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Sandro Pertini

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«[...] Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà.
Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, privandomi della libertà io la rifiuterei. [...] Ecco come io sono socialista[...][1]»

«Non è necessario essere socialisti per amare Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia odora di pulizia, di lealtà e di sincerità.»

Alessandro Pertini (detto Sandro). (Stella San Giovanni, 25 settembre 1896Roma, 24 febbraio 1990) è stato un politico, avvocato e giornalista italiano. Medaglia d'Oro al Valor Militare. Medaglia d'Argento al Valor Militare. Settimo Presidente della Repubblica Italiana dal 1978 al 1985.

Esponente del Partito Socialista Italiano fu, sin dalla presa del potere del Fascismo, tra i più fervidi oppositori del regime e per questo fu condannato dal Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato, dopo aver trascorso un lungo periodo di esilio in Francia, prima al confino e successivamente al carcere. Alla caduta del regime instaurato da Benito Mussolini divenne uno degli esponenti di primo piano della Resistenza italiana e membro del Comitato di Liberazione Nazionale.

Nell'Italia repubblicana venne eletto deputato all'Assemblea Costituente, ricoprendo per due volte consecutive, dal 5 giugno 1968 al 25 maggio 1976, la carica di Presidente della Camera dei Deputati per poi essere eletto, l'8 luglio 1978, Presidente della Repubblica. E' considerato, unanimemente, il Presidente più popolare della storia repubblicana.

Biografia

La gioventù

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Sandro, in piedi, con la madre, il padre, la sorella Marion e il fratello Eugenio

Nacque da una famiglia benestante – il padre Alberto era proprietario terriero – formata da quattro fratelli: il primogenito Luigi, pittore; la sorella Marion, che sposò un diplomatico italiano; Giuseppe, ufficiale di carriera ed Eugenio, deportato e tragicamente scomparso nel campo di concentramento di Flossenbürg il 25 aprile del 1945.

Pertini, molto legato alla madre Maria Muzio, fece i suoi primi studi presso il collegio dei salesiani "Don Bosco" di Varazze, e successivamente al Liceo Ginnasio "Gabriello Chiabrera" di Savona, dove ebbe come professore di filosofia Adelchi Baratono, socialista riformista e collaboratore di Critica Sociale di Filippo Turati, il quale contribuì ad avvicinarlo al socialismo ed agli ambienti del movimento operaio ligure. Iscrittosi all'Università di Genova, si laureò in giurisprudenza.

Nel 1917, il giovane Pertini venne richiamato come sottotenente di complemento e inviato sul fronte dell'Isonzo e si distinse per una serie di atti di eroismo: fu decorato con la medaglia d'argento al valor militare per aver guidato, nell'agosto del 1917 un assalto al monte Jelenik, durante la battaglia della Bainsizza. Tuttavia, dopo la guerra, non gli fu consegnata la decorazione poiché il regime fascista occultò tale merito a causa della sua militanza socialista.

Nel 1918 Sandro Pertini iniziò di fatto la propria militanza nelle file del Partito Socialista Italiano. In quegli anni si trasferì a Firenze, ospite del fratello Luigi, e si iscrisse all'Istituto Universitario "Cesare Alfieri" conseguendo nel 1924 la seconda laurea, in scienze politiche, con una tesi dal titolo La Cooperazione. A Firenze, Pertini entrò in contatto con gli ambienti dell'interventismo democratico e socialista vicini a Gaetano Salvemini, ai fratelli Rosselli e a Ernesto Rossi, e in quel periodo aderì al movimento di opposizione al fascismo "Italia Libera".

L'antifascismo

La prima condanna

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Pertini aspirante ufficiale alla Scuola Mitraglieri Fiat di Brescia

Ostile fin dall'inizio al regime fascista, si iscrisse al PSU dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti. Per la sua attività politica fu spesso bersaglio di aggressioni squadriste e il 22 maggio 1925 venne arrestato per aver distribuito un opuscolo clandestino, stampato a sue spese, dal titolo Sotto il barbaro dominio fascista, in cui denunciava le responsabilità della monarchia verso l'instaurazione del regime fascista, le sue illegalità e le violenze del fascismo stesso, e la sfiducia nell'operato del Senato del Regno, composto in maggioranza da filofascisti, chiamato a giudicare in Alta Corte di Giustizia le eventuale complicità del generale Emilio De Bono a riguardo del delitto di Giacomo Matteotti.

Venne accusato di «istigazione all'odio tra le classi sociali» secondo l'articolo 120 del Codice Zanardelli, oltre che dei reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa della irresponsabilità del re per gli atti di governo.

Pertini, sia nell'interrogatorio dopo l'arresto, sia nell'interrogatorio condotto dal procuratore del re, sia durante l'udienza pubblica davanti al Tribunale di Savona, rivendicò il proprio operato assumendosi ogni responsabilità e dicendosi disposto a proseguire nella lotta antifascista e per il socialismo e la libertà, qualunque fosse la condanna a cui andava incontro.

Fu ovviamente condannato, il 3 giugno 1925, a otto mesi di detenzione e al pagamento di una ammenda per i reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa regia e fu assolto per l'accusa di istigazione all'odio di classe. La condanna non attenuò la sua attività, che riprese appena liberato.

Pertini nell'immediato primo dopoguerra

Nel novembre 1926, dopo il fallito attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, come molti altri antifascisti in tutta Italia, fu oggetto di nuove violenze da parte dei fascisti e costretto ad abbandonare Savona per riparare a Milano. Il 4 dicembre 1926, con la proclamazione delle leggi eccezionali antifasciste, Pertini venne assegnato al confino per la durata di cinque anni, il massimo della pena previsto dalla legge, nel carcere della piccola isola di Santo Stefano.

L'esilio ed il periodo clandestino

Per sfuggire alla cattura, il 12 dicembre 1926, da Milano espatriò verso la Francia assieme a Filippo Turati con l'aiuto di Carlo Rosselli e Adriano Olivetti. Dopo aver passato alcuni mesi a Parigi, si stabilì definitivamente a Nizza e divenne un esponente di prim'ordine tra gli esiliati, svolgendo un'intensa propaganda contro il regime fascista, con scritti e con conferenze.

Nell'aprile del 1926 impiantò nella sua residenza di Nizza una stazione radio clandestina allo scopo di mantenersi in corrispondenza con i compagni in Italia, per potere comunicare e ricevere notizie. Scoperto dalla polizia francese, subì un procedimento penale e fu condannato a un mese di reclusione, pena poi sospesa con la condizionale, dietro il pagamento di una ammenda.

Il suo esilio francese terminò nel marzo 1929, quando partì da Nizza e, munito di passaporto falso portante la sua fotografia ed intestato al nome di Roncaglia Luigi, varcò la frontiera dalla stazione di Chiasso il 26 marzo 1929 e rientrò in Italia.

La cattura ed il carcere

il carcere di santo Stefano Oggi

Il 14 aprile 1929 a Pisa, in corso Vittorio Emanuele, l'attuale corso Italia, venne riconosciuto e tratto in arresto. Il 30 novembre 1929 fu condannato dal Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato a 10 anni e 9 mesi di reclusione e a 3 anni di vigilanza speciale. Durante il processo Pertini rifiutò di difendersi, conscio del fatto che si trovava di fronte a un tribunale non normale ma di partito, e perciò esortò la corte a passare direttamente alla condanna già stabilita. Durante la pronuncia della sentenza si alzò gridando: «Abbasso il fascismo! Viva il Socialismo!».

In esilio a Nizza, con i compagni di lavoro

Fu internato nell'ergastolo dell'isola di Santo Stefano, ma dopo quasi due anni di detenzione, il 10 dicembre 1930, venne trasferito, a causa delle precarie condizioni di salute, alla casa penale di Turi dove condivise la cella con Athos Lisa e Giovanni Lai. A Turi, unico socialista recluso, conobbe Antonio Gramsci, al quale fu stretto da grande amicizia e ammirazione intellettuale e dalla condivisione delle sofferenze della reclusione: ne divenne confidente, amico e sostenitore.

Nel 1932 fu trasferito presso il sanatorio giudiziario di Pianosa ma, nonostante il trasferimento, le sue condizioni di salute non migliorarono, al punto che la madre presentò domanda di grazia alle autorità. Pertini, non riconoscendo l'autorità fascista e quindi il tribunale che lo condannò, respinse la domanda di grazia con parole durissime, sia per la madre che per il presidente del Tribunale Speciale.

«[...] Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna - quale smarrimento ti ha sorpresa, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza? E mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso che tanto andavi orgogliosa di me, hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei improvvisamente così allontanata da me, da non intendere più l'amore, che io sento per la mia idea? [...]»

Il 10 settembre 1935 venne trasferito a Ponza come confinato politico ed il 20 settembre 1940 venne assegnato al confino per altri cinque anni da trascorrere tra Ponza e Ventotene dove incontrò, tra gli altri, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.

La Resistenza partigiana

Il ritorno alla libertà e alla lotta

Sandro Pertini e Giuseppe Saragat in una foto del 1979

Riacquistò la libertà solo il 7 agosto 1943 per riprendere subito la lotta antifascista, partecipando a Roma, quel tragico 8 settembre dello stesso anno, ai combattimenti contro i tedeschi a Porta San Paolo, insieme a Luigi Longo, Emilio Lussu e Giuliano Vassalli.

Assieme a Ugo La Malfa fu strenue oppositore della svolta di Salerno rispetto alla pregiudiziale repubblicana.[3]

Venne catturato dalle SS, assieme a Giuseppe Saragat, e fu condannato a morte per la sua attività partigiana, ma la sentenza non venne eseguita grazie all'azione di un gruppo partigiano dei GAP che, il 24 gennaio 1944, permise la loro fuga durante la loro detenzione nel carcere di Regina Coeli. Da Roma si diresse a Milano per partecipare attivamente alla Resistenza come membro del CLNAI e con l'intento politico di riorganizzare il partito socialista.

Nel luglio 1944, dopo la liberazione di Roma, venne richiamato da Nenni al rientro nella capitale. Gli ordini furono di mettersi in contatto, a Genova, con il monarchico Edgardo Sogno che lo avrebbe messo in contatto con gli alleati per farlo rientrare a Roma con un volo dalla Corsica. La situazione si complicò: arrivato a Genova non trovò il mezzo natante per raggiungere la Corsica, quindi convenne con Sogno sull'opportunità di attivarsi in tal senso.

Pertini, il quale aveva contatti con i partigiani della Spezia, partì con l'intento di trovare nella città ligure il mezzo adatto per il loro viaggio. E così fu, ma occorreva aspettare qualche giorno. Tornò a Genova ma venne a sapere che Sogno aveva già trovato un motoscafo ed era partito con altre persone per la Corsica lasciandolo al suo destino. Pertini si trovò quindi abbandonato, in territorio occupato, con una condanna a morte pendente e, nella sua Liguria, facilmente riconoscibile, con l'ordine di rientrare a Roma. Decise di riparare nuovamente alla Spezia per cercare comunque di raggiungere la capitale e, ottenuto un lasciapassare per raggiungere Prato, raggiunse Firenze a piedi, in solitaria.

A Firenze si mise in contatto con il professore Gaetano Pieraccini, nel suo studio di via Cavour, grazie al quale riuscì a trovare rifugio in via Ghibellina. L'11 agosto prese parte agli scontri per la liberazione della città, organizzando l'azione del partito socialista e la stampa delle prime copie dell'Avanti!.

Il rientro al nord e la liberazione di Milano

Il documento falso usato da Pertini durante la Resistenza

Arrivato a Roma capì presto che la sua presenza era inutile e quindi manifestò l'intenzione di tornare al nord, dove era il segretario del partito socialista per tutta l'Italia occupata e faceva parte del Comitato di Liberazione Alta Italia in rappresentanza del partito.

Gli furono forniti dei documenti falsi, una patente di guida a nome di Nicola Durano, e con un volo aereo venne trasferito da Napoli a Lione, poi da Lione a Digione e, una volta arrivato a Chamonix, entrò in contatto con la Resistenza francese. Il percorso di rientro fu previsto attraverso il Monte Bianco e fu condotto sul Corn du Midi assieme a Cerilo Spinelli, il fratello di Altiero, con una teleferica portamerci, per poi intraprendere l'attraversata del Mer de Glace e prende contatto con i partigiani valdostani, grazie all'aiuto del campione di sci Émile Allais. Arrivò ad Aosta e poi ad Ivrea, evitando pattuglie e posti di blocco dei tedeschi, fino a Torino.

Nell'aprile 1945 fu con Leo Valiani e Luigi Longo tra gli organizzatori dell'insurrezione di Milano e il mercoledì 25 aprile 1945 fu lo stesso Pertini a proclamare alla radio[4] lo sciopero generale insurrezionale della città milanese:

«Lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.»

Pochi giorni prima, presso l'arcivescovado di Milano, incontrò, per la prima ed unica volta, Benito Mussolini:

«[...] lui scendeva le scale, io le salivo. Era emaciato, la faccia livida, distrutto.»

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25 aprile 1945. Pertini parla a Milano appena liberata

Lo stesso 25 aprile, il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia si riunì presso il collegio dei Salesiani in via Copernico a Milano. L'esecutivo, presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani, decretò, a seguito di un fallito tentativo di mediazione da parte del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, la condanna a morte nei confronti di Mussolini.

In seguito alle vicende finali della vita del dittatore, Pertini scrisse sulle colonne dell'Avanti!:

«[...]Mussolini si comportò come un vigliacco, senza un gesto, senza una parola di fierezza. Presentendo l'insurrezione si era rivolto al cardinale arcivescovo di Milano chiedendo di potersi ritirare in Valtellina con tremila dei suoi. Ai partigiani che lo arrestarono offrì un impero, che non aveva. Ancora all'ultimo momento piativa di aver salva la vita per parlare alla radio e denunciare Hitler che, a suo parere, lo aveva tradito nove volte[...][5]»

Lo stesso argomento in dettaglio: Morte di Mussolini.

Secondo Pertini, le emozioni provate durante la Liberazione di Milano furono un'esperienza che confermarono la sua idea nella «capacità del popolo italiano di compiere le più grandi cose qualora fosse animato dal soffio della libertà e del socialismo». Come spesso egli ricordava malinconicamente, mentre il 25 aprile partecipava alla festa per l'avvenuta liberazione, suo fratello minore Eugenio, veniva assassinato nel campo di concentramento nazista di Flossenbürg.

L'8 giugno 1946 sposò la giornalista e staffetta partigiana Carla Voltolina, conosciuta proprio durante la Liberazione di Milano.

La carriera politica repubblicana

Il dopoguerra

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Pertini durante un comizio negli anni cinquanta

Nell'aprile del 1945 Pertini divenne segretario del PSIUP, carica che ricoprì fino all'agosto dell'anno successivo.

Durante il XXV Congresso del Partito Socialista di Unità Proletaria, svoltosi a Roma tra il 9 ed il 13 gennaio 1947, Pertini si prodigò per evitare la scissione con l'ala democratico-riformista di Giuseppe Saragat. Per giorni si pose al centro delle dispute nel tentativo di mediare tra le due correnti ma nonostante i suoi sforzi «la forza delle cose», come la definì Pietro Nenni, portò alla scissione socialista, meglio nota come Scissione di palazzo Barberini, da cui nacque il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.

Nonostante fosse fautore dell’unità del movimento dei lavoratori, da sempre fu fervido sostenitore dell'autonomia socialista nei confronti del Partito Comunista Italiano. In tal senso si oppose, in seno al Partito Socialista Italiano, alla costituzione del Fronte Democratico Popolare per le elezioni del 1948. La sua mozione fu minoritaria: al prevalere della linea di Nenni, disciplinatamente si adeguò alla maggioranza come nel suo consueto stile democratico.

Nelle file socialiste fu eletto all'Assemblea Costituente[6] in cui intervenne nella stesura degli articoli del Titolo I, sui rapporti civili. Fin dall'inizio della storia repubblicana fu avverso all'attuazione dell'amnistia nei confronti dei reati politici commessi dai responsabili dei crimini fascisti e in tal senso, durante i lavori dell'assemblea, intervenne il 22 luglio 1946 con un'interrogazione parlamentare nei confronti del ministro di Grazia e Giustizia Fausto Gullo.

L'interrogazione verteva sulle motivazioni dell'interpretazione largheggiante del provvedimento di amnistia, sull'inadempimento del governo De Gasperi nell'applicare il decreto di reintegro dei lavoratori antifascisti allontanati dal lavoro per motivi politici durante il regime, sull'emanazione di provvedimenti atti a difendere la Repubblica contro i suoi nemici.[7]

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Pertini rende omaggio al milite ignoto

La sua azione politica in quel periodo mirava anche al raggiungimento delle riforme sociali necessarie al recupero del paese, devastato sia dall'esperienza fascista, sia dalle tragedie della guerra, ma soprattutto al tentativo di eliminare radicalmente i rigurgiti di soprusi del regime mussoliniano.[8]

Nella I legislatura, fu nominato senatore della Repubblica, in base alla 3a disposizione transitoria della Costituzione della Repubblica italiana,[9] e divenne presidente del gruppo parlamentare socialista al Senato. Il 27 marzo 1949, durante la 583ª seduta del Senato, Pertini dichiarò il voto contrario del suo partito all'adesione al Patto Atlantico, perché inteso come uno strumento di guerra e in funzione antisovietica nell'intento di dividere maggiormente l'Europa e di scavare un solco sempre più profondo per separare il continente europeo, e sottolineò come il Patto Atlantico avrebbe influenzato la politica interna italiana, con conseguenze negative per la classe operaia. In quella seduta difese la pregiudiziale pacifista del gruppo socialista, esprimendo la solidarietà nei confronti dei compagni comunisti – veri obbiettivi, a suo dire, del Patto Atlantico –, concludendo con le seguenti parole:

«Oggi noi abbiamo sentito gridare "Viva l'Italia" quando voi avete posto il problema dell'indipendenza della Patria. Ma non so quanti di coloro che oggi hanno alzato questo grido, sarebbero pronti domani veramente ad impugnare le armi per difendere la Patria. Molti di costoro non le hanno sapute impugnare contro i nazisti. Le hanno impugnate invece contadini e operai, i quali si sono fatti ammazzare per la indipendenza della Patria![10]»

Sandro Pertini

Fu successivamente rieletto alla Camera dei Deputati nel 1953, 1958, 1963, 1968, 1972 e nel 1976, nel collegio Genova-Imperia-La Spezia-Savona, per divenire presidente prima della Commissione Parlamentare per gli Affari Interni e poi di quella degli Affari Costituzionali, e nel 1963 vicepresidente della Camera dei Deputati.

Fu tra i politici che dimostrarono pubblicamente con sdegno la possibilità che si tenesse il congresso del Movimento Sociale Italiano nella città di Genova ed il 1° luglio 1960, denunciò alla Camera i soprusi delle forze dell'ordine nei confronti dei manifestanti, sia nel capoluogo ligure, sia in altre città d'Italia. I disordini portano pochi giorni dopo ai tragici fatti della Strage di Reggio Emilia.

Politicamente fu tra coloro i quali non sostennero il centro-sinistra perché attraverso quell'accordo si sarebbero discriminati i comunisti, mettendo fine alla collaborazione tra i due principali partiti della sinistra.

Nella primavera del 1978, durante il sequestro Moro, Pertini, a differenza della maggioranza del partito socialista, fu un sostenitore della cosiddetta «linea della fermezza» nei confronti dei sequestratori, ovvero il rifiuto totale della trattativa con le Brigate Rosse.

Nella V e VI Legislatura, ricoprì l'incarico di Presidente della Camera dei Deputati.

La presidenza della Repubblica

Lo stesso argomento in dettaglio: Elezione Presidente della Repubblica 1978.
Il ritratto ufficiale del Presidente Pertini

L'elezione del settimo presidente della Repubblica iniziò il 29 giugno 1978 a seguito delle dimissioni di Giovanni Leone. Nei primi tre scrutini la DC optò per Guido Gonella e il PCI votò in modo pressoché unanime il proprio candidato, Giorgio Amendola, mentre l'ala parlamentare socialista concentrò i propri voti su Pietro Nenni. Fino al 13° scrutinio il PCI mantenne la candidatura di Amendola e il PSI propose Francesco De Martino, senza trovare consensi, ma al 16° scrutinio, l'8 luglio 1978, la convergenza dei tre maggiori partiti politici si trovò sul nome di Pertini, che fu eletto presidente della Repubblica italiana con 832 voti su 995, a tutt'oggi la più ampia maggioranza nella votazione presidenziale nella storia italiana.

La sua elezione fu da subito un importante segno di cambiamento per il Paese, grazie al suo carisma e alla fiducia che esprimeva la sua figura di eroico combattente antifascista e padre fondatore della repubblica. In tal senso è emblematica una delle dichiarazioni di Indro Montanelli:

«Non è necessario essere socialisti per amare Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità»

Dopo aver giurato, nel suo discorso d'insediamento[11] Pertini ricordò il compagno di carcere ed amico Antonio Gramsci, e sottolineò la necessità di porre fine alle violenze del terrorismo ricordando, con la grande umiltà che lo contraddistinse sempre, la tragica scomparsa di Aldo Moro.

Nel periodo della sua permanenza al Colle contribuì a fare della figura del Presidente della Repubblica l'emblema dell'unità del popolo italiano. Grazie alla sua statura morale contribuì al riavvicinamento dei cittadini alle istituzioni, in un momento difficile e costellato di avvenimenti delittuosi come quello degli anni di piombo.

A seguito del terremoto del 23 novembre 1980 in Irpinia rimase memorabile la sua espressione «Fate presto» nell'invocare la repentina risposta dei soccorsi all'immane tragedia dei terremotati; frase apparsa il giorno seguente a 9 colonne sul quotidiano Il Mattino.

Pertini nel suo ufficio al Quirinale

Dopo la sua visita in Irpinia, il 26 novembre, pochi giorni dopo la tragedia denunciò pubblicamente l'impotenza e l'inefficienza dello Stato nei soccorsi in un famoso televisivo discorso a reti unificate, in cui sottolineò la scarsità di provvedimenti legislativi in materia di protezione del territorio e di intervento in caso di calamità e denunciò quel settore statale che avrebbe speculato sulle disgrazie come nel caso del terremoto del Belice.[12]

Da Presidente della Repubblica nominò 5 senatori a vita: il politico e storico Leo Valiani, l'attore e commediografo Eduardo De Filippo, la politica e partigiana Camilla Ravera (prima donna a ricevere questa nomina), il critico letterario e rettore Carlo Bo ed il filosofo Norberto Bobbio. Con queste nomine i senatori a vita diventarono complessivamente 7. Secondo l'interpretazione di Pertini, infatti, l'art. 59 della Costituzione non intenderebbe limitare a 5 il numero di senatori a vita che possono sedere in Parlamento ma permettere a ogni Presidente della Repubblica di nominarne fino a 5. Tale scelta non fu contestata (forse per la qualità dei senatori a vita nominati e ancor più forse per la grande popolarità di cui Pertini godeva) e il suo successore Cossiga seguì la stessa interpretazione.

La sua figura è legata ad avvenimenti molto piacevoli della storia d'Italia, ma anche sempre vicina nei momenti di sofferenza. Spesso si ricorda la sua esultanza allo stadio di Madrid per la vittoria ai Campionati del mondo di Calcio del 1982 e come volle essere presente ai tentativi di salvataggio di Alfredino Rampi, un bambino di sei anni di Vermicino caduto in un pozzo nel 1981. Introdusse il rito del "bacio alla bandiera" tricolore, che sarebbe divenuto usuale anche per i suoi successori.

Pertini bacia il feretro di Enrico Berlinguer

Pertini fu particolarmente partecipe durante la scomparsa di Enrico Berlinguer, tanto da partire personalmente da Roma con un volo presidenziale per poter scortare la salma nella capitale. Durante le esequie in piazza S. Giovanni, Nilde Iotti, dal palco delle autorità, ringraziò pubblicamente Pertini, scatenando un commovente applauso della folla partecipante.

Partecipò commosso ai funerali del presidente egiziano Anwar al-Sadat, camminando in mezzo alla folla al seguito del feretro lungo tutto il percorso del corteo funebre e ricordandolo durante il discorso di fine anno nel 1981:

«[...]Siamo preoccupati, noi abbiamo assistito ai funerali del Presidente Sadat assassinato dai fanatici. Stava operando per la pace nel suo Paese e fra Israele e il Mondo Arabo. Ebbene noi abbiamo assistito a quei funerali; vi abbiamo assistito con un animo colmo di angoscia. Sono situazioni che riguardano tutti noi, non possono essere circoscritte al popolo e alle Nazioni in cui si svolgono, riguardano ognuno di noi, ogni uomo che ama la libertà e ogni uomo che ha a cuore la pace.[...][13]»

Assunse, con la sua autorevolezza, un atteggiamento di intransigente denuncia nei confronti della criminalità organizzata denunciando «la nefasta attività contro l'umanità» della mafia e ammonendo sempre a non confondere i fenomeni criminosi della mafia, della camorra e della 'ndrangheta con i luoghi e le popolazioni in cui sono presenti.

Nel discorso di fine anno del 1982 parlò espressamente del problema mafioso, ricordando la figura dell'on. Pio La Torre e del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa:

Pertini ai funerali del generale Dalla Chiesa

«[...]Vi sono altri mali che tormentano il popolo italiano: la camorra e la mafia. Quello che sta succedendo in Sicilia veramente ci fa inorridire. Vi sono morti quasi ogni giorno. Bisogna stare attenti a quello che avviene in Sicilia e in Calabria e che avviene anche con la camorra a Napoli. Bisogna fare attenzione a non confondere il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano con la camorra o con la mafia. Sono una minoranza i mafiosi. E sono una minoranza anche i camorristi a Napoli.
Prova ne sia questo: quando è stato assassinato Pio La Torre, vi era tutta Palermo intorno al suo feretro. Quando è stato assassinato il gen. Dalla chiesa, con la sua dolce, soave compagna, che è stata più volte qui a trovarmi, proprio in questo studio, tutta Palermo si è stretta intorno ai due feretri per protestare.
Quindi il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano sono contro la camorra e contro la mafia.[...][14]»

Nel 1983, Sandro Pertini sciolse il consiglio comunale di Limbadi in provincia di Vibo Valentia perché era risultato primo degli eletti il latitante Francesco Mancuso, capo dell'omonima famiglia mafiosa, e tornò sulle tematiche legate alla criminalità organizzata nel suo discorso di fine anno nel 1983:

Sandro Pertini nei giardini del Quirinale

«[...]Ci preoccupa quello che si verifica con la mafia in Sicilia, la camorra nel napoletano e la 'ndrangheta – non so mai pronunciare bene questa parola – in Calabria. Però io qui mi permetto di fare questa osservazione. Il popolo siciliano non deve essere confuso con la mafia. Il popolo siciliano è un popolo forte, popolo che ben conosco, perché negli anni passati, quando ero propagandista del mio partito, ho girato in lungo e in largo la Sicilia. Li ho conosciuti nella prima guerra mondiale i giovani siciliani, con il loro coraggio e la loro fierezza. Il popolo siciliano è un popolo forte, generoso, intelligente. Il popolo siciliano è il figlio di almeno tre civiltà: la civiltà greca, la civiltà araba e la civiltà spagnola. È ricco di intelligenza questo popolo. Quindi non deve essere confuso con questa minoranza che è la mafia. È un bubbone che si è creato su un corpo sano.
Ebbene, con il bisturi, polizia, forze dell'ordine, governo debbono sradicare questo bubbone e gettarlo via, perché il popolo siciliano possa vivere in pace. Così si dica della 'ndrangheta in Calabria. Io ho girato in lungo e largo la Calabria. Se vi è un popolo generoso, buono, pronto, desideroso di lavorare e di trarre dal suo lavoro il necessario per poter vivere dignitosamente, è il popolo calabrese. Così il popolo napoletano con la camorra. Anche qui sono una minoranza i camorristi. Parlano troppo di quello che è in carcere, capo-mafia. Quello si sente un eroe. I giornali ne parlano tutti i giorni ed è chiaro che entra il giornale in carcere e lui si sente un eroe, questo sciagurato. Ma il popolo napoletano non può essere confuso con la camorra.[...][15]»

La presidenza di Pertini favorì l'ascesa del primo socialista italiano alla guida del governo, infatti, nel 1983, diede incarico di formare il governo a Bettino Craxi. Per due anni e per la prima volta nella storia d'Italia, furono socialisti sia il presidente della Repubblica, sia il presidente del Consiglio dei Ministri. Ciò nonostante, Pertini ebbe con Craxi rapporti altalenanti, dovuti essenzialmente alla diversa formazione e temperamento. Pertini spesso non condivise nel merito e nella forma le mosse politiche craxiane, come nel caso del XLIII Congresso a Verona, il 15 maggio 1984, in cui Bettino Craxi venne eletto segretario per acclamazione anziché con la consueta votazione. I rapporti tra i due politici comunque si mantennero su un piano di cordialità e rispetto, nonostante non si amassero; secondo Antonio Ghirelli, allora portavoce del Quirinale, il giorno dell'incarico per la Presidenza del Consiglio, Pertini notò che Craxi si era presentato al Colle indossando dei jeans, intimandogli di ritornare con un abbigliamento adeguato[16].

Pertini, peraltro, non costituì mai nel PSI una propria corrente e vantava rapporti travagliati quando non pessimi con quasi tutti gli esponenti socialisti (disse di lui il compagno di partito Riccardo Lombardi: «cuore di leone, cervello di gallina» [17]).

Durante il suo mandato sciolse due volte il Parlamento, convocando le elezioni politiche italiane del 1979 che diedero vita alla VIII Legislatura e le elezioni politiche del 1983 che diedero vita alla IX Legislatura, diede l'incarico (in ordine cronologico) di formare i governi Andreotti V, Cossiga I, Cossiga II, Forlani, Spadolini I, Spadolini II, Fanfani V e Craxi I e nominò giudici costituzionali Virgilio Andrioli, Giuseppe Ferrari e Giovanni Conso.

Sandro Pertini ed Eduardo De Filippo

La sua costante presenza nella vita pubblica italiana è stata probabilmente il motivo della sua grande popolarità, nei momenti cruciali della storia italiana di quei sette anni, nelle situazioni piacevoli come nei momenti difficili. Da molti è considerato il Presidente piu amato dagli italiani, per l'amore verso la Patria, per il suo grande carisma, per la sua vena ironica, per il suo modo di fare sempre schietto e incurante dell'etichetta, per l'amore verso i bambini a cui prestava molta attenzione durante le famose le visite giornaliere delle scolaresche al Quirinale e per aver inaugurato un nuovo modo di rapportarsi con i cittadini, con uno stile franco, diretto e amichevole («amici carissimi» o «non fate solo domande pertinenti, ma anche impertinenti: io mi chiamo Pertini... »). Non solo: la schiettezza e la pragmaticità di Pertini si riflesse costantemente nella sua azione politica ed istituzionale, facendolo apparire come un presidente che puntava alla concretezza, rifiutando compromessi e imponendosi con il suo alto rigore morale.

La sua personalità era intrisa dei princìpi che hanno ispirato la democrazia parlamentare e repubblicana, nata dall'esperienza della Resistenza partigiana; era solito sostenere il suo rispetto della fede politica altrui tanto quanto il suo fermo rifiuto del pensiero fascista e di tutte le ideologie che rinneghino la libertà dell'uomo:

«Il fascismo è l'antitesi della fede politica, perché opprime tutti coloro la pensano diversamente.[18]»


Senatore a vita

Il 29 giugno 1985, pochi giorni prima della scadenza naturale del suo mandato, si dimise dalla carica allo scopo di facilitare le procedure dell'elezione del suo successore. Al termine del mandato presidenziale divenne come i suoi predecessori e come previsto dalla Costituzione, senatore a vita. L'unico incarico ufficiale che intraprese dopo la Presidenza della Repubblica fu la presidenza della Fondazione di Studi Storici "Filippo Turati", costituitasi a Firenze nel 1985 con l'obiettivo di conservare il patrimonio documentario del socialismo italiano.

Durante e dopo il periodo presidenziale non rinnovò la tessera del Partito Socialista, restando così al di sopra delle parti pur senza rinnegare il suo essere profondamente socialista.

La notte del 24 febbraio 1990, all'età di 93 anni, si spense, a Roma nel suo appartamento privato, una mansarda affacciata sulla Fontana di Trevi.

Onorificenze

Medaglia d'Oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia d'Oro al valor militare
«Animatore instancabile della lotta per la libertà d’Italia, dopo 15 anni trascorsi tra carcere e confino, l’8 settembre 1943 si poneva alla testa degli ardimentosi civili che a fianco con i soldati dell’esercito regolare contrastarono tenacemente l’ingresso alle truppe tedesche nella Capitale. Membro della giunta militare del C.L.N. centrale, creava una delle maggiori formazioni partigiane operanti sui piano nazionale. Arrestato e individuato quale capo dell’organizzazione militare clandestina, sottoposto a duri ed estenuanti interrogatori ed a violenze fisiche con il suo fiero ed ostinato silenzio, riusciva a mantenere il segreto. Il 25 gennaio 1944 riacquistava la libertà con una fuga leggendaria dal carcere, riassumeva il suo posto di comando spostandosi continuamente in missione di estremo pericolo nelle regioni dell’Italia centrale, dove più infieriva la lotta alla quale partecipava personalmente. Nel maggio 1944 si recava in Lombardia per portarvi il suo contributo prezioso ed insostituibile di animatore e combattente, potenziando le Brigate che in ogni regione dell’Italia occupata, sotto la sua guida, divennero un formidabile strumento di lotta contro l’invasore. Di là, a fine luglio 1944, si portava in Firenze dove, alla testa dei partigiani locali, partecipava all’insurrezione vittoriosa. Rientrato in Roma liberata, chiedeva di essere inviato nell’Italia occupata e dalla Francia effettuava il passaggio del Monte Bianco. Nella Val d’Aosta (Cogne), soggetta ad un feroce rastrellamento, si univa alle formazioni partigiane distinguendosi in combattimento. Raggiunta Milano, riprendeva il suo posto nei maggiori organi direttivi della resistenza. L’insurrezione del Nord lo aveva, quale membro del Comitato insurrezionale, tra i maggiori protagonisti nelle premesse organizzative e nell’urto militare decisivo. Uomo di tempra eccezionale, sempre presente in ogni parte d’Italia ove si impugnassero le armi contro l’invasore. La sua opera di combattente audacissimo della resistenza gli assegnava uno dei posti più alti e Io rende meritevole della gratitudine nazionale nella schiera dei protagonisti dei secondo Risorgimento d’Italia.»
  • Fu insignito della Croce di Guerra e della Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte[19].
  • Fu il primo a ricevere l'onorificenza della "Medaglia Otto Hahn per la Pace" della Società Tedesca per le Nazioni Unite (Deutsche Gesellschaft für die Vereiten Nationen, DGVN): gli fu assegnata a Berlino nel dicembre 1988.

Monumenti

  • Il 24 febbraio 2007 viene inaugurato, a Forlì, nella rotatoria d'imbocco alla via Pertini, un busto in bronzo di Sandro Pertini, opera dello scultore Ivo Gensini.

Fondazione Sandro Pertini

La Fondazione Sandro Pertini è stata costituita il 23 settembre 2002, a Firenze, su iniziativa della moglie del Presidente, Carla Voltolina.

La firma dell'atto pubblico di costituzione è avvenuta in occasione della cerimonia svoltasi nell'aula magna della facoltà di Scienze Politiche "Cesare Alfieri" che vide laurearsi, nel 1924, Sandro Pertini.

La Fondazione Sandro Pertini, si pone come principale obiettivo quello di tenere vivi lo spirito ed il pensiero di Sandro Pertini; inoltre, si prefigge come scopo ulteriore, ma non secondario, quello di preservare il patrimonio del grande uomo politico italiano costituito da cimeli, libri, archivio storico, fotografie, quadri e documenti vari da destinare alla pubblica fruizione e quello di diffondere i valori per i quali Pertini si era battuto durante la sua esistenza.

L'attuale organigramma della Fondazione è così composto:

Curiosità

Pertini e Bearzot
  • Pertini seppe della sua decorazione con la medaglia d'argento al valor militare conseguita nella Prima Guerra mondiale solo quando divenne Presidente della Repubblica, dopo alcune ricerche dello staff dello Stato Maggiore. Alla proposta di consegna egli si rifiutò dicendo che se l'allora regime negò tale merito non riteneva giusto raccoglierlo ora vista la sua posizione di Presidente della Repubblica. L'onorificenza gli fu consegnata, terminato il suo mandato presidenziale, nel suo ufficio di senatore a vita, dall'allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini.
In aereo gioca a scopone con i Campioni del Mondo
  • Pertini fu eletto presidente della Camera dei Deputati durante il periodo della contestazione studentesca del 1968 e fu il primo uomo politico non democristiano e di sinistra a ricoprire tale incarico. Nel 1978, dopo dieci anni, nel periodo degli anni di piombo, a pochi mesi dall'omicidio di Aldo Moro, fu eletto alla Presidenza della Repubblica con l'appoggio di tutti i partiti democratici ed antifascisti.
  • Nel 1938 fu dedicata a Pertini la tessera del PSI, assieme a Rodolfo Morandi e a Antonio Pesenti prigionieri anche loro nelle carceri fasciste.
  • Pertini fu il primo presidente della Repubblica a conferire l'incarico di formare il governo ad una personalità laica non democristiana, Giovanni Spadolini, il quale presentò il Governo Spadolini I il 28 giugno 1981.
  • Pertini fu tra i presidenti che scelsero di non abitare nel Palazzo del Quirinale, mantenendo la propria residenza nel suo appartamento romano, secondo lo stesso Pertini per espresso desiderio della moglie.
  • Pertini era solito trascorrere le sue vacanze estive a Selva di Val Gardena, alloggiando nella locale caserma dei carabinieri, per non disturbare la cittadinanza con ulteriori misure di sicurezza durante la sua permanenza. Nella vicina Val di Fassa, nel comune di Campitello è stato costruito nel 1986 il Rifugio Sandro Pertini, nel nome dell'amicizia che legava il Presidente e l'attuale gestore del rifugio.
  • Pertini è stato protagonista di una striscia a fumetti (Pertini, o Pertini Partigiano) disegnata da Andrea Pazienza e pubblicata su varie testate storiche della satira italiana, tra cui Cuore, Frigidaire, Cannibale e Il Male. Le strisce e il materiale prodotto sono in seguito state pubblicate in volume (da Primo Carnera Editore nel 1983 e da Baldini & Castoldi nel 1998). La striscia immergeva il Presidente negli anni della Resistenza italiana al nazismo, dipingendolo come coraggioso e pragmatico guerrigliero, affiancato e intralciato dall'inetto aiutante Paz (l'autore stesso). La serie ebbe discreto successo, e venne apprezzata anche dallo stesso Pertini, nonostante si discostasse moltissimo dallo stile tradizionale di Andrea Pazienza: il disegno era realizzato con semplici tratti di pennarello nero.
  • Secondo il mensile italiano Ciak, nel 1938 Pertini recitò nel film Fuochi d'artificio, diretto dal regista Gennaro Righelli.
  • Alla morte di Josif Stalin, i suoi interventi parlamentari celebrarono senza riserve, probabilmente a causa della stretta alleanza che vigeva allora fra Partito Socialista Italiano e Partito Comunista Italiano, il capo dell'URSS:

«Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L'ultima sua parola è stata di pace [...] Si resta stupiti per la grandezza di questa figura che la morte pone nella sua giusta luce. Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l'immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto»

Galleria fotografica

Evita il testo nascosto nelle voci

Immagini presidenziali

Visita ufficiale in Cina

Visita ufficiale a Beirut

Incontri con altre personalità


Note

  1. ^ CESP Centro Espositivo Sandro Pertini Intervista
  2. ^ www.Pertini.it Lettera alla madre 1933
  3. ^ CESP Centro Espositivo Sandro Pertini Intervista
  4. ^ CESP Centro Espositivo Sandro Pertini Audio dell'annuncio radiofonico
  5. ^ A Milano e a Torino nella fiammata insurrezionale, in Avanti!, 6 maggio 1945
  6. ^ Camera.it Dati personali e incarichi nella Costituente
  7. ^ legislature.camera.it Resoconto stenografico della seduta del 22/07/46
  8. ^ legislature.camera.it Resoconto stenografico della seduta del 19/11/47
  9. ^ it.Wikisource Disposizioni Transitorie della Costituzione
  10. ^ Atti parlamentari. I Legislatura, Senato. Vol. V: Discussioni 1948-49
  11. ^ Camera.it Giuramento e discorso di insediamento
  12. ^ www.23novembre1980.it Sito in memoria del terremoto irpino
  13. ^ www.quirinale.it Sandro Pertini, Messaggio di fine anno agli italiani, Palazzo del Quirinale 31 dicembre 1981
  14. ^ www.quirinale.it Sandro Pertini, Messaggio di fine anno agli italiani, Palazzo del Quirinale 31 dicembre 1982
  15. ^ www.quirinale.it Sandro Pertini, Messaggio di fine anno agli italiani, Palazzo del Quirinale 31 dicembre 1983
  16. ^ Il mestiere di testimone, da Togliatti a Pertini e Craxi
  17. ^ articolo su "L'espresso" di Giampaolo Pansa
  18. ^ CESP Centro Espositivo Sandro Pertini Intervista
  19. ^ www.quirinale.it Assegnazione onorificenze
  20. ^ Vittorio Messori, Pensare la storia, SugarcoEdizioni, (2006)

Bibliografia

  • Antonio Ghirelli. Caro Presidente. Milano, Rizzoli, 1981.
  • Sandro Pertini. Sandro Pertini, Sei condanne, due evasioni. Milano, Mondadori, 1984.
  • Gianni Bisiach. Pertini racconta Milano, Mondatori, 1984.
  • Raffaello Uboldi. Pertini soldato Milano, Bompiani, 1984.
  • Claudio Angelini. In viaggio con Pertini. Milano, Bompiani, 1985.
  • Mario Guidotti Sandro Pertini, una vita per la libertà. Roma, Editalia, 1988. ISBN 88-7060-178-1
  • Stefano Caretti e Maurizio Degl'Innocenti Sandro Pertini combattente per la libertà. Bari, Lacaita, 1996.
  • AA. VV. Sandro Pertini nella Storia d'Italia. Bari, Lacaita, 1997.
  • Paolo Nori. Noi la farem vendetta. Milano, Feltrinelli, 2006.

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni


Predecessore Presidente della Camera dei Deputati Successore
Brunetto Bucciarelli-Ducci 5 giugno 1968 - 4 luglio 1976 Pietro Ingrao

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