Utente:Lupo rosso/Sandbox/Resistenza da rimpinguare

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«Era giunta l'ora di resistere; era giunta l'ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini.»

Nel corso della seconda guerra mondiale, la Resistenza italiana (chiamata anche Resistenza partigiana o più semplicemente Resistenza) sorse dall'impegno comune delle ricostituite forze armate del Regno del Sud, di liberi individui, partiti e movimenti che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e la conseguente invasione dell'Italia da parte della Germania nazista, si opposero - militarmente o anche solo politicamente - agli occupanti e alla Repubblica Sociale Italiana, fondata da Benito Mussolini sul territorio controllato dalle truppe germaniche.

Il movimento resistenziale - inquadrabile storicamente nel più ampio fenomeno europeo della resistenza all'occupazione nazista - fu caratterizzato in Italia dall'impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici (cattolici, comunisti, liberali, socialisti, azionisti, monarchici, anarchici). I partiti animatori della Resistenza, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), avrebbero più tardi costituito insieme i primi governi del dopoguerra.

La Resistenza costituisce il fenomeno storico nel quale vanno individuate le origini stesse della Repubblica italiana. Infatti, l'Assemblea costituente, eletta il 2 giugno 1946 contestualmente allo svolgimento del referendum istituzionale, fu in massima parte composta da esponenti dei partiti del CLN (PCI, PSIUP, DC) che, in tale veste, elaborarono la Costituzione, ispirata ai princìpi della Democrazia e dell'Antifascismo.

«Oggi in Spagna, domani in Italia»

Piero Ambrosio,[3] sottolinea [4] il filo rosso che lega le vicissitudini degli antifascisti italiani nella guerra di Spagna e la Resistenza,inoltre occorre ricordare che le prime azioni partigiane avvengono ben prima dell'armistizio ,ovvero nel febbraio 1942 il gruppo sotto il comando di Stojan Furlan inizia la guerriglia facendo saltare i binari nella piu' lunga galleria che attraversa il Carso nella zona di San Daniele del Friuli. Le autorità decidono di non divulgare la notizia per non mettere in luce che l'antifascismo diffuso fra la popolazione locale incomincia a passare all'azione militare. Il giorno del Corpus Domini del 1942 , Giovanni Premoli, ex ufficiale dell'esercito italiano, e Stojan Furlan attaccano il presidio della milizia fascista sempre a San Daniele, procurandosi le armi con cui viene costituita la prima Squadra d'Assalto partigiana. L'evento è clamoroso e la compattezza antifascista della popolazione rende vane le indagini per la cattura dei responsabili dell'ardita azione malgrado sull'accaduto indaghino sia la questura di Trieste che i carabinieri. Nel Marzo 1942 il Ministero degli Interni istituisce l' “Ispettorato Speciale di Polizia per la Venezia Giulia", l'incarico di dirigerlo viene affidato al commissario Giuseppe Gueli, coadiuvato da Gaetano Collotti e Remigio Rebez. Questi aguzzini applicheranno sistematicamente la tortura tanto che il gruppo prenderà il nome di "banda Collotti" [5] da Gaetano Collotti ovvero il dirigente più " esperto" e caratterialmente portato nell'applicare tale metodo. Verrà torturato dal Colotti Ercole Miani che nel proseguo rifiuterà la medaglia d'oro al valor militare proprio a causa di una medaglia d’argento alla memoria data allo stesso Collotti, giustiziato immediatamente dopo la Liberazione dai partigiani. Di fronte all’intensificarsi della guerriglia che le rappresaglie non frenano, Benito Mussolini il 31 luglio 1942 si reca a Gorizia e convocati i piu' alti gradi dell'esercito impone di mettere in atto nell'immediato un ordine impartito in precedenza:

«"…fucilare ai minimi sospetti, bruciare le case ed i villaggi dei contadini"»

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Generalità[modifica | modifica wikitesto]

Alla Resistenza presero parte gruppi organizzati e spontanei di diverse estrazioni politiche, uniti nel comune intento di opporsi militarmente (dove possibile collaborando con le truppe alleate) e politicamente al governo della Repubblica Sociale Italiana (RSI) e degli occupanti nazisti tedeschi. Ne scaturì la "guerra partigiana", conclusasi il 25 aprile 1945, quando l'insurrezione armata proclamata dal Comitato di liberazione nazionale dell'Alta Italia (CLNAI) consentì di prendere il controllo di quasi tutte le città del nord del paese. Era l'ultima parte di territorio italiano ancora occupata dalle truppe tedesche in ritirata verso la Germania e soggetta all'azione repressiva delle formazioni repubblichine della Repubblica Sociale Italiana cui il movimento partigiano opponeva la propria resistenza. La resa incondizionata dell'esercito tedesco si ebbe il 29 aprile, anche se in alcune città come Genova le forze tedesche si erano già arrese alle milizie partigiane nei giorni precedenti.

Per estensione, viene da taluni chiamato "Resistenza" anche il periodo che va dagli anni trenta (in cui presero vita i primi movimenti) alla fine della guerra, inglobando nel concetto di resistenza ogni forma di opposizione alla dittatura di Benito Mussolini. Si potrebbe affermare addirittura l'esistenza di un movimento resistenziale ante litteram consistente nell'opposizione anche armata all'ascesa del fascismo e alle violenze squadriste, tentata negli anni venti in particolare dalle forze di sinistra (socialisti, comunisti, anarchici, sindacati).

Le opposizioni al regime[modifica | modifica wikitesto]

Partigiani in festa a Milano

Dopo l'omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti (1924) e la decisa assunzione di responsabilità da parte di Mussolini, l'Italia si incammina verso un regime dittatoriale. Il sempre maggiore controllo e le persecuzioni degli oppositori, a rischio di carcerazione e di confino, spinge l'opposizione ad organizzarsi in clandestinità in Italia e all'estero, creando una rudimentale rete di collegamenti.

Le attività clandestine tuttavia non producono risultati di rilievo, restando frammentate in piccoli gruppi non coordinati, incapaci di attaccare o almeno di minacciare il regime se si esclude qualche attentato realizzato in particolare dagli anarchici. La loro attività si limitava al versante ideologico: era copiosa la produzione di scritti, in particolare tra la comunità degli esuli antifascisti, che però di rado raggiungevano le masse.

Solo la guerra, e in particolare lo sfascio dello Stato innescato dai fatti dell'estate del 1943, offre ai clandestini l'occasione allacciare e riallacciare legami fra loro, in ciò aiutati talvolta dalle forze angloamericane che ne compresero la strategica importanza per le sorti del conflitto e che provvidero ad armarle e aiutarle anche per gli aspetti logistici. Gli esponenti della Resistenza comprendevano allora reparti dell'esercito italiano che, pur privi di chiare indicazioni dal parte del governo Badoglio, optavano per combattere contro i tedeschi (come nel caso della Divisione Acqui, massacrata a Cefalonia), rappresentanti del popolo, come nelle quattro giornate di Napoli o nella battaglia di Gorizia combattuta dagli operai monfalconesi, militanti dei partiti di sinistra, repubblicani e popolari che erano stati perseguitati dal fascismo all'inizio degli anni venti e altre forze di carattere liberale che erano state defenestrate col consolidamento del regime dittatoriale.

Il CLN[modifica | modifica wikitesto]

Il movimento partigiano, prima raggruppato in bande autonome, fu successivamente principalmente organizzato dal Comitato di liberazione nazionale (CLN), diviso in CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) con sede nella Milano occupata e il CLNC (Comitato di Liberazione Nazionale Centrale). Il CLNAI, presieduto da 1943 al 1945 da Alfredo Pizzoni, coordinò la lotta armata nell’Italia occupata, condotta da brigate e divisioni, quali le Brigate Garibaldi, costituite su iniziativa del partito comunista, le Brigate Matteotti, legate al partito socialista, le Brigate Giustizia e Libertà, legate al Partito d'Azione, le Brigate Autonome, composte principalmente di ex-militari e prive di rappresentanza politica, talvolta simpatizzanti per la monarchia e spesso legate ad idee imperialiste, riportate come badogliani. Operanti al di fuori del CLN ma di rilevante importanza , dal punto di vista militare , agivano forti formazioni partigiane anarchiche anche se localistiche come le Brigate Bruzzi Malatesta,(che talvolta mantenevano i rapporti di intervento armato solo con certe formazioni di impostazione politica legate a Giustizia e Libertà e al PSI come le Brigate Matteotti e alla formazione romana sempre di Giustizia e Libertà a comando di Vincenzo Baldazzi ,per esempio ). Dove i libertari non riuscivano a far formazioni autonome confluivano nelle Brigate Garibaldi , eclettante e' il caso di Emilio Canzi ,sopranominato il colonello anarchico comandante unico delle XIII zona operativa del piacentino [7] Altre formazioni di importanza che agivano militarmente fuori o non direttamente agli ordini del CLN furono Bandiera Rossa Roma che ebbe 68 militanti trucidati alle fosse Ardeatine, numero rilevantissimo essendo poco meno di un quinto del totale degli uccisi [8] , ( numericamente la piu' forte formazione partigiana che agiva nella capitale di cui furono riconosciuti i modo ufficiale 1185 miliziani oltre quelli che non furono riconosciuti ufficialmente[9]) .I partigiani di Bandiera Rossa Roma agivano spesso con quelli della banda del gobbo ( il Gobbo era legato politicamente al PSI nella persona di Pietro Nenni ).Inoltre ancora al di fuori del CLN ( mantenendo o meno collegamenti per questioni operative ) per quanto riguarda i partigiani anarchici agivano molte formazioni comuniste libertarie che controllavano l'alta toscana come il Battaglione Lucetti e la Elio Lunense[10] , ad esempio , e diverse formazioni autone Sap di indirizzo libertario aperavano a Genova e nel ponemte ligure. A Genova l'inizio armato delle ostilita' verso i nazifascisti e' da ascrivere , con altissima probabilita' , a un gruppo ancora non organizzato di comunisti libertari di Sestri[11], altresi' completamente al di fuori del CLN operavano gli autonomi di Mauri , ed la XI Zona Patrioti guidata dal Comandante Manrico Ducceschi ("Pippo") , dichiaratamente impostata in maniera apolitica con il solo denominatore comune della lotta ad oltranza contro i nazifascisti.

Specialmente nel periodo dall'8 settembre 1943 (data della proclamazione dell'armistizio e conseguente proclama Badoglio) al 25 aprile 1945 il territorio italiano occupato dai nazisti visse una vera e propria guerra nelle retrovie. L'azione della Resistenza italiana come guerra patriottica di liberazione dall'occupazione tedesca, implicava anche la lotta armata contro i fascisti e gli aderenti alla RSI che sostenevano gli occupanti.

Il ruolo giocato nella guerra[modifica | modifica wikitesto]

«Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione.»

L'inizio vero e proprio della Resistenza e' difficile da individuare e dipende dall'impostazione storica che si vuol dare : se puntualizzante sul periodo resistenziale o comprendente le fasi di antifascismo sia militare che clandestino che precedettero il periodo dell'8 settembre del 1943 , certo e' che gli scioperi operai del marzo del 1943 dimostrarono che era possibile opporsi al regime fascista arrivando a minare in modo pesantissimo la credibilita' di Mussolini e cio' fu il preludio della sua messa fuori gioco del 25 luglio . E' chiaro che furono proprio le sofferenze e privazioni sopportate dalle fasce meno abbienti della popolazione a causa della guerra ad innescare il meccanismo dei grandi scioperi.D'altro canto molti storici indicano come inizio della Resistenza la fase della Guerra di Spagna od ancora la lotta antifascista militare temporalmente a cavalo degli anni '20 ed il successivo "fuoriuscitismo" ( ovvero emigrazione forzata per evitare carcere o peggio ) che perlappunto mantenne vivo il fermento antifascista e conflui' , in larga parte , nella milizia antifascista nella guerra di Spagna[12] Ad essere coinvolti in quella che viene anche chiamata guerra partigiana, si calcola siano stati dalle poche migliaia nell'autunno del 1943 fino ai circa 300.000 dell'aprile del 1945 gli uomini armati che, specialmente nelle zone montuose del centro-nord del Paese, svolsero attività di guerriglia e controllo del territorio che via via veniva liberato dai nazifascisti.

Nell'Italia centro-meridionale il movimento partigiano non ebbe altrettanta crucialità militare, sebbene nelle aree conquistate dagli Alleati nella loro avanzata verso settentrione si riunissero i principali esponenti politici che da lontano coordinavano le azioni militari partigiane, insieme alle armate alleate. Infatti l'esercito angloamericano aveva sospinto sulla linea Gustav già dal 12 ottobre 1943 le forze tedesche che risalivano verso il nord.

Con mezza penisola liberata e la restante parte ancora da liberare, con violente tensioni sociali ed importanti scioperi operai che già nella primavera del 1944 avevano paralizzato le maggiori città industriali (Milano, Torino e Genova), le popolazioni dell'Italia settentrionale si preparavano a trascorrere l'inverno più lungo e più duro, quello del 1945. Sulle montagne della Valsesia, sulle colline delle Langhe e sulle asperità dell'Appennino Ligure e dell'Appennino Tosco-Emiliano le formazioni partigiane erano ormai pronte a combattere.

I GAP e le SAP[modifica | modifica wikitesto]

Nelle città cominciarono a costituirsi nuclei partigiani clandestini denominati GAP (Gruppi di azione patriottica) formati ognuno da pochi elementi pronti a svolgere azioni di sabotaggio e di guerriglia nonché di propaganda politica. Accanto ad essi, nei principali centri urbani sorsero all'interno delle fabbriche le SAP (Squadre di azione patriottica), ampi gruppi di sostegno alle formazioni partigiane belligeranti, con l'obiettivo specifico di rendere più ampia possibile la partecipazione popolare al momento insurrezionale. Attriti sorsero, però, a questo punto su quale sarebbe stato per il movimento partigiano l'interlocutore privilegiato, politico o militare che fosse, italiano oppure alleato.

Bologna festeggia la Liberazione

Sotto questo aspetto a poco era servita la militarizzazione "ufficiale" dei partigiani, avvenuta nel giugno 1944 con l'istituzione - riconosciuta sia dai comandi militari alleati che dal governo nazionale - del Corpo volontari della libertà (o Corpo italiano di liberazione, CIL). A capo dei circa 200 mila combattenti che formavano il nuovo esercito italiano era stato posto il generale Raffaele Cadorna Jr, con vicecomandanti l'esponente del Partito Comunista Italiano Luigi Longo e quello del Partito d'Azione Ferruccio Parri).

Mentre si cominciava comunque a guardare al futuro, un altro punto di contrasto era costituito, appunto, da quello che sarebbe accaduto nel dopoguerra, che veniva avvertito ormai come prossimo. Se da un lato la guerra di liberazione accomunava diverse forze politiche, sia pure nella clandestinità e nella diversità ideologica, l'obiettivo successivo - la nuova Italia - era fonte di divergenza: i partiti della sinistra - peraltro divisi al loro interno - paventavano particolarmente un ripristino dello stato liberale prefascista; dal canto suo, il Partito d'Azione sosteneva la necessità che alle organizzazioni partigiane venisse attribuito un ruolo di rilievo nell'edificazione di una nuova democrazia in grado di sovvertire il vecchio ordinamento monarchico. La monarchia, sebbene minata nel proprio prestigio e popolarità per via del suo coinvolgimento quale corresponsabile del fascismo nell'aver gettato l'Italia in guerra e per la fuga del re Vittorio Emanuele da Roma, continuava tuttavia a raccogliere un significativo sostegno popolare diffuso in modo variabile e trasversale anche presso alcuni gruppi partigiani di ispirazione monarchica, cattolica e liberale, oltre che presso militari dell'esercito.

Dall'insurrezione alla liberazione[modifica | modifica wikitesto]

Il 19 aprile 1945, mentre gli Alleati dilagavano nella valle del Po, i partigiani su ordine del CLN diedero il via all'insurrezione generale. Dalle montagne, i partigiani confluirono verso i centri urbani del Nord Italia, occupando fabbriche, prefetture e caserme. Nelle fabbriche occupate venne dato l'ordine di proteggere i macchinari dalla distruzione. Le sedi dei quotidiani furono usate per stampare i giornali clandestini dei partiti che componevano il CLN.

Mentre avveniva ciò, le formazioni fasciste si sbandavano e le truppe tedesche allo sfacelo battevano in ritirata. Si consumava il disfacimento delle truppe nazifasciste, che davano segni di cedimento già dall'inizio del 1945 e i cui vertici si preparavano alla resa agli Alleati.

La mattina del 14 aprile, in un'Imola che sembrava deserta, entrò per primo il l'87° Reggimento Fanteria del Gruppo di Combattimento "Friuli"[13] che, però, fu subito comandato di dirigersi verso Bologna. Poco dopo giunse la divisione Carpatica polacca, comandata dal Generale Władysław Anders insieme ai soldati del Gruppo di Combattimento "Legnano"[14], che furono accolti dagli imolesi che, nel frattempo, erano usciti dai loro rifugi. Ancora la mattina del 21 aprile, fu il "Friuli" ad entrare per primo[15] a Bologna, passando per la Porta Maggiore, nel tripudio dei bolognesi. In giornata giunsero anche i polacchi, il "Legnano" e altri gruppi. Gli americani liberarono Modena il 22 aprile, Reggio Emilia il 24 e Parma il 25. Nella stessa data, a Genova, inizia l'insurrezione, che porterà il generale tedesco Gunther Meinhold ad arrendersi formalmente al CLN ligure il 25 aprile.

Milano e Torino furono liberate il 25 aprile: questa data è stata assunta quale giornata simbolica della liberazione di tutta l'Italia dal regime nazifascista e, denominata Festa della Liberazione, viene commemorata annualmente in tutte le città italiane.

Le truppe alleate arrivarono nelle principali città liberate nei giorni seguenti. La liberazione di molte città, inclusi centri industriali di importanza strategica, prima dell'arrivo degli alleati rese l'avanzata di questi più rapida e meno onerosa in termini di vite e rifornimenti. In molti casi avvennero drammatici combattimenti strada per strada; i resti dell'esercito tedesco e gli ultimi irriducibili fascisti della Repubblica Sociale Italiana sparavano asserragliati in vari edifici o appostati su tetti e campanili su partigiani e civili. Tra essi e le forze partigiane avvennero talvolta vere e proprie battaglie (come a Firenze nel settembre 1944), ma solitamente la loro resistenza si ridusse a una disorganizzata guerriglia, per esempio a Parma e a Piacenza.

Il 27 aprile 1945 Benito Mussolini, indossando la divisa di un soldato tedesco, fu catturato a Dongo, in prossimità del confine con la Svizzera, mentre tentava di espatriare assieme all'amante Claretta Petacci. Riconosciuto dai partigiani, fu fatto prigioniero e giustiziato il giorno successivo 28 aprile a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como; il suo cadavere venne esposto impiccato a testa in giù, accanto a quelli della stessa Petacci e di altri gerarchi, in piazzale Loreto a Milano, ove fu lasciato alla disponibilità della folla. In quello stesso luogo otto mesi prima i nazifascisti avevano esposto, quale monito alla Resistenza italiana, i corpi di quindici partigiani uccisi.

Il 29 aprile la resistenza italiana ebbe formalmente termine, con la resa incondizionata dell'esercito tedesco, e i partigiani assunsero pieni poteri civili e militari.

Il 30 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia ebbe a commentare che "la fucilazione di Mussolini e dei suoi complici è la conclusione necessaria di una fase storica che lascia il nostro paese ancora coperto di macerie materiali e morali."

Il 2 maggio il generale britannico Alexander ordinò la smobilitazione delle forze partigiane, con la consegna delle armi. L'ordine venne in generale eseguito e le armi in gran parte consegnate, in tempi diversi nei vari luoghi in dipendenza dell'avanzata dell'esercito alleato, della liberazione progressiva del territorio nazionale, e del conseguente passaggio di poteri al governo italiano; una parte delle forze partigiane fu arruolato nella polizia ausiliaria ad hoc costituita.

Alcune cifre sulla Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

Secondo diverse fonti il numero di partigiani, partendo dalle poche migliaia dell'autunno del 1943, raggiunse alla fine della guerra una consistenza di circa 300.000 uomini. Molti studiosi pongono però dei dubbi sul reale numero di partigiani attivi alla fine della guerra, riportando cifre ben più modeste relative agli uomini e alle donne impegnati direttamente nella lotta armata, sostenendo che tra i circa 300.000 che si definiranno partigiani dopo il 25 aprile molti siano semplicemente simpatizzanti della resistenza che, pur non partecipando direttamente alle azioni partigiane, avevano fornito (rischiando comunque la vita) supporto e rifugio e che in alcuni casi vennero conteggiati tra i partigiani anche ex fascisti ed ex repubblichini saliti sul carro del vincitore grazie a conoscenze, alla corruzione o alla delazione di altri sostenitori della dittatura fascista o sostenitori della Repubblica Sociale Italiana (secondo le loro indicazioni non necessariamente veritiere).

Va ricordato poi che dopo il bando del febbraio 1944, che prevedeva la pena di morte per i renitenti alla leva e ai disertori, seguito nell'aprile dello stesso anno da un altro decreto che estendeva la pena di morte anche a chi aveva dato appoggio o rifugio alle brigate partigiane, e dopo diversi casi di arruolamenti forzati da parte di soldati della RSI, molti giovani preferirono cercare rifugio tra le formazioni partigiane rispetto al partire per una guerra che non condividevano (e che molti ritenevano ormai persa) o al rischiare di essere catturati e giustiziati in città insieme ai propri familiari colpevoli di aver dato loro rifugio, pur non condividendo sempre gli orientamenti politici che animavano chi aveva dato vita a queste formazioni.

Alla lotta partigiana in Italia aderirono anche alcuni gruppi di disertori tedeschi[16] CLUEB, il cui numero è difficile da valutare in quanto, per evitare rappresaglie contro le loro famiglie residenti in Germania, usavano nomi fittizi e spesso venivano considerati dai loro reparti d'origine come dispersi e non disertori per una questione di propaganda. Un caso emblematico di adesione alla lotta partigiana è quello del capitano Rudolf Jacobs. In certe zone vi fu anche la presenza, notevole, di soldati sovietici passati dopo la fuga dai campi di prigionia, con i partigiani, casi eclatanti sono Fëdor Andrianovič Poletaev , Nikolaj Bujanov, Danijl Varfolomeevic Avdveev, il “Comandante Daniel” [17] tutti decorati con medaglia d'oro al valor militare.[18] Il numero dei partigiani sovietici e' stimabile con cifra di 5000/5500 , di cui oltre 700 in piemonte.[19]

Decine di migliaia di caduti: il tributo di sangue dei partigiani[modifica | modifica wikitesto]

Lapide ad ignominia

Piero Calamandrei, presso il Comune di Cuneo, 1952
Lo stesso testo appare dal 12 agosto 1993 su una lapide nella piazza di Sant'Anna di Stazzema, luogo dell'eccidio del 12 agosto 1944.

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
Più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

Si calcola che i caduti per la Resistenza italiana (in combattimento o uccisi a seguito della cattura) siano stati complessivamente circa 44.700; altri 21.200 rimasero mutilati ed invalidi; tra partigiani e soldati regolari italiani caddero combattendo almeno in 40.000 (10.260 della sola Divisione Acqui impegnata a Cefalonia e a Corfù);

Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, mentre 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate. 2.750 furono deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento; 15 vennero decorate con la medaglia d'oro al valor militare.

Dei circa 40.000 civili deportati, per la maggior parte per motivi politici o razziali, ne torneranno solo 4.000. Gli ebrei deportati nei lager furono più di 10.000; dei 2.000 deportati dal ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 tornarono vivi solo in quindici.

Tra i soldati italiani che dopo l'Armistizio di Cassibile dell'8 settembre decisero di combattere contro i nazifascisti sul territorio nazionale continuando a portare la divisa morirono in 45.000 (esercito 34.000, marina 9.000 e aviazione 2.000), ma molti dopo l'armistizio parteciparono alla nascita delle prime formazioni partigiane (che spesso erano comandate da ex ufficiali).

Furono invece 40.000 i soldati che morirono nei lager nazisti, su un totale di circa 650.000 che fu deportato in Germania e Polonia dopo l'8 settembre e che, per la maggior parte (il 90% dei soldati e il 70% di ufficiali), rifiutarono le periodiche richieste di entrare nei reparti della RSI in cambio della liberazione.

Si stima che in Italia nel periodo intercorso tra l'8 settembre 1943 e l'aprile 1945 le forze tedesche (sia la Wehrmacht che le SS) e le forze della Repubblica Sociale Italiana compirono più di 400 stragi (uccisioni con un minimo di 8 vittime), per un totale di circa 15.000 caduti tra partigiani, simpatizzanti per la resistenza, ebrei e cittadini comuni.

Processi e copertura ai nazifascisti nel dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: [[[[Central Intelligence Agency#Arruolamento di ex nazifascisti|Central Intelligence Agency § Arruolamento di ex nazifascisti e [[amnistia Togliatti]].

Per diversi motivi molti procedimenti giudiziari relativi a queste stragi non furono mai portati avanti, in parte a causa di tre successive amnistie. La prima intervenuta il 22 giugno 1946 detta "amnistia Togliatti"[20]; la seconda approvata il 18 settembre 1953 dal governo Pella che approvò l'indulto e l'amnistia proposta dal guardasigilli Antonio Azara per i tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno 1948,[21]; la terza approvata il 4 giugno 1966.[22] Inoltre la Germania Ovest era dal 1952 alleata con l'Italia sotto l'ombrello della NATO, per cui non risultava politicamente opportuno dare risalto ad episodi ormai ritenuti parte del passato coinvolgenti cittadini tedeschi.

C'era poi il rischio giudicato imbarazzante per le istituzioni italiane che il precedente di un processo in cui si chiedeva la consegna dei criminali di guerra tedeschi avrebbe poi obbligato l'Italia a consegnare a Stati esteri o a processare internamente i responsabili di crimini di guerra commessi dalle forze italiane durante il ventennio fascista e il periodo della Repubblica Sociale Italiana, sia in territorio nazionale che straniero, molti dei quali dopo la guerra erano stati riassorbiti all'interno dell'esercito o delle pubbliche amministrazioni.

Infine durante gli anni sessanta seicentonovantacinque fascicoli riguardanti le stragi nazifasciste in Italia vennero, per le ragione sopraesposte, "archiviati provvisoriamente" dal procuratore generale militare e i vari procedimenti furono bloccati, garantendo quindi l'impunità per i responsabili ancora in vita. Solo nel 1994, durante la ricerca di prove a carico di Erich Priebke per la strage delle Fosse Ardeatine, venne scoperta l'esistenza di questi fascicoli (trovati in quello che giornalisticamente è stato definito l' Armadio della Vergogna) e alcuni dei procedimenti furono riaperti, ad esempio quello a carico di Theodor Saevecke, responsabile della strage di Piazzale Loreto a Milano, ove furono fucilati per rappresaglia 15 tra partigiani ed antifascisti. La maggior parte delle indagini e delle denunce contenute nei fascicoli non portarono tuttavia ad un processo, poiché molti degli indagati risultarono essere non perseguibili in quanto già morti o per l'intervenuta prescrizione dei reati loro ascritti.

La transizione tra la fine delle guerra e l'elezione del nuovo parlamento[modifica | modifica wikitesto]

Con l'avanzare del territorio liberato il potere fu preso dai partiti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale CLN, che coordinavano la resistenza, una coalizione di 6 partiti uniti nella Resistenza: azionisti, comunisti, democristiani, demolaburisti[23]

Il Partito Comunista Italiano fu ricostituito da Palmiro Togliatti avendo ben presente il modello dell’URSS e l' esperienza della Terza Internazionale, mentre il Partito Socialista Italiano venne ricostituito da Pietro Nenni. Alcide De Gasperi costituì la Democrazia Cristiana, di fatto una continuazione del Partito Popolare Italiano. Esso rappresentava un equilibrio nella politica italiana, un partito tra conservazione e progresso. Il 4 giugno 1942 Ferruccio Parri costituisce il Partito d'Azione; durante la riunione costitutiva ne fissa i seguenti sette punti:

1) costituzione di una repubblica parlamentare regolata dalla divisione dei tre poteri:
2) decentramento politico-amministrativo con la creazione delle regioni
3) nazionalizzazione dei grandi gruppi industriali
4) riforma agraria
5) realizzazione della libertà sindacale
6) separazione tra Stato e Chiesa
7) costituzione di una federazione europea di stati democratici.

Il Comitato esprimeva i governi e attraverso il Comando unificato coordinava la Resistenza. I governi che guidarono l'Italia nel trapasso furono i governi di Ivanoe Bonomi, presidente del Consiglio dal 18 giugno 1944 al 26 aprile 1945 e Ferruccio Parri, presidente dal 21 giugno 1945 al 4 dicembre 1945 preposti dal Comitato di Liberazione Nazionale CLN.

Nell'Italia liberata questi governi ottennero progressivamente il controllo dell'apparato civile e militare dello stato, in aggiunta al controllo delle forze della Resistenza di cui ab origine disponevano, avevano quindi poteri assai vasti, quasi dittatoriali.

A latere di queste forze politiche vi erano i monarchici, maggiormente presenti nelle aree meridionali della penisola e tra le forze armate italiane cobelligeranti a fianco delle truppe alleate.

Tuttavia nel trapasso tra la guerra, il referendum costituzionale e la nascita della repubblica vi furono dei momenti complessi, nei quali essi furono spesso scavalcati dalle singole componenti che li esprimevano.

Le esecuzioni post-conflitto e le tensioni in seno alla Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

«Molta rabbia si era accumulata negli animi. Era impossibile che non esplodesse dopo il 25 aprile. Violenza chiama violenza. I delitti che hanno colpito i fascisti dopo la Liberazione, anche se in parte furono atti di giustizia sommaria, non sono giustificabili, ma sono comunque spiegabili con ciò che era avvenuto prima e con il clima infuocato dell'epoca. I fascisti non hanno titolo per fare le vittime.[24]»

Il numero degli uccisi di parte fascista dopo il 25 aprile è stato oggetto di un acceso dibattito, più politico che storico: va tenuto presente, tuttavia, che quella del "25 aprile" è una data simbolica. Secondo le Convenzioni dell'Aia e di Ginevra, infatti, le Forze Armate della Repubblica sociale italiana risultarono sconfitte solo il 29 aprile, con la Resa di Caserta, mentre il termine effettivo delle ostilità con le Forze Armate tedesche, con cui la Rsi era alleata, si ebbe solo il 3 maggio. Gli uccisi di parte fascista tra il 25 aprile e il 3 maggio, quindi, andrebbero considerati come morti durante il conflitto e non in seguito ad esso.

Da parte neofascista, l'ex ufficiale della Xª Flottiglia MAS e poi senatore eletto con il Movimento sociale italiano Giorgio Pisanò ha parlato di 34.500 morti di parte fascista[25], mentre Bruno Spampanato, aderente alla Repubblica sociale italiana, primo direttore del Secolo d'Italia e deputato dell'Msi, ha parlato addirittura di 300 mila morti [26]. Queste cifre, così alte e sempre arrotondate sul doppio zero, non sono mai state giustificate da fonti ritenute attendibili. A questo proposito, durante la seduta parlamentare dell'11 giugno 1952, il ministro dell'interno Mario Scelba, democristiano, ha affermato: "in merito ai "trecentomila" assassinati al nord, devo dire che si tratta di una delle menzogne più spudorate della propaganda del movimento sociale e secondo il metodo del peggiore fascismo. Io cerco di mantenere un tono di estrema obiettività e serenità anche in confronto alle manifestazioni del M. S. I., ma di fronte alle menzogne per speculare sui morti insorgo perché vi vedo il più triste gioco del fascismo! [...] Durante la campagna elettorale, in un pubblico discorso, ho detto che, secondo una inchiesta fatta dal Governo, sulle persone scomparse dopo la liberazione (non parliamo dei morti durante la guerra guerreggiata, che appartengono ad un’altra categoria) e che si potevano presumere uccise, per motivi politici, il loro numero e risultato accertato in 1.732. E posso dire che non sono forse neppure 1.732 perché in quell’elenco sono comprese persone non soppresse, ma squagliatesi per timore di incorrere in rappresaglie. Ma fossero 1.732, fossero pure 2000 o 3000 (io deploro l’uccisione arbitraria anche di un solo cittadino, ma non di questo si parla), si tratterebbe sempre di una cifra, che di fronte a quella di trecentomila crea un problema di moralità politica di fondamentale importanza."[27].

La cifra, molto bassa, di 1732 uccisi di parte fascista citata dal ministro Scelba è inspiegabile: nel 1952, infatti, il governo aveva già quella che è a tutt'oggi l'unica cifra dello Stato italiano sui morti di parte fascista subito dopo il 25 aprile, che però non è mai stata resa nota. Secondo un'indagine della Direzione generale di Pubblica sicurezza svolta alla fine del 1946, infatti, le persone uccise perché "politicamente compromesse" con il regime fascista sono state 8197, a cui vanno aggiunte le 1167 "prelevate e presumibilmente soppresse", per un totale di 9364 [28]. Questi dati, scrisse il capo della polizia inviandoli al ministero, vanno considerati "approssimativi, per le evidenti difficoltà che incontrano i relativi accertamenti. Dopo queste ultime indagini sono pervenute, infatti, altre segnalazioni per quanto non numerose" [29]. La portata di queste cifre si accorda con l'entità di quelle dichiarate nel 1948 al Senato da Ferruccio Parri, quando affermò che "i caduti dall'altra parte, compresi quelli caduti in combattimento, potevano assommare ad una cifra tra 10.000 e 15.000"[30], secondo le indagini da lui fatte condurre quando era al governo.

I governi espressione della Resistenza adottarono una serie di provvedimenti per identificare i responsabili di abusi (o presunti tali) ed efferatezze commesse negli anni di guerra. Furono creati organi di indagine e tribunali specifici per sanzionare tali comportamenti: erano Corti d'Assise straordinarie sotto la presidenza di un giudice di ruolo nominato dai presidenti delle Corti d'Appello (anche Oscar Luigi Scalfaro ne fece parte). Essi agirono con prontezza e severità, si ebbero numerose condanne a morte (eseguite) o a lunghe pene detentive.[31] I governi dell'Italia liberata furono spesso scavalcati fu nel comportamento di partigiani che non volevano smobilitare, non accettando una normalizzazione che dava impunità a numerosi criminali fascisti. Essi usarono il potere locale, che si erano guadagnati nella lotta di liberazione, autonomamente e spesso in contrasto con le direttive del governo espressione del Comitato di Liberazione Nazionale per effettuare una serie di esecuzioni, che proseguirono circa fino al 1949.

Successivamente alla "normalizzazione" postbellica, anche alcuni partigiani vennero sottoposto a processi per presunte "stragi" e "assassinii" compiuti nella Liberazione: il tema della persecuzione dei partigiani da parte della magistratura e delle forze politiche su cui si fondava la giovane repubblicana divenne un argomento di discussione ricorrente per molte forze di sinistra, soprattutto causa lo stridente contrasto con l'impunità di cui godettero la maggior parte degli ex fascisti che si erano macchiati di reati simili, quando non più gravi.

Le vendette colpirono principalmente chi si era reso responsabile dei massacri del periodo squadrista, dell'entrata in guerra del Paese con le tragedie che ne sono conseguite, della deportazione di decine di migliaia di italiani in Germania (circa 650.000 militari e 40.000 civili, tra cui 7.000 ebrei), delle torture e delle persecuzioni anche indiscriminate condotte dagli occupanti nazisti e dai loro alleati "repubblichini", tuttavia non mancarono violenze di altro tipo che sfruttarono le tensioni dell'immediato dopoguerra solo come copertura.

Le ragioni di questi comportamenti sono molteplici; si può ritenere che i partigiani temessero da parte dello Stato una punizione poco efficace o peggio una totale impunità verso i gerarchi fascisti che si erano macchiati di efferate azioni contro il popolo italiano, da cui nacque la sensazione di una Resistenza tradita.

Questi timori risultarono spesso fondati (quasi sempre nel caso degli organi militari e di polizia), in quanto i governi successivi effettuarono una de-fascistizzazione molto blanda soprattutto nella pubblica amministrazione, provocata da necessità politiche di pacificazione nazionale che ebbero il loro culmine nell'amnistia firmata dall'allora Ministro di Grazia e Giustizia[32] Togliatti il 22 giugno 1946, seguita, il 7 febbraio 1948, da un decreto del sottosegretario alla presidenza Andreotti con cui si estinguevano i pochi giudizi ancora in corso dopo l'amnistia.

Si possono citare tra i tanti esempi il caso del fascista commissario-torturatore Gaetano Collotti (capo della famigerata "banda Collotti" attiva nel Nord-Est), premiato dopo la guerra con un'onorificenza militare (per questo motivo Ercole Miani, torturato proprio da Collotti, rifiutò la medaglia d'oro al valor militare, che gli fu pertanto assegnata postuma); il caso del funzionario di polizia che aiutò a stendere gli elenchi per la strage delle fosse Ardeatine che fece carriera dopo la Liberazione; il caso analogo dei funzionari fascisti che collaborarono alla cattura di Giovanni Palatucci (il commissario di polizia che aiutò la fuga di migliaia di ebrei); il caso del comandante della Xª Flottiglia MAS Junio Valerio Borghese, i cui uomini si erano macchianti di numerosi ed efferati crimini durante la repressione della lotta partigiana, che venne condannato a soli dodici anni di carcere per "collaborazionismo" di cui nove furono condonati per interessamento e pressioni dei servizi segreti statunitensi che lo avevano arruolato, permettendo la sua scarcerazione subito dopo il processo e il suo ingresso nella vita politica del paese come presidente onorario del MSI.

Va anche ricordato che numerose bande armate fasciste operanti durante la RSI furono composte essenzialmente da efferati criminali e che numerosi effettivi delle forze armate fasciste si fecero strumento dei nazisti, talora al di là degli stessi desideri dei loro padroni, consumando innumerevoli atti di indicibile ferocia.

Le diverse anime della Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

Va sottolineato che la Resistenza antinazista fu un fenomeno generale, presente in quasi tutti i paesi controllati dalla Germania, a partire dalla Francia e che la parte finale della guerra vide il convergere sulla Germania dei sovietici da est e degli Alleati da ovest.

Nella fase finale della guerra essi erano ancora alleati, ma si vedevano chiare le tensioni per la suddivisione dell'Europa post-bellica in sfere di influenza, sia militare sia economica sia ideologica e di concezione della forma dello Stato. Nei paesi liberati dai sovietici si impose sempre il loro modello, nei paesi liberati dagli angloamericani si impose sempre il loro.

Non sempre la divisione fissata con agli accordi di Yalta era accettata dalle parti in causa. In due paesi liberati dagli angloamericani, la Grecia e l'Italia, le maggiori forze della Resistenza inclinavano verso il modello sovietico, di cui tra l'altro non erano all'epoca noti alcuni aspetti. Sia in Grecia sia in Italia queste aspirazioni dei comunisti vennero frustrate dall'instaurazione di uno Stato più o meno democratico basato su un'economia di tipo capitalistico.

Viceversa in Jugoslavia l'esercito partigiano guidato da Tito instaurò un regime di tipo comunista nonostante il Paese fosse stato a Yalta parzialmente attribuito al blocco occidentale.

Nella Resistenza italiana vi erano (in forma più o meno esplicitata) due correnti maggiori di pensiero: una che vedeva la Resistenza come braccio armato di un "nuovo Risorgimento" avente lo scopo di espellere dall'Italia i tedeschi e rovesciare i loro alleati fascisti, ripristinando il regime pre-fascista o comunque liberale e democratico, basato su una democrazia parlamentare di tipo occidentale, ed una più decisamente orientata a sinistra, in genere filosovietica, che considerava (pur in contrasto con le indicazioni ufficiali delle direzioni nazionali dei principali partiti di sinistra) la vittoria militare solo un presupposto per un nuovo ordine politico in Italia basato su qualche forma di comunismo o socialismo, come si pensava sarebbe avvenuto nei paesi assegnati a Yalta all'area di influenza sovietica.

In verità, questa ultima interpretazione della Resistenza non era condivisa da tutti i dirigenti del Partito Comunista Italiano, in particolare Palmiro Togliatti, aveva impresso a partire dal 1944 (e non senza incontrare una certa opposizione di alcuni elementi della base) una forte moderazione della linea politica del PCI arrivando addirittura (con la cosiddetta svolta di Salerno dell'aprile 1944) a dichiarare secondaria la questione repubblica-monarchia che divideva in quel periodo il fronte antifascista.

Era tuttavia diffusa tra i militanti comunisti l'idea dell'"ora X", ossia l'illusione che dietro l'atteggiamento togliattiano di accettazione della democrazia capitalista si nascondesse un'astuta manovra tattica volta a scatenare, al momento opportuno (l'ora X), un'insurrezione comunista. Questa parte "rivoluzionaria" della Resistenza, in molti casi militarmente maggioritaria, non considerava finita la sua funzione armata con la vittoria dell'aprile 1945 e la battaglia continuava, assumendo il carattere di lotta rivoluzionaria, eventualmente in forme nuove, con un parziale spostamento dell'identità degli avversari.

Anche da ciò derivò l'elevato numero delle vittime, principalmente fasciste, ma anche appartenenti a brigate partigiane di diverso colore politico (fiamme verdi, democristiani, liberali), preti e in molti casi semplici esponenti delle classi sociali a loro non favorevoli in caso di scontro aperto (perciò si è anche parlato di una forte componente di lotta di classe all'interno del movimento resistenziale).

Nei mesi seguenti si ebbero fatti sanguinosi, che con intensità calante proseguirono per alcuni anni. Talvolta i responsabili o i semplici accusati di questi omicidi nel dopoguerra trovavano rifugio o venivano fatti espatriare in paesi filosovietici come la Cecoslovacchia o la Jugoslavia.

Tuttavia i sovietici, rispettando le spartizioni tra i due blocchi prese a Yalta, non promisero alcun appoggio ad un tentativo di presa armata del potere e il risultato negativo del tentativo rivoluzionario in Grecia smorzò molto il movimento. Lo scontro all'interno della sinistra comunista perdurò fino alla elezioni del 18 aprile 1948, quando fu del tutto chiaro che l'Italia era ormai saldamente inserita nel blocco occidentale, contrapposto a quello sovietico nell'ambito della nascente Guerra Fredda.

Episodi particolari di scontri all'interno del movimento resistenziale[modifica | modifica wikitesto]

Episodi particolari di esecuzioni sommarie dopo la fine della guerra[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Triangolo rosso.

Città decorate al valor militare per il contributo dato alla guerra di liberazione[modifica | modifica wikitesto]

Alla fine della guerra di liberazione la neonata Repubblica ha sentito l'obbligo di segnalare come degni di pubblico onore gli autori di atti di eroismo militare (come riporta il Regio Decreto 4 novembre 1932, n. 1423 e successive modificazioni, oltre che ai singoli combattenti, anche alle istituzioni territoriali, le Città, i Comuni, intere Regioni, Università, con la decorazione al valor militare.

Filmografia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Filmografia su Antifascismo e Resistenza.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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  • Giovanni Di Capua, Resistenzialismo versus Resistenza, Roma, Rubbettino, 2005, ISBN 978-88-498-1197-1.
  • Enzo Casadio, Massimo Valli, Il 2° Corpo polacco in Romagna, Imola, Corso Bacchilega, 2006, ISBN 978-88-88775-33-3.
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Letteratura sulla Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

Enciclopedie[modifica | modifica wikitesto]

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  • Alatri P., Il prezzo della liberta'. Episodi di lotta antifascista, Tip. Nava, Roma 1958
  • Alatri P., L'Antifascismo italiano, 2 vv, Editori riuniti, Roma 1973
  • AA.VV., Dalla Resistenza alla Costituzione. Unita' didattiche, percorsi tematici, schede di lettura e di ricerca per le scuole, Nuovagrafica, Modena 1995
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  • AA.VV., Missioni alleate e partigiani autonomi, L'arciere, Cuneo 1980
  • AA.VV., Prigionieri in Germania. La memoria degli ex internati militari, Il filo di Arianna, Bergamo 1990

saggi didattici[modifica | modifica wikitesto]

  • AA.VV., Italianistica e insegnamento. Atti dell'incontro di studi. Parigi 24-26 gennaio 1983, Trieste, Tipografia Villaggio del fanciullo, 1986
  • AA.VV., La cinepresa e la storia. Fascismo, antifascismo, guerra e resistenza nel cinema italiano, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 1985
  • B. BONINO, Il cinema racconta la Resistenza, Torino, Paravia, 1979
  • P.P. BRESCACIN, A. CARMINE DE LISI, P. ROMANO Dal fascismo alla Resistenza. Un percorso didattico attraverso il cinema, Vittorio Veneto, H. Kellermann, 1996
  • G. P. BRUNETTA , Letteratura e cinema, Bologna, Zanichelli, 1976
  • P. MELDINI, Interpretazioni della Resistenza nei film sulla Resistenza, in AA.VV., Passato ridotto. Gli anni del dibattito su cinema e storia, Firenze, la casa USHER, 1982
  • F. SALIMBENI, Ripensare didatticamente la seconda guerra mondiale (e civile europea) cinquant'anni dopo, in "Quaderni Giuliani di Storia", XVI, 1, 1955

Saggi letterari[modifica | modifica wikitesto]

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  • Alberto Asor Rosa , Scrittori e popolo, Torino, Einaudi, 1965
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  • Alberto Asor Rosa , Lo Stato democratico e i partiti politici, in Letteratura italiana, vol. I Il letterato e le istituzioni, Torino, Einaudi, 1982
  • C. BENUSSI, Introduzione a Calvino, Roma-Bari, Laterza, 1989
  • Italo Calvino , La letteratura italiana sulla Resistenza, in "Il movimento di liberazione in Italia", n° 1, luglio 1949
  • Italo Calvino , Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno, in Romanzi e racconti, Milano, Meridiani Mondadori, 1991, vol.I
  • G. FALASCHI, La Resistenza armata nella narrativa italiana, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1976
  • G. FALASCHI, La letteratura partigiana in Italia 1943-45, Roma, Editori Riuniti, 1984
  • D. FERNANDEZ, Cesare Pavese, in Il romanzo italiano e la crisi della coscienza moderna, Milano, Lerici, 1960
  • Franco Fortini, Rileggendo "Uomini e no", Berta, Enne due e Giacomo Noventa, in "Il Ponte", 31 luglio-31 agosto 1973
  • E. GUAGNINI, Letteratura, memorie e rappresentazione della Resistenza italiana nella letteratura, in AA.VV., Tra totalitarismo e democrazia Italia e Ungheria 1943-1995 Storia e letteratura, Budapest, 1995
  • Giorgio Luti - S. ROMAGNOLI, L'Italia partigiana, Milano, Longanesi, 1975
  • Giorgio Luti , Narratori italiani del secondo Novecento , Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1985
  • F. MOLLIA, Cesare Pavese Saggio su tutte le opere, Firenze, La Nuova Italia, 1963
  • Giacomo Noventa , Il grande amore in "Uomini e no" di Elio Vittorini e in altri uomini e libri, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1969
  • Giacomo Noventa , Tre parole sulla Resistenza e altri saggi, con un saggio di Augusto del Noce, Firenze, Vallecchi, 1973
  • A. PAOLUZI, La letteratura della Resistenza, Firenze,5 Lune, 1956
  • L. STURANI, Antologia della Resistenza, Torino, centro del libro popolare, 1951
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Donne e Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

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  • Miriam Mafai, Pane Nero, Mondadori, Milano, 1987;
  • Renata Viganò, l'Agnese va a morire, Einaudi, Torino, 1949;
  • F. Pieroni BortolottiI, Le donne della Resistenza antifascista e la questione femminile, Milano, 1978;
  • M. Alloisio, G. Beltrami, Volontarie della liberta', Milano, Mazzotta, 1981;
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Saggi Storici[modifica | modifica wikitesto]

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  • Barbi G. - Niccolai L., Per la liberta'. La Resistenza italiana nel fumetto, Ed. Comune di Pistoia, Pistoia 1995
  • Bartolini A., Per la patria e la liberta'. I soldati italiani all'estero nella resistenza, Mursia, Milano 1986
  • Bartolini A. - Terrone A., I militari nella guerra partigiana in Italia 1943-1945, Sme Ufficio Storico, Roma 1998
  • Battaglia R., Storia della Resistenza italiana, Einaudi, Torino 1964
  • Bendotti A. - Bertacchi G., Memoria, mito e autorappresentazione nel dopoguerra: i partigiani, i prigionieri, in "Studi e ricerche di storia contemporanea", n. 45, pp. 5–27, Bergamo 1996
  • Bendotti A. - Valtulina E., Internati, prigionieri, reduci. La deportazione militare italiana durante la seconda guerra mondiale, Stamperia Stefanoni, Bergamo 1997
  • Bendotti A., Resistenza. Gli studi e le memorie, in "Settegiorni", 25 aprile 1999, Bergamo 1999
  • Binachini A. - Lolli F., Letteratura e Resistenza, Clueb, Bologna 1997
  • Giorgio Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Laterza, Bari 1966
  • Bonardi P., Scambi di prigionieri-ostaggi durante la lotta di liberazione, 1989-1990
  • Bonfanti G., La Resistenza. Documenti e testimonianze, Editrice La Scuola, Brescia 1976
  • Ceva B., 5 anni di storia italiana (1940-1945), Comunita', Milano 1964
  • Filippo Caruso, Carabinieri d’Italia. Esempi, martirio, gloria, Hoepli, Roma 1948
  • D'Alessandro S., Ausiliarie e partigiane, due mondi diversi, in "Studi e ricerche di storia contemporanea", n. 47, pp. 47–70, Bergamo 1997
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  • Galliano Fogar , Le questioni nazionali fra guerra e Resistenza: Venezia Giulia 1943-1945, in "Qualestoria", n. 1, pp. 50–67, Trieste 1985
  • Galliano Fogar, Foibe e deportazioni. Nodi sciolti e da sciogliere, in "Qualestoria", n. 3, pp. 67–85, Trieste 1989
  • Galliano Fogar[38]Dalla cospirazione antifascista alla Brigata Proletaria , 1973
  • Fornaro V., Il servizio informazioni nella lotta clandestina. Gruppo Montezemolo, Editoriale Domus, Milano 1946
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  • Franceschini D., Porzus. La Resistenza lacerata, Isrts Trieste, Trieste 1996
  • Fumarola A., Essi non sono morti. Le medaglie d’oro della guerra di Liberazione, Poligrafico, Roma 1945
  • Gallerano N., La Resistenza tra storia e memoria, Mursia, Milano 1999
  • Gamba A., Documenti sulla Resistenza italiana. I notiziari segreti del servizio informazioni dello Stato maggiore Esercito della Repubblica Sociale italiana, Apollonio, Brescia 1961
  • Giacomini R. - Pallunto S., Guerra di resistenza, Errebi, Falconara 1997
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  • Koch F., Lo sfollamento nella memoria femminile. Proposta di lettura di alcuni testi dell'archivio diaristico nazionale, in "L’impegno", n. 1, pp. 32–40, 1993 Lajolo L., I percorsi della democrazia. Tracce di studio su Resistenza e Costituzione, Israt, Asti 1995
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  • Giorgio Visintin , Guerra di Liberazione sui Confini Orientali, 4 giugno 1942 -7 maggio 1945, Milano 1975
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  • Giorgio Visintin , Antifascismo e guerra di Liberazione nella regione Giulia (14ma Brigata d'assalto Garibaldi Trieste, videocassetta

bibliografia riguardante Resistenza anarchica , Bandiera Rossa e formazioni non rappresentate dal CLN[modifica | modifica wikitesto]

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  • Giorgio Bocca , Storia dell'Italia partigiana, settembre 1943-maggio 1945 Laterza, 1967 con storia di brigata di Manrico Ducceschi
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  • Silverio Corvisieri, Bandiera Rossa nella resistenza romana, Odradek Edizioni
  • Silverio Corvisieri, Il Re, Togliatti e il Gobbo 1944. La prima trama eversiva, Odradek Edizioni
  • Silverio Corvisieri, Il mago dei generali. Poteri occulti nella crisi del fascismo e della monarchia, Odradek Edizioni, 2001
  • Roberto Gremmo, I partigiani di Bandiera Rossa, Biella, Edizioni ELF, 1995
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  • Silverio Corvisieri, Il mago dei generali. Poteri occulti nella crisi del fascismo e della monarchia, Roma, Odradek, 2001.
  • Robert Katz, Morte a Roma. Il massacro delle Fosse Ardeatine, Milano, Il Saggiatore, 2004, ISBN 978-88-515-2153-0.
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  • Pietro Bianconi, La resistenza libertaria, TraccEdizioni, Piombino, 1984
  • Gaetano Manfredonia, La Resistenza sconosciuta: gli anarchici e la lotta contro il fascismo, 1995
  • Roberto Gremmo, L'ultima Resistenza: le ribellioni partigiane in Piemonte
  • Gino Cerrito, Adriana Dadà, Gli anarchici nella resistenza apuana
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  • Giornali anarchici della Resistenza 1943-'45 / Gli anarchici e la lotta contro il fascismo in Italia, Ediz. Zero in Condotta, Milano, 1995
  • Pietro Bianconi, Gli anarchici nella lotta contro il fascismo, Ediz. Archivio Famiglia Camillo Berneri, Pistoia, 1988
  • G. Cerrito, con Adriana Dadà e Maria Pacini, Gli anarchici nella resistenza apuana, Fazzi Editore, Lucca, 1984
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  • M. R. Bianco, Les anarchistes dans la Resistance, vol. 2, Témoignages 1930-1945, in "Bulletin" C.I.R.A. Marseille, n. 23/25 del 1985
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  • Giorgio Sacchetti, Resistenza e guerra sociale. Il movimento anarchico e la lotta di liberazione 1943-1945, in "Rivista Storica dell'Anarchismo" Pisa, a. II, n. 1/1995
  • Giorgio Sacchetti, Gli anarchici contro il fascismo, 'Sempre Avanti', Livorno, 1995 "Almanacco Socialista", Milano, ed. Avanti! 1962, "A-Rivista anarchica", Milano, n. 4/1973
  • C. O. Gori, Arrivano i partigiani, Pistoia è libera, in "Microstoria", n. 35 (mag./giu. 2004)
  • A. Ciampi, Virgilio Gozzoli, vita irrequieta di un anarchico pistoiese, in “Microstoria”, n. 37 (set./ott. 2004)
  • R. Corsini, Le tappe della vita di Silvano Fedi, in "Bollettino Archivio Giuseppe Pinelli", n. 5 (lug. 1995)
  • I. Rossi, La ripresa del Movimento Anarchico e la propaganda orale dal 1943 al 1950, Pistoia, RL, 1981, pp. 26–30, 133-143
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Sulle Brigate Garibaldi[modifica | modifica wikitesto]

  • Luigi Borgomaneri ,Due inverni, un'estate e la rossa primavera : le Brigate Garibaldi a Milano e provincia (1943-1945) ,Franco Angeli , 1985
  • Gabriella Nisticò , Giampiero Carocci Le Brigate Garibaldi nella Resistenza: documenti, Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia,Istituto Gramsci , Feltrinelli
  • Marisa Diena , Guerriglia e autogoverno: Brigate Garibaldi nel Piemonte occidentale 1943-1945 , Guanda , 1970
  • Claudio Pavone , Una guerra civile : saggio storico sulla moralità nella Resistenza , Bollati Boringhieri , 1991
  • Gestro Stefano La divisione italiana partigiana «Garibaldi». Montenegro 1943-1945 Mursia 1981
  • Luigi Longo , Pietro Secchia Storia del Partito comunista italiano , Einaudi ,
  • Cesare BermaniPagine di guerriglia. L'esperienza dei garibaldini della Valsesia (1) , Ist. Storia Resistenza Biella-Vercelli , 2000
  • Cesare BermaniPagine di guerriglia. L'esperienza dei garibaldini della Valsesia (2) , Ist. Storia Resistenza Biella-Vercelli , 1995 ,
  • Cesare BermaniPagine di guerriglia. L'esperienza dei garibaldini della Valsesia (3) , 1996 , Ist. Storia Resistenza Biella-Vercelli
  • Nozzoli GuidoQuelli di Bulow. Cronache della 28° Brigata Garibaldi Editori Riuniti , 2005
  • Antoni Varese - Ricci GiulivoLa brigata garibaldina Cento Croci, 4ª zona operativa ligure. Storia e testimonianze Giacché , 1997
  • Carmagnola Piero Vecchi partigiani miei Franco Angeli , 2005

Sul CLN[modifica | modifica wikitesto]

  • Atti e documenti del C.L.N. clandestino a ModenaQuaderni dell'Istituto storico della Resistenza in Modena e provincia "LCCN: 78374473
  • Vendramini Ferruccio, Borghi Marco I CLN di Belluno e Treviso nella lotta di liberazione Istituto veneto per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea ISBN 10: 887178295X
  • Spagnoletti MarioTogliatti e CLN del sud. La svolta di Salerno dai verbali della giunta esecutiva Sapere 2000
  • Di Paola M. Teresa La democrazia dei galantuomini. Le carte Fabiano e il CLN di Messina (1943-1945) EDAS 1999
  • Lombardi Pierangelo L'illusione al potere. Democrazia, autogoverno regionale e decentramento amministrativo nell'esperienza dei Cln (1944-1945) FrancoAngeli 2003
  • Democrazia al lavoro. I verbali del CLN lombardo (1945-1946)(1) Le Monier 1981
  • Democrazia al lavoro. I verbali del CLN lombardo (1945-1946) (2) Le Monier 1981
  • Martini Luigi Per una storia del CLN. Ravenna (1943-'44) attraverso la testimonianza di «Vecchio» (Mario Morigi) e «Tommaso» (Camillo Bedeschi) delegati comunisti... Il Girasole 1994
  • Sergio Cella La liberazione negata. L'azione del Comitato di Liberazione Nazionale dell'Istria: Del Bianco 1990
  • Raffaele Colapietra Dai comitati di liberazione all'assemblea costituente La Città del Sole 1998
  • Feltrin Francesco - Preziosi Anna M. Nuovi documenti su Silvio Trentin-Il CLNRV e i problemi della scuola CLEUP 2000
  • Marco Borghi Dopo la guerra. Politica, amministrazione e società nei verbali CLN provinciale trevigiano (dal 26 aprile 1945 al 27 giugno 1946 ) Cierre 1998

Documentari[modifica | modifica wikitesto]

  • Fascist Legacy di particolare importanza per comprendere la formazione dell'ativita' partigiana ai confini orientali italini ed in Jugoslavia , il documentario tratta in generale delle invasioni italiane in terra straniera volute dal fascismo con una sezione dedicata al periodo storico di dopo armistizio.
  • La Resistenza della memoria regia di Danilo Caracciolo costituito da due parti Lame, la porta della memoria ; Lontano dagli eroi vicino agli uomini
  • Donne nella Resistenza non armata a Roma e in Sabina

Testimonianze dirette di lotta antifascista di Giulia D’Ovidio e Giovanna Marturano , contributi di Walter De Cesaris e Sandro Portelli , regia Giuliano Calisti , Edizione e Montaggio Francesco Giuliani , Riprese e voce illustrante Claudia Calisti , consulenza storica Giliano Calisti Silvio Antonini

  • "Roma da un’estate all’altra", sull’occupazione nazista della città,
  • Staffette. Un documentario sulla Resistenza delle donne in Italia , regista Paola Sangiovanni , produttrice Laura Cafiero

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ dal discorso tenuto al Teatro Lirico di Milano, 28 febbraio 1954, in Uomini e città della Resistenza: discorsi scritti ed epigrafi, Laterza
  2. ^ dal discorso di Carlo Roselli alla radio di Barcellona il 13 novembre 1936 [1]
  3. ^ Direttore della rivista "l'impegno".Membro della segreteria della Conferenza dei direttori degli Istituti associati all'Insmli dal 1992 al 1995.riferimento
  4. ^ Antifascismo e guerra di Spagna
  5. ^ Gaetano Collotti e L’ISPETTORATO SPECIALE DI PUBBLICA SICUREZZA
  6. ^ "Foibe" e "Deportazioni": gli antefatti
  7. ^ Lassù sull’Appennino di Franco Sprega
  8. ^ che poteva avvalersi di comandanti militari come Vincenzo Guarniera , nome di battaglia Tommaso Moro , Orfeo Mucci , Aladino Govoni Medaglia d'oro al valor militare , e lo stesso Gobbo , tutti dotati di gran coraggio e temererarieta' al punto che a Roma vi si dedicano spettacoli teatrali ancora adesso
  9. ^ http://www.mediterranei.eu/virgilioweb/guidoni.htm Unico Guidoni
  10. ^ Giovanni Mariga vicecomandante di una delle formazioni operanti in zona fu decorato medaglia d'oro VM che fu da lui rifiutata, per coerenza con ideologia libertaria
  11. ^ nelle formazioni del genovesato e del savonese militavano Arrigo Cervetto e Lorenzo Parodi
  12. ^ Gli scioperi di marzo del 1943 da ANPI
  13. ^ Il Gruppo di Combattimento "Friuli" non era negli "Alleati" ma era "cobelligerante"
  14. ^ Il gruppo "Legnano" e il gruppo "Folgore" erano inseriti negli "Alleati" con la 5ª Armata degli Stati Uniti)
  15. ^ Nonostante l'alto comando avesse richiesto che fossero i polacchi ad entrare per primi
  16. ^ I disertori tedeschi che aderirono alla Resistenza da sito ANPI , Minardi Marco , Disertori alla macchia. Militari dell'esercito tedesco nella Resistenza parmense CLUEB
  17. ^ il battaglione Stalin PARTIGIANI SOVIETICI NELLA RESISTENZA FRIULANA di Pieri Stefanutti ,

    «Sono proprio i partigiani sovietici che li attaccano frontalmente al grido di "Hurrah Stalin" ed assieme agli altri partigiani rioccupano Piandelagotti, infliggendo grandi perdite al nemico.»

    Alberto Gatti Il Partigiano Dartagnan e la Repubblica di Montefiorino
  18. ^ Galleni Mauro Ciao, russi. Partigiani sovietici in Italia 1943-1945. , Marsilio , ISBN: 88-317-7772-6
  19. ^ da fondazione Giuseppe Lattanzi nome di battaglia Saetta
  20. ^ Tale amnistia promulgata con il D.P.R. 22 giugno 1946, n. 4, il cui testo è disponibile sul sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo: italgiure lex 139245, comprendeva i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi ivi compreso il concorso in omicidio, pene allora punibili fino ad un massimo di cinque anni. I reati commessi al Sud dopo l'8 settembre 1943 e l'inizio dell'occupazione militare alleata al Centro e al Nord. [2] [3]
  21. ^ D.P.R 19 dicembre 1953, n. 922, testo disponibile sul sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo
  22. ^ D.P.R. 4 giugno 1966, n. 332, testo disponibile dal sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1966/lexs_39092.html
  23. ^

    «Nel frattempo, già il 9 settembre il Comitato che riunisce i partiti antifascisti si costituisce in Comitato di liberazione nazionale (CLN) e dirama un appello “alla lotta e alla resistenza”. Il nuovo organo si propone da subito con un carattere nazionale delegando, il successivo ottobre, a una Giunta militare la direzione della resistenza cittadina: ne fanno parte Giuseppe Spataro per la Democrazia cristiana, Manlio Brosio per i liberali, Mario Cevolotto per i demolaburisti, Giorgio Amendola per i comunisti, Sandro Pertini per i socialisti e Riccardo Bauer per il Partito d’azione., liberali e socialisti.»

    itinerari storicoculturali Lazio
  24. ^ Ermanno Gorrieri e Giulia Bondi, Ritorno a Montefiorino - Dalla Resistenza sull'Appennino alla violenza del dopoguerra, il Mulino, Bologna, 2005, pag. 183.
  25. ^ Tra le molteplici pubblicazioni di Pisanò su questo tema, si può vedere, ad esempio, G. Pisanò, Sangue chiama sangue, Pidola, Milano 1965, p. 299. Le cifre riportate da Pisanò sono state oggetto di molte critiche, per mancanza di fonti o per i criteri dubbi con cui alcune persone uccise sono state inserite nei suoi elenchi nominativi. A questo proposito, N. S. Onofri, Il triangolo rosso (1943-1945), Sapere 2000, Roma 1994, pp. 52-53
  26. ^ B. Spampanato, Contromemoriale, Roma 1974, volume quarto, p. 1577.
  27. ^ ATTI PARLAMENTARI, Camera dei deputati, 1952, Discussioni, 11 giugno 1952, p. 38736.
  28. ^ ACS, Min. Int., Gab., 1950-1952, Gab., 1950-1952, busta 33, f. 11430/16.
  29. ^ Ibidem.
  30. ^ ATTI PARLAMENTARI, Senato, 1948, Resoconti delle sedute plenarie, I, p. 563.
  31. ^ IL PARTIGIANO Foglio di informazione dell'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’ Italia)
  32. ^ Il Ministero di Grazia e Giustizia cambiò la propria denominazione che aveva sin dalla sua nascita con l'entrata in vigore della riforma Bassanini sull'organizzazione del Governo quando, con il D.P.R. 6 marzo 2001 n. 55, assunse quella attuale di Ministero della Giustizia
  33. ^ Partigiano Facio, un delitto dell’Ovra?
  34. ^ Laura Seghettini, nata a Pontremoli il 22/1/1922, partigiana.Di famiglia antifascista, dopo l'8 settembre diffonde la stampa clandestina e raccoglie gli aiuti per le prime bande partigiane. Ricercata dai fascisti, sale ai monti e si unisce al battaglione garibaldino Picelli diventando una partigiana combattente. Nell'estate del 1944, dopo l'uccisione del comandante del Picelli, Dante Castellucci "Facio", si sposta nel parmense dove continua la lotta partigiana fino alla liberazione. (estratto da museo della Resistenza) , Laura Laura Seghettini Al vento del Nord. Una donna nella lotta di Liberazione, Carocci
  35. ^ da ANPI
  36. ^ Massimo Storchi, Sangue al bosco del Lupo. Partigiani che uccidono partigiani. La storia di Azor (ISBN 9788874240593)
  37. ^ Daniela Anna Simonazzi, AZOR La Resistenza incompiuta di un comandante partigiano Dettaglio
  38. ^

    «Segretario dell'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia. Autore di saggi e volumi sulla Resistenza nella regione, sui rapporti fra classe operaia e regime fascista nel Cantiere di Monfalcone, sulle articolazioni del collaborazionismo a Trieste. Fra i contributi ed i volumi pubblicati, Sotto l'occupazione nazista nelle province orientali, Le brigate Osoppo-Friuli, Le zone libere in Friuli, L'antifascismo operaio monfalconese fra le due guerre, Nazionalismo e neofascismo a Trieste fra guerra e dopoguerra. E' responsabile della rivista dell'Istituto "Qualestoria"»

    da Trieste, Irsml, "I quaderni di Qualestoria"