattamento adiuvante hanno dimostrato significativamente una minore risposta ovarica alla stimolazione e alla fecondazione in vitro. I pazienti positivi agli anticorpi anti-tiroide trattati con levotiroxina hanno risposto meglio alla stimolazione ovarica, ma ha avuto bassi risultati alla fecondazione in vitro, allo stesso modo delle donne con anticorpi anti-tiroide positivi non trattatti. I pazienti trattati con levotiroxina, aspirina e prednisolone avevano invece tassi di gravidanza e di impianto significativamente più elevati rispetto ai pazienti con anticorpi anti-tiroide positivi non trattatti (rispettivamente 25,6% di gravidanza e tasso di impianto del 17,7%, contro il 7,5% di gravidanza e tasso di impianto del 4,7%), e fertilizzazione in vitro paragonabile a pazienti senza anticorpi anti-tiroide (gravidanza del 32,8% e tasso di impianto del 19%). Queste osservazioni suggeriscono che gli anticorpi anti-tiroide in pazienti eutiroidei positivi sottoposti a fecondazione in vitro potrebbero avere risultati migliori se viene somministrata levotiroxina, aspirina e prednisolone come nel trattamento adiuvante.[65]

Elementi e vitamine

A causa di condizioni concomitanti alla patologia quali ipocloridia o acloridia, malattia celiaca, gastrite cronica atrofica autoimmune, infiammazioni della mucosa gastrica o intolleranze alimentari, l'assorbimento intestinale potrebbe risultare notevolmente alterato soprattutto a causa dell'instaurarsi di un alto pH gastrico[66]. La diminuita acidità gastrica può essere causa di infezioni gastriche (Helicobacter pylori) e sindrome da malassorbimento. Si potrebbe quindi considerare, anche alla luce di questo, l'ipotesi di dosare alcuni elementi e vitamine strettamente correlate alla funzionalità tiroidea, al fine di accertarne l'eventuale carenza.

Ferritina e ferro

Uno studio del 1984 ha affermato che i livelli di ferritina sierica variano al variare della funzionalità tiroidea. I livelli di ferritina sierica sono aumentati in tutti i 12 pazienti ipotiroidei con malattia di Hashimoto, nel momento in cui l'eutiroidismo è stato raggiunto con terapia ormonale sostitutiva. Al contrario, in 3 pazienti con resistenza al T4, lo stesso trattamento produce aumenti delle concentrazioni sieriche di ferritina solo nel 2%, 5% e 15% dei casi. Questi dati suggeriscono che le alterazioni dello stato tiroideo in un dato individuo producono cambiamenti dei livelli di ferritina sierica. La misurazione di questa proteina prima e dopo la terapia con T3 può essere utile nella diagnosi della resistenza all'ormone tiroideo.[67]

Il ferro permette agli ormoni, inclusi quelli tiroidei, di legarsi ai recettori delle cellule.[68]

Selenio

Se è ampiamente riconosciuta l'importanza del selenio per la normale funzione tiroidea e per l'omeostasi degli ormoni tiroidei,[69] nell'ultimo decennio numerosi studi clinici hanno suggerito come il selenio possa avere un ruolo chiave nel mantenere il bilancio ossidativo della cellula tiroidea e nel migliorare le capacità di difesa della ghiandola anche nelle condizioni di stress ossidativo che si verificano nelle tireopatie autoimmuni. Tali studi sono stati condotti principalmente in alcune regioni europee caratterizzate da un lieve deficit del contenuto di selenio nel suolo.[70]

  • Nel paziente trattato: Nel 2002, Gärtner e colleghi[71] hanno condotto uno studio prospettico, randomizzato, controllato su pazienti con tiroidite autoimmune provenienti dalla Germania. Sono state selezionate 70 donne con tiroidite autoimmune ed elevati livelli plasmatici degli anti-TPO e/o anti-TG. A 36 sono stati somministrati 200 μg/die di sodio-selenite, mentre 34 hanno ricevuto un placebo per tre mesi. Tutte le pazienti partecipanti allo studio erano in terapia ormonale sostitutiva con levotiroxina a dosaggi tali da mantenere il TSH entro il range di normalità. Al momento dell'arruolamento, la media del titolo degli anti-TPO era identica in entrambi i gruppi. A tre mesi dall'inizio dello studio, nel gruppo trattato con sodio-selenite si è osservata una significativa riduzione dei livelli degli anti-TPO pari al 63,6% e si è registrato un miglioramento soggettivo dello stato di salute. Al contrario, nel gruppo placebo non sono stati riscontrati cambiamenti del titolo anticorpale durante il follow-up.[71][72] Tredici soggetti degli iniziali 36 hanno continuato ad assumere sodio-selenite per altri sei mesi, con un'ulteriore significativa riduzione del titolo anticorpale, mentre un aumento della concentrazione sierica degli anti-TPO è stata riscontrata nei 9 soggetti che avevano sospeso la terapia dopo tre mesi.[73] A conferma di questi iniziali risultatati, Duntas e colleghi,[72] utilizzando un protocollo simile a quello di Gärtner, hanno condotto uno studio su 65 pazienti con tiroidite autoimmune residenti nel Sud della Grecia. 34 soggetti sono stati trattati con 200 μg/die di L-seleniometionina (corrispondenti a circa 80 μg di selenio) e terapia ormonale sostitutiva, mentre 31 hanno ricevuto solo levotiroxina. Nel gruppo trattato con selenio gli anti-TPO si sono ridotti in modo significativo (del 46% a tre mesi e del 55,5% a sei mesi). Al contrario, nel gruppo trattato solo con terapia ormonale sostitutiva si è registrata una riduzione del 21% dei livelli degli anti-TPO a tre mesi e del 27% a sei mesi. Nello studio di Turker e colleghi[74] condotto su 88 pazienti di sesso femminile provenienti dalla Turchia, è emerso come la somminiistrazione di L-seleniometionina, in associazione alla terapia sostitutiva con levotiroxina, fosse in grado di determinare una riduzione dei livelli dei anti-TPO solo a dosi superiori a 100 μg/die. Infatti, mentre con dosi di L-seleniometionina di 200 μg/die è stato riscontrato un calo anticorpale significativo (26% a tre mesi), con dosi inferiori (100 μg/die) è stato osservato un aumento, altrettanto significativo, degli anti-TPO.
  • Nel paziente non trattato: A differenza dei precedenti studi clinici in cui tutti i pazienti partecipanti erano in terapia ormonale sostitutiva, Mazokopakis[75] ha arruolato nel suo studio 80 donne provenienti dalla Grecia affette da tiroidite autoimmune, alcune in trattamento con levotiroxina e altre non in terapia ormonale sostitutiva (l'autore non specifica nel suo lavoro il numero dei pazienti non in terapia ormonale sostitutiva). Tutte le pazienti selezionate hanno ricevuto 200μg/die di L-seleniometionina per sei mesi; nel secondo semestre solo una parte dei soggetti ha continuato ad assumere L-seleniometionina. Lo studio ha evidenziato una significativa e costante riduzione dei livelli degli anti-TPO (-21%) nelle pazienti affette da tiroidite autoimmune trattate con L-seleniometionina per 12 mesi, mentre un aumento del titolo anticorpale si è osservato a 12 mesi nelle pazienti che avevano sospeso il trattamento dopo sei mesi (+4,8%). Da questi studi iniziali sembrerebbe che la riduzione del titolo degli anti-TPO a breve termine richieda dosi di L-seleniometionina superiori a 100 μg/die e che l'interruzione della terapia con L-seleniometionina si accompagni a un rebound del titolo anticorpale.[76] In contrasto con i risultati evidenziati da questi studi clinici, Karanikas[77] non ha riscontrato, in 36 pazienti austriaci affetti da tiroidite autoimmune, una significativa riduzione del titolo degli anti-TPO dopo tre mesi di terapia con 200 μg/die di sodio-selenite, né differenze tra il gruppo trattato con sodio-selenite e il gruppo trattato con placebo. Il valore di selenemia dei pazienti arruolati in questi diversi studi era sostanzialmente simile,[71][72][77] mentre i livelli degli anti-TPO al momento dell'arruolamento erano considerevolmente più elevati negli studi di Gärtner e Duntas.[71][72] Sembrerebbe quindi che la riduzione degli anti-TPO nei soggetti con tireopatie autoimmuni trattati con selenio in forma organica sia tanto più marcata quanto più la tireopatia è severa in termini di titolo anticorpale iniziale.[76]
  • Nel paziente subclinico trattato: Un trial successivo di Nacamulli e colleghi[78] è stato condotto su una popolazione di 76 soggetti italiani iodio-sufficiente affetta da tireopatia ancora allo stadio subclinico (TSH <8 μUI/l con FT4 nella norma) e pertanto non in terapia ormonale sostitutiva. L'arruolamento di pazienti con tireopatia in fase iniziale e non in terapia con Levotiroxina rappresenta un elemento distintivo rispetto agli studi precedenti. Secondo alcuni autori la terapia con Levotiroxina a dosi soppressive in soggetti eutiroidei determina un declino della disseminazione autoantigenica dai tireociti, con conseguente riduzione del titolo anticorpale.[74] Lo studio di Nacamulli e colleghi[78] ha evidenziato come dosi fisiologiche di selenio organico (80 μg/die di sodio-selenite), in assenza di terapia ormonale sostitutiva, siano in grado di ridurre il titolo degli anti-TPO e anti-TG, ma dopo un tempo di latenza di 6-12 mesi, e come questo effetto sia del tutto evidente dopo 12 mesi di trattamento con selenio. Al contrario, nel gruppo di controllo non è stata osservata alcuna differenza riguardo ai livelli degli anti-TPO durante il periodo di follow-up. Nacamulli, inoltre, è stato il primo autore ad avere utilizzato un metodo quantitativo (l'analisi istografica automatica dei pixel della scala dei grigi) per valutare l'effetto del selenio organico sull'ecogenicità della tiroide che riflette i cambianti strutturali della ghiandola. Dalla letteratura si evince che vi è una correlazione diretta fra il titolo anticorpale degli anti-TPO e l'intensità del pattern ipoecogeno della tiroide.[79][80] In questo recente studio italiano, una riduzione dell'ecogenicità della tiroide è stata riscontrata dopo sei mesi sia nel gruppo che aveva assunto selenio organico sia nel gruppo di controllo. Tuttavia, nei soggetti trattati con selenio organico dopo 12 mesi di terapia il quadro ecografico era rimasto invariato, mentre nel gruppo di controllo era ulteriormente peggiorato.[78] Già Gärtner nel suo trial aveva osservato un miglioramento dell'ecogenicità della tiroide unitamente a una riduzione del titolo degli anti-TPO nel 25% dei pazienti dopo tre mesi di terapia con selenio organico. In quello studio, però, non era stato utilizzato un metodo quantitativo per la misura dell'ecogenicità della ghiandola né era stato determinato il tempo dall'inizio del trattamento con selenio organico necessario per ottenere un miglioramento della struttura tiroidea. Questi risultati sono in accordo con quanto è emerso dallo studio condotto da Derumeaux e colleghi,[81] che ha evidenziato una correlazione inversa tra concentrazione sierica del selenio da una parte e volume tiroideo e ipoecogenicità tipica della tiroidite dall'altra. Il selenio quindi ha una funzione anti-gozzigena e assume un ruolo chiave nel preservare la normale morfologia tiroidea e nella prevenzione dell'insorgenza di tiroidite autoimmune.
  • Effetti immunomodulatori: Dalla letteratura emerge che gli enzimi selenio-dipendenti hanno anche effetti immunomodulatori. Nello studio di Karanikas e colleghi,[77][79] la determinazione del pattern di citochine nei linfociti CD4 e CD8 del sangue periferico mediante citometria a flusso prima e dopo tre mesi di terapia con selenio organnico, e fra il gruppo trattato con selenio organico e il gruppo placebo non ha fatto registrare significative differenze nella varietà di citochine prodotte dai linfociti T. Questo risultato contrasta con quanto emerso da un recente studio clinico randomizzato in cui la somministrazione di 200 μg/die di L-seleniometionina e/o Levotiroxina per sei mesi a donne polacche con tireopatia in fase iniziale, eutiroidee, ha prodotto un effetto antinfiammatorio sistemico. Questo studio, inoltre, ha mostrato come la terapia ormonale sostitutiva e la L-seleniometionina esplichino il loro effetto antiflogistico agendo su due effettori diversi dell'immunità: la levotiroxina sopprime principalmente la funzione monocitaria, mentre la L-seleniometionina riduce soprattutto il rilascio di citochine da parte dei linfociti.[82] Quest'ultimo dato è in accordo con quanto emerso da esperimenti in vitro condotti da Kim e Stadtman,[83] che hanno dimostrato come il selenio organico abbia un effetto immunomodulatore attraverso la riduzione dell'espressione del fattore NF-kB, con conseguente limitazione della produzione dei mediatori della fase acuta del processo flogistico, come il TNF alfa, l'IL-2 e il recettore dell'IL-2, e dell'estensione della risposta infiammatoria. L'effetto antinfiammatorio del selenio organico e della levotiroxina è risultato maggiore nei soggetti trattati contemporaneamente con entrambe le terapie e a esso è corrisposta una riduzione della concentrazione sierica degli anti-TPO. Secondo l'autore, la discrepanza con lo studio precedente di Karanikas potrebbe dipendere dalle differenze relative allo stadio della tireopatia autoimmune al momento dell'arruolamento e/o dai differenti livelli di selenemia iniziali.[82]
  • TSH: Per quanto riguarda l'effetto della supplementazione di selenio organico sul TSH, solo nel trial clinico di Nacamulli e colleghi tutti i pazienti selezionati non erano trattati con terapia ormonale sostitutiva. In questo studio non è stata rilevata, dopo 12 mesi di supplementazione di selenio organico a dosi fisiologiche, una normalizzazione dei livelli di TSH (elevati al momento del reclutamento), ma nessuno dei pazienti con TSH nel range di normalità all'inizio dello studio ha sviluppato un significativo aumento del TSH durante il periodo di follow-up.[78] Ciò suggerisce che la supplementazione di dosi fisiologiche di selenio può prevenire il peggioramento della funzione della ghiandola nella tiroidite autoimmune, ma il miglioramento potrebbe richiedere un più lungo periodo di trattamento.
  • Gravidanza: Il selenio organico esplica un importante ruolo nell'omeostasi della ghiandola tiroidea anche durante la gravidanza. Donne con positività degli anti-TPO ed eutiroidee hanno un aumentato rischio di tiroidite post partum e ipotiroidismo.[84] Esiste inoltre una forte associazione fra tiroidite autoimmune e aborto. È stato osservato come donne con storia di aborto ricorrente presentassero una più bassa concentrazione di selenio nei capelli rispetto ai controlli[85] e come i livelli di selenemia si riducessero al terzo trimestre di gestazione e dopo il parto ritornassero ai valori del periodo pre-gravidico.[84] In uno studio prospettico randomizzato condotto in Italia, la supplementazione di 200 μg/die di L-seleniometionina a 77 donne eutiroidee con positività degli anti-TPO, durante e dopo la gravidanza, si è associata a una riduzione dell'incidenza di tiroidite post partum e di ipotiroidismo rispetto a 74 donne eutiroidee con positività degli anti-TPO trattate con placebo. Inoltre, nel gruppo di donne gravide trattate con selenio organico alla fine del periodo post partum si è assistito a una riduzione significativa del titolo degli anti-TPO ed è stato osservato un miglioramento del quadro ecografico della tiroide agli ultrasuoni rispetto al gruppo trattato con placebo.[84][83]

Nel 2013 una review sistematica ha affermato che non vi sono ancora prove sufficienti per sostenere in via definitiva o smentire l'efficacia del selenio organico nella tiroidite di Hashimoto, e sono necessari più studi clinici prima che l'efficacia possa essere provata[86].

Come integratore alimentare, la FDA raccomanda almeno 55 μg al giorno di selenio per gli adulti con un livello di assunzione tollerabile superiore a 400 μg[87].

Vitamina D

Uno studio del 2011 pubblicato da Endocrine Practice ha affermato che il 92% dei loro 161 casi di tiroidite di Hashimoto aveva livelli sierici di vitamina D inferiori a 30 ng/mL (12 nmol/L), un valore caratterizzato come insufficiente. Lo studio riporta una possibile associazione tra insufficienza di vitamina D e tiroidite di Hashimoto.[88]

Nel 2012, un altro studio pubblicato da European Society of Endocrinology smentisce la correlazione tra carenza di vitamina D e i primi stadi della tiroidite di Hashimoto.[89]

Un successivo studio del 2013 pubblicato da Endocrine Practice condotto in un ospedale di formazione e di ricerca in Ankara ha affermato che i livelli sierici di vitamina D in pazienti di sesso femminile con tiroidite di Hashimoto erano significativamente più bassi rispetto ai soggetti sani. Inoltre, è stata scoperta una correlazione diretta tra i livelli sierici di vitamina D e il volume tiroideo, nonché una correlazione inversa agli anticorpi coinvolti nella tiroidite di Hashimoto. Gli autori hanno concluso: "Infine, i nostri risultati suggeriscono che ci potrebbe essere una relazione causale tra carenza di vitamina D e di sviluppo della tiroidite di Hashimoto. D'altra parte, ci potrebbe essere una possibile relazione tra gravità della carenza di vitamina D e progressione del danno alla tiroide. Tuttavia, ulteriori studi sono necessari soprattutto per valutare gli effetti della supplementazione di vitamina D per la prevenzione e/o la progressione delle malattie autoimmuni della tiroide."[90]

Uno studio del 2008 dell'International Journal of Immunogenetics ipotizza l'associazione tra una variante del gene connesso al recettore della Vitamina D (VDR) e la tiroidite di Hashimoto nella popolazione croata.[91]

Vitamina B1

Uno studio del 2014 pubblicato da The Journal of Alternative and Complementary Medicine ha ipotizzato che la fatica cronica che accompagna le malattie infiammatorie e autoimmuni è la manifestazione clinica di una carenza di tiamina probabilmente dovuta ad una disfunzione del trasporto intracellulare o ad anomalie enzimatiche. Esiste un numero significativo di pazienti trattati con terapia ormonale sostitutiva che non stanno bene pur avendo i test di funzionalità tiroidea all'interno della gamma sana. Sulla base di questa ipotesi, si è iniziato a trattare con dosi di tiamina la fatica nei pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto che assumevano l'ormone tiroideo. La fatica è stata misurata utilizzando la Fatigue Severity Scale. La tiamina libera nel siero e la tiamina pirofosfato nei globuli rossi sono state testate prima e dopo la terapia. Tutti e tre i pazienti hanno ricevuto dosi di tiamina per via orale (600 mg/giorno) o parenterale (100 mg/ml ogni quattro giorni). Lo studio ha affermato che il trattamento con tiamina portato alla regressione parziale o completa della fatica entro alcune ore o giorni. Poiché la somministrazione di tiamina ha portato ad una regressione parziale o completa della fatica e dei disturbi correlati, è ragionevole dedurre che la somministrazione di grandi quantità di tiamina ripristina i processi tiamina-dipendenti. La carenza di tiamina ha suggerito che la stanchezza e disturbi correlati possono essere dovuti ad una disfunzione del trasporto intracellulare di tiamina o ad anomalie enzimatiche molto probabilmente legate al processo autoimmune della malattia.[92]

Un vecchio studio del 1978 pubblicato da Voprosy pitaniia ha indagato la carenza di tiamina sulle secrezioni di acido cloridrico nella rana, affermando che la sua carenza provocava una diminuzione della secrezione degli ioni idrogeno.[93] Una diminuzione dell'acidità gastrica è spesso riscontrata in pazienti affetti da ipotiroidismo autoimmune.

Vitamina B12

Uno studio del 2008 pubblicato da Journal of the Pakistan Medical Association ha valutato la prevalenza e le caratteristiche cliniche della carenza di vitamina B12 in pazienti ipotiroidei al fine di valutaere la risposta clinica dei sintomi alla terapia sostitutiva con vitamina B12. Lo studio ha affermato che c'è un'alta prevalenza di carenza di B12 in soggetti affetti da da ipotiroidismo, e che la terapia sostitutiva porta ad un miglioramento dei sintomi, anche se un effetto placebo non si può escludere. Un certo numero di pazienti non carenti è apparso rispondere positivamente alla supplementazione di B12.[94]

È importante sottolineare l'esistenza di anemie da carenza di B12 o acido folico.[95][96]

Zinco

Uno studio del 2010 pubblicato da Hormones afferma che esiste una significativa correlazione tra i livelli di zinco nel siero e il volume tiroideo nei pazienti con gozzo nodulare, gli autoanticorpi tiroidei nelle tiroiditi autoimmuni, e il T3 libero nei pazienti con tiroide normale[97].

Iodio

Uno studio del 1998 pubblicato dall'European Journal of Endocrinology ha valutato l'apporto di 250 mcg al giorno iodio in quaranta pazienti affetti da ipotiroidismo di Hashimoto con elevati anticorpi anti-tireoperossidasi, in zone di media carenza di iodio nella dieta. Sette dei quaranta pazienti hanno sviluppato ipotiroidismo subclinico dopo quattro mesi, un altro ha sviluppato ipotiroidismo manifesto. Tre di questi sette sono nuovamente tornati eutiroidei una volta sospeso il trattamento. Un altro paziente ha sviluppato ipertiroidismo, condizione rientrata dopo la sospensione del trattamento. In tutti i pazienti ci sono stati significativi cambiamenti della funzionalità tiroidea, degli anticorpi o del volume tiroideo.[98]

Dieta

Dieta priva di glutine

Studi preliminari hanno suggerito una correlazione tra tiroidite di Hashimoto e celiachia[99]. Anche se non è stato rigorosamente esplorato, ci sono rapporti aneddotici nei quali una dieta priva di glutine può ridurre la risposta autoimmune responsabile della degenerazione della tiroide[100]. Uno studio pubblicato nel gennaio 2012 ha comparato un gruppo di pazienti celiaci confermati con un gruppo di controllo di soggetti sani, dopo aver iniziato una dieta priva di glutine durata un anno[101]. È stata riscontrata una maggiore presenza di tiroidite nel gruppo di celiachia, nessuna riduzione del loro livello di anti-TPO, nessun miglioramento della funzionalità della tiroide, o riduzione di volume della tiroide. Lo studio afferma che i suoi risultati non sono in accordo con altri studi, come ad esempio uno studio prospettico pubblicato nel mese di agosto 2000 con 90 pazienti celiaci, che ha scoperto che gli anticorpi sierici contro la tiroide tendevano a ridursi nel corso di una dieta priva di glutine[102].

Tra gli studi in cui si afferma una normalizzazione dei valori tiroidei in seguito ad una dieta senza glutine spicca uno studio del 2001 pubblicato da The Journal of Alternative and Complementary Medicine che valuta gli effetti dell'adozione di un regime senza glutine in 31 pazienti celiaci precedentemente a dieta libera (con glutine), che dalle analisi risultano affetti da ipotiroidismo subclinico (31 casi) o tiroidite autoimmune (29 casi). Nella maggior parte dei pazienti, dopo un anno senza glutine, è stata registrata una normalizzazione dell'ipotiroidismo subclinico.[103]

Dieta priva di lattosio

Diffusione mondiale dell'intolleranza al lattosio.

Significativi aumenti dei livelli di anticorpi beta-caseina sono stati trovati nei pazienti con diabete di tipo 1, celiachia e diabete autoimmune latente negli adulti, rispetto alla popolazione di pari età. Non sono state osservate differenze nel titolo anticorpale beta-caseina tra i pazienti con altre condizioni patologiche (sclerosi multipla e tiroiditi autoimmuni) rispetto alla popolazione di pari età.[104]

Uno studio del 2014 pubblicato dal Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism e svolto in un ambulatorio di endocrinologia di un ospedale universitario ha affermato che una persona media affetta da Hashimoto necessitava di una dose media di levotiroxina pari a 1.31 μg/kg/giorno per arrivare a un TSH entro i limiti ottimali. Una persona con intolleranza al lattosio, e che continuava a consumare lattosio, aveva invece bisogno di una dose media pari a 1,81 μg/kg/giorno per raggiungere lo stesso obiettivo. Inoltre, i pazienti con un altro disturbo intestinale associato all'intolleranza al lattosio necessitavano di una dose media ancora più elevata, pari a 2.04 μg/kg/giorno per raggiungere il loro obiettivo.[105]

Un altro studio del 2014 pubblicato da Endocrin ha affermato che i pazienti di Hashimoto intolleranti al lattosio hanno mostrato una diminuzione del TSH dopo la restrizione del lattosio.[106]

Omega-3 e malattie autoimmuni

Il tipo di grassi alimentari influisce notevolmente l'insorgenza di malattia autoimmune nei topi. Lo sviluppo della malattia è stato sorprendentemente rallentato nei topi alimentati con una dieta di acidi grassi omega-3 (olio di pesce). Dai 10 mesi di età, il 94% dei topi alimentati con olio di pesce erano ancora in vita, mentre tutti i topi alimentati con una dieta ricca di grassi saturi (strutto) erano morti. I topi alimentati con una dieta di olio di mais si trovavano ad un livello intermedio con un 35% di topi ancora in vita nei 10 mesi successivi. Questo poiché probabilmente gli omega-3 presenti negli acidi grassi dell'olio di pesce tendevano a ridurre gli immunocomplessi della glomerulonefrite (patologia più comune riscontrata nei gruppi) mediante la produzione di prostaglandine con attività attenuata e/o tramite alterazioni delle strutture della membrana cellulare e della sua fluidità, che può, a sua volta, influenzare la risposta delle cellule immunitarie.[107]

Chirurgia bariatrica e obesità

Secondo uno studio del 2007 dell'American Society for Bariatric Surgery afferma che il cambiamento medio del BMI da 49 a 32 kg/m2 dopo la chirurgia bariatrica è stato associato ad una riduzione media del livello di TSH da 4,5 a 1,9 μU/mL. Prima della chirurgia bariatrica il 10,5% dei soggetti ha avuto valori di laboratorio compatibili con l'ipotiroidismo subclinico. Dopo la chirurgia bariatrica il 100% di questi pazienti ha subito una significativa riduzione di peso con una risoluzione simultanea del loro ipotiroidismo subclinico. I risultati dello studio hanno dimostrato una significativa associazione positiva tra il TSH sierico nel range di normalità e il BMI. La perdita di peso dopo la chirurgia bariatrica ha migliorato o normalizzato il livello di ormone tiroideo.[108]

Altri studi confermano che l'obesità grave è associata ad un aumento del TSH[109] e a diminuzione del T4 libero e T4 totale[110]. La restrizione calorica ha dimostrato di migliorare la funzione immunitaria e tiroidea[111].

Attività fisica

L'aumento del metabolismo totale è dovuto anche bilanciamento ormonale, dunque all'attività endocrina e neuroendocrina delle molecole triiodotironina e tiroxina, adrenalina, noradrenalina e cortisolo. Nella fase lenta dell'esercizio, successiva alle prime ore dell'esercizio fisico, si sono riscontrati elevati livelli plasmatici di T4 libero. L'esercizio fisico può dunque contribuire a ripristinare i valori tiroidei.[112]

Altri trattamenti

È stato recentemente riportato che la metformina ha un effetto di riduzione del TSH nei pazienti ipotiroidei con diabete in trattamento con metformina. I livelli sierici di TSH e T4 libero sono stati misurati prima e dopo un periodo di 4 mesi in terapia con metformina. Nei 9 pazienti ipotiroidei con PCOS, i livelli sierici basali medi di TSH (3,2 mIU/l) sono notevolmente diminuiti dopo un corso di 4 mesi di trattamento con metformina (1,7 mIU/l). Nessun cambiamento significativo è stato osservato nei livelli sierici di T4 libero in questi pazienti.[113] Nei pazienti ipotiroidei insulino-resistenti, il trattamento con metformina (prescritto per l'insulino-resistenza) ha causato la soppressione del TSH a livelli subnormali senza sintomi clinici di ipertiroidismo in tutti i pazienti.[114]

I livelli sierici di tireoglobulina non sono influenzati dai livelli di estrogeni.[115]

Esenzione

In Italia, la tiroidite di Hashimoto dà diritto ad esenzione di alcune prestazioni con il codice 056. Nelle prestazioni a titolo gratuito rientrano ecografia, emocromo, TSH, T4 libero, T3 libero, GOT, GPT e anamnesi della malattia.[116]

Note

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