Repubblica partigiana di Alba

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Repubblica di Alba
Repubblica di Alba – Bandiera
Dati amministrativi
CapitaleAlba
Dipendente daCLNAI
Politica
Forma di Statorepubblica partigiana
Nascita10 ottobre 1944
Fine2 novembre 1944
Territorio e popolazione
Bacino geograficoItalia settentrionale
Territorio originaleLanghe
Evoluzione storica
Preceduto daBandiera della Repubblica Sociale Italiana Repubblica Sociale Italiana (de facto)
Succeduto daBandiera della Repubblica Sociale Italiana Repubblica Sociale Italiana (de facto)

«Alba la presero in duemila il 10 ottobre
e la persero in duecento il 2 novembre
dell'anno 1944»

La Repubblica Partigiana di Alba fu un'entità politicamente autonoma che ebbe esistenza breve (dal 10 ottobre al 2 novembre 1944) ad Alba, in Piemonte, e che si inserisce nelle cosiddette repubbliche partigiane.

La Repubblica fu chiamata così per ricordare quella istituita da Napoleone dal 1796 al 1801.

L'occupazione di Alba[modifica | modifica wikitesto]

Il 10 ottobre 1944 circa 2.000 partigiani, appartenenti soprattutto alla 2ª Divisione Langhe del 1º Gruppo Divisioni Alpine comandato da Enrico Martini ("Mauri"), occupò la città in pratica senza combattere, dato che i reparti fascisti (300 alpini del battaglione "Cadore" al comando del tenente colonnello Ippolito Radaelli, che il 3 ottobre avevano sostituito il 2° "Cacciatori degli Appennini" comandato dal colonnello Languasco, trasferito a Ceva) abbandonarono la città in seguito a trattative con i partigiani della II Divisione Langhe, mediate dalla curia vescovile. Nelle settimane precedenti la città era stata fatta oggetto in continuazione, quasi ogni notte, di piccoli ma logoranti attacchi partigiani, soprattutto in periferia verso i posti di blocco e verso le caserme più esposte, tanto da convincere le autorità del presidio della necessità di abbandonare la città. Questo va letto anche alla luce della situazione fluttuante del fronte e della scarsa collaborazione dei vertici fascisti piemontesi[1].

La guarnigione fascista lasciò Alba il 10 ottobre in colonna pressoché ordinata, in direzione nord, e senza lasciare le armi, inseguita solo da alcuni radi colpi di mortaio. Le Brigate Garibaldi (la VI divisione, e soprattutto la 48ª brigata, il comando più vicino alla città) non erano state avvertite dell'azione delle formazioni autonome ed erano anche fermamente contrarie, per ragioni tattiche e di opportunità, ritenendo il passo prematuro "data la scarsa possibilità di difendere Alba nel caso di un ritorno offensivo del nemico in forze" e ritenendo un grave errore aver consentito ai fascisti di lasciare il presidio "con tutte le armi ed il materiale, mentre vi era la possibilità di prendere prigionieri 300 alpini ed un armamento importante"[2]. La conquista di Alba, sostanzialmente, aveva dunque per gli Autonomi una valenza soprattutto politica e di prestigio, perché i comandanti militari partigiani erano consci di non avere la possibilità di tenere a lungo la città.

Il governo partigiano[modifica | modifica wikitesto]

Il comando della piazza venne assunto dal ten. Carletto Morelli, comandante della Brigata Belbo della 2ª Divisione Langhe (Autonomi), mentre per l'amministrazione civile venne costituito il CLN con membri scelti tra i maggiori esponenti politici locali. Di concerto con le autorità civili vennero regolamentate le requisizioni di generi alimentari, le officine meccaniche cominciarono a produrre armi, venne stampato il primo giornale di Alba libera (la "Gazzetta Piemontese"), le distillerie cominciarono a produrre alcool (come succedaneo degli scarsissimi carburanti) e venne anche celebrato un matrimonio "senza la citazione di alcun codice civile"[2].

I partigiani controllavano tutto l'argine del Tanaro a nord, fino al ponte di Pollenzo che era controllato dai tedeschi, attestati nella ex-residenza sabauda della tenuta di caccia di Pollenzo, con un reparto di SS comandato dal ten. col. Wesser.

Il contrattacco fascista[modifica | modifica wikitesto]

Le operazioni militari durante la guerra civile nella Repubblica di Alba e nella Zona Libera del Monferrato (estate-autunno 1944)

I fascisti ammassarono truppe e mezzi a Bra e a Pollenzo con rinforzi partiti da Torino e un primo tentativo di passare il Tanaro a guado venne eseguito il 24 ottobre, ma gli attaccanti vennero respinti e lasciarono a terra 11 morti, tra cui il colonnello comandante della colonna[3].

Durante quelle settimane, inoltre, il fiume Tanaro era gonfio di piogge e pressoché impossibile da traghettare: vennero dunque intavolate trattative tra le autorità provinciali e regionali fasciste e i partigiani, il 30 e il 31 ottobre. Da parte partigiana si studiava la difesa anche grazie a emissari giunti da Cuneo, tra cui Duccio Galimberti: alcuni campi a sud vennero allagati, altri minati, mentre si scavarono trincee e durante la notte del 25 ottobre si tentò anche di minare il ponte di Pollenzo (un ponte sospeso di legno e corde) sotto l'occhio vigile dei tedeschi, ma l'azione ebbe scarsi risultati (il ponte verrà riparato e utilizzato per far affluire le forze fasciste per la riconquista di Alba).

Il prefetto di Cuneo Antonio Galardo e Lorenzo Tealdy, vice federale fascista di Torino, si recarono ad Alba per parlamentare con il maggiore "Mauri" al fine di ottenere la resa incruenta della città e consegnandosi poi volontariamente come ostaggi quando la trattativa proseguì e "Mauri" si recò ad un incontro con l'alto commissario per il Piemonte Paolo Zerbino[4].

Durante la notte del 2 novembre reparti fascisti (GNR e Brigata Nera di Torino e Cuneo, il I reparto "Arditi Ufficiali" più un plotone del II reparto, il X battaglione speciale, un plotone di cavalleria e genio, il battaglione "Lupo" della X Mas, il battaglione celere "Fulmine", i gruppi di artiglieria "Da Giussano" con batterie da 105 e "S. Giorgio" con batterie da 75/13, il gruppo corazzato "Leonessa", più ausiliari dei pompieri e della Pubblica Sicurezza, in tutto più di mille uomini) attraversarono il ponte a Pollenzo (riparato) e il Tanaro, in località Carnevali, su un ponte di barche.

Erano schierati a difesa sugli argini del fiume e a San Cassiano, i partigiani autonomi della II divisione Langhe, ad ovest la 48ª Brigata Garibaldi "Dante Di Nanni", ad est la 78ª Brigata Garibaldi di Rocca, a sud-ovest gli uomini della brigata "Castellino" ed in seconda linea ad est la brigata "Canale". Le colonne fasciste entrarono in città poco dopo l'alba, attaccando soprattutto da sud, verso la linea di difesa di Cascina San Cassiano, che venne aggirata dalle colline a est, e poi con un attacco a sorpresa, passando il Tanaro a nord ovest ed entrando nel concentrico. I partigiani, disorientati dall'imponenza delle forze attaccanti e loro stessi in numero minore rispetto a quando conquistarono la città, con difficoltà di collegamento e logistiche, si ritirarono man mano dalle posizioni attaccate[5] e, sotto una pioggia battente, ripiegarono sulle colline. Il bilancio delle perdite per i partigiani fu di circa cento morti e altrettanti feriti[5], contro un numero imprecisato di fascisti e tedeschi[5]. Enrico Martini, ovvero il maggiore "Mauri", scrisse: "Il nemico non doveva passare con i carri armati e le blindo, ci hanno battuto gli eventi, non i fascisti", sebbene sapesse che i carri armati e le autoblindo erano rimasti fermi sulla sponda sinistra del Talloria e non avevano partecipato allo scontro. Il partigiano Beppe Fenoglio rammenta infatti che i carri armati si avvistarono sulle colline dopo la caduta di Alba e commenta lo stupore dei partigiani per il fatto che non erano stati adoperati. Lo stesso autore, nel libro successivo "Il partigiano Johnny", riferisce il medesimo episodio.

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Nel 50º anniversario dei "23 giorni della città di Alba", il 31 ottobre 1994 è stato inaugurato il monumento realizzato dallo scultore Umberto Mastroianni,[6] con la scritta:

«"Johnny pensò che un partigiano sarebbe stato come lui, ritto sull'ultima collina, guardando la città, la sera della sua morte. Ecco l'importante: che ne rimanesse sempre uno.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ D. Masera, "Langa partigiana '43-'45", Guanda, Parma, 1971, pag. 108
  2. ^ a b D. Masera, "Langa partigiana '43-'45", Guanda, Parma, 1971
  3. ^ (L.M. Grassi, "La Tortura di Alba e dell'albese", ed. Paoline, 1973 e ristampe)
  4. ^ Enrico Martini, Partigiani penne nere, Edizioni del Capricorno - 2016, pp. 154-155.
  5. ^ a b c Copia archiviata, su anpi.it. URL consultato il 6 maggio 2016 (archiviato dall'url originale il 4 giugno 2016).
  6. ^ Celebrare la Resistenza: il monumento di Umberto Mastroianni ad Alba, su centrostudibeppefenoglio.it.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]