Elezioni politiche in Italia del 1972

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Elezioni politiche italiane 1972
StatoBandiera dell'Italia Italia
Data7-8 maggio 1972
LegislaturaVI legislatura
Assemblee[[Camera dei deputati|Camera dei deputati]], [[Senato della Repubblica|Senato della Repubblica]]
Legge elettoraleProporzionale classica
Affluenza93,26% (Aumento 0,35%)
Leader Arnaldo
Forlani

(Segretario[1])
Enrico
Berlinguer

(Segretario[1])
Giacomo
Mancini

(Segretario[1])
Liste Democrazia
Cristiana
Partito Comunista Italiano Partito Socialista
Italiano
Camera dei deputati
Senato della Repubblica
Voti 11 465 529
38,07%
8 312 828
27,60%
3 225 707
10,71%
Differenza % Diminuzione 0,27% Diminuzione 2,40% nuovo partito[2]%
Differenza seggi Stabile Diminuzione 10 nuovo partito[2]
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Le elezioni politiche italiane del 1972 per il rinnovo dei due rami del Parlamento Italiano – la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica – si tennero domenica 7 e lunedì 8 maggio 1972[3]. Furono le prime elezioni anticipate della storia repubblicana, poiché per la prima volta il Presidente della Repubblica aveva sciolto le camere prima della naturale scadenza del quinquennio di legislatura.

Le consultazioni portarono ad un riconferma della Democrazia Cristiana come primo partito e riconsegnarono al centro-sinistra la maggioranza assoluta dei votanti e del Parlamento, con un lieve incremento, dovuto soprattutto all'avanzata dei repubblicani mentre socialisti e socialdemocratici confermano sostanzialmente i voti del disciolto PSU. L'opposizione di sinistra subì un arretramento a causa del declino del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, che dimezzò il proprio risultato, mentre i comunisti, alla cui guida era da poco arrivato Enrico Berlinguer, si mantennero stabili. Sul fronte della destra, il Movimento Sociale Italiano raddoppiò i propri votanti, ottenendo il suo massimo storico, mentre i liberali subirono un forte arretramento.

Sistema di voto

Le elezioni politiche del 1972 si tennero con il sistema di voto introdotto con il decreto legislativo luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946, dopo essere stato approvato dalla Consulta Nazionale il 23 febbraio 1946. Concepito per gestire le elezioni dell'Assemblea Costituente previste per il successivo 2 giugno, il sistema fu poi recepito come normativa elettorale per la Camera dei deputati con la legge n. 6 del 20 gennaio 1948. Per quanto riguarda il Senato della Repubblica, i criteri di elezione vennero stabiliti con la legge n. 29 del 6 febbraio 1948 la quale, rispetto a quella per la Camera, conteneva alcuni piccoli correttivi in senso maggioritario, pur mantenendosi anch'essa in un quadro largamente proporzionale.

Secondo la suddetta legge del 1946, i partiti presentavano in ogni circoscrizione una lista di candidati. L'assegnazione di seggi alle liste circoscrizionali avveniva con un sistema proporzionale utilizzando il metodo dei divisori con quoziente Imperiali; determinato il numero di seggi guadagnati da ciascuna lista, venivano proclamati eletti i candidati che, all'interno della stessa, avessero ottenuto il maggior numero di preferenze da parte degli elettori, i quali potevano esprimere il loro gradimento per un massimo di quattro candidati.

I seggi e i voti residuati a questa prima fase venivano raggruppati poi nel collegio unico nazionale, all'interno del quale gli scranni venivano assegnati sempre col metodo dei divisori, ma utilizzando ora il quoziente Hare naturale ed esaurendo il calcolo tramite il metodo dei più alti resti.

Differentemente dalla Camera, la legge elettorale del Senato si articolava su base regionale, seguendo il dettato costituzionale (art. 57). Ogni Regione era suddivisa in tanti collegi uninominali quanti erano i seggi ad essa assegnati. All'interno di ciascun collegio, veniva eletto il candidato che avesse raggiunto il quorum del 65% delle preferenze: tale soglia, oggettivamente di difficilissimo conseguimento, tradiva l'impianto proporzionale su cui era concepito anche il sistema elettorale della Camera Alta. Qualora, come normalmente avveniva, nessun candidato avesse conseguito l'elezione, i voti di tutti i candidati venivano raggruppati in liste di partito a livello regionale, dove i seggi venivano allocati utilizzando il metodo D'Hondt delle maggiori medie statistiche e quindi, all'interno di ciascuna lista, venivano dichiarati eletti i candidati con le migliori percentuali di preferenza.

Circoscrizioni

Il territorio nazionale italiano venne suddiviso alla Camera dei deputati in 32 circoscrizioni plurinominali ed al Senato della Repubblica in 20 circoscrizioni plurinominali, corrispondenti alle regioni italiane.

Le circoscrizioni per la Camera dei deputati.
Le circoscrizioni per il Senato della Repubblica.

Camera dei deputati

Le circoscrizioni della Camera dei deputati furono le seguenti:

  1. Torino (Torino, Novara, Vercelli);
  2. Cuneo (Cuneo, Alessandria, Asti);
  3. Genova (Genova, Imperia, La Spezia, Savona);
  4. Milano (Milano, Pavia);
  5. Como (Como, Sondrio, Varese);
  6. Brescia (Brescia, Bergamo);
  7. Mantova (Mantova, Cremona);
  8. Trento (Trento, Bolzano);
  9. Verona (Verona, Padova, Vicenza, Rovigo);
  10. Venezia (Venezia, Treviso);
  11. Udine (Udine, Belluno, Gorizia);
  12. Bologna (Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì);
  13. Parma (Parma, Modena, Piacenza, Reggio Emilia);
  14. Firenze (Firenze, Pistoia);
  15. Pisa (Pisa, Livorno, Lucca, Massa e Carrara);
  16. Siena (Siena, Arezzo, Grosseto);
  17. Ancona (Ancona, Pesaro, Macerata, Ascoli Piceno);
  18. Perugia (Perugia, Terni, Rieti);
  19. Roma (Roma, Viterbo, Latina, Frosinone);
  20. L'Aquila (Aquila, Pescara, Chieti, Teramo);
  21. Campobasso (Campobasso, Isernia);
  22. Napoli (Napoli, Caserta);
  23. Benevento (Benevento, Avellino, Salerno);
  24. Bari (Bari, Foggia);
  25. Lecce (Lecce, Brindisi, Taranto);
  26. Potenza (Potenza, Matera);
  27. Catanzaro (Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria);
  28. Catania (Catania, Messina, Siracusa, Ragusa, Enna);
  29. Palermo (Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta);
  30. Cagliari (Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano);
  31. Valle d'Aosta (Aosta);
  32. Trieste (Trieste).

Senato della Repubblica

Le circoscrizioni del Senato della Repubblica furono invece le seguenti:

  1. Piemonte;
  2. Valle D'Aosta;
  3. Lombardia;
  4. Trentino-Alto Adige;
  5. Veneto;
  6. Friuli-Venezia Giulia;
  7. Liguria;
  8. Emilia-Romagna;
  9. Toscana;
  10. Umbria;
  11. Marche;
  12. Lazio;
  13. Abruzzo;
  14. Molise;
  15. Campania;
  16. Puglia;
  17. Basilicata;
  18. Calabria;
  19. Sicilia;
  20. Sardegna.

Quadro politico

A seguito dell'autunno caldo del 1969, il centrosinistra visse una nuova spinta riformatrice che portò importanti risultati quali la legge sul divorzio (senza il sostegno della DC), lo statuto dei lavoratori, l'attuazione delle regioni e la costituzione della Commissione parlamentare antimafia. Tuttavia la stagione delle riforme si interruppe già l'anno successivo e venne sostituito da un lungo periodo di stagnazione politica. In questo contesto lo Stato italiano fu pericolosamente attaccato con il tentativo del Golpe Borghese nel 1970 e la nascita del terrorismo nero, ovvero di estrema destra, che faceva parte di un progetto più grande, volto a destabilizzare il sistema democratico, chiamato strategia della tensione.

Campagna elettorale a Milano.

Nel febbraio del 1972 i socialisti abbandonarono il governo Colombo, aprendo una crisi politica a cui cercò di porre rimedio Giulio Andreotti. Il suo tentativo però fallì e il suo primo governo non ottenne la fiducia del Parlamento. Il Presidente della Repubblica Leone decise quindi di sciogliere anticipatamente le Camere e indire nuove elezioni. Ciò provocò le dure contestazioni del Partito Radicale, il quale sosteneva che le camere fossero state sciolte in anticipo per sfruttare ad arte la norma che impediva di tenere referendum nello stesso anno in cui si fossero tenute elezioni politiche. Questo, secondo gli stessi radicali, al fine di evitare il referendum sulla cosiddetta «legge Fortuna-Baslini» in materia di divorzio[4].

Le elezioni furono le prime senza forze esplicitamente monarchiche. Il PDIUM infatti non si presentò alle elezioni sostenendo il Movimento Sociale Italiano, e pochi mesi dopo il voto si sciolse definitivamente confluendo nel MSI. Ciò rientrava nel disegno del leader missino Giorgio Almirante che, lanciando la formula della Destra Nazionale, mirava a rendere il movimento erede della Repubblica di Salò, specie dopo il successo in molte regioni alle elezioni regionali del 1970 e alle elezioni regionali siciliane dell'anno successivo, come il raccoglitore unico per tutte le forze di destra. Inoltre i missini ebbero particolare visibilità durante i Moti di Reggio e seppero sfruttare la Strategia della tensione per rilanciare l'esigenza di uno Stato forte.

Principali forze politiche

Lista Collocazione Ideologia Segretario[1]
Democrazia Cristiana Centro Cristianesimo democratico, Centrismo, Popolarismo, Antifascismo, Anticomunismo Arnaldo Forlani
Partito Comunista Italiano Sinistra Comunismo, Eurocomunismo, Marxismo-leninismo, Antifascismo Enrico Berlinguer
Partito Socialista Italiano Sinistra Socialismo, Marxismo, Socialismo riformista Giacomo Mancini
Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale Destra Neofascismo, Nazionalismo, Anticomunismo Giorgio Almirante
Partito Socialista Democratico Italiano Centro-sinistra Socialdemocrazia, Socialismo, Atlantismo Flavio Orlandi
Partito Liberale Italiano Centro-destra Liberalismo, Liberismo, Anticomunismo Giovanni Malagodi
Partito Repubblicano Italiano Centro Repubblicanesimo, Mazzinianesimo, Centrismo Ugo La Malfa
Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria Sinistra Socialismo massimalista Dario Valori

Campagna elettorale

Risultati

Lo stesso argomento in dettaglio: Grafico delle elezioni politiche italiane.

Camera dei deputati

Partiti maggioritari nelle singole circoscrizioni elettorali.
Lista Voti (%) Voti Seggi Differenza (%) Aumento/Diminuzione
Democrazia Cristiana (DC)[5] 38,66 12.912.466 266 Diminuzione0,46 Stabile
Partito Comunista Italiano (PCI) 27,15 9.068.961 179 Aumento0,24 Aumento2
Partito Socialista Italiano (PSI) 9,61 3.208.497 61 - -
Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale (MSI-DN) 8,67 2.894.722 56 Aumento4,22 Aumento22
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI)[5] 5,14 1.718.142 29 - -
Partito Liberale Italiano (PLI) 3,89 1.300.439 20 Diminuzione1,94 Diminuzione11
Partito Repubblicano Italiano (PRI) 2,86 954.357 15 Aumento0,89 Aumento6
Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) 1,94 648.591 0 Diminuzione2,51 Diminuzione23
Il manifesto (IM) 0,67 224.313 0 - -
Partito Popolare Sudtirolese (PPST) 0,46 153.674 3 Diminuzione0,02 Stabile
Movimento Politico dei Lavoratori (MPL) 0,36 120.251 0 - -
Partito Comunista (Marxista-Leninista) Italiano (PC(m-l)I) 0,26 86.038 0 - -
DC-UV-RV-PSDI 0,10 34.083 1 - -
Altre liste 0,13 79.014 0 - -
Totale[6] 100,00 33.403.548 630

Senato della Repubblica

Partiti maggioritari nelle singole circoscrizioni elettorali.
Lista Voti (%) Voti Seggi Differenza (%) Aumento/Diminuzione
Democrazia Cristiana (DC)[7] 38,07 11.465.529 135 Diminuzione0,27 Stabile
PCI-PSIUP[8] 27,60 8.312.828 91 Diminuzione2,40 Diminuzione10
Partito Socialista Italiano (PSI)[9] 10,71 3.225.707 33 Diminuzione4,51 Diminuzione13
Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale (MSI-DN) 9,19 2.766.986 26 Aumento4,63 Aumento15
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI)[10] 5,36 1.613.810 11 - -
Partito Liberale Italiano (PLI) 4,38 1.319.175 8 Diminuzione2,41 Diminuzione8
Partito Repubblicano Italiano (PRI)[11] 3,05 918.440 5 Aumento0,88 Aumento3
PCI-PSIUP-Partito Sardo d'Azione (PCI-PSIUP-PSdAz)[12] 0,63 189.534 3 - -
Partito Popolare Sudtirolese (PPST) 0,38 113.452 2 Diminuzione0,12 Stabile
PCI-PSIUP-PSI[13] 0,14 41.833 0 - -
PSDI-PRI[14] 0,11 31.953 0 - -
DC-UV-RV-PSDI[15] 0,10 31.114 0 - -
Tirol 0,10 28.735 0 - -
Altre liste 0,18 83.333 0 - -
Totale[16] 100,00 30.116.057 315

Eletti

Camera dei deputati

La composizione della Camera dei Deputati della VI Legislatura.

Di seguito viene proposta l'attribuzione finale dei seggi[6], per partito, alla Camera:

Lista Seggi
Democrazia Cristiana 266
Partito Comunista Italiano 179
Partito Socialista Italiano 61
Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale 56
Partito Socialista Democratico Italiano 29
Partito Liberale Italiano 20
Partito Repubblicano Italiano 20
Partito Popolare Sudtirolese 3
DC-UV-RV-PSDI 1
Totale 630[6]

Senato della Repubblica

La composizione del Senato della Repubblica della VI Legislatura.

Di seguito viene proposta l'attribuzione finale dei seggi[16], per partito, al Senato:

Lista Seggi
Democrazia Cristiana 135
Partito Comunista Italiano[17] 74
Partito Socialista Italiano 33
Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale 26
Partito Socialista Democratico Italiano 11
Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria[17] 11
Sinistra Indipendente[17] 9
Partito Liberale Italiano 8
Partito Repubblicano Italiano 5
Partito Popolare Sudtirolese 2
Union Valdôtaine[18] 1
Totale 315[16]

Analisi territoriale del voto

Partiti maggioritari nelle singole province per la Camera.

La Democrazia Cristiana risulta più o meno stabile nel Centro-Nord con delle contrazioni nel Nord e degli incrementi nelle «Regioni Rosse». Più variegati i risultati del Sud dove l'andamento cambia notevolmente da regione a regione; a fianco a forti crescite nell'interno campano, a Trapani e in Molise, dove guadagna il 5% dei consensi, si registrano notevoli arretramenti in Puglia, a Catania e in Calabria dove arriva a perdere il 6% dei voti in Provincia di Reggio Calabria. Ciononostante la distribuzione del voto democristiano non subisce radicali modifiche nel Mezzogiorno. La DC infatti si conferma molto tonica, spesso sopra il 50% dei voti, in Molise, Campania, Abruzzo e Basilicata, che si aggiungono alle zone forti del Nord, Alta Lombardia, Triveneto, Cuneo e Lucca. Resta invece debole nelle «Regioni Rosse», nel Nord-Ovest a Roma e da questa tornata anche a Napoli[6].

Il Partito Comunista Italiano risulta pressoché stabile a livello nazionale ma non a livello locale. Esso infatti cresce moderatamente nel Nord e in modo importante in Toscana, Abruzzo, Calabria e Sardegna, mentre subisce un arretramento nel Lazio, in Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia. Le «Regioni Rosse», ovvero Emilia Romagna, Toscana e Umbria, e il Nord-Ovest si confermano le principali roccaforti comuniste seguite da Sicilia meridionale, provincia di Foggia, a cui si aggiungono anche Sardegna e le regioni ioniche dove i comunisti ottengono risultati sopra la media. Si confermano più ostili al PCI le restanti regioni del Sud, l'Alta Lombardia, il Nord-Est, con l'esclusione delle zone costiere dove prosegue l'avanzata comunista, e la Provincia di Cuneo dove i comunisti registrano il loro risultato peggiore[6].

Dopo la separazione di PSI e PSDI, il Partito Socialista Italiano, in calo del 4% rispetto al 1963, mantiene gran parte del suo elettorato tradizionale. Con l'esclusione del Veneto Centrale, il Nord resta la zona di maggior influenza socialista soprattutto le province di Sondrio, Cuneo, Belluno, il Friuli, la Bassa Lombardia e le zone lambite dal Ticino. A queste si aggiungono in questa tornata alcune province meridionali come Siracusa e Cosenza dove il PSI ottiene ottimi risultati. Nel resto del Sud i socialisti ottengono risultati nella media o poco al di sotto. Fa eccezione il Molise, dove il PSI scende sotto il 4%, e che quindi insieme al Centro risulta la zona più debole per i socialisti[6].

Il Movimento Sociale Italiano incrementa fortemente i propri voti su tutto il territorio. Nel Nord cresce mediamente del 2% ottenendo comunque risultati ben al di sotto della media, con la solita eccezione di Trieste dove il MSI supera il 12%. Nel Centro-Sud, che si conferma la zona più forte per i missini, il MSI consolida la sua posizione di terzo partito incrementando notevolmente i suoi consensi. In particolare si registrano delle crescite eccezionali nel Lazio e nelle grandi città del Sud, come Napoli (+12%), Reggio Calabria (+14%) dove il MSI conquista il capoluogo di provincia, e Catania (+16%) in cui i missini ottengono il 23% e sono il secondo partito[6].

Il Partito Socialista Democratico Italiano si mantiene molto radicato nel Nord Italia e conferma molte delle sue roccaforti come il Piemonte, l'estremo Nord-Est, l'Emilia orientale e la provincia di Piacenza. Nel Centro-Sud resta generalmente più debole con l'eccezione del Molise dove registra ottimi risultati che collocano la regione tra le zone forti dei socialdemocratici[6].

Il Partito Liberale Italiano subisce un forte arretramento a seguito di un generale calo di consenso che raggiunge il suo apice negativo nelle province di Genova, Milano, Roma e Messina dove arriva a perdere il 5% dei voti. In tutte queste province i liberali mantengono comunque buoni risultati che permettono di collocarle tra le zone forti del partito insieme al Nord-Ovest, e le province di Trieste e Benevento, in cui il PLI raggiunge il 10% dei consensi. Si conferma invece molto debole, ai limiti dell'irrilevanza nel resto del Centrosud[6].

Il Partito Repubblicano Italiano cresce quasi ovunque facendo registrare dei cali solo in Sicilia, soprattutto nelle province di Enna e Trapani in cui perde il 4%, e in Calabria. Con queste elezioni la distribuzione geografica del voto repubblicano cambia notevolmente spostandosi verso Nord. Nel Centro-Sud infatti si mantengono delle isolate roccaforti, come la Romagna, la costa Toscana, il Lazio, le Marche centrali e le province di Salerno e Trapani, dove il partito ottiene consensi eccezionali, ma al di fuori di queste i risultati sono piuttosto bassi e talvolta inferiori al 1%. Al contrario, nel Nord i risultati sono più omogenei, anche se più elevati verso occidente, e non risultano zone di particolare debolezza[6].

Il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria registra un calo generalizzato di consensi abbastanza omogeneo, concentrato soprattutto là dove nella precedente consultazione aveva registrato i risultati più elevati, come ad esempio nella Provincia di Massa dove perde il 5% dei voti. Si conferma più forte nel Centronord, e nelle isole maggiori, toccando un massimo del 4% in Provincia di Enna, mentre nel resto del Sud si mantiene piuttosto debole[6].

Anche in queste elezioni il distacco tra DC e PCI continua a diminuire sebbene in misura più attenuata, mantenendosi al di sopra del 10%. Non ci sono conquiste di province da entrambe le parti ma prosegue un generale rafforzamento del PCI nelle «Regioni Rosse», nel Nord-Ovest e nelle province di Roma e Napoli dove lo scudo crociato si impone per pochi punti percentuali. La DC invece mantiene la sua roccaforte nel lombardo-veneto e si rafforza nel Centro-Sud, con la sola eccezione della Calabria.

Conseguenze del voto

Le divergenze tra socialisti e democristiani, che avevano fatto concludere anticipatamente la legislatura precedente, si mantennero anche dopo il voto, tanto che Andreotti formò un governo composto da DC, PSDI e PLI, per la prima volta al governo dal 1957, con l'appoggio esterno del PRI e senza il sostegno del PSI[19]. Il governo, che rappresentava un debole tentativo di ritorno al centrismo, cadde dopo un anno e Andreotti fu sostituito da Rumor che ripropose la formula del centrosinistra. Dopo solo un anno tornarono a presentarsi dissensi nella coalizione di governo che decretarono la caduta di Rumor e il ritorno di Moro a guida di un governo centrista ma sostenuto anche da socialisti e socialdemocratici[19].

Note

  1. ^ a b c d Segretario del partito alla data delle elezioni.
  2. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore PSU=PSI+PSDI
  3. ^ Ultimi comizi poi si vota, in Stampa Sera, 5 maggio 1972. URL consultato il 27 aprile 2017.
  4. ^ Enrico Berlinguer, su radioradicale.it, Radio Radicale. URL consultato il 19 marzo 2009.
  5. ^ a b Lista presentata in tutte le circoscrizioni, ad eccezione della circoscrizione Aosta nella quale vi fu una lista unica DC-UV-RV-PSDI.
  6. ^ a b c d e f g h i j k Archivio Storico delle Elezioni – Camera del 7 maggio 1972, in Ministero dell'interno. URL consultato il 20 luglio 2011.
  7. ^ Lista presentata in tutte le circoscrizioni ad eccezione della circoscrizione Valle d'Aosta dove vi fu una lista unica UV-DC-RV-PSDI.
  8. ^ I due partiti si presentarono uniti in un'unica lista in tutte le circoscrizione, ad eccezione della circoscrizione Sardegna dove vi fu unica lista unica dei due partiti con il Partito Sardo d'Azione e della circoscrizione Molise dove vi fu una lista unica dei due partiti con il PSI.
  9. ^ Lista presentata in tutte le circoscrizioni ad eccezione della circoscrizione Molise dove vi fu una lista unica PCI-PSIUP-PSI.
  10. ^ Lista presentata in tutte le circoscrizioni ad eccezione della circoscrizione Sardegna dove vi fu una lista unica PSDI-PRI, e della circoscrizione Valle d'Aosta dove vi fu una lista unica UV-DC-RV-PSDI.
  11. ^ Lista presentata in tutte le circoscrizioni ad eccezione della circoscrizione Sardegna dove vi fu una lista unica PSDI-PRI.
  12. ^ I tre parti si presentarono con una lista unica solamente nella circoscrizione Sardegna.
  13. ^ I tre partiti si presentarono con una lista unica solamente nella circoscrizione Molise.
  14. ^ I due partiti si presentarono con una lista unica solamente nella circoscrizione Sardegna.
  15. ^ I quattro partiti si presentarono con una lista unica solamente nella circoscrizione Valle d'Aosta.
  16. ^ a b c Archivio Storico delle Elezioni – Senato del 7 maggio 1972, in Ministero dell'interno. URL consultato il 16 aprile 2013.
  17. ^ a b c Eletti nella lista unica PCI-PSIUP presentata in tutte le circoscrizioni tranne la Sardegna e nella lista unica PCI-PSIUP-PSdAz presentata nella circoscrizione Sardegna.
  18. ^ Eletto nella lista unica UV-DC-RV-PSDI.
  19. ^ a b Indro Montanelli e Mario Cervi, L'Italia degli anni di piombo, Milano, Rizzoli, 1991.

Bibliografia

  • Costituzione della Repubblica Italiana

Voci correlate

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