Discussione:Morte di Benito Mussolini/Ipotesi di modifica

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Voce principale: Benito Mussolini.

Benito Mussolini morì il 28 aprile 1945 nel comune di Tremezzina, oggi Mezzegra, in provincia di Como ucciso insieme all’amante Clara Petacci mediante colpi di arma da fuoco. Il capo del fascismo e della Repubblica Sociale Italiana si trovava in stato di arresto, catturato a Dongo il giorno precedente dai partigiani della 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" comandata da Pier Luigi Bellini delle Stelle.

La fuga da Milano a Dongo[modifica wikitesto]

In rosso il percorso fino al primo confine svizzero; in giallo il percorso più corto per la Valtellina (ma per le condizioni della strada al tempo quello richiedente il maggior tempo di percorrenza); in viola il percorso di Mussolini (proseguendo fino a Colico anch'esso permette di raggiungere la Valtellina)

Nel tentativo di sfuggire alla disfatta definitiva della Repubblica Sociale Italiana e sperando ancora in un sussulto dei suoi, Mussolini abbandona il 18 aprile 1945 la sede di Gargnano e si reca a Milano. Nel pomeriggio del 25 aprile, con la mediazione del cardinale di Milano Ildefonso Schuster, si svolge un incontro decisivo tra la delegazione fascista composta da Mussolini stesso, Barracu, Cella, Bassi, Zerbino e Graziani ed una delegazione del CLN composta dal generale Cadorna, dall'avvocato democratico-cristiano Marazza e dal rappresentante del Partito d'Azione Riccardo Lombardi. L'ordine dell'insurrezione generale è imminente, ed i tedeschi avevano già avviato trattative separate: l'unica proposta che Mussolini riceve è quindi la "resa incondizionata". Un accordo al momento sembra possibile, ma i fascisti si riservano di dare una risposta entro un'ora. Non ritorneranno più. Verso sera, mentre i capi della resistenza - dopo aver atteso invano una risposta - danno l'ordine dell'insurrezione generale, Mussolini lascia Milano e parte in direzione di Como. Le ragioni di questo viaggio sono ancor oggi discusse: o tentativo di raggiungere la Valtellina dove già da alcune settimane alcuni gerarchi fascisti prospettavano di costituire un estremo baluardo di resistenza, o tentativo di rifugiarsi nella neutrale Svizzera sperando di riuscire avviare da lì trattative con diplomatici americani. Di notte il capo del fascismo raggiunge la prefettura di Como ed ivi si ferma fino all'indomani; il giorno precedente nella città comasca era arrivata la moglie Rachele con i figli Romano ed Anna Maria, ma Mussolini si rifiuta di incontrarli, limitandosi ad una lettera d'addio e a una telefonata con cui raccomanda a Rachele di portare i figli in Svizzera.

Poco dopo le tre del mattino del 26 aprile riuscendo ad alludere la sorveglianza tedesca, lascia precipitosamente Como muovendosi verso nord, costeggiando il lato occidentale del lago di Como, assieme ad alcuni gerarchi e personalità fasciste.

Arrivato a Menaggio, l'ex dittatore abbandona la strada regina, deviando a ovest in Val Menaggio, per giungere a Cardano, frazione del piccolo comune di Grandola ed Uniti,pernottandovi presso l'Hotel Miravalle.. Questa località si trova a poca distanza dal campo di golf di Croce frequentato da persone vicine agli Anglo-Americani ed è in comunicazione con Lugano e la Svizzera mediante il valico di Oria [1]. A Cardano Mussolini è raggiunto dall'amante Clara Petacci e dalla scorta tedesca che aveva ricevuto l'ordine da Hitler di scortarlo verso la Germania; durante il pranzo apprende dalla radio che anche Milano è stata liberata. Nell'impossibilità di proseguire, si torna a Menaggio.

La mattina del 27 aprile Mussolini (non riuscendo a distaccarsi dai tedeschi), con i gerarchi fascisti e famiglie al seguito, ritorna verso il lungolago a Menaggio e si aggrega ad una colonna di tedeschi in ritirata verso il nord, i quali intendono probabilmente tentare di passare il confine verso i Grigioni o puntare verso l'Alto Adige incorporato nel terzo Reich e da lì in Germania. La colonna prosegue fino a Musso dove viene fermata dai partigiani; i tedeschi trattano il permesso di poter proseguire giungendo ad un accordo: potranno proseguire per alcuni chilometri fino al prossimo posto di blocco partigiano, ma i fascisti saranno arrestati subito. Mussolini, su consiglio del capo della sua scorta SS, il tenente Fritz Birzer, indossa un cappotto e un elmetto da sottufficiale della Wehrmacht e sale su uno dei camion dei soldati tedeschi, occultandosi in fondo al pianale, verso l'abitacolo di guida. Gli altri gerarchi fascisti vengono quasi tutti arrestati ed il giorno seguente saranno fucilati sul lungolago di Dongo. Gli autocarri tedeschi (con a bordo Mussolini) proseguono, ma giunti al successivo posto di blocco viene fatto un controllo e Mussolini viene riconosciuto dal partigiano Urbano Lazzaro (nome di battaglia: Bill) e immediatamente arrestato.

Fra gli storici non mancano posizioni discordanti circa alcuni punti cui si attribuiscono spiegazioni diverse, a partire dal motivo del viaggio del dittatore sulla strada lungo il lago di Como ove fu catturato, che alcuni vogliono in fuga per la Svizzera, per altri era un semplice ripiegamento verso la Valtellina. Si dice che Mussolini stesse fuggendo in Svizzera; tuttavia non è chiaro il motivo per cui Mussolini non sia entrato in territorio svizzero una volta giunto nei dintorni di Como o Chiasso, ma abbia proseguito lungo il lago finendo a Dongo. Si è ipotizzato che Mussolini intendesse tentare di raggiungere i tremila uomini del generale Onori (il quale aspettava ancora i mille uomini del maggiore Vanna) in Valtellina per un'ultima resistenza nel "Ridotto alpino repubblicano". Resta comunque accreditata da molti la tesi della fuga in Svizzera, come proverebbero le richieste di contatto, tramite l'Arcivescovado milanese, con le autorità elvetiche immediatamente prima di lasciare Milano e come ebbe modo di dichiarare il tenente Birzer. Birzer aveva ricevuto direttamente da Hitler il compito di non lasciare mai Mussolini: ne risponderà con la vita se ciò dovesse avvenire, disse Hitler a Birzer e si può ben immaginare come il tenente non volesse correre rischi. Fu lui, con i suoi uomini, a impedire all'ultimo minuto un tentativo di fuga, quando Mussolini, la Petacci ed almeno altri due gerarchi erano quasi riusciti nell'intento di attraversare il confine. Le dichiarazioni di Birzer sono citate nel libro I tedeschi in Italia, di Silvio Bertoldi, S&K editori.

Ricostruzione storica della morte[modifica wikitesto]

Croce marcante il luogo, a Giulino di Mezzegra, dove Mussolini fu ucciso

Il fermo della colonna motorizzata tedesca e il susseguente arresto di Mussolini e del suo seguito era stato effettuato dai partigiani della 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici", comandata da Pier Luigi Bellini delle Stelle, nome di battaglia “Pedro”; il suo commissario politico era Michele Moretti (“Gatti”), vice commissario politico Urbano Lazzaro (“Bill”) e il capo di stato maggiore Luigi Canali (“Capitano Neri”). Tra i gerarchi al seguito del dittatore, sono arrestati anche Francesco Maria Barracu, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alessandro Pavolini, Ministro segretario del PFR, Ferdinando Mezzasoma, Ministro della Cultura Popolare, Augusto Liverani, Ministro delle Comunicazioni, Ruggero Romano, Ministro dei Lavori Pubblici, Paolo Zerbino, Ministro dell'Interno. E’ fermato anche Marcello Petacci, fratello di Claretta, che seguiva il convoglio con un’altra autovettura.

In base alle clausole dell'armistizio di Cassibile, Mussolini doveva essere consegnato vivo agli Alleati. Mussolini e la Petacci sono fatti salire su due vetture, con a bordo, oltre al Capitano Neri, anche Pedro, Gatti, la staffetta Giuseppina Tuissi (“Gianna”) e i giovani partigiani Guglielmo Cantoni ("Sandrino") e Giuseppe Frangi ("Lino") [2]. Dopo alcune vicissitudini, intorno alle ore 3.00 di notte del 28 aprile, i due prigionieri sono fatti scendere ed alloggiare a Bonzanigo, una frazione di Mezzegra, presso una famiglia di conoscenti di lunga data del capitano Neri (casa De Maria) e di cui il capo partigiano si fida ciecamente [3]. Il piantonamento notturno è effettuato dai partigiani Cantoni e Frangi.

Nel frattempo si era sparsa velocemente la voce del suo arresto. Già nella mattina del 25 aprile il CLNAI - Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, riunitosi a Milano aveva approvato un documento organico ove, all’art. 5 si prevedeva che: “i membri del governo fascista e i gerarchi fascisti colpevoli di aver contribuito alla soppressione delle garanzie costituzionali, d’aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e, nei casi meno gravi con l’ergastolo”. L’esecuzione era comunque subordinata ad una sentenza dei tribunali di guerra [4].

Tuttavia, non appena a conoscenza dell'arresto dell'ex capo del governo, [5] la componente comunista del CLNAI decide di agire senza indugio, onde evitare che un'eventuale consegna di Mussolini agli alleati permetta a quest'ultimo di aver salva la vita: Walter Audisio, nome di battaglia “colonnello Valerio”, che nell'ambito della Resistenza aveva compiti di polizia militare, è così incaricato di eseguire il decreto del comitato mediante processo sommario e immediata fucilazione. A tal fine la sera del 27 aprile 1945, a Milano, è affiancato da Aldo Lampredi, nome di battaglia Guido, ispettore del comando generale delle Brigate Garibaldi e uomo di fiducia di Luigi Longo, per contattare immediatamente il generale Raffaele Cadorna con la richiesta di un salvacondotto. Cadorna, pur riluttante, glielo accorda [6]. Inoltre, alle 3 del mattino successivo, il servizio radio partigiano trasmette agli alleati un fonogramma a scopo depistaggio, nel quale si asserisce l'impossibilità della consegna di Mussolini, in quanto già processato dal Tribunale popolare e fucilato "nello stesso luogo ove precedentemente fucilati da nazifascisti quindici patrioti"[7]. Ci si riferiva alla Strage di Piazzale Loreto del 10 agosto 1944.

Alle 7 del mattino del 28 aprile, il colonnello Valerio parte dalla scuola di Viale Romagna, Milano, con il supporto di una dozzina di partigiani, [8] agli ordini del comandante Alfredo Mordini "Riccardo". Giunto a Como, Audisio esibisce il lasciapassare di Cadorna al nuovo prefetto Virginio Bertinelli e al colonnello Sardagna, assicurando loro che avrebbe trasferito i prigionieri a Como e, in un secondo momento, a Milano [9]. Trattenuto a Como fino alle 12.15, Audisio si sposta a Dongo, ove nel frattempo era giunto Lampredi, e vi arriva alle 14.10.

Qui Valerio si incontra con il comandante Pier Luigi Bellini delle Stelle comunicandogli di aver avuto l'ordine di voler fucilare Mussolini e gli altri prigionieri. Dopo aver preso visione delle credenziali, e ritenendole sufficienti, "Pedro" gli rilascia il suo consenso[10]. Alle 15.15 Audisio si muove con una Fiat 1100 nera verso Mezzegra, distante 21 km, più a sud, dove - in frazione Bonzanigo - l'ex dittatore è prigioniero. Sono con lui Aldo Lampredi "Guido" e Michele Moretti “Gatti”, che conosceva il luogo essendoci già stato la notte prima.

Moretti è armato di mitra francese MAS, calibro 7,65 lungo [11]; Lampredi è armato di pistola Beretta modello 1934, calibro 9 mm [12]. L’arma di Walter Audisio, un mitra Thompson, sarà successivamente riconsegnata al commissario politico della divisione partigiana dell’Oltrepò, Alberto Maria Cavallotti, senza essere stata utilizzata [13].

Poco dopo le ore 16 del 28 aprile l’ex duce e Claretta Petacci sono da lì prelevati. Mussolini e la Petacci sono fatti sedere nei sedili posteriori della vettura; questa viene fermata in un angusto vialetto (via XXIV Maggio) davanti a Villa Belmonte, un'elegante residenza in località Giulino di Mezzegra situata in posizione assai riparata. I due sono poi obbligati a scendere per essere fucilati.

Ricostruzione dell'uccisione di Benito Mussolini. Un uomo indica un punto preciso del muro dove avvenne la fucilazione a Giulino di Mezzegra, ottobre 1945, foto di Federico Patellani

In base ai particolari delle varie versioni dell’accaduto, sufficientemente non in contraddizione tra loro, la fucilazione si sarebbe svolta come segue. Moretti e Lampredi sono inviati a bloccare la strada nelle due direzioni. Valerio tenta di procedere nell’esecuzione ma il suo mitra si inceppa; chiama allora Moretti che, di corsa, gli porta il suo. Con tale arma il colonnello Valerio scarica una raffica mortale sull’ex capo del fascismo. A questo punto – secondo Walter Audisio - la Petacci si pone sulla traiettoria del mitra ed è colpita anch’essa per errore. Viene poi inferto un colpo di grazia sul corpo di Mussolini con la pistola (presumibilmente quella di Lampredi), almeno secondo l’ultima versione dei fatti rilasciata da Audisio [14]. Di certo, un colpo di pistola è inferto anche su Claretta Petacci, in quanto due proiettili, calibro 9 mm corto, compatibili con quelli della pistola del Lampredi, furono rinvenuti nel corpo della donna, nel corso dell'esumazione effettuata il 12 aprile 1947 [15]. Sul luogo dell’esecuzione furono poi rinvenuti proiettili calibro 7,65, compatibili con quelli del mitra francese del Moretti [15].

L'edizione locale dellUnità, il giorno seguente, riporta il fatto con questo titolo a tutta pagina: "Mussolini e i suoi accoliti giustiziati dai patrioti nel nome del popolo" [16]; mentre l'edizione nazionale dell'1º maggio riporta in prima pagina un'intervista col partigiano - di cui non viene fatto il nome - che "ha giustiziato il Duce", intitolata: "Da una distanza di 3 passi sparai 5 colpi a Mussolini".

Walter Audisio era al tempo capo di un raggruppamento delle forze partigiane con funzioni di polizia. La sua figura emerse direttamente, con riferimento a questi fatti, nel 1947, quando il quotidiano "l'Unità" (organo del PCI, di cui Audisio fu poi deputato) diede notizia del suo coinvolgimento. Metà della notizia non era in verità nuovissima, essendo il nome del colonnello Valerio già circolato nell'immediato, ma l'Audisio non aveva mai dato modo di parlare di sé, essendo noto solo negli ambienti di militanza; prima di allora le cronache riferivano che Mussolini era stato fucilato dal colonnello Valerio, senza conoscerne l’esatta identità.

Nel volume "In nome del popolo italiano", uscito postumo, Audisio sostenne che le decisioni prese nel primo pomeriggio del 28 aprile a Dongo, nell'incontro con il comandante della 52ª Brigata, Bellini delle Stelle, fossero equivalenti ad una sentenza emessa da un organismo regolarmente costituito ai sensi dell'art. 15 del documento del CLNAI sulla costituzione dei tribunali di guerra[17]. Ciò non corrisponde al vero in quanto, nell'occasione, mancava la presenza di un magistrato e di un commissario di guerra [18]. Dell'intera questione si occupò anche la magistratura penale, investita dal giudice civile, cui si erano rivolti i familiari dei Petacci per risarcimento danni. Nei confronti di Audisio, all'epoca parlamentare, l'apposita Giunta concesse l'autorizzazione a procedere. Il processo si chiuse definitivamente il 7 luglio 1967, quando il giudice istruttore assolse il colonnello Valerio dall'accusa di omicidio volontario pluriaggravato, appropriazione indebita e vilipendio di cadavere, perché i fatti erano avvenuti nel corso di un'azione di guerra contro i tedeschi ed i fascisti loro alleati, in periodo di occupazione straniera, e come tali non furono ritenuti punibili[19].

Piazzale Loreto[modifica wikitesto]

I corpi di Mussolini e Claretta Petacci adagiati a terra in piazzale Loreto, e' visibile il gagliardetto posto fra le mani di Mussolini
I corpi di Mussolini (secondo da sinistra) e di Petacci (riconoscibile dalla gonna) esposti a Piazzale Loreto. Il primo cadavere a sinistra è di Paolo Zerbino. Gli ultimi due a destra sono Pavolini e Starace.
Il distributore visto da altra prospettiva

Alle 17 circa Audisio è a Dongo per fucilare gli altri gerarchi. Alle 17.48, sono giustiziati tutti i 15 i soggetti che, verso le ore 15, “Valerio” stesso aveva individuato nella lista dei prigionieri della 52ª Brigata Garibaldi. Il numero dei fucilati eguaglia quello dei partigiani, che, per rappresaglia, il 10 agosto 1944, i tedeschi avevano fatto fucilare dai fascisti ed esporre al pubblico in Piazzale Loreto a Milano, ciò dimostrerebbe l' intenzione di voler vendicare quella strage. Marcello Petacci, inizialmente non compreso nell'elenco dei giustiziati, tenta la fuga a nuoto nel Lago di Como, ma è raggiunto da raffiche di mitra e muore anch’esso.

Caricati i cadaveri su un camion (compreso quello del fratello di Claretta), Audisio parte per Milano verso le 18, passando ad Azzano a recuperare anche i corpi di Mussolini e della Petacci. Durante il viaggio di ritorno la colonna si imbatte in altri partigiani e in posti di blocco alleati che le danno qualche problema. Il furgone che trasporta il corpo della Petacci e degli altri fucilati, viene fermato in Milano ad un posto di blocco partigiano, in via Fabio Filzi, operato da una formazione delle Brigate Garibaldi. I partigiani a bordo del furgone si rifiutano di mostrare i corpi trasportati, le due formazioni armate si fronteggiano sino all'intervento del comando generale che permette il proseguimento della colonna alla vicina destinazione finale.

Alle 3.40 di domenica 29 aprile la colonna giunge in Piazzale Loreto, ove Audisio decide di scaricare i cadaveri a terra, proprio dove le vittime della strage del 10 agosto 1944 erano state abbandonate in custodia a militi fascisti, che li avevano dileggiati e lasciati esposti al sole per l'intera giornata, impedendo ai familiari di raccogliere i loro resti.

In piazzale Loreto sono portate da Dongo 18 salme:

Verso le 7 del mattino, mentre i partigiani lasciati di guardia alle salme dormivano, i primi passanti si accorgono dei cadaveri dell'ex dittatore e dei suoi gerarchi, nonché delle altre vittime. Complice un passa-parola che in un lampo attraversa tutta Milano, qualche ora dopo la piazza si riempie; le prime file di folla vengono spinte verso i cadaveri calpestandoli, prendendoli a calci. Nella piazza si odono scariche di mitra. Una donna spara al cadavere di Mussolini cinque colpi di pistola per vendicare i propri cinque figli morti. Mentre sui cadaveri vengono gettati ortaggi e persone delle prime file sputano sui corpi, a Mussolini viene messo in mano un gagliardetto fascista, è sfilata la cintura e tolto lo stivale destro (presumibilmente i due oggetti furono presi per essere conservati come ricordo del duce) e qualcuno orina sul cadavere della Petacci.

Al gruppo dei cadaveri viene aggiunto anche il corpo senza vita del gerarca Achille Starace, appena catturato nei dintorni, mentre ignaro di tutto era uscito di casa in tuta da ginnastica per la quotidiana corsa. Bloccato, l'ex gerarca era stato condotto in un'aula del Politecnico dove era stato sommariamente processato e condannato a morte per fucilazione; portato nel piazzale per l'esecuzione, Starace rivolge il saluto romano al duce prima di cadere fulminato dal plotone di esecuzione [20].

Alle 11, dopo che una squadra di Vigili del Fuoco giunta con un'autobotte aveva lavato abbondantemente i cadaveri imbrattati di sangue, sputi e ortaggi, gli stessi pompieri ne appendono cinque per i piedi, alla pensilina del distributore di carburante ESSO all'angolo fra la piazza e corso Buenos Aires, secondo alcuni per fare in modo che tutti potessero vedere i cadaveri, secondo altri quasi a voler preservare i più odiati dall'oltraggio della folla[21][22]. Si tratta dei corpi di Mussolini, di Claretta Petacci (per la quale don Pollarolo, prete al seguito dei partigiani, procurerà - chiedendola a una donna presente tra la folla - una spilla da balia per tenere a posto la gonna[23][24]), di Nicola Bombacci, di Alessandro Pavolini, di Paolo Zerbino[25].

Verso l'una del pomeriggio una squadra di partigiani, su ordine del comando, entra in piazza e depone i cadaveri.

Sepoltura e trasferimenti della salma[modifica wikitesto]

Mussolini e la Petacci all'obitorio, prima dell'autopsia
Interno della cripta Mussolini nel cimitero di San Cassiano a Predappio

Dopo l'autopsia, che individuò la causa mortis nella recisione dell'aorta da parte di un proiettile, la salma di Mussolini fu seppellita nel cimitero Maggiore di Milano. Il tumulo aveva il numero 384 e sebbene non vi fosse stato apposto alcun nome, proprio per evitare di far identificare il cadavere, ben presto la gente individuò il posto, che divenne meta di molti curiosi e di qualche commosso nostalgico.

La notte tra il 22 aprile e il 23 aprile 1946 tre fascisti, Mauro Rana, Antonio Parozzi e Domenico Leccisi, facenti parte del Partito Democratico Fascista, trafugarono la salma. In due lettere all'Avanti! e all'Unità il gruppo comunicò che il partito fascista, non avendo ottenuto risposta alle richieste di una sepoltura di Mussolini, aveva deciso di prendere in custodia la salma. Si scatenò la caccia alla salma, che la voce popolare chiamò il salmone.[26]

Si sospettò che fosse stata trafugata allo scopo di richiedere un riscatto, quantunque i familiari di Mussolini (i più probabili diretti interessati) erano, ovviamente, di impervia rintracciabilità e comunque non disponevano di agi tali da giustificare l'eventuale estorsione. Dal 7 maggio dopo aver fatto girare la salma per tutta Milano, i trafugatori decisero di disfarsene consegnandola ai padri Alberto Parini ed Enrico Zucca, frati minori dell'Angelicum di Milano.[26]

La salma rimase nel convento per qualche tempo fino a che la polizia non venne a sapere tutta la storia dalla fidanzata di un amico di Leccisi. Padre Parini, che inizialmente aveva opposto un labile "segreto confessionale", decise infine di rivelare dove si trovava il corpo solo a patto che gli fosse garantita una sepoltura degna e occulta. La lugubre faccenda venne risolta, anche grazie all'interessamento di Alcide De Gasperi e del Papa: il 12 agosto 1946 il cadavere venne restituito al questore Vincenzo Agnesina.[26] Nel 1957 la salma fu riconsegnata alla famiglia per essere seppellita nel cimitero di San Cassiano in Pennino, vicino a Predappio.

Controversie sulla modalità della morte[modifica wikitesto]

Il carteggio Mussolini ovvero la pista inglese[modifica wikitesto]

Sono stati accertati almeno due contatti avvenuti al confine svizzero tra il duce ed emissari britannici, intorno al 1944-45 [27][28]; inoltre, il testo delle registrazioni telefoniche effettuate dai servizi segreti tedeschi a Salò, sulle conversazioni di Mussolini, dimostrano senza ombra di dubbio l'esistenza di uno scambio di lettere e di accordi segreti tra il dittatore italiano e il Primo ministro inglese Winston Churchill[29], anche se è ancora aleatorio definirne il contenuto. Il 27 aprile 1945, al momento della sua cattura, Mussolini aveva con sé due borse piene di documenti contenenti, tra l'altro, anche parte della sua corrispondenza con Churchill, come risulta dalle testimonianze di coloro che hanno dichiarato di averle ispezionate in quei giorni (partigiani, funzionari etc.)[30][31]. Nell’immediato dopoguerra, Churchill e i servizi segreti britannici si sarebbero dati da fare per recuperare tutte le copie del carteggio citato[32].

All'esistenza di tali documenti particolarmente segreti, conosciuti come il "carteggio Mussolini-Churchill", si ricollega la versione sull'uccisione del capo del fascismo di cui al memoriale dell’ex comandante della divisione partigiana formata dalla 111ª, 112ª e 113ª Brigata Garibaldi, Bruno Giovanni Lonati (“Giacomo”)[33]. In tale pubblicazione, l'autore, quasi cinquant’anni dopo i fatti (autunno 1994), dichiarava di essere stato l’autore dell’uccisione di Mussolini, il 28 aprile 1945, poco dopo le ore 11, in una stradina laterale di fronte casa De Maria, a Bonzanigo di Mezzegra, nell’ambito di una missione segreta diretta da un agente inglese. Lo scopo della missione sarebbe stato quello di impedire la diffusione del contenuto del famoso carteggio, recuperandolo e sopprimendo Mussolini e Claretta Petacci, essendo quest’ultima perfettamente informata su tali rapporti.

In base a tale versione dei fatti, Lonati sarebbe stato contattato dall’inglese il giorno precedente a Milano alle ore 16 e, per lo svolgimento della missione, avrebbe costituito una squadra composta da altri tre partigiani. Il “commando” sarebbe stato messo a conoscenza del luogo esatto ove si trovavano i prigionieri, intorno alle ore otto del mattino del giorno 28, grazie a un altro agente (detto “l’alpino”) posizionato a Tremezzo. Dopo una sparatoria per superare un posto di blocco nei pressi di Argegno (ove uno dei tre partigiani del “commando” avrebbe perso la vita), la squadra sarebbe giunta a Bonzanigo e avrebbe avuto facilmente ragione dei guardiani della coppia. L’esecuzione sarebbe stata effettuata con mitra Sten. Il carteggio Mussolini-Churchill non poté essere recuperato, ma – dopo aver effettuato alcune foto ai cadaveri - l’agente inglese avrebbe concordato il silenzio di Lonati e dei due partigiani superstiti per altri cinquant’anni. Per tale motivo Lonati avrebbe scritto il suo memoriale solo nel 1994. Nel frattempo (1982), Lonati si sarebbe recato dal console inglese a Milano, il quale gli avrebbe anche mostrato le foto scattate a suo tempo dall’agente segreto “John” e avrebbe approvato il testo di una dichiarazione[34]da spedire a Lonati allo scadere dei cinquant’anni, a conferma di tale versione dei fatti. [35]

Tale incredibile versione è stata accreditata da Peter Tompkins [36], scrittore ed ex agente segreto americano e dallo storico Luciano Garibaldi [37].

La medesima è avvalorata dalle seguenti circostanze:

  • E’ documentato da registrazioni telefoniche e dalla corrispondenza intercorsa tra Mussolini e la Petacci, che quest’ultima era effettivamente al corrente dei contatti tra Churchill ed il capo del fascismo e del carteggio segreto [38].
  • E’ stata individuata la presenza in loco, ai primi di maggio del 1945, di un misterioso agente in uniforme da alpino, sicuramente in contatto con spie inglesi e – probabilmente anche con la partigiana Giuseppina Tuissi “Gianna” [39], una delle poche persone a conoscenza della prigione di Mussolini e della Petacci, prima dell’esecuzione.
  • E’ stato effettivamente testimoniato il verificarsi di una sparatoria con morti tra un posto di blocco di partigiani e una macchina, ad Argegno, la mattina del 28 aprile [40].
  • L’orario antimeridiano dell’uccisione, secondo la versione Lonati, è coerente con la circostanza, rilevata in sede di autopsia, che lo stomaco di Mussolini fosse privo di resti di cibo [41].
  • La testimonianza di Dorina Mazzola, che ha dichiarato che Mussolini e la Petacci furono uccisi a Bonzanigo e non a Giulino di Mezzegra in orario antimeridiano del 28 aprile 1945 è abbastanza coerente (anche se non coincide perfettamente) con quanto affermato da Lonati. La Mazzola ricordava anche un uomo che aveva a tracolla “una lussuosa macchina fotografica” [42].

Luigi Longo, comandante in capo di tutte le brigate Garibaldi – secondo Tompkins - sarebbe giunto sul posto subito dopo la duplice uccisione, e avrebbe architettata una “finta fucilazione” e la versione dell'uccisione “per errore” della Petacci, per poi legare al segreto per cinquant’anni tutti i partigiani presenti [43]. A tal proposito non si può non tener conto della ricostruzione di Urbano Lazzaro, il partigiano “Bill”, vice commissario politico della colonna partigiana autrice della cattura, nella quale si dichiara che il personaggio presentatosi a Dongo il 28 aprile 1945, con il nome di battaglia di “Colonnello Valerio” fosse proprio Luigi Longo e non Walter Audisio, come comunemente si sostiene [44].

La versione di Bruno Lonati è tuttavia contraddetta (oltre che dalla versione ufficiale dei fatti, di cui è cenno in premessa):

  • Dall’autopsia effettuata a Milano il 30 aprile 1945, dal prof. Caio Mario Cattabeni, che ha rilevato almeno otto fori di entrata di proiettili sul corpo di Benito Mussolini [41], mentre Lonati ha affermato di aver sparato non più di quattro o cinque colpi[45].
  • Dagli ulteriori esami effettuati dal prof. Pierluigi Baima Bollone sulle fotografie dei cadaveri sospesi al traliccio di Piazzale Loreto, che attesterebbero non solo l’esistenza di una raffica di mitra sui due corpi, ma anche l’effettuazione del colpo di grazia a mezzo pistola [46] .
  • Dal rilevamento di due proiettili da pistola, calibro 9 mm corto, nel corpo di Claretta Petacci, nel corso della riesumazione effettuata il 12 aprile 1947 [15], incompatibile con i proiettili del mitra Sten (calibro 9 mm lungo), che il Lonati asserisce fosse imbracciato dall’esecutore dell’omicidio [45].
  • Dalla parziale divergenza degli orari dell’uccisione tra quanto dichiarato da Lonati e dalla Mazzola (vedi sopra).
  • Dal parere dell’anatomopatologo Luigi Baima Bollone che non ritiene decisiva la circostanza della mancanza di cibo nello stomaco di Mussolini, in rapporto alla determinazione dell’orario dell’esecuzione [15]
  • Dal silenzio dell’ambasciata britannica più volte interessata dallo stesso Lonati per la conferma della sua versione, una volta scaduti i cinquant’anni dai fatti.
  • Dal rifiuto di rilasciare dichiarazioni a suo favore, da parte dell’unico partigiano del "commando", ancora vivente all’epoca della trasmissione trasmessa dal canale televisivo "Rai Tre" nel programma "Enigma", del 31 gennaio 2003.
  • Dal responso negativo della “macchina della verità”, cui si è sottoposto il Lonati stesso nel corso della trasmissione suddetta.

Diverse versioni[modifica wikitesto]

Una delle prime versioni dei fatti, che sarebbe poi risultata leggermente difforme da quella ufficiale, fu rilasciata dal partigiano Guglielmo Cantoni (“Sandrino”), uno dei due militanti che avevano piantonato Mussolini e la Petacci in casa De Maria, il 28 aprile 1945. Sandrino dichiarò al Corriere d’Informazione di aver seguito a piedi la squadra degli esecutori e delle vittime della fucilazione, e di esser giunto nei pressi di Villa Belmonte in tempo per vedere “Valerio” sparare un paio di colpi di pistola contro l’ex duce, il quale era rimasto inaspettatamente in piedi; la raffica di mitra, che – secondo l’intervistato – avrebbe investito sia Mussolini che la Petacci, sarebbe stata inflitta da Michele Moretti, intervenuto subito per risolvere l’impasse. Successivamente lo stesso Valerio avrebbe sparato altri due colpi di pistola, sul corpo dell’uomo, che si muoveva ancora [2].

Altre versioni alternative sono frutto dell’attestazione del prof. Cattabeni, in sede di necroscopia del 30 aprile 1945, relativa all’assenza di residui di cibo nello stomaco di Mussolini [41]; da ciò la deduzione che il duplice omicidio si sarebbe verificato in orario antimeridiano e l’ipotesi che poco dopo le ore 16.00 del 28 aprile si sarebbe svolta una “finta fucilazione” di due cadaveri.

Il primo studioso a delineare una simile tesi è stato Franco Bandini, nel 1978 [47]. Nel 1990, la medesima versione sembrò avvalorata da uno studio prodotto dal dr. Aldo Alessiani, medico giudiziario della magistratura di Roma, nel quale si sostiene, in base all’esame delle foto scattate (ore 11.00-14.00 circa del 29 aprile) sui cadaveri appesi al traliccio di Piazzale Loreto, che Mussolini e la Petacci fossero morti da circa trentasei ore, e cioè ben prima delle ore 16.00 del 28 aprile 1945 [48]. Anche la cosiddetta “pista inglese” di cui è cenno nella precedente sezione, presuppone un’esecuzione in orario antimeridiano.

Successivamente si è affiancata l’ipotesi, analoga a quella del Bandini, ma più circostanziata, proposta dal giornalista ed ex senatore del MSI Giorgio Pisanò (1996), a seguito delle dichiarazioni rilasciate da Dorina Mazzola (19-enne all'epoca), vicina di casa dei De Maria [49]. Quest’ultima avrebbe testimoniato di aver assistito – sia pur da distanza di circa duecento metri - ad un diverbio con urla e spari verso le 10-11 del mattino del 28 aprile, provenienti dal cortile di casa De Maria, nel quale avrebbe notato una persona calva e in maglietta che camminava a fatica nel cortile; subito dopo la Mazzola avrebbe sentito una raffica di mitra e un po’ di silenzio. Inoltre, verso le ore 12.00, la Mazzola avrebbe assistito ad una scena analoga, ove, però, l’uomo calvo era trascinato a spalla da due persone, e, contemporaneamente si sarebbe udita prima una donna in lacrime, poi un’ultima raffica di mitra [50].

Nel 2005, Pierluigi Baima Bollone, ordinario di Medicina legale nell'Università di Torino, effettuò un riesame della necroscopia del 1945 sul cadavere dell’ex duce, e uno studio computerizzato sulle fotografie e sulle riprese cinematografiche dei corpi sospesi al traliccio di Piazzale Loreto e sul tavolo dell’obitorio di Milano, sulle armi impiegate e i bossoli rinvenuti, nonché sulle cartelle cliniche di Mussolini in vita [51]. Tale indagine ha condotto l’anatomopatologo torinese ad affermare che la circostanza della mancanza di cibo nello stomaco di Mussolini non sarebbe determinante in rapporto alla individuazione dell’orario dell’uccisione, in quanto risulta senza ombra di dubbio che il capo del fascismo fosse sofferente di ulcera ed osservava da anni una dieta tale che il suo stomaco si svuotava in un paio d’ore circa. Inoltre il docente universitario smentisce lo studio del dr. Alessiani, sostenendo che al momento dello scatto delle foto e delle riprese in Piazzale Loreto, la rigidità del corpo dell’ex duce era ancora nella fase iniziale, e ciò dimostrerebbe un orario del decesso coincidente a quello della versione ufficiale fornita da Walter Audisio. Inoltre, sulla base del posizionamento dei fori di entrata e di uscita nei due cadaveri, rilevata in base alle foto delle salme e alla necroscopia Cattabeni, il prof. Baima Bollone riterrebbe logico presumere che “l’azione determinante i due decessi sia stata effettuata da due tiratori, dei quali il primo posto frontalmente al bersaglio costituito dalla Petacci e da Mussolini, affiancati e leggermente sopravanzatisi l’una all’altro, e il secondo lateralmente”. Quest’ultima asserzione avvalorerebbe la meccanica della vicenda riportata nelle dichiarazioni del partigiano “Sandrino” al Corriere d’Informazione, nel 1945 [52].

Ipotesi alternative sull'identità di "Valerio"[modifica wikitesto]

Innanzitutto si è messo in dubbio che davvero il ragionier Audisio fosse il "colonnello Valerio". A sostegno di questa tesi vi è la considerazione del passato politico di Audisio, di rilievo ma non di primissimo piano. Si è supposto che Audisio non sia stato altro che una copertura per qualcun altro, cioè che ad Audisio sia stato attribuito questo ruolo per stornare l'attenzione da personaggi di maggior rilievo, che non avevano interesse a figurare come gli esecutori di Mussolini e della Petacci e che urgevano allontanare da sé i sospetti. Venne [53] in particolare identificato Valerio con Luigi Longo Gallo, comandante generale delle Brigate Garibaldi e futuro segretario nazionale del PCI, che, sempre intorno a questi accadimenti, fu citato a margine anche delle vicende relative al cosiddetto "oro di Dongo".

In realtà la presenza di Longo sul luogo della fucilazione di Mussolini è impossibile visto che il 28 aprile 1945 fu presente dalle ore 15.00 alla grande sfilata dei garibaldini della Valsesia e della Valdossola guidati da Cino Moscatelli a Milano e alla successiva manifestazione a Piazza Duomo, come è confermato dalle numerose fotografie dell'evento che lo ritraggono[54][55].

Audisio Valerio, come noto, disse di aver sparato personalmente, dopo aver superato singolari inceppamenti di tutte le sue armi (avvenuti per di più, dopo averle - stranamente - provate prima dell'uso), e di aver dato il colpo di grazia. Anche gli altri, suppostamente presenti, affermarono lo stesso. E vi fu anche il deputato comunista Massimo Caprara (che fu segretario di Togliatti) il quale sostenne [56] essersi trattato di Aldo Lampredi ("Guido"), in realtà oscuro ma fedele ed eroico funzionario del Komintern. Non tutti evidentemente potevano aver contemporaneamente detto la verità.

Va in ogni caso sottolineato che, nonostante le incongruenze illustrate, l'effettiva identificazione di Valerio con Audisio rimane ad oggi ufficialmente confermata.

Bibliografia[modifica wikitesto]

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  • Urbano Lazzaro, L'oro di Dongo: il mistero del tesoro del Duce, A. Mondadori, 1995.
  • Antonio Spinosa, Mussolini, il fascino di un dittatore, A. Mondadori, 1989
  • Giorgio Cavalleri, Ombre sul Lago, Varese, Arterigere, 2007 [1995], ISBN 8889666218.
  • R. Festorazzi, I veleni di Dongo, ovvero, Gli spettri della Resistenza, il minotauro, 2004.
  • F. Giannantoni, L'ombra degli americani sulla Resistenza al confine tra Italia e Svizzera, Mario Chiarotto Editore, 2007.
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  • G. Perretta, La 52a Brigata Garibaldi Luigi Clerici attraverso i documenti, Istituto comasco per la storia della liberazione, Como, 1991.
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  • F. Giannantoni, "Gianna" e "Neri": vita e morte di due partigiani comunisti : storia di un "tradimento" tra la fucilazione di Mussolini e l'oro di Dongo, Mursia, 1992.
  • Roberto Festorazzi, I veleni di Dongo ovvero gli spettri della Resistenza, il Minotauro, 2004, ISBN 888073086X.
  • Fabio Andriola, Appuntamento sul lago, Milano, SugarCo, 1996, ISBN 8871980220.
  • Luciano Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?, Ares, 2002, ISBN 8881552388.
  • Giorgio Pisanò, Gli ultimi cinque secondi di Mussolini, Milano, Il saggiatore, 1996, ISBN 88-428-0350-2.
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  • Bruno Giovanni Lonati : "Quel 28 aprile. Mussolini e Claretta: la verità". Mursia, 1994. ISBN 88-425-1761-5
  • Franco Bandini : "Le ultime 95 ore di Mussolini" - Sugar, Milano, 1959.
  • Alessandro Zanella, L'ora di Dongo, Milano, Rusconi, 1993, ISBN 88-18-12113-8.
  • Pierre Milza, Gli ultimi giorni di Mussolini, Milano, Longanesi, 2011, ISBN 978-88-304-3080-8.
  1. ^ Questo valico e' l'unico luogo, lungo la strad regina che permetta una diversione automobilistica verso la Svizzera
  2. ^ a b Ferruccio Lanfranchi, Parla Sandrino uno dei cinque uomini che presero parte all’esecuzione di Mussolini, in: Corriere d’Informazione, 22-23 ottobre 1945
  3. ^ Successivamente Alice Canali, sorella del Neri, spiegò così la decisione del fratello: “Lia De Maria era nostra sorella di latte. Avevamo avuto la stessa balia. Mio fratello sapeva di potersi fidare ciecamente di lei e del marito” Cfr. Luciano Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?, ARES, Milano, 2002, pag. 163
  4. ^ Cfr.: Gian Franco Venè, La condanna di Mussolini, Fratelli Fabbri, Milano, 1973. Il documento fu approvato “a maggioranza” da un comitato esecutivo composto da Sandro Pertini, Emilio Sereni, Leo Valiani, Achille Marazza e Giustino Arpesani
  5. ^ La notizia della cattura di Mussolini e degli altri gerarchi arrivo' a Milano con una telefonata dalla caserma della guardia di Finanza di Germasino, confermata da una successiva telefonata da una centrale elettrica
  6. ^ Peter Tompkins, Dalle carte segrete del Duce,Tropea, Milano, 2001, pag. 328
  7. ^ Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni e Mario J. Cerighino, La fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-46), Garzanti, Milano, 2009, pag. 51
  8. ^ Si tratta di partigiani provenienti dall'Oltrepo' Pavese, entrati a Milano la mattina del 27 aprile e che hanno con se un camion scoperto, che verrà usato per trasportare il gruppo di Valerio a Dongo; prima di essere acquartierati nella scuola di Viale Romagna questi partigiani parteciperanno ad un breve comizio, tenuto dal comandante delle brigate Garibaldi della Lombardia “Fabio” (Pietro Vergani), in piazza Loreto che e' poco distante da viale Romagna. Vedi Paolo Murialdi,Prima e dopo la fucilazione di Mussolini, Materiale resistente, ANPI Sezione di Voghera, Aprile 2000
  9. ^ Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni e Mario J. Cerighino, cit., pag. 61
  10. ^ Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni e Mario J. Cerighino, cit., pagg. 69-70
  11. ^ Cfr.: Pierluigi Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, Mondadori, Milano, 2009, pag. 193. L’arma è attualmente conservata al Museo di Tirana.
  12. ^ Cfr.: Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 145. L’arma fu donata da Lampredi al partigiano Alfredo Mordini “Riccardo”, ed è attualmente conservata al Museo storico di Voghera.
  13. ^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 154
  14. ^ Walter Audisio, In nome del popolo italiano, Teti Stampa, Milano, 1975 (postumo)
  15. ^ a b c d Pierluigi Baima Bollone, cit., pagg. 89 e succ.ve
  16. ^ cronologia dell'insurrezione a Milano
  17. ^ Walter Audisio, cit., pag. 371
  18. ^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 165
  19. ^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 123
  20. ^ Antonio Spinosa L'uomo che inventò lo stile fascista, Mondadori, Milano, 2002
  21. ^ Attilio Tamaro, "Due anni di storia, 1943-1945"
  22. ^ La successiva ristrutturazione della piazza, di vaste dimensioni, ha eliminato il distributore di benzina, ed oggi non vi è alcun riferimento visibile nel luogo esatto in cui avvenne il fatto.
  23. ^ http://www.ilsecoloxix.it/italia_e_mondo/view.php?DIR=/italia_e_mondo/documenti/2007/12/05/&CODE=f7eab8d2-a329-11dc-85dc-0003badbebe4
  24. ^ Tale soluzione si rivelò però inefficace e così intervennero i pompieri a provvedere a mantenere ferma la gonna con una corda. Da tenere presente che il corpo di Clara Petacci era sprovvisto in quel momento di mutandine che erano state da lei lavate e messe in tasca umide poco prima di venir uccisa
  25. ^ in Indro Montanelli, Corriere della Sera, Colloqui coi lettori, 13 gennaio 1999
  26. ^ a b c Giorgio Bocca. Storia della Repubblica Italiana. Dalla caduta del fascismo ad oggi. Rizzoli, 1982
  27. ^ Peter Tompkins, cit., pag. 317
  28. ^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 84 e succ.ve
  29. ^ Documenti pubblicati in: Ricciotti Lazzero, Il sacco d'Italia. razzie e stragi tedesche nella Repubblica di Salò, Mondadori, Milano, 1994, e in parte in: Luciano Garibaldi, cit., pagg. 68 e succ.ve
  30. ^ Peter Tompkins, cit., pag. 352
  31. ^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 89 e succ.ve
  32. ^ Peter Tompkins, cit., pagg. 351 e succ.ve
  33. ^ Bruno Giovanni Lonati, Quel 28 aprile, Mussolini e Claretta: la verità, Mursia, Milano, 1994
  34. ^ Riportata in bozza fotografata in: Peter Tompkins, cit., Tav. 7
  35. ^ Luciano Garibaldi, cit., pag. 110
  36. ^ Cfr: Peter Tompkins, cit.
  37. ^ Luciano Garibaldi, cit.,
  38. ^ Luciano Garibaldi, cit., pag. 67
  39. ^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 115 e succ.ve
  40. ^ Luciano Garibaldi, cit., pag. 104
  41. ^ a b c Verbale della necroscopia n. 7241 dell’Obitorio comunale di Milano del 30 aprile 1945
  42. ^ Cfr.: Giorgio Pisanò, Gli ultimi cinque secondi di Mussolini. Un’inchiesta giornalistica durata quarant’anni, Il Saggiatore, Milano, 1996
  43. ^ Peter Tompkins, cit., pagg. 340-41
  44. ^ Urbano Lazzaro, Dongo, mezzo secolo di menzogne, Mondadori, Milano, 1993
  45. ^ a b Bruno G. Lonati, cit., pagg. 93-94
  46. ^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 216
  47. ^ Cfr. Franco Bandini, Vita e morte segreta di Mussolini, Mondatori, Milano, 1978
  48. ^ Addirittura, intorno alle 5.30 di mattina. Cfr. Aldo Alessiani, Il teorema del verbale n. 7241, Roma, 1990 [1]
  49. ^ Cfr. : Giorgio Pisanò, cit.
  50. ^ [2]
  51. ^ Come è noto, non fu effettuta l'autopsia sul cadavere di Claretta Petacci, in base ad ordine del CNL trasmesso dal prof. Pietro Bucalossi, il «partigiano Guido». Cfr.: Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 214
  52. ^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pagg. 219-20
  53. ^ Lazzaro U., Dongo, un secolo di Menzogne, Mondadori, 1993, pag 145 ss.
  54. ^ G.Cavaleri/F.Giannantoni/M.J.Cereghino, La fine, p. 95.
  55. ^ Per esempio in [3]
  56. ^ Caprara M., Quando le Botteghe erano Oscure, il saggiatore, 1997.

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