George Murray (musicista)

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George Murray
NazionalitàBandiera degli Stati Uniti Stati Uniti
GenereArt rock
Rock sperimentale
Funk
Periodo di attività musicaleanni 1970 – 1981
StrumentoBasso

George Murray (...) è un bassista statunitense.

Assieme al chitarrista Carlos Alomar e a Dennis Davis, che sarebbe diventato il batterista di Stevie Wonder, formò la sezione ritmica negli album di David Bowie della seconda metà degli anni settanta.[1][2] Nel corso della sua breve carriera internazionale, occasionalmente Murray si esibì anche come seconda voce e collaborò come compositore e arrangiatore.[3]

Carriera[modifica | modifica wikitesto]

Si mise in luce inizialmente suonando nel 1974 alcuni brani in due dischi del musicista jazz/funk statunitense Weldon Irvine.[4]

David Bowie[modifica | modifica wikitesto]

La collaborazione con Bowie ebbe inizio a Los Angeles in Station to Station, pubblicato nel gennaio 1976, un album di transizione per l'artista inglese tra le atmosfere funk e soul del precedente Young Americans e quelle elettroniche dei successivi album che compongono la "Trilogia di Berlino".[5] Fu il terzo bassista impiegato da Bowie in tre dischi dopo la separazione dallo storico gruppo The Spiders from Mars ed il suo bassista Trevor Bolder.

La collaborazione con Bowie continuò a Berlino, dove Murray prese parte alle registrazioni dei dischi della trilogia composta da Low ed "Heroes" del 1977 e Lodger del 1979. I tre album costituiscono la svolta elettronica nella carriera di Bowie, registrati con l'aiuto di Brian Eno e sotto l'influenza di Conny Plank, l'ingegnere del suono che fu alla base del krautrock tedesco.[6] L'ultimo album in studio con Bowie fu Scary Monsters (and Super Creeps), pubblicato nel 1980.[4] Di particolare rilievo in questo disco il suo contributo in stile funk nel brano Ashes to Ashes, che riprende le atmosfere di Young Americans.[7]

Altre collaborazioni e ritiro dalle scene[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1976 aveva suonato con il gruppo funk Luther di Luther Vandross nell'eponimo album Luther, che non ebbe un buon successo commerciale.[4] Nel 1977 Murray entrò, con Bowie e altri musicisti presenti in Station to Station, nella formazione di The Idiot, l'album di debutto del rocker Iggy Pop, che ebbe invece una grande accoglienza da parte del pubblico e della critica.[8]

L'ultima sua collaborazione di rilievo fu nel 1981 per The Red and the Black, album di esordio da solista del chitarrista dei Talking Heads Jerry Harrison.[4] Subito dopo Murray sparì misteriosamente e definitivamente dalla scena musicale di alto livello senza lasciare tracce di sé. Descritto come una persona riservata, è stata avanzata l'ipotesi che si fosse stancato dell'ambiente della musica rock.[2] In un'intervista del 1983, Bowie dichiarò che Murray si era trasferito in pianta stabile a Los Angeles e non era interessato a rientrare nel mondo musicale.[9]

Discografia parziale[modifica | modifica wikitesto]

Con Weldon Irvine
  • 1974 Cosmic Vortex (Justice Divine)
  • 1974 In Harmony
Con David Bowie
Con i Luther
  • 1976 Luther
Con Iggy Pop
Con Jerry Harrison
  • 1981 The Red and the Black

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Masino, Susan, Rock'n Roll Fantasy, Badger Books Inc., 2003, p. 109, ISBN 978-1-878569-96-7. URL consultato il 13 settembre 2015.
  2. ^ a b (EN) Pushing Ahead of the Dame, su bowiesongs.wordpress.com. URL consultato il 13 settembre 2015.
  3. ^ (EN) George Murray Discography - Writing and Arrangement, su Discogs, Zink Media, Inc.. URL consultato il 13 settembre 2015..
  4. ^ a b c d (EN) George Murray, su Discogs, Zink Media. URL consultato il 13 settembre 2015.
  5. ^ (EN) Andy Gill, Album: David Bowie Station to Station, su independent.co.uk, 17 settembre 2010. URL consultato il 13 settembre 2015.
  6. ^ (EN) Ben Graham, Conny Plank - Who's That Man, su thequietus.com, 22 febbraio 2013. URL consultato il 13 settembre 2015.
  7. ^ (EN) James E. Perone, The Words and Music of David Bowie, Greenwood Publishing Group, 2007, p. 81, ISBN 0275992454. URL consultato il 13 settembre 2015.
  8. ^ (EN) Swenson, John, The Idiot review, su rollingstone.com, 5 maggio 1977. URL consultato il 13 settembre 2015.
  9. ^ (EN) Sean Egan, Bowie on Bowie: Interviews and Encounters with David Bowie, Chicago Review Press, 2015, p. 154, ISBN 1613730012. URL consultato il 13 settembre 2015.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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