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Gambatesa: differenze tra le versioni

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=== Cappella santuario di Maria Santissima della vittoria ===
=== Cappella santuario di Maria Santissima della vittoria ===
È una chiesa campestre, ad una navata, situata nelle vicinanze del paese. Un'antica tradizione popolare ne attribuisce la costruzione alla volontà dell'imperatore Federico Barbarossa. In origine forse Abbazia con annesso monastero. Probabilmente rovinata dal terremoto del 1279 o da altri eventi, fu fatta ricostruire dalle fondamenta dal conte Riccardo di Gambatesa verso il 1313. Pur avendo subito, lungo i secoli, vari rifacimenti, la chiesetta conserva ancora la linearità della primitiva struttura architettonica d'impronta rurale. La facciata liscia e compatta e nella lunetta del portale, in pietra nuda, è presente lo stemma dell'Agnello Crocifero. All'interno di pregevole il soffitto a capriata e la statua lignea della Madonna della Vittoria del 1714. Del monastero restano solo dei ruderi.
È una chiesa campestre, ad una navata, situata nelle vicinanze del paese. Un'antica tradizione popolare ne attribuisce la costruzione alla volontà dell'imperatore Federico Barbarossa. In origine forse Abbazia con annesso monastero. Probabilmente rovinata dal terremoto del 1279 o da altri eventi, fu fatta ricostruire dalle fondamenta dal conte Riccardo di Gambatesa verso il 1313. Pur avendo subito, lungo i secoli, vari rifacimenti, la chiesetta conserva ancora la linearità della primitiva struttura architettonica d'impronta rurale. La facciata liscia e compatta e nella lunetta del portale, in pietra nuda, è presente lo stemma dell'Agnello Crocifero. All'interno di pregevole il soffitto a capriata e la statua lignea della Madonna della Vittoria del 1714. Del monastero restano solo dei ruderi.

'''Personaggi Illustri<ref>questa sezione è tratta dalla raccolta pubblica in Carozza Francesco, Gambatesa, la sua gente. Da Riccardo Pietravalle a Guglielmo Josa. Dal passaggio di Re Manfredi alla Battaglia di Gambatesa del 7 ottobre 1943”, Ausiliatrix, Benevento, 2012.</ref>'''

'''Avv. Prosdocimo Rotondo
'''''Patriota'''''
Gambatesa 14 aprile 1771 – Napoli 30 settembre 1799'''
La figura di Prosdocimo Rotondo merita, senz’altro, un’attenzione del tutto particolare. Discendente dagli illustri e ricchi Rotondo di Gambatesa, dalla famiglia aveva attinto, con i quattro fratelli, un vero spirito patriottico e liberale e, difatti, nel 1799 li ritroviamo tutti coinvolti in quel movimento giacobino e rivoluzionario che, purtroppo, si diffuse soltanto tra i colti professionisti e intellettuali molisani. A questo riguardo, è sempre lucida l’analisi che ne fece Vincenzo Cuoco quando scrisse che: ''“Era obbligato il popolo a saper la storia romana per conoscere la sua felicità?”'', nel senso che gli intellettuali dell’epoca, avrebbero preteso una adesione piena e immediata del popolo alla rivoluzione, mentre la povera gente ancora conduceva una vita talmente degradata e misera che neppure osavano sognarne una diversa. Sempre Cuoco, infatti, aggiungerà alla sua analisi che: “''Se mai la repubblica si fosse fondata da noi medesimi; se la costituzione, diretta dalle idee eterne della giustizia, si fosse fondata sui bisogni e sugli usi del popolo; se un’autorità, che il popolo credeva legittima e nazionale, invece di parlargli un astruso linguaggio che esso non intendeva, gli avesse procurato de’ beni reali, e liberato lo avesse da que’ mali che soffriva; forse... noi non piangeremmo ora sui mi-seri avanzi di una patria desolata e degna di una sorte migliore”''<ref>V. Cuoco, Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli, Torino, Cugini Pomba e C. Editori, 1852.</ref>.
Tale triste ma profetica analisi, ebbe il conforto della storia e, duole riconoscerlo, ancora oggi si trovano uomini politici immemori di essa che, tronfi e orgogliosi, pretendono di muovere il popolo senza degnarsi di condividerne sofferenze e tribolazioni.
Prosdocimo Rotondo fu il più giovane dei cinque fratelli Rotondo, ma fu quello che rifulse più di tutti, oltre a lui vi erano, infatti:
- '''GIAMBATTISTA ROTONDO''' (1749-1837), che fu sacerdote ed ardente patriota.
- '''ELIGIO ROTONDO''' (1752-1817) anch’egli sacerdote e liberale che, durante la Repubblica Partenopea, fu anche Comandante delle truppe patriottiche.
- '''GENESIO ROTONDO''' (1759-1840) fu un esimio professionista e, come repubblicano nel 1799, dovette andare in esilio, ma tornò a Gambatesa dove mori nel 1840.
- '''POLICARPO ROTONDO''', nato nel 1765, esercitò l’avvocatura a Napoli e, nella Repubblica Napoletana, assunse il ruolo di Comandante delle truppe regolari. Dopo la fine di tale esperienza fuggì in esilio a Marsiglia, dove morì esule, senza poter torna-re a Gambatesa, diversamente da quanto era accaduto al fratello.
Non meravigli di trovare sacerdoti rivoluzionari, questo accade-va spesso e per diverse ragioni. Una di esse è, certamente, addebitabile al fatto che, spesso, il sacerdote era la “professione” a cui era-no obbligati i figli non destinatari della parte principale del patrimonio di famiglia. Un’altra ragione, altrettanto frequente, era la sincera passione “rivoluzionaria” di tanti sacerdoti che intendeva-no sostituire al regno dell’uomo il Regno di Dio e, a quanti pretendevano una religione tranquillizzante e placatrice degli animi, opponevano '''(servatis servandis)''' la vigorosa esclamazione di Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco e come vorrei che già ardesse” (Lc 12, 49).
Veniamo, quindi, al nostro Prosdocimo Rotondo. Fece i suoi studi a Napoli e si laureò in giurisprudenza. Si dedicò alla sua professione, divenendo un avvocato nel foro di Napoli con una vasta clientela nella Capitanata e nel Molise. I moti intellettuali e rivoluzionari di quegli anni stimolarono molto la sua indole e, abbandonata la professione forense, si trasferì a Napoli, per dedicarsi appieno alla causa rivoluzionaria. La rivoluzione partenopea del 1799, è bene ricordarlo, fu una rivoluzione giovane, anche perché giovanissimi furono i protagonisti di quei moti. Prosdocimo Rotondo si unì, infatti, ai tanti e valenti giovani intellettuali meridionali che decisero di assumere su di se le sorti della società e di intervenire, in profondità, per la sua salvezza. Da Napoli, Prosdocimo Rotondo mantenne i contatti con gli intellettuali del basso Molise e si prodigò per trasmettere loro le idee che circolavano nella capitale. Costantino Lemaìtre di Lupara, Marcello Pepe di Civitacampomarano, Vincenzo Ricciardi di Palata, Vincenzo e Giuseppe Sanchez di Montefalcone nel Sannio, Nicola Neri di Acquaviva Collecroce, Scipione Vincelli e Domenico De Gennaro di Casacalenda, Giovanni Belpulsi di San Martino in Pensilis, Andrea Valiante di Ielsi, sono alcuni dei molisani con i quali tenne i contatti che, per eludere la vigilanza della polizia borbonica, si riunivano a convegno nell’abitazione di campagna della Baronessa di Castelbottaccio.
Il 22 gennaio del 1799 il generale francese Championet entrò in Napoli, dichiarando decaduto il regno borbonico ed instaurando la Repubblica Partenopea. Uno dei primi atti fu, ovviamente, di insediare un Governo provvisorio e nominò i 25 membri della Rappresentanza Nazionale con funzioni di assemblea legislativa. Prosdocimo Rotondo fu scelto come unico rappresentante del Contado del Molise con l’incarico del Ministero delle finanze.
L’invidia e la divisione tra gli uomini, oggi come allora, sono il più grande ostacolo al progresso e allo sviluppo e fu così che, come annotò Vincenzo Cuoco: ''“Prosdocimo Rotondo, eletto rappresentante, offese l’invidia di qualche suo nemico”''<ref>V. Cuoco, op. cit., p. 149</ref>, che non era stato preferito nella nomina al governo e dovette subirne le calunnie. Per primo ad accusarlo: ''“Si mosse Nicola Palomba''<ref>Di Nicola Palomba ecco quanto riferisce Masciotta: “Nicola Palomba, nato in Avigliano di Basilicata il 23 ottobre 1746, era prete e giacobino esaltato. Fu spedito Commissario nel Dipartimento della Lucania, e non fece una bella figura allorchè i reazionari di Matera (che facevan parte della giurisdizione cui era preposto) insorsero per fraternizzare con quelli della Calabria militanti a massa sotto le insigne di Ruffo. Era inadatto al posto ambito, che aveva sollecitato nei “clubs” e nel Palazzo Nazionale; ma innanzi al patibolo, ad un funzionario che gli prometteva la grazia se avesse date notizie sulla residenza di altri giacobini ricercati dalla polizia, rispose: Io non compro la vita con l’infamia! Penzolò dalla forca il 14 ottobre 1799”. G. Masciotta, op. cit., p. 430, nota 190.</ref> ''che non conosceva Rotondo'', ma - opportunamente annota Cuoco ''- entusiasta, ed in conseguenza poco saggio, credeva che ei fosse indegno della carica sol perché qualche suo amico lo credeva tale.'' - Cuoco stesso mosse gravi critiche alle modalità con cui la neonata repubblica partenopea gestì la vicenda - ''Un’accusa di tale natura non avrebbe dovuto ammettersi, poiché l’indegnità di taluno potrà far si che il sovrano non lo elegga, ma eletto che l’abbia, per-ché sia deposto prima del tempo stabilito dalla legge, vi è bisogno d’un delitto. Ammessa però una volta l’accusa, conveniva esaminarla; nella repubblica deve essere libera l’accusa, ma punita la calunnia.'' - Cuoco si prodigò anche nel tramandare le ragioni di Prosdocimo Rotondo, riportando la sua difesa e la eco che ebbe presso le autorità repubblicane - ''Io non so se Rotondo fosse reo; so però ch’egli insisteva perché fosse giudicato, so che dimesso dalla carica, pubblicò il conto della sua amministrazione e tutti tacquero. Il presidente allora del Comitato Centrale vedeva in questo affare, in apparenza privato, quanto importasse conservarsi il rispetto alla legge, senza di cui non vi è governo, ed intendeva bene, che una folla di patrioti poteva diventar fazione subito che non fosse più nazione. Ma poco di poi alcuni disperando di farsi amare e rendersi forti con la nazione, vollero adulare la fazione, e non si permise che dell’affare Rotondo più si parlasse. Palomba parti pel Dipartimento del quale era stato nominato Commissario. Gli fu data, è vero, la facoltà di proseguir l’accusa per mezzo dei suoi procuratori; ma non si trattava di dargli una facoltà; era necessario imporgli un’obbligazione. Palomba non avrebbe dovuto partire se prima non adempiva al dovere che gl’imponeva l’accusa. In un governo giusto l’accusatore e nel tempo istesso accusato, e mentre si disputava se Rotondo era degno o no di sedere tra i legislatori, Palomba non aveva diritto di essere eletto Commissario. Dispiacque a Rotondo ed a tutti i buoni un silenzio che sacrificava il governo alla fazione, e la fazione all’individuo”.''
''“L’affaire Rotondo”'' offrì un’ulteriore spunto al Cuoco per criticare le ingenuità e le fragilità della Repubblica Partenopea del 1799. Sottolineò, quindi, i principi di diritto e di giustizia che uno Stato dovrebbe porre alla propria base per potersi definire tale e si produsse in una conclusione amara e rassegnata, come amari e rassegnati furono i sogni e le aspirazioni di quanti avevano creduto in quella esperienza: ''“Prosdocimo Rotondo fu, perciò, vittima prima della Repubblica che non procurò purgano dell’accusa e promosse l’accusatore ad alto ufficio; e poi della reazione monarchica che lo trascinò al patibolo pel solo fatto di essere stato al governo della Repubblica! Il Rotondo fu giustiziato il 30 settembre 1799 nella Piazza del Mercato”''<ref>G. Masciotta, op. cit. Vol. II, p. 184.</ref>.
Cerchiamo, quindi, di esaminare quanto accadde e quali furono le mosse di Prosdocimo Rotondo. Come visto, pubblicò una “Risonanza” per difendersi in cui affermò di neppure conoscere Nicola Palomba e di essere stato ''“vittima della sua credulità e del suo indiscreto zelo”''<ref>V. Cuoco, op. cit., p. 148.</ref>.
Il Palomba continuò con le sue accuse e, per farlo tacere ed accontentarlo nelle sue ambizioni, fu mandato come Commissario del Bradano (Matera). Al Palomba seguì un altro accusatore, il Tenente Rosario Licopoli, che in una “Memoria presentata al dì 7 germinale (27 marzo) al governo provvisorio della deputazione patriottica”, accusò anche lo stesso Presidente della repubblica (Lauberg), Fasulo, Paribelli e Rotondo contro cui produsse 22 capi di accusa. L’accusa di Licopoli fu interamente rigettata per la manifesta insussistenza<ref>V. Cuoco, op. cit., p. 148.</ref>. Il Rotondo, evidentemente disgustato per tutti questi intrighi che tanto stridevano con la purezza e nobiltà delle sue intenzioni, si dimise dall’Assemblea nazionale, ma il Governo il 3 fiorile (22 aprile) 1799, che ben lo apprezzava per i suoi meriti, non accettò che si ritirasse a vita privata e volle valorizzarlo affidandogli l’alto incarico di “Commissario del Sangro” (Lanciano) di cui faceva anche parte il Cantone di Riccia<ref>V. Cuoco, op. cit., p. 148.</ref>.
L’esperienza della Repubblica Partenopea durò soli quattro mesi, ma furono densi di significato e forieri di non sopite tensioni e pulsioni positive. La fragilità su cui poggiava e la cruenta reazione borbonica, che mandò al patibolo le migliori giovani menti del meridione, impedirono a lungo, alle nostre terre, di vivere un risorgi-mento delle coscienze e della società, ma merita di essere ricorda-ta e tramandata, per l’esempio e le idealità che incarnò.
Per completezza, ricordiamo che il “Re borbone”, con l’aiuto del-la flotta e dei soldati inglesi, comandati da Nelson, delle forze russe, guidate dal Souvaroff, delle truppe austriache, dirette dal Meles e dal contingente turco di Acmet, il 19/06/1799, dopo un formidabile assedio al Castel Nuovo, al Castel dell’Ovo ed al Castel Sant’Elmo, co-strinse gli ultimi 500 patrioti resistenti alla capitolazione. Vincenzo Cuoco, amico di Prosdocimo Rotondo e vivente all’epoca di quegli avvenimenti, concluderà in questo modo la narrazione di quella avventura: ''“Si sono tanto ammirati i trecento delle Termopili, perché seppero morire; i nostri fecero anche di più, seppero capitolare coll’inimico e salvarsi; seppero almeno una volta far riconoscere la Repubblica Napolitana"''<ref>V. Cuoco, op. cit., p. 286.</ref>
Per gli arresi nell’Articolo V della capitolazione era stato stipulato: ''“Tutti gli suddetti individui potranno scegliere di imbarcarsi sopra i bastimenti parlamentari, che saranno loro presentati per condursi a Tolone (Francia) o di restare in Napoli senza essere inquietati né essi, né le loro famiglie”''. Sappiamo che non fu così, giacché il 20 giugno fu istituita una Giunta di Stato: un tribunale speciale per i patrioti. Senza pietà e senza giustizia furono mandati al supplizio 120 imputati e furono emesse 12 5 1 condanne diverse. Solo nella sessione del 7 settembre, dietro la requisitoria di Carlo Vanni, la Giunta di Stato decretò la condanna di 80 repubblicani, i quali, dopo aver trascorso il carcere nel Castel Nuovo, furono giustiziati nella Piazza del Mercato a Napoli. Tra questi vi furono quattro patrioti molisani: Prosdocimo Rotondo, di Gambatesa, Gian Leonardo Palomba di Campobasso, Nicola Neri di Acquaviva Collecroce e Carlo Borneo di Guardialfiera<ref>V. Cuoco, op. cit., p. 286.</ref>.




== Piatti tipici ==
== Piatti tipici ==

Versione delle 14:33, 8 ago 2022

Disambiguazione – Se stai cercando la miniera in Liguria, vedi Miniera di Gambatesa.
Gambatesa
comune
Gambatesa – Stemma
Gambatesa – Bandiera
Gambatesa – Veduta
Gambatesa – Veduta
Castello Di Capua di Gambatesa
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Molise
Provincia Campobasso
Amministrazione
SindacoAvv. Carmelina Genovese (lista civica Gambatesa Partecipa) dal 25-5-2014
Territorio
Coordinate41°30′N 14°55′E
Altitudine468 m s.l.m.
Superficie43,69 km²
Abitanti1 359[1] (30-9-2019)
Densità31,11 ab./km²
Comuni confinantiCelenza Valfortore (FG), Macchia Valfortore, Pietracatella, Riccia, Tufara
Altre informazioni
Cod. postale86013
Prefisso0874
Fuso orarioUTC+1
Codice ISTAT070025
Cod. catastaleD896
TargaCB
Cl. sismicazona 2 (sismicità media)[2]
Cl. climaticazona D, 1 979 GG[3]
Nome abitantigambatesani
Patronosan Bartolomeo apostolo
Giorno festivo24 agosto
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Gambatesa
Gambatesa
Gambatesa – Mappa
Gambatesa – Mappa
Posizione del comune di Gambatesa nella provincia di Campobasso
Sito istituzionale

Gambatesa (Iammatése in molisano[4]) è un comune italiano di 1 359 abitanti[1] della provincia di Campobasso, in Molise. Dista dal capoluogo circa 30 chilometri ad est e circa 10 chilometri dal confine tra Molise e Puglia. Posto sulla collina e immerso nel verde, offre un'ampia visuale sul lago di Occhito; ha un'estensione di 43 km².

Geografia fisica

Clima

Lo stesso argomento in dettaglio: Stazione meteorologica di Gambatesa.

Storia

Affresco nel castello medievale
Esterno del castello
Veduta del centro storico

Probabilmente il centro esisteva all'epoca romana, anche se si sviluppò come castello dei Longobardi nell'VIII secolo. Leggenda vuole che il nome provenga da un difetto fisico del primo proprietario. In epoca normanna il feudo era retto dalla famiglia omonima chiamata Gambatesa (il cui rappresentante si chiamava Alferius Gambatesus[5]). Il castello si sviluppò in epoca angioina tra fine XIII e XIV secolo, mentre il feudo era ancora in mano alla famiglia Gambatesa. L'ipotesi che Gambatesa sia mai stata retta dalla famiglia Pietravalle (come affermato dal Masciotta e da F. Valente) è da ritenersi ormai sbagliata, essendo essa stata messa in dubbio nel 2019 da studi che hanno dimostrato come il "Gambatesa" dei Pietravalle fosse il nome di un feudo rurale in un'altra zona del Molise tra i feudi medievali di Salcito e Lucito[6], da distinguere dalla Gambatesa comune in prov. di CB.

Nel 1399 Ladislao di Durazzo concesse il feudo alla famiglia Galluccio di Napoli. Nel XV secolo invece passò ad Andrea di Capua, da cui il nome del castello, nel 1586 i di Capua vendettero il feudo a Ferrante Lombardo, barone di Roseto, Troia, Apricena e Casalnuovo Monterotaro , Ferrante Lombardo divenne il primo Conte di Gambatesa con privilegio di Filippo II di Spagna del 17 agosto 1592. il feudo passo per matrimonio dai Lombardo ai Mendoza d'Alarcon che lo vendettero ai Ceva Grimaldi agli inizi del XVIII sec., I ceva Grimaldi furono gli ultimi possessori feudali e mantennero il castello fino alla fine dell'800 quando lo vendettero al conte Guglielmo de La Feld.

Tradizioni e folclore

La sagra delle "Maitunate", oltre ad essere il capodanno più antico del Molise, è la più antica e caratteristica manifestazione popolare di Gambatesa, che coinvolge l'intera popolazione. Si svolge dalla sera del 31 dicembre alla sera del primo gennaio di ogni anno, ed ha come palcoscenico le piazze, le strade, i vicoli e le soglie delle case di amici, parenti e autorità. La "maintonata", eseguita dal cantore e accompagnata da un gruppo di suonatori, è un componimento poetico improvvisato e gli argomenti sono i più svariati e sempre nuovi: si cantano virtù e vizi di grossi e piccoli personaggi, di belle ragazze e di gentili signore, accentuandone l'aspetto umoristico o il comportamento tipico di ognuno, e talvolta il tutto è condito da un'ironia che può raggiungere anche toni aspri e polemici. La sera di San Silvestro, gruppi di gambatesani, organizzati in "squadre" con alla testa il cantore, escono nelle strade e iniziano il giro del paese eseguendo gradite e allegre "marcette". Giunti davanti alle soglie delle case di amici e parenti e di autorità, il cantore dà sfogo al proprio estro poetico cantando peste e corna di ogni componente della famiglia. Terminate le Maintonate, viene aperta la porta e offerto a tutta la squadra da mangiare e da bere. Per quanto riguarda la strumentazione musicale è possibile incontrare vere e proprie bande musicali, l'organetto abruzzese, sonagliere, acciarini e coperchi di pentola. Tutte le squadre hanno però un particolare strumento a percussione che è un po' il simbolo della manifestazione: il "Bufù". Si tratta di una pelle di agnello gonfiata e tesa su un secchio di legno, sulla pelle viene incastrata una canna di bambù che viene strofinata ritmicamente dal suonatore con una pezza bagnata producendo così un caratteristico suono. Il primo gennaio, in piazza, viene organizzato uno spettacolo-concorso con la partecipazione delle stesse squadre della notte. Negli ultimi anni, in occasione della "notte delle Maitunate" è stato indetto anche un concorso fotografico che premia dilettanti e professionisti della fotografia, che si dilettano tra la notte del 31 e la mattina del 1º gennaio, ad immortalare i momenti unici di questa antichissima tradizione. Negli ulitmi anni, per assistere alle "Maitunate", gruppi di camperisti hanno deciso di far tappa a gambatesa, per trascorrere un capodanno in allegria, ballando e brindando al nuovo anno.

Da visitare

Castello medioevale

Lo stesso argomento in dettaglio: Castello di Capua.
non è Gambatesa

Il castello, posto sull'altura del colle Serrone, al centro del quartiere storico, ha subìto lungo i secoli varie trasformazioni. Da Castello-fortilizio a Castello-residenza feudale in epoca medioevale, fu trasformato, nel sec. XVI, in Castello-palazzo rinascimentale dalla famiglia feudataria dei Di Capua. Divenne poi proprietà baronale-marchesale e quindi proprietà privata (oggi rientra nei beni appartenenti allo Stato). È ben visibile l'originaria massiccia struttura medioevale di forma quadrata con la merlatura guelfa sul lato Sud-Ovest e le torri angolari in direzione nord-est, mentre sono di stile rinascimentale il portale bugnato, le finestre e la loggetta con tre archi a tutto sesto che si aprono sulla facciata nord-ovest, aggiunta nel XV-XVI secolo. L'interno si presenta oggi, dopo i recenti restauri, come una pregevole pinacoteca per l'abbondanza di affreschi, eseguiti da Donato da Copertino (Decumbertino) e discepoli nel 1550 su commissione di Vincenzo I di Capua, duca di Termoli e conte di Gambatesa. Espressione del manierismo cinquecentesco, il ciclo dei dipinti, raffigurante paesaggi, grottesche, tendaggi, pergolati, scene mitologiche e allegoriche, costituisce nel suo insieme una testimonianza di arte di notevole livello artistico. Di particolare interesse sono le figure allegoriche delle virtù cardinali.

Chiesa parrocchiale San Bartolomeo apostolo

Situata al centro del paese, nelle immediate vicinanze del castello medioevale, fu consacrata dall'arcivescovo di Benevento Cardinale Orsini (poi papa Benedetto XIII) il 16 luglio 1696. È a tre navate, divise da 12 pilastri, congiunti con archi a tutto sesto; misura 34 metri di lunghezza, 16 di larghezza e 10 di altezza. Inutile cercare nell'edificio un preciso stile architettonico, avendo subito continue modificazioni nel corso dei secoli. Nel complesso risulta uno stile rinascimentale. Il portale della Chiesa è in pietra ed è sormontato da un timpano triangolare sorretto da mensole. Rivela una possibile datazione al XVI secolo riconducibile al fonte battesimale del 1523. Sulla facciata del campanile si può ammirare un trittico costituito da tre pannelli che raffigurano la Vergine (al centro), S. Bartolomeo Apostolo e l'Agnello crucifero (ai lati). All'interno della Chiesa, presso il presbiterio, vi è il fonte battesimale, costituito da un'ampia vasca su una base cilindrica. La vasca è decorata con due stemmi: quello del Comune e dei De Capua; tra i due stemmi c'è la data: 1523. Sempre nel presbiterio c'è il coro in legno di artigianato locale. L'attuale altare maggiore (che sostituisce quello vecchio in mattoni e gesso eliminato perché in stato di grave degrado e privo di ogni valore artistico), è stato costruito con i marmi del pulpito ormai fuori uso.

Chiesa di San Nicola

La chiesa di S. Nicola risale ai secoli XIV-XV, fu edificata sotto il titolo di S. Sebastiano, situata fuori la terra di Gambatesa, in una zona campestre ed officiata dal 1586 al 1653 dai Minori Conventuali di S. Francesco detti della "Scarpa", che abitavano l'annesso convento loro concesso dall'università con atto del 7 novembre 1586. Soppresse le piccole comunità religiose da Innocenzo X la chiesa e il convento furono abbandonati. Con il terremoto del 1688 si aggravarono le condizioni già molto deteriorate dell'edificio e nel 1695 fu oggetto di dispendiosi restauri. Rinnovata la Chiesa l'arcivescovo di Benevento Orsini (poi Papa Benedetto XIII) vi fece trasferire le suppellettili dell'antica e abbandonata Chiesa di S. Nicola al Serrone. La Chiesa di S. Nicola è oggi un piccolo gioiello d'arte sacra romanico-rinascimentale dalla linea architettonica semplice e linda con la facciata a timpano. Presenta all'interno ad una sola navata, alcune pregevoli tele di notevole interesse, restaurate per opera della Sovrintendenza alle Belle Arti.

Cappella santuario di Maria Santissima della vittoria

È una chiesa campestre, ad una navata, situata nelle vicinanze del paese. Un'antica tradizione popolare ne attribuisce la costruzione alla volontà dell'imperatore Federico Barbarossa. In origine forse Abbazia con annesso monastero. Probabilmente rovinata dal terremoto del 1279 o da altri eventi, fu fatta ricostruire dalle fondamenta dal conte Riccardo di Gambatesa verso il 1313. Pur avendo subito, lungo i secoli, vari rifacimenti, la chiesetta conserva ancora la linearità della primitiva struttura architettonica d'impronta rurale. La facciata liscia e compatta e nella lunetta del portale, in pietra nuda, è presente lo stemma dell'Agnello Crocifero. All'interno di pregevole il soffitto a capriata e la statua lignea della Madonna della Vittoria del 1714. Del monastero restano solo dei ruderi.

Personaggi Illustri[7]

Avv. Prosdocimo Rotondo Patriota Gambatesa 14 aprile 1771 – Napoli 30 settembre 1799 La figura di Prosdocimo Rotondo merita, senz’altro, un’attenzione del tutto particolare. Discendente dagli illustri e ricchi Rotondo di Gambatesa, dalla famiglia aveva attinto, con i quattro fratelli, un vero spirito patriottico e liberale e, difatti, nel 1799 li ritroviamo tutti coinvolti in quel movimento giacobino e rivoluzionario che, purtroppo, si diffuse soltanto tra i colti professionisti e intellettuali molisani. A questo riguardo, è sempre lucida l’analisi che ne fece Vincenzo Cuoco quando scrisse che: “Era obbligato il popolo a saper la storia romana per conoscere la sua felicità?”, nel senso che gli intellettuali dell’epoca, avrebbero preteso una adesione piena e immediata del popolo alla rivoluzione, mentre la povera gente ancora conduceva una vita talmente degradata e misera che neppure osavano sognarne una diversa. Sempre Cuoco, infatti, aggiungerà alla sua analisi che: “Se mai la repubblica si fosse fondata da noi medesimi; se la costituzione, diretta dalle idee eterne della giustizia, si fosse fondata sui bisogni e sugli usi del popolo; se un’autorità, che il popolo credeva legittima e nazionale, invece di parlargli un astruso linguaggio che esso non intendeva, gli avesse procurato de’ beni reali, e liberato lo avesse da que’ mali che soffriva; forse... noi non piangeremmo ora sui mi-seri avanzi di una patria desolata e degna di una sorte migliore”[8]. Tale triste ma profetica analisi, ebbe il conforto della storia e, duole riconoscerlo, ancora oggi si trovano uomini politici immemori di essa che, tronfi e orgogliosi, pretendono di muovere il popolo senza degnarsi di condividerne sofferenze e tribolazioni. Prosdocimo Rotondo fu il più giovane dei cinque fratelli Rotondo, ma fu quello che rifulse più di tutti, oltre a lui vi erano, infatti: - GIAMBATTISTA ROTONDO (1749-1837), che fu sacerdote ed ardente patriota. - ELIGIO ROTONDO (1752-1817) anch’egli sacerdote e liberale che, durante la Repubblica Partenopea, fu anche Comandante delle truppe patriottiche. - GENESIO ROTONDO (1759-1840) fu un esimio professionista e, come repubblicano nel 1799, dovette andare in esilio, ma tornò a Gambatesa dove mori nel 1840. - POLICARPO ROTONDO, nato nel 1765, esercitò l’avvocatura a Napoli e, nella Repubblica Napoletana, assunse il ruolo di Comandante delle truppe regolari. Dopo la fine di tale esperienza fuggì in esilio a Marsiglia, dove morì esule, senza poter torna-re a Gambatesa, diversamente da quanto era accaduto al fratello. Non meravigli di trovare sacerdoti rivoluzionari, questo accade-va spesso e per diverse ragioni. Una di esse è, certamente, addebitabile al fatto che, spesso, il sacerdote era la “professione” a cui era-no obbligati i figli non destinatari della parte principale del patrimonio di famiglia. Un’altra ragione, altrettanto frequente, era la sincera passione “rivoluzionaria” di tanti sacerdoti che intendeva-no sostituire al regno dell’uomo il Regno di Dio e, a quanti pretendevano una religione tranquillizzante e placatrice degli animi, opponevano (servatis servandis) la vigorosa esclamazione di Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco e come vorrei che già ardesse” (Lc 12, 49). Veniamo, quindi, al nostro Prosdocimo Rotondo. Fece i suoi studi a Napoli e si laureò in giurisprudenza. Si dedicò alla sua professione, divenendo un avvocato nel foro di Napoli con una vasta clientela nella Capitanata e nel Molise. I moti intellettuali e rivoluzionari di quegli anni stimolarono molto la sua indole e, abbandonata la professione forense, si trasferì a Napoli, per dedicarsi appieno alla causa rivoluzionaria. La rivoluzione partenopea del 1799, è bene ricordarlo, fu una rivoluzione giovane, anche perché giovanissimi furono i protagonisti di quei moti. Prosdocimo Rotondo si unì, infatti, ai tanti e valenti giovani intellettuali meridionali che decisero di assumere su di se le sorti della società e di intervenire, in profondità, per la sua salvezza. Da Napoli, Prosdocimo Rotondo mantenne i contatti con gli intellettuali del basso Molise e si prodigò per trasmettere loro le idee che circolavano nella capitale. Costantino Lemaìtre di Lupara, Marcello Pepe di Civitacampomarano, Vincenzo Ricciardi di Palata, Vincenzo e Giuseppe Sanchez di Montefalcone nel Sannio, Nicola Neri di Acquaviva Collecroce, Scipione Vincelli e Domenico De Gennaro di Casacalenda, Giovanni Belpulsi di San Martino in Pensilis, Andrea Valiante di Ielsi, sono alcuni dei molisani con i quali tenne i contatti che, per eludere la vigilanza della polizia borbonica, si riunivano a convegno nell’abitazione di campagna della Baronessa di Castelbottaccio. Il 22 gennaio del 1799 il generale francese Championet entrò in Napoli, dichiarando decaduto il regno borbonico ed instaurando la Repubblica Partenopea. Uno dei primi atti fu, ovviamente, di insediare un Governo provvisorio e nominò i 25 membri della Rappresentanza Nazionale con funzioni di assemblea legislativa. Prosdocimo Rotondo fu scelto come unico rappresentante del Contado del Molise con l’incarico del Ministero delle finanze. L’invidia e la divisione tra gli uomini, oggi come allora, sono il più grande ostacolo al progresso e allo sviluppo e fu così che, come annotò Vincenzo Cuoco: “Prosdocimo Rotondo, eletto rappresentante, offese l’invidia di qualche suo nemico”[9], che non era stato preferito nella nomina al governo e dovette subirne le calunnie. Per primo ad accusarlo: “Si mosse Nicola Palomba[10] che non conosceva Rotondo, ma - opportunamente annota Cuoco - entusiasta, ed in conseguenza poco saggio, credeva che ei fosse indegno della carica sol perché qualche suo amico lo credeva tale. - Cuoco stesso mosse gravi critiche alle modalità con cui la neonata repubblica partenopea gestì la vicenda - Un’accusa di tale natura non avrebbe dovuto ammettersi, poiché l’indegnità di taluno potrà far si che il sovrano non lo elegga, ma eletto che l’abbia, per-ché sia deposto prima del tempo stabilito dalla legge, vi è bisogno d’un delitto. Ammessa però una volta l’accusa, conveniva esaminarla; nella repubblica deve essere libera l’accusa, ma punita la calunnia. - Cuoco si prodigò anche nel tramandare le ragioni di Prosdocimo Rotondo, riportando la sua difesa e la eco che ebbe presso le autorità repubblicane - Io non so se Rotondo fosse reo; so però ch’egli insisteva perché fosse giudicato, so che dimesso dalla carica, pubblicò il conto della sua amministrazione e tutti tacquero. Il presidente allora del Comitato Centrale vedeva in questo affare, in apparenza privato, quanto importasse conservarsi il rispetto alla legge, senza di cui non vi è governo, ed intendeva bene, che una folla di patrioti poteva diventar fazione subito che non fosse più nazione. Ma poco di poi alcuni disperando di farsi amare e rendersi forti con la nazione, vollero adulare la fazione, e non si permise che dell’affare Rotondo più si parlasse. Palomba parti pel Dipartimento del quale era stato nominato Commissario. Gli fu data, è vero, la facoltà di proseguir l’accusa per mezzo dei suoi procuratori; ma non si trattava di dargli una facoltà; era necessario imporgli un’obbligazione. Palomba non avrebbe dovuto partire se prima non adempiva al dovere che gl’imponeva l’accusa. In un governo giusto l’accusatore e nel tempo istesso accusato, e mentre si disputava se Rotondo era degno o no di sedere tra i legislatori, Palomba non aveva diritto di essere eletto Commissario. Dispiacque a Rotondo ed a tutti i buoni un silenzio che sacrificava il governo alla fazione, e la fazione all’individuo”. “L’affaire Rotondo” offrì un’ulteriore spunto al Cuoco per criticare le ingenuità e le fragilità della Repubblica Partenopea del 1799. Sottolineò, quindi, i principi di diritto e di giustizia che uno Stato dovrebbe porre alla propria base per potersi definire tale e si produsse in una conclusione amara e rassegnata, come amari e rassegnati furono i sogni e le aspirazioni di quanti avevano creduto in quella esperienza: “Prosdocimo Rotondo fu, perciò, vittima prima della Repubblica che non procurò purgano dell’accusa e promosse l’accusatore ad alto ufficio; e poi della reazione monarchica che lo trascinò al patibolo pel solo fatto di essere stato al governo della Repubblica! Il Rotondo fu giustiziato il 30 settembre 1799 nella Piazza del Mercato”[11]. Cerchiamo, quindi, di esaminare quanto accadde e quali furono le mosse di Prosdocimo Rotondo. Come visto, pubblicò una “Risonanza” per difendersi in cui affermò di neppure conoscere Nicola Palomba e di essere stato “vittima della sua credulità e del suo indiscreto zelo”[12]. Il Palomba continuò con le sue accuse e, per farlo tacere ed accontentarlo nelle sue ambizioni, fu mandato come Commissario del Bradano (Matera). Al Palomba seguì un altro accusatore, il Tenente Rosario Licopoli, che in una “Memoria presentata al dì 7 germinale (27 marzo) al governo provvisorio della deputazione patriottica”, accusò anche lo stesso Presidente della repubblica (Lauberg), Fasulo, Paribelli e Rotondo contro cui produsse 22 capi di accusa. L’accusa di Licopoli fu interamente rigettata per la manifesta insussistenza[13]. Il Rotondo, evidentemente disgustato per tutti questi intrighi che tanto stridevano con la purezza e nobiltà delle sue intenzioni, si dimise dall’Assemblea nazionale, ma il Governo il 3 fiorile (22 aprile) 1799, che ben lo apprezzava per i suoi meriti, non accettò che si ritirasse a vita privata e volle valorizzarlo affidandogli l’alto incarico di “Commissario del Sangro” (Lanciano) di cui faceva anche parte il Cantone di Riccia[14]. L’esperienza della Repubblica Partenopea durò soli quattro mesi, ma furono densi di significato e forieri di non sopite tensioni e pulsioni positive. La fragilità su cui poggiava e la cruenta reazione borbonica, che mandò al patibolo le migliori giovani menti del meridione, impedirono a lungo, alle nostre terre, di vivere un risorgi-mento delle coscienze e della società, ma merita di essere ricorda-ta e tramandata, per l’esempio e le idealità che incarnò. Per completezza, ricordiamo che il “Re borbone”, con l’aiuto del-la flotta e dei soldati inglesi, comandati da Nelson, delle forze russe, guidate dal Souvaroff, delle truppe austriache, dirette dal Meles e dal contingente turco di Acmet, il 19/06/1799, dopo un formidabile assedio al Castel Nuovo, al Castel dell’Ovo ed al Castel Sant’Elmo, co-strinse gli ultimi 500 patrioti resistenti alla capitolazione. Vincenzo Cuoco, amico di Prosdocimo Rotondo e vivente all’epoca di quegli avvenimenti, concluderà in questo modo la narrazione di quella avventura: “Si sono tanto ammirati i trecento delle Termopili, perché seppero morire; i nostri fecero anche di più, seppero capitolare coll’inimico e salvarsi; seppero almeno una volta far riconoscere la Repubblica Napolitana"[15] Per gli arresi nell’Articolo V della capitolazione era stato stipulato: “Tutti gli suddetti individui potranno scegliere di imbarcarsi sopra i bastimenti parlamentari, che saranno loro presentati per condursi a Tolone (Francia) o di restare in Napoli senza essere inquietati né essi, né le loro famiglie”. Sappiamo che non fu così, giacché il 20 giugno fu istituita una Giunta di Stato: un tribunale speciale per i patrioti. Senza pietà e senza giustizia furono mandati al supplizio 120 imputati e furono emesse 12 5 1 condanne diverse. Solo nella sessione del 7 settembre, dietro la requisitoria di Carlo Vanni, la Giunta di Stato decretò la condanna di 80 repubblicani, i quali, dopo aver trascorso il carcere nel Castel Nuovo, furono giustiziati nella Piazza del Mercato a Napoli. Tra questi vi furono quattro patrioti molisani: Prosdocimo Rotondo, di Gambatesa, Gian Leonardo Palomba di Campobasso, Nicola Neri di Acquaviva Collecroce e Carlo Borneo di Guardialfiera[16].


Piatti tipici

  • I ciufell (dalla parola ciufolo, fischietto), detti anche cavatelli, sono una pasta fatta in casa impastata, spianata con il matterello fino ad ottenere una sfoglia dello spessore desiderato e poi tagliata dapprima a strisce della larghezza di 3 cm circa, sovrapposte a due a due e tagliate nella grandezza di circa mezzo centimetro. Infine, le striscioline di pasta ottenute, sono incavate con un movimento ritmico delle mani con 3 dita così da dare forma ad un maccherone rustico che ha la vaga forma di un flauto con tre buchi, tipico di quello che si costruivano con un pezzo di canna i pecorai di un tempo e da cui deriva anche il nome più moderno di "cavatelli". Generalmente sono conditi, come da tradizione, con sugo di cotechino e salsiccia, oppure con la ricotta o mischiati alle cime di rapa, stufate e condite con uno sfritto di listarelle di ventresca e peperoncino. Questo piatto nelle prime due versioni si mangiava di solito nei giorni di festa mentre quello con i broccoli andava bene da Natale a Pasqua, perché dopo Pasqua la stagione dei broccoli finiva ed il prodotto si poteva trovare solo se surgelato in precedenza.
  • Baccalà con la mollica: piatto tipico della vigilia di Natale costituito appunto da baccalà condito con olio, aglio tritato, sale, prezzemolo, uva passa e noci tritate; il tutto cotto in forno.
  • Casciatell: fiadone a forma di mezza luna ripieno con uova, ricotta (o cacioricotta), zucchero, vaniglia e limone (o cannella) ben amalgamati. Prima della cottura si spennella con il tuorlo d'uovo battuto. Di questo dolce c'è anche la versione salata.
  • Mandorle atterrate: mandorle scoppiettate nello zucchero, quest'ultimo sciolto a fuoco lento in un recipiente con acqua fino a formare uno sciroppo con cui saranno rivestite.

Sport

Esiste la società sportiva Polisportiva Gambatesa, nata nel 1981, che partecipa al campionato regionale di "Eccellenza". La stessa società oltre a svolgere i campionati giovanili, è riconosciuta anche Centro Calcistico di base.

Nella stagione 2013-2014 nasce una seconda squadra nel centro fortorino, il Real Gambatesa. La squadra partecipa al campionato regionale di ''Seconda Categoria''.

Società

Evoluzione demografica

Abitanti censiti[17]

Amministrazione

Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune.

Periodo Primo cittadino Partito Carica Note
11 giugno 1985 24 maggio 1990 Giulio Nicola Venditti Democrazia Cristiana Sindaco [18]
24 maggio 1990 24 aprile 1995 Emilio Venditti Democrazia Cristiana Sindaco [18]
24 aprile 1995 14 giugno 1999 Emilio Venditti Centro Cristiano Democratico Sindaco [18]
14 giugno 1999 14 giugno 2004 Antonio Di Renzo lista civica Sindaco [18]
14 giugno 2004 8 giugno 2009 Emilio Venditti lista civica Sindaco [18]
8 giugno 2009 27 maggio 2014 Emilio Venditti lista civica Sindaco [18]
27 maggio 2014 in carica Roberta Ravazza lista civica: La terza Gambatesa Sindaco [18]

Note

  1. ^ a b Dato Istat - Popolazione residente al 30 settembre 2019.
  2. ^ Classificazione sismica (XLS), su rischi.protezionecivile.gov.it.
  3. ^ Tabella dei gradi/giorno dei Comuni italiani raggruppati per Regione e Provincia (PDF), in Legge 26 agosto 1993, n. 412, allegato A, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, 1º marzo 2011, p. 151. URL consultato il 25 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2017).
  4. ^ AA. VV., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani., Milano, Garzanti, 1996, p. 296, ISBN 88-11-30500-4.
  5. ^ Evelyn Jamison (a cura di), Catalogus Baronum, collana Fonti per la Storia d'Italia, Roma : Istituto Storico Italiano, 1972.
  6. ^ Marco, <1991- > Lombardi e Michelino Lombardi, Nucium : intrecci medievali e di epoca moderna : Lucito delineata attraverso Salcito e i Pietravalle, Castelbottaccio, Lupara, Civitacampomarano, S. Angelo in Altissimo, Pianisi, Gambatesa, il Santafede nel Molise, Lampo, stampa 2019, ISBN 978-88-31936-33-0, OCLC 1154471177. URL consultato il 31 dicembre 2021.
  7. ^ questa sezione è tratta dalla raccolta pubblica in Carozza Francesco, Gambatesa, la sua gente. Da Riccardo Pietravalle a Guglielmo Josa. Dal passaggio di Re Manfredi alla Battaglia di Gambatesa del 7 ottobre 1943”, Ausiliatrix, Benevento, 2012.
  8. ^ V. Cuoco, Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli, Torino, Cugini Pomba e C. Editori, 1852.
  9. ^ V. Cuoco, op. cit., p. 149
  10. ^ Di Nicola Palomba ecco quanto riferisce Masciotta: “Nicola Palomba, nato in Avigliano di Basilicata il 23 ottobre 1746, era prete e giacobino esaltato. Fu spedito Commissario nel Dipartimento della Lucania, e non fece una bella figura allorchè i reazionari di Matera (che facevan parte della giurisdizione cui era preposto) insorsero per fraternizzare con quelli della Calabria militanti a massa sotto le insigne di Ruffo. Era inadatto al posto ambito, che aveva sollecitato nei “clubs” e nel Palazzo Nazionale; ma innanzi al patibolo, ad un funzionario che gli prometteva la grazia se avesse date notizie sulla residenza di altri giacobini ricercati dalla polizia, rispose: Io non compro la vita con l’infamia! Penzolò dalla forca il 14 ottobre 1799”. G. Masciotta, op. cit., p. 430, nota 190.
  11. ^ G. Masciotta, op. cit. Vol. II, p. 184.
  12. ^ V. Cuoco, op. cit., p. 148.
  13. ^ V. Cuoco, op. cit., p. 148.
  14. ^ V. Cuoco, op. cit., p. 148.
  15. ^ V. Cuoco, op. cit., p. 286.
  16. ^ V. Cuoco, op. cit., p. 286.
  17. ^ Statistiche I.Stat - ISTAT;  URL consultato in data 28-12-2012.
  18. ^ a b c d e f g http://amministratori.interno.it/

Voci correlate

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