Calommata obesa

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Calommata obesa
Immagine di Calommata obesa mancante
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Sottoregno Eumetazoa
Superphylum Protostomia
Phylum Arthropoda
Subphylum Chelicerata
Classe Arachnida
Ordine Araneae
Sottordine Mygalomorphae
Superfamiglia Atypoidea
Famiglia Atypidae
Genere Calommata
Specie C. obesa
Nomenclatura binomiale
Calommata obesa
Simon, 1886

Calommata obesa SIMON, 1886 è un ragno appartenente al genere Calommata della Famiglia Atypidae.

Il nome deriva dall'aggettivo greco καλός, kalòs, che significa bello, e dal sostantivo greco ὄμμα, ὄμματος, omma, ommatos, cioè occhio, ad indicare la disposizione degli occhi e la loro minore compattezza[1]. Da notare al riguardo che il plurale greco òmmata è stato poi latinizzato ed è quindi da considerarsi di genere femminile, non neutro plurale, sulla falsariga di Micrommata, come indicato in letteratura dall'aracnologo H. Don Cameron[2].

Il nome proprio deriva dal sostantivo latino obesus, che significa ben pasciuto, grossolano ad indicare la forma corpulenta dell'opistosoma.[3].

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Si distingue dalle altre specie per la robustezza e la grossezza delle dimensioni.

Comportamento[modifica | modifica wikitesto]

Come tutti i ragni del genere Calommata, anche questa specie vive in un tubo setoso parallelo al terreno, per una ventina di centimetri circa seppellito e per altri 8 centimetri fuoriuscente. Il ragno resta in agguato sul fondo del tubo: quando una preda passa sulla parte esterna, le vibrazioni della tela setosa allertano il ragno che scatta e la trafigge, per poi rompere la sua stessa tela, portarsi la preda nella parte interna e cibarsene.[4].

Distribuzione[modifica | modifica wikitesto]

L'areale di rinvenimento di questa specie è legato ad alcune zone forestali della Thailandia[2].

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Frances e John Murphy, An Introduction to the Spiders of South East Asia, Kuala Lumpur, Malaysian Nature Society, 2000.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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