Nebulosa Omega

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Nebulosa Omega
Regione H II
La Nebulosa Omega vista al Telescopio Spaziale Hubble
Scoperta
ScopritorePhilippe Loys de Chéseaux
Data1745
Dati osservativi
(epoca J2000)
CostellazioneSagittario
Ascensione retta18h 20m 26s[1]
Declinazione-16° 10′ 36″[1]
Distanzacirca 6000 a.l.
(circa 1800 pc)
Magnitudine apparente (V)6,0[1]
Dimensione apparente (V)11'
Caratteristiche fisiche
TipoRegione H II
Massa800 M
Dimensioni15 a.l.
(5 pc)
Caratteristiche rilevantiNebulosa a emissione di piccole dimensioni
Altre designazioni
M 17, NGC 6618, Sh-2 45, RCW 160, Gum 81[1]
Mappa di localizzazione
Nebulosa Omega
Categoria di regioni H II

Coordinate: Carta celeste 18h 20m 26s, -16° 10′ 36″

La Nebulosa Omega (nota anche come Nebulosa Cigno, Nebulosa Ferro di Cavallo, Nebulosa Aragosta o con le sigle di catalogo M 17 e NGC 6618) è una nebulosa a emissione, scoperta da de Chéseaux nel 1746 e riscoperta da Charles Messier nel 1764, situata nella costellazione del Sagittario.

Osservazione[modifica | modifica wikitesto]

Mappa per individuare la Nebulosa Omega.

Grazie alla sua luminosità, La Nebulosa Omega è piuttosto facile da localizzare: si trova infatti a 2° a sud-est della stella γ Scuti. si individua con discreta facilità anche con un binocolo 10x50 o anche più piccolo, se il cielo è buio e limpido: si mostra in questi strumenti come una macchia allungata; attraverso uno strumento da 114 mm, munito di un filtro UHC, rivela buona parte delle sue sfumature e dei suoi giochi di luce. A partire da 200 mm la visione è eccezionale, e conviene prendere una foto a lunga posa per catturare il colore rosato.[2]

La Nebulosa Omega può essere osservata con discreta facilità da gran parte delle aree popolate della Terra, grazie al fatto che è situata a una declinazione non eccessivamente australe: in alcune aree del Nord Europa e del Canada, nei pressi del circolo polare artico, la sua visibilità è comunque molto difficile, mentre nell'Europa centrale appare relativamente bassa; dall'emisfero sud la nebulosa è ben visibile alta nelle notti dell'inverno australe e nella sua fascia tropicale può vedersi perfettamente allo zenit.[3] Il periodo migliore per la sua osservazione nel cielo serale è quello compreso fra giugno e ottobre.

Storia delle osservazioni[modifica | modifica wikitesto]

la nebulosa risulta essere stata scoperta da Philippe Loys de Chéseaux nel 1746, sebbene la scoperta non fu mai pubblicata; Charles Messier ne fa così una riscoperta indipendente, indicandola come una nebulosa molto allungata e simile a quella della "nebulosa di Andromeda" (la galassia M31). William Herschel e suo figlio John la descrivono come una scia luminosa con un nodo separato, indicando pure che probabilmente parte della nube viene oscurata; l'ammiraglio Smyth definisce il suo nome proprio, che è rimasto ancora attualmente, di Nebulosa Ferro di Cavallo o Nebulosa Omega, a causa della sua forma apparentemente arcuata sul lato nord.[2]

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Mappa schematica della regione galattica fra il Sole (in alto a sinistra) e la Nebulosa Omega (in basso a destra).

La nebulosa è molto brillante ed è visibile a occhio nudo in condizioni favorevoli alle basse latitudini (magnitudine 6). Si tratta di una regione H II in cui è attiva la formazione stellare, resa brillante dalla radiazione luminosa delle stelle giovani e calde, di classe spettrale B (giganti blu) in essa formatesi; Alcune di queste stelle sono radunate a formare un ammasso aperto di 35 stelle, molto oscurato dalle polveri. Il colore rosso vivo della nebulosa è dovuto all'eccitazione degli atomi di idrogeno, che emettono radiazione ; la massa della zona più luminosa è pari a 800 masse solari.[2]

Nell'infrarosso, si è potuto osservare un numero elevato di nubi favorevoli alla formazione di stelle. Al centro della nebulosa si troverebbe un ammasso aperto di una trentina di stelle coperte dalla nebulosa. Il diametro della nebulosa sfiora i 40 anni luce.[2]

Ambiente galattico[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Braccio del Sagittario.

La Nebulosa Omega, trovandosi a una distanza di circa 6000 anni luce da noi, viene a trovarsi su un braccio di spirale galattico più interno al nostro Braccio di Orione, il Braccio del Sagittario, su cui giacciono anche altri oggetti molto brillanti come molti degli ammassi aperti visibili fra le costellazioni dello Scorpione e del Centauro,[4] fino alla Nebulosa della Carena. Uno studio del 2008 afferma comunque che questo braccio sarebbe solo una grande condensazione di gas e polveri da cui sono nate diverse stelle giovani.[5]

La linea di vista dalla Terra alla nebulosa è sì disturbata dalla presenza di polveri interstellari, anche a causa della lunga distanza, ma appare comunque meno oscurata rispetto ad altre zone adiacenti: infatti la nebulosa è visibile sul bordo della cosiddetta Fenditura dell'Aquila, una lunga scia di nebulose oscure appartenenti al nostro braccio di spirale che schermano completamente la luce proveniente dalle stelle della fascia settentrionale del Braccio del Sagittario.[6][7]

Immagine a grande campo della Nebulosa Omega.

Interazioni con la Nebulosa Aquila[modifica | modifica wikitesto]

La Nebulosa Omega nella sua interezza.

La Nebulosa Omega e la Nebulosa Aquila si presentano in cielo molto vicine, separate da appena 2,5°; studiando le rispettive distanze emerge che esse si trovano vicine anche fisicamente, trovandosi a poche centinaia di anni luce l'una dall'altra. Basandosi sulle mappe delle emissioni al 12CO si può notare che le due nebulose sono effettivamente connesse da una debole fascia nebulosa, visibile anche nelle immagini riprese a lunga posa e sensibili anche al vicino infrarosso;[8] ciò indicherebbe che le due nubi, alle quali se ne aggiunge una terza catalogata come Regione III a sudovest della Omega, sarebbero parte di un vasto complesso nebuloso molecolare di cui esse rappresentano le aree più dense in cui ha iniziato ad avere luogo la formazione stellare.[9]

A queste nubi si aggiungerebbe pure il complesso di Sh2-54, cui è connesso l'ammasso aperto NGC 6604, la cui relazione con la Nebulosa Aquila era già nota anni prima.[10] Secondo gli scienziati, è anche possibile definire un'evoluzione su scala temporale della nube molecolare: la prima regione dove la formazione stellare ha avuto luogo è quella settentrionale, coincidente con Sh2-54, che ha dato origine ad alcune brillanti associazioni OB circa 4 milioni di anni fa; in seguito i fenomeni di formazione hanno interessato la regione della Nebulosa Aquila, 2-3 milioni di anni fa, e solo recentemente (1 milione di anni fa) la Nebulosa Omega. Le cause dell'estensione dei fenomeni di formazione possono essere state diverse: potrebbe infatti essere stata causata da un grande effetto domino in cui le nuove stelle col loro vento stellare hanno compresso i gas delle regioni adiacenti facendoli collassare su se stessi, oppure la compressione potrebbe essere stata causata dall'esplosione di più supernovae originate dalle stelle più massicce derivate dalla formazione. Un'altra possibilità potrebbe essere invece che la compressione dei gas sia avvenuta man mano che il complesso nebuloso entrava nelle regioni più dense del braccio di spirale su cui si trova.[9]

La nube molecolare gigante possiede una forma a superbolla e molte delle sue stelle giovani associate vi si trovano all'interno; la superbolla tuttavia sembra avere un'età di alcuni milioni di anni superiore a quella della nube stessa, indicando che si tratta di una struttura già esistente prima dell'afflusso della nube. L'interazione con questa superbolla (e non i suoi effetti di espansione) potrebbero essere stati all'origine dei primi fenomeni di formazione stellare nella regione.[9] Secondo alcuni autori questa regione potrebbe essere ancora più estesa, inglobando persino la Nebulosa Laguna, anch'essa nel Braccio del sagittario sebbene si trovi leggermente più vicina a noi, e forse anche la Nebulosa Trifida,[11] anche se questa si trova piuttosto lontana.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d SIMBAD Astronomical Database, su Results for NGC 6618. URL consultato il 16 novembre 2006.
  2. ^ a b c d Federico Manzini, Nuovo Orione - Il Catalogo di Messier, 2000.
  3. ^ Una declinazione di 17°S equivale ad una distanza angolare dal polo sud celeste di 73°; il che equivale a dire che a sud del 73°S l'oggetto si presenta circumpolare, mentre a nord del 73°N l'oggetto non sorge mai.
  4. ^ Dias, W. S.; Alessi, B. S.; Moitinho, A.; Lépine, J. R. D., New catalogue of optically visible open clusters and candidates, in Astronomy and Astrophysics, vol. 389, luglio 2002, pp. 871-873, DOI:10.1051/0004-6361:20020668. URL consultato il 18 febbraio 2009.
  5. ^ Two of the Milky Way's spiral arms may be 'demoted', su newscientist.com. URL consultato il 7 febbraio 2009.
  6. ^ Galaxy Map, su Result for Aquila Rift 1 e Result for Aquila Rift 2. URL consultato il 7 marzo 2009.
  7. ^ Blitz, L.; Fich, M.; Stark, A. A., Catalog of CO radial velocities toward galactic H II regions, in Astrophysical Journal Supplement Series, vol. 49, giugno 1982, pp. 183-206, DOI:10.1086/190795. URL consultato il 5 marzo 2009.
  8. ^ Elmegreen, B. G.; Lada, C. J.; Dickinson, D. F., The structure and extent of the giant molecular cloud near M17, in Astrophysical Journal, giugno 1979, pp. 415, 416, 418-427, DOI:10.1086/157097. URL consultato il 4 giugno 2009.
  9. ^ a b c Moriguchi, Y.; Onishi, T.; Mizuno, A.; Fukui, Y., Discovery of a molecular supershell towards two HII regions M16 and M17: Possible evidence for triggered formation of stars and GMCs, in The Proceedings of the IAU 8th Asian-Pacific Regional Meeting, Volume II, held at National Center of Sciences, Hitotsubashi Memorial Hall, Tokyo, luglio 2002, pp. 173-174. URL consultato il 4 giugno 2009.
  10. ^ Sofue, Y.; Handa, T.; Fuerst, E.; Reich, W.; Reich, P., Giant stellar-wind shell associated with the H II region M16, in Astronomical Society of Japan, vol. 38, 1986, pp. 347-360. URL consultato il 4 giugno 2009.
  11. ^ Stalbovskii, O. I.; Shevchenko, V. S., The Structure of Star Formation Regions - Part Three - Individual Regions - Spatial Extent Mass and Edge of the Star Formation Region SAGITTARIUS-1, in SOVIET ASTRONOMY (TR. ASTR. ZHURN.), vol. 25, febbraio 1981, p. 25. URL consultato il 4 giugno 2009.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Libri[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Stephen James O'Meara, Deep Sky Companions: The Messier Objects, Cambridge University Press, 1998, ISBN 0-521-55332-6.

Carte celesti[modifica | modifica wikitesto]

  • Toshimi Taki, Taki's 8.5 Magnitude Star Atlas, su geocities.jp, 2005. URL consultato il 7 novembre 2010 (archiviato dall'url originale il 5 novembre 2018). - Atlante celeste liberamente scaricabile in formato PDF.
  • Tirion, Rappaport, Lovi, Uranometria 2000.0 - Volume II - The Southern Hemisphere to +6°, Richmond, Virginia, USA, Willmann-Bell, inc., 1987, ISBN 0-943396-15-8.
  • Tirion, Sinnott, Sky Atlas 2000.0 - Second Edition, Cambridge, USA, Cambridge University Press, 1998, ISBN 0-933346-90-5.
  • Tirion, The Cambridge Star Atlas 2000.0, 3ª ed., Cambridge, USA, Cambridge University Press, 2001, ISBN 0-521-80084-6.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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