Leoluca Bagarella

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Leoluca Biagio Bagarella, soprannominato Don Luchino (Corleone, 3 febbraio 1942), è un mafioso italiano, legato a Cosa Nostra, affiliato al Clan dei Corleonesi.

Assassino spietato, Don Luchino è stato autore di centinaia di omicidi dagli anni '70 ai '90, oltre che diretto responsabile di alcuni tra i più gravi fatti di sangue di Cosa Nostra, tra cui la Strage di Capaci e il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo[1]. Ha avuto condanne per omicidio multiplo, traffico di droga, ricettazione, strage ed è stato condannato all'ergastolo in regime carcerario di 41 bis. È attualmente rinchiuso nel carcere di Bancali a Sassari, dove sta scontando 13 ergastoli.[2]

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Gli inizi dell'attività mafiosa[modifica | modifica wikitesto]

Quarto figlio del mafioso Salvatore Bagarella, fratello di Antonietta Bagarella, entrò a far parte della cosca di Corleone dopo che suo fratello maggiore Calogero era diventato uno dei fedelissimi del boss Luciano Liggio e dei suoi luogotenenti Totò Riina e Bernardo Provenzano. Il fratello Calogero venne ucciso dal boss Michele Cavataio nella strage di viale Lazio nel 1969 e Leoluca si diede alla latitanza. Nel 1972 anche l'altro fratello Giuseppe viene ucciso in carcere; nel 1974 sua sorella sposò in segreto Totò Riina[3], seguendolo nella latitanza.

Il 20 agosto 1977 commette il suo primo omicidio "eccellente", uccidendo il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo con la complicità di Giovanni Brusca; nel 1978 partecipa all'omicidio del boss di Caltanissetta Giuseppe Di Cristina, che prima di morire riesce a ferirlo. Nel gennaio 1979 uccide, in Viale Campania, con 6 pallottole il giornalista Mario Francese, che investigava sugli affari dei Corleonesi, e in particolare, sulla costruzione della diga di Garcia.

Il 21 luglio 1979 Bagarella uccise all’interno del Bar Lux di via Francesco Paolo Di Blasi a Palermo il vice questore Boris Giuliano, capo della Squadra mobile[4], che stava indagando su di lui dopo essere riuscito a scoprire il suo nascondiglio, un appartamento in via Pecori Giraldi, da dove però Bagarella era riuscito a fuggire in tempo: all'interno dell'appartamento gli uomini del vice questore Giuliano scoprirono armi, quattro chili di eroina e documenti falsi con fotografie che ritraevano Bagarella e i suoi amici mafiosi[5][6]. Il 10 settembre 1979, due mesi dopo l'omicidio del commissario Giuliano, Bagarella venne arrestato a Palermo ad un posto di blocco dei Carabinieri, a cui aveva esibito documenti falsi.[7]

Il ruolo nella guerra allo Stato[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Bombe del 1992-1993.

Dopo un fallito tentativo di fuga dal carcere dell'Ucciardone nel 1980, fu raggiunto nel 1984 da un mandato di cattura del giudice Giovanni Falcone a seguito delle accuse di Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno, venendo condannato a sei anni di carcere per associazione mafiosa al Maxiprocesso di Palermo, pena ridotta a quattro in appello[8]. Dopo essere stato scarcerato nel 1990, l'anno successivo fece notizia il suo faraonico matrimonio con Vincenzina Marchese (sorella del killer Giuseppe, futuro collaboratore di giustizia) festeggiato a Villa Igiea, sontuoso albergo in stile Liberty[9].

Dal 1992 si rese di nuovo latitante e ricominciò a compiere delitti nel contesto della guerra scatenata da Riina contro lo Stato italiano: fu uno degli esecutori materiali dell'omicidio dell'esattore Ignazio Salvo, nonché di quelli del boss di Alcamo Vincenzo Milazzo e della sua compagna Antonella Bonomo (strangolata mentre era incinta di tre mesi). Il 14 settembre dello stesso anno insieme a Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano tentò di assassinare il commissario di polizia Rino Germanà ma il suo kalashnikov si inceppa e l'attentato fallisce[10][11], anche grazie alla prontezza di riflessi del commissario che riesce a sfuggire ai killer[11]. Insieme a Giovanni Brusca, Domenico Ganci, Salvatore Cancemi, Calogero Ganci, Gioacchino La Barbera e Antonino Gioè, fu tra i partecipanti all'esecuzione della strage di Capaci (23 maggio 1992), in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo[12].

Dopo l'arresto del cognato Riina il 15 gennaio 1993, prese il comando della "fazione stragista" di Cosa Nostra[13], composta da Giovanni Brusca, Matteo Messina Denaro e dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, che era favorevole alla continuazione della lotta contro lo Stato iniziata da Riina. A questo gruppo si frapponevano elementi più moderati quali Nino Giuffrè, Pietro Aglieri, Benedetto Spera, Raffaele Ganci, Salvatore Cancemi e Michelangelo La Barbera, tutti guidati da Bernardo Provenzano e contrari alla strategia degli attentati dinamitardi[14]. Alla fine prevalse la linea di Bagarella, che mise in minoranza Provenzano, con l'accordo che gli attentati avvenissero esclusivamente fuori dalla Sicilia. Da questa intesa scaturirono gli attentati di Milano, Roma e Firenze, che provocarono una decina di morti e un centinaio di feriti, nonché ingenti danni al patrimonio artistico italiano.[15]

Nel novembre 1993, insieme a Giovanni Brusca, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro, ordinò il rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo, tenuto prigioniero per 779 giorni, poi strangolato e sciolto nell'acido, per costringere il padre Santino a ritrattare le sue confessioni[16]. Nel 1995, fu il mandante di altri omicidi, come quello di Domenico Buscetta (ucciso solo perché nipote del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta), quelli di Giuseppe Giammona, della sorella Giovanna e del marito Francesco Saporito (uccisi a Corleone perché sospettati di essere affiliati ad una cosca rivale) e del dottor Antonio Di Caro, capo-mandamento di Canicattì (AG) strangolato e sciolto nell'acido da Vincenzo Chiodo e Giovanni Riina (figlio di Totò e nipote di Bagarella) perché sospettato di avere fatto una soffiata alla polizia[17][18].

Sempre nel 1995 intervenne personalmente nella faida di Villabate in appoggio alla famiglia Montalto, che si contrapponeva ai Di Peri, appoggiati invece da Provenzano ed Aglieri. Si servì perciò del "gruppo di fuoco" di Brancaccio guidato da Antonino Mangano e Gaspare Spatuzza come braccio armato per altri spietati omicidi, che avvenivano solitamente con il rapimento della vittima, la quale veniva torturata per farla parlare e poi strangolata e sciolta nell'acido o fatta ritrovare incaprettata[19], come avvenne nel caso del fioraio Gaetano Buscemi[20], del giovane Marcello Grado (figlio del boss Gaetano, rivale storico dei Corleonesi) e dei suoi amici Luigi Vullo e Giammatteo Sole[21].

Il suicidio della moglie Vincenzina[modifica | modifica wikitesto]

La moglie di Bagarella, Vincenzina Marchese, che condivideva la latitanza con il marito, entrò in depressione dopo aver subito due aborti spontanei e per la vergogna di essere sorella di Pino Marchese, “il primo ‘corleonese’ pentito, il collaboratore di giustizia più odiato dalla famiglia Riina”[22]. In particolare, la donna rimase “profondamente turbata, come gran parte del popolo di Cosa nostra, dalla storia del piccolo Giuseppe Di Matteo” (rapito e poi strangolato e sciolto nell'acido)[22], al punto da convincersi “che non avere figli [fosse] una sorta di castigo di Dio, una punizione per il rapimento di quel ragazzino innocente eseguito dagli uomini di suo marito[22]. Stando alla testimonianza di Alfonso Sabella, prima di suicidarsi, Vincenzina avrebbe interrogato suo marito riguardo alle sorti del bambino, il quale a quel tempo era ancora vivo; tuttavia, nonostante il boss le avesse detto la verità, la donna si diede la morte per disperazione, impiccandosi con una corda nella cucina del loro appartamento di Palermo. Secondo Tony Calvaruso, ex autista di Bagarella diventato in carcere collaboratore di giustizia[23], dopo la morte fu seppellita in gran segreto dal marito su una collina di Altarello, vicino a Palermo. Il suo corpo non è mai stato ritrovato[24][25].

Arresto e carcere[modifica | modifica wikitesto]

Fu arrestato dalla DIA il 24 giugno 1995[26][27] in Corso Tukory, affollata via di Palermo che collega la Stazione Centrale al campus universitario. Gli inquirenti lo individuarono grazie ad un suggerimento del collaboratore di giustizia Tullio Cannella, il quale gli consigliò di seguire un suo "autista", Antonio Calvaruso (detto Tony), titolare di un negozio di abbigliamento, che verrà pure lui arrestato e diverrà collaboratore di giustizia[28]. Da allora è sottoposto al regime del 41bis.

Nel 2002, durante un'udienza del processo "Arca" a Trapani alla quale Bagarella partecipò tramite videoconferenza, lesse un comunicato di protesta verso il sistema del carcere duro, indirizzato al mondo politico, che suscitò scalpore perché ritenuto da molti un messaggio intimidatorio per le promesse non mantenute[29].

Nel 2008, gettò olio bollente e minacciò di morte un boss detenuto della 'Ndrangheta[30]. A seguito degli episodi di violenza, viene trasferito nel carcere di Parma[30][31].

Nel 2021 fece notizia l'aggressione di Bagarella ad un agente penitenziario che lo stava scortando nel corridoio del carcere di Sassari[32].

Condanne[modifica | modifica wikitesto]

Processo per la "Trattativa Stato-mafia" (prescritto)[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Processo sulla trattativa Stato-mafia.

Il 24 luglio 2012 la Procura di Palermo, sotto Antonio Ingroia e in riferimento all'indagine sulla trattativa Stato-mafia, ha chiesto il rinvio a giudizio di Bagarella e altri 11 indagati accusati di "concorso esterno in associazione mafiosa" e "violenza o minaccia a corpo politico dello Stato". Gli altri imputati sono i politici Calogero Mannino, Marcello Dell'Utri, gli ufficiali Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, i boss Giovanni Brusca, Totò Riina, Antonino Cinà e Bernardo Provenzano, il collaboratore di giustizia Massimo Ciancimino (anche "calunnia") e l'ex ministro Nicola Mancino ("falsa testimonianza")[44]. Il 20 aprile 2018, dopo 5 anni di processo, viene condannato a 28 anni di carcere[45]. Il 23 settembre 2021 la Corte d'assise d'appello di Palermo, riqualificando il reato in tentata minaccia a Corpo politico dello Stato, dichiara le accuse parzialmente prescritte riducendogli la pena a 27 anni[46]. Nel 2023 il reato per Bagarella è dichiarato prescritto dalla Cassazione.

Nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Mafia. Omicidio Di Matteo, confermato ergastolo a Bagarella e pene ai boss - Rainews 24.
  2. ^ Messina Denaro con Graviano, ecco chi sono gli 83 boss palermitani al 41 bis e dove sono reclusi, su palermotoday.it, 16 febbraio 2023.
  3. ^ "Sugnu ' ca, Luchinu" , così Riina accoglie il cognato Leoluca Bagarella - Corriere della Sera 5 luglio 1995.
  4. ^ Boris Giuliano - Ansa.it.
  5. ^ Quella P38 dietro l'omicidio Giuliano (archiviato dall'url originale il 2 agosto 2014).
  6. ^ Grasso, pp. 157-159.
  7. ^ Così era diventato il "numero uno" ma per molti "non aveva la testa".
  8. ^ PALERMO, NOZZE DA BOSS PER BAGARELLA IN LIBERTA' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 25 aprile 1991. URL consultato il 22 dicembre 2022.
  9. ^ QUELLE NOZZE DA RE NEI SALONI DEI FLORIO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 25 giugno 1995. URL consultato il 22 dicembre 2022.
  10. ^ QUEL COMMISSARIO CERCAVA PROVE CONTRO I POLITICI - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 16 settembre 1992.
  11. ^ a b ' BAGARELLA SBAGLIO' MIRA IL COMMISSARIO SI SALVO' ' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 30 dicembre 1993.
  12. ^ Dieci anni fa moriva Falcone, giudice scomodo - Corriere della Sera.it.
  13. ^ L'arresto di Riina (Brusca racconta cosa successe dopo).
  14. ^ I pentiti del terzo millennio (archiviato dall'url originale il 19 ottobre 2013).
  15. ^ SENATO DELLA REPUBBLICA - CAMERA DEI DEPUTATI XVI LEGISLATURA - RESOCONTO STENOGRAFICO - 102a seduta: Lunedì 26 marzo 2012 (PDF), su parlamento.it.
  16. ^ Matteo Messina Denaro e l’ordine di sciogliere nell’acido il 12enne Giuseppe Di Matteo. Il fratello: “Gli auguro la stessa sofferenza”, su La Stampa, 16 gennaio 2023. URL consultato il 22 febbraio 2023.
  17. ^ UNA FIRMA LO ACCUSA SI COMPORTAVA GIA' COME UN VERO BOSS - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 13 giugno 1996. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  18. ^ Due omicidi per l'iniziazione Ergastolo al figlio di Riina - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 10 maggio 2001. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  19. ^ QUEI 'BRAVI RAGAZZI' DI MAFIA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 1º febbraio 1997. URL consultato il 22 febbraio 2023.
  20. ^ SEVIZIATO E INCAPRETTATO GUERRA TRA CLAN IN SICILIA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 30 aprile 1995. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  21. ^ Palermo, ricordato Giammatteo Sole, su la Repubblica, 22 marzo 2017. URL consultato il 22 febbraio 2023.
  22. ^ a b c Sabella, Cacciatore, op. cit., p. 64.
  23. ^ https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/01/15/cosa-nostra-ora-si-pente-il-braccio.html?ref=search
  24. ^ LA MOGLIE DI BAGARELLA SI È IMPICCATA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 17 gennaio 1996. URL consultato il 22 dicembre 2022.
  25. ^ ' TROVATA LA TOMBA DELLA BAGARELLA' MA NON ERA VERO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 10 settembre 1996. URL consultato il 22 dicembre 2022.
  26. ^ Arrestato Bagarella, l'erede di Riina.
  27. ^ Dal sito del Ministero dell'interno, sezione DIA.
  28. ^ COSA NOSTRA ORA SI PENTE IL BRACCIO DESTRO DI BAGARELLA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 15 gennaio 1996. URL consultato il 23 febbraio 2022.
  29. ^ Mafia. Bagarella ai politici: "le promesse non sono state mantenute" - Rainews 24.
  30. ^ a b Bagarella, olio bollente su un detenuto - Corriera della Sera 13/7/2008.
  31. ^ Il boss Bagarella trasferito al carcere di Parma.
  32. ^ Mafia: Leoluca Bagarella aggredisce un agente in carcere a Sassari, su Giornale di Sicilia, 20 luglio 2021. URL consultato il 29 aprile 2023.
  33. ^ Sportello Scuola e Università della Commissione Parlamentare Antimafia, su camera.it. URL consultato il 21 aprile 2018 (archiviato dall'url originale il 14 dicembre 2007).
  34. ^ sites.google.com, https://sites.google.com/site/sentileranechecantano/cronologia/1996-1-gennaio--30-giugno.
  35. ^ Author: ANSA, Giovanni Falcone, su ansa.it. URL consultato il 21 aprile 2018.
  36. ^ Gianluca Monastra, Ergastolo a Totò Riina per la strage - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 22 gennaio 2000. URL consultato l'8 ottobre 2019 (archiviato l'8 aprile 2014).
  37. ^ condannati i mandanti - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 16 gennaio 2000. URL consultato il 4 aprile 2022.
  38. ^ Sette condanne per Francese - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 12 aprile 2001.
  39. ^ Francese, ergastolo anche a Provenzano - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 23 maggio 2002. URL consultato l'8 aprile 2023.
  40. ^ Morto per aver negato privilegi a Leoluca Bagarella. In quattro a giudizio per il delitto del vicebrigadiere Burrafato - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 16 ottobre 2001.
  41. ^ Dieci ergastoli a boss e killer per la guerra di mafia a Trapani - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 16 marzo 2003. URL consultato l'11 aprile 2023.
  42. ^ a b Condannati Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca.
  43. ^ Uno sgarbo, poi il duplice omicidio: nuovo ergastolo per Leoluca Bagarella « Quotidiano Sicilia | Cronaca Sicilia | Notizie, attualità e politica siciliana – Live Sicilia, su livesicilia.it, 1º luglio 2009. URL consultato il 12 febbraio 2010 (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2011).
  44. ^ Trattativa, la Procura chiede il rinvio a giudizio: processo per Riina, Provenzano e Mancino.. Repubblica. Cronaca. 24 luglio 2012.
  45. ^ Trattativa Stato-mafia, condannati Mori, De Donno, Dell'Utri e Bagarella. Assolto Mancino, in Repubblica.it, 20 aprile 2018. URL consultato il 20 aprile 2018.
  46. ^ Trattativa Stato-mafia: assolti carabinieri e Dell'Utri, su ansa.it, 24 settembre 2021.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Capo dei capi di Cosa nostra Successore
Salvatore Riina Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano
1993 - 1995
Bernardo Provenzano
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