Libia italiana

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Template:Stato Storico La Libia italiana fu una colonia del Regno d'Italia nell'Africa settentrionale, durata ufficialmente dal 1911 al 1947.

La conquista

Il primo ministro italiano Giovanni Giolitti, nonostante avesse poca simpatia per le imprese coloniali, iniziò la conquista della Tripolitania e della Cirenaica il 4 ottobre 1911, inviando a Tripoli contro l'Impero Ottomano 1732 marinai al comando del capitano Umberto Cagni. Oltre 100.000 soldati italiani riuscirono ad ottenere dalla Turchia quelle regioni attualmente definibili libiche nel Trattato di Losanna del 18 ottobre 1912, ma solo la Tripolitania fu effettivamente controllata dal Regio esercito italiano. Nell'interno dell'attuale Libia (principalmente nel Fezzan) la guerriglia indigena continuò per anni, grazie all'azione dei turchi e degli arabi di Enver Pascià e di Aziz Bey.

L'ascesa al potere del Fascismo determinò un inasprirsi della politica italiana nei confronti dei ribelli libici. Infatti dal 1921 al 1925 il governatore della Tripolitania, Giuseppe Volpi, diede il via a nuove campagne militari e conquistò Misurata, la Gefara, il Gebel Nefusa e Garian. A stroncare in Cirenaica la dura resistenza dei Senussi provvidero i generali Bongiovanni e Mombelli. Poi furono Emilio De Bono in Tripolitania ed Attilio Teruzzi in Cirenaica ad ampliare il territorio sotto controllo italiano.

Il governatore Pietro Badoglio tra il 1930 ed il 1931 occupò tutto il Fezzan e l'oasi di Cufra, grazie al generale Rodolfo Graziani.

Graziani, infatti aveva capito che la rapidità nei movimenti e negli spostamenti era fondamentale per non dare tregua al nemico e nel fare ciò fu fondamentale l'apporto della cavalleria indigena e dei meharisti integrati nelle "colonne mobili".[1].

La situazione, grazie al generale Graziani, nel 1930 era volta a favore degli italiani . La lotta proseguiva solo in Cirenaica, dove resisteva ancora il capo senussita della guerriglia, Omar al-Mukhtar. Dotato di un’eccellente visione strategica, con il sostegno delle popolazioni locali, profondamente ostili all’espansione italiana nelle regioni interne della Libia, costui impediva agli italiani di riprendere il controllo della provincia. Grazie a una perfetta conoscenza dell’impervio territorio, pur disponendo solo di un modesto drappello di uomini (che non superò mai le 3000 unità) scatenò una spietata guerra per bande contro le truppe italiane, infliggendo loro pesanti perdite.

Su ordine di Graziani, le forze italiane per sradicare la guerriglia dei senussiti in Cirenaica ricorsero a metodi di rappresaglia spietati contro la popolazione locale accusata di appoggiare il ribellismo. La confraternita senussita, che appoggiava la guerriglia, fu privata dei suoi beni e sottoposta a una dura repressione (più di trenta capi religiosi vennero deportati in Italia e le zavie, centri politici ed economici dell'ordine, vennero confiscate). Inoltre per impedire i rifornimenti dall’Egitto, il generale fece innalzare una lunga barriera di filo spinato lunga 270 chilometri, dal porto di Bardîyah (Bardia) all’oasi di al-Giagbūûb (Giarabub), presidiata costantemente dalle truppe italiane .

Infine furono deportate più della metà della popolazione della provincia, circa 100.000 persone, in tredici campi di concentramento allestiti nel Bengasino e nella Sirtica. Lo sgombero dell’altopiano cirenaico iniziò nel giugno 1930 e si protrasse per diversi mesi. Circa 10.000 [2] persone persero la vita per le epidemie provocate dalle fatiche della lunga ed estenuante marcia (a volte lunga più di 1000 chilometri), ma in piccola parte anche per le violenze e per le durissime condizioni cui vennero sottoposte nei campi di concentramento italiani. Le truppe italiane nel corso di queste operazioni distrussero molti centri abitati sgomberati, insieme alle coltivazioni e al bestiame che ospitavano, e compirono varie esecuzioni sommarie di rappresaglia quando assalite.

Per avere la superiorità numerica e tecnologica nei confronti dei guerriglieri, l’esercito italiano creò dei reparti mobili composti da effettivi italiani e di colore reclutati nelle colonie africane. Questi ultimi erano perlopiù provenienti da Eritrea e Somalia, di religione cristiana e ferocemente avversi ai musulmani. Ma non mancavano collaborazionisti libici che ingrossavano le file dei reparti coloniali, considerati dai comandi italiani come poco affidabili (perciò erano discriminati e talora sottoposti a duri trattamenti). Le truppe italiane inoltre, per la prima volta in una guerra coloniale, per affrontare e decimare guerriglieri e civili loro collegati, ricorsero ad alcuni aerei ed autoblindo.

Ormai privo di ogni sostegno e sconfitto, Omar al-Mukhtar vide disperdersi i guerriglieri e fu ferito e catturato l’11 settembre 1931 durante la Battaglia di Uadi Bu Taga in uno scontro a fuoco con collaborazionisti libici, che per poco non lo fucilarono[3]. Fu trasferito via mare a Bengasi, dove subì una parvenza di processo ed ebbe un breve colloquio con Graziani. Il 16 settembre venne impiccato in catene nel campo di concentramento di Soluch, davanti a 20.000 libici fatti affluire dai vicini lager. La morte di Omar Al-Mukhtar segnò la fine della resistenza libica e la riunificazione delle tre province sotto il comando italiano.

File:Omar Shegewi.jpg
L'impiccagione di Omar al-Mukhtar.

La morte del capo della guerriglia libica Omar al-Mukhtar, nel settembre 1931, comportò la totale pacificazione delle regioni che, solo con l'unione fra Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, si sarebbero chiamate Libia. La conquista italiana costò alla Libia pesanti perdite umane e materiali, causando decine di migliaia di morti e sconvolgendo l’arretrata organizzazione sociale ed economica tradizionale.

L'esercito italiano riportò nel corso delle molte operazioni per la conquista della Libia perdite relativamente lievi in confronto a quelle inflitte ai libici: il totale dei militari italiani morti in Libia tra il 1911 e il 1939 è di 8898 (nella guerra del 1911-1912 ne morirono 1432).

Al principio degli anni trenta, Mussolini ordinò l'inizio di una vasta immigrazione di coloni italiani nelle aree coltivabili della colonia e cercò l'integrazione della locale popolazione araba e berbera, costituendo anche truppe coloniali.

Italo Balbo, il "creatore" della Libia nel 1934

La pacificazione della Libia italiana attuata da Graziani fu talmente completa che pochi anni dopo, nel corso delle varie campagne militari tra Alleati ed Asse nel nord Africa tra il 1940 ed il 1942, lo stesso Churchill nelle sue memorie [4] si lamentò di non avere avuto alcun supporto dagli arabi e berberi libici. Furono invece molte migliaia i collaborazionisti mussulmani libici, tra le truppe coloniali italiane, che si distinsero nella seconda guerra mondiale.

La creazione della Libia

Nel 1934 venne proclamato il Governatorato Generale della Libia (coll'unione della Tripolitania e della Cirenaica) e successivamente i cittadini africani potettero godere dello status di "cittadini italiani libici" con tutti i diritti che ne conseguirono. Mussolini dopo il 1934 iniziò una politica favorevole agli Arabi libici, chiamandoli "Musulmani Italiani della Quarta Sponda d'Italia" e costruendo villaggi (con moschee, scuole ed ospedali) ad essi destinati.
Il primo governatore fu Italo Balbo, a cui si deve la creazione della Libia attuale sul modello di quella dell'imperatore romano Settimio Severo (nato in Libia). Balbo divise nel 1937 la Libia italiana in quattro provincie (nel 1939 annesse al Regno d'Italia) ed un territorio sahariano:

La Colonizzazione

Lo stesso argomento in dettaglio: Colonialismo italiano.

Il Regno d'Italia dopo la prima guerra mondiale avviò una colonizzazione che ebbe il culmine, sotto l'impulso di Mussolini, soprattutto verso la metà degli anni trenta con un afflusso di coloni provenienti in particolare da Veneto, Sicilia, Calabria e Basilicata. Nel 1939 gli italiani erano il 13% della popolazione, concentrati nella costa intorno a Tripoli e Bengasi (dove erano rispettivamente il 37% ed il 31% della popolazione).

Con gli Italiani si ebbe un incremento del cattolicesimo in Libia, grazie anche alla creazione di numerose chiese e missioni. Al Vicariato apostolico di Tripoli del vescovo Camillo Vittorino Facchinetti nel 1940 era assegnato circa un quarto del totale della popolazione della Libia italiana (includendo i coloni italiani).

Rovine del teatro romano di Sabratha, vicino a Tripoli, ristrutturato durante il Fascismo

In Libia gli italiani costruirono in meno di trent'anni (1912-1940) infrastrutture degne di nota (strade, ponti, ferrovie, ospedali, porti, edifici, e altro ancora) e l'economia libica ne ricevette benefici effetti. Numerosi contadini italiani fecero rinverdire terreni semidesertici, specie nell'area di Cirene.

Anche l'archeologia fiorì: città romane scomparse (come Leptis Magna e Sabratha) furono riscoperte ed indicate come simbolo del diritto italiano a possedere la Libia già romana. Negli anni trenta la Libia italiana arrivò ad essere considerata la nuova "America" per l'emigrazione italiana.[1]

Nel 1938 il governatore Italo Balbo portò 20.000 coloni italiani in Libia e fondò per loro 26 nuovi villaggi, principalmente in Cirenaica.[5] Inoltre Balbo cercò di assimilare i musulmani libici con una politica amichevole e fondò nel 1939 10 villaggi per gli Arabi e i Berberi libici: "El Fager" (al-Fajr, "Alba"), "Nahima" (Deliziosa), "Azizia" (‘Aziziyya, "Meravigliosa"), "Nahiba" (Risorta), "Mansura" (Vittoriosa), "Chadra" (khadra, "Verde"), "Zahara" (Zahra, "Fiorita"), "Gedida" (Jadida, "Nuova"), "Mamhura" (Fiorente), "El Beida" (al-Bayda', "La Bianca").
Tutti questi villaggi avevano la loro moschea, scuola, centro sociale (con ginnasio e cinema) ed un piccolo ospedale, rappresentando una novità assoluta per il mondo arabo del Nord Africa.

Dopo l' eventuale vittoria contro gli Alleati, la Libia doveva essere parte del progetto fascista di una Grande Italia nella sua sezione costiera (arancione), mentre l'interno sahariano doveva fare parte dell' Impero Italiano (verde)

Anche il Turismo venne particolarmente curato con la istituzione dell'ETAL, Ente turistico alberghiero della Libia, il quale gestiva alberghi,linee di autopullman di gran turismo,spettacoli teatrali e musicali nel teatro romano di Sabratha, il granpremio automobilistico della Mellaha, una suggestiva località entro le oasi tripoline ed altre iniziative.

All'inizio della seconda guerra mondiale vi erano circa 120.000 Italiani in Libia, ma Balbo aveva in progetto di raggiungere il mezzo milione di coloni italiani negli anni sessanta.[6] Del resto Tripoli aveva già nel 1939 una popolazione di 111.124 abitanti, dei quali 41.304 (37%) erano italiani. Italo Balbo nel 1940 aveva costruito 400 km di nuove ferrovie [7] e 4.000 km di nuove strade (la più nota era la Via Balbia col suo nome, che andava lungo la costa da Tripoli a Tobruk).

A partire dal 1937, il governo italiano aveva avviato un processo di integrazione completa della Libia nel Regno: la Libia si avviava infatti a trasformarsi da colonia a regione geografica Italiana parificata alle altre. Questo processo iniziò con la proclamazione delle 4 province di Tripoli (TL), Bengasi (BE), Misurata (MU), Derna (DE). La parte meridionale della Libia (territorio del deserto, con capoluoghi Murzuch e El Giof) fu invece organizzato come distretto autonomo gestito direttamente dal Governo centrale. Anche la cittadinanza fu parzialmente equiparata a quella delle Province europee del Regno.

Il 9 di gennaio del 1939 la colonia della Libia fu incorporata nel territorio metropolitano del Regno d'Italia e conseguentemente considerata parte della Grande Italia, col nome di Quarta Sponda.

Italiani della Libia

Lo stesso argomento in dettaglio: Italo-libici.

Gli Italiani della Libia erano poche migliaia quando Mussolini salì al potere e riuscì a sconfiggere la guerriglia araba, ma dopo la nomina di Italo Balbo a governatore nel 1934 il loro numero si incrementò continuamente fino ad essere quasi 120.000 nel 1940.

La seconda guerra mondiale devastò la Libia italiana e costrinse i coloni italiani a lasciare in massa le loro proprietà, specialmente nella seconda metà degli anni quaranta.

Attualmente gli italiani in Libia sono 22.530, quasi lo stesso numero del 1962, in prevalenza operai specializzati delle industrie petrolifere arrivati a fine anni novanta.

Ecco gli italiani in Libia secondo diverse stime e censimenti:

ANNO ITALIANI PERC. AB. LIBIA FONTE
1936 112.600 13,26% 848.600 Enciclopedia Geografica Mondiale K-Z, De Agostini, 1996
1939 108.419 12,37% 876.563 Guida Breve d'Italia Vol. III, C.T.I., 1939
1962 35.000 2,1% 1.681.739 Enciclopedia Motta, Vol. VIII, Motta Editore, 1969
1982 1.500 0,05% 2.856.000 Atlante Geografico Universale, Fabbri Editori, 1988
2004 22.530 0,4% 5.631.585 L'Aménagement Linguistique dans le Monde

Le stime precedenti, soprattutto per quanto concerne il dato riferito al 2004, riguardano i parlanti l'italiano e non i cittadini italiani. Secondo i dati in possesso del Governo italiano e verificabili presso gli Uffici diplomatici e consolari della Repubblica in Libia, gli italiani in Libia negli anni 2000 sono meno di 1.000, poiché la manodopera delle imprese italiane che si registra come "italiana" è in realtà asiatica. Anche la stima sui parlanti è piuttosto generosa: in linea di massima, parlano italiano le generazioni dei più anziani nelle due grandi città (Tripoli e Bengasi), rimasti in poche decine di vecchi coloni.

La fine della Colonia

Nel Trattato di Pace del 1947 l'Italia ha dovuto rinunciare a tutte le sue colonie, compresa la Libia. Vi fu comunque nel 1946 un vano tentativo di mantenere la Tripolitania come colonia italiana (assegnando la Cirenaica alla Gran Bretagna ed il Fezzan alla Francia).

Per gli Italiani della Libia iniziò nel secondo dopoguerra un difficile periodo, contrassegnato dalla loro emigrazione. Anche la Libia italiana fu ridimensionata, perdendo la nuova Libia indipendente la Striscia di Aozou (ottenuta da Mussolini nel 1935 e ridata alla colonia francese del Chad).

Nel 1962 gli Italiani in Libia erano ancora circa 35.000. Ma dopo il colpo di stato del colonnello Gheddafi del 1969, circa 20.000 italiani furono costretti a cedere improvvisamente i propri beni e le proprie attività economiche il 7 ottobre 1970 (ancora oggi le varie associazioni di profughi e rimpatriati si battono per ottenere un risarcimento dallo Stato italiano).

Dopo la nazionalizzazione delle imprese italiane, rimase in Libia solo un ristretto numero di italiani. Nel 1986, dopo la crisi politica tra Stati Uniti e Libia, il numero degli italiani si ridusse ancora di più, raggiungendo il minimo storico di 1.500 persone, cioè meno dello 0,1% della popolazione. Negli ultimi anni, dopo il riavvicinamento tra l'Occidente e la Libia e la fine dell'embargo economico, alcuni italiani del'epoca coloniale sono ritornati in Libia. Attualmente sono solo alcune decine di vecchi pensionati.

Rapporti dell'Italia con l'ex colonia

Lo stesso argomento in dettaglio: Rapporti italo-libici nel secondo dopoguerra.

I rapporti tra l'Italia e la Libia sono stati caratterizzati da una parte da lunghe discussioni sulla compensazione per i danni subiti dai Libici durante il colonialismo italiano e dall'altra da richieste di risarcimenti da parte dei rimanenti italiani in Libia (che furono costretti a perdere tutte le loro proprietà ed a esulare come quasi apolidi [8] in Italia dopo l'ascesa al potere del colonnello Gheddafi nel 1969).

Secondo stime del governo libico (contestate dall'AIRL) nel suo complesso la conquista della Libia e le successive repressioni italiane costarono la vita di circa 100.000 cittadini libici su una popolazione stimata di 800.000 abitanti[9]. Dopo trattative durate diversi anni tra il Governo Italiano e il leader libico Muammar Gheddafi, il 30 agosto 2008 è stato firmato un accordo che prevede una compensazione del valore complessivo di 5 miliardi di dollari usa. La compensazione comprende la realizzazione di diverse infrastrutture tra cui l'autostrada da Ras Jdeir a Assaloum, collegando Egitto con Tunisia attraversando la costa libica. Duecento abitazioni. Il pagamento delle pensioni di guerra ai libici che vennero impiegati in combattimento dal Regio Esercito Italiano. La creazione di un comitato di consultazioni politiche e di un partenariato economico. Il finanziamento di borse di studio per studenti libici. La fornitura di un radar per il controllo delle frontiere meridionali della Libia realizzato da Finmeccanica. Il 30 agosto 2008 è stata inoltre restituita la statua Venere di Cirene. L'accordo che comprende diverse fasi di attuazione con scadenze comprese dai 25 ai 40 anni comprende un ampio capitolo relativo alla lotta all'immigrazione clandestina diretta in Italia, alla collaborazione industriale e alle forniture energetiche. Rimane non completamente risolta la questione relativa ai cittadini italiani espulsi dalla Libia nel 1970.

Personaggi italiani

I personaggi italiani nativi della Libia, distinti per città di nascita sono:

Tripoli

File:Claudio Gentile Juventus 1979.jpg
Claudio Gentile, uno dei migliori difensori di tutti i tempi della Nazionale italiana di calcio

Bengasi

Beda Littoria (Derna)

Homs

Note

  1. ^ Domenico Quirico, Lo squadrone bianco, Milano, Edizioni Mondadori Le Scie, 2002, pagg. 309-310.. "Aveva intuito la strategia giusta per battere la guerriglia che ci aveva angosciato per vent'anni: mobilità, rapidità negli spostamenti, bisogna essere più veloce del nemico, non dargli tregua, arrivare sempre prima di lui. E gli ascari eritrei e libici, i meharisti e la cavalleria indigena servirono perfettamente allo scopo; integrati nelle "colonne mobili" diedero un apporto fondamentale alla pacificazione della Libia, grazie alle autoblinde, ai camion, all'aviazione che consentivano di spingersi nel cuore dei santuari nemici dove fino ad allora l'asprezza del deserto aveva fermato perfino l'impeto degli ascari."
  2. ^ Il Presidente Ortu dell'AIRL (associazione rifugiati italiani) ritiene che la cifra data dal governo libico di 40.000 morti per lo sgombero sia esagerato perché:1) non vi erano statistiche precise sulla totale popolazione araba all'epoca;2) la mortalità infantile tra gli arabi era elevatissima nel primo anno di vita, per cui molti di questi morti erano bambini che sarebbero deceduti comunque nel depresso (e privo di assistenze igienico-sanitarie) mondo arabo dei primi del novecento.
  3. ^ Domenico Quirico, Lo squadrone bianco, Milano, Edizioni Mondadori Le Scie, 2002, pag. 313.. "A catturare Omar al-Mukhtar fu uno squadrone di altri libici che servivano nei nostri reparti a cavallo... Fu pura fortuna, perché il destriero di quel vecchio guerriero nella fuga inciampò facendo cadere a terra il suo padrone. L'uomo aveva un fucile a tracolla a sei cartucce, ma essendo ferito a un braccio non riusciva a puntare la sua arma. Il libico che vestiva la nostra divisa puntò il fucile e stava per sparare, non c'era pietà in quella guerra fratricida. Si fermò quando l'uomo lanciò un grido: "Sono Omar el Muchtàr".
  4. ^ Winston Churchill. The Second World War. London, 1952. ISBN 978-0-7126-6702-9
  5. ^ Ion Smeaton Munro, Trough Fascism to World Power: A History of the Revolution in Italy.
  6. ^ Hellen Chapin Metz, Libya: A Country Study.
  7. ^ Ferrovie italiane nella colonia libica
  8. ^ Situazione legale dgli Italiani profughi (in inglese)
  9. ^ Angelo Del Boca, Italiani Brava Gente?

Bibliografia

  • Antonicelli, Franco. Trent'anni di storia italiana 1915 - 1945. Mondadori. Torino, 1961.
  • Chapin Metz, Hellen. Libya: A Country Study. Washington: GPO for the Library of Congress, 1987.
  • Del Boca, Angelo. Gli italiani in Libia. Vol. 1: Tripoli bel suol d'Amore. Milano, Mondadori, 1997.
  • Del Boca, Angelo. Gli italiani in Libia. Vol. 2. Milano, Mondadori, 1997.
  • Maravigna, Pietro. Come abbiamo perduto la guerra in Africa. Le nostre prime colonie in Africa. Il conflitto mondiale e le operazioni in Africa Orientale e in Libia. Testimonianze e ricordi. Tipografia L'Airone. Roma, 1949.
  • Sarti, Roland. The Ax Within: Italian Fascism in Action. Modern Viewpoints. New York, 1974.
  • Smeaton Munro, Ion. Trough Fascism to World Power: A History of the Revolution in Italy. Ayer Publishing. Manchester (New Hampshire), 1971. ISBN 0-8369-5912-4
  • Taylor, Blaine. Fascist Eagle: Italy's Air Marshal Italo Balbo. Montana: Pictorial Histories Publishing Company, 1996. ISBN 1-57510-012-6

Voci correlate

Collegamenti esterni